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IOTA UNO

Romano Amerio

(Versione corretta. Settembre 2011)


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ii

1 La crisi 1.1 1
Chiarimenti sul lessico e sul metodo 1.2 1
Negazione della crisi 1.3 2
Errore del cristianesimo secondario 1.4 La 2
crisi come disadattamento 1.5 3
Adattamenti dell'opposizione della Chiesa al mondo 1.6 4
Approfondimenti sulla negazione della crisi 5
1.7 Il Papa riconosce la disastro 1.8 6
Pseudo-positività della crisi. Falsa teodicea 1.9 Nuove 7
confessioni della crisi 1.10 Interpretazioni 8
positive della crisi. Falsa Teodicea 1.11 Altro sulla Falsa Teodicea 9
10

2 Sintesi storica. Le crisi della Chiesa 2.1 Le crisi della 13


Chiesa. Gerusalemme (anno 50) 13
2.2 La crisi di Nicea (anno 325) 14
2.3 Le deviazioni del Medioevo 2.4 La crisi 15
della secessione luterana. Ampiezza ideale del cristianesimo 2.5 Maggiori 16
informazioni sull'ampiezza ideale del cristianesimo. I suoi limiti 2.6 18
Negazione del principio cattolico nella dottrina luterana 2.7 20
Approfondimenti sull'eresia di Lutero. La bolla Exsurge, Domine 2.8 Il 21
principio di indipendenza e gli abusi della Chiesa 2.9 Perché la 22
casistica non ha costituito una crisi della Chiesa 2.10 La rivoluzione 23
francese 2.11 Il principio di 24
indipendenza. L'Auctorem Fidei 2.12 La crisi della Chiesa nella 26
rivoluzione francese 2.13 Il Sillabo di Pio IX 2.14 Lo spirito 28
del secolo. Alessandro Manzoni 29
2.15 La crisi modernista. Il secondo Syllabus 2.16 La 32
crisi preconciliare e il terzo Syllabus 2.17 La Humani 33
Generis (1950) 36
37

3 La preparaci´on del Concilio 39


3.1 Il Concilio Vaticano II. La tua preparazione 39
3.2 Parad´ojica resoluci´on del Concilio 41
3.3 Ancora sull'esito paradossale del Concilio. Il Sinodo Romano 45
3.4 M´as sobre la resoluci´on parad´ojica del Concilio. La Sapienza degli Antichi 47
3.5 Le finalità del Concilio Vaticano I 50
3.6 Le finalità del Vaticano II. Pastoralità 51
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iii

3.7 Le attese sul Concilio 3.8 Le previsioni del 53


card. Montini. Il suo minimalismo 3.9 Previsioni catastrofiche 56
57

4 Lo sviluppo del Concilio 4.1 Il 59


discorso inaugurale 4.2 Il 59
discorso inaugurale. Poliglotismo testuale e polisemia 4.3 Il 62
discorso inaugurale: un nuovo atteggiamento nei confronti 64
dell'errore 4.4 Rifiuto del Concilio preparato. La rottura della legalità conciliare 66
4.5 Approfondimenti sulla rottura della legalità 68
conciliare 4.6 Conseguenze della rottura della legalità 70
4.7 L'operato del Papa nel Vaticano II. La Nota prævia 4.8 72
Approfondimenti sull'azione papale al Vaticano II 4.9 74
Sintesi del Concilio nel discorso di chiusura della quarta sessione 76

5 Il postconcilio 5.1 Il 79
superamento del Concilio. Lo spirito del Concilio 5.2 Il 79
superamento del Concilio 5.3 80
L'ermeneutica del Concilio degli innovatori 5.4 82
Approfondimenti sull'ermeneutica innovativa del Concilio 83
5.5 I caratteri del postconcilio. L'universalità del cambiamento 5.6 85
Approfondimenti sul postconcilio 88
5.7 Impossibilità di un cambiamento radicale nella 91
Chiesa 5.8 Approfondimenti sull'impossibilità di un 92
rinnovamento radicale 5.9 Denigrazione 95
della Chiesa storica 5.10 Critica della 97
denigrazione della Chiesa 5.11 Falso senno di poi sulla Chiesa primitiva 99

6 La Chiesa postconciliare. Paolo VI 6.1 Santità 101


della Chiesa. Il principio dell'apologetica 6.2 La cattolicità 101
della Chiesa 6.3 L'unità della Chiesa 103
postconciliare 6.4 La Chiesa disunita dalla 104
gerarchia 106
6.5 Desuni´on de la Iglesia en torno a Humanae Vitae 108
6.6 Ancora sulla disunità della Chiesa attorno all'Enciclica di Paolo VI 111
6.7 Lo scisma olandese 113
6.8 La revoca dell'autorità. Una confidenza di Paolo VI 115
6.9 Parallelismo storico tra Paolo VI e Pio IX 118
6.10 Governo e autorità 119
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iv

6.11 Ancora sull'abbandono dell'autorità 6.12 Il 121


carattere di Paolo VI. auto ritratto. Cardinal Gut 123
6.13 Sic et non en la Iglesia postconciliare 125
6.14 Maggiori informazioni sulla rinuncia all'autorità. La riforma del Sant'Uffizio 126
6.15 Critiche alla riforma del Sant'Uffizio 128
6.16 Variazione della Curia romana. Mancanza di rigore 130
6.17 Ancora sulla trasformazione della Curia romana. Fallimenti culturali 6.18 Il 132
ripiegamento della Chiesa nei rapporti con gli Stati 6.19 Ancora sulla 134
revisione del Concordato 6.20 La Chiesa di Paolo 136
VI. I discorsi del settembre 1974 6.21 Intermittente irrealismo di Paolo VI 138
140

7 La crisi del sacerdozio 7.1 La 145


defezione dei sacerdoti 7.2 La 145
legittimazione canonica della defezione sacerdotale 7.3 Tentativi 147
di riforma del sacerdozio cattolico 7.4 7.5 Sacerdozio 149
Critica della critica al sacerdozio cattolico. Don Mazzolari 151
universale e sacerdozio ordinato 7.6 Critica all'adagio 152
ÿ ÿil sacerdote è un uomo come gli altriÿÿ 154

8 La Chiesa ei giovani Variazione 157


dei nella Chiesa postconciliare in tema di giovani 8.1 8.2 Caratteristiche 157
giovani. Critica della vita come gioia 8.3 I discorsi di Paolo VI ai giovani 8.4 158
Ancora sulla giovinezza della Chiesa. vescovi 159
svizzeri 161

9 La Chiesa e le donne 165


9.1 Chiesa e femminismo 165
167 Critica del femminismo. Femminismo come mascolinismo 9.2
9.3 Teologia femminista 170
9.4 La tradizione egualitaria della Chiesa 171
9.5 La subordinazione della donna nella tradizione cattolica 173
9.6 Apologia della dottrina e della prassi della Chiesa riguardo alle donne 175
9.7 Elevazione della donna nel cattolicesimo 177
9.8 La decadenza dei costumi 179
9.9 Filosofia del pudore. La vergogna della natura 181
9.10 La vergogna della persona. Reich 182
9.11 Documenti episcopali sulla sessualità 183
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In

Somatolatria e penitenza 10 187


10.1 Somatolatria moderna e Chiesa 10.2 Lo 187
sport come perfezione della persona 10.3 Lo sport 189
come stimolo alla fraternità 10.4 La somatolatria 191
nei fatti Spirito di penitenza e mondo 193
moderno 10.5 10.6 La nuova disciplina 195
penitenziale 10.7 Eziologia della riforma 197
penitenziale 10.8 Penitenza e obbedienza 199
201

11 Movimenti religiosi e sociali 203


11.1 Abbandono dell'azione politica e sociale 203
11.2 Scomparsa o trasformazione dei partiti cattolici 205
11.3 Il ritiro della Chiesa nella campagna d'Italia 207
11.4 La Chiesa e il comunismo in Italia. Le condanne del 1949 e del 1959 209
11.5 Chiesa e comunismo in Francia 211
11.6 Ancora sui cristiani impegnati 213
11.7 Debolezza dell'antitesi 214
11.8 Principi e Movimenti in Pacem e Terris 216
11.9 Sull'esistenza di un socialismo cristiano. Toniolo. Curci 219
11.10 La dottrina del P. Montuclard e la desostanza della Chiesa 220
11.11 Passaggio dall'opzione marxista alla teologia della liberazione 223
11.12 Giudizio sul documento dei diciassette vescovi 225
11.13 Ancora sulle opzioni dei cristiani. Mons. Fragoso 11.14 226
Esame della dottrina di mons. Fragoso 11.15 228
Sostegno alla dottrina dei diciassette vescovi 229

12 scuola 231
12.1 La scuola nella Chiesa postconciliare 231
12.2 Necessità relativa della scuola cattolica 12.3 232
Il documento del 16 ottobre 1982 12.4 Rifiuto 233
cattolico della scuola cattolica. Mons. Leclerq 12.5 Pedagogia 235
moderna. Catechesi 12.6 La nuova 239
pedagogia 12.7 Conoscenza 240
del male nella dottrina cattolica 12.8 Insegnamento e 241
autorità. catechismo 242
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Noi

13 Catechesi 13.1 Lo 245


scioglimento della catechesi. Il sinodo dei vescovi del 1977 13.2 Lo 245
scioglimento del catechismo. Padre Arrupe. Il cardinale Benelli 13.3 Lo 246
scioglimento della catechesi. Le Du. Carlotta. Mons. Orchampt 13.4 248
Rinnovo e inedia della catechesi in Italia 13.5 Il congresso 251
dei catechisti romani intorno al Papa 13.6 Antitesi della nuova 252
catechesi con gli orientamenti di GP II 13.7 Catechesi senza catechesi 253
13.8 Restauro della catechesi 257
cattolica 257

14 Ordini religiosi 14.1 Gli ordini 259


religiosi nella Chiesa postconciliare 14.2 Alterazione dei 259
principi. Stabilità 14.3 La variazione fondamentale 14.4 261
Le virtù religiose nella riforma 263
postconciliare 14.5 Povertà e obbedienza 14.6 Nuovo 265
concetto di obbedienza 267
religiosa 14.7 L'insegnamento di Rosmini 268
sull'obbedienza religiosa 14.8 Obbedienza e vita comunitaria 269
271

15 Pirronismo 15.1 273


Fondamento teologico del discorso 15.2 273
Pirronismo nella Chiesa 15.3 275
L'invalidazione della ragione. Sullivan. Negazione della certezza 15.4 277
Altro sull'invalidazione della ragione 278

16 Il dialogo 281
16.1 Dialogo e discussionismo nella Chiesa postconciliare 281
16.2 Filosofia del dialogo 283
16.3 Dialogo inadeguato 285
16.4 Le finalità del dialogo. Paolo VI. La segreteria per i non credenti 286
16.5 Sul fatto che il dialogo sia sempre arricchimento 287
16.6 Il dialogo cattolico 288

17 Mobilismo 17.1 Il 291


mobilismo nella filosofia moderna 17.2 La 291
critica del mobilismo. Ugo Fosco. Kolbenheyer 17.3 Il 292
mobilismo nella Chiesa 17.4 Il 293
mobilismo e il mondo del volo. Sant'Agostino 17.5 Il 294
mobilismo nella nuova teologia 17.6 Il 295
mobilismo nell'escatologia 298
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vii

18 La virtù della fede 18.1 299


Rifiuto della teologia naturale. Carta. Garrone. Pisoni 18.2 La virtù 299
teologale della fede 18.3 Critica della 301
fede come ricerca. Lessing 18.4 Critica della fede 302
come tensione. I vescovi francesi 18.5 Ragione e certezza della 303
fede. Alessandro Manzoni 304

19 La virtù della speranza 19.1 307


Ibridazione di fede e speranza 307

20 La virtù della carità 20.1 Concetto 311


cattolico di carità 20.2 La vita come 311
amore. Ugo Spirito 20.3 L'amore e la legge 312
20.4 La negazione della 313
legge naturale. Sartre 20.5 Appello alla dottrina 315
cattolica 20.6 Maestà e vilipendio della 316
legge naturale 317

21 Legge naturale 21.1 La 319


legge naturale come tabù. Carta. suono. Hume. Critica 21.2 La legge 319
come creazione dell'uomo. Dum'ery 21.3 Rifiuto della 320
legge naturale da parte della società civile 322

22 Divorzio 22.1 323


Divorzio. Arcivescovo Zoghi. Il patriarca Maximos IV al Concilio 22.2 Ancora su 323
Maximos IV. L'espressione ÿÿumanamente parlandoÿÿ 326
22.3 Il valore dell'indissolubilità 327

23 Sodomia 23.1 331


Sodomia 331

24 Aborto 24.1 La 333


formazione del feto 333
24.2 La nuova teologia dell'aborto. Gesuiti di Francia 335
24.3 Approfondimenti sulla nuova teologia dell'aborto 337
24.4 Radice ultima della dottrina dell'aborto. Teoria della potenza e legge 339

25 Suicidio 25.1 343


Suicidio 343
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viii

26 La pena di morte 26.1 La 345


pena di morte 26.2 345
Opposizione alla pena capitale 26.3 346
Variazione dottrinale della Chiesa 26.4 347
Inviolabilità della vita. Essenza della dignità umana. Pio XII 350

27 Guerra 27.1 353


Cristianesimo e guerra 27.2 353
Pacifismo e pace. Carta. poma. Paolo VI. Giovanni Paolo II 27.3 355
La dottrina del Vaticano II 27.4 Le 356
aporie della guerra 27.5 Le 358
aporie della guerra moderata 27.6 360
Rimozione dell'aporia della guerra nella società etnarchica 361

28 Moralità della situazione 28.1 363


Moralità della situazione 28.2 363
Critica della creatività della coscienza 28.3 365
Moralità della situazione come moralità dell'intenzione. Abelardo 367
28.4 Se la morale cattolica impedisca il dinamismo della coscienza 369

29 Globalità e gradualità 29.1 La 371


morale della globalità 29.2 371
Puntualità della vita morale 29.3 372
Critica della globalità 29.4 La 373
morale della gradualità 375

30 L'autonomia dei valori 30.1 Teleologia 377


antropocentrica di Gaudium et Spes, 12 e 24 30.2 Critica della 377
teleologia antropocentrica. Prov. 16,4 30.3 L'autonomia dei 378
valori mondani 30.4 Il senso autentico 379
dell'autonomia naturale 30.5 Dove si risolve 380
un'obiezione 382

31 Lavoro, tecnica e contemplazione 385


31.1 Antropocentrismo e tecnica. Il lavoro come dominio della terra... 385
31.2 La tecnica moderna. Manipolazione genetica 386
31.3 Lo sbarco dell'uomo sulla Luna 388
31.4 Nuovo concetto di lavoro. L'enciclica Laborem excercens 389
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ix

31.5 Cristo come uomo del lavoro. Critica 31.6 Il 391


lavoro come autorealizzazione dell'uomo. Critica 31.7 392
Distinzione tra speculativo e pratico 31.8 Superiorità 394
della contemplazione sul lavoro 395

32 Civiltà secondarie e cristianesimo 397


32.1 Civiltà della natura e civiltà della persona... 397
32.2 La città del diavolo, la città dell'uomo, la città di 398
Dio 32.3 El cristiania secundario. Confusi´on entre religi´on y civilizaci´on 400
32.4 Cr´ÿtica del cristianía secundario 32.5 402
Iglesia y civilizaci´on en el postconcilio 32.6 403
Catolicismo y gesuitismo 32.7 El 404
mito del gran inquisidor 405

33 Democrazia nella Chiesa 407


33.1 I principi del 1789 e la Chiesa 407
33.2 Variazione della dottrina intorno alla democrazia 408
33.3 Esame del sistema democratico. Sovranità popolare. Concorso 410
33.4 Esame di democrazia. Fallacia della sineddoche 411
33.5 Esame di democrazia. Maggioranza dinamica. Partiti 33.6 412
Chiesa e democrazia 33.7 413
Influenza dell'opinione pubblica nella vita della Chiesa 33.8 414
Nuova funzione dell'opinione pubblica nella Chiesa 33.9 415
Conferenze episcopali. Sinodi 33.10 Sinodi 417
e Santa Sede 33.11 Spirito e 419
stile dei sinodi. Il forum svizzero del 1981 420

34 Teologia e filosofia nel postconcilio 423


34.1 Filosofia e teologia nel cattolicesimo 34.2 423
La deturpazione del tomismo. Schillebeeckx 34.3 424
Attualità e perennità del tomismo. Paolo VI 34.4 Il rifiuto 425
postconciliare del tomismo 34.5 Il tomismo 426
teologico nella Chiesa postconciliare 34.6 Il pluralismo 427
teologico nella tradizione 34.7 Il pluralismo 429
teologico degli innovatori 34.8 Dogma e sue 430
espressioni 34.9 Teologia e 432
magistero. Hans Kung 434
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35 ecumenismo 437
35.1 La variación en el concepto del ecumenismo. L'Istruzione del 1949 437
35.2 La variación conciliar. Furfante. Carta. Bea 438
35.3 Ecumenismo postconciliare. Paolo VI. La segreteria del sindacato 440
35.4 Conseguenze dell'ecumenismo postconciliare 442
35.5 Carattere politico dell'ecumene 35.6 443
Incoerenza del metodo ecumenico 35.7 445
Scivolamento verso l'ecumene dei non cristiani 35.8 Carattere 445
naturalistico dell'ecumenismo per i non cristiani 35.9 Teoria dei 447
cristiani impliciti nel nuovo ecumenismo 35.10 Critica del nuovo 449
ecumenismo 35.11 Conversione della 450
religione in civiltà 35.12 Influenza della psicologia 452
moderna sul nuovo ecumenismo 35.13 La summa del nuovo ecumenismo 453
in due articoli dell'OR 454
35.14 Critica del nuovo ecumenismo 456
35.15 Debolezza teologica del nuovo ecumenismo 458
35.16 Stato reale dell'ecumenismo 458

36 I sacramenti. Il battesimo 463


36.1 Variazioni nella teologia dei sacramenti 36.2 La 463
pratica del battesimo nei secoli 36.3 Tendenza innovativa 464
a soggettivare il battesimo 36.4 Battesimo ÿÿin fide parentumÿÿ 465
467

37 L'Eucaristia 37.1 469


L'Eucaristia nel dogma cattolico 37.2 469
Teologia dell'Eucaristia 37.3 470
Nuova teologia dell'Eucaristia 37.4 La 471
scomparsa dell'Adorazione 37.5 472
Adorazione eucaristica Extraliturgical 473
37.6 La degradazione del sacre 37.7 il 474
ÿÿvendumÿÿ e il ÿÿtrendumÿÿ di ÿÿtremendum di l'Eucaristia 476
37.8 Sacerdozio e sinassi eucaristica 478
37.9 Analisi dell'articolo 7 480
37.10 Degradazione del sacerdozio nell'Eucaristia. Carta. Poletti 37.11 481
Preponderanza della sinassi sul Sacramento 482

38 La riforma liturgica 38.1 La 485


riforma liturgica 38.2 Latinità 485
e popolarità della liturgia 38.3 I valori della 486
latinità nella Chiesa 487
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xi

38.4 Immutabilità relativa. Seleziona carattere della lingua latina 490


38,5 La neovulgata liturgica 491
38.6 La neovulgata liturgica. Variazioni lessicali. Pelagio va in onda 492
38.7 Neovulgata Liturgica. Anfibolog´ÿas dogmaticas 494
38.8 Sconfitta assoluta del latino 495
38.9 Critica dei principi della riforma liturgica 38.10 Il principio 498
della creatività 38.11 Passaggio dal 500
sacro al teatrale 38.12 Passaggio dal pubblico 502
al privato 38.13 Bibbia e liturgia 38.14 505
Eccesso e deformità del 506
neovulgato 38.15 Altare e tavola nella liturgia riforma 509
liturgica 38.16 L'altare rivolto al popolo 38.17 La 510
nuova architettura sacra 38.18 511
Sintesi della riforma liturgica 513
515

39 Il sacramento del matrimonio 517


39.1 Nuovo concetto di amore coniugale e matrimonio 39.2 Il primario 517
e il secondario nei valori del matrimonio 39.3 Prevalenza della finalità 519
procreativa nella dottrina tradizionale 39.4 Matrimonio e contraccezione 520
39.5 Critica della teologia della 522
contraccezione 524

40 Teodicea 527
40.1 Nuova teodicea 527
40.2 Nuova concezione della causalità divina. Vescovi di Francia 528
40.3 Variazione nella dottrina della preghiera 529
40.4 Provvidenza e calamità 531
40.5 Origine morale del dolore umano 532
40.6 Il male della morte 534
40.7 Preparazione alla morte e oblio della morte 534
40.8 Morte imprevista. Pio XI 536
40.9 La morte come giudizio 40.10 537
Giustizia e misericordia nella morte cristiana 40.11 Oblio 538
dell'idea di giudizio 40.12 Dignità della 540
sepoltura nel rito cattolico 40.13 Degradazione della 541
sepoltura 40.14 Cremazione 543
544
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xii

41 Escatologia 547
41.1 Compimento dell'assiologia. L'inferno 41.2 547
L'apologia dell'inferno 41.3 549
L'eternità dei castighi 41.4 L'inferno 551
come pura giustizia 553

42 Ep´ÿlogo 557
42.1 Variazione come ÿÿsceltaÿÿ. Verità concepita e verità sentita 557
42.2 L'invariabilità del dogma 558
42.3 La sostanza trascritta dagli innovatori come modalità 559
42.4 La perdita dell'unità nella Chiesa 562
42.5 Opposizione al dogma e indifferenza 563
42.6 Perdita dell'unità di culto 566
42.7 Perdita dell'unità di regime. Deromanizzazione del Sacro Collegio 569
42.8 Sinossi della Chiesa nel mondo contemporaneo 571
42.9 Crisi della Chiesa e crisi del mondo contemporaneo 575
42.10 Declino dell'influenza sociale della Chiesa nel mondo 578
42.11 Declino dell'influenza vitale della Chiesa nel mondo internazionale 579
42.12 La Chiesa, sopraffatta dal cristianesimo secondario 582
42.13 Oscuramento dell'escatologia. ecumene umanitario 584
42.14 Leggi dello spirito del secolo. Che carino. oblio 587
42.15 L'oblio della Chiesa contemporanea 590
42.16 Deduzione metafisica della crisi 592
42.17 Diagnosi e prognosi. Due ipotesi finali 42.18 594
L'Oracolo contro Duma 598
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Studio sulle
trasformazioni della
Chiesa nel XX secolo
Perché in verità vi dico: prima che passino il cielo e la terra, prima che
passi un solo iota (iota unum) o un solo apice della legge, senza che tutto sia
verificato (Matteo 5,18)
Avviso al lettore
Non c'è diversità di chiavi (come si dice oggi) con cui si può leggere questo
libro. Il significato che le si deve attribuire è quello che essa possiede preso
univocamente nel suo immediato significato letterale e filologico.
Pertanto, non ci sono intenzioni, aspettative o opinioni diverse da quelle
che l'autore ha introdotto e dopo le quali qualcuno potrebbe cercare.
L'intenzione dell'autore del libro non differisce in alcun modo dall'intenzione
del suo libro, se non in quei punti in cui, come può accadere, avrebbe potuto
scrivere male: cioè dire ciò che non intendeva.
L'autore non ha nostalgia del passato, perché tale nostalgia implicherebbe
un ripiegamento dell'evoluzione umana su se stessa, e quindi la sua perfezione.
Tale perfezione terrena è incompatibile con la prospettiva soprannaturale che
domina l'opera. Né le res antiquae cui allude la frase di Ennio che apre il
volume sono cose anteriori (antiquus viene da ante) al nostro tempo, ma
anteriori a qualsiasi tempo: appartengono a una sfera assiologica considerata
indefettibile. Se c'è un riferimento in questo libro, è solo a detta sfera. Il lettore
non pretende di cercarne un altro.
Devo ed esprimo profonda gratitudine al Dott. Carlo Cederna e al Prof.
Luciano Moroni-Stampa, che mi hanno aiutato con il loro sguardo e la loro
intelligenza nella revisione della bozza e nella composizione di questo libro.

Tabella delle abbreviazioni e di alcuni documenti utilizzati

Attualità apostolica (Concilio Vaticano II, decreto sobre el apos tolado


de los seglares)

XIII
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xiv 0. Studio sulle trasformazioni della Chiesa nel XX secolo

AAS Acta Apostolicae Sedis

CIDS Centro informazione documentazione sociale

DENZ Enchiridion simboli II, 195 831

Documentazione cattolica DC

Dei Verbum (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Divina


Rivelazione)

Gioia e speranza (Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale su la


Chiesa nel mondo di oggi)

Humanae Vitae (enciclica di Paolo VI del 25-7-68 sul controllo delle


nascite)

QUI Notizie cattoliche internazionali

Inf Inferno, Cantiga 1 dalla Divina Commedia di Dante

Luce delle genti (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla


Chiesa)
OR L’Osservatore Romano

Optatann Totius (Concilio Vaticano II, decreto sulla formazione del


sac erdotale)

Par Paraiso, Cantiga 111 dalla Divina Commedia di Dante

Purg Purgatorio, Cantiga II dalla Divina Commedia di Dante

RI Relazioni Internazionali

Concilio Sacrosanctum (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra


liturgia)

Reintegrazione dell'Unità (Concilio Vaticano II, decreto sobre el


ecumenis mo)
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Cap'itulo 1
La crisi

1.1. Chiarimenti sul vocabolario e sul metodo


La salute del discorso sta nella precisione del vocabolario. Infatti,
discutere è passare da un'idea all'altra, ma non in alcun modo o attraverso
collegamenti fantastici, ma in modo stabilito e attraverso collegamenti
logici. Pertanto, la dichiarazione preliminare dei termini è un principio di
chiarezza, coerenza e legittimità dell'argomentazione.
Per la copertina di questo libro ho preferito il termine trasformazione
a quello di crisi per due ragioni. Primo, perché la crisi (come dice la parola
stessa) è un evento puntuale incompatibile con la durata. I medici
oppongono il giorno critico o decretato alla lisi, un processo che si
svolge nel tempo. Tuttavia, il fenomeno di cui si occupa questo libro è un
fenomeno diacronico che si verifica nel corso di decenni. Secondo,
perché la crisi è un momento di risoluzione tra un'essenza e l'altra, o tra
due stati diversi per natura. Tali sono, ad esempio, il salto tra la vita e la
morte (in biologia) o tra l'innocenza e il peccato (in teologia).
Al contrario, la variazione accidentale all'interno della stessa cosa non è
una crisi. L'evento che dà origine allo zigote è una crisi, ma non lo è il
cambiamento di colore della foglia dal verde al marrone.
Di conseguenza, per parlare correttamente, il termine crisi dovrebbe
essere usato solo quando si verifica uno straordinario movimento storico
capace di far nascere un cambiamento essenziale e fondamentale nella
vita umana. Una variazione può costituire una crisi, ma il punto di
partenza della nostra indagine non è che le trasformazioni studiate in
questo libro possano essere identificate come tali. Nonostante ciò, e
seguendo l'uso comune, chiameremo crisi anche quei fenomeni che, pur
non rispondendo al concetto così delimitato, vi si avvicinano comunque. Per sfuggire all'accusa

1
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2 1. La crisi

che potesse derivare dall'aver operato una selezione interessata all'interno di una
così vasta mole di testimonianze e documenti, abbiamo posto il seguente criterio:
dovendo dimostrare le trasformazioni della Chiesa, non abbiamo basato il nostro
discorso su una porzione di nessuna delle pubblicazioni pressoché infinite che lo
riguardano, ma solo sui documenti che più certamente esprimono il pensiero della
Chiesa. Le nostre citazioni provengono da testi conciliari, atti della Santa Sede,
discorsi pontifici, dichiarazioni di cardinali e vescovi, pronunciamenti di Conferenze
Episcopali, articoli dell'Osservatore Romano.

