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Il Teatro Greco

TRAGEDIA E COMMEDIA
La Tragedia
La Tragedia

La tragedia greca è un genere teatrale nato nell'antica Grecia,


precisamente nella città di Atene, attorno alla metà del VI secolo a.C.
La sua “invenzione” è attribuita al poeta Tespi, un tragediografo e attore
greco antico. Egli ebbe una sua compagnia girovaga (il famoso "carro di
Tespi", un “teatro” mobile, molto in voga soprattutto nel periodo che si
interpone tra le due guerre mondiali, il quale rendeva accessibile anche
alle persone appartenenti a ceti sociali inferiori di poter assistere a
rappresentazioni teatrali) con cui dava rappresentazioni drammatiche a
Icaria e in altri demi dell'Attica; e poi in Atene, quando Pisistrato vi
introdusse il culto di Dioniso Eleutereo e vi organizzò le Grandi Dionisie.
E appunto nelle Grandi Dionisie del 534, Tepsi rappresentò la prima
volta un suo dramma.Ci restano solo quattro titoli di sue tragedie, ma i
pochi frammenti derivano da tarde falsificazioni.
Lo Scopo
Per nessun altro genere letterario, come per la tragedia, si è cercato di fornire
definizioni che ne cogliessero il senso profondo. Sulla base di quanto già
osservava il filosofo Aristotele, si può affermare che la tragedia, almeno così
come fu concepita nell’Atene classica, è rappresentazione drammatica
(dramma) – cioè teatrale – di una vicenda esemplare, preferibilmente mitica,
conclusa tragicamente, che induce gli spettatori a riflettere sul significato di
certe azioni, sui valori etici, sociali e politici che il mito, rielaborato e riletto, sta
a simboleggiare.
La tragedia è dunque, innanzitutto, uno spettacolo. Eventi e personaggi sono
messi in scena, e questo costituisce un canale di comunicazione privilegiato tra
il poeta e il pubblico: i costumi, le musiche, la scenografia, sono tutti elementi
che contribuiscono a creare quell’atmosfera straordinaria – la cosiddetta
illusione scenica – in cui lo spettatore si immerge, concentrandosi in modo
unico sulla vicenda drammatica.
I Contenuti
I contenuti della tragedia, di grande rilevanza antropologica, concernono il
destino dell’uomo, le sue colpe e responsabilità, il rapporto col dio, ora
dispensatore di giustizia, ora invidioso e inspiegabilmente ostile verso il
genere umano. Il mondo della tragedia è conflittuale e oppone l’uomo
all’uomo o al dio, le leggi ancestrali della vendetta alle leggi della polis, la
civiltà del diritto codificato a quella tribale pre-giuridica. I personaggi, in
preda a sentimenti e passioni elementari come l’ambizione, l’eros, l’avidità,
infrangono le leggi della natura, della polis, o di entrambe.
Attore tragico che
sorregge una
maschera.
Secondo il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche la tragedia rifletterebbe il
conflitto, nello spirito greco, tra il momento apollineo della solarità, della
razionalità, e quello dionisiaco dell’irrazionalità, dell’ebbrezza e
dell’animalità.
I Contenuti
Il contenuto della tragedia – quasi sempre nell’antichità e talvolta anche nell’età moderna – è
tratto dal mito: gli eroi e i personaggi del vastissimo repertorio mitologico antico, proprio
perché eccezionali, sono i più indicati per mostrare al pubblico sentimenti e valori in forme
accentuate e, quindi, più evidenti. La tragedia è il genere delle grandi passioni, dei grandi
amori e degli odi più atroci.

Il mito, nella tragedia, è però reinterpretato alla luce dell’attualità, cioè dei problemi culturali,
sociali ed esistenziali che il poeta vuole mettere in luce. La tragedia, allora, diviene il luogo –
letterario e teatrale – in cui si dibattono idee e questioni di carattere universale: qual è il
rapporto dell’uomo con la divinità? Quali sono i limiti e le possibilità dell’intelligenza umana?
La tragedia affronta le contraddizioni della vita e della civiltà, e spesso è costruita in base ad
antinomie – vale a dire conflitti insanabili – che sono proprie di ogni età: essere/apparire,
amore/odio, verità/menzogna, fede/ragione, natura/convenzione.
Le rappresentazioni
tragiche tra religione
e spettacolo
Le tragedie e le Dionisie
Le tragedie venivano presentate nell’ambito di «agoni drammatici»,
vere e proprie gare in cui si cimentavano gli autori

Altro aspetto fondamentale era il carattere religioso dei concorsi


attici. Il teatro era considerato un luogo sacro e i drammi venivano
messi i scena nell’ambito di celebrazioni in onore di Dioniso.
Dioniso era un dio partciolare associato al vino, ma anche alla
fertilità e alla vegetazione. Il suo culto prevedeva danze ed estasi.
Le rappresentazioni drammatiche erano strettamente legate alla
vita della città. L’arconte era responsabile dell’organizzazione delle
Dionisie (feste in onore di Dioniso alle quali partecipavano ateniesi,
ma anche stranieri che veniva da ogni dove) che si tenevano
all’inizio della primavera quando riprendeva la stagione della
navigazione
L’organizzazione degli agoni
L’arconte sceglieva tre poeti che proponevano tre tragedie e un
epilogo ciascuno. Dopo la morte di Eschilo nel 456 a.C venne
concesso un posto a qualunque poeta presentasse una tragedia del
drammaturgo.
Il teatro allora come oggi aveva bisogno di finanziamenti. L’arconte
trovava per ogni poeta un corego (promotore) che provvedeva alle
spese. Di solito erano cittadini facoltosi di Atene. Il corego era
assegnato a sorte e aveva molta importanza nel determinare la
fortuna del poeta, visto che c’era una spesa minima, ma non c’era
un tetto massimo alle spese.
La rappresentazione era molto semplice, non c’era illuminazione e
lo scenario era inesistente o di base. Il poeta svolgeva i diversi ruoli
da quello di musicista a quello di coreografo.
Il corego invece si doveva occupare della spesa per i costumi e le
maschere
Attori e giudici
Venivano ingaggiati tre attori che cambiando maschere
e costumi ricoprivano i diversi ruoli. Alcuni di questi
nel tempo divennero veri e propri divi. Inizialmente
l’attore era solo uno, nel tempo si arrivò a tre.
Un’altra figura importante per le tragedie era quella
del giudice, kritai. Non è noto come venissero
selezionati i giudici, ma si pensa che rappresentassero
le diverse tribù e che i coreghi facessero di tutto per
avere giudici a loro favorevoli
Prima della rappresentazione veniva presentato
ufficialmente il programma con una cerimonia pubblica
in cui si vedevano anche gli attori senza maschere e
costumi e si faceva una processione per portare la
statua di Dioniso in teatro
L’inizio delle celebrazioni
Il primo giorno della rappresentazione era di grande
festa e anche i detenuti venivano liberati
Si cominciava la mattina con una processione con canti
satirici e offerte per il dio. Così iniziava un percorso di
gare che duravano diversi giorni. Non tutte erano gare
teatrali, ma una era una gara tra cori che eseguivano
ditirambi (canti e danze in onore del dio). Le
rappresentazioni delle tragedia erano l’apice della festa
Le celebrazioni iniziavano con cerimonie sacrifici e
l’indicazione dei giudici. Alla fine delle rappresentazione
si svolgeva una riunione in cui veniva discusso l’operato
degli organizzatori che venivano lodati o biasimati e si
commentava l’andamento della festa in generale
Gli attori erano dei professionisti, ma per altre figure non c’era una
vera specializzazione. La rappresentazione, comprese le cerimonie e i
cortei, poteva coinvolgere anche 1500 persone
Sicuramente il pubblico nel teatro di Dioniso era numeroso, alcune
stime parlano di 17 mila persone, altre si spingono a 30 mila

