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Filosofia

Provare a definire cosa sia la filosofia (dal greco philosophia, letteralmente ‘amore per la sapienza’) in poche linee, è
un’impresa quasi disperata, anche perché di fatto ogni filosofo ne ha dato una definizione diversa, che rispecchiasse in
definitiva il suo modo di intenderla e praticarla.
Anche volendo, perciò, non sarebbe possibile enucleare dei tratti pertinenti comuni a tutte le filosofie che si sono
succedute e accavallate nella storia. Né sarebbe corretto optare per un sistema filosofico preciso e presentarlo per la
filosofia - cioè per ciò che in qualche modo accomunerebbe tutti i diversi sistemi filosofici nel tempo.
Sebbene legata al pensiero astratto e razionale e alla speculazione intellettuale, la filosofia è eminentemente una
pratica di riflessione critica che analizza situazioni ed esperienze, le grandi attività umane (politica, scienza, etica,
arte, letteratura, tecnologia ecc.) e la realtà umana e naturale.
Nell’esercizio del pensiero filosofico l’uomo tende spesso a cogliere o a proporre il senso generale della realtà e
dell’esistenza umana nelle sue molteplici sfaccettature. Non solo, la filosofia è anche uno sguardo sul mondo che mira
ad andare oltre il suo semplice e immediato presentarsi davanti ai nostri occhi - la mera apparenza sensoriale,
l’esperienza diretta - ; anzi, questo sguardo non superficiale, ma più profondo sul mondo circostante, come si è visto,
è un aspetto proprio di tutte le filosofie presocratiche. La filosofia è inoltre educazione alla problematicità, perché,
nascendo dalla “meraviglia”, si sviluppa come attitudine alla ricerca in comune e all’interrogazione: il filosofo sa
sottrarsi alla considerazione abitudinaria delle cose e vede gli aspetti problematici di essi là dove altri scorgono solo
banalità “naturali”.
La filosofia è in sintesi:
• Acquisizione di una mentalità critica, cioè di diffidenza, se non proprio di aperto rifiuto, verso i luoghi comuni;
• Costante ricerca del rigore nel ragionamento e nell’argomentazione;
• Onestà intellettuale, cioè capacità di mettere in discussione sé stessi e le proprie convinzioni nel confronto con gli
altri.

Noi possediamo frammenti di testi e ci arrivano informazioni da alcuni filosofi della filosofia come Diogene Laerzio,
che ci trasmette il pensiero di altri filosofi.
Altre fonti sono i dossografi che ci hanno trasmesso l’opinione che i filosofi avevano su un determinato problema.

Cosmo
Per i filosofi greci delle origini, il cosmo altro non è che il nostro universo, considerato però come un tutto ordinato,
in cui è la nozione di ordine ad essere centrale e non quella di totalità. Il vocabolo greco kòsmos, del resto, significa in
origine ‘ordine’. Si contrappone al termine greco chàos, cioè al disordine primordiale e al vuoto assoluto.

Principio di identità
Una cosa è uguale a sé stessa.

Principio di non-contraddizione
Il principio di non-contraddizione è un principio logico universale che afferma che è impossibile che è una stessa
proprietà aspetti e non spetti alla medesima cosa nello stesso tempo e per il medesimo rispetto. Applicato alla realtà
esso implica che sia impossibile che una medesima cosa, o evento, insieme si dia e non si dia, o che sia e non sia ciò
che è.

Principio
Per i primi pensatori greci il principio (in greco archè) è una sostanza, nel senso di materia primordiale, come l’acqua
o come il numero. Si tratta di una sostanza unica che, in virtù della sua legge di organizzazione interna, può essere
pensata come ciò da cui tutto quello che c’è nel mondo, nella molteplicità delle sue manifestazioni, a preso avvio ed è
in ultima analisi costituito. Il mondo viene in tal modo riportato ad una sola sostanza omogenea in grado di spiegare la
totalità delle cose.
Talete
Le prime fonti (VI sec. a.C.) di filosofia risalgono ad un pensatore di nome Talete di Mileto.
Talete visse tra VII e VI sec. a.C. (624-545) si occupò di astronomia, geometria (per la misurazione dei terreni) ed
economia.
Non ha composto opere filosofiche ma il suo pensiero ci è stato trasmesso sia da filosofi contemporanei che non.
Telete si concentra sull’acqua e aveva ipotizzato l’idea che, oltre ad essere il nutrimento della natura, fosse anche il
supporto della terra. L’acqua vista come PRINCIPIO SPAZIALE e COSTITUTIVO.

Acqua - principio di tutte le cose


Secondo Talete, ciò è riscontrabile nel fatto che il nutrimento di tutti gli esseri animati è umido e dunque l’acqua è
principio di vita. O anche nel fatto che il seme attraverso il quale si realizza il processo attivo degli esseri animati è
umido o liquidò e dunque l’acqua è principio di generazione. L’elemento di novità di questa tesi apparentemente
ingenua consiste nell’essere basata sull’osservazione diretta del mondo naturale e su una catena di deduzioni
conseguenti.

Animismo
L’animismo è la credenza, caratteristica del pensiero mitopoietico - ossia delle visioni del mondo prodotte dal mito -
che attribuisce un principio immateriale e vitali a fenomeni, forze della natura, luoghi e persino oggetti inanimati.

