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Vita

• nacque a Stagira nel 384.


• Nel 367 si trasferì ad Atene e iniziò a frequentare l’Accademia di Platone, in cui
rimase fino alla morte del maestro (347 a.C.), a cui rimase legato con un
sentimento di grande rispetto, ma, nello stesso tempo, assunse un atteggiamento
libero.
• Si recò ad Asso, colonia poco lontana dall’antica Troia, dove costituì una piccola
accademia platonica, ma, nello sgtesso tempo, diede vita ad un insegnamento
autonomo.
• Nel 344 si trasferì a Mitilene
• Nel 342, chiamato a Pella, divenne precettore del figlio del re Filippo, il futuro
Alessandro Magno.
• Nel 335  tornò ad Atene e fondò la propria scuola, il Liceo (così chiamato perché
sorgeva nei pressi di un tempietto dedicato ad Apollo Licio, “luminoso”, eroe della
guerra del Peloponneso), che, oltre un edificio e un giardino, comprendeva una
passeggiata, “perìpato”, da cui i suoi allievi presero il nome di peripatetici.
• Alla morte di Alessandro Magno (323) fu costretto a fuggire da Atene a causa
delle sue simpatie per il sovrano macedone (ad Atene era sempre considerato
uno straniero).
• Si rifugiò in Calcide, patria della madre, dove morì di malattia allo stomaco nel
322.
Scritti
•  Gli scritti di Aristotele si distinguono tradizionalmente in essoterici, cioè destinati
al pubblico, ed esoterici, destinati alla scuola (detti anche acromatici).
• Negli scritti essoterici, di cui sono rimasti pochi frammenti, si servì di miti ed altre
forme espositive vivaci e coinvolgenti, tra cui ricordiamo il Protrettico (discorso
esortatorio) in cui si risente dell’insegnamento platonico; e il dialogo “Sulla
filosofia” in cui si evidenzia il primo distacco dal platonismo.
• Gli scritti acromatici cominciarono ad essere conosciuti soltanto nel I secolo d.C.,
quando furono prima ordinati e poi pubblicati da Andronico di Rodi e vennero
suddivisi secondo l’ordine seguente:
• scritti di logica (Organon, cioè “strumento”): Categorie (1 libro);
Sull’interpretazione (1 libro); Analitici primi (2 libri); Analitici secondi (2
libri); Topici (8 libri); Elenchi sofistici
• scritti di filosofia generale, tra cui la celebre 'Metafisica‘ (14 libri in cui espone la
propria concezione delle scienze e della filosofia, le teorie fondamentali
dell’essere, della sostanza e del divenire e la dottrina teologica)
• Le opere scientifiche (scritti di fisica, storia naturale, matematica e psicologia)
• opere di etica e politica, tra cui l''Etica a Nicomaco' e la 'Politica'
• scritti di estetica e teoria del linguaggio, tra cui ricordiamo la 'Retorica' e la
'Poetica'
Il distacco da Platone
Il tempo in cui si trovò a vivere Aristotele è profondamente diverso da quello vissuto dal suo
maestro: ormai la crisi della pòlis era irreversibile sotto la pressione della potenza
macedone.
Il cittadino greco, non più coinvolto nelle faccende del governo, perde la sua passione
per la politica che aveva costituito anche la molla del platonismo.
Emergono nuovi interessi, da quelli scientifici a quelli gnoseologici ed etici, che
costituiranno una delle caratteristiche non soltanto dell’indagine aristotelica, ma
dell’ellenismo in generale.
Platone rappresenta l’età classica, mentre Aristotele l’età ellenistica: mentre Platone
crede nella finalità politica della conoscenza e vede nel filosofo un reggitore e un
legislatore della città, Aristotele vede nella filosofia una conoscenza disinteressata del
reale e il filosofo come un sapiente, uno scienziato-professore, tutto dedito alla
ricerca e all’insegnamento.
Se in Paltone prevale il momento politico-educativo, in Aristotele predomina quello
conoscitivo e scientifico.
Platone guarda il mondo secondo un’ottica verticale e gerarchica, che distingue tra le
realtà “vere” e le “realtà apparenti” e tra le conoscenze “superiori” e le conoscenze
“inferiori”.
Aristotele nella maturità del suo pensiero giunge a guardare mondo in un’ottica
tendenzialmente orizzontale e unitaria, che considera tutte le realtà su un piano di pari
dignità ontologica e tutte le scienze su un piano di pari dignità gnoseologica.
Il progetto filosofico
Aristotele intende salvare la filosofia, ma anche “salvare il mondo” che l’esperienza
comune ci permette di conoscere, “salvare i saperi” che intorno a questo mondo si
sono venuti costituendo, come “molteplicità di scienze in espansione”.
Aristotele ritiene che la filosofia (intesa come “filosofia prima” o “metafisica”) si
differenzi dalle altre scienze perché, anziché prendere in considerazione le varie
facce dell’essere o della realtà, si interroga sull’essere o sulla realtà in
generale, studiando non questa o quella dimensione dell’essere o della
realtà, ma l’essere e la realtà in quanto tali.
La filosofia è la scienza prima, in quanto è la disciplina che studia l’oggetto comune
a tutte le scienze (l’essere) e i principi comuni a tutte le scienze (i principi
dell’essere).
