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Introduzione all’età ellenistica

I periodi della filosofia sono:


- periodo dei naturalisti
- periodo antropologico
- filosofie sistematiche
- età ellenistica

L’età ellenistica corrisponde al periodo seguente alla morte di Alessandro magno nel 323 a.C. . Egli partì in una
spedizione nel 334 a.C ma si concluse con la sua morte precoce. A seguito di questo evento ci furono delle conseguenze
nell’ambito politico, e venne segnata la fine dell’epoca classica e l’inizio di una nuova epoca.

Crollò l'importanza socio-politica della polis, continuando il progetto del padre il quale aveva tentato di sviluppare
un’egemonia macedone sul mondo greco. Egli pianificò una monarchia universale divina che avrebbe dovuto unire
le diverse città ma anche paesi di razze diverse. Purtroppo egli non potè portare a termine il suo progetto a causa della
sua morte precoce, ma a seguito di questa nacquero nuovi regni come quello di Egitto, Siria, Macedonia e Pergamo.
All’interno di questi regni i nuovi monarchi continuarono la concezione monarchica divina con lo scopo di
accentrare nelle loro mani il potere; in questo modo le città-stato persero tutta la loro autonomia e scomparvero
improvvisamente.

Ciò implicò la distruzione del valore caratterizzante della grecia classica, ovvero il modello di Aristotele e Platone.
In quest’epoca si sviluppò la figura del cittadino suddito.
La vita all’interno di uno Stato è diversa da quella all’interno di una città-stato, dove il rapporto cittadino-potere è
più stretto e per questo motivo il cittadino si sente in una posizione tale da intervenire nelle decisioni e occuparsi
della politica. Purtroppo all’interno di un territorio vasto, ciò non avviene in quanto il potere è lontano e
l’individuo non può entrare a farne parte.

Le virtù civili non si esercitano più, quindi acquisiscono più importanza le conoscenze tecniche.

L’amministratore della cosa pubblica, diviene funzionario, soldato e successivamente mercenario.


Il cittadino assume di conseguenza un atteggiamento di disinteresse, neutralità e avversione. E un totale
disinteressamento per la vita politica.

→ Il Cosmopolitismo si sviluppa nel 146 a.C., in Grecia (divenuta una provincia romana). A seguito dello sviluppo di
questa concezione, il mondo intero si considera una città in cui sono inclusi sia uomini che dei, infatti per
cosmopolita si intende un uomo che si sente cittadino del mondo. L’uomo è più libero di fronte a se stesso ma
spesso ricade nell’egoismo. (Cade il legame ritrovato tra la politica e l’etica ritrovata con Aristotele e Platone; con
Aristotele l’etica si basava sul presupposto dell’uomo cittadino e si fondava sulla politica. Durante l’età ellenistica
l’etica si struttura in maniera autonoma, l’uomo si fonda dunque sulla singolarità, su se stesso e non sul rapporto
con la comunità).

In quest’epoca la schiavitù, che dapprima venne accettata da Aristotele, venne contestata dai nuovi filosofi. Epicuro ad
esempio sosteneva che bisognava familiarizzare con gli schiavi e integrarli e permettergli di seguire i suoi
insegnamenti.
Gli stoici invece affermano che che la vera schiavitù è quella dell’ignoranza e che alla libertà del sapere accedono
sia lo schiavo che il sovrano.

Alessandria, luogo dove risedeva la dinastia dei Tolomei, divenne uno dei più importanti centri culturali per mezzo di
Temetrio che riunì all’interno di essa un ingente materiale bibliografico reperibile sia in Grecia sia in Asia.
Nacque così sul modello dell’accademia e del liceo, la biblioteca di Alessandria che contava 700 volumi papiro e
una delle più grandi raccolte dei libri del mondo antico ordinata per titolo e autore (grazie alla biblioteca nasce
l’immagine del libro che usiamo oggi).
Di fianco alla biblioteca sorse un altro importante centro culturale: il museo, tempio delle muse e del sapere. Al suo
interno si trovavano un osservatorio astronomico, un giardino zoologico, un orto botamico e delle sale anatomiche
all’interno delle quali venivano effettuate le dissezioni di cadaveri e animali.
La presenza delle sale anatomiche apportò una notevole crescita della scoperta scientifica
Questo consentì una crescita delle scienze anche se bisogna considerare che gli storici hanno
evidenziato una separazione che rimase tale fino al 1500, con la rivoluzione scientifica, tra la
scienza e la tecnica.
Perchè?
probabilmente, secondo gli storici, perché vi era un’abbondanza di manodopera servile per
cui non c’era stimolo ad inventare congegni o a trovare soluzioni meccaniche o pratiche per
risolvere problemi lavorativi

Marco Terenzio Varrone suddivide gli strumenti con cui si lavorava la terra in 3 categorie:

- Strumenti parlanti ovvero gli schiavi (viene evidenziata l’idea dello schiavo visto come macchina
umana )
- strumenti semi parlanti ovvero i buoi
- strumenti muti ovvero gli utensili

I più importanti centri del mondo ellenistico sono:


- Alessandria
- Roma
- Atene nella quale si afferma la filosofia terapeutica che ha come fine ultimo la guarigione dell’uomo
dalle sue sofferenze e mali.

Epicureismo

La dottrina filosofica dell’epicureismo nasce nell’ultimo periodo del VI s. a. C. ad Atene per mano di Epicuro.

Epicuro nasce a Samo nel 341 a.C. e nel 306 si trasferisce ad Atene dove fonda la scuola del Giardino.
La particolare struttura di questa scuola viene interpretata come una sorta di sfida nei confronti dell’accademia di Platone
e del liceo di Aristotele, per tanto assistiamo ad una rivoluzione spirituale.

La scuola di Epicuro sorge nei sobborghi di Atene, in periferia, è rappresenta in modo perfettamente sintomatico
l’intenzione di Epicuro di allontanarsi dalla vita pubblica cittadina e dal centro di Atene. Questo luogo, a dire da
Epicuro, è ideale perché permette all’uomo di perseguire la propria individualità

Gli scritti appartenenti ad Epicuro giunti fino a noi sono:


- le lettere a Erodoto, Pitocle e Meneceo
- due raccolte di massime e vari frammenti

La dottrina di Epicuro

“La realtà è perfettamente penetrabile e conoscibile dall’intelligenza dell’uomo”


significa che l’uomo è un essere razionale e grazie alla sua ragione può conoscere la realtà;

“Nelle dimensioni del reale c’è spazio per la felicità dell’uomo”


esprime le capacità dell’uomo, essere razionale, di pervenire ad una condizione di felicità;

“La felicità è mancanza di dolore e di turbamento”


che esprime il contrasto con l’idea di felicità di A e P, perché per E vi è un metodo, una procedura particolare
per arrivare alla felicità;

“Per raggiungere questa felicità e questa pace l’uomo ha bisogno solo di sé stesso”
rimarca la differenza con il concetto di felicità di Aristotele (uomo come animale politico) perché Epicuro
crede che l’uomo debba rifugiarsi in sé stesso, attuando un’introspezione;

“Sono inutili la città, le istituzioni, la nobiltà, le ricchezze, tutti i beni e perfino gli dei.
L’uomo è perfettamente autarchico”
Evidenzia che l’uomo percorre una via nuova diventando autarchico: cioè AUTOSUFFICIENTE, autonomo,
capace di perseguire i propri fini senza bisogno degli altri (questo concetto va in contrasto con il pensiero di
Aristotele);!!
Da ciò emerge che gli uomini sono tutti uguali (contrario di Aristotele): tutti possono e hanno il diritto di
raggiungere la felicità. Nel Giardino erano tutti ammessi (anche donne e prostitute).

→ Anche la dottrina di Epicuro è tripartita in LOGICA, FISICA ed ETICA

1. La logica deve elaborare i canoni secondo cui possiamo conoscere la verità, per questo viene detta canonica.
2. La fisica studia la costituzione del reale.
3. L’etica si occupa del fine dell’uomo (felicità) e dei mezzi idonei per raggiungerlo.

La logica e la fisica sono fondamentali per dare fondamento all’etica

La fisica (dottrina di Epicuro)

Secondo il pensiero di Epicuro la fisica consiste una visione generale della realtà nella sua totalità e nei suoi principi
ultimativi. Afferma anche che la realtà è infinita e che è costituita da una moltitudine di corpi o composti o semplici,
ovvero gli atomi i quali sono totalmente indivisibili.

