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La tragedia greca

Gli elementi fondamentali della tragedia sono: il carattere drammatico, la vicenda tragica, i personaggi fuori dal
comune, l’unità dell’opera (unità aristoteliche: tempo, luogo e azione) e il linguaggio elevato e solenne. Molto
importante è anche il processo mimetico, che prevede una trasposizione della realtà e dei suoi problemi,
estremizzandoli e incutendo terrore nel pubblico a tal punto da dare un insegnamento morale per contrasto
(catarsi, momento in cui il pubblico si purifica da tali passioni come la vendetta, l’odio).
La parola “tragedia” deriva dal greco “tragos”, “capra” e “odé”, “canto”, quindi significa letteralmente “canto dei
capri”, che si riferirebbe a un rito in onore di Dioniso; essa è sempre stata legata alla polis ed ebbe origine con
l’idea di democrazia.
I più grandi tragediografi sono tre e sono tutti del V secolo a.C.: Eschilo, Sofocle ed Euripide.

Eschilo (Eleusi 525 – Gela 456)


Egli è il più antico tragediografo di cui possediamo tragedie complete, sette tra cui “I Persiani”, “I Sette contro
Tebe” e una trilogia, “Orestea”.
Egli perfezionò e definì il genere tragico ed apportò alcune innovazioni all’interno della struttura della tragedia:
- introdusse un secondo attore (che dialoga con il coro)
- aumentò la parte dialogata (divenne più importante di quella del coro)
Questi due elementi ebbero conseguenze anche sui contenuti: aumentò il dibattito con un’esaltazione dell’indagine
sulla realtà umana.
Tali contenuti rispecchiavano il contesto storico-culturale in cui Eschilo viveva; molti dei suoi personaggi erano
dominati dalla hybris, una passione per mete vertiginose di autoaffermazione che porta alla trasgressione dei limiti
imposti da Zeus.
Sofocle (Atene 496 – Atene 405)
Investito di cariche militari e politiche, Sofocle esordì come drammaturgo nel 468 a.C. e anche di lui ci restano
sette tragedie, tra cui “Aiace”, “Antigone”, “Edipo re”, “Elettra” ed “Edipo a Colono”.
Anch’egli introdusse importanti innovazioni all’interno della struttura della tragedia:
- portò da dodici a quindi i coreuti
- portò da due a tre gli attori
- introdusse la scenografia
- tolse il tema unico
Riprese le tematiche affrontate da Eschilo, ma sottolineò l’irrevocabile emarginazione e dannazione dell’eroe
tragico. L’essenza stessa della tragicità sta nel conflitto irrisolvibile tra la libertà di autoaffermazione e una
costrizione interna, che li porta all’emarginazione.
Euripide (Salamina 480 – Pella 407/6)
Incompreso dai suoi contemporanei, Euripide fu il tragediografo più amato dai posteri e il più imitato. Egli non
partecipò per niente alla vita politico-militare e di lui ci rimangono diciassette tragedie, tra cui “Medea”, “Ifigenia”
(in Aulide e in Tauride) e un dramma satiresco, “Il Ciclope”.
Egli era pienamente consapevole delle nuove problematiche che si affacciavano alla vita della polis e queste
divennero gli argomenti delle sue tragedie, incentrate prevalentemente sull’uomo; egli introdusse il discorso della
ragione umana, in cui desumeva dalla realtà personaggi ed azioni. Perciò grande spazio è dato al dibattito delle idee
e alle parti dialogate.

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