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Epigramma greco

L’epigramma è una breve iscrizione in versi incisa in vasi, coppe, erme. Questo genere poetico
accompagna tutta la letteratura greca fino al periodo bizantino. L’intento era commemorativo e
dedicatorio. Prima era in esametri; dal VI sec. a.C. in distici elegiaci.
Una delle prime incisioni fu nel Vaso di Dipylon (VIII sec. a.C.). Si sa che era un vaso che
conteneva vino attinto dal cratere; la coppa era destinata a tutti i ballerini che avessero primeggiato
in gara.
La Coppa di Ischia (o di Nestore) presenta un’iscrizione di tre versi (un trimetro giambico e due
esametri); la leggenda narra che la coppa era così grande da richiedere due uomini che la
sollevassero. Nella fase arcaica le incisioni hanno come temi quelli simposiali.
Nel V sec. a.C. fa la sua comparsa il distico elegiaco: uno degli esempi più autorevoli è quello della
Statua di Zeus ad Olimpia, appartenuta alla dinastia dei Cipselidi esposta nel tempio di Era (lo
scopo dell’epigrafe è far sì che la statua sembri parlare e che il defunto ragguagli su se stesso e la
morte che lo ha colto).
“Se io non sono un colosso battuto in oro,
perisca la schiatta dei Cipselidi”
L’epigramma arcaico ha dunque come caratteristiche: brevità, stile semplice e sobrio, ma austero
e sostenuto, contenuto impersonale, legato all’occasione.
Il più antico autore di epigrammi è Ione di Samo, che compone un epigramma per la vittoria di
Lisandro a Epospotami (404 a.C.).
Nel V-IV sec. a.C. ad Atene si diffonde l’epigramma: anche Euripide sembra averne composti
alcuni (come l’epitaffio per i caduti di Siracusa); anche nei poluandra (cimiteri collettivi)
venivano incisi alcuni epigrammi narranti le gesta dei defunti.
Nel V sec. a.C. ne derivano due forme di scrittura: una elegante e una didattica. Il defunto viene
posto a modello di virtù. L’influsso della tragedia e della retorica porta l’accentuazione del tono
patetico.
L’epigramma nel IV sec. a.C. si arricchisce di forme tipiche (del tipo “ei…ei” = “se…se”). Si fa un
paragone tra il defunto in morte e il defunto in vita. Resta l’anonimato come elemento di legame a
Ione di Samo. Spariscono la divinizzazione e vi è un accento sull’umanità dell’uomo. Non ci sono
gli orpelli retorici tipici del V sec. a.C.
Erinna è una poetessa vissuta nel IV sec. a.C. lascia due epitaffi. Prevale il tema della mors
immatura.
Erinna (in greco antico: Ἤριννα, Érinna; IV secolo a.C. – ...) è stata una poetessa greca antica, che nel lessico Suda
viene così indicata: «Erinna: di Teo o Lesbo, o anche Telos secondo alcuni; Telos è un'isoletta presso Cnido. Altri la
dicono di Rodi. Compose versi epici. Scrisse la "Conocchia": è un poema in dialetto eolico e dorico di 300 esametri. Ha
composto anche epigrammi. Morì vergine a 19 anni. I suoi versi furono giudicati degni di Omero. Fu compagna di
Saffo e sua contemporanea».

Erinna scrisse essenzialmente nell'ambito del tiaso, componendo per la compagna Bauci, morta nel giorno delle nozze a
Rodi, cui sono dedicati due epigrammi funebri conservati nell'Antologia Palatina:
« 1.
Mia tomba, mie Sirene e urna luttuosa
che tieni le magre ceneri d'Ade,
dai un arrivederci a coloro che passano
siano essi concittadini o d'altri Stati,
e che questa tomba tiene me, una sposa. Di’ anche questo,
che mio padre mi chiamò Bauci, e che la mia famiglia
era di Teno, così che essi sappiano, e che la mia amica
Erinna scolpì questo epitafio sulla mia tomba.