A questo punto può essere fatto un confronto con gli atomisti e possiamo notare che Epicuro riprende in linee generali il
pensiero di Democrito.

Gli atomi possiedono dunque delle caratteristiche essenziali, ma le qualità che essi possiedono secondo gli atomisti
sono diverse da quelle che possiedono secondo Epicuro.
- per gli antichi atomisti: la figura, l’ordine e la posizione;
- per Epicuro: la figura, il peso e la grandezza;

Il pensiero di Epicuro differisce da quello degli atomisti anche per quanto detto sulla concezione del moto originario
degli atomi:
- per gli antichi atomisti: volteggiare in tutte le direzioni;
- per Epicuro: a causa del loro peso essi cadono verso il basso, nell’infinito spazio.
“un continuo precipitare veloce quanto il pensiero uguale per tutti gli atomi”

Epicuro introduce la teoria del clinamen-della declinazione per spiegare il motivo per il quale gli atomi non cadono
seguendo linee parallele. Egli dice che gli atomi possono mutare la linea retta della loro traiettoria in qualsiasi
momento e in qualsiasi punto all’interno dello spazio per un intervallo minimo di tempo, incorrendo
inevitabilmente nello scontro con altri atomi.

Tale teoria viene introdotta, oltre che per ragioni fisiche, anche per motivi etici; infatti gli antichi atomisti ritenevano che
tutto avvenisse per necessità e per mano del fato e del destino, così Epicuro per opporsi a questa concezione
introduce una condizione fisica necessaria per poter parlare di libertà, egli infatti afferma che se il sovrano
assoluto è il destino allora non c’è posto nè per la libertà nè per la vita morale del saggio.
→ Epicuro descrive l’anima come un aggregato di atomi infuocati, aeriformi e ventosi che rappresentano la parte
irrazionale e contraria alle leggi della logica, dell’anima. Essa presenta anche atomi diversi da quelli che costituiscono la
parte razionale e per questo motivo è mortale.

→ Secondo Epicuro gli dei non si occupano nè degli uomini nè del mondo ma vivono beatamente nei loro intermondi
(=spazi che esistono fra un mondo e un altro)
Essi sono numerosissimi, parlano una lingua simile al greco (la lingua dei saggi) e trascorrono la loro vita nella gioia.

La loro esistenza viene dimostrata da Epicuro e afferma che “noi abbiamo di essi una conoscenza evidente e quindi
inoppugnabile (inconfutabile); tale conoscenza non è posseduta da pochi ma da tutti in ogni tempo e luogo. La
conoscenza che di essi abbiamo, come ogni altra conoscenza, non può essere prodotta se non da simulacri o effluvi
che da essi provengono, ed è quindi oggettiva”

Simulacri perchè per lui la conoscenza è fatta grazie al trasporto di atomi e quindi è oggettiva

Etica (dottrina di Epicuro)

Epicuro ritiene che la filosofia sia il mezzo per raggiungere la felicità, che è il fine ultimo di una vita dedicata alla
filosofia, mediante la quale un uomo può liberarsi da ogni desiderio irrequieto e molesto oltre che dalle opinioni
irrazionali irragionevoli e dai turbamenti che deriverebbero dall’uomo da queste ultime.

Epicuro afferma che “se non fossimo turbati dal pensiero delle cose celesti, dalla morte e dal non conoscere limiti dei
dolori e dei desideri, non avremmo bisogno della scienza e della natura”

con ciò intende dire che il compito della filosofia è quello di fornire all'uomo una terapia, un quadrifarmaco, che
permetta il conseguimento della felicità e libererebbe l'uomo dal timore degli dei, della morte, della paura del male
e di non raggiungere il piacere.

Secondo Epicuro gli dei esistono e sono diversi da come si presenta l'uomo: ogni individuo ha nella mente le immagini
e i concetti corrispondenti agli dei che non possono essere venuti dal nulla, ma sono il frutto di effluvi di atomi di
qualità diversa, derivanti dalle stesse divinità, essi hanno la forma umana perché, soltanto quella è degna di un
essere razionale; vivono in un mondo perfetto e ordinato, senza alcuna sofferenza.

Epicuro li colloca in quelli che chiama intermundia, cioè degli spazi tra un pianeta e l'altro, che sono separati dal
mondo degli uomini. Vivono beati e non si occupano delle tristi vicende degli uomini, perché altrimenti non
sarebbero beati e anche perché se lo facessero, secondo Epicuro, sarebbe difficile collegare e motivare la loro
perfezione con la presenza del male nel mondo.

Paradosso di Epicuro
"Dio vuole togliere i mali ma non può, oppure può ma non vuole, oppure non vuole e non può, oppure vuole e può".
-Se vuole ma non può è impotente, perché è inammissibile a Dio;
-se può ma non vuole è invidioso, il che pure è alieno da Dio;
-se non vuole e non può allora è invidioso e impotente e anche questo non può attribuirsi a Dio.
-se vuole e può non ci sarebbe il male
CONCLUSIONE: Dio può e vuole ma poiché esistono i mali, Dio c'è ma non si interessa all'uomo.

Perchè allora gli uomini venerano gli dei? non certo per paura ma soltanto perché li ammirano.

Secondo il filosofo la paura della morte in realtà è la paura del dopo, cioè del giudizio degli dei, delle conseguenze
che potrebbero derivare agli uomini una volta morti. Questa paura è irrazionale perché la vita è caratterizzata
dall'avere sensazioni; temere la morte non ha senso, perché la vita è costitutivamente presenza di qualcosa, mentre
la morte è costitutivamente assenza di vita.

Quando ci siamo noi non c'è la morte e quando la morte sopravviene noi non siamo più, quindi secondo Epicuro, il
corpo e l'anima sono solo un aggregato di atomi, che sono destinati a dissolversi.

Nel momento in cui questo aggregato si dissolve, noi non siamo più e quindi non possiamo aver timore di ciò che
giunge. Quando gli atomi che ci formavano si disgregano, noi non sentiremo l'esito di questa disgregazione.
L'anima è composta di atomi sottili rispetto a quelli del corpo, simili più ad un soffio caldo ma sono pur sempre
particelle materiali che rendono l'anima un composto e non una sostanza semplice.

L'anima non può essere incorporea secondo Epicuro perché se fosse incorporea non potrebbe né agire né patire;
l'anima invece agisce e patisce perché riceve dagli altri corpi effluvi, quindi prova sensazioni, conosce il mondo e
non può essere incorporea. La morte è la perdita di questo soffio caldo dell'anima e la decomposizione atomica, è
semplicemente l'avvio di un processo di disgregazione e di trasformazione degli aggregati atomici.

Epicuro ritiene che il saggio deve semplicemente prendere atto di questo avvicendarsi di realtà con serenità e
pertanto lui ritiene che sia irrazionale aver timore della morte.

E’ irrazionale aver paura del male, poiché rispetto alla sofferenza ci possono essere soltanto due possibilità:

-il dolore è lieve e di breve durata -> può essere tranquillamente sopportabile.

-il dolore è acuto e di lunga durata -> conduce alla morte ma ovviamente noi non ci saremo più e quindi quel
dolore non lo sentiremo.

Anche in questo caso, quindi, bisogna usare correttamente la ragione perché essa ci fa comprendere se si tratta di un
dolore temporaneo o se si tratta di un dolore temporaneo è sopportabile o di un dolore acuto è insopportabile che
ci porterà alla morte.

Non bisogna aver paura di non raggiungere il piacere; in questo caso propone una concezione un po' più complessa delle
cose.

Per Epicuro, Il piacere è il principio e il fine della vita beata, quindi Il piacere è il principio e anche il criterio della
scelta di ogni comportamento perché l'uomo tende al piacere e sfugge al dolore. Pertanto il piacere è il criterio
attraverso cui noi valutiamo ogni comportamento.

