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LUCREZIO
È il più grande poeta per l’età di Cesare insieme a Catullo, in un periodo in cui dominava
la prosa. Ha in comune con lui la tendenza a ignorare gli sconvolgimenti politici dell’epoca
e a rifugiarsi nella contemplazione intellettuale e nella poesia.

Sulla sua biografia abbiamo solo notizie incerte:

• Per la cronologia della sua vita abbiamo le testimonianze un po’ contraddittorie di san
Girolamo (Chronicon) e di Elio Donato (Vita Vergili): nasce negli anni ’90 del I secolo a.C.
(probabilmente 98 a.C.) e muore verso la metà degli anni ’50 (forse 55 a.C.).

• Anche sulla sua origine non abbiamo notizie sicure: alcuni ipotizzano fosse campano
perché a Napoli c’era un’importante scuola epicurea e perché il suo inno a Venere si
avvicina al culto di quella venerata a Pompei; altri ipotizzano fosse romano per i
riferimenti a luoghi precisi della città all’interno del poema.

• Sicuramente aveva ricevuto una formazione vastissima. La dedica a Memmio non ci dà


certezze sulla sua condizione di nascita: non sappiamo se si riferisca a lui in qualità di
amico o di liberto.

• Girolamo riporta la follia di Lucrezio, in seguito all’assunzione di un filtro d’amore.


Probabilmente la notizia è corrotta dai cristiani che volevano sminuirne i principi
filosofici. Qualcuno ha voluto vederci un’ipotetica depressione patologica per spiegarne
il pessimismo, contrastante rispetto all’ottimismo di Epicuro.

LA FORTUNA DI LUCREZIO: il giudizio su di lui è sempre doppio (poeta/filosofo)


ROMANITÀ:

- Immediatamente amato da Virgilio, Ovidio, Manilio, Seneca. Cicerone non ne parla più di
tanto in maniera pubblica (solo in modo privato in una lettera al fratello), si pensa che volesse
ignorarlo di proposito per non dar credito alle teorie filosofiche che divulgava, pur
stimandone l’eccellenza poetica;

- Prima viene criticato per la sua lingua arcaica (da Quintiliano, contro la perfezione di Virgilio)
e poi viene amato per lo stesso motivo (dagli arcaisti come Frontone).

CRISTIANESIMO: lettura di Lucrezio in aperta critica contro le posizioni materialistiche.


MEDIOEVO: l’opera viene persa.

UMANESIMO: Poggio Bracciolini scopre, in Alsazia, un manoscritto contenente l’opera di

Lucrezio. La invia a Firenze per farla copiare = rinnovata fortuna in epoca

moderna. Ammirato da Pontano, Poliziano, Giordano Bruno. Si iniziano a

scrivere delle “confutazioni di Lucrezio”: opere in cui si imitavano la lingua e lo

stile dell’autore ma si esponevano tesi opposte alle sue.

ETÀ MODERNA: ripreso in alcune correnti filosofiche (empirismo). L’illuminismo lo studia ma

oppone all’epicureismo il deismo (Voltaire). In Italia viene tradotto da

Marchetti. Probabilmente Leopardi lo legge integralmente, visti alcuni

richiami nella Ginestra.

EPICUREISMO
Nasce ad Atene con il filosofo Epicuro, di cui abbiamo perso l’opera principale (Perì physeos),
che insegnava in contesti informali (képos, giardino) ad una cerchia ristretta di membri legati da
philìa, concetto alla base della scuola filosofica.

Tutta la ricerca filosofica di Epicuro è atta alla RICERCA DELLA FELICITÀ, che si può
raggiungere mediante i 4 principi del tetrafarmaco:

- Gli dèi non devono essere temuti.

- Non bisogna avere paura della morte.

- Il piacere è facile a procurarsi.

- Il dolore è facile a sopportarsi.

In quest’ottica Epicuro riconosce nel PIACERE (hedonè | voluptas) il SOMMO BENE: l’uomo può
aspirare a questo tenendo ben presente cos’è davvero necessario e cosa è superfluo. I piaceri
infatti si dividono in:

- Naturali e necessari;

- Naturali e non necessari;

- Non naturali e quindi non necessari.

L’unico piacere autentico è dato dall’AUTÀRKEIA: AUTOSUFFICIENZA

Altro concetto chiave è quello gnoseologico: la conoscenza si basa sulla veridicità delle
sensazioni, che sono sempre vere: l’errore si verifica solo quando l’uomo cerca di costruirci delle
opinioni al riguardo.

Quelle materiali, e soprattutto quelle visive, si basano sulla teoria degli èidola | simulacra: le
membrane atomiche del nostro corpo conservano la struttura del corpo da cui si distaccano e
consentono una visione chiara dell’oggetto.

La fisica che ne deriva è di tipo estremamente MATERIALISTA: la materia presente nell’universo,


che è infinito ed eterno, costituito di materia e di vuoto infiniti, non si crea né si distrugge, ma si
aggrega in modo diverso formando dei corpi visibili sempre nuovi. L’unità base è quella
dell’atomo.

Il modo in cui questi atomi si muovono nello spazio è regolato dalla teoria del CLINAMEN:
movimento spontaneo degli atomi che, in punti imprevedibili della loro traiettoria, deviano e si
uniscono a dei nuovi.

Tutto questo spiega la sostanziale libertà del volere umano: riscatto delle vicende della storia
umana dal determinismo rigido.

Quando l’epicureismo arriva a Roma insieme alle altre scuole di filosofia greche, viene
immediatamente scartato e rifiutato dal processo di integrazione operato dal ceto
dirigente, perché considerato SOCIALMENTE PERICOLOSO:

- La predicazione del piacere e la ricerca della tranquillità potevano distogliere i cittadini


dal loro vero incarico: l’impegno politico e la partecipazione civica attiva.

- La negazione dell’intervento degli dei nelle cose umane corrodeva la religione ufficiale,
che invece veniva usata come strumento di potere da parte dei ceti dirigenti nei
confronti della popolazione.

In ogni caso sappiamo che dopo un primo totale rifiuto della corrente, confluiscono a
Roma molti epicurei: fondano scuole (come a Napoli e a Ercolano) che vengono
frequentate da personaggi importanti (Virgilio, Orazio, Attico) e arrivano fino alle classi
inferiori (uno degli obiettivi di Epicuro era l’universalismo del suo messaggio, che doveva
essere trasmesso in modalità chiare e comprensibili).

DE RERUM NATURA
Il titolo dell’opera di Lucrezio traduce fedelmente quello del capolavoro di Epicuro:

Perì Physeos, oggi perduto.

Non ne conosciamo il periodo di composizione, ma riguardo la pubblicazione possiamo


ipotizzare gli anni precedenti al 59 a.C.: la dedica a Memmio fa riferimento a “un
momento difficile per la patria” e potrebbe alludere al crescente impegno politico del
dedicatario, pretore per il 58.

Girolamo dice che, dopo la morte del poeta, l’opera fu trovata da Cicerone, che ne
curò la revisione e la pubblicazione. Sappiamo da una lettera a Quinto che già nel 54
aveva letto il poema, ma non abbiamo certezze riguardo questa informazione specifica.

Per quanto riguarda la TRADIZIONE MANOSCRITTA, il testo è stato conservato

integralmente da due codici del IX secolo: importanza stilistica e filosofica.

L’opera è costituita di 6 libri (che vanno da un minimo di 1100 versi ad un massimo di


1500) raggruppati in 3 DIADI in base agli argomenti (in climax ascendente per grandezza):

PRIMA DIADE: ATOMISMO

LIBRO I
Apertura del poema con l’Inno a Venere, considerata forza generatrice della natura.

Lucrezio si rivolge direttamente al lettore invitandolo a non considerare empio


l’epicureismo, ma al contrario di accoglierlo, e di disprezzare l’empietà e la crudeltà della
religio tradizionale.

Riferimento al sacrificio di Ifigenia da parte del padre Agamennone. Massima

tensione patetica.

Il motivo per cui l’uomo cerca la religione è il conforto che questa fornisce in relazione alla
paura di morire. La religione è in grado di opprimere l’uomo, ma se l’uomo, attraverso la
conoscenza sicura delle leggi che regolano l’universo, riesce a comprendere la natura
materiale del mondo, dell’uomo e dell’anima stessa, non sente più il bisogno di affidarsi
alla religione.

Forte nesso tra:

SUPERSTIZIONE RELIGIOSA | TIMORE DELLA MORTE | + SPECULAZIONE SCIENTIFICA

In quest’ottica Epicuro viene descritto come un nuovo Prometeo, o come un guerriero


omerico impegnato in un duello eroico: ha liberato gli uomini da enormi sofferenze morali:

“colui che osò levare gli occhi contro la religione che incombeva minacciosa dal cielo”.

L’unica forma di divinità concepita dall’epicureismo vive negli intermundia ed è


completamente noncurante rispetto alle faccende umane. Esclusione totale dell’ipotesi
secondo cui l’uomo è soggetto agli dei in un rapporto di dipendenza. Senso della
religiosità molto intimo che comunque Lucrezio accetta.

Esposizione dei principi della fisica epicurea: teoria materialista degli atomi che si
muovono in modi diversi e danno origine a tutte le realtà esistenti.

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LIBRO II
Esposizione della teoria del clinamen, da cui deriva la constatazione secondo cui i mondi
possibili sono molti, e sono tutti soggetti al ciclo nascita-morte.

SECONDA DIADE: ANTROPOLOGIA


LIBRO III
Inno a Epicuro.

Ulteriore confutazione del timore della morte, divisa in due sezioni:

1) L’ANIMA È MATERIALE, composta di atomi e di vuoto.

2) L’ANIMA È MORTALE, cioè soggetta al ciclo di nascita e di morte, come tutti corpi.
Presentazione di 29 prove per avvalorare la sua tesi: massima forza persuasiva.

Per convincere il lettore, Lucrezio procede con la PROSOPOPEA DELLA NATURA:


rivolgendosi direttamente all’uomo spiega che, se la vita trascorsa è stata piena di gioie
allora si può morire soddisfatti, sazi e felici come dopo un banchetto, mentre se la vita è
stata piena di dolore e tristezza non ha senso desiderare che continui inutilmente.

LIBRO IV
Spiegazione della TEORIA DELLA CONOSCENZA. Lucrezio spiega che cosa sono i
simulacra e da qui fa partire una riflessione sulla dimensione onirica: nei sogni
continuiamo a vedere immagini degli oggetti dei nostri desideri.

Digressione sulla passione d’amore a partire dai sogni erotici. L’attrazione fisica è la
causa unica di questa passione.

TERZA DIADE: COSMOLOGIA


LIBRO V
Dimostrazione della mortalità del nostro mondo (che è solo uno tra i tanti esistenti).

Problema del moto degli astri e delle sue cause.

EXCURSUS SULLA STORIA DEL MONDO


Gli animali e l’uomo non sono stati creati da dio ma si sono formati grazie a particolari
circostanze chimiche. Confutazione, mediante le leggi naturali della fisica, delle tradizioni
sui primi esseri mitici che hanno popolato la terra.

Non esistono i centauri perché due esseri di diversa natura non si possono accoppiare.

Possibile l’esistenza di esseri mancanti di parti del corpo, creati per sbaglio dalla natura.

PROGRESSO UMANO: I primi uomini sulla terra conducevano una vita agreste, lontani

gli uni dagli altri e non legati da alcun vincolo sociale. Distinzione

delle tappe positive e negative che ha compiuto l’uomo:

Da una situazione in cui si risponde solo ai piaceri naturali e necessari, l’uomo trova sia i
piaceri naturali e non necessari (+) sia quelli non naturali e quindi non necessari (-).

caso + bisogno materiale = avanzamento della civiltà

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Non si tratta di una visione pessimistica e sconsolata perché Lucrezio al fenomeno della
decadenza dei costumi e della morale trova una soluzione: riscoperta, attraverso
l’epicureismo, delle poche cose che sono davvero necessarie per l’uomo:

LÀTHE BIÒSAS, VIVI IN DISPARTE

Invito ad abbandonare ogni forma di ricchezza e ad allontanarsi dalle tensioni della vita,
per dedicarsi alla coltivazione dello studio della natura con gli amici più fidati.

Il saggio epicureo è definito, attraverso una metafora (II), come colui che sta sulla
terraferma e osserva distaccato gli altri, in pericolo nel mare in tempesta.

LIBRO VI
Spiegazione scientifica dei fenomeni naturali, che non devono essere attribuiti alle
divinità, ma compresi in quanto leggi meccaniche, che ordinano la natura.

Quando Lucrezio parla degli eventi catastrofici, arriva alla narrazione della devastante
PESTE DI ATENE del 430 a.C. (Tuc.), con cui si chiude anche l’opera.

Ci sono diverse teorie riguardo il finale:

Mancata conclusione e revisione del poema, che potrebbe spiegare le ripetizioni dei
versi e alcune incongruenze.

Nel libro V l’autore aveva preannunciato una sezione dove avrebbe descritto le sedi

beate degli dei, ma non mantiene poi fede alla promessa: forse l’opera doveva

finire così, con una nota serena per concludere in linea con il gioioso inizio dell’inno

a Venere.

Completa rifinitura dell’opera da parte dell’autore.

Le ripetizioni dei versi potrebbero essere utili alla pratica mnemonica, come era in

uso nei poemi di ampio respiro che avevano anche scopi didascalici (a partire da

quelli omerici).

In più, Lucrezio potrebbe aver voluto contrapporre di proposito un inizio gioioso

con un finale cupo (“trionfo della vita” | “trionfo della morte”), per dimostrare che

non è possibile la conciliazione del contrasto eterno delle due potenze.

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POEMA EPICO-DIDASCALICO

La scelta di Lucrezio di comunicare i principi dell’epicureismo con la poesia sorprende,


perché Epicuro stesso l’aveva più volte condannata, per la sua stretta connessione con il
mito, per la sua capacità di suscitare emozioni forti e per la tendenza a parlare di mondi ideali.

Probabilmente Lucrezio voleva arrivare agli strati superiori della società: vuole comunicare un
messaggio importante attraverso una forma molto curata (che per il gusto del tempo era
essenziale).

L’autore si giustifica in due passi (I, 136-145 | IV 1-25): metafora del bicchiere di

assenzio dato ai bambini come medicinale (= filosofia epicurea) cosparso di miele per

renderlo più gradevole (= forma poetica e raffinatezza stilistica): quasi musaeo dulci
contingere melle.

In ogni caso, Lucrezio contraddice Epicuro anche nell’ammirazione che nutre nei confronti
della poesia, in particolare nei confronti di Omero e di Empedocle.

PRECEDENTI:

La letteratura greca aveva conosciuto i modelli di Esiodo, Parmenide, Empedocle (poeta del
V secolo a.C. e autore di un Perì Physeos: di lui Lucrezio respinge il misticismo ma è attratto
dall’atteggiamento profetico di rivelatore di verità); poi ripresi dalla cultura ellenistica nelle
opere di Arato di Soli e di Nicandro, tradotte spesso a Roma.

La letteratura latina al contrario non aveva dei modelli autorevoli, tranne per qualche
tentativo di Ennio (Epicharmus) e Accio (Pragmatica). In entrambi i casi si tratta di
composizioni dal tema molto tecnico, sprovviste di implicazioni filosofiche.

Quello che differenzia Lucrezio da questi poeti è l’unicità del tema che sceglie di trattare:
ambisce a spiegare ogni aspetto importante della vita del mondo e dell’uomo, cercando
di convincere il lettore della validità della dottrina epicurea con le sue argomentazioni.

Riconoscendo una ratio all’interno della filosofia epicurea, il lettore è chiamato ad


esprimere un parere, rispetto ai poemi ellenistici dove l’unico argomento era la
descrizione dei fenomeni, e non richiedevano nulla al lettore.

Dopo aver preso consapevolezza riguardo l’importanza della materia, l’autore può
instaurare un rapporto molto speciale con il lettore, che diventa quasi un suo discepolo:
questo legame costituisce una cornice al discorso filosofico, aumentandone la tensione.

Mentre nei precedenti ellenistici uno dei fini era quello encomiastico e l’intento in certe
parti era quello di meravigliare il lettore; in Lucrezio nunc est mirandum e nec mirum:

gli argomenti esposti sono oggettivi e non c’è nulla di cui meravigliarsi:

Sostituzione della “retorica del mirabile” con la “retorica del necessario”.

In quest’ottica il lettore ha una maggiore responsabilità nei confronti della sua


comprensione e una maggiore consapevolezza della sua grandezza intellettuale:

raggiungimento del SUBLIME

Le grandi narrazioni, lo stile alto e sublime sono ciò che spronano il lettore verso il
bisogno morale, promuovendolo alla grandezza d’animo:

mente del lettore = specchio della sublimità universale ritratta nel poema.

In un certo senso il lettore è chiamato a essere eroe: non deve stupirsi di fronte alla realtà
e deve accettare le verità che gli si presentano, siano queste spiacevoli o paurose. Deve
preparare il suo animo ad un’esperienza sconvolgente e adeguarsi alle forze sublimi.

Il rapporto instaurato tra l’autore e il lettore-discepolo non può prescindere dalla


particolare STRUTTURA ARGOMENTATIVA, caratterizzata da:

- sillogismi (per spiegare l’assurdità di alcune tesi contrarie alla sua);

- analogie (per rendere la materia più comprensibile quando si tratta di qualcosa di


troppo lontano dall’immaginario comune dell’uomo).

LETTERATURA DIATRIBICA
Non è da escludere il fatto che Lucrezio abbia tratto da questa corrente molti spunti per il
suo stile argomentativo: la diàtriba era nata in Grecia in età ellenistica e aveva conosciuto il
suo maggior esponente nella figura di Bione di Boristene. Le sue opere prevedevano una
presentazione semidrammatica del contenuto, con frequenti spunti satirici vivaci (Luc. IV) e
la partecipazione di personaggi fittizi (Luc III).

INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA DELL’OPERA


Per molto tempo è stata fortemente influenzata dall’opinione generale sulla figura di Lucrezio.
Non si possono sovrapporre autore e voce narrante dell’opera: hanno due funzioni diverse,
sebbene entrambi siano fortemente in linea con i principi epicurei e vogliono trasmetterli al
lettore.

Allusione erronea alla follia di Lucrezio, alimentata sia dai contemporanei che dai cristiani, e
tornata in auge nel 1800, quando la critica ha visto in lui un depresso patologico.

Le tinte cupe dell’opera sono estremamente funzionali alla narrazione: bisogna trasmettere i
precetti di una dottrina di liberazione, e per descrivere il male in cui l’uomo è immerso
bisogna ricorrere ad una lingua e ad uno stile drammatici.

Il pessimismo di Lucrezio è probabilmente da ricondurre semplicemente alla


disillusione: l’accettazione consapevole dei cicli di nascita e di morte devono avvenire nel
filosofo come nel suo lettore.

Nonostante ciò, è anche vero che a volte il razionalismo mostra i suoi limiti: si passa
dalla volontà di accettazione naturale della morte all’angoscia razionale della fine del libro.
Qualcuno ha visto in questo atteggiamento un Lucrezio dissidente nei confronti di un sistema
filosofico troppo lineare e impotente di fronte alle angosce primordiali, ma è un’esagerazione.

Per quanto riguarda l’ipotesi della follia d’amore di Lucrezio, bisogna ricordare le motivazioni
contestuali:

- L’epicureismo condannava la passione irrazionale;

- Era una risposta all’ideologia erotica dei neòteroi;

- L’orientamento della morale tradizionalistica condannava severamente gli amanti che


dissipavano le sostanze in doni e in lussi.

LINGUA E STILE DI LUCREZIO


Per giudicarne lo stile, bisogna tenere a mente i presupposti dell’opera di Lucrezio:
tensione dimostrativa e intento di persuadere il lettore.

Frequenti inviti all’attenzione del lettore: l’inserimento di termini tecnici della fisica
epicurea sempre fissi e la ripetizione dei nessi logici consentono al lettore di orientarsi
meglio nella narrazione e di prendere familiarità con il linguaggio.

“Patrii sermoni egestas”: il vocabolario della lingua latina è molto povero, manca di
lemmi che possono rendere bene concetti astratti o filosofici. In funzione di questa
mancanza:

- Sono introdotte nuove perifrasi, nuove coniazioni, calchi diretti dal greco.

- Viene sfruttata la lingua poetica arcaica sul modello di Ennio (sostantivi, aggettivi e
avverbi composti).

- Si riscontra, in generale, una vivacissima concretezza dell’espressione: evidenza e


vivacità descrittiva, similitudini, visibilità e percettibilità degli oggetti descritti con
immagini ed esempi esplicativi, corporalità dell’immaginario. Dal limite della lingua si
passa all’assoluta potenzialità stilistica: risvolto emozionale di un discorso
intellettuale.

Di tradizione enniana sono anche gli effetti fonici propri del gusto espressionistico e
patetico dell’arcaicità: frequenti allitterazioni, assonanze, costrutti particolari. Il tutto
contribuisce ad un’elevazione del tono del discorso.

Caratteristiche linguistiche come: infiniti passivi in -ier, desinenza disillabica di genitivo

singolare della prima declinazione in -ai.

L’esametro di Lucrezio è però molto diverso da quello arcaico, e tende a seguire lo


sviluppo prosastico utile all’argomentazione e alla comprensione lineare del contenuto:
piuttosto che ricercare un ordine chiuso e chiastico, spezzato attraverso frequenti
enjambement, Lucrezio compone il verso di due parti quasi equivalenti.

Chiara è la ripresa dello stile e dei riferimenti della letteratura greca: profonda
conoscenza di Omero, di Platone, di Eschilo (rif. al sacrificio di Ifigenia), di Euripide (rif.
al Crisippo). Allusioni a Tucidide per la peste di Atene, a Callimaco per la ricerca degli
aitia.


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LA POESIA NEOTERICA
Nel I secolo a.C. inizia ad affermarsi una nuova generazione di poeti, in forte rottura con la
tradizione nazionale: imposizione di un rinnovamento del gusto letterario e della tradizione
nazionale. Questa tendenza è da considerarsi il riflesso spontaneo alle grandi conquiste
del II secolo e al processo di ellenizzazione delle classi aristocratiche romane.

Il fenomeno che dà vita alla poesia neoterica è graduale: si inizia a percepire l’esigenza di
una poesia di tono leggero e di dimensioni ridotte, destinata al consumo privato.

Nasce in questo modo la LA POESIA NUGATORIA: semplice intrattenimento che scaturisce


dall’otium, che in questa fase non è totale ma di passatempo, da abbinare comunque alla vita
politica e all’impegno del civis militare. Manifestazione dell’esigenza dei sentimenti privati,
come l’amore, e della ricerca di elaborazione formale.

Principali esponenti di questa corrente sono Lutazio Catulo e il suo gruppo di letterati,

non raccolti in una scuola ma semplicemente accomunati da gusti e orientamenti

letterari: Porcio Lìcino e Valerio Edituo. Si possono aggiungere a loro anche i

contributi di Volcacio Sedìgito e di Levio (personaggio cerniera con i veri neoterici).

La differenza principale con la poesia propriamente neoterica è la consapevolezza che


possiede quest’ultima e lo scarto netto che introduce rispetto alla tradizione.

Questi poeti vengono chiamati da Cicerone POETAE NOVI (o neòteroi), per sottolinearne
in modo sprezzante le tendenze innovatrici. Sono da lui definiti anche cantores
Euphorionis, dal nome del poeta Euforione di Calcide, emblema della poetica
alessandrina per la densità e l’erudizione dei suoi versi.

