Sei sulla pagina 1di 7

UN QUINQUENNIO CON IL “METODO DIRETTO”

CONCLUSIONI PROVVISORIE

ARTURO MORETTI
Liceo Classico Statale “Paolo Sarpi”, Bergamo

Il mio intervento tenta di trarre un primo bilancio1 dall’esperienza di un quinquennio di


sperimentazione con il metodo Ørberg2 condotta presso il Liceo classico Paolo Sarpi di Bergamo.
La decisione di adottare questa metodologia nacque orami cinque anni fa dalla volontà di
sperimentare nuove vie per cercare di porre un rimedio all’esito palesemente fallimentare della
didattica delle lingue classiche, che, nell’istituto nel quale insegno, raggiunge punte dell’80% di
insufficienze sia in greco sia in latino.
In sostanza la situazione non era molto mutata rispetto a quanto denunciava la relazione
finale della Commissione Reale per l’ordinamento degli studi secondari in Italia nell’ormai lontano
1909, allorché scriveva: “Il metodo adottato nelle scuole italiane per l’insegnamento delle lingue
classiche è il più difficoltoso e il meno redditizio; serve poco alla conoscenza della lingua, serve
anche meno alla conoscenza dello spirito letterario; alla base del fallimento vi sono due errori di
fondo: il primo, ed è il più grave e il più frequente, e quindi anche quello che più comunemente
viene lamentato, è di prendere subito le mosse da un insegnamento sistematico della grammatica
per introdurre alla conoscenza della lingua, e poi di continuare ad insistere con esso come se
nell’apprendimento delle regole sue e nelle ripetute esercitazioni per applicarle consistesse tutta la
ragione dello studio della lingua, anzi l’essenza della lingua stessa. L’altro errore, pure frequente,
ma meno generale, è di estendere oltre la conoscenza e i bisogni propri alla scuola secondaria
l’erudizione filologica e l’analisi grammaticale, morfologica e sintattica, della parola, della frase,
del periodo, in guisa che la parola per sé diventi l’obiettivo principale dell’istruzione linguistica”.
Insieme a molti colleghi cominciai allora a frequentare alcuni corsi di aggiornamento e al
termine delle diverse esperienze ci parve di poter trarre alcune conclusioni. Occorreva, a nostro
giudizio, evitare in primo luogo di considerare lo studio delle lingue classiche come un mero
insieme di esercizi di grammatica e sintassi, sia pure col nobile obiettivo di rafforzare le
competenze nella lingua italiana. In secondo luogo, era necessario ridurre il tempo dedicato
all’analisi grammaticale per lasciare maggiore spazio alla lettura diretta di testi in latino. Infine, era
indispensabile valorizzare lo studio del lessico, probabilmente da sempre la parte più negletta dello
studio delle lingue classiche. Nel contempo, tuttavia, era da evitare il rischio di compromettere in
tal modo il rigore linguistico, con uno studio superficiale ed approssimativo della morfosintassi,
senza la quale non si dà la possibilità di uno studio serio di una lingua.
Il problema dell’apprendimento del lessico, come si è detto, appariva in questo contesto
fondamentale. Come scrive E. Mandruzzato, “lo studente, il solo sfortunato per cui il latino è un
obbligo, ha la sua grande prova nella traduzione in classe. È il giorno del vocabolario. (...) Durante
tutta la prova è compulsato freneticamente. Gran parte del tempo non viene dedicata alla dozzina di
righe del testo da tradurre, ma alla malversazione del lessico, ora febbrilmente compulsato, ora
meditato su colonnini fittissimi di vani suggerimenti. Che cosa soprattutto vi cerca, lo studente?
Cerca la “frase”. E qualche volta la trova, esultando, ma per lo più deve accontentarsi di succedanei
traditori. Gli esempi, tradotti in anticipo e promiscuamente, lo lasciano perplesso. Non pensa che la
frase vera, l’esempio più ambientato, è proprio quello che ha davanti agli occhi, nel testo che

1
Per un’autorevole bilancio sulla didattica con il metodo diretto si veda il lavoro di D. Piovan, Latino e greco come
lingue, in “Nuova secondaria” 23/2 (15 ottobre 2005), pp. 77-81.
2
H. H. Ørberg, Lingua Latina per se illustrata, Montella, Accademia Vivarium Novum 2003.

