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TRAGEDIA E COMMEDIA
La Tragedia
La Tragedia
Il mito, nella tragedia, è però reinterpretato alla luce dell’attualità, cioè dei problemi culturali,
sociali ed esistenziali che il poeta vuole mettere in luce. La tragedia, allora, diviene il luogo –
letterario e teatrale – in cui si dibattono idee e questioni di carattere universale: qual è il
rapporto dell’uomo con la divinità? Quali sono i limiti e le possibilità dell’intelligenza umana?
La tragedia affronta le contraddizioni della vita e della civiltà, e spesso è costruita in base ad
antinomie – vale a dire conflitti insanabili – che sono proprie di ogni età: essere/apparire,
amore/odio, verità/menzogna, fede/ragione, natura/convenzione.
Le rappresentazioni
tragiche tra religione
e spettacolo
Le tragedie e le Dionisie
Le tragedie venivano presentate nell’ambito di «agoni drammatici»,
vere e proprie gare in cui si cimentavano gli autori
Gli
Nelle prime file sedevano le autorità e in primis il sacerdote di Dioniso
Eleuterio che sedeva su un vero e proprio trono. Naturalmente questi
spettatori non pagavano
Per gli altri spettatori pare ci fossr un biglietto da pagare. Sono giunti
Spettatori
fino a noi piccoli dischi di piombo che pare potessere servire come
biglietti
Non è certo che le donne e i bambini potessero assistere agi spettacoli.
La loro presenza sembra più probabile a partire dal V secolo. Gli
schiavi potevano assistere, ma solo a seguito dei padroni
Il teatro per gli ateniesi era un’occasione civica e religiosa di elevato
valore sociale, finanziata dalla tesoreria dello stato e dai ricchi privati,
alla quale partecipano centinaia di persone e migliaia di spettatori. Un
evento centrale nell’anno che nemmeno la guerra poteva interrompere
La tragedia in scena
Gli attori e il palcoscenico
Il ruolo dell’attore
Nei primi tempi l’attore tragico era uno solo, lo stesso poeta che era
anche interprete del dramma. Fu Eschilo a portare gli attori a due e
Sofocle a tre. Dal 449 a.c. fu introdotto un premio per la recita
Inizia così la professione dell’attore. Non esistevano attrici,
nonostante i personaggi femminili nelle tragedie fossero molti e
importanti. L’alta reputazione di cui godevano gli attori rendeva
impossibile che le donne recitassero. Avrebbero potuto solo le
donne libere e non era pensabile che si esibissero in pubblico.
Il primo attore aveva un ruolo primario e solo a lui spettava il premio
per la recitazione
Gli attori erano tre nonostante ci fossero più personaggi. Dovevano
quindi cambiare rapidamente maschera e costume. Nelle tragedie
più complesse venivano ingaggiate anche delle comparse mute.
Nelle tragedie arrivate a noi i dialoghi sono quasi sempre tra due
personaggi, raramente tra tre.
Le funzioni e gli utilizzi delle maschere nel teatro greco
antico sono svariati e tutti con un risvolto pratico ben
preciso, per aiutare il pubblico a godersi meglio gli
Le maschere e le loro funzioni
spettacoli.
La seconda funzione importante delle maschere era quella di essere
La prima motivazione per l’uso di maschere è ovviamente
facilmente riconoscibili dal pubblico.
quella di permettere agli attori di interpretare i ruoli più
Nella Grecia antica infatti, le rappresentazioni teatrali avvenivano di
diversi e disparati, compresi quelli degli Dei, che non
giorno, all’aperto e in grandi anfiteatri, così che le dimensioni e le
potevano mai essere rappresentati da un volto umano. caratteristiche esagerate delle maschere rendevano subito chiaro il
Inoltre, gli attori erano solo uomini, per cui grazie alle personaggio interpretato, anche per gli spettatori più lontani e per quelli
maschere potevano anche assumere sembianze femminili meno colti.
quando erano in scena. Alcuni ricercatori (Baldry 1971) hanno anche sostenuto che le maschere
I membri del coro invece avevano maschere sempre uguali facessero anche da cassa di risonanza per la voce dell’attore che doveva
tra loro, ma completamente diverse da quelle degli attori farsi sentire da un pubblico molto ampio, ma questa teoria è molto
principali. avversata da chi sostiene che l’acustica degli anfiteatri greci è già una
garanzia di perfetto ascolto.