Gli
Nelle prime file sedevano le autorità e in primis il sacerdote di Dioniso
Eleuterio che sedeva su un vero e proprio trono. Naturalmente questi
spettatori non pagavano
Per gli altri spettatori pare ci fossr un biglietto da pagare. Sono giunti

Spettatori
fino a noi piccoli dischi di piombo che pare potessere servire come
biglietti
Non è certo che le donne e i bambini potessero assistere agi spettacoli.
La loro presenza sembra più probabile a partire dal V secolo. Gli
schiavi potevano assistere, ma solo a seguito dei padroni
Il teatro per gli ateniesi era un’occasione civica e religiosa di elevato
valore sociale, finanziata dalla tesoreria dello stato e dai ricchi privati,
alla quale partecipano centinaia di persone e migliaia di spettatori. Un
evento centrale nell’anno che nemmeno la guerra poteva interrompere
La tragedia in scena
Gli attori e il palcoscenico
Il ruolo dell’attore
Nei primi tempi l’attore tragico era uno solo, lo stesso poeta che era
anche interprete del dramma. Fu Eschilo a portare gli attori a due e
Sofocle a tre. Dal 449 a.c. fu introdotto un premio per la recita
Inizia così la professione dell’attore. Non esistevano attrici,
nonostante i personaggi femminili nelle tragedie fossero molti e
importanti. L’alta reputazione di cui godevano gli attori rendeva
impossibile che le donne recitassero. Avrebbero potuto solo le
donne libere e non era pensabile che si esibissero in pubblico.
Il primo attore aveva un ruolo primario e solo a lui spettava il premio
per la recitazione
Gli attori erano tre nonostante ci fossero più personaggi. Dovevano
quindi cambiare rapidamente maschera e costume. Nelle tragedie
più complesse venivano ingaggiate anche delle comparse mute.
Nelle tragedie arrivate a noi i dialoghi sono quasi sempre tra due
personaggi, raramente tra tre.
Le funzioni e gli utilizzi delle maschere nel teatro greco
antico sono svariati e tutti con un risvolto pratico ben
preciso, per aiutare il pubblico a godersi meglio gli
Le maschere e le loro funzioni
spettacoli.
La seconda funzione importante delle maschere era quella di essere
La prima motivazione per l’uso di maschere è ovviamente
facilmente riconoscibili dal pubblico.
quella di permettere agli attori di interpretare i ruoli più
Nella Grecia antica infatti, le rappresentazioni teatrali avvenivano di
diversi e disparati, compresi quelli degli Dei, che non
giorno, all’aperto e in grandi anfiteatri, così che le dimensioni e le
potevano mai essere rappresentati da un volto umano. caratteristiche esagerate delle maschere rendevano subito chiaro il
Inoltre, gli attori erano solo uomini, per cui grazie alle personaggio interpretato, anche per gli spettatori più lontani e per quelli
maschere potevano anche assumere sembianze femminili meno colti.
quando erano in scena. Alcuni ricercatori (Baldry 1971) hanno anche sostenuto che le maschere
I membri del coro invece avevano maschere sempre uguali facessero anche da cassa di risonanza per la voce dell’attore che doveva
tra loro, ma completamente diverse da quelle degli attori farsi sentire da un pubblico molto ampio, ma questa teoria è molto
principali. avversata da chi sostiene che l’acustica degli anfiteatri greci è già una
garanzia di perfetto ascolto.
I costumi
La tragedia greca per caratterizzare il personaggio, con l’attore coperto
dalla maschera, faceva uso di altri mezzi.
Per quanto riguarda i costumi anche in questo caso si può fare
riferimento con molte cautele alle pitture vascolari. Non sappiamo cosa
abbia influenzato i costumi, forse ispirati anche dai paramenti utillizati
per i riti in onore di Dioniso. Comunque in epoca periclea dovendo essere
visto da lontano il costume- tranne per i personaggi in lutto, che
indossavano il nero- aveva disegni vistosi e colori vivaci. Copriva tutto
l’attore con maniche lunghe e con la tunica che arrivava fino ai piedi.
Gli attori indossavano stivali e in questo modo con maschera, costume e
calzature divenivano figure statuarie.
Per l’attore la cosa più importante era la voce che veniva educata ed
allenata. L’attore doveva anche saperla cambiare a seconda del
personaggio che interpretava. All’attore era richiesto di conoscere la
musica e saper cantare. Minore importanza avevano gesti e movimenti
Il coro per tutto il V SECOLO restò una parte
fondamentale della tragedia, perdendo poi importanza
Il coro
successivamente. Nietzche scrive ne «La nascita della
tragedia» che «…la tragedia è nata dal coro tragico e…
originariamente era solo coro e nient’altro che coro»
Anche i membri del coro portavano maschere e
indossavano costumi anche se è probabile che i costumi
fossero meno sfarzosi di quelli degli attori. I membri del
coro erano originariamenete 12 e poi Sofocle li portò a
15.
Maschere e costumi cambiavano a seconda dei
personaggi: i cori di vecchi avevano il bastone
Il coro nella sue entrata in scena, che sembra avvenisse
a passo di marcia, veniva preceduto da un flautista.
Sembra si schierassero per lo più in tre file di cinque
persone ( anche se sono note delle eccezioni)
Il coro
Il coro restava in scena fino alla fine quando usciva cantando e marciando.
La funzione del coro era considerata fondamentale e secondo Aristotele
era come uno degli attori e questa è la sua funzione nelle tragedia a noi
arrivate. Nelle «Supplici» di Eschilo è addirittura a centro del dramma.
il contatto durante i dialoghi parlati avveniva attraverso il corifeo. Ai
tempi dell’attore unico il dialogo avveniva solo tra questi corifeo. Nelle
tragedie arrivate fino a noi il ruolo del corifeo è meno importante e il coro
entra in scena soprattutto con brani cantati.
Nel tempo la partecipazione del coro al dramma è mutata. Si può
supporre che durante le scene dialogate il coro guardava verso gli attori
dando le spalle al pubblico verso il quale si girava soltanto per recitare le
sue parti poetiche. Tuttavia questo era possibile solo nel momento in cui
venne introdotto il palcoscenico rialzato e cioè dopo il V secolo a.C. nel V
secolo è probabile che invece il coro arricchisse lo spettacolo con danze
Il coro