Tutto ciò che è incluso nel nostro libro sono manifestazioni ufficiali o non
ufficiali del pensiero della Chiesa gerarchica. Naturalmente, e sebbene sempre in
via secondaria, abbiamo citato anche libri, discorsi ed eventi al di fuori di questo
campo, ma solo a dimostrazione del prolungamento e dell'ampliamento di posizioni
già espresse o contenute (virtualmente ma necessariamente) nella prima categoria
di affermazioni. L'oggetto della nostra indagine è parziale (cosa non lo è?), ma la
nostra prospettiva no.

1.2. Negazione della crisi


Alcuni autori negano l'esistenza o la singolarità dell'attuale disorientamento
1
della Chiesa, adducendo la dualità e l'antagonismo esistenti tra la Chiesa e il mondo
o tra il regno di Dio e il regno dell'uomo, antagonismo insito nella natura del mondo
e del mondo. la Chiesa. Ma una tale negazione non ci sembra corretta, perché
l'opposizione veramente essenziale non avviene tra il Vangelo e il mondo inteso
come totalità delle creature (che Cristo viene a salvare), ma tra il Vangelo e il mondo
in quanto in maligno positus (I Gv 5, 19), segnato dal peccato e orientato al peccato,
e per il quale Cristo non prega (Gv 17, 9).

Tale opposizione essenziale può essere allargata o ridotta a seconda che il


mondo nel suo insieme coincida più o meno con il mondo del Maligno, ma questa
distinzione non deve mai essere dimenticata né un'opposizione che deve essere
considerata essenziale, in misura e intensità diverse. , è solo accidentale.

1.3. Errore secondario del cristianesimo


Per questa diversità di intensità e di estensione, è esclusa l'opinione di chi nega
che sia mai esistito un tempo in cui la Chiesa sia penetrata nel mondo meglio che
in altri, e il cristianesimo abbia avuto più successo.

1Vedi il grande sondaggio della rivista Esprit , agosto-settembre 1946.


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1.4. La crisi come disadattamento 3

(cioè aggiornato meglio delle potenzialità che gli sono proprie) sarebbero 2 . Racconti
stati i tempi del cristianesimo medievale, proprio in relazione a
quelli dell'era moderna.
Coloro che negano l'esistenza di quei secoli privilegiati si affidano
principalmente al persistere, allora e oggi, di guerre, schiavitù, oppressione dei
poveri, fame e ignoranza, considerate incompatibili tra loro.
con la religione e della cui inefficienza costituirebbero addirittura una prova. COME
Tali miserie sono esistite e continuano ad esistere nel genere umano,
sembrerebbe che non sia stato redento né sia redimibile dal cristianesimo.
Ora, forse questa opinione cade in quell'errore che chiamiamo
Cristianesimo secondario: la religione è giudicata dai suoi effetti collaterali
e subordinati alla civiltà, facendoli prevalere e ponendoli al di sopra dei
soprannaturali che la caratterizzano. Sottostanno qui i concetti stessi di civiltà e
progresso, discussi in seguito (§§30.3-30.4) .
e §§32.1-32.3).

1.4. La crisi come disadattamento


Più comune è l'opinione secondo cui la crisi della Chiesa è una crisi
di inadattamento ai progressi della civiltà moderna, consistente nel suo
superamento in un'apertura o, secondo il motto di Giovanni XXIII, in un aggiornamento
dello spirito della religione per farlo convergere con lo spirito del secolo.
A questo scopo è conveniente osservare come avviene la penetrazione del mondo
L'opera della Chiesa è naturale per la Chiesa, lievito del mondo (Lc 13,
21), e si può verificare storicamente che procedette ad occupare tutto il
ordini della vita temporale: non governavano nemmeno il calendario e il cibo?
Tale occupazione ha raggiunto un tale estremo che l'accusa è stata sollevata contro di essa.
di aver usurpato il temporale, e se ne esige la separazione e la purga. In
In realtà, l'accomodamento della Chiesa al mondo è una legge della religione (che
proclama un Dio fatto uomo per condiscendenza) e della storia (che
mostra una miscela costante, talvolta progressiva e talvolta regressiva,
della Chiesa con le cose del mondo).
Sin embargo, la acomodaci´on essencial de la Iglesia no consiste en confor
marse al mundo (non sono conformi a questo secolo (no os acomod´eis a este siglo),
Rom. 12, 2), ma nel modellare la propria opposizione al mondo secondo il
varie circostanze storiche, nonché nel modificare, e non sopprimere, tale
essenziale contrasto.

2
(N. del T.) L'autore gioca con il significato dei verbi riuscire ed uscire
(uscire, in questo caso con il senso metafisico di passare dalla potenza all'atto)
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4 1. La crisi

In questo modo, contro il Paganesimo, il Cristianesimo fece emergere a


virtù opposta, rifiuto del politeismo, idolatria, schiavitù di
sensi, ovvero la passione della gloria e della grandezza: insomma sublimare tutto
il terrestre sotto uno sguardo teotropico, nemmeno sospettato dal
antico. Tuttavia, praticando tale antagonismo verso il mondo, i cristiani
vivevano nel mondo come se fosse il loro destino. Nella Lettera a
Diognete appare indistinguibile dai pagani in tutti i costumi della vita.
3 .

1.5. Adattamenti dell'opposizione della Chiesa


al mondo
Allo stesso modo, davanti ai barbari la Chiesa non ha assunto la barbarie, ma
che si rivestì di civiltà; e nel XIII secolo, contro lo spirito di violenza e avarizia,
assunse lo spirito di mansuetudine e povertà con
il grande movimento francescano; e non ha accettato il risorgente aristotelismo, ma
che respinse energicamente la mortalità dell'anima, l'eternità del mondo, il
creatività della creatura e negazione della Provvidenza, contrastanti
così a tutti gli elementi essenziali degli errori dei Gentili.
Ed essendo questi gli articoli principali della filosofia di Aristotele,
si può dire che la scolastica consisteva in un aristotelismo ÿÿdesaristotelismoÿÿ.
Questa operazione è vista da Campanella simboleggiata allegoricamente nel
tagliare i capelli e le unghie della bella donna che viene fatta prigioniera (Deut.
21, 12). E più tardi non si è adattato al soggettivismo luterano soggettivando
Scrittura e religione, ma riformando, cioè dando una nuova forma,
al suo principio di autorità. Infine, non è stato intimidito dalla tempesta
razionalista e scienziato del XIX secolo diluendo o riducendo il fatto della fede,
anzi, al contrario, ha condannato il principio dell'indipendenza della ragione.
Né ha abbracciato l'impulso soggettivista rinato nel modernismo, prima
ebbene lo trattenne e lo punì.
Pertanto si può dire in generale che l'antagonismo del cattolicesimo con
il mondo è invariabile, variando solo le sue modalità, e l'opposizione facendosi
esprimere in quegli articoli e in quei momenti in cui
lo stato del mondo esige che l'antagonismo sia dichiarato e professato.
La Chiesa, infatti, proclama la povertà quando il mondo (e lei stessa)
si prostra davanti alla ricchezza, alla mortificazione quando il mondo segue
l'ingannevole adulazione delle tre concupiscenze, alla ragione quando il mondo

3ROUET DE JOURNEL, Enchiridion patristicum, 97. Ed. Pastore. Barcellona-Friburgo


Roma, 1959.
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1.6. Maggiori informazioni sulla negazione della crisi


5

porta all'illogicità e al sentimentalismo, la fede quando il mondo era affascinato dalla


scienza.
La Chiesa contemporanea, invece, cerca dei punti di convergenza tra il pensiero
della Chiesa e la mentalità caratteristica del nostro tempo (OR, 25 luglio 1974).

1.6. Maggiori informazioni sulla negazione della crisi

Non mancano, anche se a dire il vero sono rari, coloro che negano l'attuale
disorientamento della Chiesa, e anche coloro che contemplano questo articulus
temporum come rinnovamento e fioritura.
Questa negazione della crisi potrebbe essere sostenuta da alcuni discorsi di
Paolo VI, ma questi sono compensati e ampiamente superati da tanti o altri contrari.
Una singolare testimonianza del pensiero papale è4il discorso del 22 febbraio 1970.
Dopo aver ammesso che la religione sta regredendo, il Papa sostiene tuttavia che è
un errore soffermarsi sull'aspetto umano e sociologico, perché l'incontro con Dio
può nascere da processi tutt'altro che puramente scientifici: il futuro sfugge alle
nostre previsioni.

Qui sembra confondersi ciò che Dio può per potere assoluto, come dicono i
teologi, con ciò che può per potere ordinato, cioè nell'ordine della natura ´ e della
salvezza da Lui istituito per libera decisione, e 5solo realmente esistente per tale
confusione, si elude il problema della crisi. In .
realtà, introducendo il concetto di un'azione che Dio compirebbe al di fuori
dell'ordine de facto da Lui voluto,
´ ciò che è deplorato nella religione considerata
storicamente (la crisi) diventa impossibile da deplorare. È ben vero che l'incontro
con Dio può avvenire nonostante un atteggiamento ostile nei confronti della
religione, ma nihil ad rem.

Se si contempla ciò che Dio può fare per mezzo del suo potere assoluto, si
finisce nella taumaturgia, e allora si può arrivare a ignorare la contraddizione e
sostenere, come fa il Papa in un altro discorso, che quanto più è indisposto il
moderno l'uomo verso il soprannaturale, quanto più è volenteroso. Perché non
dovrebbe esserlo, considerando il potere assoluto di Dio?

4I discorsi papali saranno sempre citati con la data con cui sono apparsi in OR.

5 Summa theol., I, q. 25, un. 5 alla prima


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6 1. La crisi

1.7. Il Papa riconosce il disastro


In molti momenti in cui il suo spirito sfidava i loquimini nobis (Is 30, 10), Paolo VI
la placenta 6 definì con formule drammatiche il declino
dalla religione.
Nel suo discorso al Seminario Lombardo di Roma, il 7 dicembre 1968, disse che la
Chiesa è in un'ora inquieta di autocritica o, per meglio dire, di autodemolizione. È
come un capovolgimento netto e complesso che nessuno si sarebbe aspettato dopo
il Concilio. La Chiesa si sta praticamente autoaccusando.

Non insisto sul famoso discorso del 30 giugno 1972, in cui il Papa affermò di avere
la sensazione che da qualche fessura fosse entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio.
E ha proseguito: Questo stato di incertezza regna anche nella Chiesa. Si credeva che
dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. Tuttavia,
è arrivato un giorno di nuvole, tempeste e oscurità.

E in un passo successivo altrettanto celebre, il Papa ha individuato la causa del


disastro generale nell'azione del Diavolo (della forza del male, che è persona di
perdizione), rimandando così tutta la sua analisi storica ad una linea etiologica
ortodossa , per cui il princeps huius mundi (qui mundus si riferisce all'autentica
opposizione di cui al 4) non è una metafora del peccato puramente umano e dal
kantiano radicale B'ose, ma piuttosto una persona che realmente agisce e assiste con
la volontà umana . Nel suo discorso del 18 luglio 1975, il Papa è passato dalla diagnosi
e dall'eziologia alla terapia del male storico della Chiesa, mostrando di comprendere
appieno come, più che un assalto esterno, esso abbia colpito la Chiesa. dissoluzione.
Con veemente e affettuosa commozione esortava: Basta con i dissensi all'interno della
Chiesa! Basta con l'interpretazione divisiva del pluralismo! Basta con l'offesa che gli
stessi cattolici infliggono alla loro indispensabile coesione! Basta con la disobbedienza
qualificata come libertà!

Questo disorientamento continua ad essere testimoniato dai suoi successori.


Giovanni Paolo II, in occasione di un congresso per le Missioni Popolari, descrisse la
situazione della Chiesa in questi termini (OR, 7 febbraio 1981): Bisogna ammettere
realisticamente, e con profonda e tormentata sensibilità, che i cristiani di oggi , in
gran parte, si sentono smarriti, confusi, perplessi e persino delusi; Idee contrastanti
con la verità rivelata e sempre insegnata sono state diffuse a piene mani; vere e
proprie eresie si sono propagate in campo dogmatico e morale, creando dubbi,
confusione, ribellioni; anche la liturgia è stata manipolata; immerso nel relativismo

6
ÿÿParlaci di cose piacevoliÿÿ
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1.8. Pseudo-positività della crisi. falsa teodicea 7

intellettuale e morale, e per questo nel permissivismo, i cristiani si trovano tentati


dall'ateismo, dall'agnosticismo, dall'illuminismo vagamente moralistico, da un
cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza moralità oggettiva.

1.8. Pseudo-positività della crisi. falso theo dice

Alcuni vanno ben oltre la negazione della crisi, cercando di ritrarla come un
fenomeno positivo. A questo scopo si basano su analogie biologiche, parlando di
fermenti e crisi di crescita. Sono circiteris e metafore che non possono far parte di un
non 7 discorso logico o di
e an´alisis hist´orico.
A proposito dei fermenti (convertiti in luogo comune nella letteratura postconciliare
da chi intende ÿÿrivestire di seta la scimmiaÿÿ), sebbene si possa adottare l'analogia
biologica, occorre distinguere tra fermenti che producono vita e fermenti che producono
la morte: non confondere, ad esempio, il saccaromycetes aceti con il saccaromycetes
vini.
Non tutte le sostanze che fermentano danno origine a un plus, o qualcosa di meglio.
Anche la putrefazione cadaverica consiste in un vigoroso sciame di
vita, ma suppone la decomposizione di una sostanza superiore.
E quanto a dire che è una crisi di accrescimento, si dimentica che anche le febbri
di accrescimento sono un fatto patologico contro il quale si combatte, poiché la
crescita naturale di un organismo non conosce tali crisi, nemmeno nel regno animale,
né in quello vegetale. regno. Inoltre, chi abusa di queste analogie biologiche si
trasforma in un circolo vizioso, non potendo dimostrare che alla crisi seguirà la crescita
(nella migliore delle ipotesi, che si saprà in futuro) e non la corruzione.

Nell'OR del 23 luglio 1972, introducendo un'altra analogia poetica, è scritto che gli
attuali gemiti della Chiesa non sono i gemiti di un'agonia, ma quelli del parto, attraverso
i quali sta giungendo al mondo un essere nuovo: cioè , una nuova Chiesa.

Ma può nascere una nuova Chiesa? Dietro un involucro di metafore poetiche e un


miscuglio di concetti, si nasconde qui l'idea di qualcosa che, secondo il sistema
cattolico, non può accadere: che l'evoluzione storica della Chiesa possa essere un
divenire di fondo, una mutazione sostanziale, una conversione

7Questo termine mi sembra necessario per rendere conto di una caratteristica del
mondo contemporaneo dentro e fuori la Chiesa. Deriva dall'avverbio latino circiter (che
significa ÿÿcircaÿÿ, ÿÿpiù o menoÿÿ). Questo termine è stato abbondantemente utilizzato
da GIORDANO BRUNO nei Dialoghi. Lo prendiamo da lui come perfettamente adeguato
al nostro oggetto.
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8 1. La crisi

di una cosa nel suo contrario. Al contrario, secondo l'ordinamento cattolico,


l'evoluzione della Chiesa avviene attraverso vicissitudini in cui mutano forme
accidentali e congiunture storiche, ma rimane identica e senza novità la sostanza
della religione.
L'unico rinnovamento ammesso da un'ecclesiologia ortodossa è il
rinnovamento escatologico, con una nuova terra e un nuovo cielo; In altre
parole, il riordino finale ed eterno dell'universo creato, liberato nella vita eterna
dall'imperfezione (non da quella insita nel suo limite, ma da quella del peccato)
mediante la giustizia delle giustizie.
Nel passato ci sono stati altri schemi che consideravano questo riordino
come un evento proprio della storia terrena e un'instaurazione del regno dello
Spirito Santo, ma tali schemi appartengono alle deviazioni eretiche. La Chiesa
diventa, ma non muta. Non c'è nessuna novità radicale in esso.

Il nuovo cielo e la nuova terra, la nuova Gerusalemme, il nuovo canto, il


nuovissimo nome di Dio, non sono realtà della storia di questo mondo, ma
dell'altro. Il tentativo di spingere il cristianesimo oltre se stesso in una forma
sconosciuta di religione, una religione che nessuno fino ad oggi ha saputo
immaginare o descrivere, come scrive Teilhard de Chardin, è un paralogismo e
un errore 8religioso: un il paralogismo, perché se la religione cristiana deve
essere trasmutata in qualcosa di totalmente diverso, è impossibile dare alle
proposizioni del discorso lo stesso soggetto, e la continuità tra la Chiesa
presente e quella futura viene meno; un errore religioso, perché il regno che non
è di questo mondo conosce mutazioni nel tempo (che è una categoria
accidentale), ma non nella sostanza.
Di questa sostanza, iota unum non praeteribit: non cambierà nemmeno una
virgola. Teilhard non potrebbe propugnare un viaggio del cristianesimo oltre se
stesso se non fosse che dimentica che andare oltre se stesso, ovvero
9
attraversare il confine (last line mors) significa morire: e quindi il ,
cristianesimo dovrebbe morire, o piuttosto morire per non morire. Torneremo
su questo argomento nei §§5.7-5.8.

1.9. Nuove confessioni della crisi


L'entità di ogni entità coincide con la sua unità interna, sia in un individuo
fisico che in un individuo sociale e morale. Se smembra e

8Vedi l'edizione delle sue opere complete, vol. VII, pag. 405. Espressioni come
surhumaniser le Christ, m´etachristianisme, Dieu transchr´etien e simili, dimostrano
sia l'attitudine al neologismo dell'illustre gesuita sia la sua debolezza di pensiero.
9La morte è l'obiettivo finale (Orazio).
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1.10. Interpretazioni positive della crisi. falsa teodicea 9

scinde l'organismo, l'individuo muore e si trasforma in un altro.


Se le intenzioni e le volontà delle menti associate divergono o si dividono,
allora la convergenza in unum delle parti finisce e la comunità scompare.
Quindi anche nella Chiesa, che è indubbiamente una società, la dissoluzione
interna produce una rottura dell'unità e quindi del suo essere.

Questa rottura dell'unità è ampiamente riconosciuta nel discorso di Paolo


VI del 30 agosto 1973, lamentando la divisione, la disgregazione che, purtroppo,
si riscontra oggi in molti settori della Chiesa, e subito proclama che la
ricomposizione dell'unità, spirituale e reale , all'interno stesso della Chiesa, è
oggi uno dei problemi più gravi e urgenti della Chiesa.

E nel discorso del 23 novembre 1973 il Papa fa riferimento anche all'eziologia


di tale disorientamento e riconosce l'errore, ammettendo che l'apertura al
mondo è stata una vera invasione del pensiero mondano nella Chiesa. Questa
invasione priva la Chiesa della sua forza di opposizione e annulla in essa ogni
specificità. Ed è drammatico l'uso equivoco del pronome di prima persona
plurale in questo discorso. Forse siamo stati troppo deboli e sconsiderati, dice.
Qual è il soggetto di questa frase? Noi o Noi?

1.10. Interpretazioni positive della crisi.


falsa teodicea
Quello spurio ottimismo con cui si contempla la decadenza della fede,
l'apostasia sociale, l'abbandono del culto e la depravazione morale, nasce da
una falsa teodicea. Si dice
10
che la crisi è buona perché costringe la Chiesa a
prendere coscienza ea cercare una soluzione. Implicita in queste affermazioni
è la negazione pelagiana del male. Se è vero che i mali causano il bene, tuttavia
questi continuano ad essere duplicati di tali mali, e come tali non causano
alcun bene. La cura è indubbiamente un bene in relazione alla malattia e da
essa condizionata, ma non è un bene che le è inerente né ha la sua causa nella
malattia.
La filosof´ia cat´olica no ha´caído jam´as en tal confusi´on, e Santo Tom´as
(Summa theol I, II; q.20, a.5) mostra che il seguente evento non compie un atto
11 .
il male che era bene, né il bene che era male
Solo per l'abitudine mentale al circusterismo tipica del nostro secolo la
crisi può essere considerata positiva considerando le cose belle che seguiranno

10Ad esempio, in ICI, n. 285, pag. 7 (1 aprile 1967).


11 L'effetto risultante di un atto non lo rende cattivo se era buono, né buono se era cattivo.
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10 1. La crisi

suo. Che, tra l'altro, come esprime giustamente Santo Tom´as, non lo fanno
non sono
´ effetti del male (a cui appartengono solo i difetti) ma puri eventi. Questi
sono effetti di altre cause, e non del male. Le cause dell'eventuale
le buone conseguenze della crisi non appartengono alla linea causale della crisi,
ma ad un'altra linea di causalità.
Qui è ovviamente coinvolta l'intera metafisica del male, in cui
non spetta a noi entrare; ma è importante fare chiarezza contro detto
ottimismo spurio che pur se eventi fortunati sono legati alla crisi
(quanto alla persecuzione, al martirio, alla sofferenza, all'educazione -secondo Eschilo-
, per provare l'aumento del merito, o per eresia il chiarimento della verità),
Questi non sono effetti, ma un plus di bene di cui il male è di per sé
incapace12 .
Attribuire il bene alla crisi, che è estrinseco alla crisi e viene da a
fonte diversa, suppone un concetto imperfetto dell'ordine della Provvidenza.
In esso bene e male conservano ciascuno la loro intrinseca essenza (essere e
non essere, efficienza e deficienza), anche se confluiscono in un buon sistema; Ma
ciò che è buono è il sistema, non i mali che lo compongono, anche se può esserlo
poi per mezzo di una catacresi denominateli buoni mali, come fa
Niccolo Tommasseo.
Questa visione dell'ordine provvidenziale ci permette di vedere come il mondo dall'alto verso
sotto torna (Par. IX, 108): cioè come anche la deviazione della creatura
il rispetto dell'ordine (e anche della dannazione) è inserito dalla Provvidenza
nell'ordine ultimo, che costituisce il fine ultimo dell'universo: la gloria di Dio
e degli eletti.

1.11. Ancora sulla falsa teodicea


Le cose buone successive alla crisi della Chiesa sono dunque qualcosa a
posteriori, non ne mutano il carattere negativo, tanto meno la rendono
desiderabile, come alcuni osano affermare. disse falso ottimismo
sbaglia, perché attribuisce al male una fecondità unicamente sua
del bene Sant'Agostino ha dato un'espressione felicissima a questa dottrina in
Sulla continenza 6, 15 (PL. 40, 358): Perché la sua onnipotenza è così grande che
può anche trarre il bene dai mali, o risparmiando, o risanando, o afferrando e
volgendo a vantaggio, o anche rivendicando: poiché tutte queste cose

12SANDRO MAGGIOLINI, in OR del 12 gennaio 1983, commette l'errore di dire che il


il male è bene perché dà origine al bene, arrivando a scrivere che tutto è grazia, anche
il peccato. Non è così: sebbene la grazia si applichi al peccato e ci liberi da esso, non lo è
peccato.
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1.11. Ancora sulla falsa teodicea 11

sto bene 13
. Non è il male che, in un momento successivo, genera da sé il
bene: solo un'entità positiva e distinta (in definitiva, Dio) ha questa potenzialità.

È anche evidente, nell'ultimo dei casi ricordati da sant'Agostino (giustizia


vendicativa), che i mali, sebbene ordinati dalla Provvidenza, non possono
essere trasformati in beni. È bene che i peccati siano puniti con la condanna,
ma i peccati puniti con la condanna non sono buoni per questo motivo.

Per questo, secondo la teologia cattolica, i santi godono dell'ordine di


giustizia in cui la Provvidenza ha posto i peccatori, ma non i loro stessi
peccati, che continuano ad essere mali. La dipendenza di certi beni rispetto a
certi mali è un rapporto su cui si fondano alcune virtù, condizionate appunto
all'esistenza dei difetti.
Così, la penitenza suppone il peccato, la misericordia suppone la miseria,
e il perdono suppone la colpa. Il che però non rende buoni il peccato, la
miseria e la colpa, come fa la virtù da essi condizionata.

13 Perché la bontà onnipotente è così grande, che dai medesimi mali può estrarre un
bene conveniente, già perdonando, già risanando il peccatore; Prega adattando e cambiando
il peccato a beneficio del giusto, punendolo con la giustizia. Tutto questo è buono.
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12 1. La crisi
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Cap'itulo 2
Sintesi storica. Le crisi della
Chiesa

2.1. Le crisi della Chiesa. Gerusalemme (anno 50)


È consuetudine contemporanea contemplare i fenomeni del nostro secolo come
fenomeni del tutto nuovi, senza confronti né per genere né per dimensioni con eventi
passati. In questo modo, la crisi attuale non avrebbe analoghi nella storia della Chiesa,
come non ci sarebbero analoghi per l'attuale rinnovamento.

Vedremo più avanti se questo discorso ha un senso, ma ora converrà fare


riferimento alle precedenti crisi della Chiesa riconosciute dagli storici. In primo luogo
riteniamo opportuno ricordare il Concilio di Gerusalemme dell'anno 50. Esso tratta
della primordiale e fondamentale crisi (cioè separazione) della religione, avvenuta tra
la Sinagoga e la miniera cristiana; e siccome ogni separazione esclude il sincretismo
opposto, il famoso decreto recato da Giuda e Sila alla comunità antiochena dei cristiani
provenienti dal Paganesimo stroncò alla radice il sincretismo che, nella confusione
del Vangelo con la Torah, avrebbe sottratto originalità e significato dalla Buona Novella.

Ma anche sotto un'altra considerazione si può dire che il Concilio di Gerusalemme


fu eminentemente critico, ed è perché separò per sempre il giudizio teorico dal giudizio
pratico, quello formulato sui principi e il Formulato sulle sue applicazioni: adattarsi a
situazioni flessibili non i principi, ma il rapporto di questi con quelli (adattamento
operato nella religione sotto l'ispirazione della carità). Infatti, il famoso scontro tra
Paolo e Pietro ad Antiochia, dopo che i due Apostoli si erano accordati a Gerusalemme
per abolire l'antiquato (cioè il loro

13
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14 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

perada) ley jud´ÿa, giraba en torno vizio di conversazione, non di predicazione


(Tertuliano, De praescript. haeret., 23): sobre las deductiones del principio,
no sobre el principio.
Era l'atteggiamento di Pietro, accondiscendente alla sensibilità rituale dei
fratelli venuti dalla sinagoga (atteggiamento non conforme a quello di Pietro
stesso verso i fratelli usciti dall'idolatria), che fu condannato da Paolo, e poi
da Pietro. e tutta la Chiesa. Sono discrepanze di condotta pratica e, se si
vuole, errori derivati dal non aver compreso immediatamente, o non
comprendere correttamente, il nesso tra un principio e un fatto storico
concreto.
Sono disparità ed errori come quelli che sono sempre esistiti nella Chiesa:
quello di Pasquale II quando si ritirò dal concordato firmato con Enrico V,
quello di Clemente XIV quando soppresse la Compagnia di Gesù e ribaltò il
non possumus dei suoi predecessori , o quella di Pio VII quando ritirò i patti
con Napoleone (errore per il quale fu accusato pubblicamente di aver dato
scandalo alla Chiesa, e si punì astenendosi dal celebrare la messa).
Questa distinzione tra il variabile ambito disciplinare, giuridico e politico,
e l'invariabile porro unum est necessarium, comincia certamente con il
Concilio di Gerusalemme, e costituisce la prima crisi della Chiesa: l'ambito
della storicità viene definitivamente separato da quello del dogma.

