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La "Divina Commedia" di Dante Alighieri (1265 - 1321)

Il suo nome originale era Comedìa, l'aggettivo "Divina" fu aggiunto da Boccaccio.

3 cantiche di 33 canti ognuna, più un canto di introduzione inserito nell'Inferno.

Inferno: 1304 - 1308 |


|--- Divulgate da Dante nel 1314 - 1315
Purgatorio: 1308 - 1312 |

Paradiso: 1316 - 1321 |--- Divulgata alla sua morte dai figli

L'opera è considerata un POEMA ALLEGORICO DIDASCALICO, e presenta una visione cupa e


apocalittica della realtà contemporanea all'autore, che in questo periodo è in esilio, e vede il proprio
presente dominato dall'anarchia, dal disordine e dalla violenza.
Accusa sia l'Impero che la chiesa di non svolgere più il proprio compito:
_ L'Imperatore non ha la forza e la volontà per far rispettare l'ordine tramite le leggi, cosa che
dovrebbe fare per condurre gli uomini a raggiungere la felicità terrena;
_ Il Papa e la Chiesa in generale sviata e dominata da interessi materiali, devia dagli interessi
spirituali che la competono, in quanto dovrebbe condurre gli uomini al raggiungimento della felicità
interiore e alla salvezza ultraterrena.
Dante è convinto che si siano corrotte e sviate a vicenda creando un'atmosfera di caos, violenza e
peccaminosità, alimentando in particolar modo quello che egli ritiene il peccato peggiore, cioè la
cupidigia; proprio per questa ragione si dimostra particolarmente avverso nei confronti del ceto
borghese che era in quel periodo in costante ascesa.
Dante guarda al passato con rimpianto per quella nobiltà che secondo lui sapeva conservare l'ordine
e i valori che il poeta considerava giusti; proprio a causa dell'assenza di qualcuno che sappia
guidare gli uomini verso il giusto, Dante si sente incaricato da Dio di indicare agli uomini la retta
via.
Per potere fare ciò però, Dante deve prima compiere un viaggio attraverso i tre regni dell'oltretomba
e giungere alla contemplazione estatica di Dio attraverso un processo di rinnovamento morale,
civile e spirituale che potrà poi mostrare agli altri uomini come esempio da seguire (EXEMPLUM)
per garantirsi la felicità terrena e la salvezza eterna.
Tramite la trasmissione del proprio esempio il poeta si prefigge di poter operare un rinnovamento
della società.Questo poema che narra quello che per Dante rappresenta un viaggio conoscitivo, si
presenta anche come SUMMA o COMPENDIO ovvero una sintesi enciclopedica di tutte le
conoscenze del tempo in ogni settore.
La Divina Commedia viene anche definito un poema allegorico (pieno di allegorie e figure) perché
ogni elemento rimanda ad un significato ulteriore spirituale.
Il nome di Commedia deriva invece dal desiderio dell'autore di scegliere un genere medio per poter
usare uno stile dimesso e umile che gli permetta di poter spaziare tra livelli linguistici ed espressivi
diversi.

Vari livelli di narrazione: _ Dante narratore: ONNISCENTE |


| - - - Cambia il punto di vista
_ Dante personaggio: RISTRETTO |
Possono poi anche essere i personaggi stessi a prendere la parola e a raccontare facendo procedere
la narrazione (narratore di secondo grado).
L'Inferno

Suddivisione dell'Inferno

1° girone: LIMBO :Bambini non battezzati e Spiriti Magni (grandi uomini pagani);

2° girone: LUSSURIOSI
3° girone: GOLOSI Peccati per incontinenza
4° girone: AVARI e PRODIGHI
5° girone: IRACONDI e ACIDIOSI

Città di Dite (Inferno più basso)

6° girone: ERETICI
7° girone: VIOLENTI Peccati per Matta Bestialitade o
8° girone: TRADITORI di chi non si fidava di loro per malizia
9° girone: TRADITORI di chi si fidava di loro