La funzione del coro nella tragedia resta problematica. In parte assomigliava agli attori ed era
come loro parte integrante del dramma. Dall’altra era distinto e metteva in luce differenze ben
visibili: il coro era fornito dal corego, gli attori dallo stato. Il coro era diretto da un suo istruttore,
gli attori, probabilmente, dal protagonista. Il coro era situato nell’orchestra, gli attori sulla skene.
La funzione del coro era complessa, ma nel v secolo serviva a tenere insieme l’intero dramma.
Faceva anche da collegamento tra attori e spettatori che si immedesimavano più con le figure
semplici del coro che con quelle eroiche dei personaggi.
Il prologo
Gli elemneti costitutivi della tragedia greca erano
generalmente cinque: prologo, parodo, episodi,
stasimi e esodo.
Il prologo era la parte della tragedia che
precedeva l’entrata del coro. Esso non aveva la
funzione moderna di introdurre la
rappresentazione e informare gli spettatori
dell’antefatto. Allora, riferendosi ai miti, ogni
spettatore conosceva già l’argomento mitico
trattato dal poeta. Esso era una specie di primo
atto. Solo con Euripide esso comincia ad
acquistare quel carattere e quella funzione che
gli competono nel dramma moderno.

Elementi della tragedia


La parodo era il canto di entrata del coro mentre si disponeva a
prendere posto nell’ orchestra. Il coro commenta, illustra e
analizza la situazione che si sta sviluppando sulla scena
Episodi: dialoghi lirici tra coro e attori. Le tragedie di solito si
articolano in tre o più episodi
Il coro cantava attraverso gli stasimi qualche volta anche in
mezzo agli episodi (canti episodici e nei commi) che erano
dialoghi lirici tra coro e attori.
Esodo : è la parte conclusiva della tragedia, che finisce con
l'uscita di scena del coro. Spesso, soprattutto in Euripide,
nell'esodo si fa uso del deus ex machina, ovvero un personaggio
divino che viene calato sulla scena mediante una  macchina
teatrale  per risolvere la situazione quando l'azione è tale che i
personaggi non hanno più vie d'uscita.
L’interpretazione del tragico
Aristotele nella poetica definisce la tragedia
come un’imitazione di un’azione seria e
compiuta in se stessa di una certa estensione, in
un linguaggio adorno di vari abbellimenti
applicati ciascuno a suo luogo nelle parti diverse,
rappresentata da personaggi che agiscono e non
narratata; la quale mediante pietà e terrore
produce la purificazione liberatrice dalle passioni
siffatte.
In questo modo Aristotele introduce il dibattuto
«concetto di catarsi» una purificazione dalle
passioni, indotta negli spettatori dalla tragedia.
L’interpretazione del tragico
In un altro passo della poetica Aristotele introduce
il concetto del capovolgimento, della « metabolè»,
della sorte. L’uomo non precipita per un difetto
morale, ma perché in quanto umano è incapace di
affrontare per i limiti della sua natura alcune
situazioni. Gli eroi tragici sono uomini a cui
capitano delle catastrofi. La catastrofe è il
rovesciamento completo di una situazione e queste
catastrofi non sono dovute alla cattiveria degli eroi
Teofrasto riprenderà questo concetto parlandi di
«catastrofe di un destino eroico».
Secondo Goethe «ogni tragicità è fondata su un
conflitto inconciliabile. Se interviene o diventa
possibile una conciliazione, il tragico scompare.»
L’interpretazione del tragico
•Anche se in maniera diversa Nietzche riprende il concetto di conflittualità
•Nietzsche sosteneva che la tragedia greca nasceva dall’eterno conflitto di
due elementi presenti nella cultura classica e ben rappresentati attraverso
la mitologia. Il primo è lo spirito dionisiaco ovvero lo slancio mistico e
irrazionale,
•Il secondo elemento è l’apollineo, inteso come razionalità, equilibrio,
serenità teoretica, senso di finitezza.
•Dionisiaco e apollineo sono due modi di consocere il modno che si
manifestano sotto forma di una molteplicità di coppie antinomiche: sacro
versus profano; la lirica, la musica, il canto e la danza versus le arti
figurative e plastiche; l’arte versus la morale; il tragico versus il comico,
l’intuito versus la logica. Ancora l’apollineo è il sogno nel quale tutte le
forme assumono un’apparenza trovando così una compatibilità con la
realtà (il fenomeno), il dionisiaco è l’ebbrezza che coglie intuitivamente il
tratto sentimentale ed universale della natura.
Jean Pierre Vernant: la tragedia greca
Il ritorno della della coscienza tragica
L’uomo o la donna espressi dalla tragedia greca sono
“enigmatici”. Esitano tra due vie e poi si accorgono di
aver scelto una via diversa da quella del bene; i
protagonisti si sentono trascinato da un flusso che lo
trascende, percependo che le sue azioni non emanano
totalmente da lui, dalla sua volontà. (Jean-Pierre
Vernant). Il deus ex-machina rappresenta anche
questo

