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Purgatorio: un’introduzione

Il Purgatorio è una zona transitoria (nel tempo) e transeunte (nello spazio) fra Inferno e Paradiso, che
ospita anime salve ma non perfette. È diviso in cornici e, via via salendo verso il Paradiso, la gravità delle
colpe si affievolisce1. In ciascuna cornice, tramite voci angeliche, vengono raccontate storie che riguar-
dano la purificazione dalla colpa. La prima cornice è quella dei superbi (ὑπερβαίνω, "camminare sopra"),
che in vita si sono sentiti degli angeli, e ora spingono dei sassi pesanti fino all'espiazione. Gli invidiosi, nella
cornice successiva, hanno le palpebre serrate per via dell'etimo della parola. Seguono gli iracondi, gli
accidiosi, gli avari e i prodighi, i golosi, i lussuriosi. La critica anglosassone giudica il Purgatorio la cantica
migliore, poiché sta in mezzo fra il tono vario dell'Inferno e quello teologico e astratto del Paradiso.

Il Purgatorio è il luogo del pentimento e della aspirazione alla grazia eterna. Dante, che ambienta il suo
viaggio oltremondano nel 1300, si ispira d'altronde al Giubileo di quell'anno, che è la festa cristiana (origi-
nariamente ebraica) della riconciliazione fra uomo e Dio. Il momento dell'ascensione al cielo di un'anima
non è deciso da Dio, ma avviene solo e soltanto quando questa completa definitivamente la sua espia-
zione. Quando ciò accade, nel Purgatorio si sente un terremoto. Il guardiano del Purgatorio è Catone
l'Uticense, un oppositore di Cesare morto de facto suicida. La scelta, dovuta al forte apprezzamento di
Dante per le opere di Lucano e di suo zio Seneca, il quale elogia Catone, è in realtà contradditoria: benché
giustificabile in ambito laico e pagano con il fatto che Dante vuole esaltare il suo spirito democratico e
repubblicano, non lo è più nel contesto cristiano del Purgatorio (Catone dovrebbe, a tutti gli effetti, tro-
varsi all'Inferno; vedi oltre).

Nel XXX canto del Purgatorio Dante, oltrepassato questo, giunge nel Paradiso dove Virgilio non può
seguirlo2. Qui vede su un carro Beatrice, che quindi viene elevata a emblema della fede (diversamente dal-
la Laura petrarchesca di Chiare, fresche et dolci acque, amata invece per la sua materialità). Beatrice, con-
trariamente alla posizione di gran parte della critica, non è affatto percepita da Dante – almeno in un
primo momento – come figura materna: il primo istinto provato da Dante alla vista di Beatrice è quello
sessuale (come quello che sente Didone per Enea). Beatrice, che prenderà il posto di Virgilio, attacca Dan-
te perché dopo la sua morte si è dedicato ad altri amori, palesando una gelosia che è carnale e non si
addice a una figura santa.

Purgatorio (I)
La presentazione del Purgatorio
Dante, nella prima terzina, ricorda al lettore il luogo infernale da cui viene ("mar sì crudele") e, nella secon-
da, lo paragona a quello in cui si trova. Quindi sente la necessità di invocare le muse3, e in particolare
Calliope protettrice della poesia epica. Così spera che la sua capacità poetica si innalzi e raggiunga il livello
elevata che più si addice al Purgatorio, dove l'uomo "di salire al ciel diventa degno". Vengono poi menzio-
nate le Piche, che osarono sfidare Calliope nel canto ma, essendo state vinte e aspettandosi un'adeguata
punizione, furono da lei trasformate in gazze. La prima cosa che stupisce e conforta Dante è il cielo, allu-
dendo prima alla geografia astronomica del Purgatorio ("puro infino al primo giro") e poi all'astrologia.
Cita infatti direttamente la costellazione dei Pesci ed implicitamente quella dell'Orsa Maggiore: le quattro

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Il che contrasta con la dottrina teologica, che pone i peccati capitali tutti sullo stesso piano.
2
Nonostante Virgilio, in quanto guida morale e spirituale del poeta, incarni la piena auctoritas, nel passo viene al contempo defi-
nito "dolcissimo padre", cercato da Dante come un fantolino cerca la madre.
3
Dante le definisce “sante”, anche se si tratta notoriamente di divinità pagane.

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stelle che la compongono rappresentano allegoricamente le quattro virtù cardinali (prudenza, fortezza,
giustizia e temperanza), la cui visione si è persa a seguito del peccato originale.