I costumi
La tragedia greca per caratterizzare il personaggio, con l’attore coperto
dalla maschera, faceva uso di altri mezzi.
Per quanto riguarda i costumi anche in questo caso si può fare
riferimento con molte cautele alle pitture vascolari. Non sappiamo cosa
abbia influenzato i costumi, forse ispirati anche dai paramenti utillizati
per i riti in onore di Dioniso. Comunque in epoca periclea dovendo essere
visto da lontano il costume- tranne per i personaggi in lutto, che
indossavano il nero- aveva disegni vistosi e colori vivaci. Copriva tutto
l’attore con maniche lunghe e con la tunica che arrivava fino ai piedi.
Gli attori indossavano stivali e in questo modo con maschera, costume e
calzature divenivano figure statuarie.
Per l’attore la cosa più importante era la voce che veniva educata ed
allenata. L’attore doveva anche saperla cambiare a seconda del
personaggio che interpretava. All’attore era richiesto di conoscere la
musica e saper cantare. Minore importanza avevano gesti e movimenti
Il coro per tutto il V SECOLO restò una parte
fondamentale della tragedia, perdendo poi importanza
Il coro
successivamente. Nietzche scrive ne «La nascita della
tragedia» che «…la tragedia è nata dal coro tragico e…
originariamente era solo coro e nient’altro che coro»
Anche i membri del coro portavano maschere e
indossavano costumi anche se è probabile che i costumi
fossero meno sfarzosi di quelli degli attori. I membri del
coro erano originariamenete 12 e poi Sofocle li portò a
15.
Maschere e costumi cambiavano a seconda dei
personaggi: i cori di vecchi avevano il bastone
Il coro nella sue entrata in scena, che sembra avvenisse
a passo di marcia, veniva preceduto da un flautista.
Sembra si schierassero per lo più in tre file di cinque
persone ( anche se sono note delle eccezioni)
Il coro
Il coro restava in scena fino alla fine quando usciva cantando e marciando.
La funzione del coro era considerata fondamentale e secondo Aristotele
era come uno degli attori e questa è la sua funzione nelle tragedia a noi
arrivate. Nelle «Supplici» di Eschilo è addirittura a centro del dramma.
il contatto durante i dialoghi parlati avveniva attraverso il corifeo. Ai
tempi dell’attore unico il dialogo avveniva solo tra questi corifeo. Nelle
tragedie arrivate fino a noi il ruolo del corifeo è meno importante e il coro
entra in scena soprattutto con brani cantati.
Nel tempo la partecipazione del coro al dramma è mutata. Si può
supporre che durante le scene dialogate il coro guardava verso gli attori
dando le spalle al pubblico verso il quale si girava soltanto per recitare le
sue parti poetiche. Tuttavia questo era possibile solo nel momento in cui
venne introdotto il palcoscenico rialzato e cioè dopo il V secolo a.C. nel V
secolo è probabile che invece il coro arricchisse lo spettacolo con danze
Il coro
La funzione del coro nella tragedia resta problematica. In parte assomigliava agli attori ed era
come loro parte integrante del dramma. Dall’altra era distinto e metteva in luce differenze ben
visibili: il coro era fornito dal corego, gli attori dallo stato. Il coro era diretto da un suo istruttore,
gli attori, probabilmente, dal protagonista. Il coro era situato nell’orchestra, gli attori sulla skene.
La funzione del coro era complessa, ma nel v secolo serviva a tenere insieme l’intero dramma.
Faceva anche da collegamento tra attori e spettatori che si immedesimavano più con le figure
semplici del coro che con quelle eroiche dei personaggi.
Il prologo
Gli elemneti costitutivi della tragedia greca erano
generalmente cinque: prologo, parodo, episodi,
stasimi e esodo.