2.2. La crisi di Nicea (anno 325)


La crisi di Nicea significa la separazione del dogmatico dal filosofico e
l'orientamento del cristianesimo come religione soprannaturale e misterica.
In effetti, l'arianesimo fu un tentativo di spogliare di sostanza il kerigma
primitivo
´ e di introdurlo nel grande movimento gnostico.
Questo, facendo della gradazione degli esseri da Hyl´e a Nous lo schema
generale della realtà, ha soppresso la creazione e si è conclusa con la trascendenza.
Che il Verbo non fosse consustanziale, ma simile al Padre, calmava le
esigenze dell'intelligenza umana, ma poneva fine alla specificità della fede,
che annuncia l'esistenza di un essere che può essere oggetto di queste due
proposizioni: questo individuo è un uomo e questo stesso individuo è Dio.´
Con le definizioni conciliari di Nicea e con quelle successive di Efeso
(431) e Calcedonia (451), la Chiesa si separò dall'antica concezione di Dio
come perfezione dell'uomo e della religione come culto dei valori intramondani
ed esclusivi di tutto soprannaturale.
Gesù Cristo non poteva essere un dio alla maniera di Cesare, o del
divinizzato Augusto, o degli dei immortali di Epicuro: santi perfetti, ma di
sostanza omogenea a quella dell'uomo.
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23. Deviazioni dal Medioevo 15

Non poteva essere quello oltre il quale i sistemi filosofici non si erano mai
avventurati: doveva essere qualcosa di totalmente diverso ma non strano, che
nessuna filosofia aveva immaginato o che, concependolo con la sua
immaginazione, aveva considerato una follia. Insomma, Dio cessa di essere il
più inaccessibile grado di perfezione comune all'uomo e a dio, per essere
un'essenza che supera tutto ciò che è umano.
E Cristo non è chiamato uomo-Dio alla maniera dei gentili, cioè per
approssimazione massima alla perfezione di Dio o per una sorta di intimità
morale con Dio (Nestorio); e nemmeno alla maniera del paradosso stoico ´
secondo ´cui il saggio è simile a Dio o addirittura superiore a Lui, perché è
santo per natura, mentre il saggio si fa santo. Cristo è ontologicamente Di

uomo e ontologicamente Dio, e quindi la costituzione ontologica teandrica


costituisce il suo mistero.
Che detto mistero non contraddica la ragione lo si deduce dal concetto,
inaugurato dalla nuova religione, dell'essere divino come Trinità, entro il quale
l'infinito si pensa e si ama come infinito e quindi si muove oltre i limiti entro i
quali opera l'intelligenza creata.
Di conseguenza, se la ragione rifiuta di sottomettersi alla ragione, viene
violato il suo diritto al soprannaturale. In senso stretto, la negazione della
sottomissione impedisce alla ragione di conoscersi, poiché non può
riconoscersi limitata e quindi non riconoscere nulla oltre il proprio limite.
In questo modo, la crisi nicena è un momento veramente decisivo nella
storia della religione, e poiché (come ogni crisi) da una parte separa un'essenza
da ciò che le è eterogeneo e dall'altra conserva l'essenza oltre a ciò che è ad
essa propria si può dire che a Nicea si è conservata simpliciter la religione
cristiana.

23. Deviazioni dal Medioevo


Le tante e gravi perturbazioni subite dalla Chiesa nei secoli medievali non
erano vere crisi, perché in esse la Chiesa non correva il rischio di mutare la
sua sostanza e dissolversi in altra. La corruzione dei costumi clericali o il
desiderio di ricchezza e di potere sfigurano il volto della Chiesa, ma non
raggiungono la sua essenza, separandola dal suo fondamento.
E qui conviene formulare la legge stessa della conservazione storica della
Chiesa, legge che riassume il criterio supremo della sua apologetica. La Chiesa
è fondata sul Verbo incarnato, cioè su una verità divina rivelata. Indubbiamente,
ha ricevuto anche energia sufficiente per adattare la propria vita a quella
verità: è un dogma di fede (Denz., 828) che la virtù è sempre possibile. Tuttavia,
la Chiesa non è in pericolo se non lo è
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16 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

accomodarsi alla verità ma in caso di perdita della verità.


La Chiesa pellegrina è essa stessa condannata alla defezione pratica e
alla penitenza: a un atto di conversione continua, come viene chiamata oggi.
Ma non si distrugge quando le debolezze umane lo mettono in contraddizione
(questa contraddizione è insita nello stato viator), ma solo quando la corruzione
pratica sale al punto di recidere il dogma e formularlo in proposizioni teoriche
le depravazioni che si trovano nella vita.
I movimenti che turbarono la Chiesa nei secoli medievali furono osteggiati
dalla Chiesa, ma furono condannati solo quando, ad esempio, il pauperismo
divenne una teologia della povertà squalificando totalmente i beni terreni.
Dunque, la decadenza dei costumi ecclesiastici, contro la quale si schierò
valorosamente il movimento riformatore dell'XI secolo, non fu una vera crisi.
Né lo fu il conflitto con l'Impero, sebbene la Chiesa cercò di affrancarsi sia
dalla servitù feudale legata al dominio politico dei vescovi sia dalla servitù
implicita nel matrimonio dei preti.

Né quella del movimento dei Catari e degli Albigesi nel XIII secolo, e dei
loro epigoni i Fraticelli, fu una vera crisi. In realtà questi movimenti, provocati
da diffusi tumulti sentimentali e frammisti a slanci economici e politici, solo
raramente si tradussero in formule speculative. E quando lo fecero, come ad
esempio nella dottrina regressiva che propugnava un ritorno alla semplicità
apostolica, o nel mito dell'uguaglianza dei fedeli livellati nel sacerdozio, o nella
teologia di Gioacchino da Fiore sulla Terza Età (quella di lo Spirito Santo, che
avrebbe sostituito quello del Verbo, che a sua volta avrebbe sostituito quello
del Padre), tutte queste deviazioni dogmatiche trovarono la Chiesa ebraica
pronta e ferma archista nell'esercizio della sua professione didattica e
correttiva; e spesso era sostenuto in questo, per la solidarietà tra le strutture
sociali, dal potere temporale. Ci sono stati attacchi, ma non rotture, delle verità
di fede, e non è mancata la formazione degli insegnanti.

2.4. La crisi della secessione luterana. Largo


ideale del cristianesimo
Il grande scisma d'Oriente ha lasciato intatto l'intero sistema della fede
cattolica. Nemmeno la dottrina del primato del Vescovo di Roma fu attaccata
in prima istanza dai Bizantini, al punto che nel 1439 si poté firmare a Firenze la
riunificazione. Né i movimenti eretici furono capaci di metterla in pericolo e
trasformarla in qualcosa di diverso dalla sua natura.
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2.4. La crisi della secessione luterana. Ampiezza ideale del cristianesimo


17

volevano un'epurazione degli attaccamenti umani nella Chiesa. La vera crisi


si ebbe con Lutero, che capovolse la dottrina ripudiandone il principio.

Il grande movimento della rivoluzione religiosa in Germania è


difficilmente comprensibile nelle sue ragioni storiche se non lo si vede nei
suoi rapporti con il Rinascimento. Il Rinascimento è spesso rappresentato
come una restaurazione del principio pagano dell'assoluta naturalezza e
mondanità dell'uomo e quindi come una mentalità incompatibile con il
cristianesimo, che consisterebbe nel disprezzo del mondo. Ma ci sembra ´
che una tale visione monoculare non corrisponda alla natura del
cristianesimo. Questa, la cui origine è in un uomo-Dio restauratore e
perfezionante, anziché restringere, allarga la mentalità del credente ad
accogliere ed elevare tutto ciò che è conforme al disegno creativo, il cui
scopo è la glorificazione. uomo unito a Dio) nel Cristo teandrico. La civiltà
medievale, grazie alla forza del sentimento mistico, ha certamente espresso
un momento essenziale della religione: la relativizzazione di tutto ciò che è
mondano e la sua proiezione teleologica verso il cielo. Ma alcuni dicono che
la forza con cui è stato vissuto quel momento è arrivata oltre la giusta
misura, sminuendo e mortificando valori che non dovrebbero essere
mortificati, ma coordinati tra loro e subordinati al cielo. Questo è quello che penso.
L'uomo medievale sembra non aver potuto concepire 1 l'idea di ciò che è
cristiano se non si incarna nel frate francescano. Tuttavia, se non si
dimentica l'ampiezza dell'idea cristiana, appare chiaro che il Rinascimento
fu proprio un caso di ritorno a quell'ampiezza, grazie alla quale la religione
comprese la parentela che la univa alle civiltà morte, all'interno delle quali i
valori della saggezza naturale, della bellezza ideale e della milizia mondana
dormivano sepolti: giacevano il Fedone e la Metafisica, la Venere di Cnido e
il Partenone, Omero e Virgilio. In realtà, la virtù potenziale della religione è
molto più ampia di quanto appare nelle sue concrete manifestazioni
storiche: essa si manifesta successivamente in un futuro che non sempre
sta in piedi, ma che nel suo insieme ha un carattere proficuo e perfettivo.
D'altra parte, questo è ciò che insinuano la parabola evangelica del seme e
la parabola paolina dell'organismo che cresce fino alla perfezione. E non si
deve credere che tale assimilazione della civiltà gentile sia iniziata con il
Rinascimento o con la fuga dei Greci dall'Islam, poiché è stata a lungo
preceduta dalla conservazione degli autori greci e latini da parte dei monaci
nelle profondità dei tempi barbarici.
E avvenne così non perché in Virgilio e in Orazio i monaci trovassero qualche
stimolo o alimento per la loro pietà, ma proprio per un istinto ideale,
1LUIGI TOSTI Prolegomeni alla storia universale della Chiesa, Roma 1888, p. 322.
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18 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

distinto dall'ispirazione ascetica onnipervadente: istinto che, anche


non essendo asceta, è anche religioso, poiché (come ho già detto) allo stesso tempo che
Il cristianesimo ci orienta verso il cielo, dà valore alla terra. Per altro
D'altra parte, la simbiosi della civiltà antica con l'idea cristiana aveva avuto
posto prima del Rinascimento in quella forma primordiale di sviluppo
intellettuale che è la poesia: è il poema di Dante, in cui i miti e
Le aspirazioni gentili si aggiungono fermamente alla mentalità cristiana
in una sintesi audace. Il limbo degli adulti, dove la luce di
la saggezza naturale, che non salva, ma preserva dalla condanna, è a
singolare invenzione del genio medievale, consapevole della spaziosità ideale di
religione, che include, ma supera, il mondo ascetico del chiostro.

2.5. Ancora sull'ampiezza ideale del cristiano


nismo. I suoi limiti
Questa ampiezza ideale del cristianesimo, per le sue componenti latenti
destinate a manifestarsi storicamente, si estende all'insieme
speculazione, e teologicamente è legato all'unità tra il ciclo di
Creazione e ciclo dell'Incarnazione: in entrambi è presente lo stesso Verbo.
Ma senza entrare in ragioni teologiche di tale ampiezza, ragioni sufficienti
storico per renderlo evidente, poiché nello stesso spazio ci sono scuole e
stili opposti. Così, per esempio, Bellarmino e Suarez
sostenere teoricamente la democrazia e la sovranità popolare, mentre
Bossuet, al contrario, giustifica l'autocrazia reale; L'ascesi francescana
predica l'abbandono dei beni di questo mondo (temporali o intellettuali),
mentre il realismo gesuita costruisce città, organizza Stati
y si mobilita alla maggior gloria di Dio da tutti i valori terreni. Los Clunia
incensi ornamentan con colores, oro y piedras preciosas hasta el floor de
le chiese, mentre i cistercensi riducono a nudità l'edificio divino
dell'architettura. Molina esalta la libertà e l'efficacia autonoma di
volontà umana (capace di far fallire la predestinazione divina) e si abbassa
scienza divina alla dipendenza dall'evento, mentre i tomisti difendono
l'assoluta efficacia del disegno divino. Lo annunciano i gesuiti
l'ampia via della salvezza, mentre i Domenicani il piccolo numero di
i prescelti. I casisti allargano il ruolo della coscienza individuale con
rispetto alla legge, mentre i rigoristi la esaltano al di sopra della stima umana
dell'atto. Lo stesso francescanesimo, con la benedizione data
dal Fondatore sia a frate Elías che a san Bernardo, ne contiene due
spiriti diversi che si estendono e si riconciliano in un'ispirazione superiore
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2.5. Ancora sull'ampiezza ideale del cristianesimo. I suoi limiti 19

e spiegano le lotte interne dell'Ordine.Se si 2 .

perde di vista questa ampiezza essenziale, la distanza tra un'ortodossia e


l'altra sarà così grande che potrebbe sembrare la distanza tra l'ortodossia
ed eterodossia. Ed è esattamente quello che è sembrato ai sostenitori delle scuole
opposti (di cui si accusavano reciprocamente), ma non così al Magistero
della Chiesa, che interveniva sempre per proibire queste reciproche accuse
e custodire l'elevazione superiore della religione. Lo stesso è stato il caso di
Sainte Beuve, il quale, non comprendendo quell'ampiezza, si è meravigliato che il
Lo stesso nome di Christian si applica ugualmente a entrambi. (si riferiva a
lassisti e rigoristi) Non c'è elasticità che possa arrivare come
3.

lontano In modo molto marcato, Chesterton ha fatto di quell'ampiezza il criterio


nucleo della sua apologetica cattolica. E a questo proposito possiamo citare il
parole profetiche di Giacobbe: Veramente il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo
(Davvero Yahweh è in questo luogo e io non lo sapevo) (Gen. 28, 16).
Occorre però precisare i limiti di questa generosa visione di
la religione cattolica, che ci sembra anche un criterio storico
decisivo. Questa visione generosa non può portare al pirronismo totalizzante che
assimila e coordina non solo cose diverse, ma anche cose
contraddittorio.

Si può parlare di una visione generosa quando si contemplano idee diverse


formando un insieme coerente in cui esiste veramente una pluralità di idee e
un'idea non viene distrutta dalla sua contraddizione con un'altra.
Ma è impossibile per la mente umana (piuttosto per qualsiasi mente)
far coesistere termini contraddittori, cioè il vero e il falso 4 .

Questa coesistenza sarebbe possibile solo se si verificasse una condizione


impossibile: che il pensiero non sia rivolto all'essere delle cose, o che l'essere e non
essere erano equivalenti. Il cattolicesimo mette la logica prima di ogni altra
forma dello spirito, e la sua ampiezza abbraccia una pluralità di valori, tutti
che hanno un posto nella sua verità, ma non una pluralità composta
di valori e non valori. Questo concetto spurio dell'ampiezza della religione
porta all'indifferenza teorica e all'indifferenza morale: all'impossibilità
dare ordine alla vita.

2AGOSTINO GEMELLI, El franciscanismo. Barcelona 1940.


3Cit. en FRANCESCO RUFFINI. La vita religiosa di Alessandro Manzoni, Bari 1931,
vol. 1, pag. 416.
4Vedi, su questo punto, la lettera del MANZONI al pastore ginevrino Chenevi'ere in Lettere,
edizione di Cesare Arieti, Milano 1970, 1, p. 563, e quanto ne dico nella mia edizione di
Morale cattolica , Milano 1966, vol. III, pag. 57-58
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20 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

2.6. Negazione del principio cattolico nel doc


trina luterana
Quello che si vuole vedere è come la dottrina di Lutero non potesse entrare
a far parte dell'ampio respiro del sistema cattolico, e quindi come il suo attacco
mettesse in discussione non questo o quel corollario, ma il principio stesso del
sistema. Poiché consiste in un rifiuto di principio, l'eresia luterana è
teologicamente inconfutabile. Di fronte ad esso, l'apologetica cattolica si trova
in una posizione chiaramente delineata da san Tommaso (Summa theol., 1, q.1,
a.8): può superare le obiezioni dell'avversario ma (per così dire) non avversario,
poiché rifiuta il principio con cui argomenta per confutarlo.

Lutero non rifiuta questo o quell'articolo dell'insieme dogmatico del


cattolicesimo (sebbene, ovviamente, lo faccia anche lui), ma precisamente il
principio di tutti gli articoli, che è l'autorità divina della Chiesa. Per il credente,
la Bibbia e la Tradizione hanno un'autorità proprio perché la Chiesa ne è in
possesso: non solo possesso materiale, ma anche possesso di senso di
entrambe, che si svela progressivamente storicamente.

Lutero, invece, mette nelle mani del credente la Bibbia e il senso della Bibbia,
rifiuta la mediazione della Chiesa, e affida tutto all'intelligenza privata,
soppiantando l'autorità dell'istituzione con l'immediatezza del sentimento, che
prevale su tutto .
La coscienza è sottratta al Magistero della Chiesa e l'apprensione individuale,
soprattutto se viva e irresistibile, stabilisce il diritto di opinione e il diritto di
esprimere ciò che è pensato, al di sopra di ogni altra norma. Ciò che l'antico
pirronismo presuppone nel campo del sapere filosofico, lo scetticismo
protestante presuppone nel campo del pensiero religioso.
La Chiesa (individualità storica e morale del Cristo uomo-Dio) è privata della
sua essenza di autorità, mentre quella vivacità di apprensione soggettiva si
chiama fede e si converte in dono immediato della grazia. Il primato della
coscienza toglie fondamento a tutti gli articoli di fede, poiché questi sono validi
o non validi a seconda che la coscienza individuale vi acconsenta o meno.

In tal modo viene rimosso il principio del cattolicesimo, l'autorità divina, e


con esso i dogmi della fede: non è più l'autorità divina della Chiesa che li
autorizza, ma l'apprensione soggettiva individuale.
E se l'eresia consiste nel credere a una verità rivelata non perché essa sia
rivelata, ma perché la percezione soggettiva vi acconsente, si può dire che il
concetto di fede diventa nel luteranesimo il concetto di eresia,
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2.7. M´as sobre la herej´ÿa de Lutero. La Bula Alzati, Signore 21

perché la parola divina è accolta solo in quanto riceve la forma della persuasione
individuale: non è la realtà che obbliga all'assenso, ma è l'assenso che dà valore alla
realtà. Che in seguito, per logica interna, la critica del principio teologico dell'autorità
divina si trasformi in critica del principio filosofico dell'autorità della ragione, è cosa
deducibile a priori per esigenza logica, ed è stato attestato a posteriori da lo sviluppo
storico del pensiero tedesco fino alle forme più compiute del razionalismo immanente.

2.7. M´as sobre la herej´ÿa de Lutero. La Bula


Alzati, Signore
Il germe del formidabile sconvolgimento religioso operato da Lutero è pienamente
contenuto nei 41 articoli condannati nella bolla Exurge Domine del 15 giugno 1520 da
Leone X, certamente ignaro fino a che punto fosse cresciuta la ribellione del pensiero
umano.
In realtà, come abbiamo già detto, il principio del libero esame è implicito in ogni
eresia, e la Chiesa (anche quando non lo condanna esplicitamente) lo condanna
implicitamente ogni volta che viene pronunciato contro qualche dottrina teologica
contraria alla fede . Tuttavia, in questo caso, il principio del libero esame è
espressamente formulato in almeno un articolo del condannato.

È difficile, en esta serie de proposicións reprobadas, discernir cu´ales pre tende


la bula condenar como hereticas, porque seg´un la costumbre de la Curia romana,
despu´es de expuestos los 41 art´ÿculos la bula rechaza congiuntamente todos y cada
uno de ellos rispettivamente come eretico, o scandaloso, o falso, o offensivo per le
5.
pie orecchie, o seducente per le menti semplici
Questa promiscuità rende difficile discernere come sono distribuite le censure, e
apre il campo alle dispute dei teologi: un'affermazione eretica (che attacca il dogma)
e un'affermazione che sia ingannevole per i semplici (che è un peccato contro la
prudenza e la carità, ma non contro la fede).

Le proposizioni comprendono lo sviluppo della dottrina sulla penitenza, Lutero


insegnando che tutta l'efficacia della penitenza sacramentale consiste nel sentimento
che ha il penitente di essere stato assolto. Alcuni articoli indeboliscono il libero
arbitrio, totalmente sostituito dalla grazia e mantenuto solo dal titolo. Altri fanno
riferimento alla prevalenza del Concilio sul Papa,

5
...rispettivamente, come avvertito, come eretico, scandaloso, falso o offensivo
orecchie pie o ingannevoli per le menti semplici.
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22 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

all'inutilità delle indulgenze, all'impossibilità delle buone opere, o alla


considerazione della pena di morte per gli eretici come contraria alla volontà
dello Spirito Santo.
Hay sin embargo un art´ÿculo (el 29) en el quale la herej´ÿa (specialmente
indivi dual de elecci´on de las creencias) è abiertamente profesada por Lutero.
Questo articolo, che enuncia el verdadero principio de todo el movimiento,
risulta ser la ´unica tesi verdaderamente memorabile: Ci fu fatto il modo di
snervare l´autorità dei Concili e di contraddire liberamente le loro azioni e di
confessare fiduciosamente qualunque 6verità. si veda
Qui si manifesta la radice più profonda e il criterio oltre il quale non si può
andare: lo spirito individuale che dà valore a tutto ciò che ci sembra. Dei due
aspetti presenti nell'atto della mente quando coglie l'ente oggettivo attraverso il
suo atto soggettivo, non è più l'ente oggettivo colto a prevalere, ma l'apprensione
stessa. Per esprimerlo nei termini della Scuola, l'id quo intelligitur predomina
sull'id quod intelligitur.
Se poi (all'articolo 27) Lutero strappa dalle mani della Chiesa l'istituzione
degli articoli di fede e delle leggi morali, ciò non è altro che la traduzione
dell'articolo 29 dalla sfera individuale all'ordine sociale della religione.

In conclusione, l'anima della secessione luterana non erano le indulgenze,


la messa, i sacramenti, il papato, il celibato dei sacerdoti, la predestinazione e
la giustificazione del peccatore; era un'insufficienza che il genere umano avrebbe
portato radicata e insita nella sua natura e che Lutero avrebbe avuto il coraggio
di manifestare apertamente: l'insufficienza dell'autorità.
La Chiesa, essendo il corpo storico collettivo dell'uomo-Dio, riceve la sua
unità organica dal principio divino. Che cosa può essere allora l'uomo se non la
parte che vive in congiunzione con quel principio e in obbedienza ad esso?
Chi rompe tale legame può solo perdere il principio informatore della religione.

2.8. Il principio di indipendenza e gli abusi della


Chiesa
Posta in questi termini la questione della crisi, è secondaria, sebbene
importantissima, la considerazione delle imperfezioni morali dei prelati e della
corruzione contingente delle istituzioni, che erano

6 Abbiamo una via aperta per indebolire l'autorità dei Concili e contraddire
liberamente i loro atti e giudicare i loro decreti e confessare fiduciosamente ciò che
ci sembra vero...
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2.9. Perché la casistica non ha costituito una crisi nella Chiesa 23

il pretesto storico della richiesta di libero esame. È vero che gli abusi del sacro da
parte dei ministri della Chiesa furono enormi, e si può citare l'esempio mostruoso di
Alessandro VI che minacciò di scomunica la sua concubina se non fosse tornata ad
7
vomitum. Ma a parte il fatto che la condanna dell'abuso non giustifica il rifiuto di ciò
di cui si abusa, succede che la riforma della Chiesa doveva venire ed è avvenuta
attraverso l'ortodossia, grazie a uomini come S. Francisco de So, Sto.

Domingo Guzm'an, Santa Catalina de Siena e tutti i fondatori di ordini religiosi dei
secoli XIV e XV che hanno sempre ritenuto impossibile per i cattolici percorrere la
retta via senza l'approvazione e il sigillo di quegli stessi uomini di Chiesa di coloro
che autorità riconosciuta e di cui criticavano i vizi.

E la ragione per cui la corruzione dei pastori non ha portato a una crisi, ma solo
a una deviazione, è che la prevaricazione pratica non è stata eretta a dogma te Oric,
come invece ha fatto Lutero. Contrariamente alla prassi (sempre limitata), il dogma
teorico è illimitato, poiché contiene nella sua universalità un potenziale infinito
pratico. Pertanto, una volta salvato il dogma teorico, tutta la pratica è salva e il
principio di salute rimane intatto.

2.9. Perché la casistica non ha costituito


una crisi nella Chiesa
Non si può continuare senza accennare al fenomeno della casistica, che non fu
una vera crisi della Chiesa, anche se lo pensano Gioberti e alcuni altri autori
contemporanei (pur considerandolo l'origine del declino del cattolicesimo). anzitutto
8
perché il .
fondamento della casistica è del tutto ragionevole, anzi necessario. Infatti, in
quanto disciplina che indica all'uomo come applicare la norma all'agire concreto (che
è per sua natura universale), la casistica teologica ha una missione analoga alla
casistica dell'etica giuridica e nasce come qualcosa di necessario e che si realizza
costantemente in la vita morale. Il suo sviluppo fu conseguenza del Concilio di
Trento, il quale, definendo che nel sacramento della penitenza il sacerdote esercita il
suo atto per modum iudicii, sollevò la necessità di una dottrina che si traducesse in
soluzioni pratiche, coperte dalla specificità della

7La lettera di minaccia è pubblicata da GIOVANNI BATTISTA PICOTTI su Rivista


di storia della Chiesa ´ÿn Italia, 1951, p. 258.
8L. R. BRUCKBERCER, Lettera a Giovanni Paolo II, Parigi 1979, p. 101
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24 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

caso singolare, la regola morale e il precetto della Chiesa. E in questo, nulla di


riprovevole può essere argomentato contro la casistica.
Riprovevole era, invece, la sua tendenza a smussare il dovere morale
facilitando l'osservanza della legge evangelica e adattandola alla fragilità
umana. Altrettanto riprovevole era il principio filosofico e razionale della
probabilità che poneva il libero arbitrio e il giudizio individuale al di sopra
dell'imperativo della legge. Secondo Caramuel, chiamato da Sant'Alfonso il
principe dei laxistas, sul bene e sul male bisogna ammettere una varietà di
opinioni, e tutte sono ammissibili purché abbiano un certo grado di probabilità,
e tutte sono utili perché (sono sono sue parole) divina bonitas diversa ingenia
hominibus contulit, quibus diversa inter se homines iudicias rerum ferrent, et
se recte gerere arbitrarentur Certamente c'è qui un'ombra9 .
di luce privata luterana contro il principio cattolico di autorità. Tuttavia,
questa teoria dei casisti che dava il primato all'apprensione soggettiva nel
determinare la propria scelta morale è stata successivamente relativizzata
sottomettendo la coscienza dei penitenti all'autorità del confessore, e quindi in
qualche modo all'autorità della Chiesa. Inoltre, la casistica era più un fenomeno
dell'establishment clericale nel suo ruolo di guida che un diffuso fenomeno di
degrado della coscienza popolare. La stragrande maggioranza dei libri di
casistica apparsi in quel secolo sono Praxis confessariorum, e raramente Praxis
poenitentium. Insomma, era facile passare da un criterio benigno per giudicare
le azioni già compiute, come lo era in linea di principio la casistica, a un criterio
rilassato per giudicare le azioni ancora da compiere. La casistica non entrò in
crisi perché il principio che la libertà potesse scegliere la legge con cui
determinarsi non fu mai formulato espressamente. Ecco perché le numerose
proposizioni condannate da Alessandro VII nel 1665 e nel 1666 contengono
soluzioni di casi, ma non affermano un errore di principio. Di conseguenza,
dalla disapprovazione della casistica da parte della Chiesa non deriva che essa
sia stata capace (come pensava Pascal) di introdurre nel cattolicesimo un vero
e proprio stato di crisi.