Riassunto dei Canti

Canto I Proemio generale

Dante a 35 anni si ritrova dominato dal peccato (in una selva oscura); uscendone intravede un colle
illuminato dalla salvezza eterna, da Dio, ma difeso da tre fiere che lo respingono:
_ La Lonza: che rappresenta la lussuria o la frode e l'inganno;
_ La Lupa: che incarna l'avarizia;
_ Il Leone: che simboleggia la superbia o la violenza.
In suo aiuto giunge Virgilio (maestro e guida) che assume il valore simbolico della ragione; aiuterà
Dante ad attraversare l'Inferno e il Purgatorio.
Virgilio comunica anche a Dante che per raggiungere la cima del colle dovrà attraversare i tre regni
dell'oltretomba.
L'Inferno ha la forma di un cono rovesciato e Dante lo colloca sotto Gerusalemme; vi si trovano le
anime dannate suddivise in vari gironi e appena fuori delle sue porte vi è un settore (Antinferno) in
cui vi sono gli Ignavi, cioè coloro che in vita non operarono mai una scelta responsabile o preso una
decisione.

Canto II Proemio dell'Inferno

All'inizio di questo canto Dante esprime i propri dubbi e le proprie perplessità perché teme di non
essere all'altezza del viaggio che Virgilio gli ha prospettato.
Lui crede che percorrere i regni dell'oltretomba quando si è ancora in vita vada contro a ciò che da
Dio è consentito; solo a due individui è stato permesso in passato di effettuare questo viaggio, cioè
Enea e San Paolo.
Al primo fu concesso di entrare nell'oltretomba perché fu qui che incontrò il defunto padre Anchise
il quale lo informò che avrebbe dovuto fondare una città grande e potente per imporre la pace e
l'ordine, città che sarebbe poi divenuta la sede del Pontefice.
A San Paolo, invece, fu concesso di entrare perché trovasse la forza necessaria a predicare la parola
di Dio e a promuovere la fede cristiana.
Virgilio allora rincuora Dante dicendogli che il suo viaggio è stato voluto dalla Madonna che
impietosita dal suo stato (come detto nel canto I) ha sollecitato Santa Lucia a fare leva su Beatrice
perché convincesse Virgilio a soccorrere Dante.

Canto III Vestibolo dell'Inferno

I due poeti sono davanti alla porta dell'Inferno, dove Dante legge una terribile iscrizione che,
dichiarando l'eternità del luogo, ammonisce chi entra a lasciare ogni speranza.
Queste parole turbano il poeta, ma Virgilio lo rinfranca esortandolo a lasciare ogni dubbio e ogni
viltà e, presolo per mano, lo introduce nel Regno dei morti.
Appena entrato nell'inferno, Dante rimane colpito da sospiri e lamenti strazianti che provocano in
lui un forte pianto; chiesto a Virgilio chi siano quelle anime che si lamentano in tale modo,
apprende che sono quelle dei pusillanimi (o ignavi) respinti dallo stesso Inferno per la loro vita
senza scopo.
A questi sono mischiati gli Angeli che durante la lotta tra Dio e Lucifero non si schierarono
attendendone l'esito.
Virgilio sdegnosamente invita il poeta a passare oltre, Dante vede tra quelle anime "colui che fece il
gran rifiuto" cioè Celestino V (che abdicò dalla propria carica di Pontefice) e passa senza neppure
nominarlo.
CONTRAPPASSO: queste anime sono costrette a correre eternamente dietro ad un'insegna, punti
da vespe e mosconi mentre il sangue che riga il loro volto e le lacrime cadono
a terra e sono raccolti da schifosi vermi.
Dante guardando oltre vede una distesa sterminata di anime che attendono sulla riva di un fiume
desiderose di passare dall'altra parte; il poeta chiede spiegazioni a Virgilio che però rinvia la
risposta a quando saranno anche loro in riva al fiume chiamato Acheronte.
Improvvisamente appare sul fiume una barca condotta dal demonio Caronte che minaccia le anime
in attesa e dice ai due di tornare indietro perché da lì non potranno passare, ma Virgilio invita
duramente questi a non crucciarsi perché il viaggio di Dante è voluto da Dio.
Caronte intanto ha caricato le anime in attesa sulla propria barca ma già sulla riva se ne è radunata
un'altra schiera.
Virgilio allora spiega a Dante che per l'Acheronte non può passare anima che non sia dannata, ma
appena terminato questo discorso un bagliore improvviso squarcia le tenebre, preceduto da un
terremoto, che fa perdere i sensi a Dante.
Canto IV Cerchio I

