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COMMENTO

Francesca cerca di giustificare il suo amore

Tra la schiera dei morti per amore se ne segnalano due, perché godono del singolare privilegio di poter avanzare
in coppia, uniti dall’amore anche dopo la morte. Dante li chiama con espressioni affettuose e raffinate, ed essi
giungono, trepidanti e gentili come “colombe”. L’unica dei due a parlare con Dante è Francesca, mentre Paolo
tace e piange. Ella parla con estrema eleganza e cortesia di linguaggio: così esprime sia la delicatezza del suo
animo, sia la raffinatezza della vita di corte alla quale fu abituata prima della morte. La gentilezza di Francesca è
in contrasto con la situazione che la circonda: mentre gli altri dannati “bestemmian”, lei rimpiange di non poter
pregare Dio; inoltre, benché stia soffrendo, ella esprime il desiderio dolce e generoso che a Dante sia concessa la
pace.
Senza bisogno di altre sollecitazioni, Francesca parla di sé e della vicenda d’amore tra lei e Paolo: ma lo fa in
forma impersonale, come se esponesse delle leggi generali e incontrastabili del cuore umano, delle quali il loro è
solo un caso specifico. Per tre terzine di seguito il suo discorso inizia con il termine “Amor” (anafora),
trasformato in una forza autonoma ed esterna all’individuo, la quale:
a) inevitabilmente si impadronisce dei “cuori gentili” (“Amor; ch’al cor gentil ratto s’apprende”);
b) li costringe inevitabilmente a rispondere all’amore (“Amor, ch’a nullo amato amar perdona);
c) scaturisce fatalmente dalla bellezza (“prese costui de la bella persona / che mi fu tolta”; “mi prese del
costui piacer si forte”);
d) è una forza così potente da perdurare oltre la barriera della morte (“e ‘modo ancor m’offende”; “che,
come vedi, ancor non m’abbandona”).
Le prime due terzine anaforiche quindi, come si vede, sono strutturate con sapienza retorica in modo da
corrispondersi perfettamente (Pagliaro). In esse Francesca espone concisamente la concezione dell’amore tipica
dei trattati medievali, dei romanzi cortesi, della lirica provenzale e italiana - quindi di quella cultura di cui si era
nutrito anche Dante fino a quel momento. Ella si serve delle forme espressive tipiche di questo ambiente
culturale - in questo caso di una struttura ternaria che ricorda quella del ragionamento sillogistico usato dalla
Scolastica (Fubini). Poste le premesse che Amore è una forza irresistibile per chi è di cuore gentile ed è bello,
Paolo e Francesca - belli e gentili - necessariamente non potevano che innamorarsi, sembra voler sostenere qui
Francesca. Le parole di Francesca, più che descrivere la vicenda sua e di Paolo, tentano quindi di giustificarla, in
due modi: dapprima facendo un caso particolare di una legge d’amore universale, poi cercando di dimostrare
che l’amore è una forza irresistibile

La concezione letteraria dell’amor cortese può indurre al peccato.

Le parole di Francesca commuovono Dante, ma lo costringono anche a meditare profondamente: quell’amore


cortese, che lui stesso e molti poeti prima di lui avevano cantato come il sentimento più nobile e alto che possa
entrare nel cuore umano, può anche trasformarsi in istigazione al peccato e in causa di condanna eterna! Ma,
allora, l’amore esaltato da tutta la tradizione letteraria può anche non condurre l’anima all’elevazione spirituale,
bensì a cadere nel peccato!
Per accertarsi di queste conclusioni, Dante chiede a Francesca di raccontare più dettagliatamente il passaggio dal
sentimento d’amore al peccato di lussuria.
Francesca esordisce con una nuova massima generale (“Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice
/ ne la miseria”), che sembra una forma di pudica esitazione; poi racconta, e le sue parole confermano i timori di
Dante. Nell’ambiente raffinato e colto di una corte medievale, i due cognati furono spinti verso il peccato
proprio dalla letteratura, cioè dal romanzo di Lancillotto e Ginevra, che offrì loro il pretesto per passare dal
nobilitante sentimento dell’amor-virtù alla perdizione generata dall’amore-passione.

La pietà di Dante.

Di fronte a una vicenda individuale tanto tragica e alla scoperta dei drammatici risultati che può avere la dottrina
letteraria dell’amore cortese, Dante sente acuirsi ulteriormente la pietà che già provava e sviene.
Ma che cosa significa esattamente la pietà di Dante?
In primo luogo, la sua pietà esprime riconoscimento e compassione per la profondità del sentimento, per la
debolezza umana, per le sofferenze di Francesca e Paolo: neanche l’inferno cancella le qualità umane dei
peccatori danteschi, e anche qui Dante può quindi compatirli o ammirarli. Essa tuttavia non deve essere confusa
con l’accettazione dei motivi che li hanno spinti a peccare, o addirittura con una ribellione contro la giustizia
divina che ha condannato e che punisce il loro peccato. La critica romantica ottocentesca ha spesso stravolto in
questa direzione l’interpretazione di questo canto, facendo di Francesca un’eroina in lotta contro le convenzioni
del suo tempo o addirittura contro la legge divina: ma questa interpretazione è lontanissima dalla mentalità di
Dante, che poteva provare simpatia e pietà per l’essere umana anche se colpevole, ma mai mettere in
discussione la superiorità della giustizia di Dio.
In secondo luogo, la pietà di Dante è una forma di identificazione: egli riconosce nelle teorie amorose esposte da
Francesca le stesse convinzioni alla base delle sue opere precedenti, soprattutto della Vita nuova e delle Rime. In
questo canto della Commedia, descrivendo le peccaminose conseguenze a cui quelle teorie possono portare,
Dante evidentemente le nega e le supera: l’amore umano non è una forza ineluttabile e irresistibile, la ragione
può e deve opporsi ad esso; inoltre l’amore umano non necessariamente nobilita l’anima di chi lo prova. Nella
Commedia (soprattutto nel Purgatorio), Dante elabora una diversa concezione dell’amore, da opporre a quella
dello stilnovo: non è l’amore umano ma quello divino a essere irresistibile e nobilitante per l’uomo. Per questo
egli trasformerà la figura di Beatrice, da quella della “donna gentile” stilnovistica della Vìta Nuova, in quella
allegorica della donna-Teologia nella Commedia.

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