In tal modo la filosofia appare come l’anima unificatrice e organizzatrice delle
scienze, poiché studia il fondamento comune, dunque la “regina delle scienze”,
che studiano l’essere dal punto di vista particolare.
Aristotele pensa che le conoscenze di cui disponiamo intorno al mondo possano
essere organizzate in una “enciclopedia del sapere” in grado di spiegare la
struttura di ognuno dei campi in cui il mondo è diviso: la filosofia ha il compito di
costruire e chiarire queste conoscenze, di ordinarle nel piano generale
dell’enciclopedia, individuare gli elementi concettuali che garantiscono l’unità e la
coerenza del sistema dei saperi e quindi del mondo che essi descrivono.
La filosofia non deve cambiare il mondo né inventare mondi possibili, ma
comprendere e spiegare l’unico mondo esistente: capire le cause e le ragioni per
le quali le cose stanno così come sono, sia nei processi naturali sia in quelli
umani.
Il quadro delle scienze
Aristotele distingue tre gruppi di scienze: teoretiche, pratiche e
poietiche (o produttive).
Le scienze “teoretiche” (dal verbo greco theorèo, “guardo”,
“contemplo”) studiano il necessario (ossia ciò che non può
essere diverso da com’è), hanno come scopo la conoscenza
disinteressata (fini pratici, particolari e concreti) e seguono un
metodo dimostrativo: esse sono la metafisica, la fisica e la
matematica.
Le scienze “pratiche” (da prasso, “faccio”), ovvero l’etica e la
politica, e le scienze “poietiche” (da poièo, “produco” o “creo”),
ovvero le arti e le tecniche, hanno per oggetto il possibile e
seguono un metodo non dimostrativo (valido “per lo più”).
Mentre le scienze pratiche servono a orientare l’agire sia
individuale che collettivo, le scienze poietiche servono a
produrre o a manipolare oggetti e opere d’arte.
La realtà unica
Aristotele parte dal presupposto che vi sia un principio
unificatore del molteplice, ciò che tutte le cose ed eventi
hanno di identico, ovvero il loro essere un “ente”, il loro
essere “qualcosa-che-è”, una determinazione (casa, albero,
stella, Dio, uomo) esistente, un essere determinato, un
individuo. Un ente (o essente, o essere) è pertanto la sintesi tra
una determinazione e il suo esistere.
Ogni conoscenza e attività umana si riferiscono all’ente: il
loro oggetto non è un nulla, ma qualcosa che è. Ma le
comuni conoscenze e attività dell’uomo, comprese quelle di
carattere scientifico e tecnico, non prendono in considerazione
l’ente in quanto ente, ma l’ente in quanto determinato in questo o
quel modo. Ad esempio la matematica studia il numero come
ente (il numero non è un niente, ma qualcosa che è, un ente),
ma del numero non parla, bensì parla del modo con cui questo è
determinato.
La metafisica
Aristotele chiama “filosofia prima” quella che in seguito verrà chiamata
da Andronico di Rodi “metafisica” (letteralmente “dopo”, “oltre” la
fisica), cioè la scienza che studi le strutture profonde della realtà.
La metafisica analizza l’essere in generale, al di là delle sue
determinazioni particolari studiate dalle varie scienze e per questo
motivo viene detta “ontologia”, ovvero “scienza dell’essere”.
Aristotele dà quattro definizioni della metafisica:
-La metafisica “studia le cause e i principi primi”
-La metafisica “studia l’essere in quanto essere”
- la metafisica “studia la sostanza”
-La metafisica “studia Dio e la sostanza immobile”
Secondo Aristotele la scienza o espistéme per eccellenza, la filosofia
prima (prima perché è fondamentale rispetto ad ogni altra), poi
chiamata ontologia o metafisica, non considera l’ente in quanto
determinato in questo o in quel modo, ma l’ente in quanto ente. E per
questo scienza della totalità dell’essere che lo fa essere quello che
è (ad esempio il numero).
L’essere
Il concetto di “essere” è il concetto basilare dell’intera filosofia aristotelica: esso non indica una realtà semplice
e univoca, ma complessa e polivoca, perché “può dirsi in molti sensi” unificati dalla categoria fondamentale
della sostanza.
L’essere non ha un unico significato, né infiniti e instabili significati, ma molteplici significati tra loro analoghi
(cioè somiglianti).
L’analogia è per Aristotele la modalità più opportuna per intendere i diversi tipi di essere (gli enti), che si
presentano in parte uguali e in parte diversi tra loro. Solo così si rende conto del fatto che tutte le cose che
sono esistono nello stesso modo, in quanto tutte possiedono l’essere, ma nello stesso tempo sono diverse
l’uno dall’altra.
L’essere può assumere diversi significati e manifestarsi sotto diversi aspetti: come accidente, come categorie,
come vero, come potenza e atto.
Tutti i significati dell’essere poggiano sulle categorie, che Aristotele intende come le determinazioni
generalissime che definiscono ogni ente.