30
traduce”3. Parole non dissimili a quelle apparse su un numero del giornalino scolastico del mio
Liceo: “Con grande decisione - non preoccupatevi se è solo apparenza - afferrate la matita e iniziate
a fare cerchietti e trattini sul foglio (anche qualche barretta può essere utile). Siete a metà dell’opera
e non vi rimane che attendere le tanto attese parole: “Ora potete aprire il vocabolario”. Cercate,
cercate e cercate meglio che potete: gli Spartani produrranno zoccoli, la terra genererà cinghiali, e
in un momento di crisi tavxiı sarà tradotto con taxi!”
Stante la centralità che l’apprendimento del lessico riveste nell’ambito dei metodi cosiddetti
dell’induzione contestuale, era abbastanza naturale che la nostra attenzione fosse particolarmente
attratta da tale metodologia glottodidattica. Pesavano tuttavia, e ci frenavano, autorevoli giudizi
negativi espressi da alcuni studiosi. Sostiene ad esempio Piva che il metodo naturale determina una
serie di guasti didattici, poiché in primo luogo allontana lo studente dall’incontro con il mondo
latino attraverso l’analisi diretta dei testi originali e la riflessione sulla lingua intesa come sistema;
non riconosce poi alla lingua latina e al suo lessico il ruolo di madre della lingua italiana, in quanto
il metodo naturale ha origini scandinava e anglosassone; illude infine lo studente della facilità
dell’apprendimento del latino. In sintesi “i metodi diretti possono offrirci degli spunti laboratoriali,
anche per prendere confidenza con la lingua, ma non possono essere chiamati in causa per
addentrarci nel sistema latino”4. Ancora, durante il convegno “La cultura classica nella scuola
della riforma. Quali prospettive?” tenutosi a Milano presso l’IRRE Lombardia il 5 marzo 2004, il
prof. Flocchini sostenne che l’approccio alla lingua latina non deve essere finalizzato alla
comunicazione e quindi non richiede un uso attivo della lingua stessa, ma deve avvenire attraverso
la formalizzazione delle strutture che consentono di cogliere la lingua come sistema, di
evidenziarne le caratteristiche, di seguirne le trasformazioni e di stabilire un confronto fra latino e
italiano, facendo quindi leva sulla prospettiva contrastiva.
Un altro ordine di considerazioni era poi quello di alcuni colleghi i quali, sostanzialmente,
ammettevano da un lato l’improduttività della metodologia tradizionale, ma ne sostenevano nel
contempo l’utilità, posto che il fine dello studio delle lingue classiche non deve essere quello di
saper leggere ad aperturam libri un testo antico, ma quello di acquisire con rigore un metodo di
studio, spendibile poi in qualunque altro contesto. Queste considerazioni mi hanno sempre lasciato
perplesso, per molte ragioni. Ritengo infatti - con Gramsci5 - che il latino e il greco non possiedano,
in quanto tali, qualità intrinsecamente taumaturgiche. In altri termini, si deve accordare a queste
discipline lo stesso valore formativo che può essere attribuito a qualsiasi altra: il valore formativo
non dipende dalla disciplina in sé, ma dal modo in cui viene insegnata; anche il valore formativo di
una disciplina scientifica come la fisica può essere scientificamente nullo, se essa viene proposta in
maniera acritica e dogmatica. In ultima istanza, l’idea che la finalità dello studio delle lingue
classiche sia essenzialmente quello di contribuire alla costruzione di un metodo di studio rigoroso e
logico mi pare piuttosto debole. Viene altresì da chiedersi come da un metodo asseritamente
fallimentare nell’insegnare ciò che gli è specifico si possano trarre insegnamenti validi per lo studio
di altre discipline. In effetti, come scrive Miraglia: “Si dice che il latino sia una palestra logica, una
ginnastica mentale, che migliora la comprensione del proprio idioma, della grammatica, facilita
l’apprendimento delle lingue romanze, procura conoscenze storiche, contribuisce all’acquisto di
metodi e princìpi. Tutti, quale più, quale meno, risultano motivi piuttosto validi, anche se nessuno
riesce da solo a dare ragione della persistenza di un insegnamento che nei licei impegna in media 4-
5 ore alla settimana di lezione. Il più debole degli argomenti è quello che vorrebbe il latino
strumento unico per il rafforzamento delle capacità logiche, mentre non solo altre lingue moderne -
il tedesco, per esempio - potrebbero sortire lo stesso effetto, ma, qualora fosse questa la finalità
dell’insegnamento, si potrebbero sostituire le ore di latino con ore di logica formale o di logica
matematica, o, come diceva C. Marchesi, con il gioco degli scacchi. Raramente, e mai da sedi
istituzionali, si sente formulare quella che è la spiegazione più ovvia: al latino e al greco è stato

