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Ci sono varie teorie riguardo alla nascita del teatro: molti studiosi sostengono sia nato come
evoluzione dei riti, altri come evoluzione della danza e altri ancora sostengono sia
l’evoluzione del racconto orale. La teoria più accreditata è sicuramente quella del rito, poichè
il rito e il teatro delle origini (quello greco) condividono svariati principi. Il rito era da una
parte l’espressione del bisogno dell’uomo, che spesso li effettuava per procurarsi qualcosa
(fertilità, vittoria, il cambio di stagione), dall’altra un’occasione per superare il rapporto
conflittuale con una realtà spesso percepita come indomabile e incomprensibile, dunque un
modo per portare ordine (cosmos) nel disordine e nell’informe (caos) attraverso il mito, cioè
il racconto del rito. Esso è inoltre la dimostrazione della fantasia e del principio imitativo
dell’uomo. Sicuramente per arrivare alla rappresentazione di ciò era necessaria una
comprensione relativamente profonda del mondo. Il rito è una forma di conoscenza, che ci
permette di comprendere l’universale attraverso la rappresentazione dello specifico; il rito ha
funzione didattica, trasmette conoscenze e tradizioni e ciò è provato dalla necessità a volte
di un rito d’iniziazione, necessario per trasmettere credenze, tabù e costumi della società.
L’uomo attribuisce al rito il potere di influenzare e dominare gli avvenimenti esterni, per
esempio, quando ancora non si conosceva la naturale ciclicità delle stagioni, spesso
venivano effettuati riti per far sì che tornasse la primavera. Il rito inoltre diverte e procura
piacere. Dunque esso è un'unione di piacere, potere, dovere: i tre temi fondamentali del rito.
Ci sono varie teorie riguardo allo sviluppo del rito: fino al ‘15 la più rilevante era quella di
Frazer, che applicava una sorta di principio darwinista alle tradizioni di un popolo,
sostenendo che il rito nasce nella fase primitiva di una società, quando il popolo non ha gli
elementi necessari per comprendere ciò che succede intorno a lui, e man mano che la
società evolve il rito si modifica o viene abbandonato. Dal ‘15 Malinowski propone una teoria
alternativa che considera ogni popolo come un sistema separato, per cui ogni cultura si
sviluppa in modo differente. Dopo la seconda guerra mondiale, Levi-Strauss propone una
terza scuola di pensiero: lo strutturalismo. Ciò che importa non è tanto la storia quanto la
struttura del mito primitivo, sono presenti solo pochi modelli universali a cui ciascuna
narrazione particolare può essere ricondotta. Queste varie scuole di pensiero ci portano
comunque ad un’unica conclusione: il rito e il mito sono fondamentali nello sviluppo delle
società e il teatro greco nasce dal rito primitivo.
In Egitto, lo sviluppo è leggermente differente poichè nonostante ci fossero vari riti,
testimoniati dai geroglifici che ci raccontano i vari miti egizi, essi non portarono mai allo
sviluppo del teatro. Alcuni studiosi sostengono che i testi delle piramidi testimonierebbero
l'esistenza di riti eseguiti in forma drammatica a causa della presenza i dialoghi o indicazioni
per l’azione, tuttavia non abbiamo una prova definitiva della cosa. Uno dei riti più importanti
era il Dramma Sacro di Abido, che rievoca morte e resurrezione del dio Osiride - quasi tutti i
miti egizi riguardavano il ciclo della vita: nascita, crescita, maturazione, morte e
resurrezione; nel caso degli dei sfida in battaglia, uccisione e resurrezione. Osiride, figlio di
Geb (terra) e Nut (Cielo), successe al trono suo padre e sposò sua sorella Iside. Tuttavia il
fratello Seth si ingelosì e decise di uccidere Osiride, seppellendo i vari pezzi del fratello in
posti differenti. La moglie ricostruì il corpo grazie all’aiuto di Anubi e Osiride si recò negli
inferi, diventando il giudice delle anime. Abido divenne poi il posto sacro per eccellenza.
Anche riguardo al dramma egizio ci sono varie interpretazioni. Alcuni sostengono che
Osiride influenzò la figura di Dioniso.
La struttura classica della tragedia è: prologos (ci racconta gli eventi accaduti prima
dell'inizio del dramma), parodos (entrata del coro che può a volte sostituire il prologos), vari
episodi separati dagli stasima (canti corali) che sviluppano l’azione centrale e l’exodos,
ovvero l’uscita di scena di tutti i personaggi, dunque la fine della tragedia. La popolarità della
tragedia iniziò il suo declino verso il IV secolo a.C.
Tutte le tragedie greche si basano su eventi storici o miti, che potevano essere rielaborati
dagli autori (ad esempio, essi fornivano diverse motivazioni per le azioni dei personaggi dei
miti, quasi mai svelate).