Questo canto si apre con Dante che, risvegliatosi sulla riva opposta dell'Acheronte, vede Virgilio
pallido in viso e impaurito.
Virgilio gli spiega che la sua è solo pena perché stanno per entrare nel limbo, il luogo in cui il poeta
stesso è destinato a restare per l'eternità; qui, infatti, si trovano le anime di coloro che vissero prima
della nascita di Cristo e che non poterono perciò seguire la sua parola (in particolare gli Spiriti
Magni, cioè i grandi letterati pagani), ma che al contempo non commisero peccati al di fuori di
quello originale, così come i bambini che morirono prima di essere battezzati.
Non vi sono però gli spiriti degli antichi Ebrei che, dopo la sua morte terrena, furono prelevati da
Cristo e portati in Paradiso in quanto, pur essendo vissuti prima della sua nascita, credettero nel suo
avvento.
Nel limbo non si odono lamenti ma solo i sospiri di queste anime, sospese tra il desiderio di
contemplare Dio e la consapevolezza di non poterlo mai fare.
A Dante e Virgilio si fanno incontro quattro grandi poeti: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, i quali
accolgono nuovamente Virgilio tra loro e salutano Dante.
Insieme si dirigono verso una zona illuminata del limbo dove si trova un nobile castello; i sei
personaggi salgono su un poggio da dove Dante riconosce una serie di Spiriti Magni (latini, greci e
arabo-musulmani) cui tributa il suo omaggio.
Alla fine del canto, Dante e Virgilio devono riprendere il cammino approdando al secondo cerchio,
dove Dante incontrerà i lussuriosi.

Canto V Cerchio II

I due poeti giunti nel secondo cerchio incontrano, sull'entrata, Minòs il giudice infernale che ringhia
orribilmente e giudica i dannati attorcigliando la coda attorno al corpo tante volte quanti sono i
cerchi che i dannati dovranno scendere per giungere nel luogo della loro eterna punizione.
Minosse interrompe il suo giudizio per avvertire Dante di non procedere con così tanta sicurezza
perché la facilità con cui è avanzato finora potrebbero trarlo in inganno visto che il resto del viaggio
non sarà così agevole.
Ma Virgilio con le stesse parole usate con Caronte invita Minosse a non ostacolare un viaggio
voluto dal cielo.
Oltrepassato Minòs Dante è colpito dalle grida dei dannati percossi e rivoltati di qua e di la da una
bufera fragorosa che li travolge; il poeta paragona il loro vagare in balia della tempesta al volo degli
stornelli.
CONTRAPPASSO: sono destinati a vagare per l'eternità in balia del vento, come in vita agirono
seguendo ciecamente il proprio istinto, senza riuscire a far prevalere la
propria ragione.
La sua attenzione viene però catturata da una schiera di anime che volano in fila e ne chiede ragione
a Virgilio.
Questi accontenta Dante e nomina alcune di queste anime che procedono una dietro all'altra:
Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano e tante altre anime di antiche
eroine e cavalieri nei confronti dei quali Dante, a solo sentirne il nome, prova una profonda pietà,
restando "quasi smarrito", pur senza assolverle o giustificarle.
L'attenzione di Dante viene poi catturata da due anime che stranamente volano accoppiate, a cui
chiede di poter parlare.
Virgilio gli consiglia di chiedere a queste due anime di avvicinarsi invocando l'amore che ancora le
unisce: queste sono Paolo Malatesta e Francesca da Polenta che per essersi innamorati l'uno
dell'altra furono trucidati dal marito di lei e fratello di lui.
Francesca commossa dalla pietà che Dante ha dimostrato nei suoi confronti rievoca la propria
vicenda facendo emergere un'immagine di Amore come forza inarrestabile che li ha presi e condotti
alla morte; mentre la giovane parla Paolo piange e singhiozza, così che Dante vinto dall'emozione
perde i sensi.

