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ARISTOTELE

Il problema degli scritti


Le opere di Aristotele pervenute sono degli scritti composti per l’aiuto di insegnamento, prendono
il nome di “acroamatici”, sono destinati agli ascoltatori, o “esoterici” contenevano una dottrina
segreta, si trattava in realtà di appunti per le lezioni. Poi vi sono quelli “essoterici” che sono degli
scritti in forma dialogica, destinati al pubblico, dove Aristotele sfruttò l’uso dei miti e di altri
ornamenti vivaci; di quest’ultimi rimangono solo pochi frammenti.
Gli scritti acroamatici si riconobbero solo nel I secolo a.C. durante l’epoca di Silla, vennero
pubblicati da Andronico di Rodi. Secondo il racconto di Strabone vennero ritrovati nella cantina
della casa dei discendenti di Nileo.
Il rapporto tra i due tipi di scritti (dialoghi-scritti scolastici) fa sorgere un problema, poiché i
dialoghi contribuivano a illustrarci la formazione e lo sviluppo della personalità di Aristotele. Il
pensiero filosofico, nei trattati scolastici, era sistematico e definito, Aristotele non aveva avuto
dubbi. Con l’uso dei dialoghi però ci si rende conto che la dottrina aristotelica non sia nata già
fatta e compiuta, ma comunque abbia subito delle crisi e dei mutamenti. Dai frammenti che ci
rimangono dei dialoghi si nota come in un primo momento Aristotele aderisca al pensiero
platonico ma poi in un secondo momento si allontana e lo modifica sostanzialmente, poiché prima
era incentrato sui problemi filosofici poi sui problemi scientifici particolari.

Gli scritti essoterici (destinati al pubblico)


Dei dialoghi Aristotele riprese oltre alla forma letteraria anche gli argomenti e titoli delle opere;
scrisse un Simposio, un Sofista, un Politico, un Menesseno. Scrisse inoltre il Della
Retorica (corrispondente al Gorgia), il Protrettico (corrispondente
all’Eutidemo), l’Eudemoo Dell’anima (corrispondente al Fedone) e il trattatello Delle idee.
Il Protrettrico, ovvero discorso esortatorio, È un’esortazione alla filosofia; il filosofare è concepito
in senso platonico, come l’abbandono del mondo sensibile e un ritiro dell’anima che conduce alla
contemplazione delle idee eterne, il dialogo Sulla filosofia, è il primo distacco di Aristotele dal
platonismo (vi è una prima critica delle idee platoniche: se si intendono le idee come una specie di
numeri diversi dalla matematica, noi non possiamo intenderli).

Le opere acroamatiche (destinate all’insegnamento)


Gli scritti esoterici dipendentemente dall’argomento trattato vengono classificati in:
 scritti di logica: Órganon, ovvero strumento di ricerca.
 Metafisica (14 libri): non si tratta di un’opera organica, bensì di un insieme di scritti
differenti e composti in epoche diverse.
 scritti di fisica, matematica, storia naturale e psicologia: la dottrina dell’anima la
ritroviamo nei tre libri Sull’anima, e negli scritti Parva naturalia.
 Scritti di etica, economia, politica, retorica e poetica: Aristotele giunse a tre trattazioni di
etica: l’Etica nicomachea, l’Etica eudemia e la Grande Etica (estratto delle due precedenti).
L’Etiica eudemia venne pubblicata dal suo scolaro, Eudemo di Rodi; l’Etica nicomachea è
uno scritto morale, pubblicata da suo figlio Nicomao.

Il distacco da Platone e l’enciclopedia dia del sapere


La differenza sostanziale tra Platone e Aristotele è sicuramente l’indirizzo culturale dell’età
classica e dell’età ellenistica, Aristotele cronologicamente si può collocare in quella classica, ma
viene considerato figlio di quella ellenistica.
Platone crede nella finalità politica della conoscenza, e sostiene che il filosofo sia la sua massima
incarnazione, della città. Aristotele invece sostiene che il fine della filosofia sia la conoscenza
disinteressata del reale e crede che il filosofo sia un sapiente il quale scopo è la ricerca e
l’insegnamento. Per Platone prevale il momento politico-educativo, mentre in Aristotele quello
conoscitivo e scientifico.

Diversa concezione della struttura del sapere è della realtà 


Platone guarda il mondo attraverso un’ottica verticale e gerarchica, distingue le realtà tra quelle
vera e quelle apparenti, e le conoscenze superiori e inferiori.
Aristotele in un primo momento segue la prospettiva del suo maestro; negli ultimi anni però inizia
a guardare il mondo secondo un’ottica orizzontale e unitaria. Dispone realtà e scienze su un piano
di pari dignità, ritiene che la realtà sia suddivisa in varie regioni e ognuna di queste sia l’oggetto di
studio di un gruppo di scienze che sono basate su dei propri principi. Queste scienze
costituiscono un’enciclopedia del sapere, dove si rispecchiano i multiformi aspetti dell’essere.

L’enciclopedia delle scienze in Aristotele


Aristotele sostiene che la filosofia, intesa come metafisica, si differenzi dalle altre scienze perché
non prende in considerazione le varie facce si interroga sull’essere e sulla realtà in generale,
studiando l’essere e la realtà in quanto tali. La filosofia diviene la scienza prima, ovvero la
disciplina che studia l’oggetto comune a tutte le scienze (l’essere).
La filosofia appare come l’anima unificatrice e organizzatrice delle scienze (studia il loro comune
fondamento).

Distacco da Platone: modo di intendere le idee come forme (trascendenza, immanenza)


Idee esterne
Platone idee interne nelle cose come loro essenza
Aristotele- Platone: diverso modo di considerare queste idee

Quadro generale delle scienze (Metafisica)


Aristotele definisce le scienze: teoriche/ teoremiche; pratiche e poietiche o produttive.
Teoriche (contemplative): sono nella metafisica, la fisica e la matematica, le scienze
che studiano il necessario, ciò che è è non può essere diverso da com’è (non sono legate alla
produzione)
Pratiche e poietiche: studiano il possibile su ciò che può essere diverso anche da com’è 
Pratiche (etica e politica): si avvalgono del metodo non dimostrativo; studiano l’agire del
comportamento umano.
Poietiche: da “poieo” che significa produrre, studiano la produzione (ovvero il loro fine) di arti e
tecniche nel produrre, manipolazione di oggetti.
Etica: dal punto di vista individuale, azione individuale
Politica: dal punto di vista della vita associata
*teoriche: disinteressato alla conoscenza più alta; studio la realtà, l’oggetto di conoscenza è la
realtà stessa, ma la realtà è legata all’obiettivo.

Il concetto di metafisica
Aristotele associa differenti definizioni alla metafisica:
 la metafisica <<studia le cause e i principi primi>>;
 la metafisica <<studia l’essere in quanto essere>>;
 la metafisica <<studia la sostanza>>;
 la metafisica<<studia Dio e la sostanza immobile>>.
Il concetto di metafisica, coincide con l’ontologia, studia ciò che è, studia i fondamenti dell’essere.
Metafisica è un termine che non appartiene ad Aristotele, è un termine che appartiene a
Domenico Viromi, studioso e seguace di Aristotele, che cataloga queste opere, e inserisce le opere
che non parlano di fisica oltre quelle della fisica (classificazione fisica e concettuale).
Metafisica: oltre la fisica, oltre la tangibilità di tutto quello che io posso osservare, di cui posso
dare una spiegazione (attiene all’essere in generale).
Concezione di Dio->Metafisica->Dio non si tocca
Metafisica: oltre la natura, oltre i sensi.