2.
Sono la tomba di Bauci, giovane sposa, e mentre passi
accanto alla molto lamentata epigrafe possa tu dire ad Ade:
'Sei crudele, o Ade'. Quando guardi, le belle lettere
ti diranno il crudelissimo fato di Bauci,
come suo suocero accese della fanciulla la pira funeraria
con le torce sulle quali cantò l'Imeneo.
E tu, Imeneo, cambiasti il bel canto di nozze
nel lamentoso suono delle lamentazioni. »
(AP, VII 710 e 712 - trad. A. D'Andria)

Nell'antichità fu soprattutto famosa la Conocchia' (in greco antico: Ἠλᾰκάτη), scritta in una lingua mista di eolico e
dorico in 300 esametri dattilici. Di questo poemetto restavano solo 4 versi, finché nel 1928, fu scoperto un papiro,
contenente 54 versi frammentari di Erinna ed ora conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana.

Il poemetto è un lamento (in greco antico: θρῆνος), appunto, sulla morte di Bauci (in greco antico: Βαυκίς), allieva di
Saffo, morta proprio prima delle nozze: i toni sono quelli propri dell'elegia, tanto che alcuni studiosi lo considerano un
primo esempio di epillio, genere letterario diffusosi in epoca ellenistica.

Anche Platone fu autore di epigrammi (30 circa): li scrisse per dei naufraghi, per poeti del passato,
per amici; prevale l’elemento descrittivo. Fu proprio in questo periodo che l’epigramma ebbe il
proprio sviluppo. Siamo nel periodo in cui la polis decade e l’individuo si rifugia nel privato.
Nell’età ellenistica vi è lo sviluppo del libro e dell’editoria. Il labor lime alla base della poesia
ellenistica. L’occasione diventa un pretesto per scrivere versi. I versi non vengono più incisi, ma
scritti e recitati. La recitazione avviene all’interno del simposio, ma non è più il simposio in cui era
importante la componente ideologica e sociale: ora ha solo funzione di intrattenimento.
Le opere arcaiche venivano raccolte in papiri così da non essere danneggiate, poi venivano raccolte
e ricostruite dai filologi all’interno della Biblioteca di Alessandria (immagine dei galli che si
beccano).
Poesia erudita e non poesia vate (intellettuale puro, sembra non comunicare niente, narrazione
fredda e distaccata bella solo formalmente).
Temi assolutamente lontani dalla sfera eroica: sono erotici, simposiali e metaletterari.
L’epigramma è lo strumento adatto a descrivere in pochi versi, emozioni, stati d’animo e spacchi
della quotidianità.
Tema dell’aubade (“mattinata”) in cui l’amante impreca contro l’alba che interrompe l’intimità
degli amanti. Tema del παρακλαυσικυρον (lamento presso la porta dell’amata).
Il vino è spia dell’amore: si confessano i propri dolori; morte di animaletti (epicidi); epigrammi per
elogiare i poeti del passato (epitimbi).
Autori come Filocoro e Polemore non furono epigrammatisti, ma li raccolsero: c’è chi raccolse
epigrammi passati e attuali in raccolte antologiche (nascita dell’Antologia Palatina).
Le raccolte vennero chiamate sillogi.
Filocoro la chiamò “Attis”, che raccoglieva tutte le incisioni attiche; Polemore “Su ciascuna città”,
che raccoglieva quelle di tutta la Grecia.

DIFFERENZE TRA SILLOGI E ANTOLOGIA


Sillogi (συν + λεγω): raccolta generica degli autori
Antologia (ανθος + λογος): raccolta delle migliori produzioni di autori

Callimaco cura la pubblicazione di propri sillogi; in passato ce ne furono di autori più importanti
come Platone.
L’antologia più importante è l’Antologia Palatina (di Heideberg, biblioteca regale tedesca), codex
Palatinum graecum 23 nel XVI secolo, 23000 versi, 3700 epigrammi, raccoglie 16 secoli di storia
letteraria.
Divisa in 15 libri ordinati per materia; composta da ignoto.