Canto VI Cerchio III

Ripresi i sensi il poeta si ritrova nel III cerchio, dove una pioggia continua, formata di acqua
sudicia, neve e grandine, flagella in eterno i peccatori formando una puzzolente fanghiglia in cui
essi stanno sdraiati.
CONTRAPPASSO: In vita fecero del cibo una sorta di divinità, degradati dalla loro ingordigia
quasi ad animali, ed è proprio come animali che sono costretti a giacere
immersi nel fango per l'eternità.
Il custode di questo cerchio è Cerbero, orribile mostro dalle tre facce, dalle mani d'uomo e dal corpo
di animale, che latra con tre gole canine; questi graffia e scuoia gli spiriti che urlano come cani.
Virgilio per placare Cerbero gli butta nelle gole affamate alcune manate di fango.
I due procedono camminando sopra le anime dannate, ma ad un certo punto una si solleva invitando
Dante a riconoscerlo, ma vedendo che il poeta non riesce a farlo, si rivela come il fiorentino Ciacco,
che qui si trova "per la dannosa colpa de la gola".
Dante pone a Ciacco (che come tutte le anime può ricordare il passato e vedere il futuro ma non
conoscere il presente) tre quesiti:
_ A che punto giungeranno le discordie tra fiorentini?
_ In Firenze vi sono ancora persone giuste, non colpevoli?
_ Quali sono le cause che hanno portato alla lotta civile?
Ciacco profetizza gli avvenimenti della città dopo il 1300: la lotta violenta tra la fazione dei Guelfi
di parte Bianca e quella dei Guelfi di parte Nera che in un primo tempo vedrà prevalere i primi, ma
che alla fine darà il controllo della città ai secondi anche grazie all'intervento di Bonifacio VIII.
Dice poi che i giusti in Firenze sono appena due (forse Guido Cavalcanti e Dante stesso) e che le
cause delle lotte tra concittadini sono state l'invidia, la superbia e l'avarizia.
Dante chiede ancora, se alcuni personaggi della generazione a lui precedente si siano salvati o siano
stati dannati; Ciacco gli risponde che sono stati tutti dannati e scaraventati in parti più basse
dell'inferno, e che lui potrà incontrarli procedendo nel suo viaggio.
Prima di rigettarsi nel fango Ciacco chiede infine a Dante di ricordare ai vivi la su figura affinché
possa sopravvivere nella loro memoria.
Il canto si conclude con una digressione di Virgilio sul Giudizio Universale, mentre i due giungono
dinanzi al demonio Pluto, colui che è a guardia del IV cerchio.

Canto VII Cerchio IV e V

Dante e Virgilio giungono nel IV cerchio occupato da coloro che non seppero amministrare con
senso della misura il denaro: i Prodighi e gli Avari.
Distinti in due schiere, sono costretti a spingere dei macigni con il petto procedendo in direzioni
opposte a semicerchio e, giunti alla fine del cerchio a loro destinato, si scambiano delle accuse e
ricominciano al contrario.
CONTRAPPASSO: sono costretti a compiere per l'eternità uno sforzo completamente inutile,
come inutile fu in vita accumulare o sperperare denaro.
Proseguendo il loro cammino i due giungono nel V cerchio dove si trova la Palude Stigia, dove
Dante vede delle anime che vi sono immerse e che si mordono e percuotono a vicenda, sono questi
gli Iracondi.
CONTRAPPASSO: come in vita sfogarono sul prossimo la loro ira, ora sono destinati a sfogarla
per sempre su se stessi e su i propri compagni di condanna.
Il gorgogliare della palude evidenzia la presenza di altre anime sotto alla melma (Tristi o Acidiosi),
che appartengono a coloro che in vita non sfogarono la loro ira ma la serbarono nel loro animo.
CONTRAPPASSO: dovranno per l'eternità giacere sommersi nella melma, allo stesso modo in cui
tennero la propria violenza e ira racchiusa nel proprio animo.