I significati dell’essere
L’essere si può predicare, si può attribuire alle cose.
10 “categorie”: per Aristotele sono le caratterische fondamentali e strutturali dell’essere; sono
determinazioni generalissime che ogni essere ha e non può fare a meno di avere.
Sostanza: secondo la qualità e la quantità che può variare attribuita all’essere (agire, patire).
Qualcosa è in molteplici modi:
 l’essere come accidente
 l’essere come categorie
 l’essere come vero
 l’essere come atto e potenza

Sostanza: da “substantia”, ciò che sta sotto, sostrato, è l’essere dell’essere.


Problema dell’essere-> problema della sostanza-> compito della Metafisica
Aristotele per <<sostanza>> intende: l’individuo concreto che funge da soggetto logico dei
predicati.
Concretezza individuale= tóde di, ossia “questo qui”, soggetto sostanziale, ente autonomo (vita
propria) a cui posso attribuire delle caratteristiche:
 sostanziali: definiranno la sostanza in quanto tale;
 accidentali: posso/non posso attribuire queste caratteristiche, ma quest’operazione non
compromette l’essenza della sostanza.

Dalle sostanze al sinolo 


Sinolo: Unione indissolubile di due elementi 
Per definire la sostanza abbiamo bisogno dell’unione della materia (è indeterminato) e della
forma (determinazione della cosa).
Materia: ciò di cui una cosa è fatta, “quid” o materiale ricettivo, che la compone è che funge
da sostrato del suo divenire.
Forma: (Aristotele non intende l’aspetto esterno di una cosa) la natura propria di una cosa, ovvero
la struttura che la rende tale.

Differenza sostanza-accidente (non ha vita propria)


Accidente: (significato basilare dell’essere) è una qualità che una cosa può o meno avere, senza
cessare di essere quella determinata cosa o sostanza. Esprime una caratteristica casuale o
fortuita della sostanza.
Esempio: Socrate NON può cessare di essere uomo, ma PUÒ ESSERE pallido, allegro o malinconico.
Dottrina delle quattro cause
Sono tutte specificazioni o articolazioni della sostanza che è la vera causa dell’essere
 causa materiale (=materia): ciò di cui una cosa è fatta e che rimane nella cosa;
 causa formale (=la forma/ il modello): l’essenza necessaria di una cosa (natura razionale->
causa formale dell’uomo)
 causa efficiente (=il principio del mutamento): ciò che origina qualcosa;
 causa finale (=lo scopo del mutamento): lo scopo al quale una cosa tende.
*coincidono solo nei fenomeni naturali: causa efficiente, formale e finale

La dottrina del divenire


Potenza: tutte le possibili forme potenziali che la materia può assumere -> possibilità di
un qualcosa di nuovo.
Atto: è la realizzazione della possibilità (si associa alla forma).
La materia privata da una possibile forma -> poi la realizzazione

La concezione aristotelica di Dio


Poiché la metafisica è la scienza dell’essere in quanto essere, ma è anche scienza di Dio, inteso
come tutto ciò che io posso concepire che va oltre la fisica.
La dimostrazione dell’esistenza di Dio avrà molta fortuna in tutto il Medioevo (a volte fraintesa)
PRIMO MOTORE IMMOBILE
Aristotele parte dalla teoria del movimento, tutto ciò che è in moto è necessariamente mosso da
altro in natura.
NON si può procedere all’infinito -> si arriverà al principio, ovvero un primo motore immobile,
cioè una causa, che pur trasmettendo il movimento, non sarà mossa da nient’altro prima di se.

Aristotele interpreta Dio come un primo motore immobile.


Aristotele da priorità al finalismo, nella natura vi sono delle essenze che si realizzano, tutto è
orientato verso un fine (evidente nella dimostrazione di Dio)
Dio: atto puro, non è causa efficiente di tutto, non è ciò che causa a monte è che genera la
realtà, è il fine a cui tende tutta la realtà.
OPPOSTO: meccanicismo di Democrito, secondo cui tutto avviene secondo cause
meccaniche determinate; di ogni cosa che avviene è possibile individua una causa efficiente (NO
fine, scopo)

Il primo motore immobile è il fine a cui tutto tende


Dio -> determina questo movimento incessante, ne determina sempre la traduzione, la
trasformazione della potenza in atto, quindi una realizzazione compiuta dell’essere, poiché tutto
tende a Dio.
Dio che muove ogni cosa -> necessario per la realizzazione in atto.
*punto di contatto Aristotele-Platone: MONDO ETERNO (tutto esistito)
La logica
Logica: studio del pensiero
Il termine logica viene coniato dagli stoici
La logica ha per oggetto la forma comune di tutte le scienze, cioè il procedimento dimostrativo e
le varie modalità di ragionamento.
Per designare la dottrina del ragionamento, ovvero il sillogismo (il ragionamento per eccellenza,
perché poste le premesse la conclusione segue necessariamente), Aristotele usa il
termine analitica: metodo di risoluzione del ragionamento nei suoi elementi costitutivi.
Metafisica e logica si sviluppano parallelamente (struttura dell’essere)
Logica non formale (struttura della scienza)

L’Organon è l’insieme delle opere aristoteliche dedicate alla logica, al concetto, alla proposizione,
alla definizione e in generale allo studio degli oggetti dal semplice al complesso:
 logica del concetto: libro Categorie;
 logica della proposizione: libro Sull’interpretazione;
 logica del ragionamento: libri Analitici primi, Analitici secondi
*del sillogismo dialettico: nei Topici di Aristotele -> i principi della scienza sono necessari, quelli
della dialettica probabili

Logica e metafisica
Aristotele ritiene che vi sia un rapporto necessario tra le forme del pensiero, studiate dalla logica,
e le forme della realtà, studiate dalla metafisica. Rapporto in cui vi è la “precedenza” della
metafisica rispetto alla logica.

I concetti
I concetti i sono gli oggetti del nostro discorso, disposti in una scala di maggiore o minore
universalità e vengono classificati per generi e specie. Ogni concetto è una specie (contenuto) di
un concetto più universale e genere (contenente) di un concetto meno universale.
Ne consegue che comprensione (insieme delle qualità caratteristiche di un concetto)
e estensione (numero degli enti cui si riferisce il concetto) sono un un rapporto inversamente
proporzionale.
La scala dei concetti percorsa dall’alto in basso aumenta per comprensione e diminuisce per
estensione, fino a per venire al concetto di specie infima, ovvero l’individuo o sostanza prima,
procedendo al contrario si perviene ai generi sommi, ovvero alle categorie.

Le proposizioni
La logica delle proposizioni si occupa degli enunciati apofantici o dichiarativi (vero o falso).
Le proposizioni sono delle espressioni verbali dei giudizi, ovvero l’unione o separazione di concetti
dati nella strutturazione base di soggetto-predicato.
Solo le proposizioni sono vere o false, mentre per i singoli termini non è possibile stabilire un
grado di verità.
Le proposizioni si distinguono in:
 affermative-negative: qualità;
 universali-particolari: quantità;
 singolari: il soggetto è un ente singolo
*la verità è nel pensiero o nel discorso, non nell’essere o nella cosa. La misura della
verità è l’essere o la cosa, non il pensiero o il discorso.
 Due proposizioni contrarie non possono essere entrambe vere, ma possono essere
entrambe false;
 Due proposizioni contraddittorie sono una vera e l’altra falsa;
 Due proposizioni subcontrarie non possono essere entrambe false, ma possono essere
entrambe vere;
 Nel caso di due proposizioni subalterne: la verità della particolare affermativa dipende
dalla verità dell’universale affermativa e non il contrario; dalla falsità della particolare si
può inferire la falsità della proposizione universale.
PLATONE
Platone nacque ad Atene da una famiglia aristocratica nel 427 a.C. circa; a vent’anni cominciò a
frequentare Socrate, divenendone discepolo. La morte di quest'ultimo 
nel 399 a.C. lo segnò profondamente perché la ritenne una morte ingiusta a tal punto da spingerlo
a condannare la politica del tempo; agli occhi di Platone, Socrate diviene un simbolo della crisi
etico-politica che stava colpendo Atene nel periodo della sua riformata democrazia. Questa crisi
deriva in primo luogo da una crisi di tipo intellettuale, per cui Platone si sente in dovere di
diffondere una “rinnovata filosofia” che sia in grado di produrre una riedificazione esistenziale e
politica dell’uomo. 
Inoltre a Siracusa venne fondata l'Accademia, la scuola platonica ispirata al modello delle
comunità pitagoriche.