2.10. la rivoluzione francese


La Rivoluzione francese, quali che siano gli atti violenti e iniqui che l'hanno
macchiata, può essere giustamente identificata con i principi del 1789. In effetti,
non sarebbero principi se fossero solo promulgazioni di diritti.
9
ÿÿLa bontà divina ha dato agli uomini atteggiamenti diversi che li portano a dare giudizi
diversi sulle cose, pensando di agire correttamenteÿÿ. Vedi la citata edizione di Morale
cat'olica, vol. II, pag. 96-98, e vol. III, pag. 161-165.
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2.10. la rivoluzione francese 25

Sono però principi veri e autentici: verità assunte che non devono essere
giudicate, ma con le quali tutto viene giudicato.
Sono proposizioni antitetiche al principio cattolico di autorità. Sotto questo
aspetto è impossibile pensare storicamente al 1789 francese se non è preceduto
dalla fissazione delle tesi luterane in quella vigilia di Ognissanti del 1517; e non
perché quelle novantacinque tesi prese articolo per articolo fossero distruttive,
ma perché lo spiritus agitans molem lo era. Questo spirito è stato capace di
partorire tutto ciò che ha partorito, ma non per la perversità degli uomini, né per
l'ostinazione di prelati corrotti, né per l'inettitudine delle gerarchie, ma per il più
terribile dei motori e le energie regolatrici del pandaimonio umano, che secondo
me è la logica necessità.

Molti dicono che il complesso di idee che attaccò il cattolicesimo nella


Rivoluzione francese fu straordinariamente ricco e traboccante, e che non tutte
le cause furono filosofiche e religiose. Penso lo stesso, come la Riforma
protestante. Tuttavia, se consideriamo il confronto disordinato delle idee non
come un proelium mixtum, bensì come una psicomachia o una lotta di essenze,
dobbiamo riconoscere nella Rivoluzione francese un grandioso movimento di
fondo, quello (riprendendo la magnifica immagine lucreziana) del funditus
humanam ... vitam turbat ab imo (De rer. nat., III, 38). Tutti gli autori cattolici
10
dell'Ottocento, compresi (e non ultimi) quelli abitualmente legati alla scuola
liberale, si sono occupati della critica dei principi della Rivoluzione francese. Lo
fa Manzoni nel saggio Sulla rivoluzione francese, che la storiografia moderna
cerca di portare al discredito e all'oblio. Lo fa padre Francesco Soave nell'opera
tagliente, anch'essa condannata alla Erebus, sulla vera idea della rivoluzione
francese (Milano, 1793). Rosmini lo fa nella Filosofia del diritto (§§2080, 2092),
discutendo della collisione tra diritti individuali e diritti sociali. So che ci sono
stati anche pensatori cattolici, illustri uomini del clero, politici e pubblicisti di
carattere cattolico, che hanno forzato i principi della Rivoluzione francese fino al
punto di giungere a un'interpretazione benigna. Si diceva che fossero il
chiarimento di idee nel cristianesimo che erano in attesa di sviluppo e non erano
riconosciute come tali al momento della loro esposizione. Ci sono dichiarazioni
al riguardo di grandi prelati della Chiesa e anche di Pontefici contemporanei. Vi
faremo riferimento in seguito in modo meno rapido che in questa rapida rassegna
storica (§33.1). Ma è innegabile, e sembrò innegabile per un secolo, che dalla
Rivoluzione francese sia nato uno spirito nuovo, veramente principale, che non
può essere unito al principio del cattolicesimo o soggiogato.

10Essa offusca la vita umana dal basso


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26 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

a lui come subordinato.

2.11. Il principio di indipendenza. l'AUC


lo strappo della fede

Chi sfoglia il classico Enchiridion può stupirsi che, tra i documenti dottrinali
dell'epoca in cui si sviluppò quel grande movimento convulsivo che fu la
Rivoluzione francese, non ce ne sia nessuno che riguardi direttamente i presunti
te orici sottesi alla legislazione di riforma delle varie Assemblee che avvenne
fino al Consolato e all'Impero.

Delle sette costituzioni che seguirono, il mediatore dei due secoli abrogò
definitivamente la più impegnativa e incompatibile con la religione cattolica,
lasciando però come sfondo delle novità il principio informativo del mondo
moderno. Questo principio, l'ho detto e lo dirò molte volte, è l'instaurazione dei
valori umani precesivi come umani, indipendenti e sussistenti per se stessi, e
conseguentemente la correlativa destituzione dell'autorità.

Non è che libertà, uguaglianza e fraternità non fossero valori riconosciuti fin
dall'antica sapienza greca ed elevati simboli universali nella religione cristiana:
da dove altro verrebbero? Ma gli stoici li rimandavano al Logos naturale che
illuminava inefficacemente (la storia della schiavitù lo prova) ogni uomo che
viene al mondo.
Tuttavia, il cristianesimo li rimandava al Logos soprannaturale fatto uomo,
impulso illuminante ed efficace per il cuore umano. E poiché il Logos naturale
non è reale, ma ideale, non può essere il vero principio da cui tutto dipende, né
deve quindi essere incondizionatamente venerato e obbedito.

Il vero principio è un'entità molto reale che include l'Idea e che per il
cristianesimo è diventata una realtà creata attraverso l'Incarnazione.
L'individuo
´ ontologico uomo-Dio diventa un individuo sociale nella Chiesa.
Questo è il suo Corpo mistico, secondo il celebre insegnamento di san Paolo,
per cui la sua dipendenza ´ da Cristo si riflette nella sua dipendenza dalla Chiesa.
Questo è il principio di autorità, che governa l'intero sistema teologico.

Il principio è stato ferito dalla rivoluzione luterana, che per le cose


della religione ha sostituito la regola dell'autorità allo spirito individuale.
Il correlativo dell'autorità è l'obbedienza; e si può dire che il primo principio
del cattolicesimo è l'autorità o, equivalentemente, l'obbedienza.
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2.11. Il principio dell'indipendenza L'autore della fede 27

obbedienza, come appare in celebri testi paolini che parlano dell'uomo-Dio


obbediente, e obbediente fino alla morte: cioè fino a tutta la vita. E questo non
primariamente, come si potrebbe dire, per salvare gli uomini, ma perché la
creatura si prostri davanti al Creatore e gli faccia un dono totale e assoluto,
che costituisce il fine stesso della vita: la creazione. Pertanto, la Chiesa di
Cristo porta sempre le persone a coordinarsi in virtù dell'obbedienza e
dell'abnegazione, e a fondersi nell'individuo sociale che è il Corpo mistico di
Cristo, rompendo con l'isolamento dell'individuo e delle sue azioni e abolendo
ogni dipendenza che non è subordinato alla dipendenza da Dio.

Ma l'indipendenza politica dell'uomo insegnata dalla Rivoluzione francese


era contenuta nell'indipendenza religiosa insegnata da Lutero e ripresa dai
giansenisti. La Costituzione di Pio VI Auctorem fidei (1794), che la condanna,
ha per questo un'importanza che la rende simile all'enciclica Pascendi di san
Pio X (1907).
Il gesuita Den zinger ei suoi collaboratori hanno dimostrato un acuto
senso della dottrina quando hanno riprodotto integralmente i due documenti
nel celebre Enchiridion symbolorum. Anche nell'Auctorem fidei ci sono solo
pochi articoli fondamentali e molti quasi accessori, applicazione dei primi. Le
prime sono qualificate come eresie, mentre le seconde sono classificate come
meno che eretiche.
E come Lutero ha interposto l'apprensione soggettiva tra il Verbo e il
credente, escludendo la Chiesa universale, così il Sinodo di Pistoia ha
interposto la Chiesa particolare, operando una traduzione dell'autorità
dall'universale al particolare; che lo moltiplica e lo diffonde un po' meno, ma
non in modo diverso da come lo faceva lo spirito individuale incoronato e
mitrato da Lutero. Come si addice a ogni pretesa riformatrice, il Sinodo di
Pistoia ha asserito un generale oscuramento di importanti verità religiose,
avvenuto nella Chiesa nel corso degli ultimi secoli (Proposizione I). Questa
proposizione era contraria alla natura della Chiesa, nella quale la verità è
immancabilmente in atto e nel cui organo didattico non può mai essere
oscurata. Ma a detta proposizione, che in fondo potrebbe essere presa come
una valutazione storica, ne seguirono altre proscritte come eretiche, con le
quali si professa che l'autorità di comunicare i dogmi di fede e di governare la
comunità ecclesiale risiede nella comunità stessa ed è trasmessa da la
comunità ai pastori. Questa proposizione non incorona più lo spirito privato
del singolo, ma quello della Chiesa particolare: l'autorità universale è
surrogata da un'autorità che è ancora sociale, ma particolare.

L'obbedienza alla parola esiste ancora, ma con la mediazione del libero


esame delle Chiese minori. Che il Papa sia capo della Chiesa, ma come
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28 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

ministro di una Chiesa dalla quale dipende, e non come ministro di Cristo, è un
corollario che viene qualificato come eresia in un altro articolo.

2.12. La crisi della Chiesa nella rivoluzione


francese
La Rivoluzione popolare seguì un'altra rivoluzione che era già stata compiuta
dall'assolutismo regio, il quale, dopo essersi affrancato dalla sudditanza almeno
morale alla Chiesa, aveva rinnovato il dispotismo della lex regia (secondo cui
11
il principio placet vigorem habet quidquid) e si era rafforzato adottando
legis spirito della libertà di coscienza luterana.
Da un lato, il nuovo cesarismo aveva affermato l'indipendenza del principe
rispetto alle norme della Chiesa, che rafforzavano e al tempo stesso temperavano
l'autorità regia a tutela dei popoli. Dall'altro, aveva assorbito privilegi, franchigie,
immunità, consuetudini immemorabili e garanzie della libertà dei suoi sudditi.

Pochi scrittori si azzardano a stabilire quanto, nell'enorme sconvolgimento


della Rivoluzione, ci sia stata pura reazione dovuta a meccanica sociale, e
quanta aspirazione o cospirazione dottrinale. Ma gli avvenimenti furono
importantissimi e sradicarono principi e opinioni come fa un ventus exurens et
siccans.
Un terzo del clero si trovò colpito da defezioni e apostasie, anzi compensate
da episodi di resistenza invitta fino al martirio; preti e vescovi accorsero al
matrimonio (poi convalidato dal concordato del 1801, salvo quello dei vescovi);
chiese e conventi furono profanati e distrutti (a Parigi, su trecento chiese, ne
rimasero solo trentasette); i segni della religione erano aborriti, dispersi o proibiti
(per cui Consalvi ei suoi, venuti a Parigi per negoziare, lo facevano in abiti
profani); dissolutezze nei costumi, riforme licenziose e stravaganti nel culto e
nella catechesi, confusioni sacrileghe del patriottico con il religioso erano
diffuse. In sostanza, la Costituzione civile del clero, votata nel luglio 1790 e
condannata da Pio VI nel marzo dell'anno successivo, conteneva un errore
sostanziale, poiché secolarizzava la Chiesa e la annullava come società
principale e totalmente indipendente dal Stato. Se fosse riuscita a reggersi
invece di crollare (cosa avvenuta per il rifiuto di quasi tutto l'episcopato, seguito
dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti, e grazie alla volontà del grande
mediatore dei due secoli) ci sarebbe stata la cancellazione dalla faccia della
Francia ogni istituzione e ogni influenza

11Ciò che il principe vuole ha forza di legge


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2.13. Il programma di P´ÿo IX 29

del cattolicesimo. La condanna della Costituzione civile del clero è dunque un


documento dottrinale che tocca la sostanza della religione. È sorprendente che
Denzinger l'abbia omesso.
La totale separazione tra Chiesa e Stato sembrò un errore agli estensori del
Sillabo, ma permette alle due società di sussistere (teocratica e democratica, ciascuna
nella propria natura e finalità). Come potrebbe non essere un errore pernicioso quello
che assorbe la Chiesa nello Stato e identifica quest'ultimo con la società universale
degli uomini? La Rivoluzione francese, ridotta alla sua specie logica, è stata una vera
e propria crisi del principio cattolico, poiché ha stabilito (pur senza poterlo tradurre
nel corpo civile) il principio di indipendenza, questo sconvolge l'ordine religioso, il
ordine morale e l'ordine sociale rispetto al suo centro, e tende a portare al completo
dislocamento dell'organizzazione sociale: teocratica prima e democratica poi.

Se però diciamo che non c'è crisi quando l'organismo mistico è attaccato nella
sua anima sensitiva ma non in quella intellettiva e mentale, né quando il nucleo (quello
che si adorna del carisma dell'indefettibilità) rimane intatto anche se il male progresso
in tutti gli ordini fisiologici del corpo, allora sarebbe legittimo dubitare che questo
shock del cattolicesimo sia stato una crisi della Chiesa.

2.13. Il programma di P´ÿo IX


Attualmente il famoso catalogo degli errori moderni allegato all'enciclica Quanta
cura dell'8 dicembre 1864 è ripudiato da una parte dei teologi, che cercano di coniugare
il principio cattolico con questi errori; ovvero rinviata e criticata da autori che, per non
dispiacere al mondo che il Sillabo troppo rifiuta, lo interpretano felicemente e ne fanno
un precursore del successivo sviluppo di detti errori, la cui veridicità dell'anima
intrinseca sarebbe stata rivelata da i progressi del pensiero del nostro secolo; o,
infine, rifiutato a titolo definitivo nel suo significato dottrinale (cioè permanente) e
presentato come momento superato di un'errata opposizione della Chiesa al genio
del secolo.

Anche nell'OR del 31 maggio 1980, uno storico francese collega quel pregevole
documento dottrinale con un bagliore di clericalismo monarchico ultramontano. Né il
sensus fidei né il sensus logicae hanno impedito a Denzinger e ai suoi successori di
introdurlo interamente nell'Enchiridion.
Sulla portata del Sillabo riguardante la verità cattolica, sorsero ben presto
controversie e disaccordi. Mons. Dupanloup, vescovo di Orléans, ne ha limitato il
significato di condanna. La Civilt´a cattolica, che ha goduto alla grande
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30 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

autorità, tuttavia proponeva una rigida interpretazione, vedendosi attaccato in


È l'inizio di tutto il mondo moderno.
Il Sillabo fu respinto da scrittori irreligiosi, che su almeno un punto
essenziale avevano una perspicacia non meno acuta dei Gesuiti: che il
Il programma contiene una disapprovazione della civiltà moderna. Vale anche
la pena considerare come nella prassi morale certe proposizioni siano condannate
ha dato luogo a dissensi. Così, ad esempio, il 75, sull'incompatibilità
del potere temporale con quello spirituale, e il 76, che prediceva gli effetti
salutare per la Chiesa con l'abolizione del potere temporale del Pontefice
Romano. Secondo la Civilt'a cattolica, chi rifiuta quei punti del Sillabo
non era suscettibile di assoluzione sacramentale. Al contrario, secondo la decisione
prese dal clero parigino sotto la presidenza del suddetto arcivescovo,
Si lo era. Anche Antonio Rosmini, in un'istruzione ai suoi religiosi
Istituto, aveva sostenuto la tesi dell'assoluzione prima della promulgazione
dal Sillabo. Ma12ancor più dell'atteggiamento di casistica intorno al
L'obbligo che il Sillabo comportava per i fedeli è quello di osservare un aspetto´
chiaramente professato fin dall'inizio del documento pontificio. Ciò significa
enumerare gli errori praecipuos nostrae aetatis. Ma questi errori
l'ultimo degli articoli (vera sintesi della condanna del Papa), sono
identificata con la sostanza stessa della civiltà moderna, che è
condannato non in tutto, ma in tutto, quando si condannano tali errori.
Data la scarsità di censura posta contro particolari articoli teologici, e data
l'ampiezza della censura comunque inflitta alle opinioni teologiche
dominante nel secolo, il Sillabo sembra essere una denuncia dello stato del
mondo piuttosto che della Chiesa, culminando sinteticamente nella condanna del
spirito del secolo.
Degli 80 articoli nel documento, pochi sono rilevanti per chiunque cerchi
gli universali, ma proprio questi pochi sono quelli decisivi.
Condannando la proposizione 3, l'indipendenza della ragione è messa al bando
che, senza riferirsi a Dio, riconosce come legge solo ciò che si impone
(autonomia), e non fa affidamento su altra forza che la forza immanente stessa:
è considerata capace di condurre la persona al raggiungimento degli obiettivi
dell'uomo e del mondo.
La proposizione 5 fa della ragione la norma assoluta e del soprannaturale
un prodotto e uno stadio del pensiero naturale; nega quindi
la dipendenza del verbo creato dal verbo non creato, che lo supera
infinitamente: la perfezione della divina rivelazione sarebbe nella coscienza
del divino e nella riduzione dei dogmi a teoremi razionali.
Di analoga rilevanza (poiché non è altro che il riflesso di questi errori nella ragione

12Vedi sul punto la citata edizione di Morale cat'olica, vol. III, pag. 340-343.
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2.13. Il programma di P´ÿo IX 31

pratica) è la proposizione 58, che proclama l'indipendenza della decisione


etica del singolo rispetto a una Regola stabilita che supera la ragione
individuale. Il corollario giuridico del 58 è condannato nel 59, che sono i
fatti umani, svincolati da ogni rapporto con la legge morale, a costituire il
diritto: il fatto sarebbe il fondamento della giustizia, il cui principio non
sarebbe l'Idea, ma il contingente .
Di conseguenza, en su conjunto el Syllabus parece m´as una denuncia
del mundo moderno que un ´ÿntoma de la crisi de la Iglesia, porque le
proposi ciones que il documento recoge conciernen no a una contraddizione
interna de la Iglesia con sus principios (como hemos visto desde el
comienzo, tal es la definici´on misma de la crisis), sino una contradicci´
del mundo con el catolicismo Este significado del Syllabus fue intu´ido su
entrambi i lati, tanto por parte del mundo como por parte de la Iglesia. La
condenaci´n sint´etica del pensamiento moderno continua desde el
Syllabus hasta el Vaticano I. Nello schema preparatorio de doctrina
catholic si osserva che il car´acter proprio de l´epoca non consiste in
atacar puntos singulares dejando intatto el primer per principio di religione,
concedo che gli uomini in genere, essendo distolti dalle verità e dai beni
soprannaturali, riposino quasi esclusivamente nella ragione umana e
nell'ordine naturale delle 13 . e pensino di poter trovare in essi tutta la loro perfezione e felicità.
cose,
Pertanto, la differenza tra la situazione richiamata nel Sillabo e quella
della Chiesa nel suo attuale disorientamento risiede proprio nel fatto che
le esigenze e i postulati del mondo, allora esterni alla Chiesa e da essa
combattuti, sono entrati nella Chiesa , o diminuendo l'antagonismo, o
nascondendolo (rinnovando il medievale tate et florebunt omnia), o
attenuandolo per renderlo tollerabile, oppure (e questa è la via più
praticata) diminuendo la forza del principio cattolico, elevando a un punto
di tale ampiezza da non abbracciare la totalità del vero, ma la totalità
sincretica del vero e del falso.
La condanna dello spirito del secolo, caratterizzato dagli errori qui
condannati, è innegabile e non suscettibile di preterizione o moderazione.
Il Sillabo non può essere spento dall'enorme silenzio con cui all'interno
della Chiesa si tenta di affondare il documento papale del 1864, e grazie al
quale si è tollerato che il nome del Sillabo non sia menzionato nemmeno
una volta nel Vaticano II, girando Piuttosto, è visto come un simbolo di qualcosa di ridicolo o abom

13 Gli uomini sono generalmente lontani dalle verità e dai beni soprannaturali, e
credono di potersi accontentare solo della ragione umana e dell'ordine naturale delle
cose, e di poter raggiungere in essi la propria perfezione e felicità.
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32 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

2.14. Lo spirito del secolo. Alessandro Manzoni

14 in un
Alessandro Manzoni, nella Seconda Parte di Moral Católica, ,
capitolo intitolato appunto Spirito del Secolo, che è il più tormentato dell'opera
(anzi il più tormentato di tutti i suoi scritti), si trova di fronte al nostro stesso
problema: se o meno lo spirito del secolo è compatibile con la religione
cattolica.
E trova la soluzione in un'operazione analitica e perspicace.
Rifiutando una falsa sistematizzazione che o accetta tutto o rifiuta tutto,
Manzoni esamina, articolo per articolo, le varie parti di questo composto
eterogeneo fatto di idee vere, utili e giuste, e idee false, irreligiose e dannose.
L'estrazione delle parti buone mostra che esse derivano dalla religione e vi
erano contenute, e la colpa fu forse di non averle dedotte e di aver lasciato tale
compito ai nemici della religione. L'analisi dello spirito del secolo, quindi, non
va fatta con lo spirito del secolo (né con quello del passato né con quello del
presente), ma con la luce della verità religiosa; Questo illumina le intelligenze
in evoluzione nel corso delle generazioni, ma senza che esse evolvano,
essendo al di sopra di ogni epoca attraverso una sorta di ucronia
15 .

Confrontando le opinioni dominanti in una società in un dato momento, è


possibile attuare quel discreteo spirituum non carismatico, ma filosofico, che
non rifiuta né accetta in solidum l'intero composto, bensì discerne valori e
antivalori con un criterio metastorico. . Ma qui sorge una domanda: lo spirito
del secolo è forse un composto scomponibile, o è, al contrario, un quid che
non definisco e tiene insieme le parti del composto dando a ciascuna un essere
diverso dal altro? della parte? Non è forse lo spirito quel nodo che, informando
le parti, permette loro di sfuggire alla pluralità e alla divisione e ne fa appunto
un'unità inequivocabilmente definita, cioè un individuo in sé indiviso e diverso
da ogni altro?

Resta comunque valido il punto che Manzoni illumina in queste pagine,


secondo cui lo spirito del secolo non va giudicato storicamente, ma solo con
un criterio ucronico: dalla religione, e non dalla storia.
Certamente questo criterio non sarà accettato da chi sostiene un'assiologia
priva di valori veri e noumenici, ma è il criterio cattolico con cui intendiamo
riconoscere dove sta la crisi. Pertanto, tali criteri

14Vedi edizione citata, vol. II, pag. 413-459, e vol. III, pag. 323-329.
15 Discuto ampiamente questa soluzione manzoniana nel discorso pronunciato in
Arcadia 24 aprile 1979, Atti di detta Accademia, 1979, pp. 21-44.
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2.15. La crisi modernista. Il secondo programma 33

non è solo legittimo, ma l'unico legittimo.


Il giudizio apprezzativo che il cattolicesimo e i sistemi che gli si oppongono
emettono sulla stessa cosa (per esempio, sulla dignità e rispettabilità della
persona) può sembrare identico, ma quell'identità di giudizio non è la stessa,
più che apparente, perché la ragione di quella rispettabilità si trova nel
cattolicesimo dove i sistemi avversi no.
In questi e in quello l'uomo è amato, ma in questi l'uomo è gentile di per sé
mentre in quello non lo è, poiché il principio superiore della sua gentilezza è
una gentilezza in sé ciò che rende un uomo gentile. Con questo esempio è
possibile comprendere in che cosa consiste lo spirito di un'epoca, lo spirito di
una società, lo spirito di un sistema: è la ragione ultima, irriducibile a nulla di
più, che rende intelligibile ogni punto del sistema e ogni momento del secolo;
è il caput mortuum, quell'ultimo pensiero in cui tutto si risolve e che non è
risolvibile in un altro.
Lo spirito del secolo non è dunque un complesso di idee, ma ciò che unifica
il complesso e non è scomponibile. Lo spirito del secolo è nella vita sociale
l'analogo di ciò che nella vita del singolo la Bibbia chiama l'albero o il cuore (Mt
7,17 e 15,18): da dove i pensieri dell'uomo (buoni o cattivi, salvezza o perdizione)
e da dove vengono i frutti, buoni o cattivi a seconda che l'albero sia buono o
cattivo, e che il cuore sia buono o cattivo. In realtà, l'uomo, secondo la religione,
è tutto buono o tutto cattivo, e il suo destino è ininterrotto. Si veda su questo
§29.2.

2.15. La crisi modernista. la seconda silla


autobus

La crisi denunciata nel Sillabo era una crisi del mondo piuttosto che della
Chiesa. Quella denunciata da quel successivo Sillabo che costituisce il decreto
Lamentabili dell'8 luglio 1907, insieme all'enciclica Pascendi dell'8 settembre
1907, è invece una crisi della Chiesa.
Y la diferencia entre el documento de San P´ÿo X y el de P´ÿo IX es manifi
esta ya desde el t´ÿtulo: P´ÿo IX enumerò i principali errori della nostra epoca,
mentre San P´ÿo X denuncia errores modernistarum de Chiesa, rivelazione,
Cristo e sacramenti.
Praticamente ogni filosofia contiene una teologia. Le materie puramente
teologiche contemplate dall'insegnamento di san Pio X sono il frutto maturo
della filosofia dell'indipendenza condannata nel primo Sillabo. La differenza nel
titolo corrisponde
´ alla diversa natura delle 65 proposizioni fallite. Queste non
riguardano più una situazione spirituale a lui propria.
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34 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

mondo ma pur sempre esterno alla Chiesa, ma ad una vera e propria ferita nel Nous
Cattolica: non alle parti smembrate di un sistema, ma allo spirito
immanente in tutti loro. Ciò si chiarisce anche nel fatto, rivelato dall'art
l'enciclica, su cui el modernista agisce più persone e sembra mescolarsi in sé
16
, Essere allo stesso tempo filosofo, credente, teologo, storico, critico, apologeta
e riformatore.
Non credo che questa pluralità di persone sia denunciata da san Pio X
come atteggiamento morale di doppiezza o di ipocrisia (pluralità di maschere), se
ebbene, qualche tratto dell'astuzia ajitofelica (cfr. 11 Sam. 15-17) può forse
essere apprezzato in alcuni difensori di quelle dottrine; ma forse non anche, a
volte, sui tuoi avversari? Credo piuttosto che questa molteplicità di persone
o volti è proprio la prova che il documento non condanna i partiti
separati, ma uno spirito, che in definitiva è lo spirito di indipendenza.

Procedendo come abbiamo fatto con il primo Sillabo, esamineremo alcuni


articoli principali per riconoscere nel documento la condanna di
un tale spirito. La Proposizione 59 segnala l'errore secondo cui l'uomo
subordina la verità rivelata non evolutiva al suo giudizio evolutivo, subordinando
così la verità alla storia. Una tale riduzione della verità al progressivo sentire
umano (che presenta e ri-presenta i dati religiosi come
una specie di noumeno inconoscibile) è anch'esso respinto nell'articolo
20, perché distrugge ogni dipendenza del senso religioso rispetto al
17
autorità della Chiesa. La Chiesa (si afferma espressamente) è ridotta a
funzioni di semplice registrazione o sanzione delle opinioni dominanti
nella Chiesa discente, che in realtà cessa di essere discente. Proposizione 7,
negare che la verità rivelata può costringere all'assenso interno (di
la persona, e non solo del membro della Chiesa), presuppone quindi il
esistenza nell'individuo di un nucleo intimo indipendente dalla verità,
che sarebbe imposta in quanto soggettivamente accettata, non in quanto essa
VERO.
Non sei meno importante della 58: la verità non è più immutabile
18 .
dell'uomo stesso, poiché ciò che si sviluppa con lui in lui e attraverso di
lui. Primera, la del hombre hist´orico re specto de la naturaleza del hombre,
assorbita enteramente en su historici dad. La proposizione equivale a negar
l'esistenza de la idea eterna en la

16 Rappresenta e, per così dire, mescola in sé varie persone


17L'essenza del modernismo è proprio questa: che l'anima religiosa non estrae da nessuno
in qualche´ luogo diverso da se stessa la ragione della propria fede. Questa è la diagnosi della carta.
DEJIRE MERCIER nella pastorale quaresimale del 1908.
18 La verità non è più immutabile dell'uomo stesso, poiché si svolge con lui, in
lui e per lui.
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2.15. La crisi modernista. Il secondo programma 35

che le nature reali sono esemplificate, cioè negare quell'elemento


irrefragabile del platonismo senza il quale crolla l'idea di Dio. La seconda
indipendenza professata è, più in generale, quella della ragione rispetto a
la ragione. La ragione umana, il più grande ricettacolo a noi noto
il mondo è 19 , volta contenuto in un altro ricettacolo più grande, la mente
a sua
divina, negata nella proposizione 58. Ecco perché la tesi dell'articolo è falsa
proscritto, secondo il quale la verità si sviluppa con l'uomo, nell'uomo,
e per l'uomo. Si sviluppa in questo modo, ma non tutto. Non è vero
che la verità si trasformi nell'uomo che si trasforma: chi lo fa
sono gli intelletti creati, anche quelli dei credenti, e anche quelli del corpo
della Chiesa, che con i propri atti, variabili da individuo a individuo, da
generazione a generazione, e da civiltà a civiltà, convergono
tuttavia in una verità identica. L'indipendenza della ragione in merito
alla verità immutabile dà al contenuto e al contenitore della religione a
carattere di mobilismo (cfr. §§17.1-17.6, e nota 1 del capitolo XVII).
Di estremo interesse e meritevole di prolungata riflessione mi sembra il
Proposizione 65, se confrontata con la penultima del Syllabus. Pio IX affermò
che il cattolicesimo era incompatibile con la civiltà moderna. San Pio X
condanna chiunque consideri il cattolicesimo incompatibile con la scienza moderna
Già.

