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DIVINA COMMEDIA UN BREVE RIEPILOGO GENERALE

L'Inferno è la prima delle tre cantiche della Divina Commedia di


Dante Alighieri, corrispondente al primo dei Tre Regni
dell'Oltretomba dove regna Lucifero (che originariamente significava
«angelo della luce»); è una profonda cavità a forma di imbuto che si
apre sotto Gerusalemme e raggiunge il centro della Terra. Il
messaggio che Dante vuole trasmettere al lettore è che il mondo
classico ha avuto valore non in sé e per sé, ma in quanto fase
preparatoria dell'epoca cristiana, l'unica nella quale l'uomo ha davvero
la possibilità di una piena realizzazione e di una vera finalizzazione
della sua esistenza, tesa al perseguimento del più vasto disegno
divino.

I canti a noi più noti sono:

1. Dante si smarrisce nell'oscura selva dei suoi errori e peccati.


Quando spera di poter salire sulla cima d'un colle e rivedere la
luce del sole, il cammino gli è sbarrato da tre fiere (LONZA,
LEONE, LUPA), simboleggianti lussuria, superbia ed avarizia,
ed è costretto a retrocedere. Gli appare Virgilio, il suo modello
di poeta, che lo invita a seguire un'altra strada: occorre
attraversare il regno degli inferi, e poi il Purgatorio. Poi Dante
potrà ascendere al Paradiso, dove Virgilio, non essendo stato
battezzato, dovrà lasciarlo ad un' altra guida, Beatrice (simbolo
della fede).
2. La visione dell'aldilà era stata concessa, prima della morte solo
ad Enea e a San Paolo; ma il primo era stato eletto da Dio a
fondatore di Roma, fulcro dell'impero e futura sede del
pontificato; l'altro a stabilire con la sua predicazione la fede in
Cristo, senza la quale non è dato salvarsi. Perché mai un tale
dono di grazia dovrebbe ripetersi a beneficio di un uomo
qualsiasi, senza particolari meriti e senza un visibile fine
provvidenziale?
3. Virgilio e Dante si trovano di fronte alla porta dell'inferno, che
nella parte superiore porta incisa la famosa scritta conclusa con
la sentenza "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".Entrambi
attraversano l'uscio penetrando così nel mondo infernale.
L'ambiente buio, e si sentono subito pianti, lamenti e grida dei
dannati. Quell'anticamera dell'inferno accoglie gli ignavi, coloro
che vissero senza prendere mai una posizione, né buona né
cattiva, inutili a sé stessi ed alla società. Tra le anime dannate si
trovano anche gli angeli che nella guerra tra Dio e Lucifero non
si schierarono né dall'una né dall'altra parte.
4. Dante si risveglia nel Limbo, dove stanno i non battezzati privi
di colpe. Virgilio lo conduce ad un castello luminoso, al cui
interno lo salutano Orazio, Ovidio e Lucano. In un prato verde
all'interno delle mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui
Enea, Ettore, Cesare, Aristotele, Platone e Cicerone.
5. All'entrata del secondo cerchio Minosse assegna ai peccatori il
luogo in cui sconteranno la loro pena. Al suo interno gli spiriti
dei lussuriosi sono trascinati da una tempesta incessante. Paolo e
Francesca, amanti infelici uccisi dal marito di lei, raccontano a
Dante la loro storia.
6. Al risveglio Dante si ritrova nel terzo cerchio, dove i dannati per
il peccato di gola giacciono prostrati da una pioggia scura, mista
di grandine e neve, e vengono dilaniati da Cerbero, un
mostruoso cane a tre teste con elementi umani. Non appena
Virgilio ha placato la ferocia del custode dandogli in pasto una
manciata di terra, un dannato si leva a sedere e richiama
l'attenzione di Dante, dicendogli di essere fiorentino e di
chiamarsi Ciacco. Ciacco il cui nome significa porco,
rappresenta la situazione di scontri e contese fiorentina, dove la
politica divora ogni cosa, con fame incessante.

Canto X

Uno dei dannati, Farinata degli Uberti nobile e condottiero ghibellino,


riconosce Dante e lo chiama a sé; egli avverte il poeta che il suo
ritorno a Firenze sarà molto travagliato.