Egli ne elenca otto:
• - l’essere una certa sostanza
• - possedere una certa qualità
• - l’essere caratterizzato da una certa quantità
• - l’essere in una certa relazione con altri enti
• - l’agire
• - il subire
• - l’essere in un certo luogo
• - l’essere in un certo tempo
A queste categorie Aristotele ne aggiunge altre due:
• - ‘l’avere una certa cosa
• - lo stare in una certa situazione
Dal punto di vista ontologico, le categorie vanno intese come generi supremi9 dell’essere, ovvero come modi
fondamentali in cui la realtà si presenta; dal punto di vista logico, vanno invece intese come modi
fondamentali in cui l’essere si predica delle cose, cioè quei predicati primi in cui rientrano tutti i predicati
possibili
Il principio di non-contraddizione
A stabilire che l’oggetto proprio della metafisica è la sostanza, Aristotele
perviene attraverso un procedimento particolare, affermando che la
metafisica (o filosofia prima) deve auto-costituirsi in analogia con le altre
scienze.
Le varie scienze procedono per “astrazione” (“trarre da”), cioè “spogliando”
i loro oggetti di studio di tutti quei caratteri che non risultino importanti ai
fini dell’indagine.
Allo stesso modo la filosofia, o metafisica, deve ridurre tutti i molteplici
significati della parola “essere” a un significato unico e fondamentale,
giacché il suo compito è quello di considerare l’essere non come
quantità, né come movimento o altro, ma proprio e solo in quanto essere.
Per far questo, si ha bisogno di un principio, o assioma, fondamentale: il
principio di non-contraddizione che può avere due formulazioni.
Una di tipo logico: l’impossibilità di affermare e al tempo stesso negare un
medesimo predicato relativamente a un medesimo soggetto (non si può
contemporaneamente affermare “l’uomo è un animaloe ragionevole” e
“l’uomo non è un animale ragionevole”.)
Una di tipo ontologico: l’impossibilità che un essere determinato sia e
insieme non sia quello che è.
La sostanza
Il termine “sostanza” (dal latino sub-stantia, “stare sotto”, “essenza”) esprime il concetto più
importante e complesso della filosofia di Aristotele.
In generale egli intende ogni individuo concreto (persona, animale, cosa) che è “per sé”, ossia
che ha vita propria e che in quanto tale funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto logico
di predicati.
Secondo questa visione, la sostanza non può considerarsi un’idea in senso platonico, in
quanto ogni ente è sostanza e accidente, per cui ciò che è reale è la sostanza come
individuo, cioè come insieme indivisibile di materia e forma, in quanto si tratta di un
qualcosa di determinato (uomo, pianta, animale, cosa), è sintesi di un elemento particolare
ed uno universale (la materia, indeterminata e informe e la forma, costante e determinata).
Ad esempio, il marmo è una materia informe, suscettibile di assumere aspetti diversi, per
esempio di una statua: è la statua prima di essere scolpita. E la statua è la determinazione di
quella materia informe che è il marmo. La forma è pertanto l’essenza, ciò che dà ad ogni
sostanza la sua identità. Essa non trascende la realtà (come riteneva Platone), di cui è forma,
ma è ad essa immanente, come struttura costitutiva della cosa.
La sostanza è materia (sostanza in senso debole), universale (sostanza in alcun senso),
sinolo (unione di materia e forma, ossia sostanza in senso proprio), forma o essenza (è
sostanza più del sinolo).
L’essenza è ciò senza di cui l’essere non è ciò che è (in senso linguistico è il nome proprio);
l’essere è determinato (altrimenti non sarebbe visibile al pensiero), ma è anche
individualizzato (unico e irripetibile); la sostanza è la “parola-chiave”, il significato primo
dell’essere (ciò che stando sotto sorregge ciò che accade).
La sostanza esiste per sé, non in altro, ed è oggetto della filosofia prima.
L’accidente (participio presente del verbo accidere, “accadere” ) è una caratteristica non
sostanziale, una determinazione causale o fortuita che può sia appartenere sia non appartenere
a un dato soggetto, essendo completamente estranea alla sua essenza sostanziale, senza per
questo mutare la propria natura (per esempio Socrate non cessa di essere un uomo anche se
cambia il proprio colorito o il proprio umore). Accidente può essere anche una qualità di un
soggetto.
Le quattro cause
La teoria della sostanza è strettamente connessa alla dottrina delle quattro cause.
Per Aristotele la conoscenza e la scienza nascono dalla “meraviglia” di fronte all’essere e
consistono nel ricercare la “causa” delle cose. Chiedersi la causa vuol dire chiedersi il
“perché”.
Causa per Aristotele non vuol dire solo azione che produce un cambiamento, ma di cause ve
ne sono quattro, in base all’aspetto preso in considerazione,:
- materiale (è la materia, per es. il marmo della statua),
- formale (è la forma, per es. l’essere statua di quel marmo),
- efficiente o motrice (principio di mutamento, es. l’azione dello scultore sul marmo per tradurlo in
statua)
-finale (lo scopo di un mutamento, es. l’intenzione che muove lo scultore a lavorare il marmo per
realizzare la statua).
Le quattro cause sono tutte specificazioni o articolazioni della sostanza, che è la vera causa
dell’essere.
Comprendere la causa significa comprendere l’articolazione interna di una sostanza, cioè la
ragione per cui una sostanza è quella che è e non può essere o agire in un altro modo.
La causa è la ragione necessaria del suo effetto, il quale, a sua volta, è deducibile da essa.
Negli esseri viventi le ultime tre cause si riducono ad una sola: ad esempio il genitore di un bambino è
nello stesso tempo sua causa efficiente (in quanto è l’agente che lo ha generato), appartiene alla sua
stessa specie (causa formale) ed è il modello adulto (causa finale) verso cui il bambino tende nel suo
sviluppo.