Pur essendo accomunati da gusti letterari e da un nuovo stile di vita, non compongono un
circolo: essendo tutti provenienti dalla Gallia Cisalpina sicuramente si incontrano per
discutere di poesia e per la loro attività critico-filologica, ma non si riuniscono sotto una
scuola.

Si verifica un lento ma progressivo indebolimento dei valori e delle forme della tradizione
a favore di nuove esigenze, dettate dall’affinarsi del gusto e della sensibilità. Legame
strettissimo con la poesia alessandrina, soprattutto di Callimaco, da cui vengono ripresi:

- Il gusto per la contaminazione tra i generi;

- L’interesse per la sperimentazione metrica;

- La ricerca di un lessico e di uno stile sofisticati (ars + brevitas = labor limae)

- Il carattere disimpegnato della loro poesia.

Per i neoterici l’OTIUM e i piaceri che ne derivano compongono il centro dell’esistenza e


sono ritenuti valori assoluti, ragioni esclusive. È un riflesso del crescente disinteresse per
la vita attiva al servizio dello Stato e dell’affermarsi dell’esigenza del tempo libero,
dedicato alle lettere. Si tratta, prima di tutto, di una rivolta di carattere etico, che mette in
crisi i valori del mos maiorum.

L’input è lo stesso che interessa l’epicureismo, ma c’è una differenza fondamentale tra le
tendenze, riguardo la concezione del PIACERE: mentre gli epicurei aspirano all’atarassìa
e condannano la passione carnale, i neoterici considerano l’AMORE come sentimento
centrale della vita (è anche il tema privilegiato della loro poesia.

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Tra i poeti neoterici ricordiamo:

- Valerio Catone, che riporta a Roma la tradizione dei critici-filologi alessandrini e compone
delle opere poetiche di carattere erotico.

- Marco Furio Bibaculo, che compone epigrammi contro Augusto ed epigrammi


affettuosamente ironici sull’amico V. Catone.

- Publio Terenzio Varrone Atacino, che scrive la Leucadia, dal nome della donna amata,
componimento erotico latino tra i meglio riusciti e le Argonautae, libera traduzione in
esametri dell’opera di Apollonio Rodio.

- Elvio Cinna, amico di Catullo e partecipe della spedizione in Bitinia del 57 a.C. Scrive la
Zmyrna: storia dell’amore incestuoso di Mirra per il padre, epigramma apprezzato molto
da Catullo, che doveva contenere una quantità incredibile di riferimenti dotti perché serviva
un commento per la comprensione.

- Licinio Calvo, oratore e poeta romano. Scrive un epicedio per la morte della moglie
Quintilia e un esilio sulla storia dell’eroina Io, amata da Giove e perseguitata da Giunone,
che la trasforma in giovenca. Grande virtuosismo ricordato da Virgilio. 

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CATULLO
Nome che si associa immediatamente alla poesia neoterica: prova di un diverso stile di
vita, apprezzamento dell’otium come piccolo universo privato in cui dedicarsi alla cultura,
alla poesia, alle amicizie e all’amore.

Sulla sua biografia ci informano i suoi stessi carmi, e qualche fonte sporadica esterna:

• Catullo nasce a Verona, in Gallia Cisalpina, da una famiglia agiata. Sulla data sono
dibattuti gli anni dall’87 a.C. all’84 a.C., mentre la morte si dovrebbe collocare, secondo
Girolamo, 30 anni dopo: 55-54 a.C.
Era sicuramente di famiglia agiata perché Svetonio, nella Vita di Cesare, dice che questo

frequenta la casa dei genitori di Catullo.

• Non sappiamo quando, ma arriva a Roma: è in contatto con i leader politici e i poeti più
importanti del tempo: Ortensio Ortalo, Cinna, Calvo, Cornelio Nepote, Gaio Memmio.

• Ha una relazione con Lesbia, pseudonimo per Clodia (cfr. Apuleio), sorella del tribuno
Clodio, moglie di Quinto Cecilio Metello e probabilmente amante di Marco Celio Rufo
(cfr. Pro Caelio di Cicerone).

• Nel 57 a.C. si reca in Bitinia per un anno insieme al governatore Gaio Memmio, e visita
la tomba del fratello, morto e sepolto nella Troade (da cui il carme 101).

LA FORTUNA DI CATULLO
ROMANITÀ:

- Successo vasto e immediato soprattutto sui poeti augustei elegiaci, che riconoscevano il suo
ruolo di pioniere nella poesia d’amore in lingua latina. Ripreso da Virgilio (Enea e Didone), da
Ovidio (Arianna nelle Heroides).

- Ammirato e imitato anche in età imperiale, soprattutto da Marziale e da Plinio il Giovane.

- Dal II secolo non abbiamo più prove della circolazione del testo nella sua interezza.

UMANESIMO: ritrovamento del testo nel XIII secolo, amato da Petrarca e dai primi poeti

umanisti.

1500-1600: selezione molto ristretta dei testi di Catullo. Alcuni hanno moltissimo successo e

vengono studiati o imitati, mentre gli altri rimangono pressoché sconosciuti. Fama

assoluta dell’Odi et amo ripreso da Shakespeare, del carme 5 ripreso da Marlowe

e dell’idillio pastorale per Lesbia (carme 2).

1700-1800: nuovi estimatori di Catullo che riescono a scardinarsi dalla selezione delle opere

canonica, soprattutto Leopardi e Foscolo (che traduce La chioma di Berenice e

riprende il carme 101 con il sonetto In morte del fratello Giovanni). Pascoli omaggia

l’autore con un poemetto in latino in suo onore (Catullocalvos).

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LIBER
L’opera è dedicata a Cornelio Nepote: il suo contesto è quello dell’ambiente mondano di
Roma, dove l’autore si era legato a una cerchia di amici neoterici con cui condivideva gli
ideali di lepos, venustas e urbanitas. Si tratta comunque di un prodotto letterario di
veste stilistica e fattura formale di alto livello, adeguato a dialogare con personaggi
importanti.

Si tratta di una raccolta generale dei carmi di Catullo: in tutto sono 116, ma formalmente
quelli attribuibili all’autore sono 133 (vanno sottratti 3 carmi priapei spuri, inseriti nel
manoscritto da Mureto -umanista del 1500 francese-, ed esclusi da Lachmann del 1800).

La questione della composizione è controversa: probabilmente noi leggiamo una raccolta


parziale dell’opera che Catullo intitolava Libellus, perché abbiamo frammenti di carmi che
non risultano nella moderna composizione e che probabilmente sono perduti.

La suddivisione è quindi sommaria e fa riferimento a tre sezioni, divise in base metrica:

NUGAE (1-60)

Si tratta di componimenti brevi e di carattere leggero, da cui il titolo “bagatelle” o


“passatempi”, chiamati così dall’autore con falsa modestia. Costituiscono il vero esempio
della poesia intima e privata, di breve estensione e modestia nei contenuti: si parla di
affetti, amicizie, odi e passioni.

L’occasionalità dei temi dà un’impressione di immediatezza della vita riflessa, anche se


all’apparente spontaneità va contrapposta la ricercatezza formale, che contiene un ricco
patrimonio di dottrina (ci sono risonanze letterarie più o meno dissimulate).

Carme 2: idillio pastorale per Lesbia, il cui contenuto trasmette un senso di immediatezza,

ma la cui forma è compresa in una solida struttura fatta di richiami simmetrici e

sobrietà delle parti.

Carme 5: il più celebre dei “carmi dei baci” ha una struttura che contiene un abile gioco di

antitesi e di richiami simmetrici, anche se le parole vogliono suggerire dettate dalla

passione immediata per la donna.

Carme 8: anche in questo caso l’infelicità di Catullo per la situazione in cui si trova è

intervallato da rassegnazione contrapposta a ricordi dolci e illusi.

Anche se la biografia dell’autore è molto influente nel caso della poesia neoterica bisogna
sottrarsi al rischio di ricercare, nella struttura di questa sezione, una linea guida per
ricostruire la storia d’amore tra i due.

METRO molto vario (polimetro): endecasillabi faleci, trimetri giambici, scazonti, strofe

saffiche.
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IL MOTIVO DELL’AMORE PER LESBIA


Il senhal di Lesbia rievoca Saffo (poetessa lirica greca di Lesbo): già si presuppone un
forte alone idealizzante. La donna è l’incarnazione della devastante potenza dell’EROS:
Catullo ne ammira, oltre alla grazia e alla bellezza, anche l’intelligenza, la cultura, lo
spirito brillante e i modi raffinati.

L’amore, per Catullo, dà un senso all’esistenza ed è il centro della vita, il valore primario
capace di risarcire la fugacità della vita umana e di darle un senso. L’autore incanala qui
tutto il suo impegno, sottraendosi ai doveri e agli interessi propri del civis romano.

L’esperienza amorosa nasce come adulterio, come rapporto libero e basato sulla
passione, ed è poi scandito da continue gioie, sofferenze, tradimenti, abbandoni,
rimpianti, speranze e disinganni.

Nonostante questo, Catullo aspira ad un rapporto tenace come un vincolo matrimoniale,


facendo spesso riferimento alla fedeltà coniugale (nuptiae). Ci sono continue
recriminazione per la rottura del foedus amoroso, non rispettato da Lesbia, che arriva
ad assumere un carattere quasi sacrale. Il tradimento è un segno di:

- mancanza di fides (che garantisce il patto stipulato vincolando moralmente i


contraenti)

- mancanza di pietas (virtù di chi assolve ai suoi doveri nei confronti degli altri,
soprattutto se consanguinei, e della divinità.

Presa consapevolezza di questo tradimento, Catullo produce una dolorosa


dissociazione tra la componente sensuale che continua suo malgrado a provare (amare)
e la componente affettiva, che comprende stima e rispetto (bene velle), e che scompare
completamente.

Prodotti di tale dissociazione sono il Carme 72 e il Carme 85 (Odi et amo).

L’unico conforto per l’amante è la consapevolezza di non aver mai mancato al foedus
d’amore nei confronti dell’amata (vedi Carme 76): la certezza della propria innocenza è
l’unica soddisfazione che Catullo trae dal rapporto con la donna.

14

CARMINA DOCTA (61-68)

Gruppo molto eterogeneo, pochi componimenti ma di maggior estensione cura formale.


Catullo si ispira apertamente alla poesia alessandrina, richiamando i principi di lepidus,
novus ed expolitus nel carme dedicatorio.

Manifesto di questo nuovo gusto letterario è il Carme 95, dedicato all’opera

dell’amico Cinna: la Zmyrna.

METRO vario: galliambo, gliconei, ferecratei, esametri, pentametri.

Come Callimaco si era schierato contro la poesia omerica delle lunghissime narrazioni
epiche, così Catullo e i neoterici si scagliano contro la poesia enniana. I principi che
contrappongono sono ancora quelli di BREVITÀ, ELEGANZA e DOTTRINA.

Catullo espone questi concetti, insieme ai temi principali della sua poesia

(amicizia | amore | attività poetica a Roma | dolore per il lutto del fratello)

nel Carme 68 [non sappiamo se fosse unico come tramandato o diviso]:

Coglie l’occasione, quando ricorda i primi amori con Lesbia, di immedesimarsi nel mito di
Protesilao e Laodamìa, che si erano uniti prima del matrimonio e vengono puniti con la
morte di lui appena sbarcato a Troia: unione imperfetta e precaria simbolo del suo amore
con Lesbia.

È ritenuto fondamentale per l’influsso che avrà nella storia della letteratura latina:

viene considerato il progenitore della futura elegia soggettiva latina.

Catullo si richiama direttamente alla tradizione callimachea mediante la traduzione di una


delle sue elegie più famose, che doveva far parte del libro IV degli Aitia e che noi abbiamo
in forma molto frammentaria: CHIOMA DI BERENICE - Carme 66

Celebrazione del lavoro di Conone, astronomo alla corte di Tolomeo III Evèrgete, re
d’Egitto: aveva scoperto una nuova costellazione identificandola con il ricciolo offerto
come ex voto per il ritorno del marito dalla guerra da parte della regina Berenice, che
successivamente era scomparso.

Catullo coglie l’occasione per introdurre ancora una volta i temi centrali della sua
ideologia: insistenza sui principi della fides, della pietas, della condanna dell’adulterio in
favore dei valori tradizionali e delle virtù eroiche.

Catullo allega alla traduzione anche delle note: Carme 65 in distici, dedicato

all’amico Ortensio Ortalo, con il quale si scusa per non aver scritto un carme

giustificandosi con la poca creatività poetica dopo la morte del fratello.

15

Il tipo di componimento che risponde perfettamente ai criteri neoterici è l’EPILLIO.

Poemetto di poche centinaia di versi in cui un autore sceglie di raccontare

una versione, spesso non tradizionale, di un mito.

Le dimensioni ridotte permettono all’autore di ricercare la massima elaborazione

stilistica, di concentrarsi su asciuttezza e pregnanza del significato, e di far

sfoggio della sua preziosa dottrina.

Carme 64
Catullo sperimenta il genere dell’epillio raccontando le NOZZE DI PELEO E TETI.

Mediante una ekphrasis, l’autore riesce poi ad incastonare un’altra storia, descrivendo i
disegni ricamati sulla coperta nuziale degli sposi: mito di TESEO E ARIANNA.

Teseo che abbandona Arianna sull’isola di Nasso, a cui segue il lamento di lei, fornisce a
Catullo l’occasione per una digressione sul tema della fides: nel racconto principale,
ambientato nell’età antica degli eroi, la fides era ancora una virtù cardinale del mondo
etico, mentre la seconda vicenda prova come l’età contemporanea sia corrotta e ogni
sorta di valore sia violato.

Profondo parallelismo tra il lamento di Arianna (che chiama Teseo perfidus) e il

canto profetico delle Parche, che saluta le nozze degli innamorati esaltandone la

reciproca fedeltà.

Il mito riesce a farsi proiezione e simbolo delle ambizioni del poeta: sente il bisogno
perennemente inappagato di legare il suo amore ad un foedus duraturo.

Carme 63
Catullo si ispira alla vicenda del giovane frigio ATTIS, che nel delirio religioso si taglia il
cazzo per farsi sacerdote di Cibele (lol???), madre degli dei. Una volta libero
dall’invasamento lamenta il gesto folle.

Il componimento non è in esametri ma in galliambi: metro canonico usato per esprimere


la frenesia orgiastica del culto di Cibele.

Un altro genere di derivazione greca che ripropone Catullo è l’EPITALAMO.

Si tratta di canti nuziali praticati in ambito greco da Saffo fino all’età


alessandrina. Spesso erano scritti in occasione di vere e proprie nozze.

Catullo riprende la tradizione e la amplia, sia per quanto riguarda i contenuti, che vengono
romanizzati con l’inserimento di tradizioni tipicamente italiche, sia per il rito nuziale vero e
proprio e per il significato che questo aveva sul piano etico-sociale.

Carme 61
Composto in occasione delle nozze di due giovani romani. Si immagina cantato durante
la deductio: processione che accompagnava la sposa. Dopo l’inno al dio del matrimonio,
Imeneo, lo sposo invita la donna a lasciare la casa paterna per trasferirsi nella sua.

Carme 62
16
Non è composto per un matrimonio vero e proprio: si tratta di strofe in esametri che
vengono cantati alternativamente da giovani e fanciulle sul tema dell’amore e della
verginità. Maggiore adesione formale al modello greco.

EPIGRAMMI (69-116)

L’ultima sezione comprende carmi generalmente brevi.

In origine l’epigramma era un piccolo componimento poetico principalmente sepolcrale,


scritto su tombe/offerte votive/monumenti e aveva la funzione di fornire le notizie
fondamentali per il riconoscimento dell’oggetto stesso. Con il tempo il significato e
l’occasionalità di questi componimenti si ampliano, fino ad arrivare alla loro massima
espressione in età ellenistica (con Callimaco e Teocrito). Nascono gli epigrammi votivi,
epidittici, erotici, scommatici. Sono di metro vario: soprattutto esametri o distici elegiaci.

METRO: distici elegiaci.

LINGUA E STILE DI CATULLO


Catullo costruisce uno stile personalissimo, in cui accosta l’influsso della poesia
alessandrina alle movenze dei lirici greci arcaici, come Saffo e Archiloco.

Combinazione di linguaggio letterario e di sermo famliaris: impressione di una lingua


composita e sempre vitale, con un’ampia gamma di modalità espressive e che non
trascura mai il principio del lepos =

il lessico del parlato viene assorbito e filtrato da un gusto aristocratico capace di


raffinarlo ed impreziosirlo, ma senza rinunciare alle sue capacità espressive.

I volgarissimi non vanno intesi come un tratto di lingua autenticamente popolare, ma


come intenzione di un’élite che vuole esibire il turpiloquio in contrasto con l’erudizione.

In generale la sezione dei Carmina Docta filtra di più il linguaggio popolare, ma non lo
abbandona mai del tutto in favore di quello aulico.
17

VIRGILIO
Nessuna presentazione necessaria: Virgilio lascia alla cultura europea un’eredità
incommensurabile, rivoluzionando i generi poetici e fissandoli nelle loro forme classiche.

Sulla sua biografia abbiamo notizie provenienti da:

- Testimonianze provenienti dai testi autentici;

- Poesia attribuita alla produzione giovanile del poeta, raccolta nell’Appendix Vergiliana (quinta
del Catalepton);

- Vitae tardoantiche e medievali tra cui quella di Elio Donato (le cui fonti possono provenire da
Svetonio);

- Un commentario di Servio sull’Eneide, che contiene però anche informazioni storiche (dubbie).

• Publio Virgilio Marone nasce a Mantova il 15 ottobre del 70 a.C., da una famiglia di
piccoli proprietari terrieri. Nel periodo della sua educazione frequenta sicuramente gli
ambienti di Roma e Napoli, dove potrebbe esser entrato nella scuola epicurea di Sirone.

• La prima opera che compone sono sicuramente le Bucoliche, che si ricollegano a una
notizia biografica incerta: riferimenti alle confische di territori del Mantovano del 41 a.C.,
per ricompensare i veterani della battaglia di Filippi. Si verificano gravi disordini di cui
forse anche la famiglia di Virgilio è vittima. Sappiamo che il poeta riesce a riacquisire i
territori perduti, ma non sappiamo ad opera di chi.

Forse interviene già Ottaviano, forse Asinio Pollione (che in questo periodo

sembra protettore di Virgilio), forse altri membri dell’élite romana coinvolti

nell’amministrazione della Transpadania, come Cornelio Gallo o Alfeno Varo.

• Dopo la pubblicazione delle Bucoliche Virgilio entra a far parte del circolo di Mecenate,
insieme ad Orazio. In anni di forte incertezza politica, fino al 31 a.C., si dedica alla
composizione delle Georgiche, stabilendosi nella campagna campana. Ottaviano si fa
leggere il poema quando torna vincitore dall’Oriente (29 a.C.).

• Da questo momento in poi viene completamente assorbito dalla composizione


dell’Eneide, di cui Augusto segue con grande interesse lo sviluppo. Legge in
declamazioni private alcune parti del poema, ma muore prima di completarlo, in seguito
a un viaggio in Grecia (21 settembre del 19 a.C.), e viene sepolto a Napoli.

Il testo dell’Eneide viene pubblicato postumo contro la volontà dell’autore: Augusto

lo salva e lo affida alla revisione di Vario Rufo, amico e collaboratore del poeta.

Non conosciamo la portata dei ritocchi, ma sicuramente non furono

particolarmente rilevanti. Fortuna dell’opera immediata e consacrante.

18

LA FORTUNA DI VIRGILIO
ROMANITÀ:

- Già in vita è un personaggio popolare, ritenuto “il più dotato poeta romano ;)”.

- Dopo la pubblicazione dell’Eneide, postuma, si verifica l’attività dei suoi detrattori a scrivere
delle “fruste” di Virgilio: ricostruzione dei furta del poeta: frasi e concetti ripresi da poeti sia
greci che latini. Tutto ciò da una part consacra la fama di Virgilio, dall’altra fornisce un
prezioso contributo allo sviluppo della filologia latina.

- Virgilio diventa subito il “classico” di Roma: fama senza precedenti. I suoi testi diventano
scolastici, grammatici come Giulio Igino ne ricostruiscono dettagli antiquari, poeti come
Petronio imbastiscono delle variazioni (da questa pratica comune nasce l’Appendix).

- Viene ammirato e idolatrato da poeti come Stazio e da Silio Italico (che addirittura compra il
terreno dove era stato sepolto).

- Il gusto arcaizzante del II secolo non cambia la fama dell’autore: continua ad essere letto e
studiato. Valerio Probo getta i fondamenti dell’esegesi virgiliana (nascono veri e propri
commentari sulla sua opera). Macrobio scrive su di lui delle dissertazioni, comprese nei
Saturnalia.

CRISTIANESIMO: altissima considerazione dell’autore da parte di Girolamo ed Agostino.

Virgilio viene reinterpretato in ottica religiosa per il fenomeno di

assimilazione dell’antica cultura pagana. Il tentativo più famoso è quello di

reinterpretazione della IV ecloga, riletta come simbolico annuncio

dell’avvento del Redentore sulla terra.


MEDIOEVO: Virgilio considerato come un sapiente, un mago, un profeta, un santo. Tutte le

opere vengono filtrate attraverso le allegorie religiose.

UMANESIMO: canone di poesia indiscusso da Dante a Tasso: ovunque si faccia poesia epica

viene ritenuto il precedente fondamentale, anche nei nuovi modelli di epica

mitologica, cavalleresca e filosofica.

1500-1600: quando viene riscoperto Omero il confronto è inevitabile e si svolge tutto in favore

dell’autore latino.

ROMANTICISMO: inversione della tendenza a favore della cultura greca. Virgilio non perde

comunque la sua importanza scolastica: il suo influsso sulle generazioni di

poeti moderni è stabile.

1900: nel contesto dei regimi nazionalisti europei Virgilio ha anche connotazioni negative:

riferimento per il culto dello stato e per le idee imperialistiche che mettevano a confronto

il regno di Augusto con il fascismo o il nazismo.

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BUCOLICA CARMINA
Si tratta di dieci brevi componimenti in esametri, composti tra il 42 e il 39 a.C.
Il titolo fa riferimento al greco e si traduce con “Canti dei bovari”: poesia che evoca uno
sfondo rustico in cui i personaggi sono messi in scena come attori e poeti. L’opera viene
conosciuta anche con il nome di ECLOGAE (“poemetti scelti”).

L’opera si caratterizza per un’attentissima suddivisione interna. La complessità


dell’architettura è tenuta insieme da molteplici richiami interni e parallelismi tra i vari libri:

ECLOGA I = Dialogo tra i pastori Tìtiro e Melibèo, soggetti ad un contrasto di destini: il

secondo deve partire a causa delle confische dei territori e vagherà

lontano, mentre il primo può restare e vivere una vita tranquilla, anche

grazie all’aiuto di un giovane di natura divina.

ECLOGA II = Lamento d’amore del pastore Coridone per il giovane Alessi.

ECLOGA III = Tenzone poetica tra i pastori (in amebèi).

ECLOGA IV = Canto profetico per la nascita di un fanciullo che vedrà l’età dell’oro.

ECLOGA V = Lamento per la morte di Dafni, eroe che viene assunto tra gli dei dopo che

si è lasciato morire per amore.

ECLOGA VI = DICHIARAZIONE DI POETICA: rivendicazione dell’originalità dell’opera

Il vecchio Sileno viene catturato da due giovani e canta l’origine del mondo

e il catalogo dei miti: consacrazione poetica di Cornelio Gallo.

