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LA TRAGEDIA

La tragedia è la rappresentazione drammatica di una vicenda mitica (più raramente storica) che spesso
contiene un nucleo conflittuale; tale vicenda viene attualizzata nella prospettiva sociale e politica
contemporanea e problematizzata dal punto di vista etico e religioso. La tragedia ha funzione didattica: il
tragediografo fa riflettere il pubblico su temi quali la condizione dell’uomo, i suoi rapporti con gli dèi, la
responsabilità e la colpa, i modelli di comportamento. La tragedia è espressione della polis: ne riflette

l’attualità e in essa trova il suo pubblico. La rappresentazione delle tragedie ha una valenza religiosa, in
quanto avviene negli agoni drammatici associati a tre feste annuali celebrate ad Atene e in Attica in onore di
Dioniso, dio del vino, dell’estasi e della liberazione dalle preoccupazioni (Grandi Dionisie, Piccole Dionisie,

Lenee). La tragedia ha anche stretti legami con le strutture statali, poiché gli agoni tragici associati alle feste
di Dioniso sono organizzati da magistrati.

Le Grandi Dionisie sono affidate all’arconte eponimo:

 vi partecipano tre tragediografi, ciascuno con una tetralogia (tre tragedie e un dramma satiresco);

 ogni tetralogia viene rappresentata in un giorno diverso;

 la vittoria è decretata dal verdetto di cinque giudici sorteggiati tra i dieci che rappresentano ciascuno
una delle dieci tribù clisteniche.

Le Lenee sono affidate all’arconte re, mentre le Dionisie rurali sono organizzate dai demarchi dei singoli

demi.

Nella tragedia sono compresenti tre codici: parola, musica, danza; la rappresentazione di una tragedia
prevede dunque la presenza di attori e di un coro, costituito da coreuti. Regia, coreografia e musica sono di
competenza del tragediografo; il coro viene istruito da un chorodidaskalos, “maestro del coro”. Le spese
per l’allestimento della rappresentazione sono sostenute da un corego, scelto dall’arconte eponimo scelto
tra i cittadini più ricchi (la coregia era una delle liturgie, tasse straordinarie cui erano assoggettati gli ateniesi
benestanti).

Gli attori, di sesso maschile:

 sono due in Eschilo (protagonista e deuteragonista), tre in Sofocle ed Euripide (tritagonista); ogni
attore pertanto ricopre più ruoli;

 indossano una maschera (utile a caratterizzare il personaggio e a facilitare rapidi cambi di ruolo),
abiti appariscenti e i coturni;

La recitazione non è di tipo naturalistico, ma declamatorio, con effetti di straniamento.

Il coro delle rappresentazioni tragiche:

 è costituito inizialmente da dodici coreuti (Eschilo), poi quindici (Sofocle ed Euripide);

 è guidato dal corifeo, che lo rappresenta nei dialoghi con gli attori;

 entra danzando e cantando dalle due parodoi e si dispone nell’orchestra, dove esegue le
coreografie e intona i canti durante gli stasimi;

 può svolgere funzioni diverse da tragedia a tragedia: protagonista, semplice personaggio,

osservatore e commentatore della vicenda.

Le parti costitutive della tragedia sono le seguenti:

 prologo, sezione che precede l’ingresso del coro e può presentarsi come un episodio o avere
carattere espositivo;

 parodo, il canto intonato dal coro al momento del suo ingresso nell’orchestra;
 episodi, sezioni delimitate da due stasimi, nelle quali gli attori fanno avanzare la vicenda (dialoghi,
duetti lirici, monologhi, monodie, reseis);

 stasimi, canti del coro tra un episodio e l’altro;

 esodo, l’ultimo intervento del coro, prima della sua uscita definitiva dall’orchestra.

La musica, componente essenziale della rappresentazione tragica, è per noi irrimediabilmente perduta.
Dobbiamo limitarci quindi a immaginare la resa musicale in base alle poche informazioni di cui disponiamo.
Nel corso della tragedia si alternano parti recitate (senza accompagnamento musicale), sezioni in recitativo
(una sorta di cantilena) e brani che prevedono il canto a voce spiegata. Le parti recitate sono affidate agli
attori e può trattarsi di:

 dialoghi;

 monologhi;

 rheseis: resoconti di avvenimenti


verificatisi fuori scena.