Il prologo era la parte della tragedia che
precedeva l’entrata del coro. Esso non aveva la
funzione moderna di introdurre la
rappresentazione e informare gli spettatori
dell’antefatto. Allora, riferendosi ai miti, ogni
spettatore conosceva già l’argomento mitico
trattato dal poeta. Esso era una specie di primo
atto. Solo con Euripide esso comincia ad
acquistare quel carattere e quella funzione che
gli competono nel dramma moderno.
L’opera di Euripide
Euripide fu un innovatore radicale pur attenendosi allo schema
tradizionale. Euripide ha portato a perfezione molti elementi della
tragedia introducendo ogni volta novità e differenziando i
personaggi. Anche gli stessi eroi in tragedie diverse hanno un profilo
differente. Si può ipotizzare che Euripide volesse stupire lo
spettatore tenendo alta l’attenzione.
Per molti studiosi con Euripide si assiste alla crisi dell’eroe. Cade il
mito dei grandi prìncipi posti di fronte al proprio destino, con
passioni sovraumane. Nessuno di loro sacrifica la vita alla verità e
all’onore. Non ci sono più tiranni terrificanti, ma al limite antipatici,
avidi e sciocchi. Tanto che Aristofane accusa Euripide di aver vestito
di stracci i re.
Il mondo di Euripide rispecchia il fermento sociale in corso, in cui si
delineava il tramonto della poleis e non reggevano i vecchi idoli
L’eroe in Euripide
Ma se gli eroi maschili sono stati messi giù dal piedistallo,
Euripide innalza nel bene e nel male le figure femminili: sia
nella generosità che nella violenza. L’eroismo diventa una
caratteristica soprattutto femminile. Non è una qualità
innata, ma un gesto di un momento disperato o lucido che
sia.
Euripide crea figure femminili problematiche, sensibili e
tormentate che non trovano nella razionalità la soluzione
alla loro inquietudine.
Euripide avverte che la crisi sociale in atto coinvolge ancora
di più le donne relegate a una posizione subordinata
rispetto agli uomini. Le figure femminili gli permettono così
di dare voce alle spinte irrazionali e ai conflitti interiori
Euripide indaga il carattere dei suoi personaggi in
profondità e fornisce un’attenta analisi psicologica
Gli dei e il coro
Una caratteristica specifica di Euripide è il ricorso al «deus ex machina». Una
divinità appare a sigillare il dramma e a predire come si comporrà la vicenda.
Da una parte un congegno del genere poteva risvegliare in un gran finale
l’attenzione del pubblico, dall’altra la comparsa del dio risolutore sembra
dare un senso a ciò che è oscuro e ingovernabile. Infine il dio serviva per
fornire una causa al dramma e riportarlo all’interno di una celebrazione
comunque religiosa. Euripide resta comunque laico, gli dei appaiono crudeli
e capricciosi e compaiono su aggeggi artificiosi
Il coro in Euripide è per lo più fuori dal dramma e soprattutto nelle sue
ultime opere tende ad assumere una funzione lirico-musicale
I drammi di Euripide sono abbastanza semplici rispetto a quelli degli altri
tragediografi. Con lui entra nella tragedia il parlare corrente, le sue
similitudini e metafore sono chiare.
Euripide inseriva nelle sue tragedie elementi di propaganda politica facendo
riferimento a quello che avveniva nella sua epoca
Medea
Una delle figure più interessanti delle opere di Euripide è Medea.
Un personaggio tragico ripreso da molti autori anche moderno
come Pier Paolo Pasolini e che ritroviamo come personaggio
minore anche nellla «Circe» di Madeline Miller
In Medea le contraddizioni del personaggio principale e l’irrazionale
raggiungono il punto di massimo. Per questo viene considerata il
personaggio tragico per eccellenza, quello che arriva a compiere il
gesto contro natura più efferato: l’uccisione dei figli
Medea è una donna, è straniera, è di conseguenza priva di ogni
diritto. Euripide scrive uno dei primi discorsi «femministi» della
storia: «..Dicono anche che noi passiamo la vita in casa senza
correre pericoli, loro invece si battono con la lancia. È un’idea
idiota. Cento volte vorrei piantarmi in campo accanto al mio scudo,
piuttosto che affrontare un solo parto». Si comprende quanto
questo discorso possa essere rivoluzionario nell’Atene del 400 a.C.