Anassimene
Anassimene, autore della scuola di Talete, scrisse un testo sempre sulla natura, denominato “La physis”.
Vive nel pieno de VI secolo a.C., quello di Anassimene si può vedere come un tentativo di spiegare la realtà
mediando tra le posizioni di Talete e Anassimandro:
• Come Talete riconosce un unico archè all’interno della natura, ossia l’aria.
• L’aria è infinita per estensione e questo ci ricorda il pensiero di Anassimandro.

Aria - principio di tutte le cose


Anassimene sosteneva una tesi generale molto simile a quella di Talete, in quanto identificava i principi tutte le cose
nell’aria, avendo osservato che la respirazione è la funzione principale del vivente e avendo ritenuto che l’intero
universo potesse essere considerato alla stregua di un organismo che respira. Riflettendo su fenomeni come quello
dell’evaporazione dell’acqua, Anassimene e spiegò la natura dei diversi elementi in termini di rarefazione o
condensazione dell’aria: il fuoco e aria massimamente rarefatta; l’acqua e la terra rappresentano due Stati di minore e
maggiore condensazione dell’aria.
L’aria è sia un PRINCIPIO COSTITUTIVO che una LEGGE perché il modo in cui le cose si aggregano e si
disgregano sono stabilite dall’aria stessa.

Ilozoismo
L’ilozoismo è quella concezione tipica dei primi filosofi greci che assume che la materia (in greco hyle) abbia in sé
stessa vita (in greco zoè), sensibilità e movimento, sia cioè animata, senza nessun intervento dei principi esterni. Può
essere vista come una derivazione dell’animismo tipico del pensiero mitopietico.

Anassimandro
Anassimandro, 610 e 546, che fu probabilmente allievo di Talete, fu autore di un opera in prosa, denominata “Sulla/
Nella natura”.
Anassimandro ha una visione particolare della terra: gli appare come un cilindro sospeso in uno spazio celeste in cui
sopra e sotto c’è aria. Pensa anche che gli uomini si siano originati dai pesci, invece che dalle scimmie.

Lo stesso interrogativo rispetto alla physis se lo pone Anassimandro, il quale però non riconosce il principio
costitutivo della natura in elementi riconoscibili.
Àpeiron
Secondo il filosofo della scuola di Mileto, Anassimandro, l’àpeiron è il principio ingenerato e imperituro da cui tutto
deriva e a cui in cui le realtà particolari e definite, le cose (limitate, di contro all’infinità e mancanza di determinazioni
e di limiti), ritornano per dissolversi in esso alla fine di ogni ciclo cosmico, secondo una legge di giustizia universale. Il
termine àpeiron in greco significa letteralmente ‘senza limite’.
Da questa massa indistinta si iniziano a separare i cosiddetti opposti, si crea una scissione. Il conflitto e la separazione
tra i differenti aspetti della vita porta poi all’origine della realtà in cui ci troviamo.
La scissione fa in modo che le cose opposte tra loro si uniscano.
La visione del divenire come movimento cosmico coincide con un’armonizzazione in cui regna la giustizia. Dal punto
di vista politico l’aperion viene visto come una realtà conflittuale, in cui è presente l’egoismo.
Questo ci viene riportato anche da Simplicio (filosofo VI sec. a.C.).

Scuole pitagoriche
Le scuole pitagoriche erano sostanzialmente delle sette religiose.
Avevano una struttura fortemente gerarchica, al cui vertice c’era Pitagora, il cui pensiero non si poteva modificare
(ipse dixit).
Vi erano due tipologie di adepti:
• Acusmatici (acusma - ascoltare) = potevano solamente ascoltare, senza intervenire;
• Matematici (mathema - apprendimento) = potevano intervenire tramite domande, richieste di chiarimento,
commenti.

Caratteri di sette religiose:


• Rito di iniziazione = serie di rituali ai quali gli adetti erano soggetti;
• Orfismo = concezione particolare del mondo dell’Ade, secondo la quale la nostra anima è immateriale e
immortale, perciò senza aspetto corporeo ma spirituale. Così si trova imprigionata in un corpo materiale. La
mortalità letta nella chiave della reincarnazione, che porta la nostra anima a seguire un percorso di purificazione,
infatti gli alunni delle scuole pitagoriche venivano sottoposti a questi riti.

Pitagora
Pitagora nasce in Asia Minore, sull’isola di Samo, intorno al 570 a.C., ma la sua filosofia presenta una forma
compiuta quando lascia la sua terra natia per recarsi in Magna Grecia, in particolare a Crotone, dove fonde una scuola.
Le spolie Pitagoriche si diffonderanno poi in Magna Grecia e avranno un vasto successo nel meridione italiano.
Pitagora, appartenendo anche lui al ceto aristocratico, dovette fuggire da Samo in seguito ad un rovesciamento di
governo democratico.

Numero
Per i pitagorici il numero è l’effettiva sostanza di tutte le cose, così che l’intera realtà è riducibile a numeri ed
esprimibile tramite essi e le loro proprietà. I pitagorici dunque se però spingere molto più avanti rispetto agli altri
filosofi presocratici il processo di generalizzazione e di astrazione relativo al primo principio di tutte le cose, che non
è più riconducibile ad una sostanza particolare, ma è un insieme di entità astratte, puramente intelligibili, che
caratterizzano, fondano e “misurano” l’universo, cioè nei dettano e manifestano i rapporti interni e l’armonia
complessiva.
Per rappresentare visivamente i numeri i greci usavano delle pietruzze colorate (psèphoi) disposte su un piano
secondo un metodo preciso, e questo metodo li portava anche a concepire il pari e il dispari rispettivamente nei
termini dell’illimitato e del limite, cioè, secondo la mentalità greca, dell’imperfetto e del perfetto, perché ciò che è
aperto e privo di confini precisi e vago e quindi non perfettamente realizzato, al contrario di ciò che ha limiti tracciati
chiaramente che lo distinguono da ogni altra cosa. Disponendo impatti le pietruzze su due file i numeri dispari
lasciano sempre come resto un’unità che va come a chiudere la figura, rendendola così “perfetta”.