Canto VIII Cerchio V

I due vengono condotti attraverso la palude dal demonio Flegiàs e, giunti dalla parte opposta
vedono le mura rosseggianti della città di Dite, il basso Inferno, che racchiude i peccatori più gravi.
Davanti alla porta vi sono numerosi diavoli che si oppongono all'entrata di Dante e Virgilio.
Il poeta consiglia al proprio maestro, se non vi è altra soluzione, di tornare indietro, ma questi
incoraggia Dante dicendogli che qualcuno è già stato mandato in loro aiuto

Canto IX Porta di Dite e Cerchio VI

Arriva in loro soccorso un messo celeste (un angelo) che avanza sulla palude e apre la porta con una
verghetta, rimprovera i diavoli e riparte; entrano così nel VI cerchio, un enorme necropoli
disseminata di sepolcri scoperchiati e resi arroventati da delle fiamme.
Virgilio spiega a Dante che quelle anime lamentose sono quelle dei Propugnatori di eresie (i capi) e
dei loro seguaci: gli Eretici.
CONTRAPPASSO: i loro sepolcri in cui dovranno giacere per l'eternità sono arroventati dalle
stesse fiamme che li uccisero dopo la condanna che ricevettero dalla chiesa
per il loro credo eretico: dovranno scontare quella condanna fino al giorno del
Giudizio Universale.
I due proseguono su un sentiero che si avanza tra le mura e l'area destinata ai sepolcri, dove
incontreranno Farinata degli Uberti, un famoso capo Ghibellino.

Canto X Cerchio VI

Mentre i due procedono il loro tragitto Dante chiede se si possano vedere coloro che vi sono sepolti
e Virgilio, dopo aver spiegato che tutti gli avelli verranno richiusi dopo il Giudizio Universale e che
in quella zona si trovano coloro che negarono l'immortalità dell'anima, rassicura Dante dicendogli
che presto la sua richiesta sarà presto soddisfatta, così come quella che ancora non ha osato
avanzare.
Improvvisamente una voce proveniente da una tomba invita Dante a fermarsi, avendolo
riconosciuto come fiorentino; Dante sbigottito si avvicina a Virgilio che però lo spinge tra le tombe,
verso quella in cui si erge maestoso Farinata che non riconoscendo Dante gli chiede chi fossero i
suoi antenati.
Saputolo dichiara che essi furono suoi avversari che lui scacciò da Firenze per ben due volte; punto
nell'onore familiare Dante risponde che se furono cacciati, essi seppero entrambe le volte ritornare,
cosa di cui non furono capaci gli Uberti.
Nel frattempo sorge da un'arca vicina un'altra ombra che vedendo Dante gli chiede come mai
essendo egli qui per altezza d'ingegno non ci sia con lui suo figlio; il poeta che ha riconosciuto il
padre del suo amico Guido Cavalcanti, risponde che suo figlio disdegnò la teologia.
Il verbo al passato fa credere al povero padre che il figlio sia morto e, poiché Dante esita a smentire,
interpreta ciò come una conferma e precipita nel sepolcro per non uscirne più.