Medea alle Dionisie
Medea è una tragedia di Euripide,
andata in scena per la prima volta ad
Atene, alle Grandi Dionisie del 431 a.C.
La tetralogia tragica di cui faceva parte
comprendeva anche le tragedie perdute
«Filottete» e «Ditti», ed il dramma
satiresco I mietitori. L'opera si classificò
soltanto al terzo posto, dietro un'opera
di Euforione (figlio di Eschilo) che vinse e
una di Sofocle, secondo classificato,
delle quali non consociamo i titoli
La trama
Dopo aver aiutato Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello
d’oro, Medea si trasferisce a Corinto insieme al marito Giasone e ai
due figli, abbandonando il padre per seguire l'amore. Dopo alcuni
anni però, Giasone decide di ripudiare Medea per sposare Glauce,
la figlia di Creonte, re di Corinto. In questo modo otterrebbe il
diritto di successione al trono.
Medea si lamenta col coro delle donne corinzie in modo disperato e
furioso, maledicendo la casa reale, tanto che Creonte, temendo al
sua vendetta, le ordina di lasciare la città. Tuttavia Medea nasconde
i propri sentimenti e resta ancora un giorno in modo da poter
attuare il suo piano. Medea in un accorato discorso rinfaccia a
Giasone tutta la sua ipocrisia e la mancanza di coraggio. L’eroe non
sa opporsi alla furia di Medea e porta a giustificazione solo banali
ragioni di convenienza.
La trama
Sconvolta dal comportamento del marito, la donna attua la sua
vendetta. Per prima cosa ottiene asilo dal re di Atene Egeo (ospite a
Corinto) la promessa di ospitarla nella sua città. La maga in cambio gli
farà avere un figlio con le sue arti magiche . La donna si finge quindi
rassegnata e manda in dono a Glauce una ghirlanda e una veste
avvelenata. La figlia di Creonte, indossati i doni, muore tra atroci
dolori bruciata da un rivolo di fuoco che si propaga dalla ghirlanda e
scarnificata dalla veste stessa; la stessa sorte tocca a Creonte, accorso
per aiutarla. Tale scena viene raccontata da un messaggero.
A questo punto Giasone comprende che la donna è fuori controllo e
accorre per salvare i figli, ma Medea appare sul carro alato del dio
Sole (un vero e proprio macchinario «Machina») mostrando i cadaveri
dei figli che ella stessa, seppur straziata nel cuore, ha ucciso, privando
così Giasone di una discendenza. Alla fine la donna vola verso Atene,
lasciando il marito a maledirla, distrutto dal dolore.
La figura di Medea
La figura di Medea domina tutto il dramma, gli dei hanno un ruolo minore e il dramma è interamente un
dramma umano.
Euripide lavora mettendo in luce gli stati d’animo della donna, la passione, la rabbia, ma anche i dubbi,
l’esitazione e il dolore. Medea è una donna vittima della passione resa debole e forte allo stesso tempo
dalla passione. Medea riassume in sé, in un solo personaggio, tutta la conflittualità del tragico «perché
esitiamo a compiere questa enormità spaventosa e inevitabile? Via, o mia mano sciagurata, prendi la
spada, prendila, muovi verso la soglia di una vita di dolore, e non diventare vile…»
Medea esita, ma sa che è una scelta inevitabile, anche se le ripugna
Sicuramente resta una delle figure più affascinanti, complesse, enigmatiche della tragedia greca. Resta
sospesa tra razionalità ed emotività e in questo è estremamente umana, pur compiendo alla fine un
gesto «enorme» non può dirsi «eroica»
Euripide in Medea concretizza pienamente la caduta dell’ «eroe classico», rendendo pienamente umana
la protagonista della tragedia e lasciandola completamente sola, abbandonata anche dagli dei
Sofocle
Non fare nulla di nascosto; poiché il
tempo vede e ode ogni cosa, e tutto svela.