Intervista su RAI cultura sull’attualità del tragico


https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/J
ean-Pierre-Vernant-la-tragedia-greca-04701c91-
6a41-4c74-971b-8e9805f8c643.html
Eschilo
Morire gloriosamente è
meglio che salvarsi.
La Vita
Eschilo fu un tragico ateniese, figlio di Euforione, del demo di Eleusi.
Della vita sua, come di quella di ogni altra personalità letteraria del sec. V
a. C., sappiamo ben poco di sicuro. L'epigramma funebre, composto o da
lui stesso o subito dopo la sua morte, testimonia che egli aveva
combattuto valorosamente a Maratona (490): "Eschilo di Euforione
Ateniese questa tomba ricopre, defunto qui nella feconda Gela. Del suo
valore può dire la selva gloriosa di Maratona e quello che bene lo sa, il
Mido dalle lunghe chiome."
Qui suo fratello Cinegiro perse la vita a causa del colpo di una scure che
gli aveva amputato una mano, mentre tratteneva a riva una nave persiana.
Da passi delle sue tragedie conservate ricaviamo con sicurezza che egli
prese parte a spedizioni in Tracia: dunque fu a lungo soldato in guerra
contro i Persiani.
La Vita e le Opere
Nel 472 a.C., dopo il primo debutto dei Persiani, Eschilo venne invitato a Siracusa presso la
corte del tiranno Ierone, già meta di altri illustri lirici greci (come Pindaro e Simonide) a
rappresentare nuovamente la sua ultima tragedia. Eschilo porterà per primo a Siracusa il nuovo
linguaggio della tragedia. Durante il soggiorno siracusano, il poeta comporrà le Etnee, una
tragedia dedicata a Ierone.
In seguito tornò ad Atene, dove rappresentò l'Orestea, una trilogia formata dalle tragedie
Agamennone, Coefore, Le Eumenidi e seguita dal dramma satiresco Proteo, andato perduto, con
cui Eschilo vinse nel 458 a.C. le Grandi Dionisie. Delle trilogie di tutto il teatro greco classico, è
l'unica che sia sopravvissuta per intero.
Eschilo fu forse iniziato ai misteri eleusini, riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel
santuario di Demetra nell'antica città greca di Eleus,. come farebbe intendere Aristofane ne Le
rane, e secondo alcune leggende sarebbe stato persino processato per empietà (trascuratezza
della fede religiosa).
L'Orestea
L'Orestea è sicuramente una delle opere più celebri di
Eschilo. Le tragedie che la compongono rappresentano
un'unica storia suddivisa in tre episodi, le cui radici
affondano nella tradizione mitica dell'antica Grecia:
l'assassinio di Agamennone da parte della moglie
Clitennestra (Agamennone), la vendetta del loro figlio
Oreste che uccide la madre (Le Coefore), la persecuzione
del matricida da parte delle Erinni, le personificazioni
femminili della vendetta (le Furie in epoca romana), e la
sua assoluzione finale ad opera del tribunale
dell'Areopago (Le Eumenidi).
L'Orestea: L'Agamennone
La prima tragedia narra l'omicidio di Agamennone voluto dalla moglie
Clitennestra per vendicare il sacrificio della figlia Ifigenia, compiuto dallo
stesso Agamennone per placare l'ostilità di Artemide e partire per Troia
con i venti favorevoli. Al ritorno dalla Guerra di Troia, Agamennone viene
ucciso da suo cugino Egisto, complice e amante di Clitennestra. La prima
tragedia si apre con il monologo notturno di una guardia appostata per
avvistare il segnale di fuoco che annuncerà la caduta di Troia e l'imminente
ritorno di Agamennone. Quando il fuoco divampa, entra in scena un coro
di vecchi argivi, che rievoca antichi eventi compiuti da Agamennone ed
esprime funesti presentimenti. Agamennone, accompagnato dalla sua
concubina Cassandra, la quale possedeva il dono della profezia, sbarca a
Micene e la moglie Clitennestra lo accoglie con gioia simulata. Clitennestra
attira lo sposo nella reggia con onori degni di un dio, facendogli stendere
davanti ai piedi preziosi tappeti rossi.
Cassandra, poco prima di entrare nella reggia, lasciata
sola, evoca in una visione tutti gli orrori della stirpe
degli Atridi e predice il dramma che sta per compiersi
dentro la casa. Si avvia dunque rassegnata incontro al
proprio destino. Si ode a questo punto il grido di
Agamennone pugnalato a tradimento. Nella scena
successiva la porta del palazzo viene aperta e si vede il Successivamente compare Egisto.
suo cadavere disteso su un lenzuolo insanguinato, con Ai due complici si contrappone il
accanto quello di Cassandra. Sopra di loro Clitennestra coro che, inorridito dall'accaduto, si
brandisce un’arma gocciolante di sangue. scambia delle agitate battute. Il
battibecco è interrotto da
Clitennestra, calma e padrona della
situazione. Le sue parole finali
chiudono l’azione, annunciando che
nella reggia è tornato l’ordine.
L'Orestea: Le Coefore
Diversi anni dopo l'assassinio di Agamennone, Clitennestra
governa la città insieme ad Egisto. Tuttavia in seguito a
quanto accaduto con Agamennone, Oreste, suo figlio si è
allontanato da lei. Ormai adulto, egli torna in patria, insieme
a suo cugino Pilade, su ordine di Apollo per punire sua
madre e il suo complice. Innanzitutto, come simbolo di
vendetta, Oreste si taglia una ciocca di capelli e la ripone
sulla tomba del padre. Appare poi un corteo di donne vestite
di nero: sono le coefore che danno il titolo al dramma. Sono
donne portatrici di offerte, inviate dalla sovrana alla tomba di Agamennone per un sacrificio
propiziatorio che allontani da lei alcuni nefasti presagi. Le guida Elettra, sorella di Oreste,
costretta dalla madre a rimanere con lei, che presso la tomba del padre riconosce il fratello.
Decidono di collaborare per vendicare il defunto Agamennone e viene così preparato il piano di
vendetta.
Oreste si finge mercante e si introduce
nella reggia accompagnato da Pilade;
comunica alla regina la falsa notizia della
Pilade e
Oreste morte del figlio. Clitennestra fa subito
(dipinto di chiamare Egisto, che accorre disarmato
François ed è sopraffatto facilmente dai due. La
Bouchot)
stessa sorte tocca ora alla madre, che
invoca la pietà del figlio, cercando di far
leva sui legami ancestrali. Oreste ha un
attimo di esitazione ma Pilade lo
richiama al compito prefisso. Il figlio
Le Erinni
(o Furie)
allora uccide la madre nello stesso luogo
in cui era stato trucidato il padre.
Immediatamente dal terreno sorgono le
Erinni, che costringono Oreste a fuggire.
L'Orestea: Le Eumenidi
L’incessante fuga dalle Erinni porta Oreste al tempio di Apollo a
Delfi, dove il dio gli rinnova la promessa di aiuto. Lo affida
infatti ad Ermes e lo fa accompagnare ad Atene. Ad Atene
Oreste è raggiunto dalle Erinni che compiono intorno a lui una
danza terrificante. Atena, la dea protettrice della città, decide
allora di istituire il tribunale dell’Areopago. Ad esso le due parti,
le Erinni e Apollo, espongono le proprie ragioni; il verdetto
finale, grazie al voto determinante di Atena, è di assoluzione. La
rabbia delle Erinni è violentissima, ma è placata da Atena, che
assegna loro una sede sull’Acropoli e il compito di proteggere
Atene dai nemici interni ed esterni. Le Erinni, trasformate così
in Eumenidi (cioè «Benigne»), sono accompagnate da una
solenne processione di cittadini alla nuova dimora.
Oreste
Oreste delude le aspettative di eroe tragico. Il personaggio che appare
durante il corso della prima metà della tragedia è instabile, diviso tra
momenti di follia e lucidità che producono in lui un effetto di immane
sofferenza. La sua condizione di malato lo rende incapace di badare e se
stesso. Fondamentale per lui è infatti la presenza della sorella Elettra,
nella quale ripone una fiducia e una speranza quasi inverosimili. Un altro
sostegno indispensabile per Oreste è Pilade, verso il quale egli prova un
forte sentimento di amicizia che lo lega come ad un fratello. Con l'aiuto di
Pilade, Oreste riesce a superare i momenti di follia e a recuperare le forze.
Dopo la condanna, Oreste è provato al punto di rifiutare qualsiasi forma di
violenza, ma a poco a poco, convinto da Pilade, riesce a ritrovare la forza
per concludere ciò che aveva iniziato. Il personaggio evolve nel corso della
tragedia in modo graduale; l'Oreste che troviamo nella parte finale della
tragedia, è molto diverso rispetto a quello che appare all'inizio.
Euripide
Euripide
Biografia: Euripide era figlio di un proprietario terriero
e di una nobile. Si narra che sia nato il giorno della
battaglia di Salamina nel 480 a.C., ma una
testimonianza epigrafica colloca la sua nascita nel 485
a.C.. La morte lo colse alla corte di Archelao a Pella, in
Macedonia.
Fu un intellettuale fuori dagli schemi, non ricoprì
nessuna carica pubblica e subì un processo per
empietà. Visse in solitudine abbastanza isolato dalla
società
Fu il bersaglio preferito di Aristofane, commediografo
molto celebre.
Si narra che il giovane Euripide fallì nell’atletica che il
padre gli aveva fatto praticare e morì sbranato dai cani
( chiara punizione dell’ateo). Si narra che i fulmini
colpissero spesso il suo cenotafio
L’opera di Euripide
Di Eruipide ci sono giunte integre solo 19 opere (18 tragedie e 1 dramma satiresco):
Alcesti (438 a.C.); Medea (431 a.C.); Ippolito (428 a.C.); Gli Eraclidi (fra il 430 e il
427 a.C.); Andromaca (fra il 429 e il 425 a.C.); Ecuba (424 a.C.); Le Supplici (422
a.C.); Eracle (415 a.C.); Le Troiane (415 a.C.); Elettra (413 a.C.); Ifigenia in Tauride
(413 a.C.); Elena (412 a.C.); Ione (forse del 412 a.C.); Le Fenicie (fra il 411 e il 409
a.C.); Oreste (408 a.C.); Ifigenia in Aulide (405 a.C.); Le Baccanti (405 a.C.), il
Ciclope, l'unico dramma satiresco giuntoci integro e di datazione molto incerta, e il
Reso, una tragedia di scarso valore, scritta probabilmente da un imitatore nel IV
secolo a.C.