1. Particolare importanza aveva il numero “10”, perché è la somma dei primi quattro numeri (1+2+3+4), e perché la
sua rappresentazione mediante psephoi dava luogo ad una figura magico-simbolica, la tetraktys. Quest’ultima
aveva un carattere sacro, e gli appartenenti alla setta erano soloti giurare su di essa. Il numero “10” perciò veniva
visto come il numero PERFETTO.
2. L’aritmetica antica non conosceva lo zero, la cui introduzione è di gran lunga più tardi, databile intorno agli inizi
del VII secolo d.C. ad opera di matematici indiani. Questo faceva sì che l’”1” non fosse considerato un numero
vero e proprio ma il principio e l’origine di tutti i numeri, in quanto è un’unità indivisibile che non può essere
preceduta da nulla. Esso non è per i pitagorici in pari né dispari, ma è il parimpari, in quanto se aggiunto ad un
numero pari lo trasforma in dispari e si è aggiunto ad un numero dispari lo trasforma in pari.

I Pitagorici consideravano la terra sferica e avevano presentato un modello astronomico, chiamato Hestìa (Dea del
focolare domestico), riguardo al quale la terra non veniva pensata al centro dell’universo. Infatti, al centro
dell’universo ci sarebbe un fuoco enorme, Hestìa, intorno al quale ruoterebbero l’anti-Terra, la Terra, la Luna, il
Sole, i cinque pianeti allora conosciuti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno) e il cosiddetto “cielo delle stelle
fisse”, l’ultima sfera celeste che contiene tutte le altre.

Eraclito
Nel VI-V secolo a.C., nella vicina città di Efeso, nasce questa figura di filosofo di nome Eraclito, che viene
rappresentato anche da Raffaello nelle stanze Vaticane.
Essendo di stirpe aristocratica, distingueva gli uomini in due macrocategorie:
1. Svegli = i cosiddetti ‘migliori’, coloro che hanno la capacità di andare oltre le apparenze della realtà, non si
fermano a quel che vedono.
2. Dormienti = non sono in grado di andare oltre le apparenze della realtà. A loro il cambiamento appare come un
conflitto tra gli opposti.

Lògos
Il lògos è la nozione più importante all’interno del pensiero di Eraclito. Essa esprime sia l’aspetto oggettivo della
razionalità che governa il mondo, sia quello intersoggettivo dell’elemento comune a tutti gli esseri umani. Nella
filosofia di Eraclito il termine lògos, infatti, sta ad indicare sia il principio dell’unità degli opposti, ossia la norma
razionale che regge il divenire ordinato del cosmo, sia la ragione interna, costitutiva del pensiero e dell’essere
dell’uomo stesso.

Divenire
Il problema del divenire (in greco gignesthai) e forse il primo grande problema della filosofia delle origini. Nasce dalla
difficoltà di pensare il cambiamento in termini coerenti. La sua spiegazione in termini razionali sembra infatti
implicare nozioni contraddittorie. Ciò che diviene deve essere ad un punto la stessa cosa all’inizio e alla fine del
processo di mutamento, perché altrimenti avremo semplicemente due cose distinte, ma anche qualcosa di diverso,
perché altrimenti non potremmo registrare nessun cambiamento e non parleremo di un processo di trasformazione.
Questo mutamento appare configurare la realtà, simboleggiata dal fuoco.

“Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo”
Siamo soggetti ad un cambiamento, però rimaniamo sempre noi stessi.
Fisici pluralisti

Democrito
Democrito, uno dei protagonisti della scuola di fisici pluralisti, non fu propriamente riconosciuto il fondatore
dell’atomismo, che invece viene associato a Leucippo, suo maestro.
Democrito è un contemporaneo di Socrate, 460-370 a.C., però, nonostante questa contemporaneità, Socrate
tratterà l’indagine sull’uomo, mentre Democrito continuerà a ricercate l’archè nella natura.

Democrito anticipa un concetto che sarà poi sostenuto da Galilei, ossia la distinzione tra le proprietà primarie e
secondarie degli oggetti:
• Primarie = proprietà oggettive, misurabili, reali (larghezza, lunghezza, peso);
• Secondarie = soggettive, dipendono dalla nostra capacità di percepirle (tatto, gusto, odorato).

Leucippo
Leucippo era invece originario dalla terra di Mileto, ma si trasferì poi ad Abdera, in Tracia. Nella scuola di Leucippo
si forma Democrito, che fonderà la sua filosofia su un mix tra quella dei fisici monisti e la concezione dell’Essere di
Parmenide.

Materialismo
Il materialismo è una dottrina professata, nell’antichità, dai soli atomisti nella sua forma più radicale. Tale dottrina
reputa che tutta la realtà, ad ogni livello, sia quello più superficiale dei fenomeni naturali, sia quello più profondo degli
elementi ultimi e delle leggi d’ordine, si risolva completamente nella materia, la quale diviene perciò l’unico principio
esplicativo del reale.