La Vita
Nato nel 497 a.C. da famiglia abbiente nel demo attico di Colono,
Sofocle vive l’intero periodo che va dalla guerra persiana a quella
peloponnesiaca. Ideologicamente vicino a Pericle, partecipa
attivamente alla vita politica ateniese, ricoprendo incarichi importanti,
civili e militari. Muore all'età di novant'anni nella sua amata Atene.
La sua carriera di autore tragico è coronata dal successo: a 27 anni
conquista il suo primo trionfo gareggiando con Eschilo. Plutarco, nella
Vita di Cimone, racconta il primo trionfo del giovane talentuoso Sofocle
contro il celebre e fino a quel momento incontrastato Eschilo,
conclusasi in modo insolito senza il consueto sorteggio degli arbitri:
Eschilo, in seguito a questa sconfitta, sceglie il volontario esilio in
Sicilia. In tutto Sofocle conquista 24 vittorie, arrivando secondo in tutte
le altre occasioni.
L'Antigone
L’Antigone (442 a.C.) è il dramma della figlia di Edipo uccisa per volere di Creonte per avere
infranto il divieto di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice. Per la trasgressione,
Antigone è murata viva in una caverna, dove si uccide insieme con il suo promesso sposo Emone,
figlio di Creonte.
La tragedia oppone due trasgressioni: quella di Antigone, la quale viola le leggi dello stato,
rappresentate dal divieto di Creonte, e quella di quest'ultimo, che non concede alla donna il
diritto di poter dire addio a suo fratello seppellendolo, bensì ordinando di gettare il suo corpo agli
animali come preda. Disobbedendo, viene arrestata, ma non mostra pentimento del proprio
gesto, anzi si oppone fieramente a Creonte e al suo empio bando, motivo per cui viene
condannata a morte.
Emone, figlio di Creonte e promesso sposo della fanciulla, tenta di far recedere il padre da
quanto stabilito nel suo editto, ma invano. Risulta inutile anche l'intervento dell'indovino Tiresia.
Infine, il coro riesce a convincere il re, ma troppo tardi. Infatti, egli si reca nella caverna dove la
ragazza è rinchiusa e trova che ha anticipato la morte per fame, impiccandosi.
L'Antigone-Analisi
L’Antigone pone in primo piano il contrasto tra Antigone e
Creonte, tra legge naturale e legge umana, tra re e suddito, fra
potere politico e cittadino, tra famiglia e stato.
Il comportamento di Antigone, che decide di violare le leggi
umane in nome delle leggi del sangue, più antiche e sacre di
quelle scritte, mette in discussione l’autorità di Creonte.
Antigone è un personaggio dalla grande forza d’animo, dovuta alle
sue esperienze di vita: Antigone ha visto morire i suoi fratelli, sua
unica speranza, e per questo motivo non riesce ad accettare le
regole di un mondo fatto dagli uomini. Inoltre si può affermare
che Antigone è un personaggio moderno, sotto vari punti di vista,
mentre Creonte, che in greco significa potenza, è il simbolo
dell'arroganza.
La Commedia
La parola “comico” ha in italiano due significati:
“ proprio della commedia” e “che fa ridere”. Il secondo
La Commedia Greca
significato deriva dal primo e si spiega etimologicamente
La commedia mette in scena avvenimenti che
con il fatto che nell’antichità greca e romana il genere
hanno come protagonisti persone comuni
della commedia era caratterizzato dall’intenzione e dalla
(piccoli
funzione di divertire il pubblico degli spettatori
proprietari terrieri, mercanti, artigiani, soldati
suscitandone il riso. La commedia era collegata con
mercenari, schiavi, cortigiane ) alle prese con
feste e riti religiosi, e si presentava come uno spettacolo
difficoltà che turbano la loro vita quotidiana e
misto di poesia, musica, canto e danza, eseguito da
che riescono a risolvere con le loro capacità e
attori che portavano la maschera. Poiché la commedia
con l’aiuto della sorte gli ostacoli ai quali vanno
si proponeva di divertire e rallegrare il pubblico, essa
incontro, e il loro modo di agire o di parlare, le
prevedeva sempre lo scioglimento felice del nodo
situazioni in cui si ritrovano suscitano il riso o il
drammatico, il superamento degli ostacoli e delle
sorriso.
difficoltà nel lieto fine (la tragedia ,invece, rappresenta
La risata è, quindi, l’elemento trainante della
azioni gravi, dolorose, spesso luttuose con esito
commedia, è il simbolo della complicità tra
funesto).
pubblico e attore.