 Libro I, epigrammi cristiani


 Libro II, descrizioni di statue del ginnasio Zeuxippo di Costantinopoli
 Libro III, epigrammi relative ai bassorilievi del tempio di Apollonide a Cìzico
 Libro IV, proemi di Meleagro, Filippo e Agazia
 Libro V, epigrammi erotici
 Libro VI, epigrammi votivi
 Libro VII, epigrammi funebri
 Libro VIII, epigrammi di Gregorio di Nazianzio
 Libro IX, epigrammi epidittici
 Libro X, epigrammi protrettici
 Libro XI, epigrammi conviviali e satirici
 Libro XII, epigrammi pederastici
 Libro XIII, epigrammi in metro vario
 Libro XIV, epigrammi aritmetici, indovinelli e oracoli
 Libro XV, epigrammi vari

Aggiunto un 16° libro, l’Appendix Planudeia (altri 388 epigrammi), tratti dall’Antologia
Planudeia (dal monaco Massimo Planude, 1299).
Altri autori: Costantino Cefala (IX-X sec. d.C.), Agazia (V sec.), Filippo di Tessalonica (I sec.)
Filippo di Tessalonica fu compositore della Corona, in cui gli autori sono in ordine alfabetico, ogni
autore assimilato a un elemento botanico; Agazia nella sua opera paragona i poeti ad elementi
gastronomici ed egli stesso si paragona ad un cuoco.
Meleagro di Gadara (I sec. a.C.) fu autore della Corona: nella sua antologia paragona i poeti a dei
fiori. Callimaco viene associato al mirto, Leonida all’edera, Nosside al giaggiolo. Meleagro
raccoglie gli epigrammi di 46 autori.

Gli epigrammatisti ellenistici si dividono in tre scuole:


1. Scuola dorico-peloponnesiaca
2. Scuola ionico-alessandrina
3. Scuola fenicia

SCUOLA DORICO-PELOPONNESIACA
La scuola dorico-peloponnesiaca riguarda l’ambiente centro-meridionale della Grecia; gli
epigrammi di questi poeti si caratterizzano per la spiccata adesione al mondo della natura e degli
umili; impiego tradizionale dell’epigramma di iscrizione funeraria e votiva. Concezione
pessimistica della vita (tempo che fugge, poesia che ricorda la morte).
Il maggiore rappresentante fu Leonida di Taranto. Non possediamo di tutti i poeti tutti i loro
epigrammi; di Leonida ne abbiamo purtroppo solo alcuni. Fu un autore errabondo e si sa soltanto
che egli amava viaggiare, ma non sappiamo se questi viaggi siano stati voluti da lui stesso (perché
benestante) o costretti dalla povertà. È frutto dell’epoca in cui è vissuto. Personaggi umili, parte di
una realtà dimessa e quotidiana; egli nomina gli attrezzi di cui si servono.
Esempio: la vecchia ubriacona di nome Maramide è la protagonista di un epigramma; ha avuto una
vita spezzata, ma predomina l’elemento satirico.
La critica ha sottolineato come i personaggi umili siano il motore della solidarietà della classe
democratica; non ci sarà né una polemica in chiave democratica, né una critica sociale. C’è solo il
desiderio di evadere.
Fa sfoggio di tutta la sua erudizione formale. La sua poesia è molto elaborata e raffinata. Il suo
pubblico è un pubblico d’arte.
Leonida o Leonide (Taranto, 330 o 320 a.C. – Alessandria d'Egitto, 260 a.C. circa) visse a Taranto fino al 272-270
a.C., fino a quando non fu conquistata dai romani. Quando la città stava per cedere, Leonida fu tra i pochi abitanti a
fuggire: un gesto che inizialmente egli interpretò come una benedizione, avendo evitato la schiavitù, ma che presto si
rivelò un'amara illusione, giacché da allora e fino alla morte, visse lontano dalla patria, alla ricerca di protettori, vivendo
«una vita che vita non è» come scrisse in un celebre epigramma. Dopo varie peregrinazioni (viaggiò per la Grecia,
l'Asia Minore e il sud Italia) si rifugiò ad Alessandria d'Egitto, dove morì intorno al 260 a.C.