3
I segreti del latino (per ritrovare quello che abbiamo dimenticato), Milano 1991, p. 15.
4
A. Piva, Il sistema latino. Ricerca didattica e formazione degli insegnanti, Roma 2004, p. 200.
5
Quaderni dal carcere, Torino 1975, vol. III, pp. 1540-1550.

31
riservato un posto d’onore tra le materie insegnate nei nostri licei perché chi non conosce il latino e
il greco rimane escluso da quasi tutta la trasmissione culturale europea nel corso dei secoli in tutti i
campi, dal diritto alla filosofia, dalla medicina alla fisica, dalle scienze naturali alla teologia”6.
Alla fine, omnibus perpensis, mi decisi ad adottare Lingua Latina per se illustrata (e il
corrispettivo greco, Athénaze7), non prima di aver ottenuto garanzie dal dirigente scolastico che
avrei avuto la possibilità di accompagnare la classe per l’intero quinquennio e di aver dato a mia
volta garanzie che la sperimentazione sarebbe stata costantemente monitorata anche attraverso lo
svolgimento di prove parallele con altre classi. Giunti ormai quasi al termine del percorso è
possibile tracciare un primo bilancio, sia pur statisticamente non significativo. Quali parametri di
riferimento vorrei utilizzare quelli magistralmente indicati da K.J. Dover nella sua premessa a
Reading Greek: “There is one criterion and only one by wich a course for the learners of a language
no longer spoken should be judged: the efficiency and the speed with wich it brings them to the
stage of reading text in the original language with precision, understanding and enjoyment”8.
Il metodo ha evidenziato fin dall’inizio un notevole punto di forza: la motivazione degli
studenti. Essa è apparsa fin da subito molto forte, grazie al continuo coinvolgimento che il metodo
richiede allo studente. Da questo punto di vista risulta pienamente raggiunto il terzo obiettivo
indicato da Dover (enjoyment). Ovviamente, il fatto che il corso risulti accattivante, stimolante, per
certi aspetti ludico, presenta un rischio, cui si accennava anche sopra, quello cioè che lo studente
possa essere indotto a sottovalutare lo sforzo richiesto dallo studio delle lingue classiche. Un primo
modo per ovviare a questo pericolo consiste nel ricorso sistematico agli esercizi di manipolazione,
completamento, trasformazione attraverso i quali si può verificare la piena assimilazione delle
strutture morfologiche e sintattiche di volta in volta incontrate.
Naturalmente, un secondo punto di forza del metodo si è rivelato quello dell’apprendimento
del lessico, vero punctum dolens della didattica delle lingue classiche (e sotto questo aspetto risulta
soddisfatto il secondo criterio indicato da Dover, understanding). Al metodo, niente affatto
scomparso dalle aule liceali, delle “liste di vocaboli” si contestano giustamente alcuni limiti: esso
sfrutta infatti solo la memoria a breve termine, quella, tanto per intenderci, sollecitata dal timore
dell’interrogazione, e non produce una duratura memorizzazione; inoltre, non esiste una
corrispondenza biunivoca tra latino e italiano: che significato hanno termini come res o familia al di
fuori di un contesto? Infine, l’elenco meramente alfabetico non offre adeguati appigli mnemonici
che facilitino l’apprendimento e la memorizzazione a lungo termine.
Anche il metodo delle “famiglie etimologiche” appare molto interessante ai fini della
riflessione linguistica, ma poco produttivo per l’apprendimento di un vasto lessico di base, poiché
richiede conoscenze glottologiche del tutto assenti negli studenti delle classi ginnasiali: come può
uno studente del primo anno memorizzare termini quali travpeza o e{dra sulla base della loro
connessione etimologica con pou`" ed e{zomai?
Da questo punto di vista, il metodo proposto da Ørberg presenta notevoli vantaggi: innanzi
tutto, segue - sia pur con alcune non infrequenti eccezioni - il criterio frequenziale; in secondo
luogo, al posto del criterio etimologico utilizza le famiglie di parole (e sotto questo profilo, ritengo
per esperienza che sia più facile far memorizzare i due vocaboli sopra citati nell’ambito di un
modulo sul “lessico della casa”, piuttosto che sulla base delle rispettive etimologie); infine – ma
trattasi dell’aspetto più importante – il metodo presenta il pregio di introdurre gradualmente nuovi
vocaboli (nella misura del 10%-15% ad ogni capitolo) e nel contempo di riutilizzare continuamente
quelli già incontrati, così da fissarli saldamente nella memoria del discente anche nelle diverse
accezioni da essi possedute. Inoltre, il metodo, attraverso appunto l’induzione contestuale, stimola
lo studente a derivare il significato dei vocaboli nuovi (o le ulteriori accezioni di quelli già noti)
direttamente dal contesto in cui essi sono inseriti. In alternativa, laddove ciò non è possibile, esso