Canto XI Cerchio VI

Dante e Virgilio per abituare il proprio olfatto al cattivo odore proveniente dal basso si fermano
all'avello del Papa Anastasio IV, condannato alla dannazione eterna per essere stato un monofisista,
cioè per aver creduto che in Gesù Cristo risiedesse la sola natura umana e non anche quella divina.
A questo punto Virgilio si dilunga in una digressione dottrinale sulla strutturazione del basso
inferno:
CITTA' DI DITE: _ VII cerchio: - Violenti contro il prossimo;
- Violenti contro se stessi;
- Violenti contro Dio, la natura e l'arte;

_ VIII cerchio: - Coloro che frodarono chi non si fidava di loro:


10 bolge;

_ IX cerchio: - Coloro che tradirono chi si fidava di loro:


4 bolge.

Tutto ciò perché la disposizione dei peccatori segue il criterio della gravità che ha il peccato
commesso per Dante:

Fuori dalla città di Dite _ Peccati meno gravi: -Peccati per incontinenza-
Dentro alla città di Dite _ Peccati più gravi: -Peccati per matta bestialitade-
-Peccati per malizia

Canto XII Cerchio VII,


I girone del basso inferno

Scendendo al livello sottostante tramite una di quelle frane che sconvolsero l'inferno in seguito alla
morte di Cristo, incontrano il Minotauro (altra figura della mitologia classica), colui che custodisce
quel cerchio, il quale tenta di ostacolare il loro camino: Virgilio comincia a deriderlo e a farsi beffe
di lui, che per questo si infuria e comincia a saltellare; accecato dalla rabbia non si accorge che i due
uomini ne approfittano per scappare oltre.
Entrando nel settimo cerchio, vedono che questo è attraversato da un fiume pieno di sangue (il
Flegetonte) in cui sono immersi tiranni, omicidi e predoni: li sorvegliano i Centauri che saettano
chi osi sollevarsi.
Virgilio parla con Chirone, il capo dei centauri, spiegandogli il loro scopo e gli chiede che un
centauro li traghetti sull'altra sponda; colui che li accompagna sull'altra sponda del Flegetonte è
Nesso, il quale spiega loro chi siano le anime sommerse:
_ Tiranni - fino agli occhi - Perché in vita infierirono sulle persone e sui beni;
_ Omicidi - fino alla gola - Perché in vita infierirono sulle persone;
_ Briganti - a diverse altezze - Perché in vita infierirono sui beni;

Canto XIII Cerchio VII,


II girone del basso inferno

Dante e Virgilio entrano nella selva in cui vi sono i suicidi e gli scialacquatori dei propri beni
(coloro che sperperarono con violenza: es. bruciarono i loro beni, gettarono il proprio denaro in
acqua, ecc).
Questi peccatori sono stati tramutati in alberi e cespugli con rami nodosi, foglie scure e con spine
velenose tra le quali nidificano le Arpie (altro essere mitologico).
Dante sente dei lamenti che pensa provengano da anime invisibili, ma su invito della sua guida
spezza un rametto e da esso sente scaturire delle parole e fuoriuscire del sangue.
Virgilio si scusa con l'anima e gli chiede di rivelare chi fosse in vita in modo che Dante possa
ricordare il suo nome sulla terra: il dannato dice di essere stato Pier della Vigna, un funzionario di
Federico II che, per invidia, fu accusato dai cortigiani di essersi arricchito indebitamente alle spalle
del sovrano, approfittandosi del proprio incarico.
Il re di Sicilia diede credito alle malelingue e lo fece incarcerare ma questi, non sopportando
l'umiliazione, si suicidò.
CONTRAPPASSO: queste anime sono degradate per l'eternità a risiedere in una forma arborea in
quanto, quando erano in vita, ruppero il rapporto sacro ed indissolubile tra
anima e corpo.
Dante sembra credere a coloro che sostenevano che le accuse a Pier della Vigna fossero solo
calunnie ma ,pur nutrendo rispetto per lui e riabilitandolo, lo condanna per aver rotto quel legame
inscindibile che lega ogni uomo al proprio corpo.