Le opere di Platone Sono moltissime e sono scritte sotto forma di dialogo: 13 lettere e 34 dialoghi,
raccolti in nove tetralogie (nove gruppi di quattro scritti ciascuna); solo pochi dialoghi e una
raccolta di Definizioni rimasero fuori dalle tetralogie, oltre ai discorsi, che lui non volle mettere per
iscritto, intitolati Intorno al Bene e nei quali sviluppò una sorta di metafisica a sfondo Pitagorico. 
L’attività letteraria di Platone è suddivisibile in tre periodi:
 primo periodo (scritti giovanili o socratici), es.: Apologia; 
 secondo periodo (scritti della maturità), es.: Fedro;
 terzo periodo (scritti della vecchiaia), es.: Politico.

I caratteri della filosofia platonica


Platone rimane fedele all'insegnamento e alla persona di Socrate, tant'è che la filosofia platonica
si configura come uno sforzo di interpretazione della personalità filosofica di Socrate, il quale non
arrivò a completare le sue “definizioni” e la sua morale filosofica, infatti Platone assimilò da lui il
metodo dialogico di condurre il filosofare, che usò molto come forma nei suoi scritti. 
Al dialogo viene affiancato l’uso del mito, ovvero dei racconti fantastici attraverso i quali vengono
esposti concetti e dottrine filosofiche:
 il mito è uno strumento di cui il filosofo si serve per comunicare in maniera più accessibile
e intuitiva le proprie dottrine all’interlocutore; 
 il mito è un mezzo di cui il filosofo si serve per poter parlare di realtà che vanno al di là dei
confini del pensabile entro i quali l’indagine razionale è costretta a contenersi. Pertanto il
mito rappresenta un’altra via che ripara le lacune della filosofia presentandosi come quel
qualcosa che, pur essendo indimostrato e indimostrabile, si può ragionevolmente ritenere
vero. 
L’uso dei miti nel platonismo ha contribuito alla sua diffusione presso un pubblico più vasto. 
La difesa di Socrate e la polemica contro i sofisti
Il primo periodo dell’attività filosofica di Platone è dedicato all'illustrazione e alla difesa
dell’insegnamento di Socrate e alla polemica contro i sofisti.
L’Apologia di Socrate esalta la vita consacrata alla ricerca filosofica di Socrate; nel Critone Platone
ci presenta Socrate di fronte al dilemma se accettare la morte o accogliere la proposta degli amici
di fuggire dal carcere.
Nei dialoghi minori, invece, Platone ci illustra i capisaldi dell’insegnamento socratico:
1. la virtù è una sola e si identifica con la scienza;
2. solo come la scienza, la virtù è insegnabile;
3. nella virtù come scienza consiste la felicità dell’uomo.
In questi dialoghi minori Platone utilizza il metodo dialettico, secondo cui si ammette in via
d’ipotesi la tesi opposta a quella di Socrate e si fa vedere che essa o non conclude nulla, o conduce
a conseguenze assurde, risultando così confutata.

I tre dialoghi platonici contro la retorica e la sofistica (in particolare l’eristica)


 Il Protagora e il problema dell’insegnabilità della virtù: Protagora, sostenitore che le virtù
siano molte e che la scienza è solo una di queste, viene accusato di non aver trasmesso
alcun insegnamento in quanto solo la scienza si può insegnare, essendo la scienza l’unica
virtù trasmissibile e comunicabile. 
Il Protagora nega all’insegnamento sofistico ogni valore educativo e formativo,
screditando la sofitsca in generale e fecendo apparire l’insegnamento di Socrate
valido;
 L’Euditemo e la polemica contro gli eristi: gli interlocutori del dialogo, i due fratelli
Eutidemo e Dionisodoro, si divertono a dialogare sostenendo un discorso basato sull’uso
della dottrina secondo cui non è possibile l’errore e qualsiasi cosa si dica venga presa per
buona. Socrate si oppone condannando l’eristica (l’arte di battagliare a parole), in quanto
questa si preoccupa di confutare le teorie avversarie e non si concentra sulla ricerca della
verità; la critica dell’eristica esorta alla filosofia, illustrandone il compito proprio di
quest’ultima cioè l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo;
 Il Gorgia e la polemica contro la retorica: in questo dialogo Platone attacca la retorica in
quanto tecnica adulatoria volta a persuadere, a tale concezione oppone l’idea secondo cui
ogni scienza è veramente persuasiva solo se si esprime riguardo all’oggetto che le è proprio
ma appunto la retorica non ha alcun oggetto proprio. La retorica può essere utile a
difendere con discorsi un'ingiustizia commessa e ad evitare di subirne la pena, ma questo
non è un vantaggio perché il male per l'uomo consiste nel commettere un’ingiustizia e non
nel subirla.Perciò l’uso della retorica implica la convinzione che la giustizia sia solo una
convenzione umana, che è da sciocchi rispettare poiché legge di natura è solo quella del
più forte. Tale punto di vista annulla l’identificazione socratica di virtù, legalità e felicità.
La teoria delle idee
La teoria delle idee segna l’avvio della seconda fase della vita del filosofo, ovvero la sua maturità
poiché egli supera le dottrine che Socrate aveva insegnato, elaborando un suo pensiero. Tale
teoria non è mai stata esposta in modo organico da Platone e va perciò ricostruita attraverso
l’analisi delle sue opere, in particolare in Repubblica.
La teoria delle idee ha il compito di assegnare un oggetto certo di conoscenza alla filosofia, che
deve essere definito, assoluto e valido per tutti (IDEA = RAPPRESENTAZIONE DELL’OGGETTO CERTO). 
L’idea platonica è un modello immutabile, immobile ed eterno rispetto al quale la realtà
rappresentata è solo una copia, per questo il platonismo è una forma di dualismo che vede
contrapposte l’idea (modello unico, perfetto e immutabile) e le cose (ovvero delle copie che si
avvicinano alla natura dell’idea e sono mutevoli e imperfette). Conoscendo le idee, perciò la verità,
si può rappresentare la realtà. 
Il dualismo è sia ontologico, perché si parla di due tipi d’essere distinti (cose e idee), che
gnoseologico, poiché vengono riconosciuti due gradi fondamentali di conoscenza (opinione, dóxa e
scienza, epistéme). La scienza (epistéme) indaga le idee, infatti il vero filosofo, tramite la scienza,
indaga la realtà attraverso le idee che sono l'oggetto certo della conoscenza; il non filosofo fonda
la sua conoscenza sull’opinione (dóxa), capace di confondere le idee con le cose perché gli è
preclusa la conoscenza delle idee, non riuscendo a giungere alla conoscenza corretta della realtà.
* Le idee sono l’oggetto proprio della scienza (epistème).
L’idea è una sorta di paradigma archetipo (cioè un modello assoluto) al quale si deve far
riferimento al momento del giudizio di una cosa e, quindi, al momento del giudizio della realtà; le
idee, secondo Platone, dimorano nell’iperuranio (“al di là del cielo”) un luogo fisico o ideale, che è
trascendente della realtà e dalle cose stesse. Il progetto di Platone si fonda sulla necessità di
superare il relativismo proprio dei sofisti, che risulta essere pericoloso poiché condanna l’uomo a
non raggiungere la conoscenza certa delle cose; la sua teoria si lega all’intento politico di voler
riformare la giustizia in quanto, secondo lui, la crisi politica arrivata dopo la morte di Socrate, come
la morte stessa di quest’ultimo, sono state dettate dal fatto che chi governava non aveva un’idea
ben definita di giustizia. Così facendo critica la democrazia riformata e acclama alla guida dello
Stato i filosofi, che sono gli unici ad essere in grado di percepire le idee. La filosofia platonica
rappresenta un’integrazione tra l’eraclitismo e l’eleatismo: da Eraclito egli accetta la teoria della
mutevolezza del mondo terreno e da Parmenide trae la natura dell’essere ma diversamente
dall'essere parmenideo, quello platonico risulta non unico, in quanto formato da una pluralità di
idee. Inoltre se per Parmenide il mondo sensibile non ha connessioni con quello razionale, per
Platone tra i due mondi c’è un legame indissolubile e il mondo sensibile ha una sua specifica realtà
e conoscibilità.  
Tipologia di idee:
  idee valore, corrispondenti ai principi etici, estetici e politici (es.: Bene, Bellezza e
Giustizia);
 idee matematiche, corrispondenti alle entità dell’aritmetica e della geometria (es.: il
quadrato, i numeri);
 idee di cose naturali;
 idee di cose artificiali.
Le idee si dispongono nell’iperuranio in ordine gerarchico: in cima si trovano le idee valore dove il
vertice è occupato dell’idea del Bene. Nei testi platonici risulta assente l’idea di un dio-creatore e il
Bene non “crea” le idee, che sono eterne, ma si limita a comunicarne la loro perfezione;
nell’universo metafisico di Platone non esiste un Dio-persona ma solo “il divino”, definito da lui to
théion per designare una molteplicità di cose diverse.
Le idee sono i criteri di giudizio delle cose in quanto gli umani, per giudicare gli oggetti, non
possono fare a meno di rifarsi alle idee che sono la condizione di possibilità delle cose, sono la loro
causa, quindi le idee rappresentano la condizione di esistenza degli oggetti e la loro ragion
d’essere.