L’opera di Euripide
Euripide fu un innovatore radicale pur attenendosi allo schema
tradizionale. Euripide ha portato a perfezione molti elementi della
tragedia introducendo ogni volta novità e differenziando i
personaggi. Anche gli stessi eroi in tragedie diverse hanno un profilo
differente. Si può ipotizzare che Euripide volesse stupire lo
spettatore tenendo alta l’attenzione.
Per molti studiosi con Euripide si assiste alla crisi dell’eroe. Cade il
mito dei grandi prìncipi posti di fronte al proprio destino, con
passioni sovraumane. Nessuno di loro sacrifica la vita alla verità e
all’onore. Non ci sono più tiranni terrificanti, ma al limite antipatici,
avidi e sciocchi. Tanto che Aristofane accusa Euripide di aver vestito
di stracci i re.
Il mondo di Euripide rispecchia il fermento sociale in corso, in cui si
delineava il tramonto della poleis e non reggevano i vecchi idoli
L’eroe in Euripide
Ma se gli eroi maschili sono stati messi giù dal piedistallo,
Euripide innalza nel bene e nel male le figure femminili: sia
nella generosità che nella violenza. L’eroismo diventa una
caratteristica soprattutto femminile. Non è una qualità
innata, ma un gesto di un momento disperato o lucido che
sia.
Euripide crea figure femminili problematiche, sensibili e
tormentate che non trovano nella razionalità la soluzione
alla loro inquietudine.
Euripide avverte che la crisi sociale in atto coinvolge ancora
di più le donne relegate a una posizione subordinata
rispetto agli uomini. Le figure femminili gli permettono così
di dare voce alle spinte irrazionali e ai conflitti interiori
Euripide indaga il carattere dei suoi personaggi in
profondità e fornisce un’attenta analisi psicologica
Gli dei e il coro
Una caratteristica specifica di Euripide è il ricorso al «deus ex machina». Una
divinità appare a sigillare il dramma e a predire come si comporrà la vicenda.
Da una parte un congegno del genere poteva risvegliare in un gran finale
l’attenzione del pubblico, dall’altra la comparsa del dio risolutore sembra
dare un senso a ciò che è oscuro e ingovernabile. Infine il dio serviva per
fornire una causa al dramma e riportarlo all’interno di una celebrazione
comunque religiosa. Euripide resta comunque laico, gli dei appaiono crudeli
e capricciosi e compaiono su aggeggi artificiosi
Il coro in Euripide è per lo più fuori dal dramma e soprattutto nelle sue
ultime opere tende ad assumere una funzione lirico-musicale
I drammi di Euripide sono abbastanza semplici rispetto a quelli degli altri
tragediografi. Con lui entra nella tragedia il parlare corrente, le sue
similitudini e metafore sono chiare.
Euripide inseriva nelle sue tragedie elementi di propaganda politica facendo
riferimento a quello che avveniva nella sua epoca
Medea
Una delle figure più interessanti delle opere di Euripide è Medea.
Un personaggio tragico ripreso da molti autori anche moderno
come Pier Paolo Pasolini e che ritroviamo come personaggio
minore anche nellla «Circe» di Madeline Miller
In Medea le contraddizioni del personaggio principale e l’irrazionale
raggiungono il punto di massimo. Per questo viene considerata il
personaggio tragico per eccellenza, quello che arriva a compiere il
gesto contro natura più efferato: l’uccisione dei figli
Medea è una donna, è straniera, è di conseguenza priva di ogni
diritto. Euripide scrive uno dei primi discorsi «femministi» della
storia: «..Dicono anche che noi passiamo la vita in casa senza
correre pericoli, loro invece si battono con la lancia. È un’idea
idiota. Cento volte vorrei piantarmi in campo accanto al mio scudo,
piuttosto che affrontare un solo parto». Si comprende quanto
questo discorso possa essere rivoluzionario nell’Atene del 400 a.C.
Medea alle Dionisie
Medea è una tragedia di Euripide,
andata in scena per la prima volta ad
Atene, alle Grandi Dionisie del 431 a.C.
La tetralogia tragica di cui faceva parte
comprendeva anche le tragedie perdute
«Filottete» e «Ditti», ed il dramma
satiresco I mietitori. L'opera si classificò
soltanto al terzo posto, dietro un'opera
di Euforione (figlio di Eschilo) che vinse e
una di Sofocle, secondo classificato,
delle quali non consociamo i titoli
La trama
Dopo aver aiutato Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello
d’oro, Medea si trasferisce a Corinto insieme al marito Giasone e ai
due figli, abbandonando il padre per seguire l'amore. Dopo alcuni
anni però, Giasone decide di ripudiare Medea per sposare Glauce,
la figlia di Creonte, re di Corinto. In questo modo otterrebbe il
diritto di successione al trono.
Medea si lamenta col coro delle donne corinzie in modo disperato e
furioso, maledicendo la casa reale, tanto che Creonte, temendo al
sua vendetta, le ordina di lasciare la città. Tuttavia Medea nasconde
i propri sentimenti e resta ancora un giorno in modo da poter
attuare il suo piano. Medea in un accorato discorso rinfaccia a
Giasone tutta la sua ipocrisia e la mancanza di coraggio. L’eroe non
sa opporsi alla furia di Medea e porta a giustificazione solo banali
ragioni di convenienza.
La trama
Sconvolta dal comportamento del marito, la donna attua la sua
vendetta. Per prima cosa ottiene asilo dal re di Atene Egeo (ospite a
Corinto) la promessa di ospitarla nella sua città. La maga in cambio gli
farà avere un figlio con le sue arti magiche . La donna si finge quindi
rassegnata e manda in dono a Glauce una ghirlanda e una veste
avvelenata. La figlia di Creonte, indossati i doni, muore tra atroci
dolori bruciata da un rivolo di fuoco che si propaga dalla ghirlanda e
scarnificata dalla veste stessa; la stessa sorte tocca a Creonte, accorso
per aiutarla. Tale scena viene raccontata da un messaggero.
A questo punto Giasone comprende che la donna è fuori controllo e
accorre per salvare i figli, ma Medea appare sul carro alato del dio
Sole (un vero e proprio macchinario «Machina») mostrando i cadaveri
dei figli che ella stessa, seppur straziata nel cuore, ha ucciso, privando
così Giasone di una discendenza. Alla fine la donna vola verso Atene,
lasciando il marito a maledirla, distrutto dal dolore.
La figura di Medea
La figura di Medea domina tutto il dramma, gli dei hanno un ruolo minore e il dramma è interamente un
dramma umano.
Euripide lavora mettendo in luce gli stati d’animo della donna, la passione, la rabbia, ma anche i dubbi,
l’esitazione e il dolore. Medea è una donna vittima della passione resa debole e forte allo stesso tempo
dalla passione. Medea riassume in sé, in un solo personaggio, tutta la conflittualità del tragico «perché
esitiamo a compiere questa enormità spaventosa e inevitabile? Via, o mia mano sciagurata, prendi la
spada, prendila, muovi verso la soglia di una vita di dolore, e non diventare vile…»
Medea esita, ma sa che è una scelta inevitabile, anche se le ripugna
Sicuramente resta una delle figure più affascinanti, complesse, enigmatiche della tragedia greca. Resta
sospesa tra razionalità ed emotività e in questo è estremamente umana, pur compiendo alla fine un
gesto «enorme» non può dirsi «eroica»
Euripide in Medea concretizza pienamente la caduta dell’ «eroe classico», rendendo pienamente umana
la protagonista della tragedia e lasciandola completamente sola, abbandonata anche dagli dei
Sofocle
Non fare nulla di nascosto; poiché il
tempo vede e ode ogni cosa, e tutto svela.
La Vita
Nato nel 497 a.C. da famiglia abbiente nel demo attico di Colono,
Sofocle vive l’intero periodo che va dalla guerra persiana a quella
peloponnesiaca. Ideologicamente vicino a Pericle, partecipa
attivamente alla vita politica ateniese, ricoprendo incarichi importanti,
civili e militari. Muore all'età di novant'anni nella sua amata Atene.
La sua carriera di autore tragico è coronata dal successo: a 27 anni
conquista il suo primo trionfo gareggiando con Eschilo. Plutarco, nella
Vita di Cimone, racconta il primo trionfo del giovane talentuoso Sofocle
contro il celebre e fino a quel momento incontrastato Eschilo,
conclusasi in modo insolito senza il consueto sorteggio degli arbitri:
Eschilo, in seguito a questa sconfitta, sceglie il volontario esilio in
Sicilia. In tutto Sofocle conquista 24 vittorie, arrivando secondo in tutte
le altre occasioni.
L'Antigone
L’Antigone (442 a.C.) è il dramma della figlia di Edipo uccisa per volere di Creonte per avere
infranto il divieto di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice. Per la trasgressione,
Antigone è murata viva in una caverna, dove si uccide insieme con il suo promesso sposo Emone,
figlio di Creonte.
La tragedia oppone due trasgressioni: quella di Antigone, la quale viola le leggi dello stato,
rappresentate dal divieto di Creonte, e quella di quest'ultimo, che non concede alla donna il
diritto di poter dire addio a suo fratello seppellendolo, bensì ordinando di gettare il suo corpo agli
animali come preda. Disobbedendo, viene arrestata, ma non mostra pentimento del proprio
gesto, anzi si oppone fieramente a Creonte e al suo empio bando, motivo per cui viene
condannata a morte.
Emone, figlio di Creonte e promesso sposo della fanciulla, tenta di far recedere il padre da
quanto stabilito nel suo editto, ma invano. Risulta inutile anche l'intervento dell'indovino Tiresia.
Infine, il coro riesce a convincere il re, ma troppo tardi. Infatti, egli si reca nella caverna dove la
ragazza è rinchiusa e trova che ha anticipato la morte per fame, impiccandosi.
L'Antigone-Analisi
L’Antigone pone in primo piano il contrasto tra Antigone e
Creonte, tra legge naturale e legge umana, tra re e suddito, fra
potere politico e cittadino, tra famiglia e stato.
Il comportamento di Antigone, che decide di violare le leggi
umane in nome delle leggi del sangue, più antiche e sacre di
quelle scritte, mette in discussione l’autorità di Creonte.
Antigone è un personaggio dalla grande forza d’animo, dovuta alle
sue esperienze di vita: Antigone ha visto morire i suoi fratelli, sua
unica speranza, e per questo motivo non riesce ad accettare le
regole di un mondo fatto dagli uomini. Inoltre si può affermare
che Antigone è un personaggio moderno, sotto vari punti di vista,
mentre Creonte, che in greco significa potenza, è il simbolo
dell'arroganza.
La Commedia
La parola “comico” ha in italiano due significati:
“ proprio della commedia” e “che fa ridere”. Il secondo
La Commedia Greca
significato deriva dal primo e si spiega etimologicamente
La commedia mette in scena avvenimenti che
con il fatto che nell’antichità greca e romana il genere
hanno come protagonisti persone comuni
della commedia era caratterizzato dall’intenzione e dalla
(piccoli
funzione di divertire il pubblico degli spettatori
proprietari terrieri, mercanti, artigiani, soldati
suscitandone il riso. La commedia era collegata con
mercenari, schiavi, cortigiane ) alle prese con
feste e riti religiosi, e si presentava come uno spettacolo
difficoltà che turbano la loro vita quotidiana e
misto di poesia, musica, canto e danza, eseguito da
che riescono a risolvere con le loro capacità e
attori che portavano la maschera. Poiché la commedia
con l’aiuto della sorte gli ostacoli ai quali vanno
si proponeva di divertire e rallegrare il pubblico, essa
incontro, e il loro modo di agire o di parlare, le
prevedeva sempre lo scioglimento felice del nodo
situazioni in cui si ritrovano suscitano il riso o il
drammatico, il superamento degli ostacoli e delle
sorriso.
difficoltà nel lieto fine (la tragedia ,invece, rappresenta
La risata è, quindi, l’elemento trainante della
azioni gravi, dolorose, spesso luttuose con esito
commedia, è il simbolo della complicità tra
funesto).
pubblico e attore.
La commedia è tra i generi teatrali più importanti dell’antica Grecia, anche se più recente della
tragedia. l’origine è poco conosciuta: Aristotele la lega ai canti che accompagnavano
abitualmente le processioni dionisiache. Epicarmo può essere considerato il primo autore
comico, ma la commedia greca è conosciuta
grazie alle opere del greco Aristofane. Vissuto ad Atene nel V secolo a.C., Aristofane scrisse
commedie in cui rappresentava personaggi comuni alle prese con situazioni difficili: un
contadino che vuole starsene in pace e si dissocia dalle decisioni della sua città, un pover’uomo
che vorrebbe impedire a suo figlio di
dilapidare il patrimonio familiare, due abitanti di Atene che ne hanno abbastanza della
situazione della città e decidono di andarsene a vivere insieme agli uccelli, sulle nuvole… I
personaggi, le situazioni, le vicende, il linguaggio: tutto nelle commedie di Aristofane è frutto di
una fantasia sfrenata, dietro la quale però c’è la realtà. Aristofane rappresentava in ogni sua
opera la situazione di Atene, stremata da anni di guerra contro Sparta; denunciava gli uomini
politici che pensavano più ai propri interessi che al benessere della città e prolungavano quella
guerra terribile. Insomma, dietro la fantasia , le battute incalzanti a volte violente, il riso del
pubblico, c’era una riflessione seria su Atene, la sua vicenda politica, il suo futuro. Di Aristofane
sono giunte fino a noi ben 11 commedie complete.
Le Fasi della Commedia
Le principali fasi della commedia greca sono tre:Commedia
antica; Commedia di mezzo; Commedia nuova. La
commedia antica è la prima fase della commedia attica e
nasce inizialmente come scaccia sfortuna. A differenza della
tragedia che trattava del mito, la commedia ha una maggiore
vitalità prendendo spunto da argomenti di vita quotidiana. Il
maggior esponente della commedia antica è, appunto,
Aristofane, commediografo dell’utopia e della dissacrazione
delle istituzioni. I contenuti sono politici e durante la
parabasi gli attori tolgono i costumi per conversare e
dialogare con gli spettatori, cercando un coinvolgimento.
Nella commedia antica accanto ai personaggi immaginari,
venivano messi in scena e sbeffeggiati, politici o uomini in
vista della società.
La Commedia di mezzo o commedia mese è quella che si situa tra la
commedia antica e quella nuova. Non ci sono opere complete, ma ci
restano frammenti delle opere di Antifane che ne è il maggior esponente.
La principale caratteristica della mese è la messa in pratica dei cambi
scenici e la diminuzione dell’importanza delle parti liriche, i cori, durante lo
svolgimento. Dal punto di vista testuale viene data grande importanza alla
vita quotidiana. I personaggi reali scompaiono, e vengono sostituiti da
personaggi, quasi maschere. La parodia è una caratteristica molto comune
nella commedia di mezzo spesso vengono inscenate parodie di episodi
mitologici famosi. La Commedia nuova è l’ultima fase della commedia
attica. È una commedia che riflette la mutazione politica e sociale in corso.
Atene, infatti, come tutte le altre città greche, perse la propria
indipendenza e divenne parte del territorio controllato dal regno di
Macedonia. Non aveva più senso parlare ai cittadini ateniesi di politica, di
pace o di guerra: le sorti della città non erano più nelle loro mani Agli
spettatori interessava molto di più tutto ciò che riguardava la vita di ogni
individuo: i sentimenti come l’amore, o i rapporti familiari, l’educazione dei
figli…
Sono questi, infatti gli argomenti che trattarono i commediografi della
commedia nuova, tra i quali ricordiamo Menandro, nato e vissuto ad
Atene nel IV secolo a.C. Nelle sue commedie sono rappresentate le
vicende di personaggi comuni alle prese con i problemi della
quotidianità: un vecchio burbero che ha pessimi rapporti con tutti,
compresi i suoi familiari, una donna che rischia il suo amore pur di
aiutare un bimbo in difficoltà, un uomo che soffre perché si crede
tradito da sua moglie… Noi tutti potremmo, guardandoli, riconoscere
un po’ di noi stessi: Menandro metteva in
scena la vita dell’uomo comune con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. I
suoi personaggi riproducono fedelmente dei “tipi “che diventeranno
nei secoli uno schema classico, ripresi poi anche da Plauto e Terenzio
i più grandi commediografi latini.
CRATINO (Κρατῖνος, Cratīnus)