La produzione di Leonida fu ben presto antologizzata, come traspare dalle antologie tardoellenistiche di Meleagro di
Gadara e di Aminte, tramite i quali venne conosciuta ed apprezzata da alcuni dei maggiori scrittori latini, come
Cicerone, Catullo, Ovidio e Properzio. A Pompei, inoltre, nella "casa degli epigrammi greci", è presente una pittura
parietale che rappresenta il contenuto di un epigramma di Leonida, dove un cacciatore, un uccellatore e un pescatore
consacrano al dio Pan le loro reti. Numerosi epigrammi leonidei, infatti, sono indirizzati a persone appartenenti agli
strati più umili della società (artigiani, pastori, contadini e pescatori), che, ormai anziani, dedicano agli dèi i loro
strumenti del mestiere. Alcuni esempi riguardano un epigramma su un falegname in pensione e un breve componimento
su Socare e la Fame.
Gli epigrammi funerari sono di carattere bucolico o satirico, come nei casi di Maronide e il vino o sul sepolcro del
pastore Clitagora.
In più, legato alle origini "marinare" di Leonida, un consistente gruppo degli epigrammi è costituito dagli epitafi per
coloro che hanno passato la loro vita in mare e in mare sono morti. Alcuni esempi sono l'epitafio di un povero
pescatore, la morte di un uomo, dilaniato in due da uno squalo e sepolto parte in mare, parte nell'animale, come anche
una variazione sul tema, meno macabra, su un naufrago. Di notevole interesse, comunque, sono gli epigrammi
autobiografici, come uno, malinconico, sull'uomo e il tempo e l'accontentarsi di poco. In effetti, Leonida appare un
poeta di notevole caratura, consapevole di sé, come nel suo celeberrimo epitaffio, scritto mentre era in esilio ed ispirato,
in alcuni tratti, ad Archiloco:
« Riposo molto lontano dalla terra d'Italia
e di Taranto mia Patria
e ciò m'è più amaro della morte.
Tale destino hanno i nomadi
a conclusione della loro inutile vita!
Le Muse però mi hanno caro
ed a compenso delle mie afflizioni
mi offrono una dolcezza di miele.
Il nome di Leonida non tramonta per esse:
i loro doni lo testimoniano sino all'ultimo sole. »
(VII 736)

Ispirandosi ai cinici, poi, Leonida si atteggia a poeta "pitocco", mostrando di disprezzare la frivolezza ed il lusso:
secondo il suo pensiero, la felicità è nella tranquillità, che si trova solo conducendo una vita modesta e solitaria.
Leonida, dunque, si sofferma sugli strati umili, su personaggi che vivono, quindi, in misere dimore fra i campi o lungo
la riva del mare, e conducono vita povera ed errabonda; il poeta stesso, in effetti, si dipinge come povero, così
descrivendo la sua capanna:

« Andatevene topi, da questa capanna:


nutrire topi non può la misera dispensa di Leonida.
Al vecchio basta avere il sale e due pani di farina grezza:
fin dal tempo degli avi questo vitto lodammo. »
(VI 302)

A parte questa spinta verso il basso, che lo accomuna a tanta poesia alessandrina, notevole è comunque, in Leonida, lo
stile "così carico di sapore alessandrino, con una caratteristica strutturazione su triadi di concetti scrupolosamente
osservata, a parte l'impiego di vocaboli nuovi e di precisi termini tecnici".