Meccanicismo
Il meccanicismo è una delle peculiarità della concezione dell’universo elaborate dagli atomisti. Per essi, infatti, tutto
ciò che esiste è materiale e ogni cosa appartenente al mondo della natura e ogni evento o fenomeno ha una sua precisa
ragion d’essere riconducibile al movimento degli atomi.

Atomo
Gli atomi sono, per Leucippo e Democrito e i loro seguaci, i costituenti ultimi della materia: particelle indivisibili e
invisibili, ma pur sempre dotate di una certa estensione, eterne e immutabili, che si muovono diverse nello spazio
vuoto e si aggregano vorticosamente e si disgregano. Per quanto fatti della medesima indefinito sostanza, ovvero
qualitativamente omogenei, gli atomi risultano diversi gli uni dagli altri per aspetti geometrico-quantitativi legati alla
grandezza, alla forma, alla posizione nello spazio e alle modalità di combinazione.

Gli atomi sono:


• Indivisibili;
• Immutabili;
• Elementi materiali;
• Identici a se stessi;
• Eterni;
• Non nascono e non muoiono.

Differenze tra gli atomi:


⁃ Ognuno ha una forma diversa dall’altro;
⁃ Orientamento = un atomo girato in un senso o nell’altro;
⁃ Posizione nello spazio = consequenzialità degli atomi.
Gli atomi vanno a trasformare gli organismi viventi, e, visto che ogni organismo vivente possiede un anima, anche
l’anima è composta da atomi un più leggeri.
Noi conosciamo la realtà grazie al distacco delle particelle più superficiali delle cose, andando a colpire gli organi di
senso, e l’immagine che si crea viene chiamata éidola.
Questo dimostra come la conoscenza sia qualcosa di OGGETTIVO.
Vuoto
Per gli atomisti il vuoto e lo spazio infinito nel quale si muovono vorticosamente gli atomi, cioè il “pieno” della
materia. La loro concezione del vuoto è simile alla nozione di spazio assoluto elaborata dallo scienziato Isaac Newton,
ovvero una sorta di grande contenitore sempre uguale e immobile senza relazione con alcunché di esterno.

La dimensione politica dell’esistenza umana


La politica si può considerare in filosofia una branca dell’etica (ethos - studia il comportamento dell’uomo), perché
studia le relazioni comunitarie e i modelli organizzativi.
Democrito trattava già queste dimensioni dell’etica e non credeva a una società stratificata per poteri, tutti gli uomini
per Democrito erano uguali. La sua era una visione politica democratica e cosmopolita (kosmo = mondo / polis =
città).
L’educazione (Paideia in greco) ha un valore fondamentale e un frammento importante della Paideia è l’imitazione.
Scuola eleatica - Parmenide e Zenone
Dal nome di Elea (polis della Magna Grecia) prende il nome la scuola eleatica.
È una scuola che pone l’accento, non tanto sulla ricerca di un principio nella natura, ma su un tema che è quello
dell’essere. Ci trasferiamo su un piano totalmente logico.

Ontologia
L’ontologia (dal greco òntos e lògos, letteralmente ‘discorso intorno all’essere’) è quella parte della filosofia che
studia l’essere, ovvero ciò che c’è, dal punto di vista più generale, nonché le sue strutture e proprietà fondamentali.
La grande novità di Parmenide, considerato l’inventore dell’ontologia, consiste nell’aver operato una
generalizzazione e una astrazione sull’oggetto della ricerca filosofica, cioè nell’aver esteso il significato e la portata del
concetto di principio primo (archè), rielaborandolo in senso generale e astratto con l’espressione linguistica “ ciò che
è e non può non essere”. Questa operazione teorica ha permesso di ricondurre ad unità una serie di pratiche di
indagine diverse, perché attribuiva ad esse un unico soggetto comune ed universale: l’Essere precisamente.
L’introduzione del termine “ontologia” nel lessico filosofico è avvenuta in tempi molto più recenti rispetto al periodo
storico in cui sorse la scuola e eleatica. Il termine, infatti, è stato coniato nel XVII secolo e si è imposto nella storia
della filosofia solo a partire dal XVIII secolo, ad opera del filosofo tedesco Christian Wolff.

Parmenide
Parmenide scrive un testo in versi (esametri), che verrà intitolato dai posteri “Sulla Natura”, di cui ci rimangono
soltanto 154 versi, e che ci permettono di ricostruire il pensiero del filosofo.
Questo poema racconta di un viaggio alla ricerca del sapere ed è sostanzialmente diviso in tre parti:
⁃ Proemio = in cui Parmenide immagina di essere al cospetto di una divinità, la quale gli spiega che il sentiero della
verità dipende dalla RAGIONE, mentre il sentiero dell’opinione deriva dall’ESPERIENZA, e come si può decidere
di intraprendere una strada oppure l’altra.
⁃ 1 parte = tratta dell’aletheia, cui possediamo maggior numero di versi;
⁃ 2 parte = tratta della doxa, di cui abbiamo ben poco.
Essere
Per Parmenide l’essere (in greco tó òn, ‘ciò che è’) e ciò che veramente c’è o esiste, il vero oggetto del pensiero
razionale astratto, ovvero quel pensiero che prescinde totalmente dalle testimonianze dei sensi. L’essere è la vera
sostanza del reale, dal quale però non può essere completamente escluso il mondo della natura, che è come l’involucro
cangiante che contiene al suo interno l’essere. Le caratteristiche dell’essere sono ricavate ragionando “per assurdo”,
dato che l’essere non è oggetto di esperienza. Esse sono le seguenti: l’essere è ingenerato, perpetua ed eterno, nel
senso di fuori dal tempo, poiché è tutto e tutto insieme. È unico, indivisibile, immutabile e assolutamente perfetto.