6
Come (non) si insegna il latino, Micromega, numero 5, 1996, pp. 217-233, in part. p. 224.
7
M. Balme G. Lawall L. Miraglia T. F. Bórri, Athènaze, Introduzione al greco antico, Montella, Accademia Vivarium
Novum 2002.
8
The Joint Association of Classical Teachers’Greek Course, Reading Greek, Text, Cambridge 1978, p. VII.

32
ricorre al sistema più antico (e quindi più “tradizionale”), quello in uso nei commentari antichi, la
glossa a margine. In tal modo lo studente (liberato da un terrore talvolta francamente ingiustificato
per i cosiddetti falsi amici, che inibiscono allo studente la traduzione di vocaboli quali crudelis,
discordia, dolor ecc. senza far ricorso al vocabolario) è affrancato in buona misura dalla dipendenza
dal vocabolario, la cui consultazione ritorna ad essere uno mezzo e non già quasi il fine della
traduzione. Nello specifico, le glosse ricorrono ad una serie di strumenti che facilitano l’induzione
del significato di un vocabolo: sinonimi, antonimi, derivati ecc. Al liceo classico è anche utilissimo
ricorrere a glosse in greco per spiegare vocaboli latini o vice versa. Quali strumenti di
consolidamento, il metodo ricorre poi ad una serie di esercizi sul lessico basati sul completamento
di vocaboli mancanti, sulla sostituzione con sinonimi, sulla risposta in lingua latina a brevi
domande elementari. Chiarisco fin d’ora che nella mia didattica l’uso attivo della lingua latina (e a
maggior ragione di quella greca) è rimasto molto limitato e confinato quasi esclusivamente al primo
anno di corso: infatti ritengo che il ridotto numero di ore disponibili al triennio, unitamente alla
vastità dei programmi di letteratura, non consenta un uso estensivo di tale prassi. Ho peraltro
rilevato che i colleghi che hanno optato per una soluzione opposta sotto questo profilo hanno poi
consegnato ai docenti del triennio una classe fortemente arretrata nello sviluppo del programma di
morfosintassi, causando in tal modo problemi non irrilevanti. Per quanto concerne l’uso del
dizionario, esso è stato introdotto solo nel secondo quadrimestre della quinta ginnasio ed è
comunque rimasto confinato ad alcuni momenti limitati, nel corso della verifiche in classe, fino a
tutta la prima liceo classico.
Pienamente condivisibile appare infine la gradualità con cui vengono affrontati gli
argomenti di morfologia e di sintassi, che vengono illustrati a mano a mano che se ne presenta la
necessità e secondo una giusta gerarchia di priorità. A titolo di esempio, trovo che sia
particolarmente felice la scelta di proporre, in greco, la prima declinazione dopo la seconda – molto
più semplice dal punto di vista morfologico – oppure di anticipare la trattazione dell’aoristo rispetto
a quella dell’imperfetto, oppure di rimandare alla fine del secondo anno la morfologia del duale.