SCUOLA IONICO-ALESSANDRINA
La scuola ionico-alessandrina ha come caratteristiche: temi amorosi e simposiali, autobiografismo,
uso di distici, rifiuto della poesia bucolica, essenza di una poesia “cittadina” (dinamica, frenetica),
che rispecchi in pieno la vivacità di Alessandria (riferimento al mondo orientale), prevalenza
dell’interiorità, motivi del vino e dell’amore, non ci sono i torni cupi e pessimistici dei dorici.
Asclepiade (Samo, ante 310. a.C. - …) è il maggiore rappresentante: cantando la gioia del vivere,
concepisce che il tempo che passa serve all’uomo a godersi a pieno la vita (non c’è tempo per i
lamenti). Lo stile dei dorici era tendente all’abbondanza dei mezzi retorici, lo stile ionico invece è
sobrio, conciso, lontano dalla magniloquenza dorica, che come caratteristiche ha la brevità,
l’oligostichia callimachea. Espressioni fresche e spontanee, eleganti nel loro labor limae.
Asclepiade, studiando i poeti eolici, creò i versi asclepiadei. I suoi sono epigrammi erotici,
simposiali, toccano i vari aspetti dell’amore, dedicati ad etere; è presente il motivo della ribellione
ad Eros. La passione di Asclepiade è molto violenta e crea sofferenza. Afrodite ed Eros diventano le
divinità principali. Mentre in Saffo la poesia d’amore è totalizzante (nonostante gelosia e
tradimenti), Asclepiade ritrae gioia e dolore dell’amore, vede l’amore come l’elemento che lo rende
attivo, pronto a godere delle passioni, ma anche delle sofferenze. Tema dell’aphrodisios orkos
(giuramento d’amore dinanzi alla lucerna), in riferimento ad Aristofane (“Ecclesiazuse”: dialogo di
Prassagora con la lucerna). Rovesciamento del parakalusikurov: la donna aspetta l’uomo dietro la
finestra. C’è l’esaltazione della giovinezza: mentre Mimnermo vede la giovinezza che fugge con la
decadenza corporale, Asclepiade la esalta con la sua dinamicità, i suoi slanci emotivi.
“Ahimé, non ho ancora ventidue anni
e sono stanco di vivere! Oh Amori,
che cos’è questo tormento?
Perché mi bruciate? E se Morte mi colpisce,
Amori che farete? Già! Come prima
giocherete scherzando con i dadi.”
A.P. Liber XII, 46.
Forma nitida, grazia, raffinatezza. Evidenzia la sua malinconia nella noia di vivere. Archetipo del
fulmen in clausola/in cauda venenum: chiusa tipica di Marziale, il cui archetipo sta negli
epigrammi.
La data di nascita che gli è attribuita deriva dal fatto che Teocrito nelle sue Talisie lo ricordi sotto il nome di Sicelida
(patronimico o pseudonimo di origine oscura), come un poeta affermato ed esempio di abilità poetica, implicando così
che fosse più anziano. A Samo, patria del poeta, forse nacque un circolo comprendente lo stesso Sicelida, Posidippo ed
Edilo. In particolare fu con Posidippo che ebbe frequenti rapporti letterari, tanto che i due vengono accostati per le
somiglianze stilistiche nell'antologia (Στέφανος) di Meleagro di Gadara. Ulteriore appiglio biografico è dato dal fatto
che fu in polemica con Callimaco, nella controversia letteraria che divise Callimaco da altri poeti della sua età. In
particolare insieme a Posidippo viene ricordato tra i detrattori di Callimaco, provocatoriamente chiamati Telchini da
quest'ultimo.

Nell'Antologia Palatina sono stati tramandati circa quarantacinque suoi epigrammi, non tutti di sicura autenticità, tra i
quali brevi componimenti che si immaginavano recitati dall'innamorato davanti alla porta chiusa della fanciulla amata
(tra i primi del genere), poesie conviviali, epitaffi da riportare nelle iscrizioni funerarie, dediche, brevi composizioni di
argomento mitologico e amoroso. Tutti generi, questi, che ebbero in seguito grande fortuna nella poesia in lingua greca
e latina e che in Asclepiade hanno particolari qualità di freschezza, spontaneità ed essenzialità, con un'ispirazione
popolaresca mediata dalla forma letteraria.
Nei suoi componimenti amorosi, oltre al tema dell'innamorato capace di stare in una notte d'inverno sotto la pioggia
davanti alla porta dell'amata (il paraklausìthyron, lamento davanti alla porta chiusa, assai in voga durante tutta l'età
ellenistica), prevale l'atteggiamento del godimento dei piaceri della vita, amore e vino del banchetto, che pure sono
fonte di malinconia e instillano il pensiero della morte e della probabile indifferenza del mondo per la fine di un singolo
essere umano.
Ci sono giunti anche pochi frammenti di canti melici. La sua rilevanza in questo genere è testimoniata dal nome di
"asclepiadei" (maggiore e minore) attribuito a tipi di versi che, in realtà, erano già stati utilizzati dal poeta Alceo,
riadattati alle nuove esigenze ritmiche.

