Sei sulla pagina 1di 35

Inferno - Canto

quinto

Minosse secondo Gustave Doré

Il canto quinto dell'Inferno di Dante


Alighieri si svolge nel secondo cerchio,
dove sono puniti i lussuriosi; siamo nella
notte tra l'8 e il 9 aprile 1300 (Sabato
Santo), o secondo altri commentatori tra
il 25 e il 26 marzo 1300.

Incipit

«Canto quinto, nel quale mostra del


secondo cerchio de l’inferno, e
tratta de la pena del vizio de la
lussuria ne la persona di più famosi
gentili uomini.»

(Anonimo commentatore dantesco


del XIV secolo)

Analisi del canto


Il canto si presenta unitario e compatto,
nello sviluppo completo del proprio
argomento: descrive infatti il secondo
cerchio infernale, quello dei lussuriosi,
dal momento in cui Dante e Virgilio vi
scendono fino al loro congedo dal
mondo di queste anime.

Il secondo cerchio, Minosse -


versi 1-24

Illustrazione della prima parte del Canto V, Priamo


della Quercia (XV secolo)
Dante e Virgilio giungono nel secondo
cerchio, più stretto (dopotutto l'Inferno è
come un imbuto con cerchi concentrici),
ma molto più doloroso, tanto che i
dannati sono spinti a guaire, che è verso
bestiale già citato per gli ignavi (III v.22).

Qui sta Minosse orribilmente e ringhia di


rabbia: egli è il giudice infernale (da
Omero in poi), che giudica i dannati che
gli si parano davanti, attorcigliando la sua
coda attorno al corpo tante volte quanti
sono i cerchi che i dannati dovranno
scendere per ricevere la loro punizione (è
ambiguo se la coda sia lunga da essere
attorcigliata in tanti giri quanti il "girone"
o se sia corta quindi piegata più volte).
Quando i dannati gli si parano davanti
infatti confessano tutte le loro colpe,
spinti da una forza divina, e Minosse
decide, quale gran conoscitor de le
peccata.

Minosse, vedendo Dante, interrompe il


suo compito e tenta di farlo desistere dal
proseguire avvertendolo di guardarsi dal
fatto che sia facile entrare nell'Inferno, di
diffidare da chi lo guida e che non lo
inganni l'ampiezza della porta infernale
(come a voler dire che entrarvi è facile,
ma uscirne no). Virgilio allora prende
subito la parola e, come aveva già fatto
con Caronte, lo ammonisce a non
ostacolare un viaggio voluto dal Cielo,
usando le stesse identiche parole: Vuolsi
così colà dove si puote / ciò che si vuole e
più non dimandare.

Minosse, sebbene sia descritto con i


tratti grotteschi di un mostro, ha nelle
sue parole un atteggiamento regale e
solenne e sparisce di scena senza alcun
cenno: egli è considerato come un puro
servitore della volontà divina.

I lussuriosi - vv. 25-72

Joseph Anton Koch, L'incontro di Dante e Virgilio con


le anime dei lussuriosi e di Paolo e Francesca, 1823

Oltrepassato Minosse, Dante si trova per


la prima volta a contatto con dei veri
dannati puniti nel loro girone:

«Or incomincian le dolenti note


a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.»

(vv. 25-27)

In questo luogo buio, dove riecheggiano i


pianti, si sente muggire il vento come
quando in mare scatta una bufera, per via
dei venti contrari che si incrociano; ma
questa tempesta infernale non si arresta
mai e trascina gli spiriti con la sua
violenza, in particolare quando essi
arrivano davanti al bordo del baratro
infernale, la ruina. Davanti a quel
precipizio aumentano le strida, il
compianto, il lamento e le bestemmie.
Cosa sia di preciso questa ruina non è
chiaro, se la spaccatura dalla quale esce
la tempesta o una di quelle frane
prodotte dal terremoto dopo la morte di
Cristo (cfr. Inf. XII, 32 e Inf. XXIII, 137), o
forse il luogo dove i dannati devono
discendere per la prima volta nel girone
dopo la condanna di Minosse.

Dante in questo caso capisce al volo chi


siano i dannati qui puniti: i peccator
carnali / che la ragion sommettono al
talento, cioè i lussuriosi che hanno fatto
prevalere l'istinto sulla ragione.