Accanto a questi pregi, il metodo ha presentato fin dall’inizio alcuni rischi, almeno potenziali.
In primo luogo, a fronte della relativa inadeguatezza dell’apparato di spiegazioni di
morfologia e sintassi presenti nel testo di Ørberg, conformemente ad una prassi invalsa in molti altri
istituti, si è fatto ricorso ad una grammatica di riferimento. In tal modo si è garantita l’esigenza di
sistematicità nel fornire un profilo adeguato della morfosintassi, integrando altresì quello che poteva
essere considerato carente ai fini del conseguimento del criterio della precision indicato da Dover.
In secondo luogo, uno dei limiti del metodo, almeno così come esso viene presentato, è
costituito dal cosiddetto “sistema chiuso”. Infatti, il volume Familia Romana (così come il
corrispettivo primo volume di Athénaze) tende a riproporre continuamente le stesse strutture
morfosintattiche, perlopiù troppo semplici ancora alla fine del volume9: lo studente, abituato ad
esse, se posto di fronte ad un tema di versione tratto da un tradizionale versionario si sente sbalzato
in un altro mondo e non è in grado né di comprenderlo né di tradurlo. Per evitare tale pericolo, si è
fatto ricorso allo stesso sistema adottato da Ørberg: ho cioè utilizzato altri testi, traendoli da
versionari comunemente in uso in Italia oppure da corsi editi in paesi di lingua anglosassone
(Oxford Latin Course, Cambridge Latin Course, Reading Greek) e glossando, secondo il metodo
più sopra indicato, i vocaboli sconosciuti10. In tal modo si evita il rischio del sistema chiuso, si
amplia ulteriormente il lessico di base e si arricchisce la quantità di strutture sintattiche note al
discente. Tra l’altro, il metodo è stato utilizzato anche al triennio per sopperire alla grave mancanza
di testi disponibili, non tanto per latino quanto per greco: ne è un esempio il XXI libro dell’Odissea

9
Altrettanto ingannevolmente semplici sono le verifiche proposte nella guida per l’insegnante. In realtà, a giudizio di
chi scrive, il primo volume del corso dovrebbe essere svolto in poco più di un quadrimestre, utilizzando i testi proposti
come strumento per la memorizzazione del lessico e ricorrendo ad altri testi opportunamente glossati per lo sviluppo
della sintassi.
10
Si veda un esempio all’allegato 1.

33
allegato al presente lavoro (all. 2), che è stato integralmente tradotto nel corso dell’a.s. 2006/2007
quasi senza far ricorso al vocabolario.
Con questo, si tocca uno dei limiti più rilevanti del sistema, ovvero la mancanza di testi
d’autore. Infatti, se per la lingua latina il tomo Roma aeterna e i diversi volumetti editi dalla casa
editrice Vivarium Novum consentono di affrontare in lingua originale molti autori (Plauto, Cesare,
Cicerone, Sallustio, Nepote, Livio, Virgilio, Orazio, Lucrezio, Petronio, Eutropio ecc.), per la
lingua greca il panorama è ancora piuttosto scarno, benché forse qualcosa si stia finalmente
muovendo anche su questo versante.
Volendo trarre un bilancio complessivo dell’esperienza sin qui condotta, costantemente
monitorata attraverso la somministrazione di prove di verifica parallele a quelle di altre classi che
utilizzavano metodologie diverse, posso affermare che l’esito è stato nel complesso estremamente
positivo fino a tutto il terzo anno di corso. Successivamente, i risultati sono apparsi sensibilmente
più modesti, verosimilmente per le stesse ragioni per cui il fenomeno si riscontra nella generalità
delle classi: l’ampiezza sempre maggiore del programma di letteratura e la progressiva riduzione
del tempo disponibile per l’esercizio di lettura in lingua. Oltre a ciò, non c’è dubbio che il maggior
spazio necessariamente concesso all’uso del vocabolario ha avuto un effetto negativo sulla
memorizzazione del lessico, con la conseguenza che in alcuni studenti si è riproposta la tanto
deprecata dipendenza dal dizionario.
Tuttavia, pur con questi limiti (e si dovrebbe peraltro verificare se essi siano imputabili alla
metodologia o piuttosto a chi l’ha applicata), devo apertamente ammettere che i miei studenti,
durante questo quinquennio, hanno letto in lingua originale una quantità di testi che non ero mai
riuscito a far leggere in precedenza; credo sia sufficiente citare il programma svolto nel corso
dell’a.s. 2006/2007 per averne un’idea: la Vita Hannibalis di Cornelio Nepote; una quarantina di
capitoli di Livio; una sessantina di capitoli da Sallustio; la Prima orazione catilinaria di Cicerone e
alcuni passi dalla terza; circa 700 versi dall’Anfitrione di Plauto; l’intero XXI libro dell’Odissea e il
“Mito delle cinque età” dalle Opere e i Giorni di Esiodo.