Epicuro fa una distinzione tra il piacere stabile o catastematico e il piacere dinamico o in movimento:

-il piacere stabile consiste nella privazione del dolore

-il piacere dinamico consiste nella gioia e nella letizia

QUAL È IL VERO PIACERE? quello stabile, negativo, che non si ricerca ma anzi ci si libera; è negativo perché
consiste nel non soffrire o provare emozioni. Consiste dunque nella ATARASSIA, assenza di turbamento o
nell’APONIA, assenza di dolore fisico

>Ulteriore distinzione tra

- piaceri naturali e necessari che sono strettamente collegati alla vita dell'uomo e alla sua conservazione, perciò sono gli
unici che portano dei benefici, ovvero il mangiare quando si ha fame, il bere quando si ha sete… (esclude l’amore fonte di
turbamento)
- piaceri naturali ma non necessari sono variazioni dei primi: il mangiare adeguatamente e bere bevande raffinate, cioè
bisogni non di prima necessità, che migliorano le qualità di vita.

- piaceri non naturali e non necessari ovvero i piaceri vani legate alle opinioni degli uomini non necessarie; voglia di
diventare ricchi, famosi...

Piaceri da soddisfare: il gruppo che prevede l'eliminazione del dolore, che fa sì che il piacere nemmeno cresce, si
raggiunge quindi un equilibrio, la stessa natura pone un limite ai nostri piaceri. Questo limite non vi è nel secondo
gruppo.
Insegnamento epicureismo: ridurre i desideri all’essenziale.
Afferma che per procurarci quei piaceri noi bastiamo a noi stessi (autarchia).

>AMICIZIA
“Di tutti i beni i beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita, il più grande è l'acquisto dell'amicizia”
secondo il suo pensiero l'amicizia nasce dall'utile, ma è un bene per sé stessi. Infatti l'amico non è colui che cerca
sempre questa utilità, ma non si considera neppure chi non congiunge mai quest'utile all'amicizia, poiché nel primo
caso si considera questo sentimento come un vantaggio, nel secondo, distrugge la speranza d'aiuto. All'interno di un
rapporto di amicizia non è lecito aspettarsi esclusivamente l'utile, ma la speranza di averne un beneficio è naturale.

> POLITICA E STATO


Per Epicuro, l'uomo non è un animale politico come diceva Aristotele, secondo lui infatti il saggio dovrà restare
lontano dalla vita pubblica dello Stato poiché è fonte di turbamento, egli dice “Vivi nascosto” e “Non c'è alcuna
società fra gli uomini e ciascuno pensa solo a sé stesso”: ciò riflette la crisi dell'etica della città-stato che caratterizza l'età
ellenistica.
Nonostante la presenza di un distacco dalla vita politica, non bisogna sottrarsi pienamente ad un patto sociale che
lega gli uomini tra loro. Lo stato è necessario perchè obbliga ogni individuo a non danneggiarsi a vicenda e impone
le condizioni per una convivenza civile e pacifica. L'armonia e l'equilibrio dello Stato permette al saggio di
attendere alle sue pratiche. Esso quindi è importante e fondato sulla ragione

Scetticismo

Lo scetticismo è un atteggiamento filosofico secondo il quale l’uomo non può giungere alla verità delle cose e che
afferma che la più alta forma di intelligenza consiste nel capacitarsi di non essere in grado di poter definire la
verità delle cose.

Tale atteggiamento assume una grande importanza in quanto ogni filosofo dovrebbe applicare la ragione in modo scettico.

Pirrone fonda questa corrente subito dopo esser venuto a contatto con alcuni saggi dell’India, chiamati gimno sofisti.
Essi andavano in giro seminudi incuranti di ciò che accadeva intorno a loro, così speravano di insegnare l’imperturbabilità
del sapiente di fronte agli avvenimenti della realtà.

Numerosi degli insegnamenti sullo scetticismo sono stati incisi dai sofisti tra cui Gorgia.

L’uomo ha la capacità di elaborare diverse visioni del mondo e della realtà che spesso si contrastano l'un l’altra, gli
scettici restano stupiti da questa dote che gli porta ad ammettere che non tutte le dottrine possono essere ritenute valide e
che l’uomo non è dunque in grado di dare una soluzione alla descrizione della realtà evidenziando così la sua incapacità
nel raggiungimento della verità.
(“Scettici” in greco skeptics: ricerca, dubbio, indagine).

Secondo il pensiero degli scettici lo spirito dell’uomo è irrequieto per tanto egli può raggiungere la pace interiore solo
prendendo consapevolezza del fatto che non tutte le dottrine metafisiche possono essere ritenute valide.
Secondo gli scettici in realtà si nega non la verità dei fenomeni ma soltanto le teorie sui fenomeni.
Infatti molto spesso si banalizza interpretando lo scetticismo come la dottrina che mette in discussione la verità di tutto
ciò che esiste e che, così facendo,nega la validità di qualsiasi criterio attraverso il quale gestire il nostro comportamento.
Infatti se l’uomo non è in grado di comprendere la verità non sarà in grado di porre in essere un comportamento adeguato
a quella che ritiene essere la verità.

Diogene afferma: “Noi ci opponiamo esclusivamente all’indagine relativa alle cose non evidenti, che soggiacciono ai
fenomeni.”
Ciò significa che gli scettici si oppongono non al fenomeno ( = apparizione di qualcosa che indubbiamente è) che appare
ma all’indagine relativa alle cose non evidenti.
Bisogna quindi rifiutare qualunque concezione/rappresentazione della realtà che si fermi all’apparente descrizione del
fenomeno
Gli scettici non criticano il fenomeno ma il COME dei fenomeni ovvero il fatto che l'uomo possa arrivare alla loro
conoscenza attraverso le teorie che la ragione gli suggerisce.

esempio: se esistono giorno e notte noi dobbiamo accettare che è un fenomeno che ci si presenta davanti ma non
possiamo stabilire da questo fenomeno la causa ultima dell’universo Diogene afferma: “Ammettiamo di riconoscere il
giorno e il fatto che viviamo oltre ai molti fenomeni della vita quoti ma per quel che riguarda le salde informazioni dei
dogmatici che sostengono di avere definitivamente compreso, noi sospendiamo il giudizio perché per noi rimangono
oscure ed incerte e ci limitiamo a conoscere solo ciò che proviamo o sentiamo. Ammettiamo di vedere e riconosciamo di
avere questo determinato pensiero, ma come vediamo? come pensiamo? noi non sappiamo affatto.”
Scetticismo: IPOTESI della descrizione del fenomeno che però deve essere confermata, l’indagine resta aperta “Per quel
che riguarda la nostra sentenza, nulla io definisco essimili esse non hanno per noi valore dogmatico quando diciamo di
non definire nulla, nemmeno questo noi definiamo” In realtà lo scettico è una persona che mantiene la mente aperta,
che dubita, che è consapevole di non poter archiviare una volta per tutte la descrizione della realtà e per l’appunto
non vuole definire nulla, non vuole definire neanche quel definire nulla. Restando aperto alla considerazione della
realtà.

Lo scetticismo è una scuola che si va diffondendo in Grecia e si identifica con Pirrone (nato nel 365 a.c) che fondò una
scuola nel peloponneso che non durò moltissimo. Stimava molto Omero e ripeteva molti suoi versi che si rifanno alla
precarietà della vita e alla fragilità della parola che non può fissare la realtà. Ripeteva sempre “Quale delle foglie la
stirpe? tale anche quella degli uomini“ “volubile è dei mortali la lingua, sono molti i discorsi”
Pirrone non scrisse nulla e le sue concezioni sono state tramandate in primis da Diogene nell’Aerzio e altri frammenti di
un suo scolaro Timone di Fliunte che ne espose la dottrina.
Non ci sono cose belle o brutte, buone o cattive, ma noi decidiamo il falso e il vero, il bello e il brutto ecc soltanto
per convenzione, relativamente al nostro sguardo; le nostre abitudini, i costumi e le tradizioni definiscono una cosa
bella, brutta, eccetera l’uomo e la realtà sono inafferrabili.

Secondo Pirrone l’atteggiamento giusto da adottare è la sospensione del giudizio che in greco di dice epochè, grazie a
questo tradurre in silenzio (afasia) il giudizio sulle cose si potrà raggiungere l'ATARASSIA, l’imperturbabilità, la
serenità della mente.

Il saggio, riconoscendo che non esiste verità e quindi neanche la possibilità di raggiungere neanche con sforzo la verità,
inizia a guardare anche in modo di superiorità i metafisici che tentano di arrivare ad una verità attraverso la polemica su
questioni che in realtà sono INDECIDIBILI, cioè non si può arrivare alla conclusione atteggiamento di distacco

Timone afferma “L’uomo per essere felice deve sapere tre cose: quale sia la natura delle cose, quale atteggiamento si
debba assumere rispetto ad esso e quali conseguenze risultino da questo atteggiamento; conoscere queste 3 cose è
impossibile, quindi l'unico atteggiamento possibile è quello di non pronunciarsi raggiungendo l’afasia” fa parte dello
scetticismo anche Carneade (nominato nei promessi sposi da don abbondio).

