Sei sulla pagina 1di 8

Edoardo Gallina 4°ACL Italiano

Dante Alighieri - Purgatorio: Canto XXVII


Link utili:
https://it.wikipedia.org/wiki/Purgatorio_-_Canto_ventisettesimo
https://divinacommedia.weebly.com/purgatorio-canto-xxvii.html
http://www.danteverona.it/download/Bragaja_Purg_XXVII.pdf
Analisi:
Presentazione del canto (collocazione nel percorso del Purgatorio, peccato incontrato,
personaggi incontrati e loro significato per Dante e/o simbolico) e breve riassunto della
vicenda:
● Collocazione nel percorso del Purgatorio e peccato incontrato
○ È la notte tra martedì 12 aprile e mercoledì 13 aprile del 1300
○ Ancora nella VII Cornice dei lussuriosi (come nei Canti XXV e XXVI,
camminano in una cortina di fiamme che fuoriesce dalla parete rocciosa del
monte e avvolge tutta la Cornice, lasciando libero solo l'orlo estremo)
■ Fuoco = elemento che purifica, che toglie le colpe. In questo canto ci
sono i lussuriosi ––> la tendenza alla lussuria è spenta con il fuoco. Il
fuoco, però, acquista un significato più ampio ––> non è solamente
punizione e purgazione, ma è anche purificazione dell’anima in tutti i
sensi. Se all’inizio del purgatorio c’è la cerimonia del giunco con
l’umiliazione, ora il passaggio successivo è l’attraversamento del muro
di fuoco.
● Personaggi incontrati e loro significato per Dante e/o simbolico
○ Virgilio
■ Virgilio è definito da Dante suo maestro e modello (Inf., I, 85-87)
■ Oltre a ciò Virgilio aveva fama anche di essere un saggio e sapiente
filosofo, il che spiega perché Dante scelga proprio lui come sua guida
per i due terzi del viaggio allegorico
■ Dante si rivolge quasi sempre a Virgilio con gli appellativi maestro,
duca (cioè «guida») e tra i due si crea nel corso delle prime due
Cantiche un rapporto assai stretto, non solo di maestro-discepolo ma
addirittura di padre-figlio
○ Stazio
■ Attraverso questo personaggio Dante svolge un ampio discorso intorno
alla poesia e alla sua altissima funzione, civile e spirituale: Stazio è
divenuto poeta grazie all'esempio di Virgilio, leggendo le sue opere si è
dapprima pentito dei suoi peccati e in seguito convertito al
Cristianesimo, quindi la poesia è stata per lui fonte di salvezza
■ Il poeta latino diventa l'ennesimo esempio dell'imperscrutabile
giustizia divina, che presenta altri casi di salvezza inaspettata o
scandalosa (come Catone Uticense)
○ Lia
■ Personaggio dell'Antico Testamento (Genesi, 29-30 e ss.), figlia di
Labano e prima moglie del patriarca Giacobbe. Non bella ma feconda,
a differenza della sorella Rachele, fu interpretata nella tradizione
esegetica della Bibbia come allegoria della vita attiva in opposizione
alla sorella, simbolo della vita contemplativa
■ È evidente, come si vedrà, che anche per Dante Lia è simbolo della
vita attiva. Ad alcuni studiosi è sembrato esserci un legame anche tra
Rachele e Beatrice, specie per il particolare dei belli occhi comune a
entrambe le donne, ma è improbabile che la donna amata da Dante
abbia il senso allegorico della vita contemplativa (Beatrice è allegoria
della grazia santificante e della teologia)
■ Da rilevare, infine, che Dante descrive Lia come giovane e bella,
mentre secondo il testo biblico essa era liippis... oculis («dagli occhi
malati», Gen., XXIX, 17). Non è chiaro perché il poeta operi questa
trasformazione
○ Angelo della castità
■ Ultimo angelo delle beatitudini, lieto, come serena promessa della
felicità ormai vicina
■ Canta Beati mundo corde!, cioè “Beati i puri di cuore, perché vedranno
Dio” (Matth. 5, 8): è la sesta delle beatitudini di Matteo, che
corrisponde questa volta senza alcuno sforzo al peccato della cornice.
Davanti alla fiamma, questo vivo canto si leva nel tramonto con
intensa bellezza, portato da una terzina di alta musicalità
■ Dà indicazioni e suggerimenti ai penitenti: bisogna attraversare la
fiamma (che attraversa tutta la cornice) per raggiungere la scala aperta
nella parete. Questo fuoco, pena dei lussuriosi, appare così anche
figura del biblico fuoco che impediva l’accesso all’Eden. Riguardo ai
consigli, egli vuol confortare, suggerendo di ascoltare le parole di
felicità che si pronunciano dall’altra parte del fuoco
■ Dichiara beati i puri di cuore, prima di cancellare la settima e ultima P
dalla fronte del poeta
L'angelo della castità (1-15)
Il sole è ormai al tramonto sul Purgatorio, mentre è l'alba a Gerusalemme, è mezzogiorno sul
Gange e la Spagna è sotto la costellazione della Bilancia. Ai tre poeti appare l'angelo della
castità, fuori dalla cortina di fiamme, che canta la sesta beatitudine Beati mundo corde! e
invita i tre poeti ad attraversare il fuoco, poiché questa è l'unica via per lasciare la VII