ECLOGA VII = Melibeo racconta la gara di canto di due pastori-poeti (Tirsi e Coidone).

ECLOGA VIII = Gara di canto dedicata ad Asinio Pollione, in cui si cantano di due storie

d’amore infelici (lamento di Damone e pratiche magiche di una donna

innamorata).

ECLOGA IX = Dialogo tra due pastori-poeti e richiami alla realtà delle espropriazioni nella

campagna mantovana dopo le guerre civili.

ECLOGA X = Virgilio cerca di confortare l’amico Cornelio Gallo (poeta elegiaco), che

soffre per amore.

LA POESIA PASTORALE GRECA: TEOCRITO


Costituisce sicuramente un modello per Virgilio, anche se al tempo era tra i poeti
alessandrini meno apprezzati. Forse anche la decisione di dividere le Bucoliche in 10
ecloghe deriva dalla volontà di riprendere la raccolta dei 10 idilli del poeta greco.

Il mondo pastorale di Teocrito consiste nella rievocazione nostalgica di un passato


pastorale, rarefatto. Temi importanti sono trattati in modo semplice ed estraniato. Anche
la lingua dorica distanzia i contenuti trattati dalla contemporaneità.

Virgilio rilegge Teocrito in un modo che va aldilà della prassi dell’emulatio: entra dentro
la stessa mentalità, trattando per la prima volta il testo greco come un classico da
reinterpretare.

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Da un certo punto di vista, Virgilio trova lo spazio per distaccarsi dal modello e scegliere
orizzonti diversi dai suoi. Caratteristica della poesia teocritea era infatti la poikilìa
(varietas) di temi, ambienti e situazioni. Virgilio sfrutta tali aperture ma si concentra molto
di più sull’analisi del mondo pastorale (remoto e ideale) e riduce i confini del genere
idillico.

L’ambientazione si amplia comprendendo alcune zone del paesaggio italico, familiare al


poeta. In alcune sezioni dell’opera l’esperienza autobiografica è fondamentale: il
dramma dei pastori esuli aveva colpito il poeta in prima persona.

Alcuni critici hanno voluto identificare l’autore nel personaggio di Titiro, alludendo

alle confische dei territori del mantovano (I)

L’atmosfera delle bucoliche è triste e malinconica: qui si inseriscono i personaggi, che


diventano quasi teneri: non si rendono conto del mondo esterno, sono pastori primitivi,
molto lontani dalla città e dagli eventi della storia, che sono spaventosi.

Virgilio fa riferimento a dei temi contemporanei (I, IX) senza usare allegorie.

Rilettura molto originale del periodo delle guerre civili.

L’esempio più eclatante è quello dell’ecloga IV: riferimento ad un puer che sta

arrivando per salvare la situazione. C’è da considerare l’influsso che potevano aver

avuto le poesie in onore di nascite e matrimoni di questo periodo, oltre alle dottrine

messianiche, che prevedevano l’arrivo di un salvatore. Ipotesi su chi possa essere:

- Gesù Cristo (sicuramente sbagliata non spiego perché, lol)

- Un possibile figlio di Antonio e della figlia di Ottaviano, che si erano sposati


nel 40 a.C. (anno del consolato di Asinio Pollione) per suggellare un patto di
potere (che chiaramente non va a buon fine).

Altri casi in cui gli orizzonti del genere si ampliano sono con le ecloghe: VI (il canto del
Sileno spazia dalla mitologia alla cosmologia, omaggiando Cornelio Gallo) e X (Gallo
torna come emblema della poesia elegiaca latina, e Virgilio propone una precisazione
delle differenze tra elegia e poesia bucolica).

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GEORGICA CARMINA
Virgilio inizia a comporre le Georgiche dopo esser entrato nel circolo di Mecenate (38
a.C.): di qui in poi l’influenza del protettore e di Ottaviano è evidente e decisiva.

Ha un tempo di gestazione lunghissimo, di oltre dieci anni, necessario per il lavoro molto
meticoloso dell’autore, che prevedeva una fase di studio (Omero, greci, poesia
alessandrina | Lucrezio, Catullo | fonti tecniche in prosa | trattatista filosofica) e poi una
fase di elaborazione formale molto precisa.

Questo lungo lasso di tempo è denunciato anche dai riferimenti alle situazioni politiche
contemporanee: all’inizio Ottaviano è solo una speranza nel caos delle guerre civili, alla fine
Ottaviano è la salvezza.

Ci sono forti dubbi sulla data di circolazione -e poi di pubblicazione- dell’opera definitiva.

- È probabile che l’opera fosse pronta per il 29 a.C.: Ottaviano, vincitore in Oriente si
sarebbe fermato presso la residenza di Virgilio per una declamazione privata del testo
finito.

- Servio ci propone un’altra versione: Virgilio avrebbe rimaneggiato l’opera dopo il 26


a.C., sostituendo come conclusione del libro IV le lodi di Cornelio Gallo (morto suicida
in quell’anno poiché caduto in disgrazia presso Augusto) con la storia di Aristeo.

In realtà, vista l’estensione (200 vv.), la coerenza delle vicende di Aristeo con il

resto dell’opera, e la sua indispensabilità per la coesione della chiusa del IV libro, è

possibile che la notizia di Servio sia falsata.

POEMA DIDASCALICO
POESIA DIDASCALICA ELLENISTICA LUCREZIO
Virgilio condivide principalmente:
Lucrezio è per Virgilio il precedente più
• il gusto per le cose tenui, la capacità di vicino, sia nel tempo sia per il contenuto
fare oggetto di poesia ciò che delle loro opere. I loro messaggi di
normalmente non lo è = TENUI LABOR salvazione e saggezza non creano un
(pònos leptòn)
contrasto diretto, ma si misurano tra di
• il labor limae.
loro:

entrambi hanno una visione chiara del


Si distacca invece:

destinatario a cui parlano.

dalla tendenza a trasformare scienza e


tecnica in poesia, sfidandosi attraverso per entrambi, anche se in modi diversi
una cura formale e tralasciando il (filosofia epicurea | responsabilità civile),
contenuto, appunto, didascalico.
si tratta di una poesia fortemente
impegnata.

dalla mancanza di un destinatario a cui


appellarsi. la poesia deve rispondere alla crisi
sociale e culturale dello Stato: necessità
di autosufficienza materiale e spirituale
(sapiens | agricola)

• Virgilio comprende nella narrazione


anche la religione tradizionale, Lucrezio
la demonizza.
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Il titolo scelto da Virgilio già fornisce un’idea del contenuto (georgica carmina = canti sulla
vita dei campi): il poema didascalico tratta della vita agreste in quattro libri di esametri.

Ognuno di essi ha piena autonomia tematica, sono collegati su un piano complessivo e


uniti da un’architettura formale molto regolare e simmetrica:

DINAMISMO DEL CONTENUTO | EQUILIBRIO DELLA FORMA

Il contenuto dei libri segue una climax discendente rispetto alla fatica umana: la natura
diventa sempre più protagonista. Alla fatica dell’aratore viene contrapposta quella delle
api, che però è anche l’operosità animale che si avvicina di più a quella dell’uomo.

Ogni libro è dotato di un proemio e di una digressione conclusiva, che si richiamano a


vicenda.

LIBRO I LIBRO II

PROEMIO
Lungo e difficile: lode di Ottaviano Breve e introduttivo

TEMA
Coltivazione dei campi Arboricultura
DIGRESSIONE
Guerre civili Lode della vita agreste

LIBRO III LIBRO IV

PROEMIO
Lungo e difficile: esposizione del Breve e introduttivo
progetto di Eneide

TEMA
Allevamento del bestiame Apicoltura

DIGRESSIONE
Peste degli animali nel Nòrico Aristeo e le api

Gli scenari apocalittici delle L’effetto rasserenante delle digressioni


digressioni si richiamano a specchio: contrasta con quelle precedenti: la vita
gli orrori della storia corrispondono ai campestre si oppone allo scenario delle
disastri della natura. guerre, le api di Aristeo rinascono dopo la
pestilenza.

L’opera, nonostante l’architettura omogenea, richiama perfettamente anche i contrasti e


le incertezze inevitabili per l’epoca delle guerre civili:

La fatica dell’uomo è inviata dalla provvidenza divina per una sorta di necessità cosmica
MA l’ideale del contadino si richiama all’età dell’oro, quando la Natura provvedeva a tutto
e l’uomo non aveva bisogno di lavorare.

La fatica del contadino italico ha portato alla grandezza di Roma, MA Roma è anche la
città dove si svolgono degenerazioni e conflitti, all’opposto dell’ideale georgico.

Questi contrasti sono esemplificati nell’ultima digressione: Aristeo riesce a salvare il suo
sciame, ma è responsabile della morte di Euridice e dell’infelicità di Orfeo.

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La digressione finale del IV libro è un àition alla maniera alessandrina, è la spiegazione di
un fatto straordinario, la bugonia, pretesto per lasciare un grande insegnamento morale e
di comportamento.

ARISTEO E LE API
Aristeo è un apicoltore che, improvvisamente, perde tutte le sue api.

Per scoprire il motivo dell’accaduto si reca da Proteo, dio marino dai poteri profetici: la
sua disgrazia è diretta conseguenza di ciò che è successo ad

ORFEO ED EURIDICE
Aristeo si era invaghito della ninfa, l’aveva ricorsa nei boschi e questa, per
scappare, era stata morsa da un serpente. Venuto a sapere della sua morte
Orfeo, il suo promesso sposo, si era recato fin nell’Ade per stipulare un patto
con Plutone e riportarla in vita.

Orfeo riesce a salvare Euridice ma non deve guardarla prima di uscire


dall’Ade: disobbedisce al comando divino e perde di nuovo l’amata.

A questo punto Aristeo, padrone del suo destino, sceglie di seguire i consigli divini e
porre rimedio ai suoi sbagli: sacrifica dei buoi e da questi prenderanno vita delle nuove
api (fenomeno della bugonia).

Virgilio ricollega due miti abbastanza diversi tra di loro, ripensandoli entrambi e
collocandoli in una struttura a cornice. In questo è fondamentale l’esperienza della poesia
alessandrina e neoterica, in cui i racconti sono a incastro ma si richiamano attraverso dei
sottili parallelismi narrativi:

- Aristeo e Orfeo affrontano entrambi una serie di peripezie (il primo si cala dentro ad un
fiume, il secondo scende fino all’Ade);

- Entrambi i protagonisti lottano con la morte (Aristeo delle sue api, Orfeo della sua
amata).

Tuttavia, le loro storie hanno due finali opposti:

ORFEO non rispetta la prescrizione divina ARISTEO segue scrupolosamente i


e la sua impresa fallisce.
consigli e la sua missione ha successo.

La sua figura dimostra le grandi È un esempio della lotta positiva contro la


possibilità dell’uomo: con il suo canto natura, ma sempre nel rispetto dei precetti
può arrivare a dominare la natura, ma non divini e nell’ottica di un’accettazione
può mai sottrarsi alla forza della morte.
complessiva della condizione umana.

SIMBOLO DELLA POESIA ELEGIACA:


SIMBOLO DELLA POESIA DIDASCALICA

Tantissima forza comunicativa, ma sterile Simbolo del poeta vate Virgilio: lode della
e infruttuosa dal punto di vista del vita semplice e contadina.

contenuto, perché troppo individualistica. In un momento difficile è importante


Il canto d’amore è di una struggente mettere a disposizione una poesia utile,
bellezza poetica, ma incapace di incidere capace di rinnovare le speranze di una
sulla realtà del mondo e della storia. società straziata, desiderosa di pace.
24
È fondamentale comprendere il CONTESTO STORICO delle Georgiche per capire
l’opera: epoca straziata dalle GUERRE CIVILI, incerta per i continui rivolgimenti interni
allo Stato.

La figura di Ottaviano è molto evidente: si profila come l’unico salvatore possibile del
mondo dalla disgrazia delle guerre civili, l’unico capace di portare la pace.

Il princeps garantisce le condizioni di sicurezza e di prosperità al mondo contadino, così


che questo possa tornare ad una nuova età dell’oro.

È difficile vedere riferimenti al programma agricolo augusteo, la propaganda c’è ma ad un


livello più sottile, molto meno pratico. Virgilio aderisce a questo quando esalta il mito
nazionale sostenuto da Ottaviano: mette in luce l’Italia contadina e guerriera, i valori che
essa rappresenta in contrasto rispetto a quelli dell’Oriente (simboleggiati dal rivale
Antonio).

Italia come simbolo di fecondità, salubrità climatica, massima ospitalità per la vita:

sono tutti contenuti topici della LAUS ITALIAE augustea.

IN QUESTA OTTICA SI CONSIDERANO LE GEORGICHE COME PRIMO VERO


DOCUMENTO DELLA LETTERATURA LATINA NELL’ETÀ DEL PRINCIPATO

I dedicatari sono formalmente Augusto e Mecenate, che però entrano nell’opera come
figure divinizzate, sviluppo della tradizione ellenistica. Non sono interlocutori o destinatari
dell’opera, ma ispiratori dell’insegnamento.

In un parallelismo con Lucrezio, non sarebbero assimilabili a Memmio ma ad Epicuro.

La funzione di destinatario dell’opera è assunta dalla figura collettiva dell’agricola:


pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi, i problemi urbani e quelli della vita.

Virgilio consiglia al destinatario di comportarsi come Aristeo: eroe che impara e ubbidisce,
prototipo di vita che vorrebbe insegnare ai contemporanei.

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AENÈIS
HOMERUM IMITARI ET AUGUSTUM LAUDARE A PARENTIBUS
Epos storico-celebrativo che svolge la leggenda di Enea dall’ultimo giorno di Troia alla
vittoria nel Lazio, e alla fusione di Troiani e Latini in un unico popolo. È nel metro
caratteristico della poesia epica: esametro.

Probabile che già fosse forte l’aspettativa di un nuovo epos storico-celebrativo. Virgilio si
inserisce nella tradizione di Ennio, non nell’ottica di continuare il suo lavoro ma di
sostituirlo: offre al pubblico qualcosa di completamente inaspettato. A quel punto il
confronto è inevitabile con Omero.

I dodici libri in cui è divisa l’Eneide sono la risposta ai quarantotto libri dei poemi omerici.
È evidente la grande e molto precisa ripartizione strutturale, nulla è lasciato al caso.

Nell’opera possono esser riscontrate due sezioni di sei libri ciascuna, che riprendono il
contenuto dei poemi omerici ma ne rovesciano le fabulae e i contenuti.

Già Apollonio Rodio aveva contaminato le Argonautiche di sezioni narrative prese sia

da Iliade che da Odissea, e forse anche Nevio nel Bellum Poenicum.

METÀ ODISSIACA
VIAGGI DI ENEA DALLA TROADE VERSO L’IGNOTO

(molto diverso da quello di Odisseo, che tornava a casa)

LIBRO I
Giunone nutre ancora odio per quello che rimane dei Troiani: dopo esser scappato via
nave dalla città in fiamme, Enea viene sorpreso da una tempesta mandata dalla dea, che
lo costringe ad approdare in Africa, a Cartagine.

Accoglienza presso Didone, regina vedova della città fenicia, che gli chiede di narrare le
sue imprese nella guerra di Troia.

LIBRO II
Racconto di Enea: distruzione della città e fuga insieme al vecchio padre Anchise, al figlio
Ascanio e ai Penati (simbolo della continuità della stirpe). La moglie Creùsa non ce la fa.

LIBRO III
Racconto di Enea: partenza dalla Troade. Capiscono che li aspetta una nuova patria in
Occidente.

Morte del vecchio padre Anchise.

LIBRO IV
Storia dell’amore di Didone: viene fatta innamorare da Venere e Giunone attraverso un
inganno. Quando Giove lo sa, manda Mercurio a ricordare i suoi obblighi ad Enea.

Didone si uccide, maledicendo Enea e profetizzando eterno odio tra Cartagine e i


discendenti dei Troiani (guerre puniche).

LIBRO V
Tappa in Sicilia. Giochi funebri per Anchise.

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LIBRO VI
Tappa a Cuma, in Campania. Enea viene spinto a consultare la Sibilla, per guadagnare
l’accesso al mondo dei morti. Incontro con una serie di personaggi del suo passato:
Deìfobo (eroe troiano), Didone (morta per mano sua), Palinuro.

Quando incontra il padre Anchise, lui gli mostra anche il futuro: Enea vede gli eroi
discendenti dalla sua stirpe, tra cui tutti i condottieri che faranno la storia di Roma.

METÀ ILIADICA
GUERRA DI ENEA NEL LAZIO

(non è di distruzione com’era Troia nell’Iliade, ma finalizzata alla costruzione di una città)

LIBRO VII
Sbarco alla foce del Tevere: riconoscimento della terra promessa. Patto con il re Latino.

Intervento divino: Giunone lancia contro di loro il dio della discordia, Aletto. Amata
(moglie di Latino) e Turno (promesso sposo della figlia Lavinia) fomentano la guerra.

Rottura del patto con Enea, va in fumo il matrimonio tra questo e Lavinia (nuova Elena,
centro della discordia.

LIBRO VIII
Enea risale il Tevere e nel luogo dove sorgerà la città di Roma trova Evandro: re di una
piccola nazione di Arcadi che gli fornisce il suo supporto nella guerra. Insieme a Pallante
(figlio di Evandro) Enea trova una potente coalizione etrusca che si era ribellata a
Mezenzio, tiranno di Cere e alleato di Turno.

Enea ottiene, attraverso l’aiuto divino, un’armatura vulcanica. Il suo scudo è istoriato con
il futuro glorioso della storia di Roma.

LIBRO IX
Enea è assente e i Troiani stanno perdendo. I giovano Eurìalo e Niso si sacrificano ma non
serve a niente.

LIBRO X
Enea torna in campo e ribalta la situazione. Turno però uccide Pallante, e lo spoglia del
balteo, indossandolo a sua volta in segno della sua superba vittoria. Enea in cambio
uccide Mezenzio.

LIBRO XI
Dopo la prima vittoria Enea piange Pallante. Propone la pace ma Turno non accetta.
Quando si torna a combattere muore la vergine guerriera Camilla, di parte latina.

LIBRO XII
Turno deve accettare un duello decisivo con Enea. Giunone manda a monte anche
questo tentativo, attraverso la ninfa Giuturna.

La battaglia riprende e la vittoria dei Troiani è sicura: Giunone si riconcilia con Giove e
ottiene che nel nome del nuovo popolo non ci sia più traccia del contributo troiano.

Enea sconfigge Turno a duello: è indeciso se ucciderlo o meno, ma quando gli vede
addosso le armi dell’amico Pallante lo trafigge.

27
Il precedente omerico può essere inteso in diverse direzioni:

Virgilio come CONTINUAZIONE di Omero (secondo l’esperienza dell’epos ciclico):


seguito di Iliade con la narrazione dettagliata dell’ultima notte di Troia (I, II) e narrazione
delle vicende di Odisseo (III).

Virgilio come RIPETIZIONE di Omero: guerra nel Lazio come ripetizione di quella di
Troia (uccisione di Turno da parte di Enea come ripetizione di quella di Ettore da parte
di Achille), viaggio dalla Troade al Tevere come ripetizione dei viaggi di Odisseo.

Non è un rispecchiamento passivo: nell’Eneide i vincitori sono Troiani e le vicende

sono ribaltate.

Virgilio come SUPERAMENTO di Omero: la guerra non porta alla distruzione ma alla
costruzione di una nuova unità. Virgilio architetta una solida cornice esterna, rifacendosi
al modello omerico, ma corrodendolo con la sua estrema modernità: nuova visione del
mondo, drammatizzazione del discorso epico (modelli della letteratura greca e latina).

Enea riassume in sé l’immagine di Achille vincitore e quella di Odisseo che approda in


patria, restaurando la pace. Il suo eroismo però è molto originale e problematico.

28
La LEGGENDA DI ENEA traeva le sue origini da un repertorio abbastanza vasto di
leggende di fondazione, collegate alla guerra di Troia, che comprendevano personaggi sia
di parte greca che di parte troiana.

Enea in Omero era un personaggio importante, ma non centrale: la sua casata doveva
regnare dopo l’estinzione di quella di Priamo. La sua figura si sviluppa dopo, a livello delle
arti figurative e dei miti secondari: iconica fuga da Troia con il padre Anchise sulle spalle.

Acquisisce credito tra il II e il I secolo a.C., quando i Romani traggono sostegno dalla
mitica discendenza troiana: fondazione della città da parte del più nobile eroe di Troia,
scampato alla catastrofe e collegato per via genealogica con Romolo.

INTENTO CELEBRATIVO
Attraverso la figura di Ascanio, fondatore
MOTIVO POLITICO
della gens Iulia, Virgilio collega le vicende
Roma legittima la sua egemonia sul di Enea alla contemporaneità: connessione
Mediterraneo attraverso uno sfondo dinastica con Giulio Cesare e ovviamente
storico molto profondo e lontanissimo
con Ottaviano Augusto.
dalla contemporaneità:

- Rivendicazione di una parità


genealogica con il popolo greco;
Gli eventi dell’Eneide non sono romani,
- Connessione con Cartagine ma si riallacciano al mondo omerico.

attraverso Didone.
Attuando questo spostamento, Virgilio
riesce a guardare il mondo di Augusto da
lontano e a profetizzare la storia romana
attraverso delle tecniche tipiche dell’epos
greco.

Virgilio, per celebrare l’Italia augustea e legittimare il passato delle imprese romane, ha
bisogno di rielaborare in modo originale i dati tradizionali:

• Nella narrazione della Guerra Latina c’è poco di storico: Virgilio prende le notizie della
guerra con i popoli italici, con gli etruschi e con i greci per includere tutte le grandi forze
da cui nasce la sua Italia contemporanea. Nessun popolo viene escluso dalla genesi di
Roma.

Se l’intento è quello di creare un’EPOS TRADIZIONALE E NAZIONALE, la


collettività deve rispecchiarsi nel suo insieme: tutti devono aver avuto un ruolo

costruttivo per l’identità romana.

L’Eneide è la storia di una missione voluta dal fato.

Il poeta è il garante e il portavoce di questa missione.

L’eroe è il portatore di questa missione fatale.

29
Virgilio chiede al suo lettore di apprezzare la necessità fatale della vittoria, ma anche di
ricordare le ragioni degli sconfitti e di guardare il mondo da una prospettiva superiore.

Alla comprensione del ciclo provvidenziale della storia si associa una lettura della

OGGETTIVITÀ EPICA

Alla partecipazione delle sofferenze degli individui si associa una lettura della

SOGGETTIVITÀ TRAGICA

Porta il lettore in una dimensione di apertura problematica (come nella tragedia greca),
in un conflitto di ragioni individuali e di verità relativa. Sotto la linea oggettiva voluta
dal fato si muovono dei personaggi in contrasto tra di loro.

La tecnica narrativa usata da Virgilio rende benissimo questo contrasto e lo trasmette al


lettore: il lettore capisce i sentimenti di quelli che per il fato sono antagonisti, ma con cui
lui entra in empatia e stabilisce un legame emotivo.

DIDONE TURNO

Nell’ideologia imperialista romana le La guerra nel Lazio non è una guerra


Guerre Puniche si configurano come necessaria. I popoli all’inizio sono vicini e
scontro decisivo tra popolazioni molto simili (hanno addirittura la stessa origine: i
diverse dal punto di vista culturale: Troiani vengono da Dardanio, un italico).

identità romana basata sull’opposizione a


Cartagine.
Il motivo della guerra si spiega come un
tragico errore voluto da potenze
Virgilio cambia completamente demoniache, diventa quasi una guerra
prospettiva: la guerra non nasce da una fratricida.

differenza ma da un eccessivo e tragico


amore tra due simili.