Cinismo
Il fondatore della dottrina fu Antistene però questa filosofia fu diffusa da Diogene di Sinope che diventò il simbolo di
questa corrente
! “Cerco l’uomo” pronunciava questa frase camminando con una lanterna accesa in pieno giorno nei luoghi più affollati.
Frase provocatorio che esprime il suo programma. Cerca quell’uomo che riesca a trovare una sua autenticità, una natura
genuina e a questa natura si conformi e rispettandola riesca ad essere felice.
Non ha lasciato scritti e di lui sono state riportate solo delle riflessioni.
Il suo cinismo è una filosofia anti-culturale, il che significa che si pone contro le convenzioni della società e contro la
metafisica, che venne costruita nelle filosofie sistematiche (P e A).

Teofrasto racconta che diogene una volta vide un topo correre senza meta, non cercava un luogo per dormire né aveva
paura delle tenebre nè desiderava alcunché di ciò che si ritiene comunemente desiderabile e così escogitò un rimedio alle
sue difficoltà.

Allo stesso modo il cinico dovrebbe vivere senza meta, senza gli obiettivi che la società impone all’uomo e sembrano
necessaria, senza una fissa dimora e senza il conforto delle comodità che di solito la società e il progresso offrono
all’uomo.

Diogene mise in pratica questa teoria anticonformista e anticonvenzionale


Egli scelse come casa una botte, il che è il simbolo di quanto poco basti all’uomo per vivere.
! Liberarsi dalle comodità che la società impone come necessarie è il simbolo della LIBERTÀ
più ci si libera dal superfluo e più si è liberi

-Libertà indicata come libertà di parola ovvero parresia


che arrivo alla sfrontatezza, quasi arroganza, soprattutto nei confronti del potere
-Libertà come libertà di azione ovvero anaideia
ma i cinici si spinsero oltre le normali convenzioni fino alla LICENZA, ovvero la contestazione delle tradizioni greche
eccedendo a volte
Da questo non mantenere le misura nelle azioni deriva il significato negativo che viene attribuito al termine cinico

Secondo diogene questo metodo di essere anticonformista e anticonvenzionale poteva condurre alla LIBERTÀ e alla
VIRTÙ;
-come si attuava nel comportamento questa libertà? attraverso l’ESERCIZIO e la FATICA
che secondo lui erano due modalità che permettevano di temprare il fisico e lo spirito alle fatiche imposte dalla natura, e
abituavano l’uomo al dominio dei piaceri;
! il dominio dei piaceri sarebbe poi diventato disprezzo dei piaceri stessi e dunque libertà

Il disprezzo dei piaceri era già stato introdotto da Antistene perché “il piacere rammollisce il fisico, condiziona lo spirito e
mette in pericolo la libertà rendendo l’uomo schiavo delle cose”

I cinici devono raggiungere l’ AUTARCHIA cioè l’apatia e l’indifferenza di fronte a tutto

! ANEDDOTO che rappresenta questa autarchia, questo bastare a stessi, essere autosufficienti, indifferenza verso il
necessario della società.

Mentre D prendeva il sole sopraggiunse Alessandro Magno, ritenuto l’uomo più potente sulla terra e un grande
ammiratore di diogene. Gli disse “chiedimi quello che vuoi e te lo darò” e lui rispose “Non farmi ombra, ridammi il mio
sole”

Evidenzia come D non se ne faceva nulla della potenza di A.M. poiché gli bastava il sole, qualcosa a disposizione di tutti,
naturale.
Quindi per D la felicità si ottiene in modo individuale, cioè senza rincorrere i beni che vengono dall’esterno ma
riconoscendo i beni che derivano dall’interno.

Il termine “cinismo” deriva dal fatto che D per definire se stesso utilizzò il termine “cane” che in greco si dice “kinos” e
si vantava di questo epiteto, soprattutto quando gli altri credevano di disprezzarlo chiamandolo così.
Dice che l’ha scelto perché un cane
- scodinzola verso chi gli da qualcosa
- abbaio a chi non mi da niente
- mordo i ribaldi

In suo onore fu eretta una colonna che sorreggeva un cane di marmo con la scritta “anche il bronzo cede nel tempo e
invecchia ma la tua gloria rimarrà intatta per l’eternità poichè tu solo insegnasti ai mortali la dottrina che la vita basta a se
stessa e additasti la via più facile da vivere.

Introduzione allo stoicismo

Lo stoicismo nasce intorno al IV secolo a.c. ad Atene;


Il fondatore è Zenone che si recò ad Atene perché era nato nell'isola di Cipro poiché attratto, appunto, dalla filosofia. Qui
si rapporta qui con altri filosofi e condivise alcuni principi di Eraclito.
Riteneva che la filosofia fosse l’arte del vivere che già Epicuro aveva rivendicato.
Ma se Zenone condivideva questo concetto di filosofia come esercizio per acquisire la felicità, non condivideva le
soluzioni proposte da Epicuro, anzi le polemizzò...
Pensava che l'idea di riduzione dell’uomo e del mondo ad un aggregato di atomi fosse da debellare e non pensava
che il bene morale si identificasse nel piacere, piacere oggetto di calcolo.
Anche Zenone negava la metafisica, la trascendenza, e la sua filosofia quindi poteva essere accostata a quella
epicurea.

Non essendo cittadino di Atene non poteva comprare un edificio e per questo le sue lezioni si tenevano in un portico
dipinto, e la scuola prese il nome di STOA’ e gli allievi “stoici” o “quelli del portico”
C'era una differenza con il giardino di Epicuro perché qui era ammessa la critica e il confronto anche riguardo le
tesi del fondatore e proprio per questo motivo molte cose furono oggetto di ripensamento mentre la filosofia di
Epicuro rimase immutata.
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quella di Zenone fu soggetta a cambiamenti e quindi distinguiamo 3 periodi della Stoà
- L'antica stoà in cui la filos viene sistemata da Zenone
- Media stoà
- Stoà romana / nuova Stoà che si situa nell età cristiana e in cui la dottrina diventa soprattutto meditazione
morale assumendo anche toni religiosi

Zenone ritiene che la filosofia debba essere tripartita (riprende l'accademia)


la filosofia è paragonata ad un frutteto dove
- la logica corrisponde al muro di cinta che limita il frutteto stesso e che lo difende
- gli alberi simboleggiano la fisica poiché sono la struttura fondamentale, ciò che rende possibile l'esistenza del
frutteto
- l’etica sono i frutti poiché il frutteto ha la funzione di produrre frutti così come la logica e la fisica hanno come
finalità quella di permettere l'etica

La logica aveva il compito di fornire il criterio della verità mentre la conoscenza si fondava, come per gli epicurei,
sulla sensazione
Questa, secondo gli epicurei era una sorta di EIDOLA, immagine che si spostava composta da atomi da un oggetto
all'altro, gli stoici chiamano la sensazione un’impressione che è provocata dagli oggetti sui nostri organi sensoriali
e da questi all’anima

Stoicismo

Logica = teoria della conoscenza


Per gli storici la fonte primaria della conoscenza sono le sensazioni, le percezioni sensibili; è in base a queste che noi
ci formiamo delle rappresentazioni mentali degli oggetti esterni.

Cicerone affermava che Zenone avesse spiegato la sua teoria della conoscenza attraverso un paragone visivo.

In questa immagine c’è una mano aperta che indica la mente che all’inizio è come una pagina bianca (una tabula
rasa, Aristotele) perché capace di ricevere le espressioni delle cose;
in un secondo momento la mano è contratta e questa contrazione è paragonata all'assenso, al fatto di afferrare la
conoscenza, ed indica l’inizio del momento attivo della conoscenza;
nel terzo momento la mano è stretta a pugno e significa che la mente aderisce all’evidenza della sensazione
o della rappresentazione sensibile, della percezione → Questo momento si chiama comprensione catalettica;
l’ultimo momento le due mani sono strette una sull’altra e questo rappresenta la scienza cioè la garanzia del
possesso dell’oggetto e solo il sapiente può comprenderla.