Il divenire
La teoria delle quattro cause si collega al problema del divenire. Per
Aristotele il divenire è irrazionale (come pensava Parmenide) se si
considera come un passaggio dal non essere all’essere e viceversa.
Aristotele parte dal principio che dal nulla non si genera nulla: il
nulla non produce cioè l’essere, altrimenti il nulla sarebbe l’essere.
Il divenire, piuttosto, è il passaggio da un certo tipo di essere a un
altro tipo di essere e l’unica realtà è l’essere, mentre il divenire è
una modalità dell’essere.
Il divenire è movimento. Esistono quattro tipi di movimento:
-Il movimento locale (o traslazione, spostamento di un corpo da
un posto all’altro)
-Il movimento qualitativo ( o alterazione, avviene quando una
sostanza cambia una caratteristica accidentale; per es. Socrate
può diventare da non-musico a musico)
-Il movimento quantitativo (o accrescimento o diminuzione,
cambiamento quantitativo della sostanza; per es. il dimagrimento
di una persona)
-Il movimento sostanziale (generazione o corruzione, o meglio
nascita o morte)
-Nei primi tre la sostanza rimane immutata, mentre nel quarto caso
è la sostanza stessa a cambiare, non una sua proprietà.
Potenza e atto
Il divenire viene spiegato come il passaggio dalla potenza all’atto e l’atto si può
considerare come la perfezione (che Aristotele chiama entelechìa, che in greco significa
“realizzazione” o “perfezione attuata”) di una sostanza, la sua realizzazione,
l’acquisizione, cioè, di una forma sostanziale, la tendenza a trasformare una certa
potenzialità in realtà (a diventare una cosa potrà essere soltanto quella determinata
materia che potenzialmente è in grado di assumere quella determinata forma).
Infatti, il seme, ad esempio, può considerarsi come una determinata pianta in potenza, un
non-essere solo relativamente alla pianta che potrà diventare e possibilità di essere altro
(per esempio nutrimento per un uccello, in tal caso cibo in potenza).
La potenza sta alla materia, come l’atto sta alla forma.
In tal senso l’atto è la forma, l’essenza di una cosa, mentre la potenza ne è solo la
materia. Il passaggio dalla potenza all’atto tende ad uno scopo (finalismo o
teleologismo), cioè la realizzazione di una potenzialità contenuta già nella materia.
Il punto di partenza del divenire di una sostanza sarà la materia in quanto “mancante”,
“priva”, di una forma determinata, mentre il punto di arrivo sarà il raggiungimento di quella
forma.
L’atto cioè viene cronologicamente prima della potenza, giacché è vero che il seme
(potenza) è prima della pianta, ma è anche vero che il seme non può essere derivato se
non da una pianta già in atto.
Dio
Aristotele afferma che tutto ciò che è in moto è mosso necessariamente da altro e quest’altro
poi, se è a sua volto in moto, è necessario che sia mosso da altro ancora. Ma non è possibile
risalire all’infinito, poiché rimarrebbe inspiegato il movimento iniziale.
Pertanto deve per forza esserci un principio assolutamente “primo” e “immobile”, causa iniziale
di ogni movimento possibile.
Aristotele identifica questo primo motore immobile, che deve essere eterno come il suo effetto
(cioè il movimento del mondo), con Dio: preesiste cioè “qualcosa che muove e non è mosso,
eterno, che non è altro se non sostanza e atto”: il Movente (o Motore) Immobile,.
Solo atto, perché se fosse potenza sarebbe soggetto a divenire. Un atto puro, diverso dal
suo essere sostanza, un ente la cui sostanza è il suo essere atto e forma pura (priva di
materia, incorporea e eterna) e in quanto immateriale, è pensiero.
Non un pensiero del mondo che implichi il passaggio dalla potenza all’atto, bensì un pensiero
di se stesso, cioè pura autocoscienza. Dio è pensiero di pensiero (atto e oggetto di
intellezione), perfezione del pensiero, puro piacere, beatitudine, che insieme all’eternità, cioè
all’immutabilità, è connotato di Essere divino.
Dio non è causa efficiente, ma causa finale (oggetto d’amore a cui ogni essere tende)
dell’universo, scopo dell’universo come ciò cui l’azione mira e che guida l’azione. Il Dio muove
il mondo, così come l’oggetto dell’amore, impassibile, muove l’amante. Dio non produce
il mondo, ma impassibile, lo attrae a sé come la terraferma attrae a sé chi va navigando sul
mare.
La metafisica, pertanto, è ontologia in quanto scienza dell’essere in quanto essere
(l’essere è sostanza che è individuo che è synolon di forma e materia) ed è teologia in quanto
scienza dell’essere separato e immobile che è Dio (motore immobile, atto puro, causa finale)
pensiero del pensiero.
Logica
La logica non trova posto nella classificazione delle scienze, poiché essa ha per oggetto la
forma comune di tutte le scienze, cioè il procedimento dimostrativo o le varie modalità di
ragionamento di cui le scienze si valgono.