Seguono due similitudini legate al mondo


degli uccelli: gli spiriti (che sono
trascinati dal vento di qua, di là, di giù, di
sù e che spererebbero almeno in
un'attenuazione della pena). Alcuni di
questi sembrano gli stormi disordinati,
ma compatti, quando, all'arrivo del
freddo, sono in partenza per la
migrazione invernale; altri come le gru
che volano in fila. Dante chiede
spiegazione a Virgilio.

Egli lo accontenta e inizia ad elencare le


anime di coloro che hanno la
particolarità di essere tutti morti per
amore:

1. Semiramide, che fece una legge per


permettere a tutti la libido nel suo
paese e quindi non essere
biasimata nella sua condotta
libertina; è anche indicata come
moglie e successore di Nino, che
regnò nella terra che oggi governa il
Sultano, cioè Babilonia, anche se ai
tempi di Dante il sultano regnava su
Babilonia d'Egitto.
2. Didone, personaggio virgiliano, che
il maestro ha la delicatezza di non
citare per nome, ma che indica
come colei che ruppe fede al
giuramento sulle ceneri di Sicheo e
che si uccise per amore (di Enea).
3. Cleopatra lussurïosa.
4. Elena di Troia, per la quale tanto
male nacque.
5. Achille, il grande Achille, che
combatté per amore (durante il
medioevo si narrava che si fosse
innamorato follemente di Polissena,
figlia di Priamo, e per questo amore
si fosse lasciato trarre in un
agguato dove fu ucciso a
tradimento, vedi anche le
Metamorfosi di Ovidio).
6. Paride.
7. Tristano.
Dopo aver sentito parlare di queste
anime, di antiche eroine e cavalieri (in
senso lato, secondo l'accezione
medievale, come personaggi mitici e
importanti in genere), Dante è al colmo
della "pietas" e ne resta quasi smarrito.

Paolo e Francesca - vv 73-


142
Giuseppe Frascheri, Dante e Virgilio incontrano
Paolo e Francesca, 1846

Alexandre Cabanel, Morte di Francesca da Rimini e


di Paolo Malatesta, 1871

L'attenzione di Dante viene attirata da due


anime che si muovono in fila, ma che, al
contrario delle altre, sono affiancate l'una
all'altra e sembrano leggère nel vento,
quindi chiede a Virgilio di poter parlare
con loro: questi acconsente e consiglia
Dante di chieder loro di fermarsi quando
il vento le porterà più vicino.
Dante allora si rivolge a loro: "O anime
affannate, / venite a noi parlar, s'altri (cioè
Dio) nol niega!". Allora esse uscirono
dalla schiera dei morti per amore (dov'era
Didone) come le colombe che si alzano
insieme per volare al nido.

Le anime giungono così dal cielo


infernale, grazie alla richiesta pietosa del
Poeta. Parla la donna: (parafrasi) "Oh
persona gentile e buona che visiti
nell'oscuro inferno le anime di noi che
tingemmo la terra di rosso sangue, se
Dio fosse nostro amico, noi lo
pregheremmo raccomandandoti a lui,
perché hai avuto pietà di noi peccati
perversi. Dicci cosa vuoi sapere e noi
parleremo con te, finché il vento ci
permette di riposare. La città dove
nacqui si trova dove il Po trova la pace,
sfociando nel mare coi suoi affluenti
(Ravenna). L'amore che attecchisce
velocemente nei cuori gentili[1] fece
invaghire lui (Paolo) della mia bella
presenza, che oggi non ho più; il modo mi
offende ancora" (verso ambiguo:
Francesca intendeva che è ancora
soggiogata dall'intensità (dal modo)
dell'amore di Paolo, oppure che il modo
in cui le fu tolta la sua bella persona (cioè
il suo corpo) la urta ancora, alludendo
all'omicidio? Per parallelismo con la
terzina successiva in genere si preferisce
la prima interpretazione): "Amor, che a
nullo amato amar perdona, / mi prese del
costui piacer sì forte...". Dunque, l'amore
non esonera nessuna persona amata
dall'amare a sua volta.[2] Dante qui
richiama esplicitamente la teologia
cristiana secondo la quale tutto l'amore
che ciascuno dona agli altri, tornerà
indietro parimenti, anche se non nello
stesso tempo o forma. Ma il poeta in
realtà non poteva trascurare il fatto che
l'amore può anche non essere
corrisposto. A tal proposito uno studioso
ha recentemente azzardato un'altra e più
plausibile interpretazione di questo
verso: Amor che (non) perdona a nullo
(di) amar (chi è) amato; ossia "l'amore
che vieta, che non consente a nessuno di
amare chi ha già un vincolo d'amore", in
ciò riferendosi appunto alla passione
proibita di Francesca per Paolo, poiché
entrambi già legati, lei a Gianciotto e lui a
sua moglie (cfr. Guglielmo Peralta, Un
abbaglio secolare. Esegesi di un famoso
verso dantesco, in "Quaderni di Arenaria",
XVI, 2019, pp. 48-50). Francesca
rappresenta in ogni caso un'eroina
romantica: infatti in lei abbiamo la
contraddizione tra ideale e realtà; lei
realizza il suo sogno, ma riceve la
massima punizione[3].