Tre aggettivi per descrivere il comportamento delle cose rispetto le idee


 mimesi, le cose imitano le idee;
 metessi, le cose partecipano seppur in maniera limitata all’essenza delle idee;
 parusia, presenza delle idee nelle cose.

La teoria della conoscenza delle cose


Platone per spiegare la conoscenza delle idee, in quanto questa non può derivare dai sensi, ricorre
alla dottrina-mito dell’anamnesi (o reminiscenza), rifacendosi alla credenza orfico-pitagorica della
metempsicosi, questa teoria prevedeva che l'anima si trovasse nell’iperuranio in contemplazione
delle idee prima di incarnarsi nel corpo umano; dopo l'incarnazione, l’anima conserva il ricordo di
ciò che ha fatto esperienza nell’iperuranio perciò la visione fisica delle cose funge da input per la
memoria, riuscendo a rimembrare gli esempi perfetti delle cose con cui l’anima è entrata in
contatto. Infatti secondo Platone conoscere è ricordare; dato che le idee sono tutte legate tra di
loro, così come lo sono le cose, basta il ricordo di una di queste per innescare a catena il ricordo di
tutte quelle idee che a tale oggetto sono collegate. 
La teoria della conoscenza è illustrata nel Menone, Fedro e Fedone.
La gnoseologia platonica è una forma di innatismo in quanto sostiene che la conoscenza non
deriva dall’esperienza sensibile, infatti funge solo da mezzo sollecitante, dato che ogni essere
umano possiede una conoscenza prenatale della verità, fornita dalla contemplazione che la nostra
anima ha fatto delle idee.
Esempio dello schiavo nel Menone (esperimento maieutico):
Socrate interroga uno schiavo sul teorema di Pitagora e questo, seppur ignorante di geometria,
essendo stato aiutato dal filosofo a ricordare gli elementi di fondo della geometria riesce a
ricostruire il teorema. 
Platone contrappone la teoria della reminiscenza al principio eristico-sofistico secondo cui non è
possibile, all’uomo, indagare né ciò che non sa, né ciò che sa poiché sarebbe inutile indagare ciò
che si sa e impossibile indagare ciò che non si sa. Dal confronto si evince che l’uomo non possiede
già, completamente, tutta la verità (altrimenti non la cercherebbe), e neppure la ignora
completamente (perché in tal caso neppure inizierebbe a cercarla) ma la porta con sé a titolo di
“ricordo”, avendo alla nascita una sorta di pre-conoscenza. 

L’immortalità dell’anima
La teoria della reminiscenza porta ad affermare che l’anima sia immortale, come esposto nel
Fedone, nel quale vengono sostenute altre prove dell’immortalità dell’anima:
 la prova “dei contrari” afferma che come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario,
così la morte si genera dalla vita e viceversa, nel senso che l’anima rivive dopo la morte del
corpo;
 la prova “della somiglianza” sostiene che l’anima, essendo simile alle idee che sono eterne,
sarà anch’essa tale;
 la prova “della vitalità” argomenta che l’anima, in quanto soffio vitale, è vita e partecipa
dell’idea di vita, e pertanto non può accogliere in sé l’opposta idea della morte.
Nel Fedone troviamo la dottrina platonica della filosofia come “preparazione alla morte” poiché la
vita del filosofo risulta tutta una preparazione alla morte, ovvero quel momento in cui l’anima
potrà riunirsi alle idee (in questo dialogo platonico sono presenti un momento fortemente
religioso che quello mondano-politico).

Il mito di Er
La teoria dell’immortalità dell’anima serve al filosofo per chiarire anche il problema del destino, la
sua tesi enuncia che la sorte di ogni individuo dipenda da una scelta precedentemente compiuta
dalla sua anima nel mondo delle idee e tale tesi viene sostenuta con il mito di Er, con cui si chiude
la Repubblica: Er, un guerriero, morto in battaglia e risuscitato dopo dodici giorni racconta agli
uomini la sorte che li attende dopo la morte. Per Platone la scelta del destino è guidata dalle
esperienze che l’anima ha vissuto nella propria vita precedente e, dato che l’anima sceglie il
modello di vita che incarnerà, in conclusione l’uomo sceglie il suo destino benché condizionato da
quel che in vita ha voluto essere ed è stato.  