Cratino fu il creatore della commedia satirica politica in Atene. Conosciamo con qualche
sicurezza la data della sua morte, 423-421; e da un luogo di Luciano apprendiamo che morì
molto vecchio. Potremo quindi fissare la sua nascita intorno al 500. Di lui non è rimasta alcuna
commedia completa; ma i frammenti che possediamo (di 24 commedie) confermano le lodi
unanimi degli antichi, i quali salutavano in lui il più spontaneo, il più geniale e ispirato dei poeti
comici. Una metà di queste commedie svolgeva soggetti mitici: tale il Dionisalessandro, che
intrecciava buffamente le gesta del dio a quelle di Paride troiano; tale anche l'Ulisse, di cui
possiamo alla meglio riordire la tela, sulla traccia dei frammenti e aiutandoci col Ciclope di
Euripide, che per molti particolari accenna a una larga derivazione dalla commedia di Cratino.

Ma la più famosa commedia di Cratino fu La Damigiana (Πυτίνη); e, grazie a uno scritto di


Luciano, ne conosciamo abbastanza bene il contenuto e la storia. Cratino era più che ardente
cultore di Bacco; e gli altri commediografi lo canzonavano, affermando che i suoi ultimi lavori
d'altro non sapevano se non di mosto. Punto sul vivo, il canuto artista scrisse La Damigiana, e
con essa trionfò nella gara sui suoi competitori, uno dei quali era pure Aristofane.