La Chiesa è inconciliabile con la civiltà moderna, ma non lo è


identificarsi con la scienza. La religione è compatibile con il pensiero umano,
ma non nel senso di essere compatibile con tutte le determinazioni storiche
attraverso le quali cammina, e talvolta erroneamente, ma nel senso
senso di essere sempre conciliabili con la verità a cui si riferiscono quelle
terminazioni. Il documento esprime questa differenza proclamando quanto detto
la compatibilità influisce sulla conoscenza effettiva. Abbiamo quindi due
proposizioni condannate: il cattolicesimo è conciliabile con la civiltà moderna (Pio IX) e
Il cattolicesimo è inconciliabile con la vera scienza (San Pio X).
Il confronto tra i due rivela la disuguaglianza tra la civiltà moderna e la vera
scienza. La Chiesa separa entrambi, ma non
abbandonare la condanna dello spirito del secolo. Può esserci vera saggezza
in una civiltà basata su falsi principi, ma poi è rivestita di un falso spirito ed è
necessario, con una specie di azione vendicativa, spogliarla di esso e rivestirla
della verità che si trova in essa.
sistema cattolico, ponendolo sotto il vero principio.

19Rosmini, Teosofia, 111, 1090, ed. nac., vol. XIV, Milano 1941. Vedi negli indici la voce
Idea.
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36 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

2.16. La crisi preconciliare e la terza Silla


autobus

In questa breve rassegna storica ci siamo proposti di delineare summa tim le


precedenti crisi della Chiesa. Abbiamo quasi del tutto abbandonato le conseguenze
politiche di tali crisi, abbiamo messo a tacere le ripercussioni sociali, e abbiamo solo
intravisto le modificazioni disciplinari, perché la disciplina della Chiesa discende dalla
dottrina.
Indagando sulle crisi della Chiesa abbiamo scoperto che queste avvengono solo
quando non nel mondo, ma nella Chiesa stessa, sorge una contraddizione con il
principio che la costituisce e la governa. Tale contraddizione rispetto all'elemento
principale è la costante (come dicono i matematici) di tutte le crisi. E come la crisi
preformata nel mondo fu denunciata dal primo Sillabo e poi da san Pio X all'inizio del
secolo quando cominciò a comunicarsi e ad entrare nella Chiesa, così fu da P'io XII
nel terzo Sillabo quando a metà del secolo entrò con più diffusione in esso.

Il terzo Sillabo è l'enciclica Humani generis del 12 agosto 1950, e con i testi del
Concilio Vaticano II costituisce il principale atto dottrinale della Chiesa dopo San Pio
X.
È vero che nella formazione del sensus communis della Chiesa ci sono momenti
in cui predomina la memoria, ponendo in primo piano alcune parti del deposito della
Fede, e momenti in cui prevale quell'oblio, deviando da quella luce e relegandone altre
del 20 sistema cattolico alle tenebre
.
È un effetto dell'intenzionalità limitata dello spirito, che non può essere sempre in
tutto, e della conseguente diligenza dell'attenzione, grande verità su cui poggia l'arte
dell'educazione e, in un ordine infimo (bassissimo), l'arte di propaganda. Ed essendo
qualcosa di necessario alla natura umana, non può essere né deplorato né eliminato.
Tuttavia, è necessario che questo relativo obliterazione in cui cadono alcuni articoli
dell'ordinamento cattolico non diventi alla fine la sua soppressione. È la storia, il
dispiegarsi, che espone od oscura un aspetto o l'altro, ma nessuno di questi aspetti
esiste nella coscienza della Chiesa in virtù dell'essere illuminato, né è del tutto spento
dal fatto di essere oscurato. Quando la tendenza generale nella maggioranza della
Chiesa è quella di oscurare certe verità, è necessario che la Chiesa docente le
sostenga con forza preservando l'intero sistema cattolico, anche se questa o quella
parte suscita scarso interesse. maggioranza.

20 Di questa dimenticanza ci siamo occupati in 42.14 e segg.


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2.17 La Humani Generis (1950) 37

Pertanto, l'innegabile educazione dei tre Syllabus al momento non lo fa


può privare tutti e tre i documenti del loro carattere eminente. a questo scopo
È essenziale evidenziare che l'omogenea continuità delle affermazioni
forme pontificie ne costituisce, agli occhi dei novatori, il difetto principale
insistenza della Chiesa, perché ne ripudierebbe lo sviluppo. Ma la Chiesa sussiste di
una verità senza tempo, con la quale giudica i tempi. La formula
de la Iglesia sei due volte nello stesso, o mejor, molte volte nello stesso, o mejor a´un, sempre
in idem, perché è in rapporto perpetuo e indefettibile col principio, e
quando giudica le versatili contingenze storiche sotto la guida del principio
Lo fa su impulso di questo, e non di quelli.

2.17 La Humani Generis (1950)


Nel titolo dell'enciclica lo stile tetico e
categorico, insolito nelle formule più sobrie di altri atti dottrinali.
En lugar de la formula non sembrano essere consonanti o simili (por otro lado
adottato anche qui ai fini del poligenismo), si afferma in limine
che tengano conto delle false opinioni che minacciano di minare i fondamenti della
21
dottrina cattolica .
È una minaccia, es decir, una distruzione in prospettiva, ma la ame naza es real;
non dire che sembrano sovvertire, se glielo permettiamo minacciano di sovvertire
gli errori offendono la verità cattolica, anche se non ne completano la distruzione. Nel
proemio della lista si cita una caratteristica della crisi che indica
il suo grado ed esprime la sua novità. L'errore, che un tempo veniva da ab extra,
origina ora ab intra della Chiesa; e non è più un assalto esterno, ma
un cattivo intestino: non un tentativo di demolire la Chiesa ma, secondo il
celebre frase di Paolo VI, autodemolizione della Chiesa. Tuttavia,
le false opinioni non dovrebbero rientrare in esso, poiché la ragione umana (senza
danno alla sua capacità naturale) è sempre rafforzata e
amplificato dalla Rivelazione. Ma è proprio il postulato di indipendenza della Rivelazione
che è il primo errore, e gli errori che l'enciclica
descrive non sono altro che forma o, più veramente, le loro denominazioni.
Così, lo scetticismo essenziale della mentalità moderna fa sì che la nostra conoscenza
non sia apprensione del reale, ma pura produzione.
di immagini in continuo mutamento di una realtà che ci appare sempre
fuga. La conoscenza diventa indipendente dalla verità.
L'esistenzialismo si basa anche sul principio di indipendenza: le cose esistenti
non avrebbero alcuna relazione con essenze precedenti che
partecipano del carattere assoluto dell'entità divina in cui sono pensati. IL
21Che minacciano di distruggere i fondamenti della dottrina cattolica.
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38 2. Sintesi storica. Le crisi della Chiesa

enciclica attacca la mentalità moderna, ma non come moderna, ma dentro


cuanto fingere di essere separato da questo supporto di valori immutabili
trasformarsi totalmente ed esclusivamente in esistenza. Questa mentalità non può
essere compatibile con il dogma cattolico senza nemmeno essere corretto
(DEN ZINGER, 2323).
Gli articoli seguenti spiegano l'affiliazione degli errori successivi, riferendoli
tutti a quello dell'indipendenza delle creature. Essere storicismo
la considerazione dell'esistenza separata dell'essenza, non può che trovare la
realtà nel movimento, dando origine a un mobilismo universale.
Negato l'elemento transtemporale (costituito appunto dalle essenze) di tutte le
cose temporali, l'essere si dissolve nel divenire, scomparendo
qualsiasi substrato indissolubile, che sarebbe tuttavia necessario per concepire il
devenir mismo (DENZINGER, ivi).
La condanna del sentimentalismo (DENZINGER 2324) consiste in a
condanna del sentimento quando non è contemplato nella totalità dell'uomo.
In fondo all'uomo c'è un rapporto essenziale con la sua ragione, e dentro
Al fondo della ragione c'è un'essenza che, pur essendo creata, partecipa
assoluto. La progenie dello scetticismo, dell'esistenzialismo, del mobilismo e
Il sentimentalismo nei confronti del principio di indipendenza, opposto a
quello cattolico, costituisce il nervo teoretico del documento di Pio XII. La disapprovazione
di singoli errori derivanti dal primo errore, come il ripudio del
metafisica (tomista o meno), evoluzionismo generale, critica scritturale,
naturalismo religioso e altri errori teologici specifici (uno è
della massima la negazione della transustanziazione), sono puramente
secondarie e accessorie, e dovrebbero avere un ruolo secondario quando si tratta di
stabilire dove si attacca il principio stesso del cattolicesimo. Questo principio
è la dipendenza di tutto ciò che è antropologico dal divino, negato
che diluisce il fondamento di ogni assiologia, come affermato nel documento
(DENZINGER, 2323).
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Cap'itulo 3

La preparaci´on del Concilio

3.1. Il Concilio Vaticano II. La sua preparazione

Sembra che Pio XI giunse a pensare alla possibilità di riprendere il Concilio


Vaticano, interrotto nel 1870 da violenti avvenimenti; ma quel che è certo,
secondo la testimonianza del cardinale Domenico Tardini, è che Pio XII ponderò
l'opportunità di una tale ripresa o quella di un nuovo Concilio e ordinò
´ una
commissione per studiarne i pro ei contro in special modo. Ha deciso in senso
negativo. Forse si è pensato che l'atto dottrinale dell'Humani generis bastasse
da solo a raddrizzare quanto di storto c'era nella Chiesa. Forse sembrava che
la natura del governo pontificio, che poteva essere sminuita (o apparire
sminuita) dall'autorità del Concilio, non dovesse essere in alcun modo
compromessa. Forse intuivano l'aura democratica che avrebbe investito
l'assemblea e ne avvertivano l'incompatibilità con il principio cattolico. Oppure
può darsi che il Papa abbia seguito la sua inclinazione alla responsabilità
totale, che esige una totalità indivisibile di potere (per la cui concentrazione,
alla sua morte, erano vacanti posti importantissimi in Curia). A quel tempo non
si dava tanto peso al beneficio che attualmente si riconosce nella reciproca
conoscenza e comunicazione tra i vescovi del mondo (il che è indice di una
propensione democratica), poiché non si riteneva vorrei che fosse sufficiente
riunire gli uomini in modo che si conoscano tra loro e la cosa su cui deliberano.
La proposta di Consiglio è stata accantonata.

C'è una vecchia sfiducia verso il fatto di porre di fronte il Concilio e la Sede di
Pietro. È stata formulata fantasiosamente dal card. Pallavicino, storico del Concilio di
Trento: Nel cielo mistico della Chiesa non si può immaginare un incontro più difficile
da comporre, né composto di più pericoloso

39
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40 3. La preparaci´on del Concilio

influenza, che un Consiglio generale 1 .


L'annuncio della convocazione di un Concilio, per un'ispirazione
improvvisa, come disse lo stesso Giovanni XXIII, colse totalmente di sorpresa il mondo.
sorpresa. Al contrario, il Vaticano I era stato preceduto dal 1864
da un sondaggio tra i cardinali, che si erano pronunciati in modo schiacciante
a favore della sua convocazione. Alcuni si sono opposti a lei, beh
per non rivelare le divergenze e quindi aumentarle,
bravo perché gli errori sono già anatemizzati, bravo per non poter cambiare il
2
condizioni della Chiesa prive dell'aiuto degli Stati. Per quanto riguarda il
Vaticano II, non ci sono state consultazioni preliminari circa la necessità o l'opportunità di farlo
convocarlo, giungendo alla decisione di Giovanni XXIII con un esercizio di
3
carisma ordinario, o forse con un soffio di carisma straordinario. Così, il 15 di
Nel luglio 1959 il Papa istituì la Commissione preparatoria centrale, composta
da una larga maggioranza di cardinali e da un certo numero di patriarchi,
arcivescovi e vescovi eletti a tempo indeterminato, dove non era chiaro se
prevalse la dottrina, la prudenza di governo o il rapporto di fiducia
con il Pontefice.
Questa Commissione centrale distribuì all'episcopato del mondo intero un
questionario sui temi da trattare, lo raccolse e classificò i pareri,
a sua volta istituì commissioni minori e disegnò i progetti che dovevano essere
proposta all'assemblea ecumenica.
Le risposte dei vescovi rivelano già alcune delle tendenze che
avrebbe prevalso al Concilio, spesso rivelando un'incapacità di essere
all'altezza della situazione e divagando in questioni impertinenti
of´utili. Anche nel Vaticano I non sono mancate proposte stravaganti. C'era
qualche suggerimento in favore del Rosmini o del Santo Tomas, e qui la
questione è certamente di grande importanza; ma insieme a questi ne scesero altri
al problema delle domestiche cattoliche nelle famiglie non cattoliche, alla
benedizione dei cimiteri, o ad altre questioni disciplinari minori, non certo
proporzionata alla grandezza di un Concilio ecumenico.
Il Vaticano II nel suo insieme ha avuto una preparazione che implicava a
generale omogeneità di ispirazione, che sembrava corrispondere all'intenzione
4
del Papa. In questa fase preparatoria la controparte ha sviluppato la sua

1 mansi vol. 49, pag. 28


2MANSI, vol. 49, pag. 34. È parere del card. Roberti.
3Il Papa stesso ha affermato che l'idea di convocare il Concilio era di ispirazione divina, e
Lo confermò Giovanni Paolo II nel discorso di commemorazione del 26 novembre 1981
del centenario
´ della nascita del Papa Roncalli.
4Questo, nel radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo dell'11 settembre 1962,
ne fa un eccessivo elogio, parlando diÿÿuna ricchezza sovrabbondante di elementi di ordine
dottrinale e pastoraleÿÿ.
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3.2. Parad´ojica resoluci´on del Concilio 41

attività con minore forza all'interno che all'esterno, riservandosi di svolgere


il suo principale adempimento nella fase plenaria dell'assemblea.

3.2. Parad´ojica resoluci´on del Concilio


Il Vaticano II ha avuto una risoluzione diversa da quella prevista dal
Concilio; piuttosto, come vedremo, tale preparazione fu rapidamente e
5
completamente accantonata. Il Concilio è nato, per così dire, da sé,
indipendentemente dalla sua preparazione. Per certi aspetti, con il Vaticano
II sarebbe avvenuto come con quello di Trento, che, come dice il Sarpi nel
preambolo alla sua Storia, si è svolto in modo e con una conclusione del
tutto contraria alle attese di chi lo ha procurato. e il timore di coloro che
l'hanno diligentemente combattuta: contraria al progetto di chi promosse
una riforma cattolica che riducesse il potere della Corte romana, e contraria
alla paura di questa stessa Corte 6
, che, a parere dei serviti, fece la sua
risoluzione difficile in tutti i modi possibili.
E da qui Sarpi ha tratto, ed è possibile trarre, una conclusione teodicea
e una parenesi religiosa: la paradossale risoluzione dell'assemblea
tridentina è un chiaro documento per meditare sui pensieri di Dio e non
fidarsi della prudenza umana. 7Come nel Tridentino (secondo Sarpi), nel
Vaticano II gli avvenimenti differirono quanto alla loro preparazione e,
come si dice oggi, alle loro prospettive. Non è che i tratti del pensiero
8
modernizzante non fossero già riconoscibili nella fase preparatoria.
Tuttavia, non hanno caratterizzato l'insieme degli schemi preliminari in modo così profondo e

5L'esito paradossale del Concilio, così come la rottura della legalità conciliare e la
retrocessione del Concilio preparato, sono fatti messi a tacere dai lavori che ricordano le
vicissitudini della grande assemblea. Si veda, ad esempio, la sintesi del Concilio di mons. Q.
POUPARD, pro-Presidente del Segretariato per i non credenti, in Esprit et Vie, 1983, pp,
241 e ss. Come contrappeso all'omissione di eventi così importanti, li sottoponiamo a un
esame un po' più attento.
6Il parallelismo rilevato da Sarpi è mera apparenza. Una delibera contraria al timore
della Curia romana è infatti una delibera secondo i suoi criteri. In realtà il Tridentino non ha
avuto una risoluzione paradossale.
7
Storia del Concilio Tridentino, Bari 1935, vol. 1 pag. 4. Per illustrare questo punto, vedi
ROMANO AMERIO, Il Sarpi dei pensieri filosofici inediti, Torino 1950, pp. 8-9, e in particolare
l'incoerenza tra la lettera e la sostanza di questo testo. In realtà Sarpi intende pienamente
dimostrare l'efficacia della gestione umana nel condurre quel Concilio.

8Posso parlare del lavoro della Commissione preparatoria centrale con una certa
cognizione di causa, essendo stato associato a mons. Angelo Jelmini, Vescovo di Lugano
e membro di quella Commissione, allo studio degli schemi e alla redazione dei suoi pareri,
ebbi conoscenza di tutti i documenti.
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42 3. La preparaci´on del Concilio

in modo diverso, come successivamente riflesso nei documenti finali promulgati. Ad


esempio, la flessibilità della liturgia a cui studiare il suo adattamento
i vari caratteri nazionali è stato proposto nel testo corrispondente,
ma limitato ai territori di missione e non è stata fatta menzione del requisito
soggettiva alla creatività del celebrante. La pratica dell'assoluzione comunitaria,
aumentata a scapito della confessione individuale con l'intenzione
per facilitare il rispetto della morale, è stato proposto nello schema dei sacramenti.
Anche l'ordinazione sacerdotale di uomini sposati (anche se non
delle donne) trovò posto nell'ordine sacro. Quello con la libertà religiosa
(dal card. Bea), uno dei membri più burrascosi e conflittuali dell'assemblea
ecumenico, la novità finalmente adottata avanzò nella sostanza, deviando dal comune
cammino (o così sembra) la dottrina canonizzata e perpetuamente
professato dalla Chiesa Cattolica.
Il principio di funzionalità tipico del pragmatismo e dell'attivismo moderno, che
riconoscono il valore della produttività delle cose o del lavoro
e ignorano le operazioni intransitive o immanenti della persona
abbassandoli rispetto al transitivo ed efficiente ad extra, ( §§31.7-31.8),
era anche espressamente formulato nello schema della disciplina clericale,
che prevedeva l'interdizione o la rimozione di vescovi e sacerdoti
raggiungimento di una certa età.
È noto che il frutto maturo di questa inclinazione all'attivismo è il
Mi avvicino all'età crescente, che risente della diminuzione della a maiuscola
cardinali ottantenni Un particolare votum sull'abito da taglio fornì il pretesto all'usanza
di vestirsi alla maniera laica, nascondendo il
specifica differenza tra sacerdote e laico e addirittura abolendo la prescrizione che
obbligava all'uso della tonaca durante le funzioni ministeriali.
Pareri particolari si trovano anche nei lavori preparatori
di certe scuole teologiche in un senso di maggiore apertura.
Verbi gratia, si è voluto spacciare per dottrina del Concilio a
posizione discutibile sul limbo dei bambini e anche degli adulti. Questo
materia, essendo troppo vicino allo spinoso dogma della predestinazione,
che non menzionano i decreti conciliari 9è, stato completamente omesso, ma
Come mostreremo in seguito, lo spirito lassista e pelagiano che supponeva
ha investito nel pensiero teologico postconciliare.
L'influenza, beh
manifesta nella sua preparazione, di coloro che volevano apportare innovazioni nel
educaci´ del clero La pedagogia

9 Ver DELHAYE-GUERET-TOMBEUR, Concilio Vaticano II, Concordanza, Indice,


Liste di frequenza, tabelle comparative, Louvain 1974. Predestinatio y predestinare only
Si trovano tre volte: due rispetto alla Vergine, e un'altra in una citazione del Roni. 8, 29.
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3.2. Parad´ojica resoluci´on del Concilio 43

La laicità della Chiesa, concretizzatasi nel sistema dei seminari, implica che i
sacerdoti debbano essere formati secondo un principio peculiare correlato alla
peculiarità ontologica e morale del loro stato di consacrazione.
Al contrario, il testo chiedeva una formazione del clero assimilata il più
possibile alla formazione dei laici: perciò la ratio studiorum dei seminari
dovrebbe prendere l'esempio di quella degli States, e la cultura del clero in
genere omette ogni originalità rispetto a quella dei laici. La ragione di questa
innovazione si è rivelata essere un tema variamente ribadito dal Concilio: che
gli uomini di Chiesa si conformino al mondo per esercitare sul mondo la loro
specifica operazione di istruzione e santificazione.
Anche intorno alla riunificazione dei cristiani non cattolici, la voce di chi ha
paragonato i protestanti (senza sacerdozio, senza gerarchia, senza successione
apostolica e senza sacramenti, o quasi) agli ortodossi, che però hanno quasi
tutto in comune con i cattolici tranne le dottrine del primato e dell'infallibilità.
Pio IX aveva fatto una distinzione molto netta: inviava inviati apostolici con
lettere di invito ai Patriarchi d'Oriente, i quali dichiaravano tutti di non potersi
avvicinare al Concilio; ma non riconosceva le varie denominazioni protestanti
come Chiese, considerate mere associazioni, e rivolgeva un appello ad omnes
ai protestanti non perché intervenissero nel Concilio, ma perché tornassero
all'unità da cui erano partiti.

Il comportamento latitudinario emerso nella preparazione si basa su


un'implicita parziale parità tra cattolici e non cattolici, e sebbene nella fase
preparatoria sembrasse una minoranza, si è poi verificato che erano sia
protestanti che ortodossi indistintamente invitati come osservatori, il che
spiega la loro influenza sul decreto ecumenico (§§ 35.1-35.3).

Un'ultima caratteristica ricorda la preparazione del Concilio e il suo esito:


l'ottimismo generalizzato che ha colorato le diagnosi e le prognosi di una
minoranza nella Commissione preparatoria centrale. Che l'aumento della
conoscenza scientifica della natura (vale a dire, del regno della tecnologia con
cui si identifica la civiltà moderna) abbia dato origine anche al regno della
dignità e della felicità umana, si è manifestato nello schema dell'Ecclesia (cap.
5, de laicis) ma contestato dalla maggioranza, che insisteva sul carattere
indifferente del progresso tecnico: questi estendono la possibile applicazione
della morale, ma non la raffinano intensamente.
Tuttavia, questo tema del dominio della terra per mezzo della tecnologia
sarà sacralizzato (§ 32.1) nei documenti definitivi e riguarderà tutto il pensiero
teologico postconciliare. L'elevazione della tecnologia a forza civilizzatrice e
moralmente perfezionatrice dell'uomo ha condiviso l'idea di progresso mondiale
e, insieme, una grande ventata di ottimismo.
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44 3. La preparaci´on del Concilio

L'ottimismo avrebbe poi presieduto ogni prospettiva dell'assemblea plenaria,


oscurando la visione dello stato reale del cattolicesimo. È opportuno fare riferimento
letteralmente le critiche che un Padre della Commissione Preparatoria Centrale
contrari alla descrizione troppo fiorita della situazione mondiale e di
la situazione de la Iglesia en el mundo Non mi piace stare qui con tanta gioia
Lo stato descritto della Chiesa riguarda più la speranza, secondo me, che la verità.
Perché dici che il fervore della religione è aumentato, o rispetto a quale età? Non è vero?
dobbiamo tener presente la ragione statistica, che dicono, da cui appare il culto di Dio,
Fede cattolica, morale pubblica tra la maggioranza delle persone crolla e quasi distrutta?
Lo stato d'animo in generale non è estraneo alla religione cattolica, al di fuori di essa?
la repubblica dalla Chiesa, la filosofia dai dogmi della fede, l'indagine del mondo da
rispetto per il Creatore, l'invenzione dell'arte dall'obbedienza all'ordine morale? La
Chiesa non lavora forse nell'opulenza degli operai del sacro ministero? Non ci sono molte parti?
Le chiese sante sono o calpestate da giganti e minotauri,
chi è orgoglioso nel mondo, o è minato dallo scisma, come tra i cinesi? Le nostre
missioni ai miscredenti non sono seminate con tanto zelo e carità?
e quando furono annaffiati, il nemico sprecò forse l'uomo? Non è l'ateismo celebrato
non più da singoli gruppi ma da intere nazioni (che era del tutto inaudito) e da
È stabilita la legge della repubblica? Il nostro numero non è proporzionale ogni giorno?
è diminuito, scivolando eccessivamente nel maomettanesimo e nel gentilismo? Per noi
Siamo la quinta parte del genere umano, che poco fa eravamo la quarta. Non è vero?
il nostro comportamento attraverso il divorzio, l'aborto, l'eutanasia, la sodomia,
10
Gentile attraverso Mammona? . E conclude affermando che questa diagnosi
procede humano more e in linea di considerazione storica, fermo restando l'art
ciò che la Provvidenza di Dio sulla Chiesa può operare al di là del

10 Non approvo la descrizione dello stato attuale della Chiesa, qui svolta con tanta
esaltazione, e ispirata a mio avviso più dalla speranza che dalla verità. Perché parlare
di accresciuto fervore religioso? Rispetto a quale periodo ti riferisci? non dovrebbero esserlo
tener conto delle statistiche secondo cui la fede cattolica, il culto divino e
i costumi pubblici decadono e sono rovinati? Non è lo stato generale del
le menti lontane dalla religione cattolica, lo Stato separato dalla Chiesa, la filosofia
di fede, ricerca scientifica di rispetto per il Creatore e sviluppo tecnico
del dono dovuto alla legge morale? Forse la Chiesa non soffre per la carenza di clero? NO
molte parti della Santa Chiesa sono crudelmente perseguitate dai Giganti e Mino taurus che
si vantano nel mondo o, come in Cina, hanno portato allo scisma? Nostro
missioni, piantate e irrigate con tanto zelo e carità, non sono state devastate?
dal nemico? L'ateismo non è forse esaltato non solo dai singoli, ma anche stabilito (cosa
assolutamente inaudita) dalle leggi di intere nazioni? non diminuisce
Ogni giorno in proporzione il numero dei cattolici mentre maomettani e gentili crescono a
dismisura? Infatti, noi, che recentemente eravamo un quarto
parte della razza umana, siamo stati ridotti a un quinto. E non è vero?
che i nostri costumi sono paganizzati attraverso il divorzio, l'aborto, l'eutanasia,
sodomia e culto del denaro?
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3.3. Altro sull'esito paradossale del Concilio. Il Sinodo Romano 45

misura dei giudizi umani e al di fuori del potere ordinato.