Eschilo scrisse diverse tragedie, circa ottanta, ma ce ne sono giunte solo sette (tra cui Le
Supplici). La maggiore innovazione dell’autore fu l’introduzione del secondo attore, dunque
non c’era solo l’autore/attore in scena, bensì anche un altro, semplice attore. Tutte le sue
tragedie facevano parte di trilogie, che narravano vari momenti di un’unica storia. Ad
esempio l’Orestea narra la vicenda di Oreste, figlio di Agamennone, che vendica il padre. La
tragedia mostra l’evoluzione del concetto di giustizia nel passaggio fra la società matriarcale
a quella patriarcale. Le sue tragedie erano caratterizzate da una spettacolarità
monumentale.
Sofocle scrisse più di 120 tragedie, tuttavia ce ne sono giunte sette (tra cui l'Antigone ed
Edipo Re, che viene considerato il modello della tragedia per eccellenza). Sofocle, a
differenza di Euripide, si concentra di più sulla caratterizzazione dei personaggi e riduce il
ruolo del coro a spettatore, inoltre le azioni sono sempre accuratamente motivate. Egli
introduce il terzo attore.
Euripide scrisse circa ottanta tragedie, ma solo 17 sono sopravvissute (fra cui Medea, Le
Baccanti e Le Troiane). Egli introdusse argomenti ritenuti inappropriati per una tragedia,
poiché spesso si metteva in dubbio il senso di giustizia degli dei, che venivano rappresentati
meno attenti alla moralità rispetto agli umani, ed esplorava particolarmente la dimensione
psicologica dei personaggi, infatti la sua popolarità crebbe notoriamente solo dopo la sua
morte. La struttura delle sue tragedie è particolarmente confusa. Egli scelse di rappresentare
miti minori o di alterare in maniera importante miti noti. Alcune sue tragedie ci mostrano la
crescente attenzione verso l’intreccio e la svolta improvvisa, mostrando il cambiamento del
teatro greco verso la fine del V secolo.
La commedia (canto del villaggio) viene anch’essa considerata come improvvisazione nata
dal ditirambo. è l’ultima forma drammatica a essere riconosciuta ufficialmente in Grecia,
verso il 487-486. I dori sostengono di avere inventato anche questo genere teatrale,
attribuendo la sua invenzione al poeta Epicarmo vissuto nella colonia dorica di Siracusa.
I commediografi più celebri sono Chionide, Magnete, Eupoli, Cratete ed Aristofane. Egli
scrisse tutte le commedie esistenti che risalgono al quinto secolo, ma ne sono sopravvissute
solo quindici (tra cui Le Rane e Gli Uccelli). La caratteristica principale della sua commedia è
il riferimento a problemi e fatti del tempo. Ogni commedia svolge un argomento centrale,
innesca l’azione comica mediante una trovata. Il prologo spiega la situazione iniziale,
espone la trovata, entra il coro, segue un dibattito sui pregi dell’idea proposta, si sperimenta
la suddetta idea e c’è la parabasis, che divide prima e seconda parte della commedia. In
questa parte vengono discussi problemi sociali e politici o si loda l’autore della commedia.
Alla fine, una serie di scene mostrano i risultati della trovata iniziale. Il komos, la scena
finale, si conclude con la riconciliazione dei personaggi e la loro uscita di scena per recarsi
ad un banchetto. La commedia si può dividere in tre periodi: la commedia antica, databile fra
l’inizio e la fine della guerra del Peloponneso; la commedia di mezzo, fino alla salita al trono
di Alessandro Magno; la commedia nuova, databile dopo il 336. Nella commedia nuova si
abbandonarono temi socio-politici in favore di emi come storie d’amore, problemi finanziari e
storie familiari. La struttura divenne presto ripetitiva, spesso incentrata su un ragazzo che
tentava di prendere in sposa una giovane schiava contro l’opinione del padre. Alla fine della
commedia spesso si scopriva che la ragazza era la figlia dimenticata di un ricco. Spesso la
commedia si basava sulla caratterizzazione dei personaggi, probabilmente influenzata dai
drammi di Euripide. Dopo il III secolo a.C. la commedia iniziò il suo declino.
Con l’introduzione del secondo e poi del terzo attore, il teatro greco cambiò. Inizialmente era
il drammaturgo a scegliere l’attore, ma con l’avvento delle gare per attori egli veniva
assegnato all’autore tramite un sorteggio e poi autore e attore sceglievano insieme eventuali
altri attori. Ciò che era importante nel teatro dell’epoca era la voce, che doveva adattarsi allo
stato d’animo e al personaggio, dunque la recitazione aveva più che altro carattere
declamatorio, e l’uso di vari canti e altri elementi portò ad una notevole stilizzazione
espressiva. Il mestiere dell’attore non era così diffuso, dunque chi lo faceva spesso
arrotondava con altro per guadagnarsi da vivere. Solo durante il quarto secolo crebbe il
professionismo in campo attoriale, con la crescente prevalenza della recitazione sul testo.