L’uccisione di Turno per mano di Enea


La regina è comunque vinta dal destino, non è giustificata, perché si trova nella
ma Virgilio spiega le sue ragioni, i suoi condizione di subiectus: la scelta non è
sentimenti e il suo punto di vista: facile per l’eroe troiano.

tramanda tutto al lettore così che anche


lui possa comprendere. Enea sceglie di uccidere Turno solo per
uno scatto d’ira provocato dalla vista
dell’armatura di Pallante. Il pio eroe
troiano assomiglia al terribile Achille che
uccide Ettore, anche lui sottomesso.

Anche qui Virgilio chiede al lettore di


comprendere la volubilità dell’essere
umano, preso da passione.
30

STILE DEL NUOVO EPOS


La novità dello stile di Virgilio sta nel conciliare il massimo di libertà con il massimo di
ordine, lavorando prima di tutto sul metro, e poi rivisitando lo stile epico tradizionale.

ESAMETRO VIRGILIANO
Deve diventare lo strumento di una narrazione lunga, continua e articolata (non può
sottostare alla rigidezza di quello neoterico). Virgilio si impone un numero ristretto di
cesure principali, che combinate con quelle accessorie conferisce una notevole varietà
alle sequenze.

Il periodare può essere sia ampio che breve, e può coincidere o meno con le unità
ritmiche. Si adatta ad una varietà di situazioni espressive, regolandosi attraverso il
ricorso a dattili e spondei.

LESSICO
Secondo la tradizione del linguaggio epico ci sono poetismi e arcaismi (vicini a Ennio o
alla tragedia arcaica, ma comunque canonizzati dal linguaggio letterario) in quantità
maggiore.

Interessanti sono i collegamenti inediti tra le parole: Virgilio è definito iniziatore di un


nuovo manierismo (cacozelìa) fatto di parole normali, non marcatamente poetiche ma
prese dal linguaggio d’uso (quello dei ceti alti di Roma). Spesso i collegamenti sono resi
più evidenti dall’uso di allitterazioni, di cui Virgilio fa uso in modo studiato e modesto.

Pur sapendosi mantenere semplice e diretto, il lessico risulta rinnovato nei suoi effetti: le
parole subiscono straniamento.

LINGUAGGIO FORMULARE
Virgilio riprende alcuni punti cardinali del linguaggio epico, tra cui i procedimenti
formulari. La narrazione è graduale, senza vuoti intermedi: alle azioni vere e proprie si
succedono delle parti descrittive, delle azioni ricorrenti e ripetute, che si prestano a delle
ripetizioni verbali.

Largo uso di epiteti stabili che accompagnano i personaggi e gli oggetti, “quasi

a fissarne il posto nel mondo”: il numero dei guerrieri e delle navi rimane

invariato, così come il nome e gli etnici dei personaggi, l’origine degli oggetti…

Anche in questo caso la vera novità di Virgilio sta nel saper cogliere una nuova
sensibilità:

al lettore viene chiesto di collaborare anche in questo senso, per esplicitare gli accenni e
integrare gli spazi vuoti, in quanto la narrazione suggerisce più di quello che dice
esplicitamente.

Questo è possibile grazie al generale AUMENTO DI SOGGETTIVITÀ:

maggiore iniziativa ai personaggi, al lettore e al narratore.

Tutto è tenuto insieme attraverso la funzione oggettivante propria del poeta: con il suo
intervento lascia emergere i singoli punti di vista soggettivi, ma si incarica sempre di
inserirli in un progetto unitario.
31

ORAZIO
È il più grande poeta lirico di età augustea, per i suoi stretti rapporti con Augusto diventa
il “cantore ufficiale della romanità”. È un poeta di grande versatilità, scrive opere molto
diverse tra di loro e anche un trattato sul fatto poetico.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Le sue opere, disseminate di notizie autobiografiche e di allusioni relative alla realtà


contemporanea (a cui si possono corredare scritti di commentatori antichi);

- Vita Horati di Svetonio (nel De viris illustribus).

• Nasce nel 65 a.C. a Venosa, colonia militare romana tra Apulia e Lucana. La sua
famiglia è modesta: suo padre è un liberto, piccolo proprietario terriero che, una volta
trasferitosi a Roma inizia a fare l’esattore nelle vendite all’asta.

• La sua educazione inizia a Venosa e continua prima a Roma, presso il grammatico


Orbilio, poi in Grecia, ad Atene, da maestri come Cratippo di Pergamo e teomnesto.

• Atene era diventata la base di operazione dei cesaricidi: Orazio si allea a loro
abbandonando gli studi, facendosi portavoce della libertas. Assume il ruolo di tribuno
militare per una delle legioni dell’armata repubblicana di Bruto. La carriera militare si
interrompe con la rotta di Filippi (42 a.C.)

• Nel 41 torna a Roma grazie ad un’amnistia, dove esercita la professione di scriba


quaestorius per guadagnarsi da vivere. Inizio dell’attività poetica.

Tutto cambia quando Virgilio e Vario lo presentano a Mecenate (38 a.C.) che lo lascerà
entrare nel suo circolo e sarà il suo protettore fino alla morte, donandogli una residenza
nella campagna sabina che gli assicura tranquillità economica e rifugio dagli affanni.

Passa una vita tranquilla, in rapporto stretto con Augusto, ma sempre senza servilismi
(rifiuta anche l’incarico di segretario personale). Muore nell’8 a.C., qualche mese dopo
Mecenate.

LA FORTUNA DI ORAZIO
ROMANITÀ: da subito assunto tra i grandi della letteratura romana. I suoi testi entrano subito

tra quelli scolastici, oggetto di studio per commentatori ed editori.

MEDIOEVO: ben conosciuto dall’età carolingia ma ruolo minore rispetto a Virgilio. Collocato da

Dante nel Limbo (Inf. IV: Orazio satiro).

UMANESIMO: l’Orazio lirico è importante per Petrarca, modello incontrastato della letteratura

di stampo classicista (anche e soprattutto per l’Ars poetica).

1700: vero e proprio secolo oraziano. Il suo classicismo diventa il manifesto della poesia

francese (Boileau) e inglese (Alexander Pope), nonché per la cultura illuminista e

arcadica, che ne ammirava l’eleganza e la raffinatezza.

1800: battuta di arresto in quanto poeta latino (si preferiscono i greci). Il Romanticismo lo

svaluta ma rimane caro ai poeti di formazione classicista (Leopardi, Carducci).

32

EPODI
Il titolo della raccolta allude alla forma metrica: l’epodo è il verso più corto che segue a un
verso più lungo per formare un distico. Orazio li chiama anche IAMBI, alludendo alla
poesia giambica greca, da cui prende il tono aggressivo e le invettive, tipiche del genere.

Si tratta di 17 componimenti pubblicati insieme al secondo libro delle Satire, e ordinati


secondo il metro, in linea con l’usanza editoriale alessandrina:

1-10 = alternanza di trimetri e dimetri giambici;

11 = alternanza di trimetri giambici ed elegiambi;

12-16 = alternanza di esametro e di un altro metro;

17 = non epodico, in trimetri giambici.

Appartengono alla fase giovanile dell’attività poetica del poeta, caratterizzata da difficili
condizioni di vita subito dopo l’esperienza di Filippi (gestazione dal 41 al 30 a.C.).

Contengono asprezze polemiche, i toni sono carichi e il linguaggio poetico è violento.


Tuttavia, in questo va riscontrata una generale aderenza al genere della poesia giambica:
alto tasso di letterarietà non solo consapevole, ma dichiarata in modo rispettoso e
orgoglioso, parallelamente alla sua originalità.

Gli Epodi non sono traduzioni dal greco: sono rielaborazioni originali della poesia
giambica riportate in ambito romano, scritte attingendo ad una realtà diversa e personale.
Per questo motivo i toni prendono molta distanza dal modello.

Orazio dichiara di aver mutuato da Archiloco i NUMERI (metri) e gli ANIMI (ispirazione
aggressiva), ma non i contenuti: RES

IPPONATTE
ARCHILOCO
Massimo esempio dell’aggressività giambica.
Considerato l’iniziatore del genere, è autore Maschera del poeta pitocco (seconda metà
della prima poesia giambica aggressiva, che del VI secolo): vittima di difficoltà
si teneva nei simposi (i nemici che venivano economiche e frequentatori di posti poco
attaccati erano nemici di tutti i componenti raccomandabili.

riuniti a banchetto).

Capace di dare voce a odi e a rancori, alle


CALLIMACO
passioni civili e alle tristezze. È un
aristocratico greco del VII secolo.
Autore di giambi (III secolo), condizionato
dallo stile ellenistico: massima varietà di
È anche autore elegiaco: scrive profonde
argomenti e di metri, aggressività ridotta in
riflessioni sulla vita umana, sul rapporto con
favore della leggerezza di tono e
gli dei, sulla relazione amorosa.
dell’erudizione.

È il modello principale per Orazio, per la


varietà metrica e di argomento e per il
numero di componimenti.

Bisogna tener presente che Orazio opera nell’ambito di una Roma dominata dai triumviri
e che sarebbe presto entrato nell’entourage di Ottaviano: non poteva permettersi degli
attacchi diretti a personalità eminenti, quindi i suoi giambi sono indirizzati a personaggi
anonimi o fittizi. Il suo umorismo a volte appare anche artificioso o giocoso.

33

1 rivolto a mecenate, in cui Orazio si dichiara pronto a

EPODO condividere con l’amico qualunque pericolo (forse

PROEMIALE allusione ad Azio.


3 contro Mecenate, che lo aveva convinto a mangiare

dell’aglio. Molto affettuoso e scherzoso.

4 contro un arricchito. Orazio esprime le indignazioni e le

EPODI DI paure di tutta la sua generazione, scagliandosi contro i

INVETTIVA
rivolgimenti sociali connessi alla “rivoluzione romana”.

5 | 17 contro la strega Canidia.

6 contro un ignoto malèdico.

8 | 12 contro una donna vecchia e vogliosa.

10 contro un poetastro: famoso perché riprende l’Epodo di

Strasburgo (di Archiloco o Ipponatte). È un

propemptikòn al contrario: Orazio augura a Mevio di fare

naufragio. Il tono non è cattivo ma quasi scherzoso,

molto distante dal precedente greco.

11 | 14 | 15 sono poesie d’amore che svolgono motivi e

EPODI situazioni della lirica erotica ellenistica, e ne

EROTICI
riproducono anche il linguaggio e l’intonazione


patetica.

7 | 16 deprecazioni della guerra fratricida: inquietudini

EPODI CIVILI percepite riguardo alle guerre civili.


9 celebrazione della battaglia di Azio.

EPODO 13 invito a bere in una giornata di inverno (ripresa palese di

GNOMICO Alceo: nunc est bibendum).


Elogio alla vita rustica, alla campagna e alla vita semplice.


EPODO 2 Molto ambiguo perché pronunciato da un usuraio ipocrita.
34

SATIRE
Orazio sperimenta il genere satirico a partire dagli anni ’40, parallelamente alla stesura
delle Odi e anche successivamente.

L’autore assume come modello quello di Lucilio, considerato da lui e da Quintiliano il


vero fondatore della satira, non riscontrando nella poesia greca dei precedenti notevoli
(per le invettive e gli attacchi personali si indicano piuttosto i commediografi del V secolo,
come Aristofane).

Lucilio è importante per la creazione del genere per la fissazione del metro canonico
(esametro) e per lo stile, caratterizzato da aggressioni personali e critica mordace, in cui
assume una notevole importanza anche l’elemento autobiografico.

Orazio prende comunque notevoli distanze dal modello: la sua satira non si

configura come aggressiva ma come benevolmente ironica (o autoironica) e

amichevole.

Lui stesso denuncia la differenza con Lucilio, ma principalmente a livello stilistico

(lo considerava troppo sciatto e facile).

Sono articolate in due raccolte:

PRIMO LIBRO (35 a.C.): 10 satire dedicate a Mecenate;

SECONDO LIBRO (30 a.C.): 8 satire.

Gli argomenti sono molto vari:

ARGOMENTO LETTERARIO-PROGRAMMATICO
Satira 1, 4: Orazio parla del proprio stile satirico.

Satira 1, 10: satira di commiato.

Satira 2, 1: satira proemiale.

ARGOMENTO MORALE
Satira 1, 1: sull’incontentabilità umana e sull’avarizia.

Satira 1, 2: contro l’adulterio (si raccomanda di provvedere autonomamente ai propri

bisogni fisici, come dicevano gli epicurei).

Satira 1, 3: sull’indulgenza nei confronti dei difetti.

TONO PERSONALE
Satira 1, 6: riflessione sulla propria condizione sociale e sui rapporti con Mecenate.

Descrizione del padre liberto, che malgrado le sue condizioni di liberto non gli

fece mancare una buona educazione.

Satira 2, 6: nuova riflessione sul rapporto con Mecenate (legame marcato con 1, 6 per la

stessa posizione all’interno della raccolta).

35

MIMI DIALOGATI | SCENETTE VIVACI


Spesso Orazio stesso è protagonista dei suoi racconti: la componente autobiografica si
alterna all’argomentazione filosofica e permette all’autore di mostrare la realtà filtrata dal
suo punto di vista relativo ai fatti e ai personaggi.

Satira 1, 5: diario di viaggio compiuto per accompagnare Mecenate in una missione

diplomatica a Brindisi (Iter Siculum, Lucilio).

Satira 1, 7: battibecco tra un mercante greco e un proscritto di Preneste.

Satira 1, 8: una statua di Priapo racconta una notte di incantesimi con Canidia.

Satira 1, 9: messa in scena di se stesso alle prese con un seccatore a Roma.

Satira 2, 3: paradosso stoico di Damasippo contro i quattro vizi capitali: “tutti gli uomini

sono pazzi”.

Satira 2, 5: ambientazione mitologico-fantastica: Tiresia racconta a Ulisse come rifarsi un

patrimonio andando in cerca di eredità.

Satira 2, 7: paradosso stoico di Davo e Crispino: “tutti gli uomini sono schiavi”.

ARGOMENTO GASTRONOMICO
Satira 2, 2: argomentazioni di un contadino di Venosa contro il lusso della mensa.

Satira 2, 4: teoria gastronomica di Cazio.

Satira 2, 8: Fundanio racconta di una cena in casa del ricco Nasidieno, che ha pretese di

gastronomo (importante precedente per la Cena Trimalchionis di Petronio).

LA MORALE ORAZIANA
Orazio, cerca sempre di collegare stabilmente le critiche costruttive che propone con il
meccanismo della diàtriba: letteratura filosofica popolare in cui l’argomento morale è
illustrato da dialoghi e aneddoti. In questo modo, l’attacco personale è sempre collegato
con un’intenzione di ricerca morale.

Riesce ad analizzare e a indagare i vizi mediante l’osservazione critica e la


rappresentazione comica delle persone, senza cercare di convertire gli altri ad un modello
prefabbricato di virtù o di cambiare il mondo.

Orazio cerca di riformare i comportamenti sociali ma non in modo universale: il suo


operato è soltanto per pochi, ricollegabili a quel circolo di poeti, letterati e uomini politici
raccolti attorno alla figura di Mecenate (PHILÌA)

Così facendo, non ha bisogno di scegliere bersagli di elevato livello, e come negli Epodi
gli oggetti delle sue critiche fanno parte di un piccolo mondo:

Insuevit pater optimus hoc me, ut fugerem exemplis vitiorum quaeque notando

La morale che ricerca fa stretto riferimento all’educazione e al buon senso

36
tradizionale, per questo una figura importante è quella del padre, che rivendica con
orgoglio.

Gli obiettivi fondamentali della ricerca oraziana si trovano in:

AUTÀRKEIA | METRIÒTES
Entrambe sono molto importanti nelle riflessioni morali delle filosofie ellenistiche,
soprattutto in quella stoica (che per Orazio è troppo astratta) e cinica, ma anche nella
scuola peripatetica. Il concetto della giusta misura, inoltre, è uno dei cardini dell’antica
saggezza greca (medèn àgan).

La corrente filosofica che si avvicina di più alla morale di Orazio è quella dell’epicureismo,
con cui condivide l’importanza e la problematicità dell’amicizia, della comunanza di vita,
dell’affinità intellettuale, dell’indulgenza e della dedizione, della compattezza di un gruppo
in relazione al mondo.

Ci sono delle differenze fondamentali nell’approccio che dimostra Orazio, tra il primo e il
secondo libro di Satire:

Nel secondo libro si verifica un regresso della componente rappresentativo-


autobiografica: Orazio si rende conto che il suo metodo (che prevedeva il confronto tra un
modello positivo e molti negativi) è estremamente precario.

Non c’è più coincidenza tra la voce del poeta e la voce satirica: Orazio non interviene
nel confronto dialogico per indicare la via della verità, ma lascia che tutti i personaggi
espongano la propria.

Tutti i personaggi diventano depositari della propria verità relativa e questo crea un senso
di straniamento: il poeta non ritiene più che la satira possa essere il luogo della ricerca
morale, capace di identificare empiricamente un concetto filosofico giusto e universale.

L’equilibrio di autàrkeia e metriòtes sembra perduto: l’unico conforto rimane l’isolamento


nella villa sabina.

STILE DELLE SATIRE


La satira è un tipo di letteratura molto vicino alla prosa, distinta solo per l’utilizzo del
metro (esametro). Nonostante questo, Orazio vuole distinguersi nettamente dal
precedente di Lucilio: la Musa pedestris richiede comunque cura raffinata e paziente.

La lingua che viene utilizzata è semplice e disciplinata: gli effetti vigorosi vengono resi
con un grande risparmio di mezzi espressivi (Callimaco). Lo standard espressivo non è
alla portata di tutti, pretende concentrazione e duttilità.

Caratteristiche fondamentali sono mobilità e varietà: lo stile può essere grave e


oratorio, o solenne e poetico. L’andamento complessivo è argomentativo, si rifà
all’eloquenza popolare della diàtriba.

Mediante l’uso dei dialoghi, coinvolge gli interlocutori e anticipa le obiezioni, introduce
scene drammatiche, esempi dal mito, parodie, aneddoti e giochi di parole.

37

ODI
PRIMA RACCOLTA (30-27 a.C.): 3 libri di 38, 20, 30 carmi;

CARMEN SAECULARE (17 a.C.): unico componimento scritto su incarico di augusto che
doveva cantare un coro in occasione delle Ludi Saeculares per assicurare prosperità a
Roma e al regime augusteo [metro saffico];

QUARTO LIBRO (13 a.C.): 15 componimenti.

Nella stesura delle Odi Orazio rispetta sempre il criterio della VARIATIO sia a livello dei
toni e dei contenuti, sia dal punto di vista metrico-formale:

Le odi hanno spesso un’impostazione dialogica e l’autore si riferisce ad un tu, che può
essere un personaggio reale o immaginario, un dio, una Musa, una collettività o un
oggetto inanimato.

IL PRINCIPIO DELLA IMITATIO:

Orazio con le Odi si inserisce direttamente nella tradizione della poesia lirica greca.

Il suo atteggiamento è di obbedienza al modello per quanto riguarda la lex operis


(regole del genere letterario), il decorum letterario e la creazione di un sistema di
aspettative coerente rispetto al sistema di attese del destinatario.

Orazio stesso rivendica però l’originalità del proprio contenuto al modello (primus ego):
temi, occasioni e situazioni possono essere tradizionali ma non manca mai
l’ambientazione e la sensibilità romana. Anche il linguaggio è decisamente caratteristico.

I modelli prediletti sono:

ALCEO, modello di massima auctoritas. Il poeta accoglie molte suggestioni ma le

differenze sono notevoli: il greco è un aristocratico di Lesbo massimamente

impegnato in ambiente politico, Orazio è un intellettuale che vive al riparo dagli

sconvolgimenti politici di Roma (poesia come ricerca della tranquillias animi,

non come pausa dalle battaglie).

ANACREONTE per l’eleganza e per il tema della malinconia per la giovinezza perduta.

BACCHILIDE per la produzione iniziale, improntata sul tema dell’esilio alessandrino e

neoterico (ode mitologica).

PINDARO poesia di argomento civile e temi come la coscienza dell’alta funzione della

poesia, la capacità del poeta di conferire l’immortalità l’apprezzamento della

saggezza etico politca.

metro dalla lirica monodica, struttura dalla metrica corale

Importante è anche l’apporto degli alessandrini e dei neoterici (anche se Orazio si vuole
distinguere da loro), dei trattati ellenistici, della panegiristica, dei trattati di retorica.

38
VARIETÀ DEI CONTENUTI
La disposizione dei componimenti all’interno dei quattro libri non è casuale: Orazio
rispetta i criteri artistici della poesia alessandrina:

- Le odi di apertura e di chiusura sono indirizzate a personaggi di riguardo (Mecenate,


Pollione, Fabio Massimo, Augusto) e spesso trattano di questioni di poetica;

- Alcuni carmi sono giustapposti e hanno contenuto simile (c’è anche un ciclo dedicato
ai temi dell’ideologia nazionale: Odi romane).

La varietà dei temi che riscontriamo in Orazio dipende strettamente dalle categorie in cui
si articolava l’antica lirica greca, a seconda delle occasioni a cui era destinata (che in
seguito diventeranno veri e propri generi):

CARMI CONVIVIALI
Rimandano ai sympotikà (=carmi da simposio) di ALCEO, per quanto riguarda la
descrizione del paesaggio e l’invito a bere per contrastare la malinconia dell’esistenza.

Distanze dal modello: Orazio non scrive per un vero pubblico, la sua poesia deve
essere letta, quindi può permettersi una maggiore raffinatezza stilistica. La poesia
del lirico greco è molto più semplice e immediata nella struttura e nella scelta delle
parole.

Questi carmi rimandano direttamente anche all’epigramma ellenistico negli inviti e nelle
descrizioni dei preparativi, con il tradizionale apparato del simposio romano.

CARMI EROTICI
Circa un quarto delle Odi possono essere definite poesie d’amore. Orazio si distanzia
ampiamente dalle linee neoteriche, un po’ perché aderisce ai principi epicurei, un po’
perché mantiene uno sguardo disilluso e distaccato nei confronti della passione.

La descrizione dei rituali a cui si sottopone l’amante sono piuttosto scontati: ci sono
serenate, incontri, giuramenti, schermaglie, vita galante, conviti. Orazio guarda con un
sorriso gli amanti, non giudicandoli ma con un’ottica già matura.

Nonostante ciò, l’ironia che dimostra non gli permette di ignorare la crudeltà della
passione, che ricorda con malinconia.

INNI
La lirica religiosa, a parte nel caso del Carmen Saeculare non si presta ad un’occasione
di esecuzione rituale. Molte differenze con quello greco, che invece veniva composto per
la recitazione: in Orazio vengono conservati il formulario e l’andamento. A questi si
aggiungono riferimenti e sviluppi di puro carattere letterario.