Canto XXVI

Qui, Dante trasforma il suo sdegno per i tanti fiorentini incontrati


nell’Inferno in un’aspra invettiva contro la sua città, per la quale
immagina infinite sciagure. Il poeta nota una fiamma biforcuta ed
esprime il desiderio di sapere chi cela; dopo aver saputo che vi sono
puniti insieme Ulisse e Diomede, corresponsabili sia dell’inganno del
cavallo (che permise ai greci di espugnare Troia) sia del furto
fraudolento della statua di Pallade, prega la sua guida di far avvicinare
la fiamma. Virgilio acconsente al desiderio, ma riserva a sé il compito
di interrogarla: dalla lingua di fuoco Ulisse gli parla della sua sete di
conoscenza del mondo e degli uomini, che lo condusse a lasciare la
patria per intraprendere un viaggio oltre le Colonne d’Ercole.
Sfidando i divieti divini, che avevano imposto alla conoscenza umana
di non andare mai oltre quelle colonne. Ulisse con un ristretto gruppo
di compagni lo farà per sete di conoscenza: “fatti non foste a viver
come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”

dal Canto XXXII

Siamo nel Cocito, una parte dell’Inferno divisa in zone: nella Caina i
traditori dei parenti stanno immersi nel ghiaccio fino al capo, tenuto
abbassato; nella Antenora i traditori della patria hanno invece il capo
rivolto in alto. Dante vede un dannato che rode la testa di un altro.

Canto XXXIII

Il dannato che rode la testa all'altro è il conte Ugolino, un politico


italiano ghibellino che parteggiò per i guelfi, la sua vittima è
l'arcivescovo Ruggeri. Ugolino racconta la sua terribile storia al
poeta: non ha bisogno di spiegare in che modo Ruggieri lo avesse
ingannato e attirato in una trappola per imprigionarlo, ma la crudezza
della sua morte. Il conte narra di come, dopo vari mesi di prigionia in
una torre con l’uscio inchiodato, a lui e ai figli non fu più portato
cibo. L'atroce agonia dei prigionieri durò circa sei giorni, durante i
quali Ugolino vide morire i figli uno ad uno senza poter far nulla per
aiutarli; per due giorni aveva brancolato sui loro cadaveri chiamandoli
per nome, poi il digiuno aveva prevalso sul dolore. Alla fine del suo
racconto, il cui scopo è infamare la memoria di Ruggieri, Ugolino
torna ad addentarne orribilmente il cranio.

Dante e Virgilio passano poi nella zona detta Tolomea, dove i traditori
degli amici tengono il capo talmente all'insù che le lacrime gli si
congelano sugli occhi.

Canto XXXIV: CONCLUSIVO.

Ultima zona di Cocito, la Giudecca, dove i traditori dei benefattori


sono completamente immersi nel ghiaccio. Ora Dante e Virgilio sono
di fronte a Lucifero. Esso ha tre teste, e ciascuna delle tre sue bocche
dilania un peccatore: la prima Giuda, la seconda Bruto, la terza
Cassio.

La pena cui sono sottoposti i dannati nell’Inferno si chiama


Contrappasso, consiste nel pagare la propria colpa (anche nel
Purgatorio) essendo sottoposti a una punizione contraria o
simile a quanto commesso, come sbaglio, in vita.

ENTRIAMO NEL VIVO DEL PURGATORIO

Video-introduzione
Video Rai.TV - BIGnomi - La Divina Commedia - Purgatorio

COM’ERA IMMAGINATO IL PURGATORIO?


CANTO I

Breve Sintesi

I primi dodici versi del primo Canto I sono il proemio dell’intera


cantica.

UN PROEMIO E’ L'INTRODUZIONE

Dante-autore illustra l’argomento di cui parlerà («canterò di quel


secondo regno /dove l’umano spirito si purga / e di salire al ciel
diventa degno»), poi invoca le Muse e, in modo particolare Calliope,
musa della poesia epica.

DA CALLIOPE DANTE AUSPICA GLI ARRIVI


L'ISPIRAZIONE.