La dottrina delle idee come “salvezza” dal relativismo sofistico 


La teoria delle idee si oppone alla sofistica dato che, secondo Platone, quest’ultima è una filosofia
negatrice di ogni punto di vista stabile sulle cose e su ogni certezza teorica e pratica. Con Platone si
delinea una filosofia che punta alla restaurazione di certezze assolute (raggiunta grazie alla teoria
delle idee, in quanto le idee hanno validità oggettiva e universale); nel pensiero sofistico e
socratico l’uomo era posto come metro di giudizio, come misura di tutte le cose mentre, invece,
nel platonismo l’idea viene posta come misura di tutte le cose. Anche la conoscenza, che porta al
conseguimento della realtà, assume, con il platonismo, un valore assoluto cessando di essere
relativa all’uomo (sofistica). L’esempio tipico è la matematica, che in virtù delle idee matematiche,
è un metro universale e valido per tutti in qualsiasi circostanza. Anche la morale torna ad avere
una validità assoluta, in quanto le idee valore (il Bene e la Giustizia), essendo indipendenti dalle
opinioni personali, dagli usi e costumi dei popoli, permettono al filosofo di giudicare e discutere in
campo politico ed etico con un linguaggio universale perciò anche il linguaggio torna quindi ad
avere validità universale.
La finalità politica delle idee
L’antirelativismo platonico trova la vera finalità in ambito politico, in quanto il filosofo ritiene che il
relativismo causa disordine e violenza e potrebbe anche portare alla legittimazione della legge del
più forte. Attraverso la dottrina delle idee, Platone vuole offrire agli uomini uno strumento che
consenta loro di uscire dal caos delle opinioni e dei costumi, delineandosi più genericamente come
strumento di battaglia contro il relativismo politico e contro l’anarchia sociale. La conoscenza delle
idee porta a una fondazione di una scienza politica universale che garantisce pace e giustizia tra gli
uomini; questo ragionamente implica la filosofia al potere, come se ne tratta anche nella
Repubblica.

La dottrina dell’amore e della bellezza


La conoscenza stabilisce tra l’uomo e le idee un rapporto che da Platone è definito come amore
(éros), tale rapporto non è puramente intellettuale perché coinvolge l’uomo nella sua totalità
includendo quindi anche la sua volontà. 
Alla teoria dell’amore sono dedicati due dialoghi platonici: il Fedro e il Simposio; quest’ultimo
considera prevalentemente l’oggetto dell’amore, la bellezza e ne determina i gradi gerarchici. 
Letteralmente Simposio significa “banchetto festoso”, oltre ad essere un’occasione goliardica, è un
evento per confrontarsi su alcuni temi; in particolare nel corso del banchetto, a cui partecipano
anche Socrate e Aristofane, i commensali offrono dei racconti attraverso i quali ognuno di loro
cerca di dare una propria opinione in merito all’amore.
Aristofane espone il mito degli “androgini”, cioè degli esseri primitivi composti d’uomo e donna
ma che gli dei, per punizione, avevano diviso in due metà in cui l’una va alla ricerca dell’altra per
unirlesi e ricostruire l’essere primitivo. Questo mito sottolinea uno dei caratteri fondamentali che
l’amore rivela nell’uomo, ovvero l'insufficienza (tale mito giustifica anche l’amore omosessuale). 
Socrate invece interviene proponendo il mito di Eros, appreso da una sacerdotessa di Mantinea,
Diotima; Eros è il figlio Penìa (Povertà) e di Póros (Abbondanza, Ingegno, Espediente), per cui non
è un dio ma, data la sua natura intermedia, un demone. Egli perciò non ha la sapienza ma aspira a
possederla e in questo senso è “filosofo”, soprattutto egli non ha la bellezza e la desidera, in
quanto questa è l’oggetto dell’amore. Tale mito vuole illustrare che l’amore desidera qualcosa che
non ha, ma di cui ha bisogno, quindi l'amore è mancanza.
La bellezza ha diversi gradi, ai quali ci si può sollevare solo attraverso un cammino: in un primo
momento si è attratti dalla bellezza di un bel corpo, poi ci si accorge che la bellezza è uguale in tutti
i corpi e così si passa a desiderare e amare la bellezza corporale nella sua totalità, dopo trova
posto la bellezza dell’anima, la bellezza delle istituzioni e leggi, la bellezza delle scienze e al di
sopra di tutto la bellezza in sé (fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia in sé). 
Ai diversi gradi della bellezza corrispondono altrettante forme di amore e il grado più alto è
l’amore filosofico. 
La conoscenza è un percorso ascendente; il Simposio chiarisce qual è la concezione platonica della
filosofia. 
In Platone la teoria della conoscenza e quella dell’amore si legano, perché conoscere significa
desiderare ciò che non si ha, è una tensione amorosa rappresentata da Eros, che desidera ciò che
non ha. 
Il Fedro
La natura dell’anima
Il mito della biga alata o carro alato, contenuto nel Fedro, si preoccupa di chiarire la natura
dell’anima e manifesta anche la teoria della conoscenza. 
Secondo Platone l’anima è suddivisa in tre parti: razionale, irascibile e concupiscibile o
desiderante; la parte razionale (ha sede nel cervello) è saggia per cui l’anima ragiona e domina gli
istinti/impulsi, la parte irascibile (ha sede nel petto) ha come virtù il coraggio ed è ausiliario del
principio razionale quindi lotta per ciò che la ragione ritiene giusto, mentre la parte concupiscibile
(ha sede nel ventre) è la porzione da cui nascono tutti gli impulsi/istinti. La concezione dell’anima
platonica prevede che la parte razionale sia più sviluppata delle altre due, di modo che l’uomo lotti
per ciò che è giusto e non sia succube/soggiogato dagli istinti. 
Questa concezione si può esprimere attraverso i cavalli alati del mito che trainano il carro, uno
bianco e uno nero e rappresentano, rispettivamente, la parte irascibile (cavallo più obbediente che
tenta di tirare la biga verso l’iperuranio) e la parte concupiscibile (cavallo che spinge verso il basso,
verso il mondo terreno dove prende luogo l’incarnazione delle anime nei corpi); l’auriga
(conducente guerriero) è la parte razionale dell’anima e tenta la mediazione tra i due cavalli. C’è
sempre l’opposizione tra mondo immateriale, soprasensibile (iperuranio) e mondo sensibile. 
Partendo dal presupposto che l’anima staziona in prossimità delle idee per un certo periodo di
tempo, tale è stabilito dalla forza che il cavallo nero ha nel tirare verso il basso e favorire
l’incarnazione dell’anima; si giunge ad affermare che a seconda del tempo che essa passa a
stazionare in contemplazione delle idee ne dipende la saggezza del corpo che l’anima andrà a
vivificare. L’uomo più saggio si consacrerà al culto della sapienza o dell’amore, mentre l’uomo la
cui anima ha visto di meno sarà più alieno dalla ricerca della verità e dalla bellezza. Il mito ci
testimonia che il vero saggio è colui che riesce a non lasciarsi soggiogare completamente dalle
emozioni ma riesce a tenere a freno con coraggio, dirigendosi verso la bellezza e bontà in sé, verso
la contemplazione delle idee.
Platone instaura una corrispondenza tra ciò che accade nell’individuo e ciò che dovrebbe accadere
in uno Stato ideale: l’individuo è giusto quando le tre parti dell’anima sono in equilibrio tra loro e
la parte razionale riesce ad assolvere al suo compito di mediazione; se letto in chiave politica, da
questo concetto nasce l’ideale di giustizia platonica, espresso nella Repubblica (Politeia) nella
quale si elabora un modello di Stato ideale, voluto da Platone in seguito alla condanna a morte di
Socrate, in quanto tale evento fu percepito dal filosofo come un episodio profondamente
ingiusto. 
Il suo Stato ideale doveva essere governato dei filosofi (coloro che possiedono la saggezza e
riescono quindi a destreggiarsi adeguatamente tra parte irascibile e concupiscibile della loro
anima) e doveva essere suddiviso in tre classi: i governanti (filosofi), guerrieri (difenderanno lo
Stato perché muniti di coraggio, si rifanno al cavallo bianco, parte irascibile), lavoratori e
produttori (prevalentemente artigiani e contadini, rifacendosi al cavallo nero, parte
concupiscibile). La virtù della temperanza intesa come governo sulla ragione dei sensi e in generale
come accordo secondo cui l’inferiore deve essere subordinato al superiore, è una virtù comune a
tutte le classi e caratteristica soprattutto della terza.
La giustizia si realizza se ogni cittadino attende a ciò che gli spetta e adempie al proprio compito; la
giustizia per Platone è l’armonia e l’equilibrio tra le parti dell’anima e rispettive virtù, la giustizia è
anche intesa anche come l’accordo dell’individuo con la comunità.
Lo Stato deve per forza essere suddiviso in classi perché in uno Stato vi sono compiti diversi che
devono essere esercitati da individui diversi. Per Platone la suddivisione degli individui in classi non
dipende da un fattore ereditario, ma dipende dalla preponderanza di una parte dell’anima sulle
altre; per spiegare le inclinazioni di ogni classe egli ricorre al mito delle stirpi, secondo cui alcuni
nascono con una natura “aurea”, altri con una natura “argentea” e altri ancora con una natura
“bronzea” o “ferrea”, il metallo viene utilizzato al fine di illustrare una differenza di preziosità,
quindi di qualità. 
Platone ammette una certa mobilità sociale anche se generalmente questo non avviene, perché
solitamente i figli assomigliano ai padri e quindi rimangono nella classe di provenienza. 
La classe dei filosofi deve rispettare alcune caratteristiche imposte affinché lo Stato funzioni bene e
la giustizia si realizzi:
1. eliminazione della proprietà privata, comunanza dei beni e distacco da tutti i beni materiali
e ricchezze, per evitare che i filosofi siano distolti dal perseguimento del bene collettivo; 
2. non c’è il senso di famiglia, in quanto i governanti dovranno avere le donne in comune (le
donne godevano di completa uguaglianza rispetto agli uomini e partecipavano alla vita
dello Stato, come per gli uomini), le unioni matrimoniali erano temporanee e controllate
dallo Stato perché volte alla procreazione di individui eugenetici per migliorare la società; i
bambini non dovranno conoscere i proprio genitori e questi non devono sapere quali
fossero i loro figli in tal modo si potrà vivere come in una grande famiglia (COMUNISMO
PLATONICO).