La logica descrive i principi primi, le regole e i procedimenti usati dalla ragione per
costruire i suoi discorsi. La logica non è una scienza, ma essa è lo strumento utilizzato
dalla scienza, dunque Aristotele lo chiama òrganon, cioè strumento. Tutte le scienze, infatti,
si servono di discorsi, ragionamenti, inferenze e deduzioni, e, ancora prima, si servono di
nomi, verbi e proposizioni, cioè del linguaggio, come strumento di espressione comunicazione
della verità.
In realtà il termine logica è stato usato per la prima volta dagli stoici, Aristotele parlava di
analitica, cioè scienza della dimostrazione. Il termine analitica deriva dal verbo greco analyo,
che significa sciolgo, risolvo nelle sue parti (un senso molto vicino a quello della divisione in
senso platonico).
L’analitica studia il funzionamento del pensiero: i suoi elementi, la sua struttura, le diverse
modalità di svolgimento delle dimostrazioni. Essa è soprattutto una riflessione sul
linguaggio, volta a studiare i termini e i procedimenti logico-argomentativi dei discorsi adottati,
per accertarne eventuali carenze e contraddizioni. Questo discorso è propedeutico cioè
preliminare all’indagine scientifica.
L’Organon aristotelico si articola in:
-Logica del concetto
-Logica della proposizione
-- logica del ragionamento o sillogismo
I concetti
Secondo Aristotele gli oggetti del nostro discorso sono i concetti, che possono essere
disposti lungo una scala gerarchica che va dal più universale al meno universale e
classificati mediante un rapporto di genere e specie, in un sistema che va dai
concetti più generali con “estensione massima” e “comprensione minima”, ai
concetti più particolari, con “estensione minima” e “comprensione massima”, che
coincidono con gli individui.
Ogni concetto è infatti “specie” (cioè il “contenuto”) di un concetto più universale e, nello
stesso tempo, è il “genere” (cioè il contenente) di un concetto meno universale. (per es. il
concetto geometrico del quadrilatero è specie rispetto a quello del poligono e genere
rispetto a quello del quadrato).
I concetti si classificano in dieci scale gerarchiche in cui si trovano:
- Al vertice i generi sommi dell’essere, cioè le categorie, che sono dieci e sono i modi
generalissimi in cui l’essere si predica delle cose nelle proposizioni
- Nel mezzo le sostanze seconde, ovvero i generi e le specie entro cui le sostanze prime
rientrano logicamente (es. nel caso di Socrate, la specie “uomo” è compresa nel genere
“animale”)
- Alla base le sostanze prime, ovvero gli individui concreti in cui rientrano le sostanze prime
che, dal punto di vista ontologico, non possono esistere in altro e dal punto di vista logico
non possono essere usati come predicati di un soggetto, ma solo come oggetto di
predicazione (per es. “Socrate” o “questo cavallo”)
Proposizioni
Le proposizioni sono in Aristotele le espressioni linguistiche di senso compiuto, “giudizi”,
cioè atti mentali con cui uniamo o separiamo determinati concetti nella struttura di base
soggetto-predicato.
Aristotele distingue le proposizioni in vari tipi:
- Secondo la qualità dell’affermazione, possono essere affermative o negative
- Secondo la quantità del soggetto, possono essere universali, particolari o singolari.
Le proposizioni sono legate da precisi rapporti di verità e falsità a secondo che siano tra
loro contrarie, che non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe
false (universale affermativa o universale negativa), sub-contrarie che possono essere
entrambe vere, ma non entrambe false (particolare affermativa e particolare negativa),
contraddittorie che, escludendosi a vicenda, devono essere necessariamente una vera
e l’altra falsa (universale affermativa e particolare negativa; universale negativa e
particolare affermativa) o subalterne (universale affermativa e particolare affermativa;
universale negativa e particolare negativa).
I rapporti esistenti tra le proposizioni universali (affermative o negative) e le proposizioni
particolari (affermative o negative) sono illustrati dal quadrato logico o “quadrato degli
opposti”.
L’attribuzione di un predicato a un soggetto può avvenire tra semplice asserzione (A è B),
possibilità (A è possibile che sia B) e necessità (A è necessario che sia B).
La verità
Secondo Aristotele non si può dire dei termini e dei concetti isolatamente presi
(come “uomo”, “bianco”, “corre”, ecc.) che siano veri o falsi, perché vera o
falsa è solo una qualche combinazione, o sintesi, di essi.
Il vero o il falso nascono solo con una proposizione o un giudizio.
Per cui, secondo Aristotele, a proposito della verità vi sono due teoremi:
- La verità è nel pensiero o nel discorso, non nell’essere o nella cosa
- La misura della verità è l’essere o la cosa, non il pensiero o il discorso. Il vero
consiste nel congiungere ciò che è realmente congiunto e nel disgiungere ciò
che è realmente disgiunto, mentre il falso consistere nel congiungere ciò che
non è realmente congiunto e nel disgiungere ciò che non è realmente
disgiunto.
Secondo Aristotele tra linguaggio, pensiero ed essere una serie di rimandi
necessari: se è vero che le parole del linguaggio sono convenzionali (variano
infatti da una lingua ad un’altra), è altresì vero che esse si riferiscono sempre
ad “affezioni dell’anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le
immagini di oggetti, già identici per tutti”.
Quadrato logico
L’organon
Il sapere che l’organon, lo strumento logico, ci fornisce è puramente
formale, cioè descrive la forma del discorso scientifico, le regole che
deve rispettare per essere considerato valido.