A questi temi canonici, Orazio spesso preferisce la CONTAMINAZIONE DEI GENERI:

in un unico carmen Orazio spesso associa due categorie liriche diverse

(propemptikòn - carmen mitologico | inno - carmen mitologico | epigramma sulla primavera -


poesia conviviale)

39
ALTRI TEMI RICORRENTI


I luoghi di Orazio sono direttamente collegati MEDITAZIONE SULLA POESIA


ai temi della poesia:
Il poeta si sente vates: è in stretto
LOCUS AMOENUS della campagna, che invita rapporto con le muse e con le
al riposo e alla semplicità della vita rustica;
altre divinità ispiratrici. Orazio è
PAESAGGIO DIONISIACO della montagna molto orgoglioso della sua poesia,
selvaggia e aspra, molto affascinate perché e si sente investito di una
ancora non dominata dalla potenzia missione letteraria:

dell’uomo;

Ode 2, 20
ANGULUS
Orazio si immagina trasformarsi in
È lo spazio limitato e racchiuso del piccolo un cigno, animale sacro di apollo,
podere personale, che Orazio definisce “ille e afferma che l’immortalità
terrarum miei pareter omnis angulus ridet”
conferita dalla poesia rende tutti i

pianti vani, in occasione del suo
Si tratta della sua casa, è la figura simbolica funerale.

dell’esistenza del poeta e della sua esperienza


poetica: la natura gli ricorda quel luogo Funzione salvifica della poesia,
ovunque si trovi, e la sua presenza lo ristora.
che dona la vita eterna:

È il luogo deputato al canto, al vino e alla


saggezza, che si associa a due nuclei Non omnis moriar perché con la
fondativi della sua poesia:
poesia ha innalzato un
monumento più duraturo del
MEDITATIO MORS: viene attenuato il pensiero bronzo

della morte, che si trasforma in malinconia.


AMICITIA: ruolo fondamentale per il conforto. GRANDE CONSAPEVOLEZZA
ARTISTICA

STILE DELLE ODI


Con le Odi lo stile di Orazio diventa perfettamente classico: grandissima raffinatezza e
sobrietà dovuta all’influsso di Callimaco.

La LINGUA è in realtà molto semplice: il lessico viene accuratamente selezionato e


anche l’impiego di figure retoriche (di suono o significato) e dell’aggettivazione è molto
calibrato e mai esagerato.

La SINTASSI è leggermente già complessa: ci sono ellissi, costruzioni greche, iperbati,


enjambement.

Lo stile è fortemente espressivo a causa del virtuosismo metrico e della combinazione


delle parole. Orazio, accostando e allontanando parole usuali, e lasciando che queste si
richiamino tra di loro all’interno di un componimento, attribuisce loro una nuova
evidenza, quasi un nuovo significato:

è il principio della CALLIDA IUNCTURA


In questo modo Orazio riesce a ottenere il massimo dell’espressività con il minimo
sforzo di inventiva linguistica: pochi neologismi ma nuove corrispondenze contestuali,
nuove strutture e molta variatio.
40
LA MORALE ORAZIANA
Fondamentale nelle Odi è la componente riflessiva della meditazione e della cultura
filosofica: Orazio assimila idee e problemi delle varie scuole ellenistiche. A differenza delle
Satire non troviamo una ricerca morale fondata sull’osservazione critica degli altri: è tutto
più astratto.

La corrente da cui attinge maggiormente l’autore è sicuramente quella epicurea, a cui si


aggiunge il buon senso, comune nell’etica antica.

Il punto centrale della meditazione si svolge sul tema della BREVITÀ DELLA VITA:

forte necessità di appropriarsi delle gioie del momento e della felicità offerta della vita.

Non è un banale invito al godimento perché il saggio sa che il piacere stesso è caduco.

In una situazione di generale precarietà della vita bisogna affrontare e accettare gli eventi
come sono: conta solo il presente, che bisogna cogliere nella sua fugacità:

CARPE DIEM

Ille potens sui laetusque deget, cui licet in diem dixisse: “Vixi”

Nella prospettiva del poeta anche le conquiste del saggio, come l’autàrkeia e la
liberazione dai turbamenti, sono estremamente insicure e vanno costantemente rinnovate:
profonda conoscenza della forza delle passioni, delle debolezze d’animo.

LA SAGGEZZA SI SCONTRA CON I DATI IMMUTABILI DELLA CONDIZIONE DELL’UOMO:

fugacità del tempo, vecchiaia, morte

Nulla può eliminare tanto peso negativo: contro le angosce e contro il dolore della vita si
può combattere virilmente per trasformare l’inquietudine in accettazione del destino.

LA POESIA CIVILE
Si tratta dell’altro polo della poesia oraziana: l’impegno civile e nazionale non stride
comunque con la sfera privata, aspirando sempre ad una validità generale, per esprimere
la complessa condizione umana.

Non si tratta di semplice propaganda. Orazio è il poeta della comunità, che sa farsi
interprete di incertezze e di timori, di scoraggiamenti e di gioie:

PROFONDA COMPRENSIONE DEI SENTIMENTI E DELLE ASPIRAZIONI DELLA SOCIETÀ

Anche aldilà delle pressioni politiche Orazio spera sinceramente e con entusiasmo nel
principato, e nutre nei confronti di Augusto una sincera e ansiosa gratitudine.

Con l’ideologia augustea condivide l’impostazione moralistica:

crisi della Repubblica in risposta alla decadenza dei costumi, dell’abbandono del sistema
di antichi valori etici, politici e religiosi che avevano reso grande Roma.

In questo senso la poesia civile può fondersi anche con quella morale: critica del lusso e
delle stravaganze, ammirazione per l’autosufficienza della virtus, apprezzamento della
razionalità contro le forze del caos.

41

EPISTOLE
Orazio ne scrive due libri e dà loro il titolo di Sermones, che aveva usato anche per
identificare le sue Satire. Le differenze tra le due raccolte sono sottili ma ben definite:

• L’identità delle Epistole sta proprio nella loro forma di lettere in versi (esametri): tutti i
componimenti hanno un destinatario (che è lontano, al contrario di quello delle Satire
che sembra stare davanti a lui) e rispondono ai segnali caratteristici del genere
epistolare (formule di saluto e di commiato);

Ovviamente la stesura delle lettere non ha carattere privato (come poteva esser stato
per Cicerone): sono tutte pensate per la pubblicazione. Nonostante questo, l’autore è
molto vicino al suo interlocutore: si respira un clima maggiormente intimo e anche lo stile
è personale, e si adatta ai diversi temi e ai destinatari.

• Rispetto alle Satire cambia completamente anche lo scenario in cui agisce la persona
assunta dall’autore: non è l’ambiente cittadino e caotico di Roma, si avvicina di più
all’angulus delle Odi.

La periferia rustica è il luogo perfetto per la MEDITAZIONE FILOSOFICA: Orazio esorta i


suoi interlocutori ad un viaggio metaforico verso la filosofia, una sorta di iter mentale.

• Lo stile delle Epistole perde tutta l’aggressività della Satira: la riflessione morale non
procede attraverso un’osservazione critica della società, perché l’autore stesso prende
consapevolezza delle proprie debolezze e contraddizioni:

Totale perdita dei principi cardine di autàrkeia e di metriòtes: l’equilibrio sembra ormai
irrecuperabile.

In generale l’opera di Orazio è un’assoluta novità: fondazione di un nuovo genere


letterario. Esistevano delle epistole in versi ma non di carattere filosofico, e certamente
esistevano dei trattati filosofici, ma non in forma epistolare.

Orazio non si rifà ad un primus inventor come nel caso di Odi e Satire.

LIBRO I (20 a.C.): EPISTOLE MORALI

Orazio percepisce una nuova sensibilità per l’inesorabile trascorrere del tempo e una
precoce vecchiaia, che lo portano a ricercare il conforto nella saggezza. Questa però è
inafferrabile, non sembra poter proporre un ideale soddisfacente di vita.

Anche attraverso l’autàrkeia che sembra raggiungere spostandosi in campagna, l’autore


non trova un equilibrio filosofico: oscilla tra il rigore morale (che lo attrae e lo spaventa) e
l’edonismo (fragile ma concreto). Lo stesso Orazio non indica nessuna corrente filosofica
giusta per lui, e dà consigli contraddittori.

INSODDISFAZIONE e INQUIETUDINE diventano centrali, e comportano una noia


angosciosa e impaziente (strenua inertia: smanioso torpore): nessun proposito
filosofico è capace di guarirlo. Nonostante questo aumenta l’impostazione didascalica:
Orazio consiglia, ammonisce, insegna e confessa.

42
Epistola 1, 1 (Mecenate): presentazione/giustificazione del nuovo genere letterario.

Epistola 1, 2 (Lollio): riflessioni sugli insegnamenti morali ricavabili da Omero.

Epistola 1, 3 (Floro): chiede informazioni sull’attività letteraria degli amici di Tiberio.

Epistola 1, 4 (Tibullo): precetti epicurei per il giovane amico poeta.

Epistola 1, 5 (Torquato): invito a cena.

Epistola 1, 6 (Numicio): sull’impassibilità.

Epistola 1, 7 (Mecenate): rivendicazione di autonomia e del diritto di vivere fuori Roma.

Epistola 1, 8 (A. Celso): sull’inquieto torpore che lo affligge.

Epistola 1, 9 (Tiberio): biglietto di raccomandazione.

Epistola 1, 10 (Fusco): sulla vita di città e quella di campagna.

Epistola 1, 11 (Bullazio): sulla mania dei viaggi e sulla strenua inertia.

Epistola 1, 12 (Iccio): filosofia per l’amministratore dei beni di Agrippa.

Epistola 1, 13 (Vinnio): istruzioni per consegnare ad Augusto i primi 3 libri delle Odi.

Epistola 1, 14 (fattore della villa sabina): sulla vita di campagna a confronto con Roma.

Epistola 1, 15 (Numonio Vala): chiede informazioni per un soggiorno a Salerno e Velia.

Epistola 1, 16 (Quinzio): sull’idea di vir bonus.

Epistola 1, 17-18 (Sceva e Lollio): consigli su come trattare con i potenti.

Epistola 1, 19 (Mecenate): polemica contro gli imitatori servili, giustificazione della lirica.

Epistola 1, 20 (al libro): commiato dalle Epistole e previsione sull’accoglienza che sarà

riservata a queste.

LIBRO II (forse postumo, composto tra il 19 e il 13 a.C.): EPISTOLE LETTERARIE

Sono solo due lettere, molto lunghe, di argomento letterario. Orazio si inserisce nei
dibattiti di età augustea, interessandosi a problemi di critica letteraria, di poetica e di
politica culturale. Augusto, per rafforzare il Principato, aveva dato il via ad una produzione
letteraria nazionale e popolare.

Epistola 2, 1 (Augusto) Riflessione sul teatro latino: Orazio polemizza contro il favore
indiscriminato del teatro antico rispetto a quello moderno, che lui preferisce perché più
raffinato. Raccomanda di prestare più attenzione alla poesia destinata alla lettura, perché è
l’unica in grado di raggiungere la perfezione formale. Non crede nella rinascita del teatro,
perché il pubblico non apprezza quello colto, ma solo il fasto spettacolare e dozzinale.

Epistola 2, 2 (Giulio Floro) Congedo della poesia: quadro della vita quotidiana del letterato a
Roma e riflessione sulla saggezza filosofica.

EPISTOLA AI PISONI: ARS POETICA (posteriore al 13 a.C.)

È sempre di argomento letterario: la prima sezione parla dell’ars (divisa in trattazione della
poesia e trattazione del poema), la seconda tratta dell’artifex.

Riprende il tema della letteratura drammatica (perché era il genere privilegiato nelle trattazioni
peripatetiche, soprattutto nella Poetica di Aristotele).

Orazio fornisce il suo contributo teorico, raccomandando: raffinatezza (labor limae), pazienza,
riferimenti dotti, attenzione (decorum).

Traccia anche una storia della cultura e della letteratura sia greca che romana.

43

LA NASCITA DELL’ELEGIA
Quintiliano ci informa dell’altissimo livello raggiunto dall’elegia latina, capace di confrontarsi
con quella greca. Raggiunge la sua massima fioritura nella seconda metà del I secolo a.C. e
tra i suoi esponenti più importanti, secondo il canone, ricordiamo: Cornelio Gallo, Tibullo,
Properzio e Ovidio.

Non sappiamo da dove nasca l’elegia. Ci sono due teorie al riguardo:

- Derivazione diretta dall’ELEGIA GRECA (Friedrich Leo), che però non spiega il carattere
fortemente soggettivo all’interno delle opere: non ci sono precedenti simili nei poeti elegiaci
ellenistici (anche se non ne sappiamo abbastanza per affermare ciò con certezza);

- Ampliamento e sviluppo dell’EPIGRAMMA GRECO (Felix Jacoby), che ne spiegherebbe il


carattere autobiografico, oltre che a molte situazioni e motivi. Non spiega però la presenza
e la funzione del mito.

Sicuramente oltre a questi precedenti, l’elegia latina viene influenzata anche dalla commedia,
dalla lirica, dalla tragedia, dall’epigramma e dalla poesia bucolica, fino a formare un nuovo
genere letterario dotato di situazioni, occasioni e temi tutti suoi.

UNIVERSO ELEGIACO: CODICE ETICO E VALORI FONDANTI

CARATTERE AUTOBIOGRAFICO
La concreta esperienza del poeta è un motivo centrale, anche se viene inquadrata in forme
e situazioni tipiche del nuovo genere.

AMORE
Si tratta di un’esperienza unica e assoluta, che riempie l’esistenza e le dà senso: àristos
bìos. La vita del poeta nei confronti dell’amore si configura come un servitium nei confronti
della domina: donna crudele, capricciosa e infedele, che raramente si concede a lui (motivo
della paraklausìthyron (innamorato chiuso fuori di casa che si lamenta.

L’esperienza amorosa è costituita da poche gioie e da molte sofferenze, eppure il poeta si


abbandona ad una acquiescenza del dolore e ad una voluta della sofferenza. Raramente si
verifica la ribellione (renuntiatio amoris).

MITO NEQUITIA
In cui il poeta proietta la sua condizione: Condizione del poeta che ripudia i suoi
serve per nobilitare la causa del poeta e doveri di civis e oppone alle durezze della
proiettare la sua causa nel mondo puro guerra le mollezze dell’amore.

del mito o nella felice innocenza di un’età


dell’oro. Sublimazione attraverso gli amori Il poeta elegiaco è un miles ma non in
eroici della letteratura, in un universo guerra: è sottoposto alle pene d’amore =
ideale pienamente appagante.
militia amoris.

Rapporti con il MOS MAIORUM


Come succedeva già in Catullo, la ribellione ai valori tradizionali si rivela un’adesione ai
valori stessi, mediante un processo di transcodificazione: la relazione d’amore si configura
(ma solo nella testa dell’amante) come vincolo coniugale, caratterizzato dalla fides,
salvaguardato dalla pudicitia e diffidente nei confronti della luxuria.

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In tutto ciò la POESIA si configura come un mezzo di corteggiamento per sedurre l’amata
con il miraggio della fama e di una gloria immortale. Attraverso la recusatio il poeta elegiaco
rifiuta la poesia elevata in favore della musa leggera, dai toni e dai contenuti ispirati
immediatamente dalla passione.

Sono i lasciti diretti della POESIA NEOTERICA: eleganza formale e partecipazione affettiva.

Gli elegiaci imparano dai neoterici le lezioni che questi avevano a loro volta imparato dagli
alessandrini (Callimaco in primis): rivoluzione del gusto letterario.

In più fanno loro anche la rivolta morale già proposta dalla corrente neoterica: abbandono
dell’impegno civile, politico e militare per dedicarsi all’otium, all’amore, alla letteratura.

CORNELIO GALLO
Di lui abbiamo poche notizie, ma è il primo autore che Quintiliano nomina nel canone.

Nasce da una famiglia umile in Gallia Narbonense nel 70 a.C. È amico e forse protettore
di Virgilio (lo aiuta con le confische dei beni), si schiera con Ottaviano e combatte dalla
sua parte in Egitto, contro Antonio. Viene nominato praefectus Aegypti ma in seguito
cade in disgrazia, viene esiliato e si uccide (26 a.C.).

Sappiamo che fu un autore di quattro libri di Elegie, gli Amores, in cui cantava la sua
passione per Licòride (pseudonimo grecizzante per la donna amata).

Insieme all’argomento erotico era centrale anche l’erudizione mitologica (forse lascito di
Euforione di Calcide, di cui Gallo era cultore).

Possiamo considerarlo una sorta di mediatore tra la poesia neoterica e l’elegia augustea,
anche a livello cronologico. Probabilmente fu il fondatore del genere, conciliando il tema
mitologico dell’elegia alessandrina con la poesia intima neoterica romana.

Abbiamo solo una decina di versi :( non possiamo dire nulla di più.

TIBULLO
Conosciamo poco della sua vita, le fonti sono:

- Una Vita trasmessa dai codici tibulliani;

- Accenni nelle sue elegie o da altri poeti.

• Nasce tra il 55 e il 50 a.C., in base alla data di morte che si colloca nel 18, poco dopo
Virgilio. Appartiene ad una famiglia agiata di ceto equestre.

• Legato a Messalla Corvino da un rapporto di amicizia e protezione. Lo segue nelle sue


spedizioni militari, in Italia e in Oriente.

• Alla fine della sua vita Orazio lo ritrae appartato e malinconico.

FORTUNA:

Da subito si creano due fazioni, tra chi sostiene il primato di Tibullo (più classico e
conservatore, molto equilibrato) su Properzio (molto moderno ma anche ruvido e improvviso)
e chi il contrario. I contemporanei preferiscono Tibullo, nel Medioevo non lo si conosce,
dall’umanesimo in poi torna a brillare (Goethe, Chateaubriand, Mörike, Carducci).

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Del CODEX TIBULLIANUM, secondo la divisione alessandrina, fanno parte 4 libri. Solo
i primi due sono sicuramente di Tibullo.

LIBRO I (26-26 a.C.)

Centrale è la figura dell’amata, Delia (il senhal è la traduzione in greco del nome romano
della donna, Plania). Descritta secondo i topoi elegiaci: volubile, capricciosa, amante del
lusso e dei piaceri mondani, infedele.

Si trova qui anche l’elegia per il giovane Màrato (arte di conquistare i pueri), un’elegia per
il compleanno di Messalla e una sull’elogio della vita campestre.

LIBRO II
Nuova figura femminile: Nèmesi (vendetta, colei che gli ha fatto dimenticare Delia),
cortigiana avida e spregiudicata.

Un’altra elegia canta il compleanno dell’amico Cornuto, una descrive una festa agricola,
una celebra l’entrata di Messalina nel collegio sacerdotale.

MITO DELLA PACE AGRESTE


Nella poesia di Tibullo il mondo agreste è lo scenario centrale delle vicende, anche se
non esclude lo sfondo cittadino su cui si proiettano gli amori.

Lo scenario bucolico si sostituisce invece a quello mitico: la campagna diventa uno


spazio ideale di evasione, di idillica felicità, un rifugio delle amarezze, dove concentrarsi
sui ritmi della natura e su un senso di religiosità ancestrale.

LUOGO DEL RIMPIANTO E DEL DESIDERIO, SCENARIO PERDUTO DELL’ETÀ DELL’ORO

Tibullo percepisce il bisogno di un rifugio, di uno spazio intimo e tranquillo di fronte ai


rivolgimenti della propria vita e di fronte alla guerra (tema molto sentito dopo 100 anni di
guerre civili lol).

Nella sua idealizzazione del patrimonio di antichi valori agresti riprende la tradizione: è il
poeta elegiaco più contraddittorio.

Nonostante nella sua poesia manchino il mito e l’erudizione sottile tipici degli alessandrini,
sicuramente possiamo definire Tibullo un poeta doctus:

STILE semplice e luminoso, sciolto e raffinato. I toni sono delicati e tenui, spesso sognanti,
a volte lievemente ironici. L’impressione è di una composizione spontanea, immediata e
veloce, che però nasconde la massima accuratezza.

LINGUA pura e scelta accuratamente.

RITMO regolare, cantabile, quasi rimato internamente.

LIBRO III
Firmato da Lìgdamo: si pensa che fosse Ovidio da giovane.

LIBRO IV
Oltre al Panegirico di Messalla (di uno degli altri poeti del circolo) ci sono elegie anonime e 5
appartenenti a Tibullo, sull’amore amore di Sulpicia per Cerinto.

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PROPERZIO
Abbiamo poche fonti sulla sua vita, derivanti soprattutto dalle sue elegie e da alcuni accenni di
Ovidio. Della figura di Cinzia parla Apuleio (Apologia 10).

• Nasce tra il 49 e il 47 a.C. in Umbria, da una famiglia agiata di rango equestre che perde
prestigio con la guerra di Perugia e le confische successive.

• Si reca a Roma per tentare la strada politica ma entra nei circoli mondano-letterari: in
questo contesto conosce Cinzia, scrive e pubblica il primo libro di elegie (28 a.C.).

• Entra in contatto con Mecenate, che aveva letto la sua opera, e con gli atri poeti del circolo:
è amico con Virgilio e con Ovidio.

• Muore probabilmente attorno al 16 a.C.

FORTUNA:

Conosce una fortuna grande e immediata, viene ripreso dall’Ovidio delle Heroides e dei Fasti.
Nella Tarda Antichità il suo nome si perde e viene letto solo in Francia. Petrarca scopre un
manoscritto e lo riporta in Italia: nuova riscoperta europea.

Viene letto dai poeti della Pléiade, da Ariosto e da Tasso. Amato da Goethe nel XVIII secolo
e da Ezra Pound nel XX.

Di Properzio ci sono stati tramandati 4 libri di ELEGIE, scritti tutti in ordine cronologico e
con pubblicazioni separate.

LIBRO I (Monòbiblos) (28 a.C.)

Ne fanno parte 22 elegie, tutte incentrate sull’amore per Cinzia, donna straordinaria che
compare dal primo verso della prima elegia. È raffinata ed elegante, amante della
letteratura e della musica (il suo senhal ricorda il monte sacro di Apollo). Lei vive da
cortigiana a Roma: questo avrebbe potuto screditare la figura e la reputazione del poeta,
ma lui di ciò si fa vanto.

L’amore per Properzio si configura secondo le linee guida dell’elegia. Affermazione


dell’amore come centro e valore assoluto della vita, unica ragione dell’esistenza.

Properzio si pone nei suoi confronti in un rapporto di servitium amoris: scelta di uno
stile di vita quasi filosofico che provvede alla sua autàrkeia.

Nonostante lei viva da libertina, la vita che il poeta si immagina per loro è molto diversa,
legata ai valori del foedus amoroso secondo il mos maiorum: fides, castitas, pudor.

Per questo si rifugia nel mondo del mito: sogna una dimensione di passioni esclusive ed
eterne, che durano fin oltre la morte. Ovviamente è tutto vagheggiamento perché lui
soffre e si lacera nella sua condizione: è attratto dal fascino della sua eleganza mondana
ma allo stesso tempo cerca in lei fedeltà, semplicità, assoluta dedizione.

LIBRO II (25 a.C.)

Ne fanno parte 34 elegie. Nell’opera inizia a notarsi il legame con il circolo di Mecenate: la
recusatio nei confronti della poesia epica è ancora valida, ma iniziano a far parte della
narrazione anche altri temi, come l’omaggio poetico al principe.

L’atteggiamento nei confronti dell’amore si fa più problematico: consapevolezza di


un’esistenza incompleta e irrisolta. Aumento della necessità di idealizzazione di Cinzia.

47
LIBRO III (22 a.C.)

Ne fanno parte 25 elegie. La scelta della Musa tenue e il rifiuto dell’epos sono ancora
validi, ma non sono strettamente associati a uno stile di vita, bensì motivati da ragioni
estetico-letterarie.

Cinzia è ancora presente ma le elegie amorose sono sempre meno frequenti. Il tono di
Properzio è meno appassionato e il poeta guarda se stesso con maggiore distacco.
Evidente l’imminente discidium.