Alla domanda se ripeterei l’esperienza credo di poter ora rispondere affermativamente, ma solo con
i correttivi che ho precedentemente illustrato. Mi piacerebbe in tal senso terminare l’intervento
citando le conclusioni dello studio di Dino Piovan ricordato più sopra, con le quali si concorda
pienamente: “L’esperienza fatta finora induce a credere che la pratica della lingua che caratterizza il
metodo diretto, cui concorrono tanti e diversi fattori (le lunghe letture graduate, l’apprendimento
lessicale, la pratica attiva), se non disgiunte da una adeguata riflessione grammaticale, permette di
imparare di più e con più efficacia”11.

11
D. Piovan, Latino cit., p. 81.

34
ALLEGATO 1

Il tradimento di Tarpea

Olim1 , dum2 Romae Romulus regnat, asperum bellum inter Romänos et Sabïnos pugnätur ,
et Romanörum victoria dubia est. Capitolium autem Sabïnis resistit, quia valde3 a Spurio
Tarpeio, probo atque strenuo4 viro, custodïtur. Tarpeius pulchram filiam habet, nomine5
Tarpeia, quam maxime6 delectant Sabinörum ornamenta: nam Sabïni armillas aureas in
bracchiis sinistris gerunt7 . Propterea8 , Tarpeia conloquium a Tito Tatio, Sabinörum rege,
petit et ei promittit: "Capitolii ianuas9 clam10 aperio, si 11 mihi das ornamenta quae in bracchiis
sinistris habëtis". Tatius consentit et nocte12 Sabïni, magno cum silentio, ad Capitolii ianuas
perveniunt. Tarpeia ianuas apèrit et praemium requïrit13 , sed Sabïni puellam clipeis14
obruunt15 : in sinistris bracchiis enim non tantum armillas, sed etiam clipeos gerunt. Sic
Tarpeia ob nimiam16 avaritiam punïtur.

1
Avv. = una volta.
2
Dum = ejn w|./
3
valde (avv.) = ajndreivw".
4
Strenuus, -a, -um = ajndrei'o".
5
nomine (da nomen, nominis, n.) = ojnovmati.
6
Maxime (avv.) = mavlista
7
Gerunt (III con.) = portant.
8
Propterea = quare = dia; tou'to.
9
Ianua , -ae = porta, -ae.
10
Clam (avv.) = di nascosto.
11
Si = eij.
12
Da nox, noctis (femm.): di notte.
13
Requirit = richiede.
14
Clipeus, -i (masch.) = scudo.
15
Obruo (III con.) = seppellire, sommergere, ricoprire.
16
Nimius, -a, -um ha la stessa radice dell'avv. nimis, che abbiamo già incontrato.