Catone l'Uticense
A questo punto Dante incontra Catone l'Uticense, "degno di tanta riverenza". Catone è tutto bianco, nei
capelli e nella barba che non è sporca come quella di Caronte, e il suo viso colorato dalle quattro luci sante
(di nuovo, le virtù cardinali). "Oneste" sono le sue piume, a sottolineare la sua santità, in contrasto con la
diavoleria dei personaggi infernali. Catone si stupisce di fronte a Dante e a Virgilio, ritenendoli due abomi-
nevoli dannati che sono scappati dall'Inferno4. Virgilio allora, in qualità di guida, risponde a Catone e chia-
risce il tutto: l'identità di Dante, la sua venuta per volontà di Beatrice che aveva inviato Santa Lucia, il
viaggio didascalico attraverso i gironi e le bolge. Chiarirà dopo che nemmeno lui è un dannato: è stato
collocato nel limbo, che però, nonostante tecnicamente si trovi nella zona infernale, dal punto di vista
etico non fa parte dell’Inferno.

Si giunge dunque alle terzine (72-73) più celebri del canto, che lodano Catone perché ha scelto la morte
per raggiungere la libertà. Si tratta di due strofe splendide dal punto di vista letterario ma blasfeme da
quello teologico. Il cristianesimo, infatti, concepisce la vita nelle mani di Dio e condanna tutti coloro che
se la tolgono di propria iniziativa. Catone, in sintesi, non è per nulla un modello del cattolicesimo (permise
addirittura alla moglie Marzia di procreare con un altro uomo). Eppure Dante manifesta la sua totale
indifferenza verso la morale cristiana e apprezza quella stoica di Catone. Lo stoicismo infatti ammette il
suicidio come soluzione estrema per scampare alla tirannia (che nel caso di Catone, secondo Dante, era
rappresentata da Cesare). Invece Bruto e Cassio, benché anch'essi violenti contro sé stessi, vengono
collocati all'Inferno perché hanno ucciso Cesare a tradimento, in maniera meschina e vile, mentre Catone
si è battuto contro di lui ad alta voce. Inoltre hanno combattuto a Filippi contro Ottaviano, ma si sono
suicidati in modo ignobile pur di non finire penosamente sconfitti.

La metafora del fango


A un certo punto del canto, Dante deve lavarsi e ricoprirsi di fango. Proprio dalla Bibbia si deduce che il
fango è il "brodo primordiale" da cui l'uomo ha avuto origine, per cui il gesto è a tutti gli effetti una purifi-
cazione. Con questa strana forma di unzione, Dante fa un bagno di umiltà e accetta la condizione bassa e
materiale dell'uomo.

Purgatorio (II)
Le anime pentite
Dante è appena arrivato al Purgatorio insieme a Virgilio, e a un tratto i due scorgono la Marina, un'imbar-
cazione che vola sul Purgatorio traghettando dalla foce del Tevere una serie di anime che si sono pentite
in articulo mortis (ossia poco prima della morte). A guida dell'aliscafo è l'Angelo nocchiero, che rapida-
mente si avvicina come "un lume" ed è definito "galeotto". E l'aliscafo è "snelletto", poiché trasposta ani-
me che non hanno commesso peccati mortali o, se li hanno commessi, se ne sono pentite. Le anime inton-
ano un salmo (In exitu Israel de Aegypto) che simboleggia la loro liberazione dal peccato, la quale secondo
la dottrina cristiana avviene attraverso la morte e la resurrezione di Cristo. Le anime si accorgono di Dante
e si ammassano attorno a lui come se fosse un fenomeno da baraccone.

Il musico Casella
Fra queste anime che sbarcano vi è in particolare un musico di nome Casella, grande estimatore e amato-

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Chiaramente questo non sarebbe possibile, perché nessuno può sfuggire alla volontà divina: è come se Catone stesse qui implici-
tamente dubitando del corretto funzionamento delle istituzioni divine.
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re di Dante in vita. Si spinge infatti ad abbracciare il poeta ma, come "ombra vana", è pura aria e non
sente il calore del corpo di Dante. Casella intona canzoni d'amore, in questo caso i versi danteschi di Amor
che nella mente mi ragiona, un'opera filosofica. È strano che un musico canti un testo filosofico, ma è stata
data alla questione una spiegazione convincente. In origine questa doveva essere una canzone d'amore
che faceva parte delle Rime, ma in seguito Dante la inserì nel Convivio traslando il significato di amore da
"amore passionale" a "amore per la filosofia".

La Chiesa mostra un atteggiamento ostile nei confronti della musica, in quanto un uomo che produca
suoni a partire da un oggetto materiale pare voler elevarsi nel suo piccolo a Dio, diventare un Demiurgo.
La musica (così anche quella di Casella) produce un rapimento estatico, qualcosa di mistico e di ricondu-
cibile al Signore, anche se a Lui non vi è alcun riferimento. Dunque la musica può essere concepita solo
come uno strumento per raggiungere Dio, ma non come un fine.