SCUOLA FENICIA
La scuola fenicia prende il nome dei poeti che ne fanno parte (Archia, Meleagro, Filodemo), poiché
fenici. Si colloca in un periodo di crisi ellenica (l’intero mondo greco sarà dominato da Roma, ma
mai culturalmente). Nel 145 a.C. inizia la diaspora degli alessandrini: ora gli autori saranno tutti
siriaci e palestinesi. È la comunanza di origine che li unisce, stili e temi sono diversi.
Caratteristiche: ricerca dell’effetto (data da una preparazione erudita), sovrabbondanza
ampollosa di effetti retorici (poesia frenata da ragione e labor limae).
Meleagro è il maggiore rappresentante. Compilatore dell’antologia Corona; circa 100 epigrammi;
tema preponderante: amore eterosessuale. Rimane legato ai poeti precedenti: con Asclepiade
condivide l’immagine di Eros alato (tutto davanti alla lucerna).
Novità: profondità del sentimento. L’amore non è solo unione di corpi, ma vincolo spirituale.
Zenofila e Eliodora (etere) erano le sue amanti: amore travagliato. Eliodora è un fiore reciso nella
giovinezza; Zenofila è più frivola, l’amore è più leggero, giocoso. Per Eliodora l’amore è più dolce
e disperato per la sua morte. Meleagro placa il suo dolore con il pianto. Eliodora lo fa diventare
anche geloso (è addirittura geloso del sonno, che la possiede meglio di lui; riferimento all’Iliade
XIV, eroe che disturba il Sonno).
Riferimenti metaletterari (come per Apollonio Rodio, le arti magiche di Medea e i rapporti con gli
dei: scenetta familiare a casa di Afrodite per convincere Eros a colpiare Giasone e farlo innamorare
di Medea).
Meleagro di Gadara (in greco: Μελέαγρος, Melèagros; Gadara, 130 a.C. – 60 a.C. circa), figlio di Eucrate, nacque a
Gadara – oggi Umm Qais –, città della Transgiordania che sotto il regno dei Seleucidi era diventata un notevole centro
di cultura ellenica.

In gioventù aderì al cinismo e scrisse dialoghi di contenuto leggero nel genere della satira. Si trasferì poi a Tiro e in
vecchiaia prese dimora a Kos (Coo), dove terminò i suoi giorni intorno al 60 a.C.

In gioventù compose un'opera intitolata Le Càriti e delle satire menippee, di cui è pervenuto soltanto qualche titolo (ad
esempio, la Comparazione del pisello con la lenticchia); come il solo titolo ci è noto di una sua opera dossografica in 5
libri sulle opinioni dei filosofi (Περὶ δοξῶν).
Tuttavia è noto soprattutto come autore di epigrammi: ne possediamo 130, raccolti nell'Antologia Palatina e di tipo
erotico. Alcuni cantano etere come Eliodora e Zenofila, altri l'amore verso fanciulli e uomini.
Meleagro fu anche il primo autore di una antologia di epigrammi, intitolata Στέϕανος, La corona, con componimenti
propri e di altri autori contemporanei, in cui paragona ogni autore raccolto a un fiore. In tutto, contando anche sé stesso,
Meleagro menziona 47 poeti, ossia, nell'ordine: Anite, Mero, Saffo, Melanippide, Simonide, Nosside, Riano, Erinna,
Alceo, Samio, Leonida, Mnasalca, Panfilo, Pancrate, Timme, Nicia, Eufemo, Damageto, Callimaco, Dioscoride,
Euforione, Egesippo, Diotimo, Menecrate, Niceneto, Faenno, Simmia, Partenide, Bacchilide, Anacreonte,
Archiloco, Alessandro, Policlito, Polistrato, Antipatro, Ermodoro, Posidippo, Edilo, Asclepiade, Platone, Arato,
Cheremone, Fedimo, Antagora, Teodorida, Fania, Meleagro. Successivamente la raccolta venne inglobata
nell'Antologia Palatina, dove si riconoscono sequenze da essa provenienti.

L'epigramma di Meleagro trae spunto dalla lirica corale arcaica, di cui mutua le occasioni e le circostanze: i carmi
simposiali e amorosi sono testimonianza non di reali conviti e banchetti ma di un gioco letterario, tipicamente
alessandrino, volto al recupero di quelle antiche forme ormai perdute, con un senso museologico e profondamente
storico della poesia. I sentimenti non sono mai piatti ma sempre osservati in maniera completa e profonda, solo talora
con l'impiego di un lessico ampolloso.

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