Vengono trattati altri motivi legati alle fortune e all’ideologia del regime augusteo:

- augurio per la spedizione contro i Parti,

- promessa a Mecenate di una poesia impegnata,

- elogio di Roma e dell’Italia,

- epicedio per Marcello.

Properzio fa anche più attenzione alla moralità antica: disponibilità maggiore di fronte a
temi graditi agli ambienti ufficiali: difficile integrazione al regime.

LIBRO IV (16 a.C.)

Ne fanno parte 11 elegie, di maggiore impegno e di maggiore lunghezza.

Rimangono solo due elegie dedicate alla donna: in una vediamo Cinzia vittoriosa e
gelosa, nell’altra Cinzia appare in sogno al poeta, con un atteggiamento amaro e
aggressivo.

Le elegie sembrano una concessione alle direttive della cultura ufficiale. Non si tratta di
poesia celebrativa perché Properzio non tradisce i canoni della poesia alessandrina o la
Musa tennis dell’elegia.

L’autore declina i temi della poesia alessandrina in modo diverso: scelta di riprendere gli
Àitia di Callimaco per rendere omaggio ai miti e ai riti della tradizione romana e italica. C’è
spazio per la grazia, per l’ironia, per una leggera e garbata comicità.

L’amore non è assente: viene declinato in funzione dei miti che Properzio sceglie di
trattare. Rivalutazione dell’eros come forza ancora più strettamente legata al mos
maiorum: esaltazione degli affetti famigliari, delle virtù domestiche, della castità e della
tenerezza.

STILE: denso e difficile, talora oscuro.

Densità metaforica, sperimentazione costante di nuove possibilità espressive. Ricerca di


una iunctura solida e audace, struttura sintattica complessa:

- Esordio ex abrupto,

- Movimenti improvvisi, per scatti: immagini e concetti non sono collegati


esplicitamente ma seguendo una logica interna e segreta.

Rovinato dalla tradizione manoscritta, piena di lacune, corruttele, trasposizioni.

48

OVIDIO
È l’ultimo dei grandi poeti augustei: ormai estraneo alla stagione delle sanguinose guerre
civili. La pace è consolidata e sta crescendo, si aspira a forme di vita più rilassate e a
costumi meno rigidi. Pur non in aperta contrapposizione al regime, Ovidio è sensibile ai
gusti e alle inclinazioni della società romana moderna.

Il suo atteggiamento nei confronti della poesia è diverso dagli autori che lo precedono:
sperimenta una grande quantità di generi letterari senza farsi condizionare da uno in
particolare. La sua scelta di vita è la stessa pratica poetica, sempre nuova e differente.

La poesia per Orazio non solo conserva la memoria degli uomini e della memoria nel
tempo, ma conserva un primato sulla realtà stessa. In più la poesia, essendo creazione
autonoma del poeta, è svincolata dall’obbligo di rispecchiare il reale.

FORTE AUTOCOSCIENZA LETTERARIA


Ovidio è consapevole del suo bisogno di indagare la realtà nei suoi aspetti più diversi.

Presenta un atteggiamento relativistico in questo senso: adesione alle varie e mutevoli


facce della realtà, accettazione della Roma dei suoi tempi.

Anche dal punto di vista formale Ovidio è un innovatore: poesia antimimetica,


antinaturalistica, innovatrice rispetto alla tradizione classica.

Il linguaggio poetico è moderno, lo stile è terso ed elegante, pregno di ricchezza e


audacia espressiva e compiaciuto estetismo.

Ovidio perfeziona il distico elegiaco e gli dona musicale fluidità.

• Nasce nel 43 a.C. a Sulmona (Abruzzo), da un’agiata famiglia equestre che gli permette
di studiare a Roma in vista della carriera politica. Dopo un viaggio in Grecia, sempre
finalizzato alla sua formazione, abbandona la carriera politica.

• Tornato a Roma entra nel circolo letterario di Messalla Corvino, e stringe rapporti con
i maggiori poeti del momento. Inizia a pubblicare le sue opere e riscuote un successo
immediato

• All’apice del suo successo, nell’8 d.C., viene colpito da un provvedimento punitivo di
Augusto, che lo relega a Tomi (mar Nero, attuale Romania).

I motivi non sono chiari: formalmente sembra a causa dell’immoralità della sua

poesia. In realtà potrebbe esser stato per il suo coinvolgimento nello scandalo

dell’adulterio di Giulia Minore, nipote di Augusto: aveva tradito D. Giunio Silano.

• Muore a Tomi nel 17/18 d.C.

49

AMORES (distici elegiaci)

Fanno parte della produzione giovanile di Ovidio. L’opera è divisa in tre libri: la data della
pubblicazione dei primi due è incerta ma si aggira agli anni 20 del I secolo a.C., mentre
l’ultimo libro probabilmente venne pubblicato nell’1 d.C.

Si tratta di una raccolta di ELEGIE di soggetto amoroso:

Ovidio si colloca nella tradizione elegiaca del momento, prendendo spunto dai temi
tradizionali catalogati da Tibullo e soprattutto Properzio.

I temi spaziano dalle poesie di occasione a quelle di chiaro stampo alessandrino, alle
avventure d’amore fatte di incontri fugaci, serenate notturne, scenate di gelosia, litigi con
l’amante per i suoi capricci e per i suoi tradimenti.

Ovidio è però critico e innovativo rispetto ai suoi modelli: le differenze sono notevoli:

• L’elegia non si presenta come subordinata alla vita, ma come suo riflesso fedele:
centrale è l’esistenza del poeta in sé, che guarda al genere poetico con sguardo
distaccato, esterno rispetto a quello esclusivo dell’amante.

• Nell’opera manca una figura femminile di riferimento attorno a cui si svolgono le varie
esperienze amorose: lo stesso autore rivela di non appagarsi di un unico amore ma di
preferire due donne, o addirittura di innamorarsi di qualunque bella donna.

Il tradizionale servitium amoris nei confronti di una donna diventa servitium nei

confronti di Amore stesso: centrale non più la singola donna, ma l’esperienza

amorosa.

Corinna, la donna amata dal poeta, è una figura tenue e dalla presenza intermittente:
molti sospettano addirittura inventata.

• Il pathos tipico dell’elegia si stempera e si banalizza, diventando LUSUS: l’esperienza


erotica è analizzata con il filtro dell’ironia e del distacco intellettuale.

ELEGIA 1,8
È in questo caso che Ovidio elabora il motivo fondamentale per la scrittura dei
successivi poemetti erotici: elegia di carattere didascalico.

L’autore riprende il motivo della vecchia LENA: astuta ed esperta mezzana che
impartisce consigli alle giovani su come rimorchiare.

Se nella tradizione precedente era una figura deprecata, in Ovidio ha una


connotazione positiva: è una progenitrice dell’opera didascalica, assume il ruolo di
maestro d’amore che l’autore prenderà nella composizione dei poemetti.

In questa elegia Ovidio è ancora sia amante che poeta, nelle prossime opere
abbandonerà il ruolo di protagonista dell’esperienza amorosa per dedicarsi sono a
quello di giudice.

50

LA POESIA EROTICO-DIDASCALICA
Si tratta di un ciclo di tre poemetti, pubblicati tra l’1 a.C. e l’1 d.C.: il progetto sembra
l’esito naturale ed estremo della concezione dell’eros già delineata negli Amores (1,8).

Ormai la relazione d’amore è diventato esclusivamente un gioco intellettuale, dotato del


suo corpus di regole e di un codice etico-estetico, codificati dagli elegiaci a lui
precedenti. I poemetti si collocano nell’ottica della composizione di un inventario
dell’universo elegiaco:

ARS AMATORIA (distici elegiaci)


Diviso in tre libri, che corrispondono alle tre sezioni dell’opera:

1 consigli agli uomini sui modi di conquistare le donne,

2 consigli agli uomini su come conservare il loro amore,

3 consigli alle donne su come sedurre gli uomini (sezione più tarda).

Ovidio, nella forma del poema didascalico (sui modelli di Lucrezio e delle Georgiche),
attraverso un andamento precettistico descrive i luoghi d’incontro, i momenti di svago, le
occasioni della vita cittadina in cui mettere in atto l’arte della seduzione. La narrazione è
intervallata da inserti di carattere storico o mitologico in cui si forniscono exempla
riguardo ai precetti impartiti.

L’atteggiamento generale è di disinvolta spregiudicatezza, di insofferenza e impertinente


aggressività nei confronti della morale tradizionale, anche nei confronti di temi dedicati
come l’etica sessuale e il matrimonio.

Ovidio non attacca i principi del mos maiorum con un atteggiamento di ribellione, ma
piuttosto trattando la narrazione come un lusus, o come una giocosa attività intellettuale.

Quando viene meno l’assolutezza dell’eros si stempera l’apparente libertinismo Ovidio


rinuncia ad ogni velleità conflittuale: si esclude la società rispettabile dalla narrazione.

Negazione dell’impegno totalizzante della poesia e riconciliazione della poesia elegiaca


con la società, con l’armoniosa complementarietà della sfera privata e di quella civile.

Riscontrando nell’insubordinazione della poesia elegiaca tradizionale una grandissima


contraddizione, Ovidio oppone i valori della modernità e l’accettazione dello stile di vita
proposto dalla Roma augustea.

MEDICAMINA FACIEI FEMINAE (distici elegiaci)


Si oppone al tradizionale rifiuto della cosmesi per le donne, e propone loro alcune ricette
di bellezza come ulteriore strumento di seduzione.

REMEDIA AMORIS (distici elegiaci)


Ovidio rovescia i precetti dell’ars amatoria e insegna come liberarsi dell’amore. Il poeta
ribalta il topos elegiaco secondo cui non ci si poteva liberare dell’amore (concetto
pienamente accettato dagli elegiaci: era una condanna di cui si compiacevano, come
scelta di nequitia):

Secondo Ovidio non solo è possibile liberarsi dell’amore, quando provoca sofferenze,
ma è anche necessario (Filosofia stoica ed epicurea, Libro IV De rerum natura).

51
HEROIDES (distici elegiaci)

Il nome in origine era probabilmente EPISTULAE HEROIDUM: si tratta di una raccolta di


lettere poetiche, divisibili in due sezioni in base alle fasi di composizione:

1 (15 a.C.) lettere scritte da donne famose ai loro amanti o ai mariti lontani:

Penelope ad Ulisse Fillide a Demofonte Briseide ad Achille

Fedra a Ippolito Enone a Paride Ipsipile a Giasone

Didone a Giasone Ermione a Oreste Deianira a Ercole

Arianna a Teseo Canace a Macareo Medea a Giasone

Laodamia a Protesilao Ipermestra a Linceo Saffo a Faone

Si rifanno tutte ad un modello molto vincolante: le lettere sono tutte testi chiusi, non
prevedono risposta e seguono la stessa situazione modello della donna abbandonata,
delirante (Carme 64 di Catullo).

La situazione è data per nota perché tutte le donne sono eroine del mito, greco o latino, a
eccezione di Saffo, unico personaggio storico, la cui storia era comunque molto nota.

Lo schema della narrazione poi è il seguente: disperazione dell’eroina, invocazione del


ritorno dell’amato, esortazione a mantenere fede alle promesse (suasoriae).

A queste situazioni prevedibili seguono poi dei flashback caratterizzanti.

2 (4-8 d.C.) lettere di tre innamorati a cui segue la risposta delle rispettive donne:

Paride ed Elena Ero e Leandro Aconzio e Cidippe

Sono testi meno monotoni, perché presuppongono appunto uno scambio.

La forma dialogica può trovare affinità con le controversiae retoriche.

Ovidio fonda un genere: probabilmente prende spunto da un’elegia di Properzio, ma


l’idea della raccolta è completamente originale, intessuta di materiali letterari:

- tradizione epico-tragica greca;

- Callimaco e la poesia ellenistica;

- Catullo e Virgilio.

Sono tutti filtrati dal CODICE ELEGIACO che seleziona contenuti e modalità delle
suggestioni. L’ottica è ristretta e convenzionale, e porta le eroine ovidiane a imporre
“tagli” elegiaci al materiale narrativo dell’epos, della tragedia e del mito:

gli eventi vengono narrati in maniera diversa o addirittura opposta rispetto agli originali,
attraverso un punto di vista romano e di recente tradizione:

NUOVO UNIVERSO LETTERARIO FONDATO SULLA COMPRESENZA DI CODICI E


VALORI, E SULLA LORO RECIPROCA INTEGRAZIONE

52
Possiamo definire le Heroides come vere e proprie poesie del lamento: espressioni della
condizione infelice della donna, lasciata sola o abbandonata dallo sposo-amante lontano.

L’elegia in questo senso torna ad avere la funzione iniziale di “canto lacrimoso” (elegi
quoque flebile carmen) di a cui si riferisce Saffo nella sua lettera.

Le eroine soffrono non solo in quanto innamorate tradite o non corrisposte, ma


soprattutto in quanto donne:

la loro esistenza è profondamente segnata dall’abbandono, dall’umiliazione, dalla propria


debolezza, dall’inferiorità di chi deve subire senza potersi imporre.

Studio approfondito della PSICOLOGIA FEMMINILE: la prospettiva amorosa dell’elegia


si sposta dalla prospettiva del lusus a favore della voce delle donne, spesso inespressa o
sacrificata, che acquista intensità drammatica. 

53

METAMORPHÒSEON LIBRI
Ovidio si cimenta in un genere completamente nuovo:

poema di metamorfosi ma alla maniera dell’epos

Il modello fondamentale è esiodeo: Esperienza fondamentale di Virgilio e


poema collettivo che raggruppi una ripresa dei motivi caratteristici:

serie di storie indipendenti accomunate - proemio con invocazione agli dei,

dallo stesso tema:


- in esametri;

- Àitia di Callimaco;
- di grandi dimensioni.
- Nicandro di Colofone: storia delle
metamorfosi;

- Partenio di Nicea.

Volontà di scrivere un poema secondo um impianto cronologico pressoché illimitato:


dalle origini del mondo ai giorni di Ovidio.

L’idea di una storia universale è già di discendenza ellenistica e permette all’autore di


rispondere, a modo suo, alle esigenze nazionali e augustee: il nuovo regime è il culmine
e il coronamento della storia del mondo.

Le 250 vicende mitico-storiche sono ordinate secondo un filo cronologico che dopo gli
inizi si attenua, fino ad essere quasi impercettibile, in favore di altri criteri di associazione
(per continuità geografica, per analogie o contrasti tematici, per rapporto genealogico fra i
personaggi, per somiglianze tra le metamorfosi).

• Al breve proemio, costruito come quello dell’epos, seguono le vicende della nascita del
mondo dall’informe caos originario alla creazione dell’uomo, nel tempo primordiale:
diluvio universale e rinascita del genere umano, mito di Deucalione e Pirra.

• Tempo del mito: passioni e capricci di dei e semidei.

Apollo e Dafne | Giove e Io | Fetonte | Atteone trasformato da Diana | Narciso |

Penteo punito da Bacco | amore di Priamo e Tisbe | Perseo che salva Andromeda |

ratto di Proserpina | Minerva che trasforma Aracne | incantesimi di Medea | volo

fatale di Icaro e Dedalo | imprese di Ercole | Orfeo ed Euridice.

• Le nozze di Peleo e Teti danno inizio ad una nuova nuova fluidità cronologica: con la
storia di Esaco (fratello di Ettore) si passa ai racconti che coinvolgono i personaggi della
guerra di Troia -> Tempo della storia.

Achille e battaglia tra Lapiti e Centauri | contesa per le armi tra Aiace e Ulisse |

amore di Polifemo per Galatea.

Vicende di Enea e racconto ambientato nel Lazio, poi nella Roma dei re:

Miti delle divinità agresti: Pomona e Vetumno | Numa Pompilio introduce Pitagora

(discorso sulle metamorfosi come legge universale: impianto filosofico del poema,

ma velato di ironia).

• Contemporaneità e intento celebrativo:

Apoteosi di Cesare, ultimo degli Eneadi, e celebrazione di Augusto.

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FLUIDITÀ DELLA STRUTTURA:

- Le dimensioni delle storie narrate sono molto varie, si passa da vicende appena
accennate a epilli di 100 versi.

- I modi e i tempi della narrazione non sono omogenei: Ovidio seleziona i momenti
salienti, concentrando il racconto sulle scene e sugli eventi drammatici, ma anche sul
racconto minuzioso delle METAMORFOSI nel loro progressivo realizzarsi.

Sono il tema unificante di tutto il poema, tema che risponde al gusto dell’eziologia
manifestato da Ovidio (e lascito degli Alessandrini): descrive l’origine delle cose e degli
esseri attuali da una loro forma anteriore.

Ovidio insiste sulla percezione visiva, sull’immediata evidenza plastica.

Generalmente sono tutte caratterizzate dai tratti del “meraviglioso” e messe in scena
sotto gli occhi di qualcuno:

l’autore può descriverle cogliendone le fasi intermedie del processo, i confini incerti
tra la vecchia e la nuova forma, il paradosso dello sdoppiamento tra il nuovo aspetto
e l’antica psicologia degli esseri soggetti al mutamento.

Anticipazione del gusto per il manierismo di età imperiale

- La narrazione è sempre continua, si configura come un flusso continuo e armonioso: le


cesure tra i vari libri non sono nette (le singole sezioni non prevedono unità tematica),
ma il racconto tende ad interrompersi nel vivo della narrazione, per sollecitare
l’attenzione del lettore nelle pause e non allentare la tensione (vedi ratto di Europa).

- La narrazione cronologica è continuamente perturbata dalle ricorrenti inserzioni


narrative proiettate nel passato e nel futuro.

RACCONTO A INCASTRO
Per evitare la mera successione elencativa delle vicende, Ovidio ne incastona una o più
all’interno di un’altra, che viene usata come cornice.

Spesso sono gli stessi personaggi a impadronirsi della narrazione: i livelli e le voci narranti
si moltiplicano e il racconto sembra germogliare continuamente da se stesso, e
allontanarsi in una prospettiva infinita, in una dimensione fuori dal tempo.

L’autore può così adattare toni, colore, stile del racconto al personaggio narrante.

VARIETÀ STILISTICA
Ovidio passa dallo stile solennemente epico a quello liricamente tragico, riecheggiando
moduli di poesia drammatica o movenze bucoliche: GALLERIA DEI VARI GENERI
LETTERARI, che coesistono e conferiscono vivacità al racconto, mai monotono.
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Nonostante il tema unificante dell’opera sono le metamorfosi, l’argomento centrale è
l’AMORE:

Viene ambientato nel mondo degli dei e dei semidei, dei grandi eroi. Questi non sono
idealizzati, non esiste per loro un ethos idealizzante.

Anche i personaggi del mito sono assimilati alla dimensione terrena e agiscono sotto la
spinta di sentimenti e passioni assolutamente umani. Le dinamiche sono le stesse:
fanno parte della dimensione amorosa la gelosia, il rancore, la vendetta.

Il MITO non è sinonimo di grandezza o di solidità di valore, Ovidio non assume la


religiosità propria di Virgilio: è più un ornamento della vita quotidiana e soprattutto il
mondo delle finzioni poetiche.

Per ricreare questa dimensione Ovidio attinge ad un ampissimo


patrimonio letterario: è quasi una summa compendierai di testi, da
Omero ai tragici greci e latini, alla letteratura ellenistica e ai poeti
contemporanei.

Natura complessa e intertestuale di cui l’autore è molto orgoglioso.

Il mondo descritto nelle Metamorfosi si rivela nella sua

NATURA AMBIGUA E INGANNEVOLE:

i confini fra realtà e apparenza sono ingannevoli, come lo sono la concretezza delle
cose e l’inconsistenza delle immagini

Traspare anche nella LINGUA stessa: lo stile si presta a mostrare l’ambiguità per via
della sua connaturata doppiezza: il linguaggio è illusorio è pericoloso.

I personaggi si muovono smarriti in questo orizzonte destabilizzante, governato dalla


mutevolezza dell’errore: sono vittime del caso o del capriccio degli dei.

Il loro agire interno è condizionato dall’attitudine umana all’errore, ma ognuno di essi,


seguendo il proprio punto di vista, è convinto di saper padroneggiare la realtà.

ovviamente può farlo sono il poeta, che guarda con un

distaccato sorriso l’universo letterario che ha creato: sa che è

fittizio e lascia trasparire l’ironia riguardo all’inverosimiglianza

delle leggende narrate.

Il poeta è l’unico depositario del punto di vista vero: analizza le prospettive nel loro
moltiplicarsi, segue i personaggi che li allontana progressivamente dalla realtà,
mostrando al lettore l’esito fatale che li attende.

Ovidio spesso rompe anche la finzione narrativa per confrontarsi con il lettore: lo invita a
condividere il suo distacco ironico e il suo sguardo divertito.
56

FASTI (distici elegiaci)


È l’opera ovidiana meno lontana dalle tendenze culturali, morali, religiose del regime
augusteo. Si tratta di un calendario poetico che doveva illustrare gli antichi miti e i
costumi latini: doveva essere in XII libri e seguire la traccia dei 12 mesi annuali.

L’opera viene completata solo fino al libro VI (giugno), interrotta perché relegato a Tomi. In
parte poi viene rivista: in questa occasione l’autore cambia la dedica ad Augusto, morto,
con quella a Germanico, suo successore.

MODELLI E FONTI:

- Properzio delle Elegie romane;

- Àitia di Callimaco: interesse per il carattere eziologico, per le cause delle origini della
realtà attuale e del mondo del mito;

- Materiale mitico di origine greca o di carattere aneddotico;

- Vastissima dottrina antiquaria, religiosa, giuridica, astronomica, che trovava impiego


nell’illustrazione di credenze, riti, usanze, nomi di luoghi: tutto finalizzato alla
RISCOPERTA DELLE ANTICHE ORIGINI, che costituiva un indirizzo fondamentale
dell’ideologia augustea.

L’adesione di Ovidio al programma culturale è molto superficiale. L’opera è


piena di riferimenti scettici nei confronti al mito e ai costumi primitivi della
Roma delle origini.

La romanità stessa espressa dal calendario, non solo quella del regime
augusteo, viene insidiata e decentrata, a favore dell’ironia o dell’eros.

LE OPERE DELL’ESILIO
L’allontanamento improvviso da Roma provoca forti cambiamenti nella poetica di Ovidio,
che si ritrova ai margini dell’impero, in mezzo a un popolo primitivo che nemmeno parla
latino. Rimane solo, a comporre poesia per se stesso, senza pubblico e senza contatto
con il destinatario: come uno che danza al buio.

TRISTIA (distici elegiaci)

Si tratta di 5 libri di elegie dove Ovidio lamenta la sua infelice condizione di poesia
esiliato. Il proposito, facendo appello agli amici e alla moglie, è ottenere un
cambiamento della destinazione, se non una remissione della pena: nel Ponto non ci
sono le condizioni minime perché il poeta resti se stesso.

Ovidio rilegge la sua esperienza attraverso moltissimi esempi letterari, mutuati dai generi
più disparati: rende se stesso e le persone coinvolte nella sua stessa disgrazia personaggi
letterari. Romanticizzazione della propria condizione (l’addio alla moglie ricorda le
Heroides).

Nel LIBRO I l’autore ripercorre il viaggio verso Tomi e la difficile navigazione.

Il LIBRO II consiste nella lunga perorazione rivolta ad Augusto.

I LIBRI III-IV-V sono indirizzati a un destinatario non nominato esplicitamente, indicato


attraverso segnalazioni indirette.