Queste furono le parole dei due


personaggi (sebbene parli la sola
Francesca). Dante china il viso pensoso,
finché Virgilio lo sprona chiedendogli "A
che pensi?"

Dante non dà una vera e propria risposta


ma sembra proseguire ad alta voce i suoi
pensieri: (parafrasi) "Che bei pensieri
amorosi, quanto desiderio reciproco
portò queste anime alla dannazione!".
Poi, rivolgendosi di nuovo a loro:
"Francesca[4], le tue pene mi fanno
diventare triste e pio, al punto di aver
voglia di piangere. Ma dimmi, con quali
fatti e come siete passati dai dolci
sospiri alla passione che porta tanti
dubbiosi desideri?"

Ed essa rispose: (parafrasi) "Niente è


peggiore per me che ricordare i tempi
felici ora che sono in questa misera
condizione, e lo sa bene il tuo dottore[5].
Ma se proprio vuoi sapere l'origine del
nostro amore, te lo racconterò tra le
lacrime ("come colui che piange e dice").
Un giorno stavamo leggendo per
passatempo dell'amore di Lancillotto.
Eravamo soli e non sospettavamo niente.
Più volte quella lettura ci spinse a
guardarci e ci fece sbiancare temendo di
affrontare l'amore... ma fu in un punto
preciso che fu vinta la nostra volontà:
quando leggemmo il bacio tra Lancillotto
e Ginevra, Paolo, che da me non verrà
mai diviso, la bocca mi baciò tutto
tremante. Galeotto [6] fu 'l libro e chi lo
scrisse: quel giorno non andammo più
avanti nella lettura.

Mentre uno spirito diceva questo, l'altro


piangeva in modo talmente pietoso, che
mi sentii morire e caddi per terra come
cade un corpo morto."

Queste sono le due anime di Paolo


Malatesta e di Francesca da Polenta che
furono travolte dalla passione; vennero
sorpresi da Gianciotto Malatesta,
rispettivamente fratello di Paolo e marito
di Francesca e trucidati a tradimento.

Francesca commossa dalla pietà


mostrata da Dante gli racconta di quella
passione così forte che li ha uniti sia
nella vita che nella morte dal momento in
cui i due si resero conto del loro amore
reciproco, e durante tutto il racconto
Paolo singhiozza. Dante infine vinto
dall'emozione perde i sensi e cade a
terra.

Punti notevoli

Francesco Scaramuzza, ...La bocca mi baciò tutto


tremante, 1859

L'incontro con Paolo e Francesca è il


primo di tutto il poema nel quale Dante
parli con un dannato vero e proprio
(escludendo infatti i poeti del Limbo).
Inoltre per la prima volta in assoluto
viene ricordato un personaggio
contemporaneo, conformemente al
principio che Dante stesso ricorderà in
Pa XXVII di ricordare di preferenza le
anime di fama note perché più
persuasive per il lettore dell'epoca (fatto
senza precedenti nella poesia impegnata
e per molto tempo senza seguito, come
ebbe modo di far notare Ugo Foscolo).

Paolo e Francesca si trovano nella


schiera dei "morti per amore", e il loro
avvicinarsi è descritto da ben tre
similitudini che richiamano il volo degli
uccelli, riprese in parte dall'Eneide.