“L’essere è e non può non essere”


“Il non essere non è e non può essere”

Parmenide utilizza lo strumento del pensiero per fornire una verità fondata sul principio di IDENTITÀ e NON
CONTRADDIZIONE.
Attribuisce a questo “essere” determinate caratteristiche:
• Ingenerato = poiché per il principio di non contraddizione l’essere è e non può non essere, quindi per essere
generato prima non doveva esistere, ma questo non è ammissibile;
• Perpetuo (non muore);
• Eterno;
• Unico = ammettere l’esistenza di più esseri implicherebbe la loro reciproca diversità;
• Indivisibile = se fosse composto da parti non sarebbe unitario;
• Immobile e immutabile = non può cambiare;
• Perfetto e finito = completo.
Verità e opinione
Al mondo della verità (in greco alètheia, letteralmente ‘ciò che non si nasconde’) Parmenide contrappone il mondo
dell’apparenza cui conduce la via dell’opinione (in greco dòxa), che è quindi tutta la conoscenza che si può avere nel
mondo dell’apparenza. Questo mondo dell’apparenza, che è poi il mondo della natura indagato dagli altri filosofi
greci, è l’universo delle cose molteplici e varie, del mutamento e del movimento. Sebbene il mondo dei fenomeni
naturali non sia l’essere unico, interno e perfetto, esso non è però neppure il non essere assoluto, perché di
quest’ultimo, che è impossibile, è impossibile per conseguenza pensare e dire alcunché.

Zenone
Zenone, discepolo di Parmenide, vuole dimostrare che Parmenide aveva ragione, quindi la sua è una posizione che
appoggia il pensiero dell’ultimo, ma lo sostiene attraverso una serie di paradossi.
Vuole dimostrare la veridicità di questo pensiero mettendo in luce come i sostenitori della molteplicità e del
movimento utilizzano delle false premesse.

Dimostrazione per assurdo


La dimostrazione per assurdo è un tipo di ragionamento adoperato spesso in geometria, in particolare per provare la
non esistenza di qualcosa.
Il procedimento si articola in tre fasi:
• Si assume per assurdo come vera una tesi che è la negazione della tesi che si vuole dimostrare;
• Si fa derivare da questa tesi, assunta come vera, una contraddizione;
• Una volta che si è dimostrato che l’affermazione di questa tesi conduce a contraddizioni ed errore, indirettamente ci
sarà dimostrato, in virtù del principio del terzo escluso, che è vera la tesi opposta.

Principio del terzo


Il principio del terzo escluso è un principio logico generale, assunto come valido dagli eleati nei loro ragionamenti. Il
principio afferma che due proposizioni di cui una sia la negazione dell’altra sono necessariamente una vera e l’altra
cosa, e che di conseguenza una terza alternativa non è possibile. Applicato alla realtà, questo principio logico implica
che un evento necessariamente si dia o non si dia e che una cosa esista o non esista non essendo possibile una terza
configurazione.

Paradosso
I cosiddetti “paradossi” (dal greco parà, ‘contro’, e dòxa, ‘opinione’) di Zenone sono definibili letteralmente
“ contro-opinioni” in quanto conducono a conclusioni che risultano in aperto contrasto con ciò che è ritenuto vero
dal senso comune. Si tratta in realtà di una serie di dimostrazioni per assurdo tramite le quali Zenone prova a
difendere le tesi principali del suo maestro Parmenide, assumendo per assurdo come vere le tesi opposte a quelle del
suo maestro.

Paradosso “di Achille e la tartaruga”


Contro la divisibilità dell’essere, Zenoni ipotizza una gara di corsa tra una tartaruga e Achille.
Se la tartaruga parte anche solo con una minima distanza di vantaggio su Achille, non potrà mai essere raggiunta,
perché Achille dovrà prima arrivare al punto in cui si trovava inizialmente la tartaruga, che nel frattempo si sarà
spostata in avanti di una piccola quantità di spazio. Per quanto lo scarto tra Achille e la tartaruga tenderà a ridursi,
l’avvicinamento di Achille alla tartaruga procederà per così dire all’infinito, senza che Achille possa mai riuscire a
raggiungere il punto esatto della sua concorrente.

Il paradosso dello stadio


Non si può arrivare da un estremo all’altro di uno stadio, in quanto prima di arrivare in fondo bisogna passare per il
punto intermedio tra un estremità all’altra, e prima ancora per il punto intermedio tra l’estremità di partenza e il primo
punto intermedio, e così via all’infinito.

Paradosso “della freccia”


Contro la possibilità che l’essere sia in movimento, Zenone ipotizza il lancio di una freccia verso un bersaglio.
Secondo il filosofo, la freccia non raggiungerà mai il bersaglio, perché essa sarà ferma in ogni singolo istante di
tempo, e la somma di infiniti istanti di immobilità non può mai dare come risultato uno spostamento nel tempo.
Ciò che appare il movimento ai nostri occhi, in verità, è in quiete. Di conseguenza, il movimento è soltanto una mera
illusione di nostri sensi.

