Il
periodo in cui Leopardi scrive questi grandi idilli corrisponde al periodo in cui, dopo essere
riuscito ad allontanarsi da Recanati e trasferirsi a Pisa, è costretto a ritornarci per via delle sue
condizioni di salute, e lì trascorre 16 mesi continuando a scrivere non interrompendo
nonostante tutto il suo momento creativo.
In questo componimento, diviso in 3 strofe libere di endecasillabi e settenari con rime libere,
Leopardi racconta la vita degli abitanti del borgo in cui viveva, le loro abitudini, ma dietro questa
narrazione si nasconde un significato allegorico riguardo l’illusione e il piacere.
Possiamo dividere l’opera in due parti: la prima parte dal verso 1 a 37, la seconda parte dal
verso 38 al 51.
Nella prima parte il poeta descrive alcuni momenti quotidiani dei cittadini che il sabato si
preparano al giorno di festa. Vengono descritte all’inizio due figure opposte: la donzelletta e la
vecchietta. La ragazza torna in città portando con sé un mazzo di rose e viole, due tipi di fiori
che sbocciano in periodi diversi dell’anno, come fece notare Giovanni Pascoli. Probabilmente
Leopardi usò questi due tipi di piante per simboleggiare il vago, l’indefinito, che permette di
allontanare l’ “arido vero” e garantire la poeticità. Con questi fiori la donzella potrà abbellirsi per
presentarsi alla festa che si terrà il giorno dopo. Già da questi primi versi si può notare come la
felicità e il piacere, che emergono dalla descrizione della ragazza e dal suo portamento, non sta
nel giorno stesso della festa, che nell’idillio non viene descritta, ma negli attimi prima del giorno
speciale. Qui il poeta permette al lettore di capire che la felicità non è altro che l’attesa, la
speranza e l’immaginazione del futuro, di ciò che potrà accadere. Il tema dell’immaginazione è
stato sempre presente in moltissime opere di Leopardi in modi diversi, come per esempio nella
poesia “A Silvia” in cui essa viene accostata alla memoria: il poeta ricorda i momenti in cui ha
dato spazio alla sua immaginazione guardando fuori dalla finestra della casa paterna. Questo
concetto della rimembranza è presente anche in alcuni poeti romantici inglesi come
Wordsworth, che dopo aver vissuto un’esperienza, come osservare un campo di narcisi, ricorda
nei giorni seguenti le emozioni che ha sentito (recollection in tranquillity) riuscendo a provare
sentimenti ancor più forti (kindred emotion). Tra i due autori c’è però una grande differenza
perché, mentre per Wordsworth l’emozione dovuta dal ricordo è più grande di quella provata
durante l’esperienza, per Leopardi è il contrario in quanto la memoria viene filtrata.
All’inizio della poesia l’autore cita il luogo da cui proviene la donna, ovvero la campagna, che è
un ambiente molto ampio e poco distinto, che suscita l’impressione di una vastità indeterminata.
Ma non solo, la campagna rimanda anche al tema principale dell’idillio, che viene modernizzato
e adattato da Leopardi ma nasce come un componimento pastorale il cui ambiente è proprio la
campagna.
Nei versi successivi il poeta parla di una vecchietta che, seduta con le sue vicine intenta a filare,
parla della sua giovinezza e di come lei, proprio come la fanciulla, si preparava per i giorni di
festa e ballava con i compagni. Il tempo, ovvero il tramonto, e la vecchiaia sono strettamente
collegate, perché entrambe simboleggiano l’arrivo della notte, ovvero la fine della felicità; infatti
Leopardi descrive la giovinezza come l’età più bella, come quella che permette di raggiungere il
piacere. Questo binomio giovinezza-vecchiaia si può ritrovare anche in un poeta lirico greco,
ovvero Mimnermo, che descrive la giovinezza come il periodo della gioia, della serenità, quel
tempo in cui si può amare, essere amati e si hanno molte virtù e qualità tra cui la bellezza,
perché essere giovani significa anche essere belli. La vecchiaia viene descritta invece come la
fine della vita, peggiore della morte, perché durante questa età le bellezze dell’esistenza
svaniscono, non è possibile essere amati da nessuna donna e da nessun uomo, non si è più
belli e si conoscono solo le sofferenze.
Si può quindi dire che le due persone inizialmente descritte siano dei simboli: la fanciulla
rappresenta la speranza nel futuro, la vecchietta la memoria, perché ricorda i momenti giovanili.