Successivamente Zenone desse alla conoscenza il nome di CATALESSI.


in greco “prendere, afferrare” e indica l'atto in cui l’intelletto afferra l’oggetto;
riesce a farlo in virtù dell’evidenza dell’oggetto stesso che si imprime nella mente e quindi deriva dall’impressione che
la cosa esercita sull’anima e dalla adesione dell’intelletto all’oggetto.

La tabula rasa prima di essere impressionata dall’oggetto è PASSIVA; nel momento in cui conosce è ATTIVA
quindi vi è un doppio movimento: è sia passiva che poi attiva.

La fisica (stoicismo)

Gli stoici riprendono Platone perché immaginano che il cosmo sia un gigantesco essere vivente, un organismo
provvisto di anima e riprendono eraclito perché pensano che questo cosmo sia governato nei minimi dettagli da un
Logos, cioè da una legge razionale che identificano come divinità.
La loro è un fisica MATERIALISTICA perché non ci sono principi incorporei, anche il logos divino è per loro
corporeo, lo immaginano come un fuoco, un pneuma, (cioè misto di aria e fuoco) che vivifica tutta la materia del
cosmo, anche essa corporea, pure se passiva.

La ragione è il principio divino immanente nel mondo e questa concezione la chiamiamo PANTEISTA
concezione per cui “tutto è dio” che indica una dottrina in cui dio è immanente nel mondo e in tutte le cose…
Dio è ragione, logos, principio dell'ordine naturale…
Il logos regola tutti gli eventi e li collega in una catena in cui ognuno è determinato dall'evento che lo precede
secondo un destino deciso e immutabile.
Questo destino per cui ogni cosa è finalizzata alla realizzazione di un ordine che è anche provvidenza si chiama
FINALISMO COSMICO.
Questo fa conseguire un determinismo, la necessità a cui gli stoici danno il nome di destino, di provvidenza.

Questo determinismo è alla base di un'altra concezione importante ovvero


la teoria dei cicli cosmici → al termine del “grande anno” ovvero quando tutti gli astri tornano ad
assumere la posizione iniziale, tutte le cose torneranno al fuoco divino dal quale sono state originate.
In questa conflagrazione universale che segna la fine del ciclo cosmico, il fuoco riassorbe in sé tutto ciò che da esso si
era generato e tornerà di nuovo a generarsi. Il nuovo ciclo riprodurrà esattamente in ogni dettaglio quanto
accaduto nei cicli precedenti

L’etica (stoicismo)

Il frutto della logica e della fisica quindi proiezione delle concezioni già esposte.
Secondo gli stoici l’etica si può riassumere in una definizione “vivere secondo natura”
poiché ogni evento è determinato dal logos, il fine dell’uomo sarà quello di vivere in modo conforme al logos,
all’ordine divino che regola il mondo.
Per gli stoici la LIBERTÀ è il lasciarsi guidare dalla legge naturale che governa il mondo l’uomo deve vivere in
armonia con sé stesso e con l’ordine razionale del mondo. Questa conformità si chiama OIKEIOSIS.

Questo è un concetto fondamentale che deriva da oikia che significa casa. Significa l’appropriazione, la tendenza
dell'essere vivente a conservare il proprio essere e a procurarsi solo cosa è congeniale alla propria natura.
es: l’uccello sa che deve usare le ali per volare
La procreazione permette all’uomo di essere sé stesso adattandosi all’ordine naturale e conciliando con la propria
natura. questo per animali avviene per istinto mentre nell'uomo con la ragione.
(per natura non intendono l'aspetto fisico ma l'ordine perfetto e universale che governa il cosmo)

Ne consegue che gli individui non possono comportarsi diversamente dal proprio destino. Solo il saggio comprende
questo destino perché comprende che l’essenza della realtà è razionale e quindi deve adeguare il suo
comportamento a questa razionalità, questo logos.
Il saggio non resiste al destino, lo accetta, come il cane che cammina accanto al carro a cui è legato invece di farsi
trascinare da esso.

La virtù consiste nella piena conoscenza e accettazione di quest’ordine universale. questa permetterà la felicità
perchè se il saggio accetta l'ordine universale nulla lo potrà turbare, egli sarà sereno e indifferente rispetto a quello che
accadrà.

Il cosmo è come un’unica grande città poiché guidata dal logos, per questo tutti gli uomini sono simili tra loro senza
distinzione di razza, di condizione sociale, e la schiavitù non è giustificabile come per Aristotele. anzi i veri schiavi sono
gli uomini che sono subordinati alla passione, che non riescono a liberarsi dalle emozioni Questo diffonde una certa
comunanza tra gli uomini che porta gli stoici a parlare di cosmopolitismo.
Cosmopolitismo: comune partecipazione di tutti gli esseri umani al logos universale;

Giusnaturalismo: al di sopra delle leggi umane vi è una legge naturale, non scritta, che è molto più importante. Le
leggi positive sono quelle realizzate all’interno di una comunità ma si devono conformare alla legge naturale, l’unica
che DEVE essere rispettata e che si scopre tramite alla ragione. → più le leggi positive si conformano alla legge
naturale e più sono giuste.

I concetti biblici

Gli autori che studieremo (es. Agostino) sono coloro che cercano di conciliare i messaggi ed i contenuti della filosofia
greca con quelli della filosofia e della dottrina cristiana.
Vi sono alcuni concetti che bisogna conoscere prima di introdurre Agostino che sono stati consegnati a noi dalla
tradizione giudaico cristiana, questa si fonda sulle sacre scritture, la Bibbia; questi sono dunque concetti che si ritrovano
nella bibbia (insieme dei 73 libri distinti in antico e nuovo testamento).

La prima di queste idee bibliche (che influiranno poi molto sul mondo occidentale) è il concetto di monoteismo,
l’esistenza di un solo dio.
Il monoteismo della tradizione ebraico-cristiana si oppone al politeismo dei greci.
Per gli ebrei la bibbia dice “non avrai altro dio all’infuori di me”; non è dunque una concezione spontanea ma è imposta,
ogni caduta nell’idolatria di altri dei è punita.

Altro concetto è quello di creazionismo; i greci avevano fornito delle idee per il problema dell’origine dell’essere (es.
Parmenide, pluralisti, Platone, Aristotele, stoici); nella bibbia si parla di creazione, nella genesi è scritto “in principio Dio
creò il cielo e la terra”; si pensa che tutto fu creato mediante la sua parola (“Dio disse, e la luce fu; Dio disse, e le tenebre
furono) compreso anche l’uomo che venne creato dal nulla, ex nihil. Questa idea recide tutte le soluzioni poste dai greci
ed è una creazione realizzata in maniera libera, Dio crea con un atto della sua volontà, crea per il bene, produce le cose,
realizza il mondo come dono d’amore.

Vi è poi l’antropocentrismo, una concezione che non ebbe fortuna presso i greci che si basavano più sul cosmocentrismo
ovvero il posizionamento del cosmo al centro dell’universo e di un’idea di congiungimento fra uomo e cosmo che si
relazionano in quanto il secondo è dotato di anima e vita e quindi l’uomo rispecchia la vita del cosmo. Per i greci dunque
l’uomo non è la realtà più elevata del cosmo e credono vi siano cose ben o più divine dell’uomo all’interno del cosmo.
Nella bibbia invece la visione è antropocentrica poiché l’uomo non è solo un momento del cosmo ma è una creatura
privilegiata di Dio in quanto fatto a sua immagine; è dunque signore e dominatore di tutte le altre cose create per lui (nella
genesi ad esempio all’uomo viene dato il compito di dare un nome alle cose e si legge “Dio disse: facciamo l’uomo a
nostra immagine, a nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, su tutte
le fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” e ancora “allora Jahve, Dio, plasmo l’uomo con la polvere
del suolo e soffio nelle sue narici un alito di vita, lo pneuma”) TUTTA QUESTA PARENTESI NON PENSO SIA
IMPORTANTE IO NON LA METTO NELLE RISPOSTE.