3.3. Altro sull'esito paradossale del Concilio. Il


Sinodo Romano
L'esito paradossale del Concilio rispetto alla sua preparazione si manifesta
nel confronto tra i documenti finali e quelli preparatori, e
anche in tre fatti principali: il fallimento delle previsioni fatte dal
Papa e da coloro che hanno preparato il Concilio; l'effettiva inutilità del Sinodo
Romano I fu suggerito da Giovanni XXIII come anticipazione del Concilio; y la
anu laci´on, casi immediata, de la Sapienza degli Antichi, che prefigurava la fisonom´ia
cultura della Chiesa del Concilio.
Anche Papa Giovanni, che aveva concepito il Concilio come un grande
atto di rinnovamento e di adattamento funzionale della Chiesa, lo aveva
preparato come tale, e aspirava a poterlo concludere in pochi11mesi: forse come lui
Laterano I con Callisto II nel 1123, quando trecento vescovi la conclusero
in diciannove giorni, o come il Laterano II con Innocenzo II nel 1139, con mille
vescovi che lo terminarono in diciassette giorni. Tuttavia, è stato aperto l'11 di
ottobre 1962 e chiuso l'8 dicembre 1965, durando così
tre anni in modo discontinuo. Il fallimento delle previsioni ha avuto origine in
il Concilio che era stato preparato era abortito, e in elaborazione
di un Concilio diverso dal primo, che si è generato (as
i Greci dicevano, ÿÿautogeneticÿÿ).
Il Sinodo Romano I è stato concepito e convocato da Giovanni XXIII come a
atto solenne prima della grande assemblea, di cui dovrebbe essere prefigurazione e
realizzazione anticipata. Lo afferma testualmente lo stesso Pontefice nel
Discorso al clero e ai fedeli di Roma il 29 giugno 1960. A tutti
ad essi si rivelava la loro importanza, che andava quindi oltre la diocesi di
Roma ed esteso a tutto il mondo cattolico. La sua importanza era paragonabile
a quello che avevano avuto i sinodi in riferimento al grande incontro tridentino
Provinciali celebrati da San Carlo Borromeo.
Si è rinnovato il vecchio principio che vuole plasmare l'intero mondo cattolico
sul modello della Chiesa particolare romana. che nella mente del Papa
il Sinodo romano era destinato ad avere un grandioso effetto esemplare
deriva dal fatto che ordinò immediatamente la traduzione dei testi

11Lo si evince dalla positio dell'istruttoria del suo processo di beatificazione, nota grazie
ad un'indiscrezione del giornalista F. D'ANDREA. Vedi Il Giornale
Nuovo, del 3 gennaio 1979. Ma emerge anche dalle parole del Papa nel
udienza del 13 ottobre 1962, che fece ritenere che il Concilio potesse concludersi
A Natale.
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46 3. La preparaci´on del Concilio

in italiano e in tutte le principali lingue. I testi del Sinodo Romano


promulgato il 25, 26 e 27 gennaio 1960, ipotizzano un completo ritorno
l'essenza della Chiesa; non al soprannaturale ('questo non si può perdere) ma
allo storico: un ritiro, per dirla con Machiavelli, delle istituzioni
sui suoi principi. Il Sinodo ha proposto una vigorosa restaurazione in tutti gli
ambiti della vita ecclesiastica. La disciplina del clero è stata stabilita il
il modello tradizionale, maturato nel Concilio di Trento e fondato su
due principi, sempre professati e sempre praticati. Il primo è il
della peculiarità della persona consacrata e dotata di poteri soprannaturali
per esercitare le operazioni di Cristo, e quindi separato dal
giacere senza alcuna confusione (sacro significa separato). Il secondo principio,
conseguenza della prima, è quella dell'educazione ascetica e della vita sacrificata,
che caratterizza il clero come ceto (perché anche nei laici gli individui possono
condurre una vita ascetica). Così il Sinodo ha prescritto a
chierici tutto uno stile di condotta nettamente differenziato dai costumi
laici. Un tale stile richiede abito ecclesiastico, sobrietà nel cibo,
astinenza dagli spettacoli pubblici e fuga dalle cose profane. LUI
ha anche riaffermato l'originalità della formazione culturale del clero, e
progettò il sistema sancito solennemente dal Papa l'anno successivo
en la enc´iclica Sapienza degli antichi
Il Papa ha disposto anche la ristampa del Catechismo del Concilio di
Trento, ma l'ordine non fu eseguito. Solo nel 1981, e per iniziativa privata, la
sua traduzione fu pubblicata in Italia (OR, 5-6 luglio 1982). Non meno
Significativa è la legislazione liturgica del Sinodo: viene solennemente confermata
l'uso del latino; è condannata ogni creatività del celebrante, che abbasserebbe il
atto liturgico, che è atto della Chiesa, a semplice esercizio di pietà privata;
si insiste sulla necessità di battezzare i bambini quam primum; è prescritto il
tabernacolo nella forma e nel luogo tradizionali; Il canto gregoriano è ordinato;
i canti popolari di nuova invenzione sono sottoposti all'autorizzazione
dell'Ordinario; ogni parolaccia è tenuta lontana dalle chiese, proibendola in generale
all'interno dell'edificio sacro si svolgono spettacoli e concerti, si vendono
sono consentite stampe e immagini, fotografie o vengono accese luci in modo
promiscuo (cosa che dovrebbe essere ordinata al sacerdote). L'antico rigore di
sacro viene ripristinato anche attorno agli spazi sacri, vietando alle donne
l'accesso al presbiterio. Infine, gli altari si affacciano
sono ammesse solo in via eccezionale le persone la cui concessione è di esclusiva
competenza del Vescovo diocesano. Impossibile non vedere quanto sia salda una reintegrazione
dell'antica disciplina voluta dal Sinodo è stata contraddetta e negata dal
Concilio praticamente in tutti i suoi articoli. Infatti il
Sinodo Romano, che avrebbe dovuto essere prefigurazione e norma del Concilio,
è precipitato in pochi anni nell'Erebus dell'oblio ed è veramente tanquam non
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3.4. M´as sobre la resolution parad´ojica del Concilio. La Sapienza degli Antichi 47

fuerit .12Per dare un'idea di tale annullamento, premetto che non ho


potuto reperire i testi del Sinodo Romano né nelle Curie né negli archivi
13
diocesani, dovendoli reperire nelle biblioteche pubbliche civili.

3.4. Ancora sulla risoluzione paradossale del


Consiglio La saggezza degli anziani
L'uso della lingua latina è naturale alla Chiesa cattolica (non
metafisicamente, ma storicamente) ed è strettamente legato alle cose
della Chiesa anche nella mentalità popolare. Costituisce anche un
mezzo e un segno primario della continuità storica della Chiesa. E
siccome non c'è interno senza l'esterno, e l'interno sorge, fluttua, sale
e scende insieme con l'esterno, la Chiesa è sempre stata persuasa che
la forma esterna del latino deve essere perpetuamente conservata per
preservare le caratteristiche interne della Chiesa . Tanto più che si tratta
di un fenomeno linguistico, in cui la congiunzione di forma e sostanza
(dell'esterno e dell'interno) è del tutto indissolubile. Infatti, la rovina
della latinità conseguente al Vaticano II è stata accompagnata da molti
sintomi dell'autodemolizione della Chiesa lamentata da Paolo VI.
Parleremo del valore della latinità nei §§38.3-38.4. Qui vogliamo solo
accennare allo scostamento che stiamo studiando tra l'ispirazione
preparatoria data al Concilio e il suo esito effettivo.
Giovanni XXIII intendeva con la Veterum Sapientia operare un
ripiegamento della Chiesa sui suoi principi, ritenendo questo
ripiegamento una condizione per il rinnovamento della Chiesa nella
peculiarità del presente articulus temporum. Il Papa attribuì al documento
un'importanza del tutto particolare, e le solennità con cui volle investirne
la promulgazione (in San Pietro, alla presenza del collegio cardinalizio
e di tutto il clero romano) non hanno eguali nella storia di questo
secolo . . L'importanza eminente di Veterum Sapientia non è negata
dall'oblio in cui è stata subito fatta cadere (i valori non sono tali perché
accettati) né dal suo fallimento storico. La sua importanza deriva dalla
sua perfetta consonanza con l'individualità storica della Chiesa.
L'enciclica è fondamentalmente un'affermazione di continuità. se la

12In OR, 4 giugno 1981, a causa dei soliti loquimini nobis placentia, sta scritto che il
rinnovamento della Chiesa fu iniziato da Giovanni XXIII con la celebrazione del Sinodo
Romano e con la celebrazione del Concilio, e che ÿÿentrambi finito per amalgamareÿÿ.
Siamo d'accordo, purché ÿÿamalgamareÿÿ significhi ÿÿannientareÿÿ: il Sinodo non è citato
dal Concilio nemmeno una volta.
13 Il Primo Sinodo Romano, AD 1826, Typ, poliglotta Vaticana, 1960.
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48 3. La preparaci´on del Concilio

La cultura della Chiesa viene dal mondo ellenico e romano, è soprattutto


perché le lettere cristiane sono, fin dai tempi più remoti, lettere greche e lettere
latine. Gli incunaboli delle Sacre Scritture sono greci, i più antichi simboli di
fede sono greci e latini, la Chiesa di Roma alla metà del III secolo è tutta latina,
i Concili dei primi secoli non hanno altra lingua che il greco.

Si tratta di una continuità interna della Chiesa in cui si concatenano tutte


le sue epoche. Ma c'è anche una continuità esterna che attraversa l'intera
cronologia dell'era cristiana e raccoglie tutta la sapienza delle genti.
Non si parlerà, certo, del sanctus Socrate a cui Erasmo maledisse, ma non si
potrà eludere la dottrina (esposta dai Padri greci e latini e richiamata dal
Pontefice con un testo di Tertulliano) secondo quali vi è una continuità tra il
mondo del pensiero da cui è vissuta la sapienza antica (appunto veterum
sapientia) e il mondo del pensiero elaborato dopo la rivelazione del Verbo
incarnato.
Il pensiero cristiano ha elaborato il contenuto soprannaturalmente rivelato,
ma ha anche aderito al contenuto naturalmente rivelato attraverso la luce della
razionalità creata.
´ Pertanto, il mondo classico non è estraneo alla religione.
Questa ha per essenza una sfera irraggiungibile di verità data prima delle luci
naturali e ad esse sovrapposta, ma comprende anche la sfera di ogni verità
umanamente raggiungibile. La cultura cristiana era dunque preparata e
obbedientemente attesa (come dicevano i medievali) dalla sapienza antica,
perché nessuna verità, nessuna giustizia, nessuna bellezza le è estranea. E
per questo non si oppone, bensì è compatibile con la sapienza antica, e ad
essa si è sempre affidata: non solo, come si suol dire, rendendola schiava e
adoperandola funzionalmente, ma anche portando in grembo chi già esisteva,
ma una volta santificata divenne più grande di lei.
Non voglio qui nascondere che questo rapporto tra mondo antico e
cristianesimo come due cose mutuamente compatibili nasconde delicate
aporie ed esige che si mantenga ferma la distinzione tra razionale e sovrarazionale.
No es posible defender la demasiado divulgada formul de Tertullian anima
naturalmente cristiana, ya que querr´ÿa decir naturalmente sobrenatural.
Occorre in questo procedere con cautela affinché la religione cristiana,
essenzialmente soprastorica e soprannaturale, non corra il rischio di cadere
nello storicismo e nel naturalismo. Nonostante tutto, l'idea della sua continuità
attraverso l'estensione temporale e le vicissitudini delle culture è un concetto
cattolico: difficile, ma vero e necessario. Qui mi basterà pormi sotto il
patrocinio di sant'Agostino, che ha affermato tale continuità in modo assoluto
e universale, saltando secoli e culti: Nam res ipsa, quae nunc christiana religio
nuncupatur, erat apud antiquos nec defuit ab initio
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3.4. M´as sobre la resolution parad´ojica del Concilio. La Sapienza degli Antichi 49

14
La parte pratica (Retract., I, cap. 13, 20).
e dispositiva dell'antica sapienza del genere umano è un'esatta con
trapartida, por su firmeza, della cristallina trasparenza della dottrina. Los
punti decisivi sono proprio quelli che dal successivo ritiro papale
determinarono l'annullamento dell'enciclica. Stabilisce che la ratio studiorum
ecclesiastico riconquista la propria originalità fondata sulla specificità
dell'homo clericus; che, di conseguenza, l'insegnamento di
discipline tradizionali, soprattutto latine e greche; che per ottenere ciò si
dovrebbero abbandonare o ridurre le discipline del cursus laico, il quale
per una tendenza assimilativa erano state introdotte o ampliate. Prescrive che
le scienze fondamentali, come la dogmatica e la morale,
sono insegnate in seminari di latino e seguenti manuali anche in
Latino; che gli insegnanti che sembrano incapaci o riluttanti a imparare il latino
essere rimosso entro un termine conveniente.
Come coronamento della Costituzione Apostolica, destinata a procurare a
generale reinserimento del latino nella Chiesa, il Pontefice decretò l'erezione di
un Istituto Superiore di Latino, che avrebbe dovuto formare latinisti per tutto il
15
mondo cattolico e mettere insieme un lessico latino moderno
.
La disintegrazione generale di Latinidad dopo il progetto della fase
il liceo, che ne chiedeva il reinserimento generale, prevede un'integrazione
suffragio alla tesi del risultato paradossale del Concilio. Nella misura in cui
toccato un punto storicamente essenziale del cattolicesimo, la Veterum
Sapientia esigeva una virtù molto volenterosa di autorità e corrispondenza
armonia in tutti i corpi dell'esecuzione. Occorreva quella forza pratica che si era
esercitata, ad esempio, nella grande riforma della scuola
realizzata dal ministro Giovanni Gentile, e che ha impresso per mezzo secolo la
ratio studiorum. Inoltre poi milioni di insegnanti,
trovato in una condizione analoga a quella in cui versava il Veterum
Sapientia ha posto le discipline divine, erano così vincolate

14Infatti quella che oggi si chiama religione cristiana era tra gli antichi e non è più mancata
l'inizio della razza umana
15 La sconfitta del latino nella Chiesa postconciliare è però evidente. Nemmeno
al Congresso tomista internazionale del 1974, il latino era elencato tra le lingue ammesse;
ma fu subito, dopo la mia protesta in una lettera datata 1´ ottobre 1973 al Maestro
Generale dei Domenicani, Padre Aniceto Fern'andez. Ciò mi ha portato a rispondere il 18
ottobre accogliendo la proposta e la richiesta: ÿÿAbbiamo anche pensato
in essa, soprattutto perché è la lingua di san Tommasoÿÿ. Va da sé che il
Pochissimi furono gli interventi in latino. La delatinizzazione dei congressi
I tomisti erano già totali nel 1980, in cui su ventinove giornali non ce n'erano.
In latino. Nessuna prova più chiara potrebbe essere fornita della transizione verso una Chiesa multilingue, ma
completamente rimosso dal latino.
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3. La preparaci´on del Concilio


50

spietato di conformarsi o dimettersi. Tuttavia la riforma degli studi ecclesiastici,


vessata da più parti e per vari motivi (soprattutto dalla Germania, con un libro
di Winninger preceduto dal Vescovo di Strasburgo), fu annientata in brevissimo
tempo.
Il Papa, che per primo la sollecitò, ordinò che non si domandasse la sua
esecuzione; coloro ai quali sarebbe spettato per ufficio renderla effettiva
assecondarono la debolezza papale, e la Veterum Sapientia, la cui opportunità
ed utilità era stata così altamente esaltata, fu completamente abrogata e non è
citata in alcun documento conciliare.
In alcune biografie di Giovanni XXIII è completamente taciuto, come se non
esistesse e non esistesse, mentre i più ribelli lo citano solo come errore. E non
c'è esempio in tutta la storia della Chiesa di un documento così solennizzato e
così presto rilasciato ai Gemonia.
Rimane solo da chiedersi se la sua cancellazione del libro viventium sia stata la
conseguenza di una mancanza di saggezza nel promulgarlo o di una mancanza
di coraggio nel chiederne l'esecuzione.

3.5. Le finalità del Concilio Vaticano I

Dal momento in cui la Chiesa ha fatto ricorso all'azione conciliare (che ha


avuto inizio in epoca apostolica) fino al Vaticano I, l'assemblea ecumenica è
stata sempre convocata per tre scopi, chiamati causa fidei, causa unionis e
causa reformationis.
Nelle assemblee dei primi secoli, la seconda e la terza causa erano implicite
nella prima e non erano diversamente percepite, poiché è manifesto il
superamento di questioni decisive di fede (ad esempio quella dell'unità
teandrica). concordia sociale all'interno della Chiesa. Per il nesso tra dogma e
disciplina, oltre a quella del credere, fu ristabilita anche la regola dell'agire. Ma
più tardi, lo scisma tra Fozio e Miguel Cerulario, e poi la grande scissione in
Germania, imposero imperiosamente la questione dell'unità. Questo divenne´
predominante al Concilio di Lione (1274) e al Concilio di Firenze (1439). Infine,
la corruzione dei costumi del clero, l'eccesso di potere secolare della Curia
Romana e il lusso straripante del Papato, fecero similmente proporre per secoli,
e infine imporre a Trento (1545-1563), la causa della riforma . I tre obiettivi sono
stati perseguiti anche dal Concilio Vaticano I. L'appello agli acattolici ha dato
luogo a una vasta letteratura ea un'ampia polemica. La causa unionis fu affidata
a una delle quattro grandi commissioni preparatorie, così come la causa
reformationis, dando vita a un nugolo di petizioni e
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3.6. Le finalità del Vaticano II. pastoralità 51

suggestioni che bastano da sole a mostrare come nulla è stato fatto, né


16
anche allora, in circoli ristretti o cricche. L'ampiezza
assunta dalle aspettative si manifesta anche nella varietà e nell'audacia
dei suggerimenti. A metà del XIX secolo c'era chi voleva vedere proibito
dal Concilio la pena di morte, che proponeva che si quis bellum incip iat anathema
17
sit , che invocava l'abolizione del celibato per il clero latino, oppure
che era favorevole all'elezione dei vescovi a suffragio democratico. IL
rimase l'aspirazione a un'organizzazione militante delle masse cattoliche
collezione, più che´ in tutte le altre proposte, in quella del Cappuccino Antonio
18
da Reschio. Ciò richiedeva che fosse divisa in tutta la massa del popolo cattolico,
dai bambini agli adulti e dai celibi agli sposati
congregazioni i cui membri non dovevano contrarre amicizia o matrimonio,
né unirsi in alcun modo, con coloro che non ne facevano parte. Era dentro
sostanza, una separazione: non rispetto a quelli fuori della chiesa, oa quelli
dall'esterno della Chiesa praticante, ma rispetto a coloro che sono all'interno della Chiesa
La chiesa non faceva parte di quell'organizzazione compatta, come un accampamento
acie ordinate. Il progetto cappuccino si basava su modelli pagani,
Gesuiti o utopisti, e ritenevano che la perfezione sociale consistesse in a
ordinamento esterno secondo schemi razionali.
Ma nonostante le stravaganze e le venature di pensiero modernizzante già
accennate, la preparazione del Vaticano I riuscì a imprimere ai
assemblea ecumenica un indirizzo chiaro che assicurò in quel secolo l'unità
della chiesa. Per quanto riguarda la causa fidei, sono stati condannati, espliciti
o implicitamente, gli errori contenuti nel Syllabus. Per quanto riguarda la causa
unionis, la necessità che l'unità nasca da una riunione o adesione delle
denominazioni non cattoliche alla Chiesa romana, al centro
dell'unità. E per la riforma della causa è il principio della
dipendenza di tutti i fedeli dalla legge naturale e dalla legge divina
di proprietà della Chiesa. Questa dipendenza era segnata dalla definizione dogmatica
dell'infallibilità didattica del Papa.

3.6. Le finalità del Vaticano II. pastoralità


Le tre cause tradizionali sono riconoscibili anche nelle finalità
perseguitati dal Vaticano II, pur variamente enunciati e diversamente valorizzati,
essendo l'uno o l'altro prioritario nell'attenzione o nella

16(N. del T.) In spagnolo nell'originale.


17Chi inizia una guerra, sia scomunicato
18 Mansi, vol. 49, pag. 456
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52 3. La preparaci´on del Concilio

Intenzione. In seguito furono tutti inclusi con una qualificazione peculiare,


espressa con il termine di ÿÿpastoralitàÿÿ.
Secondo il Decreto Presbyterorum ordinis, 12, lo scopo del Concilio è
triplice: il rinnovamento interno della Chiesa (questo fine sembra riferirsi
congiuntamente alla fede e alla riforma), la diffusione del Vangelo nel mondo
(questo sembra riferirsi ancora fede, non servanda, propaganda sed), e infine il
dialogo con il mondo moderno (che sembra essere ancora propaganda de fidei
o, come si dice oggi, evangelizzare il mondo).
Paolo VI, nel discorso di apertura del secondo periodo, attribuì al Concilio
quattro scopi. Il primo è la presa di coscienza della Chiesa. Il Papa pensa che la
verità sulla Chiesa di Cristo debba essere studiata, organizzata e formulata, non
forse con le affermazioni solenni che si chiamano definizioni dogmatiche, ma
con affermazioni che dicono alla Chiesa stessa cosa pensa di sé (n. 18) . Qui si
intravede un'ombra di soggettivismo. In realtà, ciò che conta non è ciò che la
Chiesa pensa di sé, ma ciò che essa è.

Il secondo obiettivo è la riforma, cioè lo sforzo di correggersi e ritornare


alla conformità al suo modello divino (senza distinzione tra conformità essenziale
e costitutiva, che non può essere diminuita, e conformità accidentalmente
perfezionabile e quindi suscettibile di perfezione). . Per il Papa, questa riforma
implica un risveglio di energie spirituali già latenti all'interno della Chiesa: si
tratta di agire e perfezionare la Chiesa nella sua storicità.

Il terzo fine riprende la causa unionis. Il Papa dice che la causa si riferisce
ad altri cristiani (n. 31) e che solo la Chiesa cattolica può offrire loro l'unità
perfetta della Chiesa. Sembra dunque che resti all'interno della dottrina
tradizionale: l'unione ha già definito il suo centro, in cui devono concentrarsi le
parti dissidenti e separate. Egli aggiunge che i recenti movimenti ancora in
pieno svolgimento all'interno delle comunità cristiane da noi separate ci
mostrano chiaramente che questa unione può realizzarsi solo nell'identità di
fede, nella partecipazione degli stessi sacramenti e nell'armonia organica di un
unico direzione ecclesiastica (n. 31).

E così ribadisce la necessità del triplice patto: dogmatico, sacramentale e


gerarchico. Suppone, tuttavia, che l'aspirazione dei separati all'unità sia
un'aspirazione al dogmatico, al sacramentale e al gerarchico, come si trova
nella Chiesa. Al contrario, i protestanti concepiscono l'unità come una reciproca
approssimazione in cui tutte le confessioni si muovono verso un unico centro,
magari all'interno delle comunità cristiane, ma non coincidente con il centro di
unità che la Chiesa Romana professa di essere, possedere e comunicare agli
altri ( §35.1 e segg.).
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3.7. Aspettative intorno al Concilio 53

Un'ambiguità di fondo ferisce così l'ecumenismo conciliare, oscillante tra la


conversione come ritorno al centro cattolico, e la convergenza come esigenza
comune di tutte le confessioni (cattoliche e non cattoliche) verso un centro più
lontano e superiore a tutte. .
Il quarto obiettivo del Consiglio è quello di costruire un ponte verso il
mondo contemporaneo. Aprendo tale colloquio, la Chiesa scopre e riafferma la
sua vocazione missionaria (n. 43), cioè la sua missione essenziale di evangelizzare l'umanità.
L'uso del termine scoprire va oltre il concetto per cui lo usa il Papa, dato che la
Chiesa ha sempre propagato il Vangelo; e quando viaggi e viaggi scoprirono
nuovi paesi, nuovi costumi e nuove religioni (riducendo il cristianesimo ad
essere, come dice Campanella, solo un'unghia del mondo), la Chiesa si sentì
subito animata da uno slancio missionario, i primi tentativi (appunto da
Campanella) di teologia missionaria e comparata, e Roma creò la congregazione
specifica di propaganda fide.

Il Papa concepisce il dialogo con il mondo come qualcosa di identificabile


con il servizio che la Chiesa deve rendere al mondo, allargando così l'idea di
servizio al punto da affermare espressamente che i Padri non sono stati chiamati
a discutere i loro affari ( cioè della Chiesa), ma delle cose del mondo (n. 44).
L'idea che il servizio della Chiesa al mondo sia ordinato a far sì che il mondo
serva Cristo, di cui la Chiesa è l'individualità storica, e che il dominio della
Chiesa non rimanga qui poco illuminato, implica la servitù dell'uomo, ma la sua
elevazione e signoria. È come se il Papa volesse fuggire da ogni ombra o segno
di predominio di qualsiasi tipo, contrapponendo il servizio alla conquista
(quando sono parole di Gesù Cristo ego vici mundum).