I  guardiani sono felici?


Platone afferma che la felicità risiede nella giustizia, ossia nell’adempimento individuale del
proprio compito, in vista dell’armonia e benessere dello Stato. I filosofi, proprio perché godono
della conoscenza, sono felici già di per sé e non hanno bisogno di cercare la propria realizzazione
nei beni materiali. 

Le degenerazioni dello Stato


Platone individua nell’aristocrazia (aristoi, migliori e kratos, potere) la forma migliore di governo
per il suo Stato modello, lui individua anche varie degenerazioni di quest’ultimo che corrispondono
poi alle degenerazioni del singolo: 
 timocrazia, governo fondato sull’onore. L’uomo timocratico è ambizioso e amante del
comando e degli onori, diffidente verso i sapienti; 
 oligarchia, governo in mano dei pochi e basato sul censo quindi comandato dai ricchi.
L’uomo ricco è avido, parsimonioso e laborioso; 
 democrazia, nella quale i cittadini sono liberi e a ognuno di essi è concesso di fare quello
che vuole e proprio per tale motivo, il filosofo intravede anche una sorta di anarchia in
quanto l’uomo comune ha dentro di sé la concupiscenza, che lo porta ad abbandonarsi a
desideri smodati e a stimoli;
 tirannide che spesso nasce dall’eccessiva libertà concessa dalla democrazia. Il tiranno è
colui che governa pensando solo al suo tornaconto, si circonda degli individui peggiori ed è
schiavo delle passioni essendo il più infelice degli uomini.
Platone è ostile alla democrazia e il suo progetto di ritrovare un modello aristocratico di
coesistenza sociale nasce per evitare quanto era successo con la democrazia riformata ateniese,
che condannò a morte Socrate. Secondo la concezione aristocratica a reggere le sorti di uno Stato
dovevano esserci i “migliori” che, per Platone, soprattutto per virtù e valori personali erano i
filosofi.
La teoria platonica è una forma di organicismo politico, poiché considera lo Stato come un
organismo, che per funzionare bene, necessita dell'accordo tra le funzioni di tutte le due parti;
inoltre egli ha una visione elitaria della politica, cioè è cosa che riguarda un numero ristretto di
persone poiché questa non è un’arte destinata a tutti, ma solo alla parte “aurea” della città. In
Platone è presente uno statalismo esasperato, ossia una concezione che prevede la
regolamentazione della società, da parte dello Stato, fin nei minimi particolari negando la
possibilità di iniziativa autonoma (da molti visto come un precursore del totalitarismo). 
Lo Stato platonico è una forma di sofocrazia (“governo dei sapienti”) o noocrazia (“governo
dell’intelligenza”). 
Il sistema educativo era molto importante per Platone, in quanto ordinamento politico e
ordinamento educativo, nella Repubblica, erano strettamente congiunti; l’educazione al sapere e
alla virtù riguardava però solo le prime due classi poiché egli pensa che il sapere sia una
prerogativa solo delle classi superiori. Filosofi si poteva diventare compiendo un percorso
educativo compreso di più tappe: fin da giovani i futuri filosofi-governatori studieranno musica e
ginnastica poiché il benessere corporeo doveva andare di pari passo con quello della mente, a
diciotto anni venivano avviati al servizio militare, fra i trenta e cinquanta anni essi si cimenteranno
con la filosofia e faranno tirocinio pratico nelle cariche militari e civili; dopo i cinquant’anni
saranno in grado di gestire lo Stato e svolgere la propria mansione.

I gradi della filosofia


L'educazione al sapere e alla virtù coincide con l’educazione alla filosofia, così nella parte centrale
della Repubblica, Platone delinea il compito proprio del filosofo cioè colui che ama la conoscenza
nella sua totalità.
Platone paragona la conoscenza a una linea che viene divisa in due segmenti (conoscenza sensibile
e conoscenza razionale), i quali vengono a loro volta divisi in altri due segmenti (congettura o
immaginazione e credenza; ragione scientifica e intelligenza filosofica). Ci sono così quattro gradi
della conoscenza, cui corrispondono quattro gradi della realtà:
1. conoscenza sensibile (dóxa, opinione), rispecchia il mondo mutevole e si compone di:
 congettura o immaginazione, che ha per oggetto le ombre o le immagini delle cose
(ciò le impressioni superficiali e slegate degli oggetti);
 credenza, che ha per oggetto le cose sensibili nei loro rapporti scambievoli (cioè la
percezione chiara degli oggetti).
2. conoscenza razionale (episéme, scienza), rispecchia il mondo immutabile delle idee e si
compone di:
 ragione matematica (dianoia o conoscenza dianoetica), che ha per oggetto le idee
matematiche; 
 intelligenza filosofica (noesis o conoscenza noetica), che ha per oggetto le idee
valori.
Platone pensa che la filosofia sia superiore alla ragione matematica poiché le discipline scientifico-
matematiche da un lato trovano ancora appigli nel mondo sensibile; comunque la matematica
riveste un ruolo importante in quanto il passaggio dalla conoscenza sensibile a quella razionale è
stabilito dall’uso delle unità di misura. Le discipline matematiche fondamentali sono: l’aritmetica,
la geometria, l’astronomia e la musica (scienza dell’armonia).
Il mito della caverna
La teoria della conoscenza e dell'educazione viene esemplificata nel racconto della caverna, uno
dei miti più noti della Repubblica.
Nel mito sono presenti degli schiavi incatenati in una caverna sotterranea e costretti a guardare
solo davanti a sé. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di statuette che sporgono al di
sopra di un muricciolo alle spalle dei prigionieri e che raffigurano tutti i generi di cose. Dietro il
muro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette e più in là brilla un fuoco che rende
possibile il proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri scambiano quelle ombre per la sola
realtà esistente; ma se uno di essi riuscisse a liberarsi, voltandosi si accorgerebbe delle statuette e
capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà. Se egli riuscisse in seguito a risalire all’apertura
della caverna, scoprirebbe che la vera realtà non sono nemmeno le statuette, poiché quest’ultime
sono a loro volta imitazioni di cose reali, nutrite e rese visibili dal sole. Dapprima, abbagliato da
tanta luce, non riuscirà a distinguere bene gli oggetti e cercherà di guardarli riflessi nell’acqua. Solo
in un secondo momento li scruterà direttamente. Ma, ancora incapace di volgere gli occhi verso il
sole, guarderà le costellazioni e il firmamento durante la notte. Dopo un po’ sarà in grado di fissare
il sole e ammirare le cose reali.
Se egli tornasse nella caverna, per far partecipare i suoi compagni di ciò che ha visto, i suoi occhi
sarebbero offuscati dall’oscurità e non saprebbero più discernere le ombre: perciò verrebbe deriso
dai compagni che, accusandolo di avere gli occhi “guasti”, continuerebbero a credere e a elogiare
coloro che invece sanno discernere meglio degli altri le ombre all’interno della caverna. Ed infine,
infastiditi dal suo tentativo di scioglierli e di portarli alla luce del sole, lo ucciderebbero.