Le masse in uno stadio


L’ impossibilità di pensare in maniera coerente il movimento dimostra come la nozione di movimento sia
contraddittoria, e quindi sia vero come l’essere, ciò che c’è veramente al di là delle apparenze, debba necessariamente
essere immobile e immutabile.
Sofistica
Democrazia
Il termine demokratìa (dal greco dèmos, ‘popolo’, e kratìa, ‘potere’) preso alla lettera può significare sia ‘potere del
popolo’, sia ‘potere dei dèmoi’. In entrambi i casi si fa riferimento a quella particolare forma di governo, sviluppatasi
ad Atene tra i secoli sesto e quarto avanti Cristo, in cui il potere era nelle mani dei cittadini. Essi partecipavano
direttamente alla vita politica della città, senza eleggere i propri rappresentanti e senza che vi fossero limitazioni legate
alla famiglia di origine o alla condizione economica. In particolare, il secondo significato fa riferimento al territorio
dell’attica, la regione di Atene, che era suddiviso in distretti, chiamati appunto dèmoi. All’interno dei dèmoi venivano
sorteggiati i cittadini componenti del consiglio, l’organo principale della Polis: esso gestiva la politica estera,
controllava le finanze pubbliche e proponeva le leggi dell’assemblea, alla quale erano tenuti a partecipare tutti
cittadini residenti nei dèmoi,

Pericle
Pericle, IV sec. a.C., era il rappresentante delle democrazia della polis di Atene, in cui, a rotazione, i cittadini
partecipavano alla vita politica della città.

Sofista
Nell’Atene del V secolo a.C. il termine sofisti (dal greco ‘maestro di retorica’) veniva utilizzato per indicare i maestri
di filosofia e di retorica, coloro i quali facevano del proprio sapere un avere propria professione. I sofisti erano cioè
degli uomini di cultura che mettevano a disposizione dei cittadini le loro competenze, esigendo in cambio il
pagamento dell’insegnamento. Il sapere di cui si dichiaravano competenti non riguardava un sapere particolare ma la
forma di sapere più ammirata e completa per la democrazia ateniese: la virtù politica, ossia la capacità di gestire nel
modo più idoneo i propri interessi privati e la vita della Polis, avendo la meglio nel discussioni in pubblico e nella
competizione politica.

Criterio dell’utile-per-noi
I sofisti ritenevano che in se stesse le cose non sono vere o false, buone o malvagi, giuste o ingiuste, ma solo utili o
dannosi per noi uomini. Pertanto individuarono come criterio guida nelle decisioni umane il criterio dell’utile-per-
noi. Tra le varie possibilità cui si trova scegliere l’individuo è tenuto a seguire quella che è, a seconda delle circostanze
e dei contesti dati, giova maggiormente a lui, o alla sua famiglia, o al suo gruppo sociale, o alla sua comunità, o alla
specie umana in generale.
Inoltre, a giudizio dei sofisti, il criterio dell’utile permette di confrontare tra loro sistemi di pensiero differenti o più
semplicemente insiemi di credenze etiche, religiose, filosofiche.

Relativismo
Il relativismo è una concezione filosofica che riconosce un valore solo parziale e relativo, e quindi non oggettivo e
universale, sia la conoscenza umana, sia ai principi e ai giudizi etici. Per i relativisti i criteri e le norme di valutazione
cambiano non solo d’epoca d’epoca ma da cultura a cultura e persino da individuo a individuo.

Retorica
La retorica può essere definita come l’arte del saper parlare in modo elegante ed efficace. Nella Grecia antica i sofisti
erano considerati i maestri e gli esperti per eccellenza di questa disciplina. La retorica può anche essere definita, però,
come la tecnica o l’abilità che consente di utilizzare tutte le potenzialità del linguaggio per convincere l’interlocutore
della validità della propria tesi e prevalere così nelle discussioni. La retorica non si basa su procedimenti obbligatori,
tipici della dimostrazione logico-matematica, ma sull’abilità comunicativa dell’oratore e sugli effetti linguistici della
sua esposizione. Nel mondo antico la retorica trovava un largo impiego nel campo della contesa politica.

Scetticismo
La forma di scetticismo (dal greco skèpsisi, ‘osservazione’, ‘ricerca’, ‘dubbio’) propria della sofistica è solo una forma
di “umiltà della ragione”, la quale essendo limitata e relativa ad ogni singolo individuo non può addentrarsi nella
ricerca dei principi primi della realtà, andando oltre il mondo dell’esperienza sensibile. La ragione umana si deve
accontentare di indagare e conoscere solo quest’ultimo ambito.
Metafisica
Quantunque il termine “metafisica” (dal greco metà, ‘oltre’, e physis, ‘natura’) non sia utilizzato nella filosofia antica,
la metafisica, come branca della filosofia, trova qui le sue radici, dal momento che i primi pensatori greci, e in
particolare Parmenide, tentarono di individuare e conoscere gli elementi e la struttura ultima e assoluta della realtà
nella sua totalità, aldilà delle sue determinazioni particolari e settoriali, oggetto di studio delle scienze empiriche.

Protagora
Protagora nasce ad Abdera, in Tracia, e scrisse “Le antilogie”, cioè un’opera nella quale venivano elaborate, rispetto
ad una medesima tesi, delle argomentazioni sia a favore che contro, e questo al fine di dimostrare la relatività di
qualsiasi presunta verità.
Sosteneva una forma di agnosticismo, ossia riteneva che non fosse possibile pronunciarsi sull’esistenza degli dei per
via dell’oscurità dell’argomento e della brevità della vita umana.

