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Aristotele Stagira, 384 a.C. o 383 a.C.[1] – Calcide, 322 a.C.

) è stato un filosofo e
scienziato greco antico, noto come il "filosofo dell'immanenza". È considerato una delle
menti filosofiche più innovative, prolifiche e influenti del mondo antico occidentale, dove
era stimato come l'emblema dell'uomo sapiente per la vastità dei suoi campi di conoscenza,
di cui fu un precursore di scoperte.

Aristotele, il cui nome significa "il fine migliore”nacque nel 384/3 a.C. a Stagira, l'attuale
Stavro, città macedone nella penisola Calcidica, situata sulla costa nord-orientale della
Grecia, a circa 55 chilometri a est dell'odierna Salonicco.

Aristotele

La poetica

La poesia, e in generale l'arte, è da Aristotele definita imitazione. Ma l'imitazione può essere fatta
con mezzi diversi e in modi diversi e può rivolgersi a diversi oggetti. Difatti si può imitare per
mezzo di colori o di forme come avviene nella pittura, o per mezzo della voce come avviene nella
poesia, o per mezzo del suono come nella musica. Rispetto all'oggetto si possono imitare o
persone superiori al comune degli uomini, come accade nell'epopea e nella tragedia, o persone
comuni o persone inferiori al comune, come accade nella commedia. Rispetto ai modi
dell'imitazione, si può imitare narrativamente o drammaticamente: in quest'ultimo caso si
introducono le diverse persone ad agire e a parlare direttamente, come accade nella tragedia e
nella commedia.
Oltre queste determinazioni generali del concetto dell'imitazione, la Poetica di Aristotele nella
parte che ci è giunta non contiene che la teoria della tragedia. Questa è definita «imitazione di
un'azione seria e compiuta in se stessa, che abbia una certa ampiezza, un linguaggio ornato in
proporzione diversa a seconda delle diverse parti, si svolga a mezzo di personaggi che agiscano
sulla scena, e non che narrino, e infine produca, mediante casi di pietà o di terrore, la
purificazione di tali passioni» (Poet., 6, 1449b).
Aristotele si ferma specialmente a illustrare l'unità dell'azione tragica. Questa deve svolgersi con
continuità dal principio alla fine in modo tale che tutti gli avvenimenti di essa si concatenino e
non sia possibile sopprimerli o mutarli di posto, senza mutare e sconvolgere l'ordine dell'insieme.
Per questo l'oggetto della tragedia più che il vero è il verosimile, ciò che può verificarsi «secondo
verosimiglianza e necessità». Per questo, anche, «la poesia è più filosofica e più elevata della
storia: la poesia esprime piuttosto l'universale, la storia il particolare» (1b., 9, 1451b). Difatti la
storia narra tutto quello che è accaduto a un dato personaggio o in un dato periodo secondo la
pura e semplice successione degli avvenimenti; la poesia imita soltanto il verosimile il quale come
si è detto è ciò che accade perloppiù ed è quindi l'analogo dell'universalità (o della necessità)
propria degli oggetti della scienza.

Se Platone ritiene che l'azione drammatica, interessando gli spettatori alle passioni violente
agitate sulla scena, incoraggi in loro tali passioni, Aristotele crede invece che la tragedia eserciti
una funzione purificatrice e liberi l'anima dello spettatore dalle passioni che essa rappresenta. Lo
stesso effetto Aristotele riconosce alla musica. «Alcuni di quelli che sono dominati dalla pietà, dal
timore o dall'entusiasmo, quando odono canti orgiastici come quelli religiosi, si calmano come per
effetto di una medicina e di una catarsi. È necessario perciò che siano sottoposti a tale azione
coloro che vanno soggetti alla pietà, al timore e in generale alle passioni, in modo conveniente a
ciascuno, sicché in tutti si generi una catarsi e un alleggerimento piacevole» (Pol., VIII, 7, 1342
a).
Aristotele vede così nell'arte e in particolare nella poesia e nella musica un mezzo potente di
educazione; e nel carattere imitativo dell'arte non vede più come Platone il motivo di considerarla
illusoria. Il mondo sensibile, che l'arte imita, non è per Aristotele semplice apparenza, ma è realtà

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che può essere oggetto di scienza; anche l'imitazione di esso per opera dell'arte perde dunque il
carattere di apparenza illusoria. Aristotele può così riconoscere all'arte quella funzione catartica
che le dà valore educativo e formativo nei confronti dell'uomo. Sulla catarsi, mancano nella
Poetica elementi espliciti che consentano di intenderne la natura. Interpreti antichi hanno visto in
essa un trattamento medico delle passioni, una cura che combatte il simile col simile. E non è
chiaro se la catarsi vada intesa come purificazione dalle emozioni o non piuttosto come
purificazione delle emozioni. Tuttavia, se si considera che la catarsi è legata al valore
propriamente artistico della tragedia o della musica, si può escludere che essa sia, per Aristotele,
solo una medicina delle emozioni. Alla catarsi è legato un più alto momento di vita spirituale, un
momento nel quale l'emozione non è abolita, ma purificata o esaltata. E difatti mentre l'emozione
si dirige unicamente all'oggetto (cosa o persona), al quale lega l'uomo con l'amore o con l'odio,
col timore o con la speranza, l'arte, presentando l'emozione realizzata in un complesso ordinato
di eventi (com'è nella tragedia) o di suoni espressivi (com'è nella musica), distoglie l'uomo
dall'oggetto dell'emozione per interessarlo all'emozione in se stessa, a ciò che essa è, alla
sostanza di essa. L'emozione ha come suo telos il raggiungimento del suo oggetto; l'arte ha come
suo telos l'emozione nella sua realtà rappresentata. Questo ha compreso Aristotele nella sua
teoria della catarsi. L'arte disimpegna l'emozione dal suo termine naturale, perché la rivolge
all'emozione stessa, alla sua sostanza realizzata dall'arte.

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