57

EPISTULAE EX PONTO (distici elegiaci)

Ovidio riprende la forma epistolare in quest’ultima raccolta di elegie: ci sono le formule


proprie del genere e anche il riferimento alle lettere inviate in risposta dai destinatari, oltre
che a ricorrenti tòpoi.

Interessanti sono le analogie con le Heroides.

IBIS (distici elegiaci)

Poemetto scritto per difendersi dagli attacchi dei suoi nemici, costituito da una serie di
invettive nei confronti di un detrattore.

L’opera viene esemplata su un omonimo componimento perduto di Callimaco, scritto


contro Apollonio Rodio.

L’elegia torna ad assumere la funzione di poesia del lamento, del pianto.

Il soggetto principale è lo stesso Ovidio, che entra a far parte delle sue opere in
quanto costretto.

L’autore proclama l’assoluta autenticità della sua materia poetica: reclama i più
famosi paradigmi mitologici per esemplificare la sua condizione di vittima tragica.

Più che mai la poesia è la dimensione totale della sua esistenza: unica
ragione di conforto e unico veicolo in cui riporre le sue speranze per il futuro.

LA FORTUNA DI OVIDIO
ROMANITÀ: subito immensa, anche se non rientra negli autori studiati dalle scuole di

grammatica, che lo criticano per il gusto del virtuosismo. Ha imitatori già in vita

che inaugurano la moda di componimenti apocrifi a suo nome. Influenza vistosa

suoi poeti immediatamente successivi: Seneca tragico, Lucano, Stazio, Valerio


Flacco, Ausonio, Claudiano.

XII-XIII-XIV secoli: definiti AETAS OVIDIANA per il grande influsso che esercita sui poeti suoi

contemporanei: Dante, Petrarca, Boccaccio. Nel 1500 lo ammira anche

Ariosto.

ROMANTICISMO: la sua fama declina e non è molto conosciuto o studiato.

MODERNITÀ: ripreso da moltissimi, tra cui D’Annunzio, che lo ammira per la poesia elaborata.

58

LIVIO
È sicuramente uno degli storici romani che ha goduto di più fortuna presso la posterità.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Cronaca di Girolamo;

- Epistulae di Plinio;

- Passi di Tacito e Quintiliano.


• Nasce nel 59 a.C. a Padova, poi si traferisce a Roma. Non partecipa alla vita politica o
pubblica della città, ma entra in rapporti con Augusto.

• Dapprima si dedica alla filosofia, poi tra il 27 e il 25 a.C. decide di concentrarsi


interamente sulla sua grande opera storica, guadagnandosi molto prestigio e
ammirazione.

• Alterna la vita di città con lunghi soggiorni a Padova, dove muore nel 17 d.C.

LA FORTUNA DI LIVIO
ROMANITÀ: prevalenza del modello storico sallustiano, ma comunque grandissima fortuna.

Attingono dalla sua opera storiografi posteriori sia greci che romani, ma anche

poeti di epica storica come Lucano e Silio Italico.

Inizia la pratica delle epitomi: redazioni concise e abbreviate della sua opera

(conosciute già da Marziale).

MEDIOEVO: piccolo declino all’inizio. Letto da Dante che lo colloca tra i massimi prosatori, nel

De Vulgari Eloquentia.

UMANESIMO: Petrarca ne trae ispirazione per alcuni episodi dell’Africa e trova diversi libri.

Boccaccio forse volgarizza alcune decadi. Poggio Bracciolini e Leonardo Bruni

ne traggono ispirazione. Machiavelli scrive i Discorsi intorno alla prima deca.

MODERNITÀ: molti traggono ispirazione per tragedie, hanno fortuna soprattutto i personaggi

tragici femminili come Sofonisba (ripresi da Trissino, Corneille, Alfieri).

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AB URBE CONDITA LIBRI


Questo è il titolo riportato dai codici più autorevoli, ma Livio definisce la sua opera come
Annales o anche genericamente con libri. Plinio il Vecchio usa il nome di Historia.

Si tratta di una grande STORIA DI ROMA, dalla sua fondazione fino all’epoca
contemporanea, probabilmente fino alla morte di Druso in Germania (9 a.C.) o alla
disfatta di Teutoburgo, dello stesso anno. Non è improbabile che il progetto originale
fosse di arrivare alla morte di Augusto (14 d.C.) e che Livio sia morto prima di completare
quest’ultima sezione.

L’opera consiste in 142 libri di ineguale ampiezza, divisi in decadi: periodi distinti
caratterizzati da avvenimenti specifici della storia.

Non è chiaro a quando risalga questa divisione in decadi: alcuni suppongono sia da

datare al V secolo d.C., altri che appartenga allo stesso autore (Livio aveva pubblicato

l’opera in blocchi di libri, che potrebbero corrispondere a quelli attuali).

Dell’opera di Livio abbiamo una sezione decisamente mutila, probabilmente sempre per il
discorso della trasmissione in sezioni (alcune di quelle che sono state tramandate hanno
avuto fortuna, altre no). Rimangono:

• PRIMA DECADE (I-X): dalla fuga di Enea da Troia alla terza guerra sannitica (293 a.C.).

• TERZA e QUARTA DECADE (XXI-XLV): dalla Seconda Guerra Punica (218 a.C.) alla

+ metà
QUINTA
della DECADE
guerra contro la Macedonia (167 a.C.).

RAPPORTO CON LE FONTI

Livio nella scelta delle fonti non sembra procedere a un attento vaglio critico. Sembra
che il criterio fondamentale fosse quello della facilità di accesso e reperibilità:

- storiografi annalisti: Valerio Anziate, Licinio Macro, Claudio Quadrigario;

- Polibio, da cui attinge soprattutto la visione unitaria del mondo mediterraneo e dei
legami fra Roma e i regni ellenistici;

- Catone delle Origines, ma sporadicamente.

Fa un uso estremamente limitato sia di documentazioni di altro genere, che potevano


colmare mancanze dell’annalistica, sia di ricerche che altri avevano fatto su queste
diverse documentazioni (Attico o Varrone, per esempio).

Per questo motivo è stato definito uno EXORNATOR RERUM: storico letterario
preoccupato di amplificare e di adornare la traccia che trovava nelle proprie fonti con
una drammatizzazione piena di varietà e di movimento.

L’accusa che lo vede come storiografo di “seconda mano”, che rielabora il lavoro di
altri, contiene un fondo di verità ma non nega l’originalità del suo lavoro.
60
Con Livio la storiografia latina ritorna al METODO ANNALISTICO: la narrazione di ogni
impresa si estende per l’arco di un anno, dopodiché viene sospesa per raccontare altri
avvenimenti contemporanei all’azione militare; per l’anno successivo ricomincia da capo.

La narrazione non ha uguale estensione per tutti gli anni: Livio dilata l’ampiezza dei libri
man mano che si avvicina all’epoca contemporanea.

Questo atteggiamento corrispondeva alle aspettative e all’interesse dei lettori per le


vicende più recenti, soprattutto per la narrazione delle guerre civili, che avevano dato
come risultato il PRINCIPATO.

Il regime augusteo, nei confronti della letteratura storiografica, non opera un tentativo di
egemonia simile a quello esercitato nei confronti dei poeti. Il rapporto di Livio in questo
senso è complesso: non si può dire oppositore diretto al regime, ma nemmeno un
sostenitore entusiasta.

Quintiliano coglie in lui delle tracce di Patavinitas (la sua fonte è Asinio Pollione):

provincialismo padovano in cui era rispecchiata una specifica posizione politico-

culturale, particolarmente ancorata alle posizioni repubblicane, in cui il mos


maiorum era ancora ampiamente sostenuto.

Tacito testimonia che Augusto lo avrebbe definito “pompeiano”, alludendo alla

sua nostalgia per gli ideali repubblicani. Sappiamo che Livio copriva di lodi
Pompeo e ostentava rispetto nei confronti dei Cesaricidi.

Non rappresenta una grande minaccia per augusto perché in quel tempo voleva
rappresentarsi più come un restauratore della repubblica che come un erede di Cesare:
tollerava i martiri della repubblica.

Accordo sostanziale tra Livio e il princeps: condanna da parte di entrambi del disordine
politico-sociale degli ultimi decenni della storia politica, dei conflitti tra i partiti,
dell’avidità dei ricchi e delle rivendicazioni dissennate dei poveri.

LIVIO PREME PER UNA POLITICA DI RESTAURAZIONE DEGLI ANTICHI VALORI,

E COSÌ FACEVA AUGUSTO

Tuttavia, non dobbiamo tradurre il consenso leviamo come un’esaltazione


incondizionata. LIVIO HA PIENA CONSAPEVOLEZZA DELLA CRISI CHE ROMA HA
ATTRAVERSATO, E NON VEDE NEL PRINCIPATO LA RISOLUZIONE DI TUTTI I MALI

In sintesi, lo storico può essere definito estraneo a quella parte di ideologia augustea
che insisteva sul valore carismatico del principato, presentandolo come nuova età
dell’oro.

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CARATTERI DELLA STORIOGRAFIA LIVIANA

Il PESSIMISMO che traspare dalla narrazione non è lucido.

L’autore più volte ribadisce che la narrazione del passato mitico e glorioso di Roma è per
lui un rifugio dal narrare dei problemi più recenti. Si tratta di una critica implicita alla
storiografia sallustiana, che invece si concentrava sugli eventi contemporanei.

Descrivendo la Roma antica Livio ha la possibilità di giustificare l’Impero di Roma: le


guerre civili non sono che un momento di crisi all’interno di un quadro generale molto più
ampio: la grandezza di Roma è stata il frutto della combinazione di fortuna e virtus.

Provvidenzialità della formazione dello Stato: è destinato a grandezza. Nessun altro è


capace di vincere contro Roma perché la sua potenza è imparagonabile. Generale
tendenza di Livio a idealizzare il passato: oscuramento delle vicende più recenti della
storia romana a favore della Roma dei grandi ideali.

Livio crede in una HISTORIA MAGISTRA VITAE:

Sente la pressione della storia, percepisce il peso e il condizionamento che le immagini


del passato esercitano sulla coscienza del tempo presente.

Rappresentando le grandi azioni e i grandi personaggi della storia antica, Livio fornisce
degli esempi esemplati per il presente: il grandioso passato indica la via della salvezza a
chi, nel presente, deve rinnovare il prezioso esempio.

La mitologia del passato influenza direttamente l’agire del presente.

Possiamo identificare l’intento di Livio nella passione moralistica: non è uno studio
politico che spiega gli atteggiamenti e le ideologie del passato, ma una narrazione da
condurre in termini di personalità umane e di singoli individui rappresentativi, che fungono
da exempla, da imitare o da rifuggire.

Livio è così impegnato nella narrazione che la sua può essere definita una
STORIOGRAFIA DRAMMATICA

Largo spazio alla rappresentazione dei drammi nel racconto, pieni di pathos, che
possono essere costituiti dalle descrizioni di battaglie, dal rovesciamento repentino di una
battaglia, inizialmente sfavorevole, che comporta una vittoria del popolo romano, dalle
sommosse popolari, dai resoconti dei dibattiti in senato.

Livio si immerge in questi eventi: dà l’impressione di esser stato un testimone che ha


vissuto il dramma e che ora lo racconta.

Il modello in questo senso è la storiografia ellenistica peripatetica (Eufoso, Duride,


Filarco): mirava a descrivere efficacemente i fatti in modo da suscitare emozioni nel
lettore, piuttosto che fornire una ricostruzione analitica degli avvenimenti.

62
Fondamentali, per la credibilità e la riuscita di questa storiografia drammatica, sono le
personalità singole. Attraverso la tecnica impressionistica padroneggiata, i personaggi
sono molto caratterizzati. Livio lascia loro lo spazio per descriversi:

Ampio ricorso al discorso diretto per delineare i pensieri dei singoli individui, che
descrivono le loro inclinazioni e anche le scene a cui assistono da spettatori.

Tuttavia, si potrebbe dire che nello stile di Livio c’è più ethos che pathos: quello che
riecheggia è una grande maestosità epica, molto suggestiva, resa ancora più piacevole
dalla grandezza delle raffigurazioni. Non risulta mai pomposo o manierato.

LINGUA E STILE
Piuttosto che al modello conciso e talvolta oscuro di Sallustio, Livio si rivolge alla prosa
ciceroniana come modello: lo stile è ampio, fluido e luminoso, senza artifici e senza
restrizioni. Evita ogni asperitas.
I toni sono molto vari, ma rimangono comunque dolci e lineari. A volte i periodi possono
risultare carichi e affollati, perché prevedono la divulgazione scritta. Al contrario della
prosa lineare di Cicerone, ideata per essere letta e quindi più facile, Livio non rinuncia a
periodi più complessi.

Si può riscontrare un’ammirevole duttilità: se la prima decade ha un tono arcaizzante,


per rendere la solennità degli eventi narrati, nelle parti successive Livio attinge al canone
del classicismo.
63

SENECA
È uno dei pochi autori latini che mette in pratica il precetto stoico dei filosofi e degli
intellettuali al potere, almeno in parte della sua vita.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Le sue opere (soprattutto le Epistole e la Consolatio ad Helviam matrem);

- Annales di Tacito;

- Cassio Dione;

- Biografie di Caligola, Claudio e Nerone di Svetonio.

• Nasce a Cordova, in Spagna,(città di tradizione repubblicana che nelle guerre civili si


era schierata dalla parte di Pompeo) intorno al 4 a.C., da una famiglia provinciale di
rango equestre.

• Si trasferisce a Roma dove riceve una formazione nelle scuole di retorica e di filosofia,
in previsione di una carriera politica. Per iniziare la formazione militare si reca in Egitto al
seguito di uno zio prefetto (24 d.C.).

• Tornato a Roma, nel 31 d.C. inizia la carriera politica: ottiene un successo cospicuo,
tant’è che Caligola ne decreta la condanna a morte perché invidioso delle sue orazioni.
Riesce a scamparla grazie a una delle amanti dell’imperatore (lol?).

• Claudio nel 41 d.C. lo costringe ad una relegazione in Corsica, formalmente a causa


del coinvolgimento in uno scandalo con Giulia Lavilla (figlia di Germanico e sorella di
Caligola). In realtà si suppone fosse per colpire l’opposizione politica che costituiva.

• Nel 49 d.C. viene richiamato a Roma da Agrippina, che lo sceglie come precettore per il
Nerone, insieme al prefetto del pretorio Afanio Burro. Seneca accompagna il futuro
imperatore fino all’ascesa al trono (54 d.C.) e per i cinque anni successivi:

“PERIODO DEL BUON GOVERNO”

• Quando i rapporti con Nerone vanno deteriorandosi e muore Burro, Seneca si ritira a
vita privata dedicandosi ai suoi studi.

• Viene considerato sospetto agli occhi di Nerone e Tigellino (nuovo prefetto del pretorio)
e coinvolto nella CONGIURA PISONIANA (65 d.C.). condannato a morte
dall’imperatore, Seneca si suicida per non arrendersi al potere.

LA FORTUNA DI ORAZIO
ROMANITÀ: immediato successo alimentato soprattutto da Quintiliano. Nella tarda antichità ai

guadagna l’ammirazione dei cristiani.

MEDIOEVO: esercita moltissima influenza sui gesuiti, viene letto tantissimo.

FORTUNA DELLA TRAGEDIA:

Soprattutto dal XIV secolo: è un modello per il teatro elisabettiano di Shakespeare, per quello
classico francese di Corneille, Racine e per Voltaire, per il Romanticismo tedesco. In Italia viene
apprezzato e ripreso soprattutto da Alfieri.

64

OPERE FILOSOFICHE
Occupano il maggior spazio all’interno della produzione di Seneca.

DIALOGI
È una raccolta in 12 libri costituita da trattazioni autonome di aspetti particolari della
filosofia etica stoica e di psicologia. Seneca perde il rigore dottrinale, liberandosi da ogni
chiusura dogmatica.

Il titolo non fa riferimento alla forma dialogica, ma più alla ripresa della maieutica platonica
come metodo di discussione filosofica.

Le singole sezioni sono difficili da datare perché composte nell’arco di tutta la vita:

è difficile vedere anche lo sviluppo del suo pensiero nel corso del tempo.

CONSOLATIONES: genere già sperimentato dalla tradizione filosofica greca costruito

intorno a un repertorio di temi morali (fugacità del tempo,


precarietà della vita, morte, destino ineluttabile dell’uomo).

- Consolatio ad Marciam (principato di Caligola, 40 d.C.?)

indirizzata alla figlia di Cremuzio Cordo, per consolarla della morte di un figlio.

- Consolatio ad Helviam matrem (42 d.C. - esilio in Corsica)

alla madre, per tranquillizzarla sulla sua condizione di esule: esaltazione degli aspetti

positivi dell’isolamento e dell’otium contemplativo.

- Consolatio ad Polybium (43 a.C. - esilio in Corsica)

per un potente liberto di Claudio, per consolarlo della morte di un fratello.

in realtà contiene un’adulazione palese dell’imperatore, per tornare a Roma.

DE IRA, in tre libri: più speculativo e meno legato a delle circostanze contingenti. Scritto
probabilmente prima dell’esilio, ma publicati sicuramente dopo la morte di Caligola.
Dedicato al fratello Novato.

Si tratta di una fenomenologia delle passioni umane: ne indaga i meccanismi di


origine, il modo per inibirle e dominarle.

DE VITA BEATA: di qualche anno posteriore, sempre dedicato al fratello Novato.

Affronta il problema della felicità e indaga il ruolo che possono avere le ricchezze
e gli agli nel perseguimento di questa.

Seneca sembra volersi discolpare dalle accuse che gli venivano imputate, riguardo
l’incoerenza che avrebbe promosso tra i principi filosofici e il suo stile di vita lussuoso.

L’essenza della felicità sta nella virtù, non nei piaceri o nella ricchezza. Tuttavia, se
questi possono aiutare alla ricerca della virtù, sono legittimati.

Di conseguenza, chi aspira alla sapientia dovrà sopportare i pesi degli agli e del
benessere che la vita ha concesso senza lasciarsi snaturare:

NON È IMPORTANTE POSSEDERE RICCHEZZE, IL PUNTO È NON FARSI


POSSEDERE DA ESSE
65
TRILOGIA PER L’AMICO SERENO, che abbandona le sue convinzioni epicuree in favore

della filosofia stoica.

- DE CONSTANTIA SAPIENTIS (dopo il 41 d.C.)

Esaltazione dell’imperturbabilità del saggio stoico davanti alle avversità, forte

della sua fermezza interiore.

- DE TRANQUILLITATE ANIMI (prima del 62 d.C.) unico in parziale forma dialogica

Tema della partecipazione del saggio alla vita politica: mediazione fra i due

estremi dell’otium contemplativo e dell’impegno del civis. Seneca suggerisce un

comportamento flessibile, rapportato alle condizioni politiche.

L’obiettivo è trovare una serenità d’animo capace di giovare agli altri, con
l’esempio o con la parola: si può essere utili a una comunità in molti modi.

- DE OTIO (dopo il 62 d.C.)

Scelta forzata del ritiro a vita politica, reso necessario da una situazione politica

compromessa. Il saggio è impossibilitato a giovare ad altri: l’unico conforto è il

rifugio nella solitudine, qui esaltata.

DE VITA BEATA: da datare forse agli anni tra il 49 e il 52 d.C., dedicato a Paolino

(prefetto dell’annona imparentato con la moglie di Seneca).

Affronta il problema del tempo, della sua fugacità. La vita ci sembra breve perché

non ne sappiamo afferrare l’essenza, ma la disperdiamo in tante occupazioni futili


senza averne piena consapevolezza.

DE PROVIDENTIA: ultimi anni, dedicato al Lucilio delle Epistole.

Affronta il problema della contraddizione tra la provvidenza stoica (in contrasto


con l’indifferenza divina epicurea) e la constatazione di una sorte che sembra premiare i
malvagi e punire gli onesti.

Le avversità che ci colpiscono non fanno parte di un disegno provvidenziale


sbagliato, ma attestano la volontà divina di mettere alla prova i buoni ed esercitarne le
virtù: il sapiens stoico conosce il posto che gli è stato assegnato nell’ordine cosmico
governato dal logos e si sa adeguare.

NATURALIUM QUAESTIONUM LIBRI VII: anni del ritiro a vita privata, unica opera

senecana di carattere scientifico rimasta.

Seneca tratta dei vari fenomeni naturali e celesti (terremoti, comete, temporali).

L’opera è frutto di un lungo lavoro di composizione, probabilmente durato anni, che


sembra costituire il supposto “fisico” all’impianto filosofico.

66

TRATTATI FILOSOFICO-POLITICI
L’interesse per il rapporto tra filosofia e politica è centrale nel pensiero di Seneca, già a
partire dalle opere filosofiche sopra citate. Il pensiero centrale è quello espresso nel De
tranquillitate animi e nel De otio:

il sapiente non dovrà tenersi lontano dagli affari dello stato, ma lavorare per il benessere
della sua comunità, a meno che la sua partecipazione turbi la sua serenità interiore.

DE CLEMENTIA (55-56 d.C.), dedicato al giovane imperatore Nerone, dove

Seneca traccia un ideale programma politico ispirato

ad equità e moderazione.

Seneca non mette in discussione il potere monarchico che ormai rappresentava il


principato, in parte perché ormai si era già affermato come tale, in parte perché il potere
unico era piuttosto conforme alla concezione stoica di un ordine cosmico e poteva
prestarsi come simbolo unificante dei tanti popoli uniti sotto l’Impero.

Il problema non è il tipo di potere, ma avere un buon sovrano al potere: l’unico freno sul
princeps è la sua stessa coscienza, che deve trattenerlo dal governare in modo tirannico.
La CLEMENZA è l’atteggiamento di filantropica benevolenza da avere nei confronti dei
sudditi, in modo da non essere temuto ma sempre rispettato.

Costruzione di un principato illuminato e paternalistico che spera veramente


nell’instaurazione di un buon governo, partendo dall’educazione del princeps e dalla
filosofia come garante e ispiratrice di grandi azioni.

Quando la situazione politica degenera, Seneca deve tornare a fare i conti con il

suo progetto, costituito da grandi illusioni. La filosofia accentua


progressivamente il suo impegno nell’agire sulle coscienze dei singoli: saggio

stoico a servizio della comunità.

DE BENEFICIIS (post ritiro a vita privata), all’amico Ebuzio Liberale.

Seneca tratta della natura e delle varie modalità degli atti di beneficenza, del legame che
si istituisce tra benefattore e beneficato, dei doveri di gratitudine e delle conseguenze per
i trasgressori di essi.

Sono un elemento coesivo dei rapporti interni all’organismo sociale: trasferimento sul
piano di una morale individuale il progetto di una società equilibrata e concorde, fondata
su una morale illuminata.

Intento di instaurare rapporti umani e cordiali.

67

EPISTULAE AD LUCILIUM
Si tratta di una raccolta di lettere di maggiore o minore estensione, di vario argomento.
Non è chiaro se si tratti di un epistolario reale o fittizio, ma un’ipotesi non esclude l’altra:
le trattazioni più lunghe potrebbero esser state aggiunte al momento della pubblicazione,
quelle più corte esser state effettivamente inviate.

La raccolta è mutila, la parte conservata è da datare al periodo successivo al disimpegno


politico: centrale il concetto dell’otium meditativo.

L’opera rappresenta un unicum della letteratura latina, Seneca è consapevole e


orgoglioso di introdurre un genere nuovo, che va aldilà della semplice corrispondenza
epistolare.