Cornice. L'angelo invita a non essere sordi al canto dell'angelo che sta dall'altra parte, mentre
Dante a quelle parole è raggelato dal terrore.
Paura ed esitazione di Dante (16-45)
Dante guarda atterrito il fuoco ed è atterrito all'idea di dover attraversare le fiamme. Virgilio
gli ricorda che in Purgatorio nessuna pena può causare la morte. Gli rammenta inoltre di
averlo condotto sano e salvo sulla groppa di Gerione, all'Inferno, quindi come potrebbe non
fare lo stesso quando è così vicino a Dio? Il fuoco non può nuocergli e se Dante non crede
alle sue parole, ne faccia lui stesso la prova avvicinando alla fiamma un lembo della sua
veste. Tuttavia, Dante non si persuade ad attraversare il fuoco, così al maestro non resta che
ricordargli che quelle fiamme sono l'ultimo ostacolo che lo separano da Beatrice. Dante si
rianima come fece Piramo quando, ormai morente, udì il nome di Tisbe, e segue il maestro
nel fuoco.
Passaggio attraverso il fuoco (46-63)
Il fuoco è così caldo che Dante, per rinfrescarsi, potrebbe persino gettarsi dentro del vetro
incandescente; Virgilio, per confortarlo, durante il passaggio gli parla di Beatrice, dicendo
che gli sembra già di vedere i suoi begli occhi al di là delle fiamme. A guidare i tre poeti è la
voce di un angelo che sta dall'altra parte, seguendo la quale essi escono dalla cortina di fuoco:
una volta lì, l'angelo dice Venite, benedicti Patris mei! e splende con tale fulgore che Dante
non riesce a vederlo.
Inizio della salita e sosta al calar della notte (64-93)
I tre poeti iniziano a salire la scala che conduce al Paradiso Terrestre, scavata entro la roccia e
rivolta verso oriente, così che Dante si accorge di proiettare la propria ombra davanti a sé
mentre sale. Essi hanno il tempo di percorrere pochi gradini prima che il sole tramonti del
tutto. A questo punto ciascuno di loro si sdraia su un gradino, poiché la legge della salita gli
ha tolto ogni forza per procedere ancora più in alto. Dante paragona se stesso a una capra che
durante il giorno ha pascolato libera sulle montagne e in seguito rumina placida all'ombra,
mentre il sole picchia, sorvegliata dal pastore, e le sue due guide al mandriano che di notte
sorveglia le sue bestie e le protegge dalle fiere selvagge. Dante, alla fine, vinto dalla
stanchezza, si addormenta.
Il sogno di Dante: Lia (94-114)
Nell'ora in cui sul Purgatorio appare la stella di Venere mattutina, quindi in prossimità
dell'alba quando i sogni sono veritieri, Dante sogna una donna giovane e bella che vaga in
una pianura, intenta a cantare e a cogliere fiori: essa dichiara di chiamarsi Lia e di voler
produrre per sé una ghirlanda. La giovane aggiunge che è sua intenzione farsi bella per
ammirarsi allo specchio, mentre sua sorella Rachele non si stanca mai di guardare la propria
immagine riflessa e sta tutto il giorno seduta. La sorella, dice Lia, è desiderosa di ammirare i
propri begli occhi quanto lo è lei di operare. La luce dell'alba fa svegliare Dante, che si alza e
vede che Virgilio e Stazio sono già in piedi.
Salita al Paradiso Terrestre e discorso di Virgilio (115-142)
Virgilio si rivolge a Dante e gli dice che oggi potrà ottenere la felicità terrena. Le parole del
maestro riempiono Dante di gioia e volontà, quindi percorre gli ultimi gradini della scala
dietro agli altri due quasi correndo, come se volasse verso l'alto. Quando i tre sono giunti alla
fine della scala, Virgilio si rivolge nuovamente al discepolo e con tono solenne gli spiega di
avergli ormai mostrato sia le pene eterne dei dannati sia quelle temporanee dei penitenti, e di
averlo condotto in un punto da dove lui, con le sue sole forze, non può vedere oltre. Virgilio
lo ha portato fin lì con ingegno e con arte, per cui Dante può ormai seguire il proprio piacere:
egli è fuori dalle strette vie della redenzione e vede di fronte a sé il sole che gli brilla in
fronte, vede l'erba, i fiori e le piante del giardino dell'Eden che la terra produce
spontaneamente. Il maestro invita Dante ad entrare liberamente nel Paradiso Terrestre,
nell'attesa dell'arrivo di Beatrice che lo aveva spinto a soccorrerlo: Dante non deve più
attendere le sue indicazioni, poiché il suo arbitrio è finalmente sano e sarebbe un errore non
affidarsi ad esso, quindi Virgilio lo incorona come signore di se stesso.
Scelta di alcune terzine significative (12/47) da analizzare puntualmente e commentare
(temi, lessico, stile, figure retoriche, personaggi incontrati…):
Incitamento di Virgilio (vv. 34-45 = 4 terzine)
Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: «Or vedi, figlio:
tra Beatrice e te è questo muro». 36