Essendo dunque l’uomo creato secondo l’immagine di Dio nel suo agire deve assecondare la volontà di Dio tentando di
assomigliarci. La capacità dell’uomo di adeguarsi alla volontà di Dio gli permette di diventare dominatore del creato,
colui che si pone al di sopra di tutte quante le altre cose.
Per il cristianesimo poi è Dio che dà all’uomo la legge, il bene per l’uomo diventa l’ubbidienza ai comandamenti di Dio,
la santità dell’uomo consiste quindi nella capacità dell’individuo di obbedire alla legge di Dio; per i leggi invece la legge
morale era la legge della fiusis (natura), una legge che si impone per sé stessa contemporaneamente sia a Dio che
all’uomo.

Vi è poi il concetto di provvidenza; questa nella visione giudaico-cristiana è una provvidenza che si dirige sugli uomini
singolarmente; per gli stoici invece è un tipo di ordine razionale che il saggio riconosce nella natura, una provvidenza
universale che vale nello stesso modo per tutti in quanto si identifica con un principio razionale che ogni essere può
riconoscere.

Il concetto della storia; per i greci questa ha un andamento ciclico senza un inizio ed una fine e si ripropone sempre
identica a sé stessa; per la visione giudaico-cristiana avviene invece secondo un itinerario specifico, ha un inizio, un
percorso ed una fine. Quest’ultima si riferisce al giudizio universale, l’apocalisse.

Ultimo concetto è quello dell’amore; per i greci era il concetto di Eros, l’eros non è dio ma è desiderio di perfezione,
tensione mediatrice che permette di salire dall’ambito del sensibile a quello del soprasensibile, l’eros greco è una forza
acquisitiva, ascensiva; nella concezione giudaico-cristiana invece all’eros viene contrapposto l’Agape, l’amore è una
discesa di Dio per gli uomini, il segno dell’agape cristiano è la donazione, la oblazione; l’uomo è amato da Dio, l’amore
cristiano è senza limiti, infinito, Dio ama gli uomini fino al sacrificio ( sacrificio della croce), Dio ama l’uomo anche nelle
sue debolezze, l’amore cristiano rivela una sproporzione tra chi beneficia di questo dono (la creatura) e chi dona (Dio).
Leggiamo un passo della prima lettera ai Corinzi di Paolo che contiene l’inno all’amore
“Qualora io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho l’amore sono un bronzo risonante o un cembalo
squillante, e qualora avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e se avessi tutta la fede al
punto di trasportare le montagne, se non ho l’amore nulla io sono, e se distribuissi per sfamare i poveri tutti i miei beni,
anzi, se donassi il mio corpo al fuoco, se non ho l’amore a nulla mi serve; l’amore è paziente, l’amore è benigno, non
porta invidia, l’amore non si vanta, non si gonfia di orgoglio, nulla fa di sconveniente, non cerca il suo interesse, non si
irrita, non serba rancore per il male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra del trionfo della verità, tollera tutti, crede
a tutti, tutto sopporta”
RIVEDI L’ULTIMO CONCETTO SULL’AMORE PERCHE’ PENSO DI AVER RIPORTATO TUTTO MA NON
SONO SICURO E STAVO IMPAZZENDO A RICOPIARE TUTTA STA SCHIFO DI LETTERA ALLA FINE

Introduzione ad Agostino

Agostino, il Platone cristiano, è l’interprete originale di una nuova fase nella quale il cristianesimo elabora la propria
dottrina conciliandosi con la filosofia greca. Vi sono varie analogie fra lui e Platone:
1. Per entrambi la ricerca teorica non è fine a sè stessa ed ha come obbiettivo la vita virtuosa
2. Entrambi pensano alla filosofia come un’indagine aperta e problematica e non come un esercizio rigido, chiuso,
sterile
3. Un afflato umano che accompagna le loro ricerche; significa che la loro dedizione alla teoria non è mai scollegata
da un’esperienza personale, in loro vi è una compenetrazione fra dottrina e vita, vivono nella loro esp ricerca
della verità.

La formazione di Agostino si evolve attraverso delle esperienze anche umane che ne condizionano l’itinerario spirituale e
filosofico, nasce nel 354 a Tagaste, in Africa, e sua madre, Monica, è una fervente cristiana dalla modesta cultura ma è
forte di quella fede che, come dice Agostino: ”Mostra agli umili quelle verità che nasconde la superbia dei dotti”.
Lei è il primo riferimento di Agostino, una figura importante che getta i semi della conversione che vivrà poi Agostino in
età adulta. Egli viene mandato dai genitori a Cartagine per studiare retorica, materia di cui diverrà poi insegnante;
durante questa formazione in lingua latina e sugli autori latini più che quelli greci, incontra “L’Ortensio” di Cicerone,
opera retorica andata perduta dove l’autore espone la saggezza del vivere come itinerario verso la felicità. Quest’opera è
un riferimento, un modello per Agostino per via della sua raffinatezza stilistica anche se lui spiega che al suo interno non
rinviene mai il nome di Cristo. Agostino abbraccia poi il manicheismo, religione eretica fondata dal persiano Mani che
individua due principi di formazione della realtà che sono il bene ed il male; la realtà è dunque l’espressione di una
continua contesa fra questi due principi che si scontrano anche nell’uomo. Per il manicheismo al termine dei tempi
prevarrà il bene.

Un’ altro riferimento per Agostino che verrà però abbandonato presto è lo scetticismo ma nello scetticismo non riesce a
trovare quella solidità fornitagli dal nome di Cristo, che lui aveva comunque conosciuto durante la sua infanzia e che non
aveva poi più curato.
Diviene professore di retorica a Milano, luogo dove vi sono i suoi incontri decisivi che gli fanno maturare la conversione
al cristianesimo – il vescovo Ambrogio – grande retore del tempo che lo converte tramite le omelie e le prediche che gli
insegnano un modo corretto di affrontare la Bibbia che gli diviene comprensibile. Lui aveva infatti incontrato la Bibbia
durante lo studio degli scritti di Cicerone ma, in quanto non l’aveva trovata raffinata come essi, la mise da parte.
La lettura delle lettere di San Paolo gli permette poi di apprendere il senso della fede e di scoprire la figura di Cristo che
aveva sempre albergato nel suo animo.
Dopo questa conversione Agostino torna in africa dove forma una comunità monastica divenendo prima sacerdote e poi
vescovo e passa il resto della sua vita nella santità esercitata all’interno della sua comunità ed anche nella stesura di testi
contro gli eretici del tempo.

La filosofia di Agostino

Le confessioni di Agostino sono un suo testo molto importante, il termine deriva da quello latino confiteor che significa
“riconoscere una cosa davanti a sé stessi”; all’interno delle confessioni compare la seguente frase “e dire che gli uomini
vanno ad ammirare le vette delle montagne, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, la distesa dell’oceano, i giri
degli astri e abbandonano sé stessi”. Queste parole sono importanti che tra l’altro sono studiate da Petrarca, e sono un
vero e proprio programma per Agostino, queste parole significano che per l’uomo il vero grande problema non è
l’indagine rivolta al cosmo ma un’indagine rivolta verso l’uomo, verso sé stessi (QUI POSSIAMO DIRE CHE
INFATTI PETRARCA STUDIA SE STESSO E COLLEGARE ITA)

Agostino scrive anche “che profondo che mistero è mai l’uomo, eppure tu, O Signore, anche il numero dei suoi capelli
conosci e tuttavia è più facile contare i suoi capelli che non gli affetti e i moti del suo cuore”; Agostino dunque crede che
il problema principale che dovrebbe diventare soggetto di indagine sia proprio l’uomo, non l’uomo in senso astratto, non
la sua essenza, ma proprio l’uomo concreto inteso come individuo irripetibile, come singolarità irriproducibile, come
PERSONA, questo è un termine importante utilizzato da Agostino e che entrerà poi nella dottrina cristiana rimanendo
fino ai nostri giorni. Agostino inaugura la scoperta della persona e la metafisica dell’interiorità, Agostino dà importanza
all’interiorità del singolo che seppur essendo l’ambito invisibile, è quello più importante poiché caratterizza ognuno di
noi.
Agostino scrive anche “io stesso ero diventato per me un grosso problema, io non comprendo tutto quello che sono” qui
vediamo la magna questio, la domanda per eccellenza, lui diviene protagonista della sua filosofia nella quale è sia
l’osservante che l’osservato.
Nelle confessioni infatti parla molto di sé raccontando le tappe della sua vita: la nascita da una madre cristiana, i
cedimenti al peccato avuti da giovane quando teneva una vita non ordinata, gli studi, le ambizioni, le passioni, l’affannosa
ricerca della verità, gli incontri con i testi di San Paolo e con San Ambrogio e dunque anche la sua conversione. Queste
tappe evidenziano un percorso verso la scoperta di sé stessi; questa volontà di scoprire sé stessi diviene un esempio per
coloro che credono sia necessario colmare quell’inquietudine radicale che accompagna da sempre l’uomo.