Sul modello di Epicuro, Seneca utilizza le lettere come strumento di crescita personale,
come diario di conquiste dello spirito nel lungo itinerario verso la sapientia.

Il fine dell’epistolario è creare un colloquium con il suo interlocutore: dimensione intima e


quotidiana che fornisce un esempio di vita, più efficace dell’insegnamento dottrinale.

La lettera si presta in maniera ottimale allo scopo perché analizza di volta in volta un
argomento e accompagna il discepolo verso l’obiettivo filosofico.

Seneca costruisce con Lucilio un dialogo costruttivo a tappe: all’inizio tratta i temi più
semplici, per arrivare mano a mano a quelli più complessi, permettendogli di meditarci su
attraverso l’uso di sententiae.

Il percorso filosofico non interessa solo Lucilio, ma riguarda anche lo stesso Seneca,
consapevole del fatto che la sapienza non è un risultato raggiungibile fino in fondo:
bisogna sforzarsi per mantenerla e alimentarla sempre.

Lo scopo non è solo di dimostrare una verità, ma anche di esortare al bene:

INTENTO PARENETICO

È estremamente conforme al tipo di filosofia a cui Seneca aderisce: non esiste una reale
sistematicità, ma i diversi aspetti vengono trattati in modo parziale, partendo da singoli
temi (tradizione diatribica). Gli argomenti sono:

- indipendenza del saggio e autosufficienza;

- indifferenza alle seduzioni mondane;

- disprezzo per le opinioni correnti;

- riflessione sulla condizione umana che accomuna tutti gli esseri viventi: condanna del
trattamento riservato agli schiavi (anche se la sua visione resta profondamente
aristocratica, vedi riflessione sul popolo che si intrattiene con i giochi del circo).

- Definizione di otium: distacco dal mondo e vita appartata che non è inerzia ma ricerca
del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare sia a Lucilio
che al futuro lettore per:

CONQUISTA DELLA LIBERTÀ INTERIORE | MEDITAZIONE SERENA SULLA MORTE


(simbolo della propria indipendenza dal mondo)

68

LINGUA E STILE DELLA PROSA FILOSOFICA


Seneca è molto originale anche in questo senso: il fine delle parole non è quello di
essere belle ma essere utili, possedere dei contenuti (res):

“non delectant verba nostra, sed prosint”


Le parole devono assolvere ad un dovere psicagogico e contribuire a fissare i precetti
nella memoria. Rispetto alla prosa lineare di Cicerone, però, Seneca è diventato un
esempio di stile complesso ed elaborato:

scelta della paratassi, piena di giustapposizioni di frasi brevi e indipendenti, nervose e


staccate, molto vicine al sermo (lingua parlata) e allo stile della retorica asiana.

Lo stile di Seneca si può definire rivoluzionario sul piano del gusto: la sua tecnica,
definita “puntillistica”, produce l’effetto di sfaccettature pregnanti e concise.

Antitetico e conflittuale, spesso il ritmo è stato definito drammatico, e sicuramente


molto vario: passa dai toni sommessi per la meditazione interiore a quelli vibranti della
predicazione.


69

TRAGEDIE
Fondamentali per la storia della letteratura latina, perché sono le uniche tragedie
pervenute in forma non frammentaria e testimoniano la ripresa del teatro latino tragico in
età imperiale, dopo il tentativo poco fortunato di Augusto.

Sappiamo molto poco della loro cronologia e ipotetica rappresentazione: in età augustea
si continuavano a mettere in scena delle opere ma era possibile anche leggerle nella sala
di recitazione. Non sappiamo in che modo fossero divulgate quelle di Seneca.

Le tragedie pervenute sono 9 tutte di oggetto mitologico greco: cothurnatae.

Seneca denota maggiore autonomia dal modello greco: dopo l’esperienza della

stagione augustea la letteratura latina si misura alla pari di quella greca, in un

rapporto di libera emulazione.

L’autore presuppone un rapporto continuo con l’opera greca e si permette

interventi di contaminazione, ristrutturazione, razionalizzazione nell’impianto

drammatico.

ERCULES FURENS (Eracle di Euripide)

Follia di Ercole provocata da Giunone, che lo porta a uccidere moglie e figli. Rinsavito è
determinato a suicidarsi ma poi si convince ad recarsi ad Atene per purificarsi.

TROADES (Troiane + Ecuba di Euripide)

Sorte delle donne troiane, prigioniere e impotenti di fronte al sacrificio di Polìssena, figlia
di Priamo, e di Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca.

PHOENISSAE (Fenicie di Euripide + Edipo a Colono di Sofocle)

Tragico destino di Èdipo e odio tra i suoi figli, Eteocle e Polinice.

MEDEA (Medea di Euripide, forse anche sull’omonima tragedia perduta di Ovidio)

Principessa della Colchide abbandonata da Giàsone e assassina dei figli avuti da lui.

PHAEDRA (Ippolito di Euripide, omonima tragedia perduta di Sofocle, IV Heroides)

Amore di Fedra per il figliastro Ippolito, che non la ricambia. Per vendicarsi lei lo denuncia
al marito Teseo, padre del giovane, che lo fa uccidere.

OEDIPUS (Edipo re di Sofocle)

Mito tebano di Edipo, che si acceca dopo aver scoperto di essere l’uccisore del padre
Laio e lo sposo della madre Giocasta.

AGAMEMNON (Agamennone di Eschilo)

Assassinio di Agamennone dopo la guerra di Troia, per mano della moglie Clitennestra e
del suo amante Egisto.

THYESTES (tragedie perdute di Sofocle e di Euripide + opera perduta di Vario)

Odio mortale di Àtreo verso il fratello Trieste, che gli ha sedotto la sposa. Per vendetta
uccide i figli e glieli fa mangiare in un finto banchetto di riconciliazione.

MEDEAHERCULES OETAUS (Trachinie di Sofocle)

Gelosia di Deianira, lasciata da Ercole perché innamoratosi di Iole: si reca dal centauro
Nesso che prepara un finto filtro d’amore per la ragazza, che in realtà è fatale. Quando lo
scopre Escole si uccide e viene assunto tra gli dei.

70
Le tragedie di Seneca si configurano soprattutto come conflitti di forze contrastanti,
all’interno dell’animo umano:

opposizione tra MENS BONA e FUROR = ragione e passione

Nelle tragedie vengono ripresi anche molti dei temi filosofici cari a Seneca: consonanza di
fondo rintracciabile tra i vari settori della produzione senecana. In un certo senso si può
leggere la tragedia come serie di exempla messi in scena a partire da concetti filosofici.
Nonostante questo le differenze sono rilevanti: i personaggi non sono capaci di frenare le
passioni attraverso il logos e arginare il dilagare del male.

La realtà ha toni cupi e atroci: la lotta delle forze maligne non coinvolge solo la psiche
umana ma il mondo intero, conferendo al conflitto una portata universale.

Rilievo particolare alla figura del tiranno, sanguinoso e bramoso i potere, chiuso ala
moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paura: nuovo dibattito sul tema del potere

STILE TRAGICO
Il linguaggio poetico delle tragedie trae spunti dalla poesia augustea, di cui riprende le
raffinate forme metriche:

- Intermezzi corali con i metri lirici oraziani;

- Senario molto simile a quello della tragedia augustea e al trimetro giambico di Orazio,
più lontano rispetto al senario libero del teatro arcaico latino.

Lo stile si caratterizza per un PATHOS esasperato, accentuato dal cumulo espressivo,


dalle frasi sentenziose e dal gusto retorico del tempo. Continua tensione, enfasi
declamatoria, greve erudizione: tinte fosche e macabre.

La frammentazione dei dialoghi è in costante ricerca di una brevitas di tipo asiano.

La tensione drammatica viene resa attraverso continue e lunghe ekphràseis di tipo


alessandrino: alterazione dei tempi dello sviluppo scenico, inquadramento di scene
singole, trattate come quadri autonomi.

Tra le tragedie attribuite a Seneca troviamo anche una praetexta:

OCTAVIA: prima moglie di Nerone che viene ripudiata e fatta uccidere dopo che l’imperatore

si innamora di Poppea.

Si tratta sicuramente di un’opera spuria, perché Seneca entra come personaggio all’interno
del dramma e perché viene raccontata anche la morte di Nerone, avvenuta due anni dopo
quella dell’autore, e preannunciata dal fantasma di Agrippina.

Sembra collocarsi in un ambiente vicino a quello di Seneca e in anni non troppo posteriori alla
sua morte, è importante perché è l’unica tragedia di argomento romano giunta integralmente.

71

APOKOLOKYNTOSIS
L’opera nei manoscritti viene definita come Ludus de morte Claudii o Divi Claudii
apotheosis per saturam. Dobbiamo il titolo più famoso alla testimonianza di Cassio Dione,
che fa riferimento al greco kolòkynta, zucca: è quindi da intendere come “deificazione di
una zucca”, in riferimento alla fama passima di cui godeva l’imperatore.

Si tratta della parodia della divinizzazione di Claudio, decretata dal senato subito dopo
la sua morte (54 d.C.): la satira risale probabilmente allo stesso anno, Seneca la scrive
come sarcastico sfogo nei confronti dell’imperatore che lo aveva esiliato.

Elogio per il futuro successore di Claudio, con il quale spera di tornare ad un nuovo
splendore per il principato.

Descrizione dell’ascesa all’Olimpo nella pretesa di essere assunto tra gli dei, che lo
costringono a discendere, come tutti i mortali, agli Inferi.

Nell’Oltretomba l’imperatore è schiavo del nipote di Caligola e viene assegnato al liberto


Menandro: contrappasso perché aveva la fama di essere tenuto in pugno dai suoi liberti.

L’opera appartiene al genere della SATIRA MENIPPEA:

Vengono alternate parti di prosa (dai toni piani) e parti liriche di vario metro (dai toni
solenni e con un lessico anche volgare).

A volte ci sono assonanze con la prosa filosofica di Seneca, il che arricchisce


l’immagine della sua vivida versatilità artistica.

Molto spesso troviamo delle citazioni di versi in farsesco controcanto: parodia letteraria
propria del genere letterario. I pastiches letterari si riferiscono soprattutto all’epica e alla
tragedia.

EPIGRAMMI
Sono attribuiti alla produzione senecana alcune decine di epigrammi in distici elegiaci,
anche se la paternità è a dir poco incerta. Non sono particolarmente brillanti, in alcune si
accenna all’esilio e uno ricorda il nipote Lucano da bambino. 

72

LUCANO
Poeta imperiale molto fortunato ma spesso criticato, sceglie il genere epico
contrapponendosi apertamente al modello virgiliano.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Biografie antiche (Svetonio, Vacca, una anonima);

- Annales di Tacito;

- Silvae di Stazio;

- Vita di Persio: lungo encomio del poeta che fornisce un catalogo delle opere;

- Numerose note esegetiche di età medievale.

• Nasce a Cordova, in Spagna, nel 39 d.C., è il nipote di Seneca <3. Si trasferisce a


Roma per la sua formazione, presso lo stoico Anneo Cornuto (qui conosce Persio, con
cui fa amicizia).

• Entra a far parte della corte di Nerone e stringe un’intima amicizia con l’imperatore.
Grazie a lui ricopre precocemente la questura e entra nel collegio degli àuguri. In onore
delle feste indette da Nerone per il 60 d.C. recita delle Laudes per il principe. Possibile
la pubblicazione dei primi tre libri del poema.

• Brusca rottura con l’imperatore, per motivi incerti. Possibile che Nerone non approvasse
le idee repubblicane di Lucano, espresse nel poema.

• Caduto in disgrazia aderisce alla CONGIURA PISONIANA (65 d.C.). Sedato il complotto
riceve l’ordine di uccidersi e si toglie la vita lo stesso anno, a nemmeno ventisei anni.

Abbiamo un catalogo abbastanza vasto della produzione di Lucano, ma a parte il poema non è
stato tramandato nulla. Le opere perdute sono:

- Iliàcon: versi sulla guerra di Troia;

- Catachtònion: carme sulla discesa agli inferi, secondo qualcuno un epillio su Orfeo;

- De incendio urbis;

- Tragedia Medea;

- Saturnalia;

- Silvae;

- Epigrammi, libretti di pantomime, declamazioni

LA FORTUNA DI LUCANO
ROMANITÀ: rapida fortuna (presso Marziale), seguita anche da polemiche letterarie (Petronio)

che ne influenzarono la fama successiva. Frontone lo critica per la ripetitività dei

concetti e la sovrabbondanza dello stile, Servio considera la sua opera una storia,

non un poema.

MEDIOEVO: viene letto tantissimo, la sua opera recupera molto fascino (testimoni i molti

commenti di questo periodo). Dante lo inserisce negli spiriti magni e prende

ispirazione dalla figura di Catone della Farsalia per il suo personaggio del

Purgatorio.

RINASCIMENTO: Petrarca lo legge e si ispira al suo modello per la scrittura dell’Africa. Tasso

prima lo ammira, e lo riprende per la Gerusalemme, poi si inserisce all’interno

della polemica letteraria.

1700-1800: ripreso come modello dalle correnti neoclassiche e romantiche: Goethe (Faust),

Foscolo (Sepolcri), Alfieri (Misogallo) per lo spirito libertario e antitirannico,

Leopardi (Bruto Minore) per spunti titanistici e antiteistici. 



73

PHARSALIA
Il titolo richiama la sconfitta di Pompeo a Farsalo: l’argomento è la brutalità delle guerre
civili (chiamata anche Bellum Civili nelle biografie antiche di Lucano e nei codici).

Rispetto alla produzione precedente del poeta l’opera si distacca nettamente: se prima si
poteva cogliere una generale adesione al programma letterario promulgato
dall’imperatore, qui è evidente l’esaltazione dell’antica gloria repubblicana, se non in
aperto contrasto con le tendenze culturali neroniane.

L’opera è incompiuta a causa della morte prematura dell’autore, ma avrebbe dovuto


contare, in teoria, 12 libri (come Eneide). Lucano si ferma bruscamente al decimo.

LIBRO I
Esposizione dell’argomento ed elogio a Nerone. Cause della guerra: passaggio del Rubicone
da parte di Cesare.

LIBRO II
Lamenti dei Romani che ricordano il conflitto Mario-Silla.

Catone convince Bruto, durante un dibattito notturno, del fatto che sia meglio schierarsi dalla
parte di Pompeo, piuttosto che astenersi da un conflitto (che in ogni caso vedrebbe la vittoria
di un dominatore su uno sconfitto).

Pompeo scappa dalla’Italia

LIBRO III
Giulia appare in sogno a Pompeo per minacciare terribili sciagure.

Cesare entra a Roma, Pompeo raduna gli alleati (catalogo).

Battaglia tra Marsigliesi ed esercito di Cesare.

LIBRO IV
Azioni di Cesare in Spagna e in Africa. Esaltazione dell’eroismo dei cesariani.

LIBRO V
Il Senato, riunito in Epiro, rinnova i comandi di Pompeo sulle forze repubblicane.

Cesare tenta di raggiungere Antonio passando l’Adriatico in incognito ma c’è una tempesta.

Pompeo mette al sicuro la moglie Cornelia a Lesbo: addio pieno di suggestioni elegiache.

LIBRO VI
Pompeo rinchiuso e assediato a Durazzo. Gli eserciti arrivano in Tessaglia.

Sesto consulta la maga Erìttone che richiama dall’Ade un soldato caduto, il quale dà presagi
di sventura per lui e per tutta la sua family: negromanzia.

LIBRO VII
Pompeo sogna i trionfi del passato. Al consiglio di guerra cerca di convincere l’esercito a non
combattere ma viene spinto dai suoi partigiani (Cicerone).

Vittoria di Cesare in battaglia. Morte eroica di alcuni pompeiani, tra cui Domizio Enobarbo.
Fuga di Pompeo.

LIBRO VIII
Pompeo riprende Cornelia e vuole allearsi prima con i Partii, che però rifiutano la proposta,
poi con il re d’Egitto Tolomeo. Il sovrano egiziano lo tradisce: morte di Pompeo, decapitato e
lasciato sulla spiaggia.

74
LIBRO IX
Catone assume il comando dell’esercito dopo la morte di Pompeo, attraversa il deserto libico
con pericoli di ogni sorta, rifiutando di consultare l’oracolo di Ammone perché nessun giudizio
divino può modificare la sua determinazione.

Cesare arriva in Egitto dove gli viene mostrata la testa di Pompeo.

LIBRO X
Cesare visita la tomba di Alessandro Magno ad Alessandria, ponendosi come suo
continuatore. Bamnchetto con Cleopatra e narrazionesulle sorgenti del Nilo con il sacerdote
Acòreo.

CESARE POMPEO CATONE


FULMINE NEL CIELO QUERCIA SENZA FOGLIE CIELO PIENO DI STELLE
Esempio di malefica È l’unico che subisce È l’unico che ha subito
grandezza, di temerarietà: un’evoluzione psicologica: consapevolezza filosofica:
incarnazione di furor, ira, figura tragica.
con lui si consuma la crisi
impatientia.
dello stoicismo.

Il suo personaggio va
Si fa prendere da tutte le verso il declino politico, Comprensione della
forze irrazionali che quando la sua Fortuna si malvagità del fato e
venivano domate mostra avversa.
impossibile adesione alla
nell’Eneide.
volontà del destino.

A quel punto Pompeo


Tiranno feroce e crudele, ripiega sulla sfera privata: Il criterio di giustizia passa
spogliato della sua attaccamento ai figli e alla dalla dimensione divina alla
clemenza per i vinti moglie.
coscienza del saggio, che
(alterazione della verità non può mantenere la sua
Quando viene
storica).
imperturbabilità ma, una
abbandonato dalla Fortuna
volta capita la sorte, può
A volte Lucano ammira va incontro alla
accettarla senza arrendersi,
anche lui: ha un fascino purificazione: la morte
dandosi la morte.
sinistro. diventa il suo unico
riscatto morale e si
conquista un posto in cielo
Anche il suo esercito è tra gli spiriti incorrotti.
costituito da mostri assetati
di sangue. Quando
sembrano eroici in realtà I suoi soldati sono brave
Lucano dimostra sempre persone. L’unica figura un
l’ingiustizia della causa per po’ critica è quella di
cui combattono. Domizio Enobarbo,
mostrato come un eroe di
contro alla verità storica.
Forse viene lodato in
quanto antenato di Nerone.

Figura positiva di Cornelia:


assoluta devozione e
fedeltà al marito, con cui
condivide le avversità della
sorte.
75
Lucano viene da subito criticato principalmente per tre motivi:

- COMPLETO ABBANDONO DELL’APPARATO MITOLOGICO;

- ORDINE CRONACHISTICO | ANNALISTICO DELLA NARRAZIONE, che peraltro probabilmente


era una tendenza della poesia epica augustea precedente a Virgilio.

Avendo perso la maggior parte delle fonti storiche (Asinio Pollione, alcuni libri di Livio,

Seneca il Vecchio) a cui si rifaceva Lucano non possiamo stabilire quanto si rifacesse a

queste.

Sicuramente sono presenti delle deformazioni: per adattare il racconto alle sue

inclinazioni politiche Lucano presenta alcuni eventi da un punto di vista non fedele,

e addirittura aggiunge episodi non storici per corroborare le sue tesi.

- ABUSO DI SENTENTIAE.

Dopo la pubblicazione dell’Eneide, Virgilio era diventato il canone assoluto per la poesia
epica: viene insegnato in tutte le scuole come modello sia etico-politico sia stilistico.

RAPPORTO CON L’ENEIDE

Virgilio con la sua opera aveva costruito il canone imprescindibile della poesia epica
latina, al quale i successivi poeti non potevano sottrarsi.

Lucano si pone nei suoi confronti con un atteggiamento completamente opposto, di


indignatio: riprende il modello “a rovescio”, cercando di smascherare l’inganno con cui,
secondo lui, Virgilio aveva coperto la trasformazione dell’antica res publica in dominato.

Anziché riplasmare il modello, Lucano si proietta per contrasto sul suo sfondo:

ALLUSIVITÀ ANTIFRASTICA di carattere riflessivo,


confutazione di Virgilio mediante una sorta si ribaltamento delle sue affermazioni.

Mutamento dell’oggetto: scelta programmatica di trattare della storia recente per

denunciare la brutalità delle guerre fratricide, presentando la

loro nefasta conseguenza sulla storia moderna.

In alcune sezioni dell’opera il ribaltamento è più palese e consiste nel rovesciare


puntualmente personaggi, scene e singole espressioni dell’Eneide.

Episodio della nekyomantèia, specularmente opposta alla profezia di Anchise.

Entrambi gli episodi si collocano al libro VI, segnando un’evidente importanza.

Anziché rivelare le future glorie, la negromanzia rivela la rovina che attende Sesto e la

sua stirpe: anime degli eroi di Roma in lacrime, che deplorano la sorte infelice che li

attende.

Sesto è il rovesciamento del pio Enea: figlio degenere e corrotto.

Ovviamente il rapporto con il modello è complesso: anche Virgilio aveva le sue


contraddizioni, di esempio ne è l’orrore delle guerre civili lamentato nelle Georgiche e la
commiserazione per le anime innocenti sacrificate dell’Eneide.

76
Innegabile è l’evoluzione che segue il poema, coerentemente con il progressivo
pessimismo storico del poeta.

All’inizio probabilmente Lucano condivideva la speranza di palingenesi politico- sociale


suscitata dall’avvento di Nerone. In molti in quel periodo tentavano di attribuire al nuovo
imperatore i tratti augustei.

Addirittura, nell’iniziale elogio, Lucano sembra collegare la nuova età dell’oro profetizzata
nell’Eneide con il regno di Nerone, non con il principato di Augusto (sempre in polemica
con Virgilio). Qualcuno, tuttavia, ha visto in questa sezione un’ironia cifrata.

Probabilmente l’evoluzione delle speranze di Lucano possono essere assimilate a quelle


dello zio Seneca: se all’inizio si può sperare in una conciliazione del principato e della
libertà, quando si viene soffocati dall’autorità non bisogna far altro che arrendersi e
ritirarsi a vita privata.

ROMA COME ANTIMITO: la Pharsalia è la storia del tracollo dell’impero, della sua
decadenza inarrestabile che si contrappone all’ascesa della città dalle sue origini umili.

LINGUA E STILE DELLA PHARSALIA


Lucano deve inserirsi nella tradizione epica che prevedeva un linguaggio celebrativo,
una grandezza arcaica e solenne, atte a proporre una positiva commemorazione degli
eventi narrati.

Più che tentare di riformare il linguaggio epico, prova a compensarlo conferendogli il


pessimismo che voleva trasmettere attraverso una lingua piena di ideologia politico-
moralistica:

- sententiae | antitesi costruite in modo intellettualistico.

Non è solo artificiosità letteraria: Lucano non può rischiare di tradire con le parole il
messaggio della sua ideologia disperata, quindi deve affidarsi agli schematismi
enfatici del discorso retorico:

- costrutti laboriosi e articolati.

In ogni caso è evidente il grande ricorso al pathos e al sublime proposto da Lucano,


simili al manierismo e al barocco delle tragedie di Seneca. Quintiliano lo definisce
ardens et concitatus:

- ritmo incalzante dei periodi | urgenza concitata dei pensieri con enjambement |
sintassi che esce dallo schema esametrico | nessuna sinalefe per evitare il senso di
fluidità.

l’IO del poeta ricorre continuamente: è sempre presente per giudicare, per condannare,
attraverso delle apostrofi e dei generali interventi personali. La tensione espressiva
dell’epica si alimenta dell’impegno e della passione con cui l’autore ha vissuto la crisi
della sua cultura.

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