Commedia, sposa legittima di Cratino, sdegnata che il poeta la trascuri per una
donnetta di nessun conto, Damigiana, pensa al divorzio, ed espone le sue
ragioni ad alcuni amici comuni. Uno di essi prende le difese dell'assente: si sa,
per un artista ci vuole anche qualche po' di svago; ma troverà sempre tempo
per curare la sposa legittima. Ma Commedia risponde che ormai per lei è
proprio come fosse vedova. Gli amici rampognano acerbamente il vecchio: per
quel maledetto bere (usciamo di metafora) egli non è più il poeta di una volta.
Ma Cratino risponde, con un verso divenuto famoso, che "chi beve acqua non
farà mai nulla di buono". E, dubitando ancora gli amici, si abbandona all'estro;
e così impetuosi gli sgorgano i versi dalle labbra, che gli amici rimangono
entusiasti e sbalorditi, e, certo, confutati e convinti.

La scarsità del materiale ci impedisce di formulare esatte conclusioni sull'arte di Cratino:


qualche punto, però, sembra che si possa fissarlo. La beffa aggressiva (σκῶμμα), che è tanta
parte della commedia antica, e che in Aristofane, per lo più, si riveste d'immagini e di simboli
ingegnosi, in Cratino appare diretta, nuda, rozza, indica senza veli metaforici la persona presa
di mira, la colpa che le si imputa, il biasimo che le si infligge; fa pensare all'aceto italico più che
non al sale attico. Ma l'acre bile non ottunde in lui né il fine sentimento della bellezza, né la
facoltà e la passione di esprimere con immagini colorite, con musiche parole. Perfino si
compiace di minute descrizioni floreali, accarezzate, di sapore quasi romantico. E palese è la
predilezione per gli spunti lirici suscettibili di sviluppi coloriti e musicali, e per leggende
popolari, tanto trascurate al suo tempo dalla grande letteratura: quella, per esempio, del paese
di Bengodi, a cui era dedicata tutta una sua commedia, Le ricchezze (Πλοῦτοι).
Èupoli
Poeta ateniese della Commedia antica,
rivale, di poco più anziano, di Aristofane e
di Cratino; morì per naufragio, sembra, nel
411 a. C. Compose 14 drammi e vinse 7
volte nei concorsi drammatici; nel 421
vinse con gli Adulatori, in gara con la Pace
di Aristofane. Conosciamo i titoli delle
commedie, tra cui Autolico (di cui abbiamo
frammenti in due redazioni), le Capre, le
Città. Trattava a preferenza argomenti
politici e letterarî e attaccava uomini
politici (Iperbolo nel Maricante, Alcibiade
nei Battezzatori, Cleone nella Stirpe d'oro).
Nei Demi, del 412, la sua commedia più
famosa, Mironide, Solone, Milziade,
Aristide, Pericle tornavano dall'Ade a
consigliare il popolo ateniese, e i demi,
personificati nel coro, rimpiangevano la
semplicità e la gloria antica.
Aristofane
Preziosi sono i riferimenti che Aristofane fece a se stesso nelle sue commedie;
sappiamo che nacque tra il 444 e il 441 a.C. ad Atene, mentre incerta è la data
della morte, forse attorno al 388 a.C.
Nelle sue commedie si rispecchia la realtà storica dell’Atene contemporanea,
caratterizzata dal declino politico-militare della polis, di cui Aristofane fu un
osservatore appassionato e sofferto, non cessando di attaccare nelle sue
commedie quanti riteneva responsabili della corruzione morale e del degrado
politico.
Solo di questo commediografo possediamo commedie complete; gli alessandrini
conoscevano sotto il suo nome 44 commedie, quattro delle quali erano però per
loro non autentiche. Sono stati, comunque, tramandati 46 titoli, di cui ci sono
pervenute 11 commedie: Acarnesi, Cavalieri, Nuvole, Vespe, Pace, Uccelli,
Donne alle Tesmoforie, Lisistrata, Rane, Donne all’assemblea, Pluto.
Aristofane si presenta come radicale riformatore della commedia, indicando di
voler dare nuova dignità artistica alla commedia con l’astensione da facili beffe,
da volgarità fine a se stesse e da comicità farsesche e banali. La sua versatilità si
riflette nella ricchezza dei temi trattati, infatti le sue commedie non sono mai
monotematiche; alcune presentano temi politici o sociali, mentre altre discutono
di problemi culturali di più ampio respiro, soprattutto filosofici e letterari, altre
ancora sono di tipo fiabesco o utopistico, mentre altre presentano parodie di miti
e tragedie. In realtà alcune scene e certi meccanismi teatrali sono ricorrenti,
anche se nelle singole commedie acquistano significati diversi e assolvono a
funzioni ogni volta nuove; un esempio è il caso del banchetto o del
travestimento.
In generale le commedie di Aristofane hanno uno schema comune: il
protagonista, messo a confronto con un ambiente ostile, riesce a modellarlo
secondo i suoi progetti; le vicende della seconda parte illustrano le
conseguenze, spesso paradossali, che derivano dalla novità. Per la maggior
parte, le sue commedie ruotano intorno ad un unico protagonista che, in
corrispondenza con l’eroe tragico della tragedia, è stato definito “eroe
comico”. Le commedie si sviluppano sulle sue peripezie, volte a realizzare un
piano che modifichi la realtà a suo vantaggio o a vantaggio della collettività; in
alcuni casi l’eroe si trova di fronte un antagonista, in altri c’è solo un aiutante.
Nel suo tentativo l’eroe comico si trova in una condizione di isolamento e si
espone all’incomprensione degli altri

Nelle commedie di Aristofane c’è una progressiva devitalizzazione del coro fino alla sua quasi
completa perdita di funzione drammaturgica. Progressivamente abbandonata è anche la
parabasi.
Il modello privilegiato per la parodia era il contemporaneo teatro tragico che, con la sua
solennità, si prestava a esilaranti rovesciamenti comici, sia per singoli versi sia per intere scene.
La rappresentazione realistica, soprattutto quella degli oggetti della cultura materiale, è lo
strumento privilegiato per mostrare l’assurdità di certe situazioni e volgerle al ridicolo. Inoltre,
la commedia appare come il luogo privilegiato per l’abolizione delle norme del decoro e per la
realizzazione di ogni licenza fino alla volgarità, retaggio di antichi culti agrari che sarebbero
all’origine della commedia stessa. Uno degli strumenti più efficaci e frequenti della comicità di
Aristofane sta nella commistione tra realtà e metafora, per cui un’immagine metaforica viene
tradotta in termini realistici, con l’esito paradossale che ne consegue.
Il registro di fonde della lingua utilizzata da Aristofane è il sermo urbanus, per cui abbondano i
modi di dire d’uso comune e volgari doppi sensi di derivazione popolare.

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