Nei versi successivi il poeta torna a descrivere il cielo, in cui vi è adesso la luna nascente che
crea un gioco di luce e ombra che accentua ancora di più il senso di indefinitezza.
Nella città si trovano anche i bambini che giocano e ridono con entusiasmo, interrompendo il
silenzio della città. La fanciullezza viene descritta come l’età più felice per l’autore, e questo si
può comprendere anche dal suo pensiero che si scorge in molti suoi scritti. L’immaginazione
permette all’uomo di accedere a un piacere infinito, poiché nella realtà questo non esiste, e
l’infanzia è l’unico periodo della vita di un uomo in cui egli può sperimentare a pieno l’illusione,
perché un bambino non ha ancora sviluppato la ragione e quindi non conosce bene quanto un
adulto la realtà che sta vivendo. Infatti l’uomo riesce a raggiungere il piacere tramite il ricordo di
quelle sensazioni e visioni immaginose vissute da bambino che vengono però filtrate dagli anni
trascorsi e dalla maturità acquisita nel tempo.
L’autore descrive anche le attività quotidiane di vari lavoratori, per esempio un contadino che
torna a casa sereno al solo pensiero di avere una giornata di riposo il giorno seguente. Si
ripropone anche qui la felicità dell’attesa e della speranza come nei versi iniziali dell’idillio.
La seconda parte del componimento è la riflessione, in cui l’autore spiega tramite una metafora
che il passaggio dalla giovinezza alla fase adulta è piena di aspettative, ma alla fine non porterà
gioia e si rivelerà doloroso. La metafora in questione consiste proprio nel sabato (vv. 38-42), in
cui si aspetta il piacere della festa del giorno seguente, ma una volta arrivato quel giorno e
dileguatesi le speranze riposte nella festa, permarranno la noia e la tristezza dell’esistenza
umana, il pensiero tornerà alla realtà quotidiana e alle consuete occupazioni.
Nella parte conclusiva il poeta si rivolge al un “garzoncello scherzoso” (simbolo dell’ingenuità
umana) a cui il poeta ricorda di divertirsi durante questo periodo della vita, un po’ come lo
ricorda Orazio nelle Odi con il suo “carpe diem”. L’autore tranquillizza il bambino, dicendo che
se la sua festa, ovvero la fase adulta, tarda ad arrivare non deve essere triste, perchè il piacere
che lui si aspetta di provare una volta raggiunto è invece vuoto e illusorio.
A differenza della “Quiete dopo la tempesta”, in cui nella parte riflessiva finale l’autore si rivolge
contro la natura crudele e considera la morte una purificazione dal dolore, nel “sabato del
villaggio” la parte conclusiva è più pacata e invita a spingere lo sguardo oltre i confini
dell’illusione giovanile.
Nonostante il pessimismo cosmico leopardiano che si nota anche in questo idillio, lo stile che
egli usa è piano e la sintassi non viene spezzata da enjambements. I versi sono dotati di
scorrevolezza musicale, e il linguaggio usato è semplice e immediato, ricco di immagini. Ogni
personaggio viene caratterizzato: la donzella è allegra, il ragazzo è giovane, lo zappatore torna
a casa fischiando, il garzoncello è scherzoso.
Per quanto riguarda le figure retoriche sono presenti diverse metafore, come “età fiorita”vv.44,
“età bella”vv.15, “stagion lieta”vv.49 che indicano tutte la giovinezza. Sono presenti diversi
enjambements, come ai versi 40 e 33.
Vi sono anche due climax realizzati dai personaggi: il primo crescente, dalla donzelletta
(giovinezza) alla vecchierella (vecchiaia); il secondo discendente, dallo zappatore (età adulta) al
garzoncello (gioventù).
Nella prima parte della poesia si notano allitterazioni con doppie: donzelletta, vecchiarella,
novellando, bella, colli. Vi sono anche consonanze come face/seco/reca,
affretta/tutta/tetti/frotta/tutto/sette, fanciullo/bella/garzoncello, azzurro/precorre,onde/quando e
rime: sole/viole/suole, crine/vicine, snella/bella, gridando/saltando, imbruna/luna, face/tace,
gioia/noia, soave/grave, cotesta/festa. Sono presenti anche metonimie come “or la squilla dà
segno della festa che viene” vv. 20-21, in cui si intende il suono della campana della chiesa.