3.7. Aspettative intorno al Concilio


Una volta richiamate le finalità del Concilio, è opportuno richiamare le attese
e le previsioni, confrontandole con gli effetti successivi.
I fini appartengono alla volontà, mentre le previsioni appartengono al sentimento
e spesso al desiderio. Il termine trionfalismo è stato inventato per descrivere un
presunto comportamento della Chiesa nel passato, senza rendersi conto che
tale descrizione era in contraddizione non solo con la sofferenza della Chiesa
stessa (aggredita negli ultimi secoli dallo Stato moderno), ma anche con la
accusa simultanea di isolarsi sulla difensiva e di separarsi dal mondo. Ma in
realtà, nonostante alcuni tratti realistici, il colore generale della previsione è
fiducioso e ottimista. Questa speranza non è, però, la speranza teologale, la cui
causa risiede in una certezza
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54 3. La preparaci´on del Concilio

soprannaturale e si riferisce solo a uno stato del mondo al di là di quello presente,


ma la speranza storica e mondana, basata su congetture e previsioni
nato dal desiderio del previsore e da ciò che osserva nell'umanità.
Nel discorso di apertura del secondo periodo, Paolo VI scoprì la
scena del mondo moderno, con le persecuzioni religiose, l'ateismo trasformato
in principio della vita sociale, l'abbandono di Dio da parte della scienza,
l'avidità di ricchezze e di piaceri. Mentre guardiamo la vita
Come esseri umani contemporanei, dice il Papa, dovremmo essere atterriti
piuttosto che incoraggiati, addolorati piuttosto che gioiti (n. 46). Ma come faccio a saperlo?
vedi, il Papa adotta un condizionale e non esplicita la protasi di quel discorso
ipotetico. D'altra parte, stava seguendo le orme di Giovanni XXIII, che nel suo
discorso dell'11 ottobre 1962, prevedeva una diffusione universale della verità,
il giusto orientamento della vita individuale, familiare e sociale (n. 5). E nel
discorso di Paolo VI l'ottimismo non solo colora le previsioni, ma anche
si impianta vigorosamente nella contemplazione dello stato attuale della Chiesa.
Tali parole, rispetto ad altre di senso opposto, mostrano l'ampiezza
dell'excursus, tra gli estremi, del pensiero papale, e quanto grande
Era la forza dell'oblio quando si fermò su uno di loro: Rallegriamoci,
fratelli. Quando la Chiesa è stata sempre più consapevole di sé, quando
così felice e così concorde e così pronta a compiere la sua missione? (P.
772, n. 6). E la carta. Traglia, Vicario di Roma, sfuggì alla figura retorica di
interrogativo e francamente assicurato: la Chiesa cattolica non è mai stata
così strettamente unita attorno al suo Capo, non ha mai avuto un clero così
esemplare, moralmente e intellettualmente, come ora, né corre alcun rischio di
disgregazione del tuo corpo. Non è più una crisi della Chiesa che il Concilio
dovrebbe porre rimedio (OR, 9 ottobre 1962). Non puoi, per
spiegare un tale giudizio, ma pensare a un grande sconvolgimento degli spiriti o a
grande mancanza di conoscenza storica.
Da questo sconvolgimento d'animo derivano indubbiamente anche le affermazioni
di Paolo VI nell'omelia del 18 novembre 1965: Nessun altro Concilio
Ha avuto proporzioni maggiori, opere, temi più assidui e pacati
più varia e di maggiore interesse (p'808, n. 2). Indubbiamente, il Vaticano II è
stato il più grande dei Concili per presenza di Padri, apparati
organizzazione e risonanza nell'opinione ´ pubblica, ma queste sono circostanziali
conoscenza, e non valori, di un Concilio. Ad Efeso (anno 431) vi erano duecento
prelati orientali e tre latini, e quello di Trento si aprì con la presenza di soli
sessanta vescovi. Ma l'imponente aspetto esteriore del Vaticano II, grazie
all'enorme apparato di informazione moderno che cerca solo di imprimere
impressioni sull'anima, l'opinione mondiale a lungo agitata e creata, abbastanza
più importante del Consiglio vero e proprio, un Consiglio di opinioni.
In un'epoca in cui le cose sono quel che sono nella misura in cui lo sono
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3.7. Aspettative intorno al Concilio 55

Sono rappresentati, e valgono tanto quanto si può persuaderli che valgono,


il Concilio deve necessariamente diventare un fenomeno di opinione, e
proprio per questo la grandezza del parere comunicava grandezza al Concilio.
Nemmeno i Padri dei Padri sono stati risparmiati da questa contaminazione di grandezza.
Consiglio né lo stesso Pontefice. Paolo VI arrivò addirittura a dichiarare (beh, questo
polemicamente, confrontandosi con Mons. Lefebvre) in una lettera del 29 giugno
1975, che il Vaticano II è un Concilio che non ha minore autorità,
19
e anche, per certi aspetti, è ancora più importante di quella di Nicea .
Il paragone tra un Concilio e l'altro è pericoloso, a causa di
tutti specificano sotto quale aspetto si stabilisce il confronto. Se ti occupi di
efficacia, si troverà ad esempio come quella del Laterano V (1512-1517),
la cui causa principale era la causa reformationis, fu quasi nulla, perché i suoi decreti
di riforma rimasero lettera morta; ma era comunque rilevante
dai decreti dogmatici, che hanno troncato il neoaristotelismo anatemizzando
ai difensori della mortalità dell'anima. Solo al Concilio di Trento lo erano
chiarimenti dottrinali ed efficacia pratica paragonabili, ma fallirono senza
embargo totalmente la causa del sindacato, che aveva determinato in un primo momento
annuncio. D'altra parte, prescindendo da ogni paragone tra Consiglio e Consiglio, è
comunque possibile confrontare tipi di Consiglio con tipi
del Consiglio; e poi appare chiaro che il tipo dogmatico, nello stabilire l'a
dottrina immutabile, prevale sul tipo pastorale, totalmente dominato
per storicità e che, al contrario, promulga decreti di agibilibus
passeggero e riformabile.
Inoltre, ogni Concilio dogmatico ha una parte pastorale o operativa
fondata sulla parte dogmatica. Al Vaticano II fu respinta la proposta di esporre prima
la dottrina e poi la pastorale; non appare
nessun pronunciamento di genere dogmatico che non sia una ripetizione dei Concili
precedenti. La Nota emessa il 16 novembre 1965 da mons.
Pericle Felici, Segretario Generale del Concilio, sulla qualificazione teologica
corrispondente alle dottrine enunciate dal Sinodo, ha stabilito che
attenendosi al suo scopo pastorale, il Santo Sinodo si occupa solo di questioni di fede o di morale
20
.
La Chiesa definisce tenuto ciò che ha chiaramente dichiarato come tale
Orbene, non vi è pericope dei testi conciliari la cui dogmaticità sia assicurata,
lasciando così intendere che dove
riafferma la dottrina già definita in passato la qualificazione teologica non può
essere dubbioso In ogni caso, nel suddetto confronto dei tipi, va fermamente
mantenuta la priorità del dogmatico, perché discendente da una verità

19M. LEFEBVRE, Un vescovo parla Jarz´e 1976, p. 104.


20Il Santo Concilio stabilisce che delle cose di fede e di morale c'è solo l'obbligo di
credere a quelli che la Chiesa ha definito tali
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56 3. La preparaci´on del Concilio

prima di ogni proposizione teologica, e d'altra parte esposta nella Scrittura. A causa
della processione metafisica degli esseri, la conoscenza è anteriore alla volontà e la
teoria alla pratica: In principio erat Verbum (In principio era il Verbo) (Giovanni 1, 1).
L'atto dispositivo e prescrittivo della disciplina ecclesiastica non ha fondamento se
non emana dalla conoscenza.
Ma con ciò entreremmo anche nella tendenza pragmatica che ha tentato il Concilio in
molti suoi momenti.

3.8. Le previsioni del card. Montini. Il suo


minimalismo
Un cenno particolare meritano le previsioni del card. Gio vanni Battista Montini,
arcivescovo di Milano, in una pubblicazione dedicata dall'Università Cattolica al futuro
Concilio. Il documento è peculiare se lo si esamina a sé stante, ma ancor di più se lo si
prende come luce per riconoscere la continuità e la discontinuità del pensiero del
Papa: mi riferisco alla continuità innegabile di alcune direttive e all'aperta discontinuità
tra il finale ottimismo e pessimismo di quel pontificato. Il testo è il seguente: Il Concilio
deve indicare la linea del relativismo cristiano, fino a che punto la religione cattolica
deve essere ferrea custode di valori assoluti, e fino a che punto essa può e deve cedere
a un'approssimazione e a una connaturalità delle la vita storicamente presentata (OR,
8-9 ottobre 1962)

21 .
Alcuni difetti di espressione, come il cedere alla connaturalità, possono rendere un
po' difficile l'ermeneutica di questa affermazione, ma la sua sostanza è evidente. Il
Concilio (sembra) non prepara un'espansione del cattolicesimo, ma lo produce nella
misura in cui la sua parte soprannaturale è ridotta al minimo e si realizza una massima
coincidenza della religione con il mondo, considerata ad esso naturale, se i termini
sono da prendere così come appaiono.
La Chiesa non può allora, secondo l'immagine volgare, essere lievito che fa lievitare
la pasta, né può vestire l'uomo, trasformandone il fondamento; Cercheranno piuttosto
di fargli assorbire il mondo, perché così assorbito, assorbirà a sua volta il mondo.
Un'affermazione come questa presuppone che la Chiesa abbia attualmente bisogno di
scendere a compromessi con il mondo, in uno stato di necessità analogo a quello in
cui parve a Clemente XIV di trovarsi nel Settecento, portandolo a sopprimere la
Compagnia di Gesù .
È una valutazione che viene da una prudente prudenza, ma non da un pru

21Tutte le sottolineature nei testi citati sono sempre nostre, e sono fatte per
evidenziare le parti del testo che sono oggetto del commento.
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3.9. previsioni catastrofiche 57

denza coraggiosa. Si delinea anche un progetto di azione conciliare derivato


da un presupposto difficilmente accettabile dalla religione, secondo il quale
l'uomo deve essere accettato così com'è; Al contrario, la religione lo attrae a
sé così com'è, ma non lo accetta così, perché è corrotto: la religione ha
sempre come punto di vista quello che dovrebbe essere, proprio per curarlo
dalla corruzione e salvarla.
Ma la dichiarazione del 1962 è importante se, andando oltre le prognosi di
rinascita così familiari al Papa Montini, si guarda insieme a quella, certamente
paradossale, pronunciata il 18 febbraio 1976: Non dobbiamo temere, un
giorno, forse costituendo una minoranza, se siamo fedeli; non ci vergogneremo
di essere impopolari, se saremo coerenti; Non ci faremo caso di essere
sconfitti, se siamo testimoni della verità e della libertà dei figli di Dio.

E quella prospettiva di miseria e quasi di fame aperta alla Chiesa nel 1968
si annuncia ancor più nel gemito della tragica invocazione ai funerali di Aldo
Moro: un sentimento di pessimismo viene a cancellare tante serene speranze
e a scuotere la nostra fiducia nel bontà del genere umano.
Qui l'uomo (ma ancor più il Pontefice, prossimo alla morte) lamenta il progetto,
22 .
che giace distrutto, di tutto il suo pontificato

3.9. previsioni catastrofiche


Questo termine non è usato qui in senso minaccioso, ma nel senso neutro
di una trasformazione radicale: corrisponde alle attese di chi presagiva e
perseguiva una mutazione radicale del cattolicesimo. Mons.
Schmitt, vescovo di Metz, lo professa apertamente: La situazione di civiltà che
stiamo vivendo implica cambiamenti non solo nel nostro comportamento
esteriore, ma anche nell'idea stessa che abbiamo sia della creazione che della
23 .
salvezza.
La dottrina soggiacente a tale prognosi fu poi accolta confusamente, sia
nella forma della sua diffusione popolare, sia nella forma di una decisa azione
di gruppi organizzati che diedero potenti impulsi al Concilio. Sono i fautori di
una direzione catastrofica che osano attribuire a Giovanni XXIII il progetto di
far esplodere dall'interno il monolitismo della Chiesa cattolica (Corriere della
Sera, 21 aprile 1967). Sono i discepoli del teocosmologismo confuso e poetico
di Teilhard de Chardin: credo che il grande evento religioso di oggi sia il
risveglio di

22C. ANDREOTI, Rivista 1976-1979, Roma 1981, p. 224, dice che sembrava come se il
Papà parlava ÿÿquasi rimproverando al Signore tutto quello che era successoÿÿ.
23 Cit. en Itin´eraires, n. 160, p. 106.
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58 3. La preparaci´on del Concilio

una nuova Religione, che a poco a poco fa adorare il Mondo e che è indispensabile
all'Umanità perché continui ad operare. Perciò lo è
fondamentale mostrare il cristianesimo come capace di divinizzare il nisus
y el opus humanos naturales (Diario, p. 220). El monitum del Santo Oficio
contro le dottrine teilhardiane era di fatto caduto in disuso con Juan
XXIII 24 .
Giustamente persuaso dell'essenziale irreformabilità della Chiesa, il
Gli innovatori propongono di lanciare questa Chiesa fuori di sé, alla ricerca di un
metacristianesimo (per adottare il termine teilhardiano), poiché
una religione rinnovata è una nuova religione. Per non morire, il cristianesimo
dovrebbe subire una mutazione in senso genetico e teilhardiano. Ma se si ferma
per non morire la religione deve uscire da se stessa, tale espressione implica a
contraddizione, arrivando a dire che deve morire per non morire. Già nel
cattolicesimo francese prima della guerra si manifestavano dottrine che lo difendevano
rivoluzione radicale nella Chiesa, e il card. Sali´ege ha scritto: Ci sono stati
cambiamenti biologici inaspettati che hanno dato origine a nuove specie. NO
Forse ora stiamo assistendo a una sorta di cambiamento che modificherà
profondamente la struttura umana (intendo la struttura mentale e psicologica
dell'uomo)? A questa domanda, che i filosofi riterrebbero impertinente,
25
sarà in grado di rispondere entro cinquecento anni

24Una prova della disarticolazione interna della Curia romana, che spesso dimentica tutto
apparenza di coerenza, ha avuto luogo nel 1981. In occasione della celebrazione del centenario
della nascita di Teilhard de Chardin all'Institut Catholique de Paris, il Segretario di
stato della carta Casaroli ha inviato mons. Poupard, presidente dell'Istituto, un messaggio in
che i meriti contratti davanti alla Chiesa dal detto Gesuita furono lodati. Da Teilhard
era stato oggetto di un Monitum del Sant'Uffizio che nel 1962 denunciava nelle sue opere
ambiguità e gravi errori, l'omaggio reso dalla Santa Sede ha suscitato scandalo e
è stato necessario, come si suol dire, un ÿÿresizingÿÿ (in realtà una ritrattazione)
di quelle lodi.
25 Cit. in J. GUITTON, Scrivere como si ricorda, Alba 1975, p. 31).
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Cap'itulo 4

Lo sviluppo del Concilio

4.1. Il discorso di apertura.


Il discorso inaugurale: l'antagonismo con il mondo e la libertà della Chiesa
Il discorso
inaugurale del Concilio pronunciato da Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962 è un
documento complesso perché, secondo informazioni attendibili, rifletteva la
mente del Papa in un composizione influenzata da una mente che non era la
sua. Del resto, anche nell'identificazione stessa del testo, il documento pone
problemi canonici e filologici. Per farne conoscere la sostanza, la focalizzeremo
su alcuni punti.
In primo luogo, il discorso si apre con un'energica affermazione dell'aut aut
ordinato agli uomini dalla Chiesa cattolica, che rifiuta la neutralità e l'utralità
tra il mondo e la vita celeste e ordina tutte le cose temporali a un destino eterno.

A parte il testo profetico di Luc. 2, 34, secondo cui Cristo sarà segno di
contraddizione e diventerà per molti risurrezione o rovina, il Papa cita il più
decisivo di Luc. 11,23: Qui non est mecum, contra me est (Chi non è con me è
contro di me). Questi testi non sono mai stati citati nei documenti conciliari
successivi, poiché l'assemblea ha cercato più gli aspetti condivisi dalla Chiesa
e dal mondo e verso i quali entrambi convergono, che quelli in cui si oppongono
e combattono.
La perfetta coerenza di questa parte del discorso inaugurale con la mentalità
cattolica appare anche là dove si afferma che tutti gli uomini, particolarmente
considerati o socialmente riuniti, hanno il dovere di adoperarsi per conseguire
i beni celesti (p. 748, n. 13): questo è il concetto tradizionale della signoria
assoluta di Dio, che investe la realtà umana non solo come singola persona, ma
anche come società, e sancisce la

59
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60 4. Lo sviluppo del Concilio

obbligo religioso dello Stato.


Il secondo punto rilevante del discorso è la condanna del pessimismo di
chi nei tempi moderni non vede altro che prevaricazione (n. 9).
Osservando il nuovo corso del mondo, il Papa riconosce un generale
allontanamento dalle preoccupazioni spirituali, ma trova questo allontanamento
compensato dal vantaggio che la vita moderna elimina gli innumerevoli
ostacoli che in altri tempi impedivano la libera azione dei figli della Chiesa (n.
11 ). Il riferimento storico è duplice, lasciando il dubbio se il Papa avesse in
mente l'indebita ingerenza esercitata dall'Impero e dalla Monarchia assoluta
sulla Chiesa (in tempi in cui in fondo tutto dipendeva dalla religione) o, al
contrario, le vessazioni subito dalla Chiesa dal XVIII secolo fino ad oggi per
opera dello Stato liberale (in un'epoca in cui la separazione della religione dalla
sfera civile preparava l'attuale condizione di civiltà).

Sembra piuttosto il primo che il secondo; ma è necessario rilevare che la


Chiesa ha continuamente lottato in teoria e in pratica contro la servitù della
Chiesa davanti al potere civile, specialmente nell'elezione dei vescovi e
nell'istituzione dei benefici ecclesiastici. Basterebbe ricordare quanto Rosmini
la deplorasse.
Anche il cosiddetto diritto di veto (in pratica, una mera condiscendenza di
fatto) è stato spesso considerato nullo, come avvenne nei conclavi che
elessero Giulio III, Marcello II, Innocenzo X e persino San Pio X: cioè, tutte le
volte che il coraggio ha saputo prevalere sulle intimidazioni della ragione
politica.
Il giudizio ottimistico del Pontefice circa l'attuale libertà della Chiesa è
certamente coerente con la realtà della Chiesa di Roma, liberata dal peso del
potere temporale; ma è nettamente contraddetta dalle circostanze delle Chiese
nazionali, molte delle quali sono oggi in catene.

D'altra parte, non poteva sfuggire al lamento del Papa la cospicua assenza
di interi episcopati ai quali i loro governi hanno impedito di partecipare al
Concilio, il quale ha confessato di provare intenso dolore per l'assenza di tanti
pastori d'anime per i Nostri più cari , i carcerati per la loro fedeltà a Cristo (n.
12). Va anche rilevato come detta deplorata servitù fosse nei secoli passati un
aspetto della fusione della vita religiosa con la società: tale fusione era dovuta
ad una imperfetta distinzione tra valori religiosi e subordinati civili, considerati
come un gruppo informato dalla religione. Al contrario, l'attuale liberazione
viene dalla perdita di autorità della Chiesa negli spiriti del secolo, invasa da
un'aspirazione eudemonista e dall'indifferenza dottrinale.
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4.1. Il discorso di apertura. 61

Ma il punto rilevante e quasi segreto al quale è necessario fare


riferimento quando si tratta della libertà del Concilio è il vincolo di quella
libertà concessa pochi mesi prima da Giovanni XXIII, quando stipulò un
accordo con la Chiesa ortodossa in forza del quale il Patriarcato di Mosca
u ha accolto l'invito papale a inviare osservatori al Concilio; il Papa da
parte sua ha assicurato che il Concilio si asterrà dal condannare il comunismo.
Il patto avvenne nell'agosto del 1962 a Metz (Francia) e tutti i dettagli
di tempo e luogo sono noti attraverso una conferenza stampa concessa
da mons. Schmitt, vescovo di quella diocesi.1 La trattativa si è conclusa
con un accordo firmato dal metropolita Nicodemus per conto della Chiesa
ortodossa e dal cardinale Tisserant (decano del Sacro Collegio) per conto
della Santa Sede. La notizia dell'accordo fu data in questi termini da
France nouvelle, bollettino centrale del Partito Comunista Francese, nel
numero del 16-22 gennaio 1963: Poiché il sistema socialista mondiale
manifesta innegabilmente la sua superiorità e la sua forza dall'approvazione
del centinaia e centinaia di milioni di uomini, la Chiesa non può più
accontentarsi di un rozzo anticomunismo. Ha persino promesso, in
occasione del dialogo con la Chiesa ortodossa russa, che al Concilio non
ci sarà alcun attacco diretto al regime comunista. Da parte cattolica, il
quotidiano La Croix del 15 febbraio 1963 riportò l'accordo, concludendo:
Dopo questo colloquio, il vescovo Nicodemo accettò che qualcuno si
avvicinasse a Mosca con un invito, a condizione che fossero date garanzie
circa l'atteggiamento apolitico del Concilio. La condizione imposta da
Mosca che il Concilio non si pronunciasse sul comunismo non è mai
stata segreta, ma la sua pubblicazione isolata non ha avuto effetto
sull'opinione pubblica in quanto non è stata ripresa o divulgata dalla
stampa; Ciò era dovuto o alla grande apatia e anestesia degli stati
ecclesiastici riguardo alla natura del comunismo, oa un'azione di silenzio
voluta e imposta dal Pontefice. Ma il suo effetto fu potente (anche se
silenzioso) sullo svolgimento del Concilio, durante il quale, e in ossequio
al patto giuramento, fu respinta una proposta di rinnovare la condanna
del comunismo.
La veridicità degli accordi di Metz ha ricevuto di recente una
clamorosa conferma in una lettera del vescovo Georges Roche, segretario
del cardinale Tisserant per trent'anni. Con l'intento di difendere il
negoziatore vaticano, questo presule romano affronta le accuse di Jean
Madiran e conferma pienamente l'esistenza dell'accordo tra Roma e
Mosca, precisando che l'iniziativa degli incontri è stata presa
personalmente da Giovanni XXIII su suggerimento del card. Montini e quel Tisserant

1Vedi il quotidiano Le Lorrain, 9 febbraio 1963.


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62 4. Lo sviluppo del Concilio

ricevette ordine formale sia di firmare l'accordo sia di vigilare sulla sua esatta
2
esecuzione durante il Concilio .
Così il Concilio si è astenuto dal tornare a condannare il comunismo;
nemmeno quella parola si trova negli Atti, così abbondanti nei documenti
3
papali fino a quel momento. La grande .
Assemblea si pronunciava specificamente sul totalitarismo, sul capitalismo
o sul colonialismo, ma nascondeva il suo giudizio sul comunismo dopo un
generico giudizio sulle ideologie totalitarie. L'indebolimento del senso logico
proprio dello spirito del secolo toglie alla Chiesa anche il timore della
contraddizione. Nel discorso inaugurale del Concilio si celebra la libertà della
Chiesa contemporanea proprio nel momento in cui si riconosce che molti
vescovi sono incarcerati per la loro fedeltà a Cristo e quando, in forza di un
accordo auspicato dal Pontefice, il Concilio è vincolato dall'impegno a non
pronunciare alcuna condanna contro il comunismo. Questa contraddizione,
pur grande, lo è meno se confrontata con la contraddizione di fondo consistente
nel fondare il rinnovamento della Chiesa sull'apertura al mondo, per poi
cancellare dai problemi del mondo il problema più importante, più essenziale
e decisivo del comunismo.

4.2. Il discorso di apertura. poliglotismo e poli


semitestuale
Il terzo punto del discorso papale si riferisce proprio al cardine su cui ruota
il Concilio: il modo in cui la verità cattolica può essere comunicata al mondo
contemporaneo pura e integra senza attenuazioni (n. 14).
Qui lo studioso affronta un ostacolo imprevisto. Nei discorsi papali il testo
ufficiale valido come espressione del suo pensiero è normalmente solo il testo
latino. Nessuna traduzione ha tale autorità,´ a meno che non sia riconosciuta
come autentica. Per questo l'Osservatore Romano, quando aggiunge la
versione italiana al testo originale latino, avverte sempre che si tratta di una
traduzione privata. Ora, poiché il testo latino è opera del collegio dei traduttori,
che traducono in italiano il testo originale scritto dal Papa, sembrerebbe
legittimo riferirsi alle parole originali, quando sono note, assumendole come
criteri interpretativi di il testo latino. Si invertirebbe così la priorità tra i due
testi, privilegiando la traduzione (che è in realtà l'originale) rispetto all'originale
latino (che

2Carta de mons. Rock in Itinerari n. 285, pag. 153.


3Ver la citata Concordanza, donde la voz communismus no aparece nunca
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4.2. Il discorso di apertura. Poliglotismo testuale e polisemia 63

è in realtà una traduzione). Filologicamente l'inversione è legittima, ma


Canonicamente non lo è, poiché è una massima della Sede Apostolica solo quella
il testo latino contiene il suo pensiero.
Tuttavia, tra il testo latino e la versione italiana del discorso inaugurale ci sono
tali discrepanze che il significato è trasmutato. È successo
Inoltre, lo sviluppo della letteratura teologica è stato guidato dalla traduzione
piuttosto che dall'originale latino. La discrepanza è così grande che
sembra essere in vista una parafrasi, e non una traduzione. Così l'originale
dite: È necessario che questa dottrina sia certa e immutabile a chi si deve obbedienza fedele
da eseguire, sarà indagato e spiegato nel modo che i tempi richiedono
4 .

Riprodotta la traduzione italiana dell'OR del 12 ottobre 1962


poi in tutte le edizioni italiane del Concilio si legge: Anche questa
per´o studiata ed esposta attraverso le forme dell indagine e della formulazione
letteraria del pensiero moderno. Del mismo modo, la traducci´on francesa: La
la dottrina deve essere studiata ed esposta secondo i metodi della ricerca e
presentazione non usare le penne moderne. E quello spagnolo, simile ai precedenti:
studiare questo e metterlo in conformità con i metodi di
ricerca ed espressione letteraria richieste dai metodi attuali
(p. 749, n. 14). La differenza tra l'originale e il
traduzioni. Una cosa è che la riconsiderazione e l'esposizione della dottrina cattolica
perpetua avvenga in modo adeguato ai tempi (concetto
comprensivo e ampio), e un altro che si svolge seguendo i metodi di pensiero della
filosofia contemporanea. Per esempio: una cosa è presentare il
dottrina cattolica in un modo adeguato alla cittadinanza della mentalità
contemporanea, e un altro che è pensato ed esposto secondo quello stesso
mentalità. Perché l'approccio alla mentalità moderna sia corretto,
non adottare i metodi dell'analisi marxista o della fenomenologia esistenzialista (per
esempio), ma piuttosto adattare l'opposizione polemica a quella mentalità
del cattolicesimo.
Si tratta insomma del problema che il Pontefice affronta nella sezione
successivo: Modo per sopprimere gli errori. Di questo ci occuperemo nell'epigrafe
seguito, ma non senza prima fare alcune osservazioni come passo precedente.
Primo, che la polisemia nasce dalla diversità delle traduzioni
testimonia la perdita di quella precisione che era consueta in tempi di
la Curia nella stesura dei suoi documenti. Secondo, quella multivocità
fu poi introdotto in discorsi successivi dal Papa in cui lo citava
pericope dell'11 ottobre, talora secondo il testo latino ed altre secondo il

4È necessario che questa dottrina certa e immutabile, alla quale un fedele


tributo, essere approfondito ed esposto nel modo che i tempi richiedono.
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64 4. Lo sviluppo del Concilio

traduzione . 5In terzo luogo, che la diversità delle traduzioni, presto diffusasi a
scapito del testo latino e presa a base di argomentazione,
contraddice l'originale, ma le varianti si abbinano in modo univoco.
Questa consonanza dà motivo di ipotizzare una cospirazione spontanea o
organizzato in modo da dare al discorso un senso modernizzante
forse assente dalla mente del papa.