Agostino definisce l’uomo per mezzo dell’utilizzo di formule greche; utilizza una frase dell’Alcibiade di Platone che
dice che l’uomo è un anima che si serve di un corpo; per Agostino però i significati di anima e corpo sono differenti in
quanto per lui sono connessi con il concetto di creazione; l’uomo è immagine di Dio è l’anima è una sua creazione; così
come Platone riteneva il dialogo necessario, allo stesso modo Agostino ritiene importante il dialogo ma non quello verso
l’esterno ma quello verso l’interno, con la propria anima. Lui ritiene il dialogo interiore lo strumento per la ricerca della
verità e scrive infatti “mi è parso opportuno mediante un dialogo interiore e con l’aiuto di Dio ricercare la verità con
calma e con largo impiego di tempo” e specifica poi che la verità abita nella nostra anima dicendo “se siamo onesti con
noi stessi e se prestiamo attenzione alla voce interiore, possiamo scorgerla” in un altro brano poi esclama “non uscire
fuori di te, ritorna in te stesso, la verità abita nell’interiorità dell’uomo”.
Si può dunque arrivare alla verità ponendoci in dialogo con la nostra anima, l’orma della creazione divina, ed in essa
risiede il seme di quell’inquietudine che vuole ritornare alla sua radice, a Dio; alla reminiscenza platonica si sostituisce la
teoria dell’illuminazione di Agostino che è una teoria che traduce in termini cristiani quella della reminiscenza. Per
Platone vi erano idee immutabili ed eterne, allo stesso modo per Agostino all’interno e dell’anima dell’uomo vi sono
criteri perfetti ed immutabili che gli permettono di giudicare le cose; questi criteri provengono da Dio che li immette nella
nostra anima permettendo ad essa di conoscere. Nell’anima si rispecchia Dio e questi due elementi sono i pilastri della
filosofia cristiana di Agostino, Agostino scrive “non indagando il mondo, ma scavando nell’anima, si trova Dio”. Dio si
incontra nella conversione che è l’asse intorno al quale ruota tutta la filosofia di Agostino; questa conversione non
evidenzia un atteggiamento irrazionale, fideistico, ma invece lui ritiene che la fede stimoli e promuova l’intelligenza
anziché eliminarla. Per lui la fede è un cogitare cum assenzione, un modo di pensare assentendo, senza il pensiero non ci
sarebbe la fede. L’intelligenza rafforza e chiarifica la fede; individuiamo dunque un forte rapporto fra fede e ragione nel
pensiero di Agostino che le ritiene complementari. Agostino dice “credo ut intelligam e intelligo ut credam” (credo per
capire e capisco per credere); l’uomo vuole arrivare alla verità ed il cammino verso essa si attua grazie al rapporto tra fede
ed intelligenza.

Nell’undicesimo libro delle confessioni lui effettua altre riflessioni estremamente importanti circa il problema del tempo;
lui si chiede cosa facesse Dio prima di creare il cielo e la terra e risponde dicendo che la vita di Dio è eterna e non
ammette un prima ed un dopo in quanto in Dio non vi può essere né un mutamento né un cambiamento dal momento che
Dio possiede ogni perfezione, non è inserito in alcuna dimensione temporale perché questa appartiene al mondo; solo le
cose create sono imperfette, immutevoli ed immerse nel tempo che è stato cominciato ad essere misurato a partire dalla
creazione. Il tempo per Agostino non ha un’esistenza oggettiva all’infuori di noi ma è un fenomeno mentale soggettivo in
quanto lo misuriamo nella nostra interiorità essendo una distensione dell’anima (distensio animi) che “si protende dalla
memoria del passato, all’attenzione del presente, all’attesa del futuro; il passato è qualcosa che non c’è più ma viene
ricordato grazie alla memoria, il futuro è ciò che non c’è ancora ma viene prefigurato grazie all’attesa, il presente dura un
istante ed acquista consistenza grazie all’attenzione che l’anima presta alle cose; il tempo dunque ottiene la sua realtà solo
grazie all’anima che conserva e garantisce la continuità interiore della coscienza”. Un altro brano delle confessioni dice
“che cos’è il tempo? Se nessuno mi interroga lo so, se volessi spiegarlo a chi mi interroga non lo so; questo però posso
dire con fiducia di sapere, senza nulla che passi non esisterebbe un tempo passato, senza nulla che venga non esisterebbe
un tempo futuro, senza nulla che esista non esisterebbe un tempo presente. Due dunque di questi tempi, il passato e il
futuro, come esistono dal momento che il primo non è più e il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse
sempre presente senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità; se dunque il presente per essere tempo
deve tradursi in passato, come possiamo anche dire di lui che esiste se la ragione per cui esiste è che non esisterà; quindi
non possiamo parlare con verità dell’esistenza del tempo se non in quanto tende a non esistere; un fatto ora è limpido e
chiaro, né passato né futuro esistono, è inesatto dire che i tempi sono tre: passato presente e futuro; forse sarebbe esatto
dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro; queste tre specie di tempi
esistono in qualche modo nell’anima e non vedo altrove; il presente del passato è la memoria, il presente del presente la
visione, il presente del futuro l’attesa; è in te spirito mio che misuro il tempo, non strepitare contro di me, è così, non
strepitare contro di te per colpa delle tue impressioni che ti turbano”.
Per Agostino dunque il tempo è una distensione dell’anima, non esistono cioè secondo lui passato e futuro; il primo è la
memoria di ciò che non c’è più, il futuro è l’anticipazione di ciò che ci potrebbe essere. Noi viviamo il passato attraverso
la memoria e viviamo il futuro attraverso l’attesa. Agostino con quetsa concezione si emancipa ed allontana da quella
ciclica dei greci che considervano il tempo come la misura dell’eterno movimento circolare dell’universo; per lui è inece
è una categporia dell’anima all’interno della quale viene misurato.

Ultima considerazione è quella circa la città di Dio e quella terrena; Agostino ha una visione teologica della storia che
ritiene illuminata dalla fede in Dio e secondo lui l’umanità si divide in due gruppi che formano due città: gli individui del
primo gruppo desiderano Dio sopra ogni cosa mentre gli altri pongono ogni obbiettivo nei beni terreni. La città di Dio,
che non coincide con la chiesa, sarebbe la comunità dei giusti ed è composta da coloro che appartengono al mondo dal
punto di vista biologico ma con lo sguardo tendono ad una città futura, quella dove vivranno dopo la morte. Gli altri
individui vivono nella città terrena (la città del demonio secondo Agostino) e ritengono che il loro obbiettivo si concluda
nella vita terrena e nel possesso di beni terreni; queste due città evidenziano la continua lotta che esiste fra l’amore per il
bene e l’amore per il male. Nel mondo queste due categorie di uomini coesistono e non si evidenza una separazione fra
essi; ma il giudizio finale separerà il gruppo di coloro che vogliono vivere seguendo delle leggi divine e coloro che invece
preferiscono continuare a vivere utilizzando tutte le loro capacità per ottenere dei beni terreni e che non hanno alcun
desiderio di trascendenza.

Scolastica

filosofia cristiana medievale

scholasticus: insegnante delle arti liberali -> si dividono tra le discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica e
retorica) e il quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica). In seguito questo termine definì il maestro di
filosofia che era anche chiamato magister, colui che teneva lezioni nelle università.

L’origine e lo sviluppo della scolastica sono legate all’insegnamento.


A partire dai secoli XII e XIII la scuola si configura come università, identificato come prodotto tipico del medioevo; per
questo tipo di scuola non vi fu un modello perché non era in realtà un centro di studi ma un'associazione, una sorta di
sindacato, che tutelava gli interessi di una categoria di persone;

– Le prime nacquero a Parigi e Bologna –

° Quali conseguenze ebbero?

volevano formare una classe di intellettuali che si andasse ad affiancare ai poteri tradizionali dello stato e della chiesa ed
introdurre una nuova nobiltà in base al proprio livello di cultura.