Casella, fra le altre cose, ribadisce anche chiaramente che le anime dannate transitano da Gerusalem-
me e attraverso l'Acheronte, mentre le anime pentite vengono "congelate" nel Purgatorio per terminare
di espiare le loro colpe. Mentre Casella e Dante conversano, interviene Catone in preda alla collera. Le
anime infatti, "spiriti lenti" e negligenti, hanno arrestato il loro corso per trattenersi a conversare o con-
templare il poeta: questo chiaramente non è tollerabile, perché un tale comportamento significa porsi
in contrasto con le decisioni divine. Allora la "masnada fresca" di anime fugge verso la costa.

Purgatorio (III)
Catone percuote le anime cosiddette "spiriti pigri", che sono rimaste attratte dal canto di Casella, e tre
anime scappano senza meta, tra queste Virgilio. All'inizio del terzo canto si vedono le conseguenze di
questa fuga: nella tradizione classica e medievale l'uomo ponderato cammina lentamente, quindi la fret-
ta viene criticata e così viene sminuito il ruolo di Virgilio. Virgilio da un lato si sente molto in colpa a causa
di ciò, perché anziché accelerare il progresso di purificazione di Dante, ha mostrato un esempio contrario
a esso, e per questo viene rimproverato da Catone. È come se Virgilio avesse fallito nel suo compito di
maestro, così che ne viene fuori la sua limitatezza: anche il maestro sbaglia e deve rendere conto a un’enti-
tà superiore, non umana, quale è Catone. Nel Purgatorio, Dante realizza che le anime non hanno un corpo,
ma subiscono punizioni e torture fisiche e materiali. Come fanno a percepire il dolore, allora? Virgilio
risponde che se tutto fosse spiegabile con la ragione, non ci sarebbe stato bisogno del parto della Madon-
na, il quale avviene pure in circostanze che non rispondono alla ragione. La domanda è inopportuna da
parte di Dante, quasi eretica, perché anziché affidarsi alla fede cerca una motivazione razionale: non è
dato sapere come e in forza di quali principi avvengano le punizioni. Le cose di fede vanno accettate
come atto di fede5.

Dante si imbatte in Manfredi, figlio di Federico II, che era stato sconsacrato dalla Chiesa, come il padre,
per l'accusa di non essere un buon credente (il padre non aveva partecipato a una crociata e anche
quando finalmente lo fece si alleò con i musulmani e non con gli ebrei). Manfredi viene descritto come un
uomo emblema della καλοκαγαθία, un eroe greco che ha difeso fino alla morte il proprio regno. Dante,
comunque, esalta sempre la famiglia sveva, perché a questa si deve la nascita della Scuola poetica
siciliana. Dopo la morte di Federico II il papa aveva ceduto l'Italia meridionale agli Angioini, perché voleva
considerarla un proprio feudo: scoppia così una guerra, e Manfredi muore. Il funerale non venne celebrato
e le sue ossa abbandonate sul ponte di Benevento non furono seppellite. Dante critica questa scelta,
come spesso critica la corruzione del papato che si occupa di questioni temporali. Ma anche ciò che il

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E in effetti non è neanche detto che le punizioni siano corporali, tuttavia questa credenza si era diffusa a causa della pedagogia
del terrore in qualche modo promossa dalla Chiesa.
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Papa decide in misura teologica non interessa a Dante, poiché trova che la corruzione è tale da influire
pure in tali scelte: per questo Dante è cristiano, ma non cattolico. Secondo Dante, Dio perdona anche se
la Chiesa condanna, perché Dio per natura attua la pietas cristiana che la corruzione e la crudeltà della
Chiesa non conoscono.