L’uomo-misura
La tesi più importante enunciata da Protagora, diventato una sorta di moto più intera sofistica, dell’uomo il
protagonista assoluto della realtà, perché le fa il giudice unico, ed esprime anche in forma assai efficace il relativismo
proprio tutta la sofistica. Essa, infatti, nega l’esistenza di verità assolute ed eterne a qualsiasi livello e in qualsiasi
ambito, conoscitivo e morale.
La tesi protagorea dell’uomo-misura comporta la rinuncia all’atteggiamento ingenuamente la lista che aveva
caratterizzato la filosofia greca sino a quel momento. Secondo Protagora, infatti, il criterio di valutazione che deve
guidare al nostro indagine del mondo non è rappresentato dalla realtà esterna, ma da noi uomini. Questa inversione
nel mondo di accostarsi ai problemi filosofici è strettamente connessa con la svolta impressa dalla sofistica, ovvero lo
spostamento dell’oggetto dell’indagine filosofica dal mondo naturale al mondo dell’uomo. Infatti, il mondo dell’uomo
dipende dalle scelte degli uomini e non preesiste ad esse.
La definizione dell’uomo come misura di tutte le cose si presta a tre diverse letture:
1. Sono gli uomini a giudicare la realtà, che consisterebbe in ciò che percepiamo (Platone);
2. Protagora intende riferirsi alle varie culture o civiltà umane; i singoli uomini dunque interpreterebbero la realtà
umana con le categorie tipiche della propria civiltà di appartenenza, ma ogni civiltà offrirebbe una propria visione
della realtà, diversa da quella delle altre culture;
3. L’uomo-misura è la specie umana nel suo insieme, mentre l’espressione “tutte le cose” indicherebbe in questo
caso la realtà naturale; Protagora vorrebbe quindi asserire che se l’intero mondo della natura ci appare un certo
modo, ciò è dovuto alle caratteristiche psico-fisiche della nostra specie.
Socrate
Socrate nasce ad Atene nel 470 e vi muore nel 399, lasciando la sua patria soltanto quattro volte (in un caso per andare
a Corinto e negli altri tre per combattere nelle Guerre del Peloponneso). Morirà, accusato di corruzione nei
confronti dei giovani ed empietà dal tribunale di Atene, bevendo la cicuta (erba velenosa).

È contemporaneo di Democrito e dei sofisti, non fonda nessuna scuola e non compone nessuna opera scritta, quindi
il suo pensiero ci viene riportato da altri autori, in particolare Platone (suo allievo).
Girava per la città andando a discutere con giovani aristocratici che riconoscevano l’importanza del suo pensiero.
Sposerà una donna di nome Santippe, definita bisbetica e petulante, da cui avrà tre figli. Consumava però anche
rapporti omosessuali con i giovani che affascinava, infatti da Platone venne definito, per l’effetto sulla gente, una
torpedine marina.

Noi possediamo quattro fonti:


• Platone = lo descrive e lo esalta nei suoi dialoghi giovanili. Secondo Platone Socrate è un uomo giusto, che vive
secondo un modello di vita del tutto nuovo, ispirato ad ideali filosofici alti, processato e condannato
ingiustamente. Platone quindi si impegna a presentarne soprattutto gli aspetti metodologici del pensiero, ovvero
quelli relativi al come si fa filosofia. Infine al contrario di Aristofane, il Socrate di Platone non è a capo di una
scuola vera e propria, con allievi che pagano in lezioni regolari, come accadeva per i più famosi tra i sofisti, ma
pratica la filosofia come dialogo nelle vie;
• Aristotele = lo definisce come l’inventore della “definizione”, poiché per contrastare i pensieri degli oppositori,
partiva dalle definizioni;
• Senofonte (uno degli alunni di Socrate) = fornisce dati legati alla biografia di Socrate. Il Socrate di Senofonte è,
al contrario di quello di Aristofane, un pensatore che si muove nell’alveo della tradizione e delle credenze
condivise della città, che però declina in una forma più personale e originale. Socrate ne emerge come un
pensatore sostanzialmente rispettoso della tradizione, preoccupato del bene dei suoi concittadini, devoto alla
città e in findo anche alle sue divinità tradizionali;
• Aristofane = testimonia la sua popolarità presso gli ateniesi, ma anche, dato il modo in cui viene tratteggiata la
sua figura, il sostanziale fraintendimento del senso del suo insegnamento. lo descrive in un testo denominato “Le
Nuvole”, in cui Socrate è dipinto come un filosofo naturalista e come un retore di impostazione sofistica, le cui
idee rappresentano un sovvertimento delle basi tradizionali dell’ordine sociale, politico e religioso della città.

Sapere di non sapere


Il sapere di non sapere l’imprescindibile punto di partenza della ricerca filosofica, secondo Socrate, perché solo chi è
“consapevole” della propria ignoranza, e non è perciò nessuna opinione preconcetta che nei vizi e le capacità di
ragionamento di giudizio, sarà spinto ad indagare quel certo argomento, discutendone insieme con gli altri e
confrontandosi con loro.

