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POETICA

La Poetica è un trattato di Aristotele scritto ad uso didattico tra il 334 e il 330 a.C. in cui il filosofo
esamina la tragedia e l'epica, introducendo due concetti fondamentali: la mimesi e la catarsi.

LE ARTI MIMETICHE
CAPITOLO I:
Aristotele delinea il contenuto del libro (la poetica), i suoi generi e le diverse funzioni di ciascuna. Il
filosofo identifica il principio di tutte le arti poetiche nell'imitazione, precisando che esse
- Non imitano con gli stessi mezzi
- Non imitano le stesse cose
- Non imitano nello stesso modo.
In questo primo capitolo tratta dei mezzi, che sono:
- Il ritmo
- Il linguaggio
- L'armonia
Questi tre mezzi vengono usati da ogni arte in misura diversa, ad esempio: l'auletica fa uso del
ritmo e dell'armonia, la danza solo del ritmo e la poesia del linguaggio puro. Le forme d'arte che si
avvalgono di tutti i mezzi sono:
- La poesia epica (utilizzano il ritmo, il linguaggio e l’armonia “tutti insieme”)
- La tragedia e la commedia (utilizzano il ritmo, il linguaggio e l’armonia come “parti separate”).

CAPITOLO IV:
Aristotele analizza le due cause che hanno dato origine alla poesia, entrambe proprie della natura
umana:
- L'istinto naturale all'imitazione (ciò che distingue l'uomo dagli altri esseri). L'imitazione è infatti il
metodo di apprendimento umano.
- Il progressivo miglioramento della poesia (da rozze improvvisazioni al raggiungimento della sua
forma naturale). L'evoluzione riguardò:
- Gli oggetti (azioni di gente sia nobile che ignobile)
- I mezzi (forma metrica)
- I modi (dalla forma narrativa di Omero a quella drammatica, sebbene Omero avesse già introdotto
un carattere drammatico). La tragedia e la commedia sono quindi il punto di arrivo di prime forme
imperfette. Tuttavia, queste "perfette forme naturali" si sono poi ulteriormente perfezionare. Nel
caso della tragedia si è verificato:
- L'aumento del numero degli attori (da uno a due con Eschilo e poi tre con Sofocle)
- La diminuzione dell'importanza del coro in favore del dialogo (grazie a Eschilo)
- L'introduzione della scenografia (grazie a Sofocle)
- L'aumento del numero degli episodi.

IL MITO:
CAPITOLO VI:
Aristotele definisce la tragedia come mimesi di un'azione compiuta in sé e con una certa
estensione
- in un linguaggio abbellito (quello che ha ritmo, armonia e canto);
- in forma drammatica e non narrativa; la quale, attraverso una serie di casi che suscitano pietà e
terrore.
Segue poi l'elenco dei sei elementi costitutivi della tragedia, che in ordine di importanza sono:
- Favola, caratteri e pensiero (obiettivi della mimesi)
- Linguaggio e melopea (mezzi)
- Spettacolo (modo).

CAPITOLO IX:
Il poeta non deve descrivere tutti i fatti realmente accaduti (compito dello storico), ma quelli
che, secondo verosimiglianza e necessità, possono accadere. Il poeta, quindi, si differenzia dallo
storico non perché scrive in versi, ma perché rappresenta l'universale (e non il particolare).
I fatti che possono accadere devono essere credibili (è credibile ciò che è possibile), in quanto
una cosa che non è riscontrabile nell'esperienza non è verosimile o necessaria. Aristotele ritiene
quindi che il poeta può poetare di fatti realmente accaduti, sempre che questi siano regolati dai
concetti di verosimiglianza e di necessità drammatica. Se lo storico racconta tutti i fatti accaduti,
il poeta li seleziona e ne fa una sequenza compiuta per raggiungere il fine della tragedia.
C'è poi un altro caso, e cioè che l'azione possa essere interamente inventata (l'azione non viene
ripresa dal repertorio tradizionale). In questo caso Aristotele parla di cattive tragedie come quelle
dalla favola episodica, ossia con gli episodi non collegati fra loro da alcun rapporto di necessità o
verosimiglianza.
Infine, Aristotele precisa che la tragedia non è solo mimesi di un'azione compiuta ma anche di
fatti che destano pietà e terrore: si tratta di fatti che sopravvengono inaspettatamente che però
risultano connessi alla favola, ossia che dipendono dagli eventi precedenti e che condizionano quelli
futuri.

CAPITOLO XI:
Aristotele definisce tre azioni drammatiche:
- La peripezia è il mutamento improvviso da una condizione a quella contraria
- Il riconoscimento è il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza.
Queste due azioni determinano lo scioglimento felice o infelice della vicenda.
- La catastrofe è invece un'azione che porta il dolore sulla scena ed è una conseguenza di
un'azione precedente.