Dopo il proemio, il canto prosegue con la descrizione di un’alba


luminosa e serena che trasmette gioia. In cielo si vede il pianeta
Venere e quattro stelle, che sono il simbolo delle quattro virtù
cardinali (1. prudenza, 2. giustizia, 3. fortezza e 4. temperanza),
mai viste nell’emisfero boreale.

Dante vede accanto a sé un vecchio solitario, dalla lunga barba


brizzolata, così come i suoi capelli, e illuminato nel viso dalle quattro
stelle: E’ Catone Uticense, voluto da Dio come custode del
purgatorio.

PERCHè DANTE INSERISCE PROPRIO CATONE?

CATONE UTICENSE (Roma, 95 a.C. – Utica, 12 aprile 46 a.C.) fu


un politico e magistrato romano, è descritto, persino dalle fonti a lui
ostili e dai suoi più aspri nemici, come una figura incorruttibile.
Rappresenta le virtù romane per antonomasia.

(ANTONOMASIA: Figura retorica che indica, usando il nome di


persona o cosa famosa, determinate virtù o qualità da richiamare)

Catone, credendo che i due poeti fossero due anime dannate che
cercano di fuggire dal regno dell’Inferno, li rimprovera severamente.

Virgilio spiega a Catone la loro vera condizione e lo prega di


concedere loro di visitare il regno del Purgatorio.

Catone risponde che non si opporrà al viaggio dal momento che


questo avviene per volontà divina.

Infine ordina a Virgilio di andare sulla spiaggia più bassa dell’isola


del Purgatorio dove il corpo di Dante sarà cinto con un giunco
(simbolo dell’umiltà) e il suo volto sarà lavato, perché non si presenti
all’angelo con sul viso le tracce delle lacrime versate durante il
viaggio infernale.

Catone scompare. Dante e Virgilio si avviano verso la spiaggia. Qui


Virgilio prima pulisce il viso di Dante, poi strappa un giunco, per
accorgersi che miracolosamente ricresce.

Quali gli altri canti più noti?

Purgatorio Canto III: Siamo nell’Antipurgatorio, dove si trovano le


anime degli scomunicati che però si sono rivolti a Dio prima di
morire. Devono rimanere tanto tempo quanto quello durante cui sono
stati scomunicati. Manfredi, re di Sicilia, narra la sua morte nella
battaglia di Benevento, e l’offesa fatta al suo corpo (morto di morte
violenta, morì con le braccia disposte in croce, simbolo del suo
pentimento estremo). In questo canto insieme a lui si trovano,
appunto, le anime dei negligenti (coloro che avevano tardato a
pentirsi)

Purgatorio Canto VI: Virgilio parla con un’anima, quella di Sordello


suo compaesano: provengono entrambi da Mantova e una volta
esserne venuti a conoscenza, si abbracciano. Dante, commosso e
malinconico, lancia una forte invettiva contro gli Italiani che si
lacerano in guerre civili, contro il papa e l’imperatore che non
compiono il loro dovere, infine contro Firenze.
Purgatorio Canto IX: Dante ha la visione di un’aquila d’oro. Così,
giunge al vero Purgatorio, dove l’angelo, che ne custodisce il
passaggio, lo fa passare solo sapendo della protezione di S. Lucia. Gli
segna sulla fronte sette P, segno dei peccati. Ogni volta che un peccato
sarà espiato una P scomparirà.

(Uno degli angeli del Purgatorio prende il nome di angelo della


temperanza).

Purgatorio Canto XI: Siamo nella cornice dei superbi, che intonano il
Padre Nostro stando piegati a coppie sotto una pietra, che rappresenta
il peso dei loro peccati. Parla con Dante il miniaturista Oderisi da
Gubbio, che ammette di essere stato, in fama e bravura, superato da
Franco Bolognese. Così come è accaduto a Cimabue con Giotto; e a
Guido Guinizelli con Guido Cavalcanti; e anche Dante, si lascia
intendere, sarà superato da un altro poeta.

CIÒ SIGNIFICA CHE DANTE STESSO RICONOSCE LA SUA


SUPERBIA.

Purgatorio Canto XXI: Il monte del Purgatorio viene scosso da un


terremoto con un canto. Appare Stazio, poeta latino che dice di essersi
convertito al cristianesimo, ma in segreto per paura. Il terremoto è
dovuto alla gioia delle anime quando una cessa la sua penitenza. È lo
stesso Stazio a poter liberamente salire in cielo.