° All’interno della scolastica si attuarono due facoltà

- facoltà delle arti: trivio e quadrivio

- teologica: si occupava dei contenuti della fede attraverso dell’interpretazione – denominata ESEGESI – della bibbia,
oltre che dell'espressione sistematica della dottrina cristiana.

° MODALITA’ DI INSEGNAMENTO:

- lectio: fatta dal magister, consiste nel commento di un testo

- disputatio: consiste nell’esame dei pro e contra rispetto un determinato argomento.

Tra l’altro i professori di solito raccoglievano dubbi e riflessioni nelle QUAESTIONES DISPUTATE

definizione: insieme delle riflessioni che i professori esponevano agli alunni

° Funzione Della Scolastica:

educare e formare dei chierici;


non era un luogo per una ricerca autonoma ma una ricerca che si emancipasse dalla tradizione, poiché si riteneva che la
verità fosse stata rivelata all’uomo mediante le sacre scritture, di conseguenza bisognava accedere e comprendere queste
verità;

vi è il riferimento ad una AUCTORITAS. (auctoritates: decisione di un consiglio o sentenzia di un padre della chiesa)
quindi il ricorso all’autorità è la caratteristica della ricerca scolastica: chi si forma deve sentirsi supportato dalla tradizione
e dall’autorità

Poiché non si vogliono formare nuove dottrine ma invece bisogna comprendere la verità già emanata, la filosofia diventa
un mezzo, ANCILLA THEOLOGIAE: un’ancella della teologia che permette di comprendere a pieno la dottrina.

Pensiero dominante: rapporto tra fede e ragione

Scolastica: più fasi

1. PRESCOLASTICA: VI / VII - X secolo (Giovanni Scoto Eriugena)


2. ALTA SCOLASTICA: XI - XII secolo (qui è fondamentale il rapporto fede-ragione) (Anselmo
D’Aosta e Pietro Abelardo)
3. PERIODO AUREO DELLA SCOLASTICA: XIII secolo (continua il dibattito sul rapporto) (Alberto
Magno e Tommaso D’Aquino)
4. CRISI SCOLASTICA: XIV secolo (si arriva a verificare l’impossibilità tra la fede e la ragione)
(Guglielmo da Ockham e Duns Scoto)

Anselmo D’aosta

Per quanto riguarda il rapporto tra fede e ragione lui pensa che la prima rappresenti il fondamento della conoscenza ed
infatti il suo motto è “credo per intendere” (“credo ut intelligam”); ma la ragione è altrettanto importante perchè,
specialmente attraverso la dialettica, supporta la fede e dimostra l’esistenza di Dio. Pertanto il rapporto fra fede e ragione è
molto stretto, se vi fosse un contrasto prevarrebbe la fede anche se Anselmo non crede che questo contrasto possa
verificarsi poiché ritiene la ragione uno strumento di supporto per la fede.

Anselmo d’Aosta scrive due testi importanti Monologion e Proslogion: all’interno di questi testi elabora argomenti a
dimostrazione dell’esistenza di Dio.

Per quanto i riguarda il MONOLOGION possiamo dire che è un testo dove viene dimostrata l’esistenza di Dio a posteriori
(un giudizio valido grazie il ricorso all’esperienza sensibile, in particolare nella filosofia medievale si definisce a posteriori
ogni dimostrazione che procede induttivamente dall’effetto alla causa). PROCEDIMENTO INDUTTIVO In questo testo
egli dimostra l’esistenza di Dio partendo dal presupposto che tutti gli essere viventi abbiano un grado maggiore o minore di
perfezione, questo implica l’esistenza di una perfezione assoluta, Dio.

Nel PROSLOGION tratta invece una prova ontologica che è una prova a priori (una prova svolta in modo DEDUTTIVO,
una dimostrazione che precede l’esperienza).

In questa dimostrazione egli riprende il pensiero dello stolto (del salmo 14) che dice in cuor suo “Dio non c’è”; secondo
Anselmo, se lo stolto afferma che Dio non c’è negandone l’esistenza, evidentemente deve possederne il concetto per
negarlo; chiede dunque a questo stolto (tramite un dialogo immaginario) quale sia la sua concezione di Dio e lo stolto
risponde dicendo che Dio è “colui di cui non si può pensare nulla di maggiore” (“id quo maius cogitari nequit”). Anselmo
afferma dunque che lo stolto cade in contraddizione perché l’idea dello stolto di qualcosa di cui non si può pensare nulla di
più grande deve obbligatoriamente comportare la qualità dell’esistenza; se Dio è l’essere di cui nulla è più grande è
impossibile pensarlo come esistente solo nel pensiero e non anche nella realtà perché in tal caso non sarebbe ciò di cui non
si può pensare nulla di maggiore.
Vediamo dunque che la prova ontologica si basa su una premessa intuitiva: ciò che esiste nella realtà è più perfetto di ciò
che esiste nell’intelletto; se infatti Dio non esistesse i concetti esistenti gli sarebbero superiori e sarebbe come dire che la
perfezione assoluta è meno perfetta delle cose imperfette esistenti, il che è assurdo.

Tommaso d’Aquino

Tommaso d’Aquino è molto importante perchè, assieme ad Agostino, costituisce uno dei pilastri della cultura cristiana.
Egli è un aristotelico ed è il filosofo cristiano a cui si ispira Dante per costruire l’impianto teorico della sua poetica.

Circa il rapporto fra fede e ragione egli sviluppa una sua idea; per lui la ragione ha la possibilità di conoscere il mondo del
divenire e può anche supportare la fede; a suo parere, infatti, la ragione non solo è in grado di dimostrare che Dio esiste ma
anche di determinare alcuni caratteri della sua natura. Per Tommaso la ragione è preambula fidei, cioè la ragione supporta
la comprensione della fede, permette all’uomo di avviarsi la fede. Quest’ultima si appoggia alla rivelazione che costituisce
un atto di volontà ma che ha bisogno di un atto intellettuale, ovvero quello supportato dallo strumento della ragione.
Secondo Tommaso si può dimostrare l’esistenza di Dio ma tramite una dimostrazione a posteriori, partendo dunque dagli
effetti osservati. PROCEDIMENTO INDUTTIVO

Tommaso sviluppa 5 prove dell’esistenza di Dio che lui definisce vie e che, a partire dalla sostanza, permettono di risalire
al fondamento necessario, all’essere che sussiste di per sé cioè Dio.

La 1° prova prende le mosse dal movimento ed è ripresa dalla metafisica e dalla fisica di Aristotele che dice che, poiché nel
mondo alcune cose si muovono e sono mosse da altre cose che a loro volta sono mosse da altro, risalendo fino al principio
del movimento che muove senza essere mosso, ovvero il principio motore, non si può che arrivare a Dio.

La 2° via sfrutta la causa efficiente e si muove dalla constatazione che tutte le cose che esistono hanno bisogno di una causa
per esistere ma anche questa causa non può risiedere nelle cose stesse, ma deve essere esterna e risalendo nella catena delle
cause non si può procedere all’infinito e bisogna arrivare ad una causa prima che causi tutte le altre cose, questa causa
efficiente della realtà è Dio.

La 3° via è basata sul possibile e sul necessario.

La 4° via è quella dei gradi; nelle cose vi è una gradualità delle perfezioni perché ci sono cose più o meno belle, buone,
vere, ma il più ed il meno possono essere predicati soltanto in rapporto ad un riferimento assoluto, la perfezione massima,
Dio.

La 5° via (?)

Guglielmo di Ockham

L’ultimo concetto è riferito a Guglielmo di Ockham, che appartiene all’ultima fase della scolastica, e che è importante
poiché ritiene che bisogni separare la fede dalla ricerca scientifica. Alla base di quest’ultima vi è l’osservazione della realtà;
la fede riguarda invece argomenti che non possono essere oggetto di osservazione. Tra fede e ragione vi è dunque distanza,
non si può raggiungere Dio razionalmente e le verità considerate dagli scolastici delle preambula fidei (es. esistenza di Dio)
sono secondo Ockham da ritenere appartenenti esclusivamente all’ambito della fede. Per lui, dunque, la ragione è
impotente nell’ambito religioso e Dio è inconoscibile per l’uomo, la sua esistenza non è dimostrabile; la scienza è
importantissima e deve avvalersi della logica intesa come linguaggio priva di implicazioni metafisiche.

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