Come al nome di Tisbe aperse il ciglio


Piramo in su la morte, e riguardolla,
allor che ‘l gelso diventò vermiglio; 39

così, la mia durezza fatta solla,


mi volsi al savio duca, udendo il nome
che ne la mente sempre mi rampolla. 42

Ond’ei crollò la fronte e disse: «Come!


volenci star di qua?»; indi sorrise
come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. 45
Parafrasi: Quando mi vide continuare a stare fermo e ostinato, un poco turbato disse: “Vedi,
figlio mio: questo muro ti separa da Beatrice”. Come al sentire il nome di Tisbe Piramo aprì
gli occhi in punti di morte, e la guardò, quella volta che il gelso diventò rosso (di sangue);
così, ammorbidita la mia durezza, mi rivolsi verso la mia saggia guida, sentendo pronunciare
quel nome che sempre fiorisce tra i miei pensieri. Allora egli tentennò il capo, e disse:
“Come! Vogliamo dunque restarcene di qua?”; poi sorrise, come si fa con un bambino che
cede all’offerta di un frutto.
Figure retoriche:
- vv. 37-39 e v. 45: similitudine
- v. 37: metonimia (ciglio per occhi)
Temi:
- Il grande mito dell’amore umano, che la favola di Piramo e Tisbe raffigurava nel
modo più alto e commovente, interviene qui, con forza e dolcezza, a significare
l’improvviso mutarsi, il cedere dell’animo di Dante. La storia è in Ovidio, Met. IV
55-166: Piramo e Tisbe, due giovani babilonesi, contrastati nel loro amore dalle
rispettive famiglie, decisero di fuggire insieme e si dettero appuntamento presso un
gelso fuori città; ma Tisbe, giunta per prima, fu messa in fuga da una leonessa, e
lasciò cadere il velo che la belva lacerò e macchiò col suo muso insanguinato. A
quella vista Piramo, sopraggiunto poco dopo, credette Tisbe morta e si uccise con la
propria spada. Tisbe, tornata presso il gelso, lo vide a terra e lo chiamò piangendo,
scongiurandolo di aprire gli occhi e guardarla, e ripetendo il proprio nome: “È la tua
carissima Tisbe che ti chiama” (ibid. 143-4). A quel nome Piramo aprì gli occhi già
gravati dalla morte, la vide e la riconobbe: “Al nome di Tisbe Piramo levò gli occhi su
cui già gravava la morte, e come l’ebbe vista li richiuse” (ibid. 145-6). Tisbe, vistolo
ormai morto, si uccise a sua volta accanto a lui. Il sangue di Piramo bagnò le radici
dell’albero, e da quel giorno i frutti del gelso si mutarono di bianchi in vermigli.
- La paura di Dante è quella del personaggio umano, con le sue debolezze e fragilità,
per vincere le quali sarà necessario ricordargli che, se vuole rivedere Beatrice che lo
attende dall'altra parte, deve buttarsi nel fuoco. Il richiamo a Beatrice significa anche
che per completare il percorso di redenzione e conquistare la felicità terrena
rappresentata dall'Eden è indispensabile l'intervento della grazia, che è raffigurata da
Beatrice e a cui Dante è guidato da Virgilio-ragione.
Tramonto e sogno di Dante (vv. 100-108 = 3 terzine)
«Sappia qualunque il mio nome dimanda
ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda. 102

Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;


ma mia suora Rachel mai non si smaga
dal suo miraglio, e siede tutto giorno. 105

Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga


com’io de l’addornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me l’ovrare appaga». 108
Parafrasi: “Chiunque domanda il mio nome, sappia che io sono Lia, e sto muovendo le mie
belle mani per farmi una ghirlanda. Mi adorno così per piacermi allo specchio; mentre mia
sorella Rachele non si distoglie mai dallo specchio, e vi siede davanti tutto il giorno. Ella è
desiderosa di contemplare i suoi begli occhi, come io lo sono di adornarmi con le mie mani;
lei è appagata dal guardare, io dall’operare”.
Figure retoriche:
- v. 108: parallelismo (A soggetto - B verbo sostantivato - A soggetto - B verbo
sostantivato)
Temi:
- Sogno = in età medievale è importante ––> nei sogni ci sono sia profezie sia
significati. Nel sogno vede una bella donna, una donna che va per la campagna, canta
e raccoglie i fiori, ella si presenta come Lia.
- Si narra nella Bibbia che Giacobbe servì Labano per sette anni per averne in moglie la
figlia Lia; ed altri sette per ottenerne la sorella Rachele (Gen. 29, 16 sgg.). La prima
non era bella, ma feconda; la seconda bellissima ma sterile. L’esegesi tradizionale
vedeva nelle due mogli il simbolo delle due vite, attiva e contemplativa, proprie
dell’uomo (Giacobbe rappresenta infatti tutta l’umanità); delle due vite Dante ragiona
in Conv. IV, XVII 9 sgg.: “Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita
due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano:
l’una è la vita attiva, e l’altra la contemplativa…”. La vita attiva giunge a Dio per via
mediata, dirigendo la propria attenzione - d’intelletto e d’amore - alle attività di
questo mondo; l’altra tende direttamente a Dio, sempre con intelletto e amore,
attraverso la contemplazione.
- Lo specchio rappresenta la stessa anima dell’uomo, il miglior luogo, secondo
Riccardo di San Vittore, dove la creatura razionale può vedere Dio: “L’anima
razionale trova senza alcun dubbio in se stessa in precipuo e principale specchio per
vedere Dio” (Benjamin Maior, PL 196, col. 51). L’opera di Riccardo (grande teologo
e mistico del XII secolo), familiare a Dante e citata nell’Epistola a Cangrande, si
riallaccia al pensiero centrale di Agostino, che fa dell’anima umana il luogo
privilegiato della presenza del divino. Quest’idea, sempre presente nel pensiero
dantesco, è all’origine di tutta la figurazione di Rachele nei versi seguenti.
Salita all’Eden e congedo di Virgilio (vv. 127-142 = 5 terzine)
e disse: «Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
dov’io per me più oltre non discerno. 129

Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;


lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. 132

Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;


vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce. 135

Mentre che vegnan lieti li occhi belli


che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli. 138

Non aspettar mio dir più né mio cenno;


libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:

per ch’io te sovra te corono e mitrio». 142


Parafrasi: e disse: “Figlio mio, hai visto il fuoco limitato nel tempo (il purgatorio) e quello
eterno (l’inferno); e sei ora giunto in un luogo dove io, con le mie forze, non posso vedere più
oltre. Ti ho portato fin qui con il mio ingegno e con la mia abilità; prendi adesso per guida la
tua volontà; sei fuori ormai dalle vie ripide e strette. Guarda il sole che risplende sulla tua
fronte; guarda l’erba, i fiori, i cespugli che qui la terra produce spontaneamente. Fino a
quando arriveranno lieti i begli occhi che, lacrimando, mi fecero venire da te, puoi sedere, e
puoi camminare fra queste piante. Non attendere più le mie parole né il mio cenno di assenso;
il tuo arbitrio è ora libero, rettamente indirizzato e puro, e sarebbe un errore non
assecondarlo; per cui io t’incorono re di te stesso”.
Figure retoriche:
- al v. 130 arte è sostantivo, mentre al v. 132 è aggettivo («strette», riferito a vie): è una
rima equivoca.
- v. 132: allitterazione del suono r e t (per dare idea della ripidità)
- v. 138: chiasmo (A verbo all’infinito - B verbo al presente - B verbo al presente - A
verbo all’infinito)
- v. 142: dittologia sinonimica («ti proclamo signore di te stesso»), ma anche formula
usata nel linguaggio ecclesiastico in riferimento al papa (propriamente la mitria o
mitra è il copricapo a due punte indossato da vescovi e prelati nelle solennità).
Temi:
- La venuta di Beatrice si compendia, per Virgilio, nel ritorno di quegli occhi lucenti
che egli già contemplò nel Limbo. Ora lieti per la salvezza avvenuta, allora lagrimanti
per il rischio morale di Dante. La scena del Limbo, sempre via via richiamata durante
il duro viaggio, si fa ora fortemente presente, quasi chiudendosi un ciclo; e anche
questo è un rapido anticipo, come si vedrà, del preciso ricordo (e contrasto) che di
quella scena il nuovo incontro svolgerà nei prossimi canti.
- v. 140: libero dalla servitù delle passioni; dritto, non torto, nel dirigersi al bene; sano,
non più malato, indebolito dall’inclinazione al male dovuto al peccato originale. I tre
aggettivi esprimono, sotto diversi aspetti, la stessa condizione ora propria
dell’arbitrio, cioè della libera facoltà di giudizio e scelta data all’uomo.
- v. 142: t’incorono re di te stesso; corono e mitrio formano una coppia complementare
(dittologia), e indicano l’incoronazione dell’imperatore, come appare, oltre che da
tutto il senso del pensiero di Dante, anche da precisi riscontri storiografici. Nell’antico
cerimoniale infatti il papa poneva sul capo dell’eletto prima la mitra, e sopra di essa la
corona. Alcuni anche antichi interpreti avevano inteso la corona e la mitra come i
segni delle due autorità, di imperatore e papa. Ma è ben chiaro che, nell’universo
dantesco, alla felicità naturale del paradiso terrestre, cioè alla perfezione dell’uomo
nei limiti della sua natura, presiede l’imperatore - e Dante infatti è fatto imperatore di
se stesso - mentre l’autorità spirituale, propria del papa, è finalizzata alla beatitudine
celeste. Virgilio dunque, nelle ultime solenni parole che rivolge a Dante, gli conferisce
come un’investitura: quella signoria di sé a cui ragione e virtù conducono l’uomo, la
suprema aspirazione del mondo antico che il poeta latino vede realizzarsi in colui che
fu il suo discepolo.
- La ragione naturale allegorizzata da Virgilio ha concluso il suo compito e da questo