La logica aristotelica non è solo formale, ma ha un fondamento
ontologico, si basa cioè sul presupposto che vi sia una
corrispondenza strettissima tra piano dell’essere e piano del
pensiero.
Se è vero che la logica è propedeutica alla scienza, è vero che essa
ha per oggetto la struttura generale del pensiero, a cui corrisponde
la struttura generale dell’essere, che è oggetto della metafisica.
Ovvero, le forma del pensiero, i procedimenti adottati dalla scienza
(studiati dalla logica) corrispondono alle forme della realtà, cioè a
quei modi dell’essere che sono oggetto peculiare della metafisica.
Mentre i termini del discorso sono scelti per convenzioni (cioè le parole
possono variare fra i diversi gruppi umani) le forme del pensare, i
concetti (o affezioni dell’anima) sono uguali per natura a tutti gli
uomini, in quanto corrispondono alle forme della realtà.
Dialettica e apodittica
Aristotele distingue la logica in due diversi campi: la dialettica (come
scienza dell’argomentazione discorsiva, basata sulle opinioni) che
si basa su enunciazioni espressive né vere né false e l’apodittica
(come scienza della dimostrazione vera) che utilizza il linguaggio
dichiarativo proprio delle scienze teoretiche (fisica, matematica e
filosofia).
La dialettica si fonda sulle premesse probabili che utilizzano l’arte
della persuasione, mentre l’apodittica su premesse vere e giunge
a conclusioni vere.
L’oggetto della scienza della dimostrazione sono i termini (soggetto e
categorie; componenti elementari del discorso), i giudizi (affermativi o
negativi, universali o particolari) ed i sillogismi (che si basano sul
ragionamento deduttivo). I principi del discorso si basano sul
principio fondamentale di non-contraddizione (secondo cui non
possiamo affermare di una data realtà una cosa e il suo contrario), che
si basa a sua volta sul principio di identità (per cui ogni concetto è
uguale a se stesso: per es. A è A) e sul quello del terzo escluso (una
cosa è A o non-A).
Sillogismo
Il ragionamento secondo Aristotele consiste in una serie di proposizioni che hanno tra loro
determinati nessi e che risultano le une cause (antecedenti) delle altre (conseguenti). Quindi noi
ragioniamo quando passiamo dai giudizi, ovvero dalle proposizioni, a proposizioni collegate fra loro
da determinati nessi.
Nell’argomentazione scientifica le preposizioni si presentano secondo una rigorosa concatenazione,
cioè mediante un processo argomentativo nel quale, partendo da determinate premesse, si giunge
necessariamente a determinate conclusioni.
Tale procedimento è chiamato sillogismo (letteralmente “calcolo”, “connessione di concetti”), il
ragionamento per eccellenza: il legame essenziale, sostanziale fra un soggetto e una predicato, fra una
specie e il suo genere, non sempre può essere individuato in modo diretto. Occorre dunque ricavarlo
attraverso un calcolo logico, con il quale da certe premesse risultano necessariamente certe conseguenze.
Ad esempio, se affermiamo che:
a) Ogni animale (termine medio) è mortale (termine maggiore)
b) Ogni uomo (termine minore) è animale (termine medio)
c) Ogni uomo (termine minore) è mortale (termine maggiore).
In questo ragionamento a) rappresenta la premessa maggiore, b) la premessa minore e c) la conclusione. In
questo ragionamento abbiamo termine maggiore (mortale, perché ha un’estensione maggiore) che compare
come predicato nella prima premessa, termine minore (uomo, in quanto ha un’estensione minore) e il termine
medio (animale, che ha un’estensione media) che si trova in entrambe le premesse, una volta come soggetto
e l’altra come predicato.
Il termine maggiore (o “estremo maggiore”) e il termine minore (p “estremo minore”) compaiono anche nella
conclusione, dove si presentano uniti tra loro nelle vesti di soggetto (il minore) e di predicato (il maggiore).
Aristotele distingue quattro tipi principali o figure del sillogismo, a seconda di dove è posizionato il termine
medio.
Le figure del sillogismo
Nella prima figura il termine medio è soggetto nella premessa maggiore e predicato nella premessa
minore; nella seconda figura il termine medio appare come predicato in entrambe le premesse (ad es.
a) ogni dio è immortale, b) nessun uomo è immortale, c) nessun uomo è dio); nella terza figura il termine
medio è soggetto in entrambe le premesse (ad esempio a) ogni uomo è dotato di ragione, b) ogni uomo è
animale, c) qualche animale è dotato di ragione). Da queste tre figure principali, Aristotele giunge, a secondo
della combinazione delle tre proposizioni che costituiscono il sillogismo, ad individuare quattordici modi validi
del sillogismo.
Ma Aristotele distingue il sillogismo valido (in cui le conclusioni si ricavano dalle premesse seguendo
correttamente le regole logiche di inferenza), dal sillogismo vero (che dipende dalle verità delle sue
premesse, per cui se le premesse sono vere, saranno vere anche le conclusioni).
Il sillogismo per eccellenza è quello scientifico, che non solo è formalmente corretto, cioè valido, ma anche
vero perché parte da premesse vere.