La stessa ricchezza e varietà osservate nella musica si ritrovano anche nel tessuto linguistico della tragedia,
in riferimento ai dialetti , ai metri e allo stile. Distinguiamo le parti affidate agli attori da quelle di pertinenza
del coro:

 parti affidate agli attori: dialetto attico trimetro giambico, tetrametro anapestico (parti recitate),
metri lirici (parti cantate);
 parti affidate al coro: dialetto doricoanapesti di marcia (in recitativo), metri lirici (parti cantate).

Gli allestimenti tragici prevedono un accompagnamento strumentale affidato all’aulòs, eventualmente


affiancato da strumenti a corda (arpe, lira, cetra) e a percussione (cembali, nacchere).

Varie sono le teorie antiche e moderne sull’origine della tragedia, questione tra le più controverse e dibattute.
Secondo Aristotele la tragedia:

 sarebbe nata nel Peloponneso, perché il sostantivo drama, “spettacolo teatrale”, deriva dal verbo
dran, “fare, rappresentare”, in uso presso i Dori;

 si sarebbe sviluppata dal ditirambosatiresco (un ditirambo in cui il coro era costituito da satiri)
dotato di struttura mimetico-dialogica (alternanza coro-solista) introdotto da Arione di Metimna.

L’etimologia della parola tragodìa vorrebbe dire “canto eseguito da capri” (cioè da satiri), con riferimento
all’identità fittizia dei coreuti.

Secondo i filologi di Alessandria d’Egitto (III sec. a.C.) la tragedia:

 sarebbe nata in Attica, nel contesto del culto di Dioniso;

 inventore ne sarebbe stato Tespi, a capo di un gruppo di attori che con volti tinti di mosto, avrebbero
rappresentato tragedie spostandosi tra i demi attici a bordo di un carro;

 il suo nome vorrebbe dire etimologicamente “canto per il sacrificio del capro” o “canto per il capro”
(si tratterebbe di un premio).

Tra i moderni alcuni accettano l’ipotesi della derivazione ditirambica, altri invece ipotizzano origini rituali, in
particolare:

 i riti di evocazione celebrati annualmente sulle tombe degli eroi;

 i riti che rappresentano la morte e la risurrezione dell’anno sotto forma di eroe;

 i riti che rievocano gli spiriti dei defunti (ipotesi suggerita dalla presenza dei kommoi);

 i cortei di uomini mascherati che in primavera compivano il sacrificio rituale di un capro.


Alcune tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide sono gli unici testi integri giunti fino a noi; le altre informazioni
sulla storia e i rappresentanti di questo genere letterario derivano da frammenti testuali e notizie
contemporanee o posteriori. Le fonti a nostra disposizione sono:

 le commedie di Aristofane, che spesso fa parodia di passi tragici;

 le didascalie: registrano anno per anno l’arconte, le tragedie presentate all’agone, il nome del
protagonista e la classifica finale;

 i fasti: liste dei vincitori distinti per agone (agoni tragici, comici, ditrambici ecc.);

 le hypotheseis alessandrine, cioè i riassunti (in prosa o in versi) delle tragedie corredati da varie
informazioni;

 il Marmor Parium e la Suda.

Le prime figure connesse con la tragedia, Epigene e Arione, presentano tratti leggendari e sembrano
collegate al processo di sviluppo che portò dai canti corali alla tragedia vera e propria. Inventor della tragedia
è considerato Tespi, che debuttò alle Grandi Dionisie del 535 a.C.: a lui risalirebbero il prologo e la rhesis,
nonché la pratica di rappresentazioni itineranti nel contesto di culti locali (il “carro di Tespi” dell’Ars poetica
oraziana). Immediato predecessore di Eschilo fu Frinico, ricordato per due tragedie di argomento storico: La
conquista di Mileto (492) e Le Fenicie (496).

Il dramma satiresco chiude la tetralogia tragica. Esso si distingue:

 dalla tragedia, perché ha un coro costituito da satiri;

 dalla commedia, perché presenta personaggi tragici che conservano il proprio ethos e la propria
dignità.

Il dramma satiresco può essere considerato un “sottogenere” della tragedia perché:

 ha la sua stessa struttura;


 ha uno stile omogeneo a quello tragico;
 mescola personaggi tragici e personaggi “satirici”;
 ha lo scopo di distendere il
pubblico dopo la tensione emotiva
suscitata dalle tragedie.

Il dramma satiresco sarebbe stato introdotto ad Atene da Pratina di Fliunte nella 70a Olimpiade (499-496
a.C.).

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