La commedia è tra i generi teatrali più importanti dell’antica Grecia, anche se più recente della
tragedia. l’origine è poco conosciuta: Aristotele la lega ai canti che accompagnavano
abitualmente le processioni dionisiache. Epicarmo può essere considerato il primo autore
comico, ma la commedia greca è conosciuta
grazie alle opere del greco Aristofane. Vissuto ad Atene nel V secolo a.C., Aristofane scrisse
commedie in cui rappresentava personaggi comuni alle prese con situazioni difficili: un
contadino che vuole starsene in pace e si dissocia dalle decisioni della sua città, un pover’uomo
che vorrebbe impedire a suo figlio di
dilapidare il patrimonio familiare, due abitanti di Atene che ne hanno abbastanza della
situazione della città e decidono di andarsene a vivere insieme agli uccelli, sulle nuvole… I
personaggi, le situazioni, le vicende, il linguaggio: tutto nelle commedie di Aristofane è frutto di
una fantasia sfrenata, dietro la quale però c’è la realtà. Aristofane rappresentava in ogni sua
opera la situazione di Atene, stremata da anni di guerra contro Sparta; denunciava gli uomini
politici che pensavano più ai propri interessi che al benessere della città e prolungavano quella
guerra terribile. Insomma, dietro la fantasia , le battute incalzanti a volte violente, il riso del
pubblico, c’era una riflessione seria su Atene, la sua vicenda politica, il suo futuro. Di Aristofane
sono giunte fino a noi ben 11 commedie complete.
Le Fasi della Commedia
Le principali fasi della commedia greca sono tre:Commedia
antica; Commedia di mezzo; Commedia nuova. La
commedia antica è la prima fase della commedia attica e
nasce inizialmente come scaccia sfortuna. A differenza della
tragedia che trattava del mito, la commedia ha una maggiore
vitalità prendendo spunto da argomenti di vita quotidiana. Il
maggior esponente della commedia antica è, appunto,
Aristofane, commediografo dell’utopia e della dissacrazione
delle istituzioni. I contenuti sono politici e durante la
parabasi gli attori tolgono i costumi per conversare e
dialogare con gli spettatori, cercando un coinvolgimento.
Nella commedia antica accanto ai personaggi immaginari,
venivano messi in scena e sbeffeggiati, politici o uomini in
vista della società.
La Commedia di mezzo o commedia mese è quella che si situa tra la
commedia antica e quella nuova. Non ci sono opere complete, ma ci
restano frammenti delle opere di Antifane che ne è il maggior esponente.
La principale caratteristica della mese è la messa in pratica dei cambi
scenici e la diminuzione dell’importanza delle parti liriche, i cori, durante lo
svolgimento. Dal punto di vista testuale viene data grande importanza alla
vita quotidiana. I personaggi reali scompaiono, e vengono sostituiti da
personaggi, quasi maschere. La parodia è una caratteristica molto comune
nella commedia di mezzo spesso vengono inscenate parodie di episodi
mitologici famosi. La Commedia nuova è l’ultima fase della commedia
attica. È una commedia che riflette la mutazione politica e sociale in corso.