Il sillogismo è un ragionamento deduttivo che muove da principi primi (o assiomi), da premesse
universali, cioè con proposizioni intuitivamente vere comuni a più scienze o addirittura a tutte (come
nel caso del principio di non contraddizione) e con le definizioni dei concetti studiati da ogni singola
scienze che si ricavano mediante induzione, per dedurne conseguenze sul piano universale o
particolare.
I principi primi sono appunto identità, non contraddizione e del terzo escluso. Il sillogismo non è uno
strumento euristico, cioè mezzo per trovare nuove connon-contraddizioneoscenze, ma è un tipo di
ragionamento che ha finalità essenzialmente espositive (esplicitano quelle contenute nelle premesse).
Ci sono, inoltre,:
-il sillogismo dialettico (argomentazioni razionali basate su premesse probabili) o debole, perché no arriva a
conclusioni necessarie
-Il sillogismo retorico, o entimèma, che significa letteralmente “pensiero” o “riflessione” (argomentazioni volte a
persuadere basate su premesse probabili e attente alle emozioni dell’interlocutore)
-- il sillogismo eristico (argomentazioni basate su premesse solo apparentemente probabili
Il metodo
La dimostrazione scientifica si basa sul metodo deduttivo,
in quanto per essere valida una scienza deve basarsi su
principi generali che costituiscono le premesse di
procedimenti dimostrativi condotti secondo rigorose
sequenze logico-argomentative. Le dimostrazioni consentono
di collegare gli eventi e i processi della realtà alle loro cause
generali e la scienza è proprio la conoscenza delle cause.
Ma alle premesse universali, utilizzate dal sillogismo, si
giunge comunque attraverso il metodo induttivo, che da
molti casi particolari giunge all’universale, alla forma.
Il processo conoscitivo passa dalle sensazioni alle immagini
contenute nella memoria, sulle immagini opera l’intelletto,
che da esse astrae (cioè inferisce) l’essenza di ogni cosa.
Anche la conoscenza è un passaggio dalla potenza all’atto: il
senso è possibilità di sentire, l’intelletto potenziale è capacità di
intendere, che passa all’atto ad opera dell’intelletto attivo.
La conoscenza
La conoscenza ha fondamento nell’esperienza sensibile, cioè nell’uomo non
vi sono conoscenze antecedenti la sensazione e dunque innate.
L’individuo attraverso i cinque sensi percepisce le qualità di un oggetto, subendone
l’impressione; l’intelletto opera sulle immagini sensibili e libera la forma delle cose
da tutti gli aspetti particolari insieme ai quali essa si manifesta nella percezione e
che sono dettati dalla particolarità degli oggetti percepiti e dalla condizione
soggettiva dell’individuo nel momento del suo percepire.
L’intelletto astrae dai caratteri particolari dell’esperienza per cogliere ciò che
costituisce l’essenza di una data realtà (ciò che essa è), isolandola da tutto il resto e
pensandola nella sua purezza e universalità (procedimento induttivo).
Il processo conoscitivo è passaggio dalla potenza all’atto: le facoltà sensitive
sono potenza (cioè capaci di ricevere le sensazioni), ma le potenzialità
vengono tradotte in atto solo al contatto con l’oggetto esterno.
L’intelletto in potenza può pensare le forme, le essenze, dunque è passivo o
possibile (capace di ricevere, cioè, le forme intellegibili, ovvero le essenze delle
sostanze).
Dunque, la causa del passaggio dalla potenza all’atto della conoscenza
razionale è resa possibile da un intelletto attivo agente, separato dal corpo,
immortale, eterno, potrebbe non appartenere a ciascun uomo, non essere
individuale e coincidere con il primo motore immobile, eternamente in atto.
La fisica
Le sostanze in movimento, che sono percepibili dai sensi, costituiscono l’oggetto della
fisica, definita da Aristotele “filosofia seconda”, perché studia l’essere in movimento, cioè
gli enti che per natura hanno in sé il principio del mutamento (Kinesis, movimento,
mutamento).
Aristotele afferma che il movimento è parte integrante della natura e individua quattro
tipi fondamentali di movimento:
- Sostanziale (generazione e corruzione)
- Qualitativo (mutamento o alterazione)
- Quantitativo (aumento o diminuzione)
- Locale (movimento propriamente detto)
L’universo è una totalità di materia distribuita a strati: al centro c’è la Terra, nella
parte più bassa l’acqua e in alto l’aria e il fuoco (situato più in alto).
Il movimento locale, cioè quello spaziale, può essere:
- - Circolare
- -Dal centro verso l’alto
- -Dall’alto verso il centro
I principi del movimento locale sono i quattro elementi naturali (aria,acqua, terra e
fuoco): acqua e terra tendono a muoversi verso il basso e aria e fuoco verso l’alto.
-
L’universo
Gli astri sono corpi fisici che si muovono con moti circolari, perché composti da
una materia diversa rispetto a quella da cui sono formati i corpi terrestri, cioè
l’etere che non ha pesantezza né leggerezza e non è corruttibile.
L’Universo o cosmo è un’entità piena (non esiste il vuoto), finita (non esiste la
sostanza infinita), è stratificato (la regione terrestre o sub-lunare è costituita dal
centro alla periferia dalla terra, dall’acqua, dall’aria e dal fuoco; la sfera celeste o
sopra-lunare composti dall’etere che comprende la Luna, mercurio, Venere, il
Sole, Marte, Giove, Saturno e le stelle fisse).