 la caverna oscura = il nostro mondo;


 gli schiavi incatenati = gli uomini;
 le catene = l’ignoranza e le passioni;
 le ombre delle statuette = l’immagine superficiale delle cose (immaginazione);
 le statuette = le cose del mondo sensibili (credenza);
 il fuoco = il principio grazie al quale si possono conoscere le cose sensibili;
 la liberazione dello schiavo = l’azione della conoscenza e della filosofia;
 il mondo fuori dalla caverna = le idee;
 le immagini delle cose riflesse nell’acqua = le idee matematiche;
 il sole = l’idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibile;
 la contemplazione assorta delle cose e del sole = la filosofia ai suoi massimi livelli; 
 lo schiavo che ritorna nella caverna = il dovere del filosofo di far partecipi gli altri delle
proprie conoscenze; 
 l’ex schiavo che non riesce più a vedere le ombre = il filosofo che per essersi troppo
concentrato sulle idee si è disabituato alle cose; 
 lo schiavo deriso = la sorte di uomo di pensiero, che viene preso per pazzo da coloro che
sono legati ai pregiudizi e ai modi di vita volgari;
 i grandi onori attribuiti a coloro che sanno vedere le ombre = il premio offerto dalla società
ai falsi sapienti; 
 l’uccisione del filosofo = la sorte toccata a Socrate. 

La dottrina platonica dell’arte


Nella Repubblica è inoltre presente una digressione sull’arte, che si conclude con l’esclusione di
tale disciplina dall’educazione dei filosofi. I motivi sono due: uno di tipo metafisico-gnoseologico e
uno di tipo pedagogico-politico.
Per quanto riguarda il primo, Platone ritiene che l’arte sia l’imitazione di un’imitazione, di tre gradi
lontana dal vero, in quanto si limita a riprodurre l’immagine di cose ed eventi naturali che, a loro
volta, sono riproduzioni delle idee. Inoltre l’arte, essendo composta solo di immagini, possiede il
valore conoscitivo più basso. 
Per quanto riguarda il secondo motivo per cui la condanna dell’arte viene sostenuta, Platone
ritiene che essa possa corrompere gli animi, in quanto incatena l’animo alle passioni.
Vi è poi anche un terzo motivo di matrice storico-culturale, infatti Platone voleva eliminare la
poesia, una forma di cultura che aveva improntato l’educazione giovanile prima della nascita della
filosofia e che anche in seguito continuava a rivendicare il suo ruolo formativo.
Platone non include la musica in questa sua imputazione, sia perché possiede aspetti matematici
sia per i suoi aspetti rigorosi da un punto di vista morale; così come non sono condannati i miti.
Mentre quando l’arte è assoggettata alla filosofia allora non è affatto da rigettare, da questo punto
di vista Platone accoglie l’ideale greco della kalokagathía (termine composto di kalós kái agathós,
cioè “bello e buono”), secondo il quale la bellezza è la forma esteriore della bontà, e ciò che è bello
e buono non può che essere vero (concezione oggettiva del bello, secondo cui le cose sono belle in
virtù del loro rapporto con l’idea del bello). La bellezza sensibile è dunque capace di riavvicinare
l’anima alle idee, questo è il presupposto della dottrina dell’amore presente nel Fedro e nel
Simposio.

Il dibattito sulla Repubblica


L’utopia e la tesi dei filosofi al potere
Alcuni studiosi individuano nella Repubblica la presenza delle “utopie”, delle teorie politiche
raffiguranti dei progetti o disegni di città ideali inesistenti e hanno considerato perciò l’opera
platonica come il prodotto di un filosofo “sognatore” e l’hanno quindi denigrata. Altri ancora
hanno esaltato l’utopia platonica considerandola la vera filosofia e l'autentica politica, in quanto
essa, mettendo continuamente di fronte agli occhi degli uomini un modello ideale, li spinge a
correggere le imperfezioni delle realtà storiche reali, stimolando a edificarne di nuove e migliori. 
Alcuni critici hanno criticato la tesi platonica dei filosofi al potere definendola come
un’affermazione di un intellettuale astratto dalla realtà effettiva. Altri invece l’hanno presa sul
serio e discussa; tra quest’ultimi c’è Kant che l’ha rifiutata, in quanto egli crede che il possesso
della forza corrompe inevitabilmente il libero giudizio della regione mentre c’è chi l’ha esaltata,
come De Ruggiero, egli crede che ogni organizzazione pratica è un’organizzazione mentale, e
coloro che posseggono ed esercitano questa virtù e disciplina organizzatrice, cioè i filosofi, sono i
più atti a reggere la cosa pubblica.
“Comunismo” e “statalismo”
Qualcuno ha sottolineato nella Repubblica aspetti comunitari e anti-individualistici, ossia il
concetto di una preminenza del bene collettivo su quello personale, scorgendo un primo abbozzo
dell’ideale socialista. Al contrario, alcuni studiosi di sinistra (tra cui Marx) hanno visto
nell'organicismo platonico nient’altro che un’ideologia aristocratica e classicista.
Altri nell’opera hanno scoperto il prototipo di un modello platonico radicato su dottrine analoghe
a quelle nazifasciste, come ad esempio lo statalismo, la struttura gerarchica della società, il culto
dei capi, la purezza del sangue.
Gli stessi motivi che hanno portato i nazifascisti a esaltare la Repubblica hanno condotto alcuni
filosofi inglesi e americani a vedere in essa lo schema di ogni società illiberale e totalitaria. Karl
Propper considera Platone come il primo e maggiore teorico di una società “chiusa”, egli scorge
poi nell’opera in questione il paradigma di un regime autoritario e dispotico, fondato sulla
premessa di una verità assoluta che viene imposta con la forza anche a coloro che non intendono
riconoscerla (“monolitismo politico”). Muovendosi in una prospettiva analoga Russell è giunto a
considerare come un autentico “scandalo” l’ammirazione intellettuale che l’opera politica di
Platone ha sempre riscosso. 

Il Sofista: la nuova concezione dell’essere e la dialettica


Già nel Parmenide emerge il problema del confronto-scontro con la logica parmenidea (per
Platone, Parmenide era un maestro), che troverà però soluzione nel Sofista con la rinuncia al
principio eleatico (sinonimo di “parmenicidio”). Dato il principio basilare dell’eleatismo: “solo
l’essere è, mentre il non essere non è”, Platone si rende conto che con questa affermazione
decreterebbe la morte della teoria delle idee poiché l'inesistenza assoluta di ogni forma di non
essere pregiudicherebbe inevitabilmente la molteplicità delle idee i loro rapporti reciproci (ogni
idea non essendo l'altra implicherebbe, dal punto di vista parmenideo, l’illogica ammissione del
non essere).