Non ci sono giunte sufficienti testimonianze per stabilire con precisione quale fossero i
costumi degli attori, tuttavia sappiamo che nelle tragedie essi potevano essere ispirati
all’abbigliamento quotidiano dei greci, ai vestiti dei periodi di lutto o altro. Il coro aveva
invece vestiti più realistici legati all’età, il sesso, la provenienza sociale della persona.
L’attore spesso indossava la tunica (chitone) e l’identità del personaggio poteva essere
stabilita attraverso oggetti simbolici. I costumi comici erano sostanzialmente ispirati ai vestiti
della vita quotidiana della Grecia, anche se spesso accentuavano certe parti del corpo per
evidenziare la componente ridicola della nudità. Tutti gli attori portavano delle maschere,
molto diverse fra loro, che nella commedia erano esagerate al fine di accentuare aspetti
ridicoli della fisicità. Il coro doveva invece essere tutto uguale, e nelle commedie il coro
rappresentava uccelli, animali o insetti.
Il coro aveva inizialmente un’importanza fondamentale che andò scemando con le tragedie
di Eschilo e venne ridotto al minimo da Euripide. A volte esso poteva scambiare battute con i
personaggi e molto raramente un singolo membro interveniva. Il ruolo del coro era triplice:
era un personaggio che dava consigli, faceva domande e raramente interveniva nell’azione;
definiva il contesto etico-sociale della vicenda, che serviva come giudizio dell’azione; era lo
spettatore ideale che reagiva all’azione proprio come, secondo lo spettatore, avrebbe dovuto
reagire il pubblico. Esso entrava dopo il prologo e rimaneva fino alla fine del dramma. La
musica era altrettanto importante: spesso suonata con un flauto, eventualmente arricchita da
lire o trombe che potevano essere suonati dagli attori stessi. Inizialmente la musica era un
sottofondo che non doveva interferire con i dialoghi, ma con l’avvento di Euripide essa
divenne sempre più importante, a volte oscurando anche le parti parlate. La musica, come la
danza, era portatrice di atteggiamenti etici e qualità morali. Esisteva una musica adatta alla
tragedia, una adatta alla commedia e una non adatta alle forme drammatiche. Qualsiasi tipo
di gestualità o pantomima era considerabile come danza.
Inizialmente il teatro contava solo di uno spazio in cui avveniva l’azione e il pubblico
guardava in piedi sui pendii delle colline. Venne poi introdotta l’orchestra, che era lo spazio
per la danza. L’edificio scenico (skene) venne introdotto più tardi e probabilmente ebbe
origine da qualche struttura provvisoria come uno spogliatoio per gli attori. Venne poi
costruito l’auditorio (odeon) il muro di contenimento situato a ridosso dello spazio
dell’orchestra. I posti per il pubblico vennero probabilmente allestiti intorno al sesto secolo
a.C. Il pubblico contava donne, ragazzi, uomini e schiavi e dal V secolo a.C. venne introdotto
una sorta di biglietto per entrare. Non è chiaro come fossero rappresentati i fondali: alcuni
sostengono che venissero introdotti elementi che poteva rappresentare la situazione
specifica, altri che venissero introdotti oggetti simbolici che davano l’idea, altri ancora che le
battute degli attori fossero sufficienti per dare il contesto. Inoltre, alcuni sostengono che non
ci fosse tanto una scenografia convenzionale quanto una che desse l’illusione della realtà.
Vennero introdotte macchine come la mechanè che serviva a far comparire i personaggi in
volo, come gli dei o ad esempio Perseo sul cavallo alato. Venne particolarmente utilizzata da
Euripide, che spesso utilizzava gli dei come risolutori di problemi (da qui l’espressione deus
ex machina).
Il teatro ellenistico inizia con il regno di Alessandro Magno. Le occasioni teatrali aumentano,
non più legate solo a Dioniso ma alle feste in generale. Viene creata la corporazione teatrale
degli Artisti di Dioniso, che contava poeti, attori, coristi, istruttori, musicisti, costumisti, etc. Il
capo era solitamente un sacerdote di Dioniso. I membri avevano vari vantaggi come
l’esenzione da servizio militare o il divieto di essere arrestati. Dal pov architettonico venne
introdotta una novità: il palcoscenico sopraelevato. Esistevano inoltre tre tipi di sfondo
scenico: uno per la tragedia, uno per la commedia, uno per il dramma satiresco. L’abito
tipico era l’exomis, una semplice tunica bianca.
Altri generi teatrali diffusi in Grecia e nelle sue colonie erano il mimo, termine utilizzato per
diversi spettacoli di carattere popolare, che consiste nella rappresentazione di brevi
scenette, e la farsa fliacica, diffusa nell’Italia meridionale.