L’Universo è eterno, non ha un inizio né una fine e segue un ordine finalistico i cui
fini sono:
- I luoghi naturali, per i corpi inanimati
- L’entelechìa, per i corpi animati, che tendono a raggiungere la loro forma perfetta
Lo spazio non è realtà a se stante, ma il luogo in cui si muovono i corpi, un luogo
immobile.
Il tempo non è il mutamento delle cose, bensì la misura del loro divenire secondo
“il prima e il poi”
L’anima
La psicologia, che studia l’anima, è una parte della fisica.
L’anima è la forma di ogni essere vivente e ha diverse funzioni (dalle
facoltà inferiori proprie delle piante fino alle facoltà della percezione e
dell’intelletto, nous, proprio dell’uomo).
L’anima è il principio di organizzazione corporea e non è sostanza
separata e indipendente dal corpo (alla maniera platonica), ma è
immortale e non si reincarna: il corpo non è un vestito che si può
indossare o cambiare, ma lo strumento di cui l’anima è funzione (non
c’è vista senza occhio, né vita senza corpo).
L’anima svolge tre funzioni vitali:
- vegetativa (propria delle piante, riguarda la riproduzione, la crescita e il
movimento);
- sensitiva (propria degli animali, consente loro di percepire tramite gli
organi di senso e di spostarsi nello spazio fisico);
- intellettiva (propria degli uomini, permette loro di pensare e di volere).
L’uomo è legame fra corpo e anima, per cui le funzioni mentali sono
legate a quelle del corpo e, dunque, sussiste un rapporto di
continuità fra la conoscenza sensibile e quella razionale.
L’etica e la politica
Aristotele innova l’etica e la politica platonica, ponendo a fondamento di entrambe
la natura, che si esplica attraverso facoltà o disposizioni proprie dell’uomo, in
particolare con la ragione.
L’uomo è per natura animale politico, così come per natura l’autorità del marito si
esercita sulla moglie (Aristotele abbandona l’idea platonica dell’uguaglianza dei
sessi) e il padrone è tenuto a comandare e lo schiavo ad obbedire.
L’uomo produce virtù che hanno origine dalle abitudini (ripetuto compimento di
azioni di un determinato tipo). La virtù non è altro che la disposizione a
compiere determinate azioni, sono modi di essere acquisiti (non innati) e
modificabili dall’educazione.
Le virtù sono in potenza e si traducono in atto solo mediante l’esercizio (si diventa
giusti e coraggiosi, compiendo atti giusti e coraggiosi).
Compito della politica è quello di realizzare non un modello utopistico di Stato
(come voleva Platone), ma una forma ordinata di convivenza sociale, capace
di garantire ai cittadini la felicità, qualunque sia la forma costituzionale dello
stato (monarchia, aristocrazia, politìa).
Aristotele comunque manifesta la propria preferenza per la politìa, ovvero un
governo di tipo democratico in cui prevalga la classe media, cioè i cittadini di
modesta fortuna, una via di mezzo fra l’oligarchia e la democrazia.
La virtù
Anche la virtù concerne il fine ultimo dell’esistenza, la felicità, intesa come
bene supremo dell’uomo, da conseguire per sé. La felicità può essere ricercata:
nel piacere (hedonè, vita edonistica), nell’onore (timè, vita politica), nella
contemplazione (theoria, vita contemplativa o toeretica).
Aristotele distingue due tipi di virtù: le virtù dianoetiche (sapienza e saggezza)
che riguardano l’esercizio della sola ragione e le virtù etiche che riguardano
attitudini e disposizioni dell’anima, acquisite mediante l’esercizio e l’educazione e
sono frutto del calcolo della ragione che mira a scegliere un comportamento basato
sul criterio del giusto mezzo fra due eccessi opposti (i comportamenti virtuosi
devono rifuggire dall’eccesso e dal difetto, nel senso che è coraggioso non chi teme
tutto o nemmeno chi non teme nulla ma solo chi sa valutare accortamente i rischi e
li affronta con cognizione di causa).
Alle virtù etiche appartiene la giustizia che può essere di due tipi, commutativa e
distributiva: distribuisce cioè in parti uguali premi e punizioni, oppure lo fa in
misura proporzionale ai meriti di ciascun individuo.
La forma di vita più eccellente, capace di dare felicità, è quella del filosofo,
dell’uomo di studio che esercita con la sapienza la più alta funzione
dell’anima, l’intelligenza, realizzando così un piacere elevato e stabile.
Nella vita contemplativa si trova la felicità.
L’estetica
L’estetica aristotelica rappresenta il primo tentativo di studiare
l’esperienza artistica come oggetto di una specifica
riflessione teorica.
Tre sono i concetti chiave: imitazione, verosimiglianza e
catarsi.
La poesia è imitazione (dell’universale) e narra ciò che può
accadere, invece la storia è descrizione di un fatto accaduto.
La tragedia è una forma di sublimazione delle passioni, in
quanto le trasforma, le armonizza in un superiore equilibrio, nel
quale l’anima prova quasi un compiacimento, si libera dalla pena
che i sentimenti di angoscia e le tensioni e i drammi quotidiani
dell’esistenza determinano in noi.
Anche la poesia educa, portando ciascuno ad intuire che al di là
dei fatti quotidiani e delle vicende della vita si trova un orizzonte
sconfinato di possibilità.

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