I generi sommi dell’essere e il superamento del nulla


Per spiegare come possano esistere più idee e come esse possano comunicare tra loro, nel Sofista
Platone elabora la teoria dei generi sommi dell’essere, cioè gli attributi fondamentali delle idee e
queste sono cinque: 
1. l’essere, ogni idea è o esiste quindi rientra nel genere dell’essere; 
2. l’identico, ogni idea è identica a se stessa quindi rientra nel genere dell’identico;
3. il diverso, se ogni idea è identica a sé ma distinta dalle altre, significa che essa è diversa da
tutte queste per cui ogni idea rientra anche nel genere del diverso;
4. la quiete, ogni idea può starsene in sé quindi in quiete;
5. il movimento, ogni idea può entrare in rapporto di comunicazione con le altre quindi si
trova in movimento.

L’errore di Parmenide, secondo Platone, è stato quello di confondere il diverso con il nulla infatti,
sempre secondo Platone, l’unico modo in cui può esistere il non essere è quello dell’essere diverso,
che in quanto tale non è il nulla assoluto poiché partecipa anche esso all’essere. 
Con questa dottrina il filosofo può superare anche il problema dell’errore. Gli eristi affermarono
che l’errore non può esistere, in quanto esso implicherebbe un “dire nulla”, il quale, come insegna
Parmenide, non è. Platone ribatte dicendo che l’errore non consiste nel pronunciare il nulla, ma
semplicemente nel dire le cose in modo diverso da come esse effettivamente stanno.

L’essere come possibilità


Platone tentò di giungere ad una ridefinizione del concetto stesso di essere e pervenne, perciò,
alla tesi secondo cui l’essere è possibilità. Affermando ciò Platone voleva sottintendere il concetto
di “relazione”: la sua formula significa che esiste tutto ciò che è capace di entrare in un campo di
relazione qualsiasi. La definizione dell’essere in termini di possibilità-relazione venne applicata
anche alle cose naturali e all’uomo e da qui si può capire che quest’ultima fase della filosofia
platonica rappresenta una generalizzazione rispetto alla prima fase e costituisce il vero
antecedente della filosofia aristotelica. 

La dialettica
La dialettica platonica (cioè la suprema scienza delle idee) si occuperà di stabilire la mappa di
queste relazioni, cioè nel determinare quali idee si connettono e quali no, precisando i vari modi
che possono unire un’idea a un’altra. 
Nella Repubblica la dialettica viene genericamente definita come la scienza delle idee-valori.
Nel Fedro essa viene presentata come la tecnica stessa del discorso filosofico, il quale si svolge
attraverso due momenti:
1. determinazione e definizione di una certa idea; 
2. divisione dell’idea nelle sue varie articolazioni interne.
Nel Sofista si trova l’organica messa a punto del procedimento dialettico nelle sue caratteristiche
salienti. 
L’arte della dialettica parte dal presupposto della possibile comunicazione tra le idee ma Platone
fece molta attenzione a proposito di questo, perché scartò sia la tesi sostenuta dagli eristi
(secondo cui, presupponendo che tutte le idee comunicano tra di loro, “tutte le idee sono
combinabili con tutte le idee”), sia quella sostenuta dai cinici (essi credevano che nessuna idee
fosse in grado di comunicare con le altre e di conseguenza “tutte le idee non sono combinabili con
alcuna altra idea”) edificando perciò una tesi intermedia (sulla quale si fonda la dialettica): “alcune
idee sono combinabili tra loro e altre non lo sono”.
La tecnica della dialettica consisterà nel definire un’idea mediante successive identificazioni e
diversificazioni (quindi tramite tale processo si riusciva anche a distinguere determinate idee
rispetto ad altre determinate idee e non solo ad unificarle), attraverso un processo di tipo
“dicotomico”, che avanza dividendo per due un’idea fino a giungere a un’idea indivisibile.
Sommando tutte le identificazioni e scartando tutte le diversificazioni, si otterrà la definizione
globale dell’idea considerata.
Il processo dicotomico ci porta quindi, attraverso successive divisioni, a un’idea “indivisibile”, che
ci fornisce la definizione “specifica” di ciò che si cerca; tale definizione non è l’unica possibile,
perché scegliendo altre identificazioni iniziali è possibile costruire altre mappe dicotomiche. 
La dialettica di Platone presenta dei caratteri specifici:
 si costituisce su base ipotetica, in quanto sceglie una definizione di partenza e poi la mette
alla prova, vedendo se essa è veramente capace di identificare l’idea ricercata;
 si configura come una ricerca inesauribile, sempre aperta a nuove acquisizioni.

Il Timeo: la visione cosmologica


Nel Timeo viene approfondito il problema cosmologico dell’origine e della formazione
dell’universo.

Il mito del demiurgo


Il demiurgo viene presentato da Platone come una sorta di divino artefice, dotato di intelligenza e
di volontà, che si trova in una posizione intermedia tra le idee e le cose.
All’inizio il mondo era solo un caos informe, una materia spaziale priva di vita che Platone chiama
chóra (luogo, spazio), o anánke (necessità), o anche “madre del mondo”. Il demiurgo, essendo
buono e amante del bene, volle ordinare le cose del mondo a “immagine e somiglianza” delle idee,
comunicando loro una parte della perfezione dei modelli iperuranici (si deve sottolineare che il
demiurgo è solo il “plasmatore” di una materia preesistente, coeterna alle idee). In vista dei suoi
scopi, il demiurgo forni dunque alle cose un’anima del mondo, che vivificasse e ordinasse la
materia, dando forma all’informa e trasformando l’universo in un immenso organismo vivente in
cui si riflettesse l’armonia delle idee.
Per rendere questo mondo ancora più simile al suo modello ideale, che è eterno, il demiurgo
generò anche il tempo, definito da Platone come “immagine mobile dell’eternità”, intendendo
dire che il tempo riproduce nella forma del mutamento l’ordine immutabile dell’eternità. il tempo
è misurato dal movimento degli astri, attraverso i quali si incarna la volontà del demiurgo, che si
serve di essi per formare e governare la scala gerarchica degli enti.
Nonostante la sua buona volontà, l’opera del demiurgo è limitata dalla resistenza “ribelle” della
materia, a cui Platone tende ad attribuire le imperfezioni e i mali del nostro mondo. 
Nel Timeo tutto ciò che esiste di positivo e di armonico è dovuto al demiurgo, all’intelligenza e alle
idee, mentre tutto ciò che esiste di negativo e di disarmonico è dovuto alla materia e alla
necessità.

La visione matematica delle cose


La novità più rilevante del Timeo consiste però nell'avvicinamento al pitagorismo. La struttura del
cosmo plasmato dal demiurgo risulta infatti esplicitamente di tipo matematico: le cose sono
ridotte ai quattro elementi empedoclei (terra, acqua, aria e fuoco), che a loro volta vengono ridotti
a poche figure geometriche essenziali, che a loro volta sono ridotte a numeri. Di conseguenza, il
platonismo del Timeo giunge a interpretare i numeri come schemi strutturali delle cose e a fare
della matematica la “sintassi del mondo”, cioè il codice di interpretazioni di tutto ciò che esiste. 
Platone elabora un proprio modello di spiegazione della natura, subordinando totalmente le cause
meccaniche alle cause finali e basando il modello sulle nozioni di “scopo” e di “bene”.

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