Purgatorio (V)
Dante incontra un gruppo di anime e si ferma a parlare con tre di loro, peccatori morti di morte violenta,
ma pentitisi all'ultimo e accolti nell'antipurgatorio da Dio, di cui viene ancora esaltata la benevolenza6.
 La prima di queste anime era Iacopo del Cassaro, uomo politico doppiogiochista proveniente
dalle Marche; suo acerrimo nemico era Azzo d'Este, che lo fece assassinare in occasione di un suo
viaggio. Iacopo aveva prudentemente preso la via del mare, più sicura rispetto a quella terrena,
ma venne ugualmente ucciso dai sicari una volta sbarcato. Essendo morto dissanguato ebbe
molto tempo per pentirsi.
 La seconda storia è quella di Bonconte da Montefeltro, condottiero ghibellino che combatté
nella battaglia di Campaldino per la fazione opposta a quella di Dante (ossia i guelfi neri). Potreb-
be darsi che sia stato Dante stesso ad ucciderlo in battaglia, perché descrive con precisione il
modo in cui era morto. Non sa, però, che fine ha fatto il suo cadavere, così inventa una storia in
merito che fa narrare a Bonconte: secondo lui, la sua morte era stata oggetto di un contenzioso
tra il diavolo e Dio, che voleva salvarlo perché morto invocando Maria e formando una croce con
le braccia. Il diavolo, dal canto suo, non vuole perdere un'anima che era già sua per colpa di "due
parolette" pronunciate in extremis7. Il corpo sarebbe andato a Dio, ma il diavolo irato avrebbe sca-
tenato la sera un forte temporale (cronicamente attestato) che avrebbe disperso il corpo inani-
mato del condottiero alla foce del torrente Archiano, un affluente dell’Arno.
 La terza storia riguarda una donna di nome Pia, che veniva dalla Maremma ed era stata uccisa
dal marito. Delle sue origini si sa ben poco: si è ritenuto che appartenesse della casata senese dei
Tolomei, ma nei registri familiari non compare alcuna Pia. Della sua storia si sa ancora meno: o suo
marito voleva disfarsi della donna per sposarne un'altra o era venuto a conoscenza di un tradi-
mento, che lo portò a ucciderla.
Fil rouge delle tre storie e tema del canto è senza dubbio il perdono divino, che Dante teorizza antici-
pando Voltaire e il suo Trattato sulla tolleranza, in cui viene appunto evidenziato il concetto di perdono.

Purgatorio (VI)
Nel VI canto Dante fa riferimento all'Impero romano per criticare la famiglia degli Asburgo, che avevano
trascurato l'Italia (anche nel VI del Paradiso si parla di politica fiorentina e del suo aspetto municipale,
ossia i contrasti fra guelfi e ghibellini).

Il canto è ambientato nella parte degli iracondi. Nella trattatistica classica (Aristotele e Seneca, che scrisse
il trattato in tre libri De ira) si opera una distinzione fra:

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Il canto si ricollega proprio al V dell'Inferno, i cui protagonisti, Paolo e Francesca, non erano riusciti a scampare all’Inferno per-
ché Gianciotto li aveva colti in flagrante e uccisi immediatamente, non concedendogli il tempo di pentirsi della loro colpa.
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Bonconte aveva condotto una vita peccaminosa, e l'invocazione di perdono della Vergine era stata pronunciata solo alla fine. Il
diavolo quindi sminuisce il valore del pentimento, ma ciò chiaramente non riflette il punto di vista di Dante. Nel contrasto, infatti,
prevale Dio che è misericordioso, poiché nella prospettiva cristiana il pentimento sincero – e quello di Bonconte è così risultato
agli occhi di Dio – viene accettato.
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 iracondi, che tendenza a innervosirsi e ad arrabbiarsi;
 irati, che soffrono invece una condizione patologica.
Dante, pur conoscendo la tradizione senecana, non fa alcun distinguo: entrambe le categorie sono av-
volte fra le fiamme e, come in vita hanno perduto le staffe, nel Purgatorio perdono le capacità sensoriali.
Il personaggio fondamentale del canto è Sordello, concittadino di Virgilio (nativo di Mantova) ma non
suo coevo. I due si abbracciano in nome della città. Dante, allora, trae spunto da questo evento e riflette
su come, mentre i morti si abbracciano, i vivi si fanno la guerra: basta un fossato, una staccionata a delimi-
tare un terreno dall'altro, per indurre contrasti e faide interne8.

Sordello è un'anima che se ne sta sola, il che le conferisce una certa autonomia; a un certo punto Dante
ben dà spazio, per bocca di Sordello stesso, a un'invettiva contro la decadenza del potere in Italia. Il paese
è paragonato a una nave in tempesta, la quale naufraga senza un buon timoniere9. In sintesi Roma, la cui
grandezza viene esaltata anche al momento dell'entrata nel Paradiso, è una donna sola perché non può
accoppiarsi con l'imperatore: questa metafora sessuale mostra come l'istituzione antica dell'Impero
romano fosse un paradigma superiore rispetto al contesto politico in cui Dante è inserito.

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Il canto si ricollega proprio al V dell'Inferno, i cui protagonisti, Paolo e Francesca, non erano riusciti a scampare all’Inferno per-
ché Gianciotto li aveva colti in flagrante e uccisi immediatamente, non concedendogli il tempo di pentirsi della loro colpa.
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Si tratta di una metafora vecchia che ritrova le sue radici in Archiloco, in Alceo e in Orazio.
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