CAPITOLO XIII:
Aristotele parla delle azioni da imitare e dei personaggi da mettere in scena. Il filosofo fa tre
esempi di personaggi non tragici.
- L'uomo nobile. Il suo passaggio dalla felicità all'infelicità non genera pietà e terrore ma
ripugnanza.
- L’uomo ignobile che passa dalla infelicità alla felicità
- L'ignobile che passa dalla felicità alla infelicità, soddisfa il pubblico ma non genera alcun
effetto di pietà e terrore. Infatti, si prova pietà per l'innocente colpito da sventura e terrore per chi
ci somiglia.
Ne consegue che il vero personaggio tragico è quello che non si distingue né per virtù né per
vizio e che passa dalla felicità all'infelicità solo a causa di un errore. Se ciò non è possibile, si dovrà
mettere in scena un uomo migliore di noi, non peggiore. Le tragedie che raggiungono meglio
l'effetto catartico sono quelle con il finale più doloroso. Si devono invece evitare quelle tragedie
con un duplice e contrario scioglimento per personaggi migliori e peggiori.

TRAGEDIA ED EPOPEA: ANALOGIE E DIFFERENZE:


CAPITOLO XXVI:
Aristotele termina il discorso sulla tragedia spiegando perché la tragedia sia migliore dell'epica.
- La tragedia si contrappone a coloro che basano il giudizio sugli attori e sulla musica, poiché
ciò che conta è l'azione che si può giudicare come ottima o malfatta anche solo leggendola (come
l'epopea).
- La tragedia possiede tutti i tratti dell'epopea con in più lo spettacolo e la musica, che danno
una maggiore “vivezza rappresentativa”.
- La tragedia raggiunge lo stesso risultato dell’epopea ma in meno tempo.

LE TEMATICHE
LA MIMESI
Il concetto di mimesi aristotelica diventa chiaro con la teoria della metafora. La metafora è in
grado di legare tra loro due termini che altrimenti sarebbero impossibili da collegare, ma per
far questo ci vuole talento, perché la corrispondenza potrebbe essere forzata o inesistente. Essa,
giunge alle conclusioni senza trarle da premesse e mette le cose sotto gli occhi.
La metafora fa apprendere e non è un'invenzione linguistica. Un apprendimento attraverso la
metafora genera piacere e ciò vale anche per l’imitazione poetica poiché realizza un “sillogismo
che questo è quello”.
L'imitatore non trasfigura l'oggetto imitato, ma attraverso l’imitazione gli coglie e qualcosa che
attraverso la percezione sfugge: la sua forma (imitazione permette di raggiungere forma cose).
Il dramma tragico è in grado, grazie all'imitazione dell'azione e del suo carattere tragico, di
universalizzare la contingenza e la temporalità delle cose umane. La massima che l'imitazione
tragica formula è che l'uomo è capace di errare, a differenza dell'animale che può essere solo
sopraffatto da ciò che lo circonda. E da questa capacità di sbagliare deriva la lezione per l'agire.

LE TRE UNITA’:
Nel testo l'unica unità presente è l'unità di azione. Le altre due (tempo e luogo) non si
riscontrano nel trattato, anche se, nella distinzione tra tragedia ed epopea, Aristotele dice che "la
tragedia fa tutto il possibile per svolgersi in un giro di sole o poco più, mentre l'epopea è illimitata
nel tempo" e da questo sembra far intendere che l'unità di tempo sia preferibile.
PIETA’ E TERRORE:
La pietà ed il terrore sono il veicolo principale della catarsi tragica. Il senso e le caratteristiche di
queste due emozioni vengono chiarite nella Retorica.
- Il terrore viene definito come la sofferenza per un male imminente ed ineludibile (es: si ha
paura della morte solo quando è prossima, mentre prima di allora non la si teme). Attraverso il
terrore l'uomo teme che quell'accadimento lo porterà rovina e, di conseguenza, coloro che vivono
nella prosperità o hanno provato grandi mali hanno meno paura. Nella tragedia, gli spettatori sono
portati a provare terrore giacché conoscono sin dall'inizio la conclusione del mito ed i suoi eventi
rovinosi (ironia tragica).
- La pietà è una forma di sofferenza nei confronti di chi ha subito un male senza meritarlo; non
la provano coloro che sono caduti in rovina o le persone arroganti. La provano i vecchi, i deboli, i
timidi e le persone colte.
In merito alla recitazione, Aristotele ritiene alcuni attori con la voce ed i gesti sono in grado di far
sembrare vicinissimo il male, ponendolo dinanzi agli occhi come imminente o già accaduto e
riescono così a suscitare maggiormente queste due emozioni.

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