Canti XIV - XVIII Cerchio VII,


II e III girone del basso inferno
Cerchio VIII,
I e II bolgia

E' costituito da una landa sabbiosa infuocata su cui cadono falde di fuoco.
Vi si trovano:
_ Violenti contro Dio (bestemmiatori) che sono in posizione distesa;
_ Violenti contro la Natura (sodomiti: omosessuali passivi) condannati a camminare in eterno;
_ Violenti contro l'Arte (usurai: traggono ricchezza dalla ricchezza) che stanno seduti.

Questi tre tipi di dannati sono raccolti nello stesso girone perché la Natura è vista come Figlia di
Dio e l'Arte, cioè il lavoro onesto, avviene sfruttando la Natura (e non la ricchezza), quindi
seguendo questa logica diventa quasi il "nipote di Dio".

_ 8° cerchio: Malebolge.

Bolgia: borsa, fossato.

Vi si trovano i " Traditori di chi non si fidava di loro".


Gli argini che dividono le varie bolge sono collegati da argini di pietra attraversando i quali passano
Dante e Virgilio.

10 bolge: 1_ Ruffiani e seduttori: Sono frustati continuamente da diavoli.


|
in vita trassero vantaggio
dal far prostituire donne

2_ Adulatori: Immersi nello sterco.

3_ Simoniaci: Immersi a testa in giù in fori da cui escono solo le


| gambe dal ginocchio in giù, le quali sono a loro volta
in vita fecero mercato tormentate da una fiamma.
di cose sacre

Canto XIX Cerchio VIII,


III bolgia

Si apre con un'apostrofe a Simon Mago, colui che aveva preteso di comprare dagli Apostoli la
facoltà di trasmettere lo Spirito Santo, motivo per cui da lui traggono nome i simoniaci.
Dante sottolinea con violenza come questo peccato abbia determinato il degrado e la prostituzione
della chiesa; racconta di essere giunto sulla sommità del ponte che sovrasta la terza bolgia e che da
qui vede pareti e fondo della stessa pieni di fori circolari da cui fuoriescono solo le gambe dannati
che si agitano per il dolore provocato da una fiamma che lambisce i loro piedi.
CONTRAPPASSO: sono conficcati a testa in giù perché in vita distolsero il loro sguardo da Dio
rivolgendolo solo alle cose materiali e terrene: rovesciarono i valori in cui
avrebbero dovuto credere. In vita imborsarono beni terreni, ora sono loro
stessi ad essere come imborsati nella terra.
La fiamma rappresenta o un'aureola rovesciata o la fiamma dello Spirito
Santo che loro calpestarono in vita.
Dante nota un'anima che si agita più violentemente delle altre e la cui fiamma è più intensa e, notata
la sua curiosità, Virgilio si dichiara disposto ad accompagnarlo di fronte al foro in cui risiede
l'anima. Virgilio prende in braccio Dante e insieme scendono dinanzi al foro.
Dante lancia parole di scherno al dannato chiedendogli di parlare e questi risponde a sua volta con
una domanda, cioè se sia già arrivato lì colui che ha fatto strage della chiesa, cioè Papa Bonifacio
VIII.
Colui che è conficcato nel foro dei Papi simoniaci è Nicolò III della potente famiglia degli Orsini;
egli potendo prevedere il futuro sa come si comporterà il suo successore e, credendo che Dante sia
Bonifacio VIII, gli chiede come mai sia già lì.
Virgilio invita Dante a dire che lui non è affatto chi egli crede, e a questo punto Nicolò III dice chi
sia lui e che in vita si era reso colpevole di avvantaggiare economicamente la propria famiglia
(NEPOTISMO).
Ricomincia poi a parlare di colui che prenderà il suo posto, dicendo che starà lì per meno tempo di
lui perché a Bonifacio VIII subentrerà Clemente V (un pontefice francese) che si macchierà di
peccati ancora più infamanti, salendo alla carica di Pontefice con la protezione di Filippo IV il
Bello, in cambio di 5 anni di usufrutto delle compravendita delle indulgenze, e spostando la sede
papale ad Avignone (1309).
Il canto si conclude con una invettiva, deprecazione di Dante contro i Papi simoniaci che hanno
corrotto la chiesa.

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