momento in poi deve intervenire la fede, senza la quale il viaggio non potrebbe
proseguire; Dante è invitato dal maestro ad andare liberamente a esplorare il giardino
dell'Eden, essendosi ormai riappropriato di quella felicità terrena che era rappresentata
dal colle del Canto I dell'Inferno e la cui ascesa gli era stata preclusa dall'apparizione
delle tre fiere. Da notare, infine, la forte e voluta somiglianza tra la scena del Prologo
e quella che conclude questo Canto e ci prepara all'ingresso nell'Eden, poiché in
entrambi i casi è l'alba e anche qui Dante ha il sole che gli brilla in fronte, a
significare che la luce della grazia illumina il suo cammino e ha rischiarato le tenebre
rappresentate dal peccato.
Interpretazione del canto, anche avvalendosi delle letture critiche proposte:
- Simmetria evidente tra Pg. XXVI-XXVII e If. XXVI-XXVII, canti del fuoco.
- Canto che ritrova in sintesi molti passaggi del viaggio di Dante, a partire dalla prima
nominazione di Beatrice in If. II a risolvere i dubbi del pellegrino e rimetterlo in moto;
ma anche ne anticipa altri anche a breve distanza (la paura di Dante per il rischio di
bruciare → il rimprovero di Beatrice in Pg. XXX per l’eccessivo attaccamento alle
cose terrene).
- Intreccio potente di tre valori e motivazioni della vita di Dante: l’amore (il nome di
Beatrice e l’immagine dei suoi occhi che gli danno il coraggio di varcare il fuoco), la
poesia (incarnata in Virgilio che per l’ultima volta lo incoraggia e sostiene, e
congiunta all’amore nel mito di Piramo e Tisbe), la fede nella possibile felicità terrena
dell’uomo che ritrovi la propria libertà (Lia, l’Eden ritrovato), preludio a quella
celeste.
- Dante-Piramo che “in su la morte” riapre gli occhi al nome di Beatrice-Tisbe, il sogno
veritiero, la nuova condizione di Dante padrone di sé: tutto questo ci parla di un
passaggio simbolico vecchia vita - morte - nuova vita, di un morire a se stessi e
rinascere. Dante rinascendo torna fanciullo innocente (v. 45, “come a fanciul si fa ch’è
vinto al pome”).
- Remo Fasani, Canto XXVII, in Lectura Dantis Turicensis: Purgatorio
- Virgilio annuncia a Dante il premio finale: gli verrà dato il “dolce pome”,
quello che “a tutta gente niega, / per cui ciascun man piega” (Rime, 47 -
canzone: Tre donne -, vv. 94-95) → immenso cammino, percorso dalle Rime al
poema sacro, si può misurare da questo negarsi a questo concedersi del
“pome”.
- Le parole di Virgilio-padre accrescono le forze di Dante-figlio → nelle parole
di Virgilio c’è il passaggio dei poteri a Dante, che può essere anche inteso
come passaggio dalla civiltà pagana a quella cristiana
- Picone definisce il tono “quello delle occasioni ufficiali e grandiose, il tono
elogiativo del genere epidittico (= usato quando si deve tenere un elogio o il
biasimo di qualcuno, o comunque si deve parlare davanti a un pubblico),
quasi a tradurre l’atmosfera accademica di una iubilatio, del trapasso delle
consegne dal vecchio al nuovo magister”
- Utilizzate la capre e non le pecore perché mantengono la natura domestica e
quella selvatica: al pascolo sono “rapide” e “proterve” (= si avventurano fin
“sovra le cime”) → c’è massimo di libera attività al quale poi corrisponde
nell’ora mediana un massimo di tranquillo riposo → vita attiva + vita
contemplativa = perfetta unità (così come Lia e Rachele sono unite dallo
specchio e come Dante nel Paradiso Terrestre può “seder” o “andar tra elli”)
→ “corono e mitrio” = “corono” è vita attiva (missione temporale) e “mitrio”
è contemplativa (missione spirituale) → non importa che sia Virgilio a fare
tale investitura: il pagano sa di lasciare Dante a una santa cristiana, Beatrice
- Il Canto si chiude come un cerchio: all’inizio è detto “l’angel di Dio lieto ci
apparse” e alla fine “Mentre che vegnan lieti li occhi belli”

Potrebbero piacerti anche