Tutto l'episodio ha come motivo


conduttore quello della pietà: la pietà
affettuosa percepita dai due dannati
quando vengono chiamati (tanto da far
dire a Francesca un paradossale
desiderio di pregare per lui, detto da
un'anima infernale), oppure la pietà che
traspare dalla meditazione che Dante ha
dopo la prima confessione di Francesca,
quando resta in silenzio, infine il culmine
finale quando il poeta cade svenuto (di
pietade / io venni men così com'io
morisse).
Per questo Dante è molto indulgente
nella rappresentazione dei due amanti:
non vengono descritti con severità
intransigente o sprezzante (per esempio
come è descritta freddamente poco
prima Semiramide), ma il poeta mette
alcune scusanti al loro peccato, sia pure
solo sul piano umano (non mette in
dubbio per esempio la gravità del
peccato, essendo ferme le sue
convinzioni religiose). Francesca appare
così una creatura gentile intesa come di
metodi cortesi cioè di corte. Francesca,
nelle sue parole, esprime la teoria
dell'amore cortese dello scrittore
francese Andrea Cappellano, in parte
ripresa dallo Stilnovo. L'amore nasce dai
cuori gentili (nobiltà di sentimenti) non
per trasmissione ereditaria ed inoltre
esso viene generato dalla bellezza e
possiede una forza irresistibile. Tuttavia
in questo canto Dante-autore, proteso
verso un amore virtuoso di chiara
ispirazione cristiana, supera la tradizione
cortese-stilnovistica la cui concezione
dell'amore non procurerebbe un
rinnovamento morale e porterebbe quindi
ad un obnubilamento della ragione, ad
una condizione di peccato.

Ruolo dell'episodio
Lo stesso argomento in dettaglio: Paolo e
Francesca.
Galleria d'immagini

I lussuriosi, immaginati da William Blake

Joseph Anton Koch, Paolo e Francesca


sorpresi da Gianciotto, 1805-10
Marie-Philippe Coupin de La Coupierie,
Gli amori funesti di Francesca da Rimini,
1812 circa

John Flaxman, E caddi come corpo morto


cade o Paolo e Francesca, 1802
William Dyce, Francesca da Rimini, 1837

Gustave Doré, Paolo e Francesca


Gustave Doré, Il racconto di Francesca

Giovanni Stradano, Canto V, 1587


Il bacio di Rodin, inizialmente intitolato
Francesca da Rimini

Paolo e Francesca, versione


cinematografica de L'Inferno del 1911

Note
1. ^ Al cor gentile rempaira sempre
amore, la poesia di Guido Guinizzelli
2. ^ Andrea Cappellano nel trattato De
amore (II, 8) scrive:" Nessuno può
amare se non perché costretto dalla
forza dell'amore".
3. ^ Francesco De Sanctis
4. ^ Dante l'ha riconosciuta sebbene
essa non si sia presentata con il suo
nome
5. ^ Virgilio che impersonifica la
ragione? O Boezio dal quale sembra
tratto il verso precedente ("in omni
adversitate fortunae infelicissimum
est genus infortunii fuisse felicem",
De consolatione philosophiae II, IV
2)?
6. ^ Per Galeotto s'intende il
personaggio di Galehaut, siniscalco
della Regina che, nell'amore tra
Lancillotto e Ginevra, che spinge il
cavaliere a baciare la donna e,
soprattutto, fa da testimone
all'amore tra i due. Secondo le regole
dell'amor cortese il bacio della dama
era infatti una vera e propria
investitura che accoglieva il cavaliere
al servizio della donna, per cui aveva
bisogno di essere formalizzato dalla
presenza di testimoni, come gli altri
rituali di stampo feudale.
Bibliografia
Vittorio Sermonti, Inferno, Rizzoli 2001.
Umberto Bosco e Giovanni Reggio, La
Divina Commedia - Inferno, Le Monnier
1988.
Guglielmo Peralta, Un abbaglio
secolare. Esegesi di un famoso verso
dantesco (in "Quaderni di Arenaria",
XVI, 2019; pp. 48-50).

Voci correlate
Paolo e Francesca, per il ruolo
dell'episodio all'interno del poema
Vuolsi così colà dove si puote
Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Galeotto fu il libro
Altri progetti
Wikisource contiene il testo
completo del canto quinto dell'Inferno
Wikibooks contiene testi o manuali
sul canto quinto dell'Inferno
Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file sul canto quinto
dell'Inferno

Collegamenti esterni
Spiegazione approfondita , su
litterator.it. URL consultato il 28 giugno
2009 (archiviato dall'url originale il 4
dicembre 2010).
Il quinto canto letto da Valerio Di
Stefano , su classicistranieri.com.

Portale Portale Medioevo


Letteratura

Estratto da "https://it.wikipedia.org/w/index.php?
title=Inferno_-_Canto_quinto&oldid=107153359"

Ultima modifica 20 giorni fa di Tito…

Il contenuto è disponibile in base alla licenza CC


BY-SA 3.0 , se non diversamente specificato.

Potrebbero piacerti anche