Purgatorio Canto XXVIII: Nel Paradiso Terrestre, Dante incontra


Matelda, che spiega le origini dei fiumi Eunoè e del fiume Letè.

Matelda è protagonista degli ultimi cinque canti del Purgatorio: il suo nome
verrà fatto soltanto in quello conclusivo. È la donna che il poeta incontra nel
Paradiso Terrestre prima di Beatrice. Caratterizzata da una bellezza assoluta, sia
nell'aspetto sia nei gesti, simboleggia la condizione umana prima del peccato
originale.

Purgatorio Canto XXX: Compare Beatrice (la Verità rivelata); Virgilio


(allegoria della ragione umana) svanisce. Beatrice rimprovera
severamente Dante, pronunziando il suo nome: sebbene lei lo abbia
indirizzato verso la diritta via, Dante si era traviato. Degli angeli
intercedono per lui. Deve pentirsi, se vuole attraversare il fiume che lo
condurrà al Paradiso, il Regno della vera luce (cioè quella divina).

Canto XXXIII: Beatrice profetizza che Dante dovrà rivelare sulla


Terra la sua visione per salvare gli uomini. Dante e Stazio bevono le
acque dell’Eunoè. Purificati, sono pronti a salire alle stelle.

IL SIGNIFICATO DELL’EUNOÉ E DEL LETÈ?


L'Eunoè ha, inizialmente, corso comune con quello del Letè, dal quale poi
si divide. La fonte dei due fiumi, quindi, è comune e, come Dante ci
descrive nel canto XXVIII del Purgatorio, è inesauribile, poiché frutto
della volontà divina. Il Lete e l'Eunoè danno, a chi vi si immerge, l'uno
l'oblio del male mentre l'altro il ricordo del bene compiuto in vita. Sono
necessari nel processo di purificazione purgatoriale.

- In Paradiso, nei cieli illuminati dalla luce della beatitudine, il


processo di salvezza sarà compiuto. La luce compie il suo
percorso, dal buio infernale alla luce accecante dei Cieli.

COMMENTO: Interessante accorgersi di come tutto cresca in queste


3 Cantiche; dallo stile basso dell’Inferno a quello elevato del
Paradiso; alla tematica amorosa che procede dal particolare
all’universale (il particolare è rappresentato dall’amore biasimevole e
lussurioso - PAOLO E FRANCESCA - che, comunque, commuove il
poeta, nonostante sia presentato nella cupa atmosfera infernale e lo
commuove perché gli ricorda di esperienze vissute in prima persona,
nonostante ambisca egli stesso al rispetto della morale medievale.
L’Universale è l’amore assoluto, quello prodotto dalla fede: l’amore
per Dio. Infatti, nel percorso dall’Inferno al Paradiso ci si rende conto
che la ragione da sola non basta. Si ha bisogno della fede e, per
questo, Virgilio - che è simbolo, lo abbiamo detto, della ragione - non
basterà per accompagnare Dante nel suo viaggio). Allo stesso tempo
la tematica politica sarà trattata dal singolo all’universale: Ciacco
nell’Inferno rappresenta la gola, chi vuole tutto e tutto divora con
fame insaziabile, pensando solo al proprio bene e alla propria
cupidigia. L’Italia, nel Purgatorio, già a partire da Firenze, è ormai
ridotta alla mercè del miglior offerente (si pensi all’Apostrofe
all’Italia e all’Invettiva contro Firenze). Nel Paradiso, invece, si
daranno esempi di politica del bene Universale, tratti dalla storia
romana. Proprio nel VI canto del Paradiso, il poeta segue il lungo
discorso di Giustiniano, imperatore romano e figura simbolica
della Legge terrena che sa rispettare i principi della
Legge eterna di Dio e risponde al disegno del Creatore).

- Ricordiamo, infine, che Giustiniano ultimo imperatore


bizantino, dal 1º agosto 527 sino alla sua morte, ebbe
l'ambizione di ricostituire l'Impero romano nella sua integrità
politica e spirituale: proclamandosi “legge vivente e
rappresentante di Dio in terra”, riportò in auge il modello di
integrazione fra le due sfere religiosa e politica.

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