Ironia
L’ironia (dal greco eironèia, ‘finzione’) è la fase iniziale del metodo socratico, volta a demolire la presunzione di
sapere propria di molti interlocutori, che impedisce loro di incamminarsi con umiltà lungo il sentiero della ricerca del
vero. Quando si parla di ironia socratica, si parla di ironia in senso alquanto diverso da quello col quale il termine viene
utilizzato correttamente, perché in questa fase iniziale Socrate, in realtà, non fa dell’ironia come noi intendiamo, ma
semplicemente di simula la propria ignoranza e finge di apprezzare le risposte e le opinioni dei suoi interlocutori, per
poi mostrare quanto esse siano invece prive di vero valore.

Maieutica
La maieutica (dal greco maièuo, ‘generare’) è l’arte di far partorire le idee di cui Socrate era maestro - secondo il
racconto di Platone.
Essa è l’unico modo efficace e sicuro con il quale giungere al vero sapere per ciò che riguarda il mondo dell’uomo.
Consiste sostanzialmente in una serie incalzante di domande che partono dalla prima e principale, cioè “Che cos’è?”.
Con la maieutica Socrate guida all’interlocutore a trovare la risposta, cioè una risposta presumibilmente valida per
tutti gli uomini e sempre, ma non la conosce in anticipo, in quanto in questa ricerca egli è nella stessa condizione del
suo interlocutore.
Definizione
La definizione di un’entità astratta come la giustizia o il bene o la bellezza - cioè in definitiva i valori e i principi sui
quali il mondo dell’uomo si fonda - è il fine della ricerca socratica. La definizione cui l’indagine filosofica deve mettere
capo, secondo Socrate, deve essere generale, cioè, da una parte, tale che si possa presumere ogni essere razionale
sarebbe d’accordo su di essa e, dall’altra, valida per tutti i casi particolari nei quali potremmo pensare tali entità siano
presenti o in qualche modo coinvolte.

Astrazione
L’astrazione è il metodo che Socrate propone si debba seguire per formulare le definizioni cercate. Una tradizione
lunghissima che risale ad Aristotele ha erroneamente qualificato il metodo socratico come una forma di induzione, ma
le cose non stanno fatto così. L’induzione mira ad estrapolare norme aventi valore universale dallo studio di un certo
numero di casi particolari e non aspira a fatto ad elaborare una definizione generale di qualcosa che ne giustifichi e
spieghi l’uso nei più svariati contesti. Ma questo è esattamente ciò che Socrate si propone di fare - a detta di tutti gli
interpreti.
E questo è esattamente ciò in cui consiste l’astrazione: un procedimento attraverso il quale si ottengono appunto
concetti o idee generali mediante il raffronto di più elementi particolari, isolandone le caratteristiche comuni.

Virtù
La virtù, che noi consideriamo come un complesso e articolato abito comportamentale e invece per Socrate un sapere,
una scienza unitaria, e come tale è insegnabile a tutti - mentre la virtù nel senso corrente del termine non può
propriamente essere insegnata, ma solo “testimoniata” nel proprio comportamento. Per agire al meglio nelle varie
circostanze della vita si deve avere un bagaglio di conoscenze “tecniche” che ci consente di farlo.
La virtù è la scienza del cittadino, nella quale si assomma ogni saggezza di vita e ogni conoscenza che sono in grado di
fare di un uomo un cittadino cioè un abitante perfetto della Polis. Il fine ultimo della ricerca del filosofo e dato
appunto dal possesso della virtù (o saggezza di vita), la quale in ultima istanza è conoscenza del vero universale.

Intellettualismo morale
L’intellettualismo morale è la conseguenza più importante che discende dall’idea della virtù come scienza sostenuta
da Socrate.
Essere virtuosi non dipende dalla volontà delle persone, ma dal loro intelletto: è una questione di comprensione e di
ragionamento, non di buona o cattiva volontà. Socrate non problematizzare il passaggio dal conoscere all’agire: egli
assume che chi sa cosa è bene fare in una certa circostanza non possa non farlo, e più in generale che noi agiamo
sempre in perfetta consonanza con il nostro pensiero. L’etica diviene in questo modo una disciplina teoretica e cessa
di essere una disciplina pratica. Si assume inoltre che il comportamento umano dipende esclusivamente dall’intelletto,
ignorando il ruolo della volontà e delle passioni nel nostro agire.

Eudemonismo/Edonismo
L’eudemonismo è quella dottrina etica, sostenuta da Socrate, che assume la felicità come fine naturale della vita
dell’uomo. Essa è ben diversa dall’edonismo, perché a differenza di quest’ultimo non identifica la felicità con il piacere
immediato del singolo, ma appunto con il possesso del sapere filosofico, nel quale consiste la virtù. Solo la virtù
permette infatti di effettuare una valutazione adeguata dei singoli beni e piaceri, perché sa riconosce dietro ciascuno il
suo legame con il bene universale.

Dèmone (socratico)
Il dèmone (in greco dèmon) è uno dei tre elementi costitutivi della religiosità socratica. Si tratterebbe di una entità
intermedia tra il Dio e gli uomini, che per tutta la vita avrebbe affiancato Socrate guidandolo e consigliando, secondo
il racconto di Senofonte; o solo trattenendolo dal commettere degli errori (cioè delle ingiustizie), secondo Platone.
Completano il quadro le altre due tesi centrali della religiosità di Socrate: la credenza nell’esistenza di una divinità
superiore, unica, della quale idee della religione olimpica non sarebbero che manifestazioni in completi e parziali; e
quella dell’esistenza di un’anima individuale e immortale che sarebbe la sede della vita intellettuale e affettiva
dell’uomo.

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