Atene, infatti, come tutte le altre città greche, perse la propria
indipendenza e divenne parte del territorio controllato dal regno di
Macedonia. Non aveva più senso parlare ai cittadini ateniesi di politica, di
pace o di guerra: le sorti della città non erano più nelle loro mani Agli
spettatori interessava molto di più tutto ciò che riguardava la vita di ogni
individuo: i sentimenti come l’amore, o i rapporti familiari, l’educazione dei
figli…
Sono questi, infatti gli argomenti che trattarono i commediografi della
commedia nuova, tra i quali ricordiamo Menandro, nato e vissuto ad
Atene nel IV secolo a.C. Nelle sue commedie sono rappresentate le
vicende di personaggi comuni alle prese con i problemi della
quotidianità: un vecchio burbero che ha pessimi rapporti con tutti,
compresi i suoi familiari, una donna che rischia il suo amore pur di
aiutare un bimbo in difficoltà, un uomo che soffre perché si crede
tradito da sua moglie… Noi tutti potremmo, guardandoli, riconoscere
un po’ di noi stessi: Menandro metteva in
scena la vita dell’uomo comune con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. I
suoi personaggi riproducono fedelmente dei “tipi “che diventeranno
nei secoli uno schema classico, ripresi poi anche da Plauto e Terenzio
i più grandi commediografi latini.
CRATINO (Κρατῖνος, Cratīnus)
Cratino fu il creatore della commedia satirica politica in Atene. Conosciamo con qualche
sicurezza la data della sua morte, 423-421; e da un luogo di Luciano apprendiamo che morì
molto vecchio. Potremo quindi fissare la sua nascita intorno al 500. Di lui non è rimasta alcuna
commedia completa; ma i frammenti che possediamo (di 24 commedie) confermano le lodi
unanimi degli antichi, i quali salutavano in lui il più spontaneo, il più geniale e ispirato dei poeti
comici. Una metà di queste commedie svolgeva soggetti mitici: tale il Dionisalessandro, che
intrecciava buffamente le gesta del dio a quelle di Paride troiano; tale anche l'Ulisse, di cui
possiamo alla meglio riordire la tela, sulla traccia dei frammenti e aiutandoci col Ciclope di
Euripide, che per molti particolari accenna a una larga derivazione dalla commedia di Cratino.
Commedia, sposa legittima di Cratino, sdegnata che il poeta la trascuri per una
donnetta di nessun conto, Damigiana, pensa al divorzio, ed espone le sue
ragioni ad alcuni amici comuni. Uno di essi prende le difese dell'assente: si sa,
per un artista ci vuole anche qualche po' di svago; ma troverà sempre tempo
per curare la sposa legittima. Ma Commedia risponde che ormai per lei è
proprio come fosse vedova. Gli amici rampognano acerbamente il vecchio: per
quel maledetto bere (usciamo di metafora) egli non è più il poeta di una volta.
Ma Cratino risponde, con un verso divenuto famoso, che "chi beve acqua non
farà mai nulla di buono". E, dubitando ancora gli amici, si abbandona all'estro;
e così impetuosi gli sgorgano i versi dalle labbra, che gli amici rimangono
entusiasti e sbalorditi, e, certo, confutati e convinti.
Nelle commedie di Aristofane c’è una progressiva devitalizzazione del coro fino alla sua quasi
completa perdita di funzione drammaturgica. Progressivamente abbandonata è anche la
parabasi.
Il modello privilegiato per la parodia era il contemporaneo teatro tragico che, con la sua
solennità, si prestava a esilaranti rovesciamenti comici, sia per singoli versi sia per intere scene.
La rappresentazione realistica, soprattutto quella degli oggetti della cultura materiale, è lo
strumento privilegiato per mostrare l’assurdità di certe situazioni e volgerle al ridicolo. Inoltre,
la commedia appare come il luogo privilegiato per l’abolizione delle norme del decoro e per la
realizzazione di ogni licenza fino alla volgarità, retaggio di antichi culti agrari che sarebbero
all’origine della commedia stessa. Uno degli strumenti più efficaci e frequenti della comicità di
Aristofane sta nella commistione tra realtà e metafora, per cui un’immagine metaforica viene
tradotta in termini realistici, con l’esito paradossale che ne consegue.
Il registro di fonde della lingua utilizzata da Aristofane è il sermo urbanus, per cui abbondano i
modi di dire d’uso comune e volgari doppi sensi di derivazione popolare.