35
ALLEGATO 2

ODUÇÇEIAÇ F

Th'/ d∆ a[r∆ ejpi; freçi; qh'ke qea; glaukw'piç ∆Aqhvnh, glaukw'pi",-ido" = caeruleos oculos
habens
kouvrh/ ∆Ikarivoio, perivfroni Phnelopeivh/, perivfrwn = swfronevstato"
tovxo",-ou = arcus
tovxon mnhçthvreççi qevmen poliovn te çivdhron mnhsthvr, -o" = o}" gamei'sqai bouvletai
qevmen = qei'nai
ejn megavroiç∆ ∆Oduçh'oç, ajevqlia kai; fovnou ajrchvn. poliov" = albus, canus
ajevqlion = a\qlon
klivmaka d∆ uJyhlh;n proçebhvçeto oi|o dovmoio, 5 klhiv" < kleivw
eujk amphv",-ev" = rotundus
ei{leto de; klhi'd∆ eujkampeva ceiri; paceivh/, pacuv" = mevg a", ijscurov"
kwvph = impugnatura
kalh;n calkeivhn: kwvph d∆ ejlevfantoç ejph'en.
bh' d∆ i[menai qavlamovnde çu;n ajmfipovloiçi gunaixi;n i[menai = ijevnai
a[nax,-kto"
e[çcaton: e[nqa dev oiJ keimhvlia kei'to a[naktoç,
calkovç te cruçovç te poluvkmhtovç te çivdhroç. 10 poluvkmhto" = pollh'/ spoudh'/ ejrgazovmeno"
hjdev = kaiv
e[nqa de; tovxon kei'to palivntonon hjde; farevtrh ijodovko" = sagittas recipiens
stonovei",-essa,-en = o}" stenavzein poiei'
ijodovkoç, polloi; d∆ e[neçan çtonoventeç oji>çtoiv, oji>çtov" = sagitta
Lakedaivmwn,-ono" = Spavrth
dw'ra tav oiJ xei'noç Lakedaivmoni dw'ke tuchvçaç tuchvsa" = tucwvn (tugcavnw =
ejntungcavnw)
“Ifitoç Eujrutivdhç, ejpieivkeloç ajqanavtoiçi. ejpieivkelo" = oJmoi'o"

tw; d∆ ejn Meççhvnh/ xumblhvthn ajllhvloii>n 15 twv = “Ifitoç kai; ∆Odusseuv"


xumblhvthn = convenerunt
oi[kw/ ejn ∆Ortilovcoio dai?fronoç. h\ toi ∆Oduççeu;ç dai?frwn = swvfrwn
metav = diav
h\lqe meta; crei'oç, tov rJav oiJ pa'ç dh'moç o[felle: crei'o",-ou" = debitum, mutuum
rJav = igitur
mh'la ga;r ejx ∆Iqavkhç Meççhvnioi a[ndreç a[eiran aj(e)ivrw = ajrpavzw
poluklhvi" = su;n pollai'" kwvpai"
nhuçi; poluklhvi>çi trihkovçi∆ hjde; nomh'aç. nomeuv" = poimhvn

tw'n e{nek∆ ejxeçivhn pollh;n oJdo;n h\lqen ∆Oduççeuvç, 20


ejxesivhn ejlqei'n = in legationem ire
paidno;ç ejwvn: pro; ga;r h|ke path;r a[lloi te gevronteç: paidnov" = pai'"
au\te = dev
“Ifitoç au\q∆ i{ppouç dizhvmenoç, ai{ oiJ o[lonto divzhmai = zhtevw
qh'lu",-eia,-u
dwvdeka qhvleiai, uJpo; d∆ hJmivonoi talaergoiv: uJpov = avv.
talaergov" = to; e[rgon fevrwn (< > ajrgov")
ai} dhv oiJ kai; e[peita fovnoç kai; moi'ra gevnonto,
moi'ra = (kakh;) tuvc h
ejpei; dh; Dio;ç uiJo;n ajfivketo karterovqumon, 25 ajfiknevomai + acc.
fwv" (fw'" = lux) ,-tov" = a[nqrwpo", qnhtov"
fw'q∆ ÔHraklh'a, megavlwn ejpiivçtora e[rgwn, ejpiivstwr,-o" = peritus

o{ç min xei'non ejovnta katevktanen w|/ ejni; oi[kw/,


ejniv = ejn
çcevtlioç, oujde; qew'n o[pin aijdevçat∆ oujde; travpezan,
scevtlio" = mw'ro"
th;n h{n oiJ parevqhken: e[peita de; pevfne kai; aujtovn, o[pi", -ew" = timwriva
aijd evomai = timavw
i{ppouç d∆ aujto;ç e[ce kraterwvnucaç ejn megavroiçi. 30 pevfnw = kteivnw
karterw'nux = fortes habens ungues

36

Potrebbero piacerti anche