4.3. Il discorso inaugurale: nuovo atteggiamento verso


l'errore
La stessa incertezza genera il paragrafo del discorso che distingue tra la
sostanza immutabile dell'insegnamento cattolico e la variabilità della sua
espressioni El texto oficial suena as'ÿ: Perché lo stesso deposito della fede è un altro
o varianti, che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, in altro modo in cui
Le stesse parole sono espresse con lo stesso senso e la stessa frase. Perché
a questo dobbiamo dare molto coraggio e pazienza, se necessario, per lavorarci sopra.
cioè quelle ragioni saranno introdotte spiegando le cose che, con l'insegnamento,
6
il cui carattere è principalmente pastorale, sono più adatti .
La traducci´on italiana es: Altra ´e la sostanza dell’antica dottrina del de
positum fidei e altra ´e la formulazione del suo revestimento ed ´e di questo
che devesi con pazienza tener gran tonto, tutto misurando nella forma e pro
porzione di un magistero a carattere prevalentemente pastorale. Y la espa˜nola:
Una cosa è la sostanza del ÿÿdepositum fideiÿÿ, cioè delle verità che
contiene la nostra venerata dottrina, e un'altra il modo in cui si esprime; e di
di questo bisogna tener conto, con pazienza, se necessario, aderendo
alle norme e alle esigenze di un magistero di carattere prevalentemente
pastorale (p. 749, n. 14).
La differenza è così grande che ammette solo due ipotesi: o il
Il traduttore italiano ha voluto fare una parafrasi, altrimenti la traduzione è
effettivamente il testo originale. In questo secondo caso, la scrittura italiana
sarebbe sembrato complicato e impreciso (cosa significa formulare il tuo

5Mons. VILLOT, ausiliare di Lione, in Echo-Libert´e del 13 gennaio 1963, conferma


che il Papa, nel discorso natalizio ai cardinali, ha citato se stesso nella versione
italiana.
6Una cosa è, infatti, il deposito della fede preso in sé, cioè le verità
contenute nella nostra venerabile dottrina, e un altro modo in cui queste stesse verità
vengono enunciati, pur mantenendo lo stesso significato e lo stesso contenuto. È davvero
È necessario attribuire grande importanza a questa forma e lavorarci, se necessario, con
Pazienza: quando si espongono le verità, si introducano quelle forme che sono più convenienti
all'insegnamento, la cui natura è principalmente pastorale
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4.3. Il discorso inaugurale: un nuovo atteggiamento nei confronti dell'errore 65

rivestimento?) e quindi il latinista avrebbe cercato di coglierne il significato


generale, svincolandolo (impregnato com'era di concetti tradizionali) da quanta
novità conteneva la formulazione originaria. Se così non fosse, colpisce
l'omissione delle parole eodem tamen sensu eademque sententia, che citano
implicitamente un testo classico di san Vincenzo di Lehrins, e alle quali è legato
il concetto cattolico di relazione, che si collocano tra la verità da credere e la
formula con cui si esprime. Nel testo latino, Giovanni XXIII sottolinea che la
verità dogmatica ammette una molteplicità di espressioni, ma tale molteplicità
riguarda l'atto del significare e mai la verità significata. Il pensiero papale è una
continuazione (si dice espressamente) degli insegnamenti che compaiono negli
atti di Trento e del Vaticano (n. 14).
È, però, una novità, e come novità nella Chiesa si annuncia apertamente
l'atteggiamento da tenere di fronte agli errori. La Chiesa (dice il Papa) non
abdica né diminuisce la sua opposizione all'errore, ma nel nostro tempo
7
preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che la severità. Si
oppone all'errore mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che condannando (n.
quindici). Questa proclamazione del principio della misericordia in
contrapposizione a quello della severità non tiene conto che nella mente della
Chiesa anche la condanna dell'errore è un'opera di misericordia, poiché
attaccando l'errore si corregge chi sbaglia e si preserva l'altro altri dall'errore.
Inoltre, verso l'errore non può esserci propriamente misericordia o severità,
poiché queste sono virtù morali il cui oggetto è il prossimo, mentre l'intelletto
ripudia l'errore con un atto logico che si oppone a un falso giudizio. Essere
misericordia, secondo la Summa Theol. II, 11, q.30, a.1, un dolore per la miseria
degli altri accompagnato dal desiderio di aiutarli, il metodo della misericordia
non può essere usato verso l'errore (entità logica in là non può esserci miseria),
ma solo verso colui che sbaglia (che si aiuta proponendo la verità e confutando
l'errore).
Il Papa divide a metà questo aiuto restringendo tutto l'ufficio esercitato
dalla Chiesa verso chi sbaglia alla semplice presentazione della verità: questo
basterebbe da solo, senza affrontare l'errore, a scombussolarlo. L'operazione
logica della confutazione verrebbe omessa per lasciare il posto a una mera di
dascalia della verità, confidando nella sua efficacia per produrre l'assenso
dell'uomo e distruggere l'errore. Questa dottrina del Pontefice costituisce una
variazione rilevante nella Chiesa cattolica e si basa su una singolare visione
della situazione intellettuale dei nostri contemporanei. Questi sarebbero così
profondamente penetrati da opinioni fallaci e disastrose, maxime in re
7Durante la preparazione del Sinodo Romano, che ha mantenuto l'antica pedagogia
della Chiesa, il Papa aveva già aderito al suggerimento di ammorbidire alcune norme e
aveva detto a mons. Felici (che lo racconta in OR, 25 aprile 1981): Oggi l'imposizione
non piace più. Non ha detto che non è utile, ma non piace.
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66 4. Lo sviluppo del Concilio

morali, che come dice paradossalmente il Papa, gli uomini, da soli (cioè senza
confutazione o condanna), oggi sembrano sul punto di condannarli, e
specialmente quei costumi che disprezzano Dio e la sua Legge. l'errore teorico
può guarire se stesso quando nasce da cause esclusivamente logiche; ma che
l'errore pratico attorno alle azioni della vita, dipendente da un giudizio in cui
interviene la parte libera del pensiero, è una proposizione difficile da
comprendere. E oltre che difficile dal punto di vista dottrinale,
quell'interpretazione ottimistica dell'errore, che ora verrebbe da sola
riconosciuta e corretta, è grossolanamente smentita dai fatti. All'epoca in cui il
Papa parlava questi fatti stavano maturando, ma nel decennio successivo
vennero pienamente alla luce. Gli uomini non ritrattavano questi errori, ma anzi
si confermavano in essi e davano loro forza di legge: l'adozione pubblica e
universale di questi errori morali era testimoniata dall'accettazione del divorzio
e dell'aborto; i costumi dei popoli cristiani furono completamente mutati e la
loro legislazione civile (fino a poco tempo fa modellata sul diritto canonico)
divenne una legislazione puramente profana, senza ombra di sacro. Questo è
un punto in cui la chiaroveggenza papale´ è inconfutabilmente compromessa.

8
.

4.4. Preparato il rifiuto del Consiglio. La rottura


della legalità conciliare
Come si è già detto, è caratteristico il risultato paradossale del Vaticano II,
secondo il quale tutto il lavoro preparatorio (che tende a guidare i dibattiti, a
imprimere gli orientamenti e a prefigurare gli esiti di un
Concilio) era nullo e fu respinto fin dalla prima seduta, sostituendo
9
un'ispirazione con un'altra e una tendenza con un'altra.
Tuttavia, tale scostamento dalla concezione originaria non è avvenuto per
una deliberazione interna dello stesso Concilio nello svolgimento della sua
regolarità giuridica, bensì per una violazione della legalità conciliare di cui
raramente si parla nelle narrazioni dei fatti. , ma conosciuto oggi nelle sue caratteristiche più evi
Essere in discussione nella XXIII congregaci´n el esquema de fontibus
8Questa variazione sfugge completamente all'OR del 21 novembre 1981, nell'articolo
ÿÿPunti fermi per camminare con la storiaÿÿ, che, analizzando la legislazione italiana
degli ultimi tre giorni ecade, degna di nota solo la sua mirabile evoluzione e capacità di
adattamento.
9Questo fatto singolare del Vaticano II è sempre taciuto. M. GIUSTI, Prefetto
dell'Archivio Segreto Vaticano, ricordando i lavori della Commissione preparatoria nel
20° anniversario, non vi fa alcun riferimento
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4.4. Preparato il rifiuto del Consiglio. La violazione della legalità conciliare 67

Rivelazione, preparata dalla commissione preparatoria e già vagliata da


numerose consultazioni di vescovi ed esperti, la dottrina esposta suscitò
una vivace polemica. I Padri più legati alla formula del Concilio di Trento,
secondo la quale la Rivelazione è contenuta nell'abris scriptis et sine scripto
traditionibus (sessione IV) prese come due fonti, si trovarono in disaccordo
con i più favorevoli ad esporre la dottrina cattolica in termini meno ostile ai
fratelli separati, che rifiutano la Tradizione. Il diverbio molto vivace tra le due
parti ha portato alla proposta avanzata il 21 novembre di troncare la
10
discussione e rifare totalmente lo schema. Raccolti i voti, è emerso che la
proposta di sospensione non disponeva della maggioranza qualificata dei
due terzi richiesta dal Regolamento del Consiglio per tutte le questioni
procedurali. Il Segretario Generale ha poi affermato: I risultati della votazione
sono stati tali che nei prossimi giorni proseguirà l'esame dei singoli capitoli
dello schema in discussione.
Ma il giorno dopo, all'inizio della XXIV Congregazione, fu annunciato in
quattro lingue oltre al latino che, ritenendo la discussione più laboriosa e
prolungata del previsto, il Santo Padre aveva deciso che una nuova
commissione avrebbe rifuso lo schema per renderlo più breve e meglio
evidenziare i principi generali definiti da Trento e dal Vaticano I.
Con questo intervento, che riformava con un tratto di penna la decisione
del Consiglio e annullava il Regolamento dell'assemblea, si violava la legalità
e si passava dal regime collegiale a quello monarchico. La rottura della
legalità significava anche un nuovo corso, se non dottrinale, almeno
dottrinale. Le conseguenze dell'improvvisa trasformazione dell'intenzione
11
papale sono oggi note, ma sono molto meno importanti dell'elemento di
forza che è venuto a superare la legalità conciliare.
Il risultato del voto avrebbe potuto essere invalidato dal Papa se fosse
risultato un vizio della legge o se una riforma della legge avesse preceduto il
voto (come quella che seguì de facto con Paolo VI, tornato alla sistema
maggioritario semplice). Ma nei termini in cui è avvenuto, l'intervento papale
costituisce una tipica posizione del Papa al Concilio, tanto più notevole in
quanto il Papa è stato poi presentato come custode della libertà del Concilio.
Questa sovrapposizione non è un motus propius, ma piuttosto una conseguenza di

10Non si può nascondere che sopit comicum il rapporto ufficiale dell'OR dice che tutti
i Padri riconoscono che lo schema, frutto del lavoro di teologi e vescovi delle nazioni
più diverse, è stato studiato con grande cura. Come si conclude allora che è
impresentabile?
11Della narrazione molto obiettiva che PH fa di questo episodio. DELHAYE in Ami du
Clerg'e, 1964, pp. 534-535, risulta anche che nella notte del 22 il Papa ricevette il card.
L'eger e l'episcopato canadese, e che si sono svolte discussioni tra il card.
Ottaviani e card. Bea, esponenti delle due opinioni che si erano scontrate.
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68 4. Lo sviluppo del Concilio

rivendicazioni e richieste che consideravano la maggioranza qualificata


richiesta dal Concilio come una finzione giuridica, e la scavalcavano perché il
Papa riconoscesse il principio della maggioranza semplice.

4.5. Altro sulla rottura della legalità con il ciliare

D'altra parte, la volontà preminente di modernizzare l'assemblea ecumenica,


che ha rifiutato tutto il lavoro preparatorio di tre anni condotto sotto la
presidenza di Giovanni XXIII, era già apparsa dalla prima congregazione con
l'incidente del 13 ottobre. L'assemblea avrebbe dovuto scegliere quel giorno i
membri di sua competenza (sedici su ventiquattro) delle dieci commissioni
destinate ad esaminare gli schemi elaborati dalla Commissione preparatoria.
La segreteria del Consiglio aveva distribuito le dieci schede, ciascuna con
spazi bianchi su cui scrivere i nomi prescelti. Aveva anche provveduto a
rendere pubblico l'elenco dei componenti delle commissioni preconciliari da
cui erano emersi i progetti.
Questa procedura era ovviamente intesa a mantenere una continuità organica
tra la fase delle bozze e la fase della stesura finale.
Ciò risulta secondo il metodo tradizionale. Inoltre risponde quasi a un'esigenza,
poiché la presentazione di un documento non può essere fatta meglio da
nessuno che da chi lo ha studiato, vagliato, redatto. Infine, non pregiudicava
la libertà degli elettori, che avevano il potere di fare a meno delle commissioni
preconciliari nella costituzione di quelle conciliari.
L'unica obiezione che si poteva sollevare era che, trattandosi del terzo
giorno dall'apertura del Sinodo e i membri dell'assemblea plurale ed eterogenea
non si conoscevano, la scelta poteva essere viziata dalla fretta e non essere
sufficientemente ponderata . Il procedimento, però, sembrò a una cospicua
parte dei Padri un tentativo di coercizione, e suscitò forti risentimenti.
All'apertura della congregazione, il card.
Li'enart, uno dei nove presidenti dell'Assemblea, ne divenne l'interprete.
Chiesta la parola al Presidente card. Tisserant ed essendo stato smentito
(secondo il Regolamento, poiché la congregazione era stata chiamata a votare,
e non a decidere se votare o meno), il presule francese, infrangendo la legge
pur di applaudire un animes, ha afferrato il microfono e ha letto un Precisazione:
era impossibile arrivare al voto senza previa informazione sulle qualità dei
candidati, senza previo accordo tra gli elettori e senza previa consultazione
delle conferenze nazionali. La votazione non ha avuto luogo, la congregazione
è stata sciolta e le commissioni sono state successivamente
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4.5. Ancora sulla violazione della legalità conciliare 69

formata con un'ampia inclusione di elementi estranei alle opere preconciliari.

Il gesto del card. Li'enart è stato considerato dalla stampa come un colpo
di stato con cui il Vescovo di Lille ha deviato il corso del Concilio ed è entrato
nella storia 12 .

Ma tutti gli osservatori hanno riconosciuto in esso un momento davvero


discriminante nei percorsi del Sinodo ecumenico, uno di quei punti in cui la
storia si contrae in un istante per continuare a dispiegarsi in seguito. Lo stesso
Li'enart, infine, consapevole (almeno a posteriori) degli effetti di quel suo
intervento e preoccupato di escludere che fosse premeditato e concertato, lo
interpreta nelle memorie citate come un'ispirazione carismatica: ho parlato ho
solo fatto così perché mi sono trovata costretta a farlo da una forza superiore,
nella quale devo riconoscere quella dello Spirito Santo. In tal modo il Concilio
sarebbe stato ordinato da Giovanni XXIII (secondo la sua stessa testimonianza)
grazie a un suggerimento dello Spirito, e il Concilio da lui preparato avrebbe
presto subito un repentino capovolgimento per una mozione concessa dallo
stesso Spirito a il cardinale francese.
Sul ripudio dell'orientamento del Concilio preparato abbiamo anche in ICI,
n. 577, pag. 41 (15 agosto 1982) una confessione aperta di P. Chenu, uno degli
esponenti della corrente modernizzante. L'eminente domenicano e il suo
compagno d'ordine, P. Congar, rimasero sconcertati leggendo i testi della
Commissione preparatoria, che sembravano astratti, superati ed estranei alle
aspirazioni dell'umanità contemporanea. poi promossero un'azione che
facesse uscire il Concilio da quel chiuso riserbo e lo aprisse alle esigenze del
mondo, inducendo l'Assemblea a manifestare la nuova ispirazione in un
messaggio all'umanità.
Il messaggio (dice p. Chenu) implicava una severa critica al contenuto e
allo spirito del lavoro della Commissione preparatoria centrale. Il testo
proposto al Concilio fu approvato da Giovanni XXIII e dai cardinali Li'enart,
Garrone, Frings, D'opfner, Alfrink, Montini e L'eger. Ha sviluppato i seguenti
temi: il mondo moderno aspira al Vangelo; tutte le civiltà contengono una
virtualità che le spinge verso Cristo; il genere umano è un'unità fraterna al di
là di confini, regimi e religioni; e la Chiesa si batte per la pace, lo sviluppo e la
dignità umana. Il testo è stato affidato al card. Li'enart e successivamente
modificata in alcune parti senza togliere il suo originario carattere
antropocentrico e mondano, ma la modifi

12Figaro, 9 dicembre 1976. Abbiamo tratto la narrazione degli eventi dalle memorie dello
stesso LIPNART, pubblicate postume nel 1976 con il titolo Vaticano II, in un'edizione della
Facoltà Teologica di Lille. Concorda con quella del libro di RALPH M.
WILTGEN, SVD Il Reno sfocia nel Tevere, Hawthorn Books Inc., New York 1967, che però
non accenna al gesto illegale del cardinale francese.
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70 4. Lo sviluppo del Concilio

cationi hanno lasciato i loro promotori insoddisfatti. Fu votato il 20 ottobre da


duemilacinquecento Padri. Per quanto riguarda l'effetto di questa azione, è rilevante
l'affermazione di padre Chenu: Il messaggio ha effettivamente scioccato l'opinione
pubblica per la sua stessa esistenza. Le strade aperte sono state quasi sempre seguite
dalle deliberazioni e dagli orientamenti del Concilio.

4.6. Conseguenze della violazione della legge


Papà

Conseguenze della violazione della legge. Sull'esistenza o meno di un complotto


Le vicende
originate dagli incidenti del 13 ottobre e del 22 novembre hanno avuto effetti
impressionanti: la ricomposizione delle dieci Commissioni consiliari e l'eliminazione
di tutti i lavori preparatori, per cui di venti schemi, solo quello sulla Liturgia passata.
Mutò l'ispirazione generale dei testi e anche il genere stilistico dei documenti, che
abbandonarono la struttura classica in cui alla parte dottrinale faceva seguito il
decreto disciplinare. Il Concilio è diventato in un certo modo autogeno, atipico,
improvvisato. A questo punto, lo studioso si chiede se questa inattesa inflessione
nel corso del Concilio sia stata dovuta a una congiura pre ed extraconciliare, o se sia
stata l'effetto del dinamismo naturale dell'assemblea. La prima opinione è sostenuta
dai sostenitori della concezione tradizionale e curiale. Arrivano persino a ricordare il
latrocimum di Efeso: che il Concilio fosse stato fatto dopo che ne era stata negata la
propedeutica sembrava spiegabile solo attraverso un concerto ben preparato di
vigorose volontà. La congiura sembrerebbe dimostrata anche da quanto racconta
Jean Guitton, membro dell'Accademia di Francia, nella confidenza del card. Tisserant.

13

Il decano del Sacro Collegio, mostrandogli un quadro per il quale una fotografia
serviva da modello e che rappresentava sei cardinali attorno allo stesso Tisserant,
disse: Questo quadro è storico, anzi simbolico. Rappresenta l'incontro che avevamo
tenuto prima dell'apertura del Concilio, e nel quale abbiamo deciso di bloccare la
prima sessione, rifiutando le regole tiranniche stabilite da Giovanni XXIII. L'organo
principale della congiura dei modernizzatori, tessuta da tedeschi, francesi e canadesi,
sarebbe stata l'alleanza dei Padri di quelle regioni ecclesiastiche; l'organo antagonista
era il Coetus internationalis Patrum, dove prevalevano i Padri dell'orbita latina. È
opportuno chiedersi se non si stia confondendo un complotto in senso politico con
quel naturale accordo nelle assemblee

13 Paolo VI segreto, Parigi 1979, p. 123.


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4.6. Conseguenze della violazione della legge 71

membri che convergono tra loro per accordo sulla dottrina, da


omogeneità delle interpretazioni storiche, o dalla conseguente identità
delle rivendicazioni. Certamente non si può negare che qualsiasi gruppo di persone
riuniti sotto lo stesso titolo per il conseguimento di uno scopo sociale
influenze. Senza di essi non può costituirsi come vero corpo attivo né
passare dallo stato di moltitudine atomistica a quello di assemblea organica. Tali
influenze sono sempre state esercitate sui Consigli e non sono qualcosa di accidentale o
un vizio, ma fanno parte della struttura del Consiglio. Non è questione di
decidere ora se tutti loro sono sempre stati conformi alla natura del
assemblea consiliare, o se alcuni provenivano da fuori del Consiglio sotto forma di
usurpazione del potere politico. Si sa quanto potere godessero l'imperatore ei principi
al Concilio di Trento e quanto efficace fosse l'ascendente
papale, per il quale Sarpi disse con amaro disprezzo che lo Spirito Santo
Veniva da Roma in carrozza. Anche nel Vaticano I Pio IX esercitò un influsso potente
e obbligato, dato che come capo vicariale della Chiesa è anche
vicario capo del Consiglio. È l'idea stessa di assemblea, qualunque essa sia
cioè quella che impone non solo la legalità delle influenze, ma anche la loro necessità. In
Infatti, l'essere dell'assemblea nasce, come tale, quando gli individui che la compongono
si fonderanno in un'unità. Ora, cos'è che opera in questo modo
fusione, se non azione di influenze reciproche? Certamente ce ne sono alcuni nella
storia che sono violenti; e addirittura, secondo una teoria che respingiamo,
sono solo quelli violenti (non esattamente le influenze, ma le rotture) che
forzare il corso degli eventi. Ma senza entrare nel merito di questa domanda,
assicuriamoci che solo grazie alla cospirazione un certo numero di
gli uomini riuniti in assemblea possono trascendere lo stato atomistico ed essere
informata da un pensiero.
Un'assemblea conciliare (stato di uomini eminenti per virtù, dottrina e altruismo)
ha certamente un dinamismo diverso da quello della massa
chiamato dal Manzoni (Los novios, cap. XIII) corpach'on, nel
che vengono successivamente introdotti umori opposti per muoverlo verso atti di
ingiustizia e spargimento di sangue, o verso i consigli opposti di giustizia e
pietà. Ma ci sembra una verità psicologica e storica che ogni assemblea diventi un
organismo solo se interviene quella congiura.
che differenzia e organizza la pluralità. E questa verità è così palese che il
Regolamento interno del Consiglio raccomandato nel §3 dell'articolo 57 che
si associavano i Padri concordi nelle concezioni teologiche e pastorali
nei Gruppi per sostenerli in Consiglio o farli sostenere dai loro rappresentanti. Cosa
costituisce una verità, sia per la storia che per
14
teodicea (si trova dove ne abbiamo parlato applicandola a

14Bolettino Storico della Svizzera italiana, I, 1978, Il luganese Carlo Francesco Caselli
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72 4. Lo sviluppo del Concilio

un famoso evento storico), è che ci sono momenti salienti e privilegiati nella


determinazione di un intero corso di eventi, in cui il futuro è virtualmente
contenuto, come lo furono gli atti del card. Li'enart il 13 ottobre e la rottura della
legalità il 22 novembre 1962.

4.7. L'esibizione del Papa nel Vaticano II.


La nota precedente
Con Giovanni XXIII l'autorità pontificia si manifestò solo come abbandono
del Concilio che si era preparato (con l'effetto radicale che ciò comportava) e
come condiscendenza con il movimento che il Concilio, rompendo la continuità
con la sua preparazione, volle darsi . I decreti adottati da Giovanni XXIII senza
partecipare all'assemblea si caratterizzano per essere casi particolari. Tale è
l'inserimento di san Giuseppe nel canone della Messa, nel quale nulla di nuovo
era stato introdotto dai tempi di san Gregorio Magno.
Tale inclusione fu ben presto respinta con forza, vuoi per i suoi prevedibili
effetti antiecumenici, vuoi perché apparentemente obbediva a una pura
preferenza personale del Pontefice (sebbene in realtà fosse sostenuta da ampi
strati della Chiesa). Ebbe solo una durata effimera, precipitando anch'essa
nell'erebo dell'oblio come altre cose di quel Papa che dispiacquero al consenso
conciliare.
Pur assecondando in genere il movimento del Concilio nel senso
modernizzante annunciato nel discorso di apertura, Paolo VI su alcuni punti
controversi ritenne suo dovere separarsi dai suoi sentimenti prevalenti e
avvalersi della sua autonoma autorità. Il primo punto è il principio di collegialità,
fino ad allora implicito nell'ecclesiologia cattolica e che il Papa riteneva dovesse
essere spiegato, divenendo poi uno dei principali criteri della riforma della
Chiesa. Sia per la novità di tale spiegazione, sia per la sorpresa
dell'argomentazione (taciuta in commissione preparatoria), sia per la delicatezza
del rapporto tra il primato di Pedro e la suddetta solidarietà collegiale, sta di
fatto che il testo conciliare si è rivelato incompleto. A quel tempo, Paolo VI
volle che in una Nota praevia della Commissione teologica fosse chiarito e
determinato ciò che la Costituzione Lumen Gentium aveva detto sulla collegialità.
I termini della precisazione erano tali che il principio cattolico del primato
didattico e di governo del Papa su tutta la Chiesa e su tutti i suoi membri
singillatim (uno per uno) risultava sartum tectum e non discutibile.

negoziatore del Concordato napoleonico. Ver la nota de la p. 68 del bolet´ÿn.


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4.7. L'esibizione del Papa nel Vaticano II. La nota praeviana 73

Come aveva stabilito il Vaticano I, le definizioni papali in materia di fede e


morale non possono essere riformate ex sese, non autem ex consensus
Ecclesiae e quindi nemmeno ex consensus dei vescovi costituiti in collegio. La
Nota praevia rifiuta l'interpretazione classica della collegialità, secondo la quale
il soggetto del supremo potere nella Chiesa è solo il Papa, che lo condivide
quando vuole con l'universalità dei vescovi da lui chiamati al Concilio. Il potere
supremo è collegiale solo per comunicazione ad nutum del Papa.

La Nota praevia respinge anche la dottrina modernista, secondo la quale il


soggetto del potere supremo nella Chiesa è il collegio unito al Papa (sebbene
non senza il Papa, che ne è il capo): ma in modo tale che quando il Papa esercita
il potere supremo, anche da solo, lo esercita come capo del collegio e come
rappresentante del collegio, che ha l'obbligo di consultare per esprimere il
proprio pensiero. È una teoria modellata su quella dell'origine popolare
dell'autorità, difficilmente compatibile con la costituzione divina della Chiesa.

Respingendo queste due teorie, la Nota praevia afferma che il supremo


potere risiede nel collegio dei vescovi unito al suo Capo: ma potendo esercitarlo
indipendentemente dal Collegio, mentre il Collegio non può farlo
indipendentemente dal Capo. Non si sa se la tendenza del Concilio Vaticano II a
rompere con una stretta continuità con la tradizione e a creare forme, modalità
e procedure atipiche, sia da attribuire allo spirito modernizzatore che lo
caratterizzò e diresse, oppure alla mente e al carattere di Paolo VI. Probabilmente
l'inclinazione dovrebbe essere ripartita proporzionalmente tra il Concilio e il
Papa. Il risultato è stato un rinnovamento, o meglio, un'innovazione dell'essere
della Chiesa, che ha interessato le strutture, i riti, il linguaggio, la disciplina, i
comportamenti, le aspirazioni: insomma, il volto della Chiesa, destinato ad
apparire davanti al mondo come qualcosa di nuovo. D'altra parte, non
trascureremo qui la singolarità, anche formale, della Nota praevia. In primo
luogo, non c'è nessun esempio nella storia dei Concili di una glossa di questo
tipo aggiunta ad una Costituzione dogmatica come la Lumen Gentium, e ad essa
organicamente legata. In secondo luogo, sembra inspiegabile che il Concilio,
nell'atto stesso di promulgare un documento dottrinale (dopo tante consultazioni,
emendamenti, setacciamenti, accettazioni e rigetti di modi) produca un
documento così imperfetto da dover essere accompagnato da una clausola
esplicativa . Infine, in terzo luogo, una singolarità curiosa di questa Nota praevia:
va letta prima della Costituzione alla quale è legata, eppure viene pubblicata
dopo di essa.
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4. Lo sviluppo del Concilio


74

4.8. Maggiori informazioni sulla performance papale


nel Vaticano II

Maggiori informazioni sull'esibizione papale al Vaticano II. interventi


sulla dottrina mariologica, le missioni e la morale coniugale
Il secondo intervento papale si riferisce al culto mariano. In quanto
peculiare della religione cattolica, il culto mariano doveva essere trattato
approvata da un Concilio che aveva fatto prevalere la causa unionis su tutte le
altre: basterebbe un capitolo sulla Vergine, e non uno schema
proprio, come aveva previsto la commissione preparatoria. Fin dalla sua nascita il
Il Sinodo era stato influenzato dalla scuola teologica tedesca, influenzata a
sua volta dalla mariologia protestante, che non era voluta
contraddire.
´
Questo, come d'altronde l'Islam, riserva alla Vergine un'osservanza
di pura venerazione, ma rifiuta il vero e proprio culto reso da
la Chiesa in modo specialissimo alla Madre di Gesù. su molti
trattamenti con cui la pietà cattolica ha adornato la Vergine, certo
(anzi la maggioranza) provengono dalla fantasia poetica e dal vivo sentimento
affettivo dei popoli cristiani; altri, al contrario, suppongono o producono
una tesi teologica. Ad esempio, l'Incoronazione della Vergine ha fatto parte
di magnifiche creazioni artistiche, ma rimanendo al di fuori della teologia,
mentre l'Assunzione appartiene tanto ad esso quanto alle figurazioni del
arte, proclamata definitivamente dogma da Pio XII nel 1950: le ragioni
del dogma dell'Assunzione si trovano nelle profonde connessioni ontologiche
tra la persona della Madre e l'individuo teandrico. Dal quale
tanti titoli, Paolo VI volle che quello di Madre della Chiesa fosse sancito nello
schema sulla Beata Vergine, o almeno nel capitolo
dello schema Ecclesia a cui era ridotto. Ma l'assemblea no
desiderato. Questa dignità si fonda su ragioni teologiche e antropologiche:
Maria è la vera madre di Cristo, e Cristo è il capo della Chiesa
e Chiesa compressa (come la Chiesa, se ci è consentito adottare il linguaggio di
Nicola Cusano, è Cristo espanso), il passaggio da Madre di Cristo a Madre
della Chiesa è irreprensibile. Ma la maggioranza conciliare sosteneva che
questo titolo non fosse essenzialmente diverso da altri che, o oscillassero tra il poetico
e le speculative, sono o di significato incerto, o prive di fondamento teologico,
ostacolando così la causa unionis, per cui si oppose alla sua proclamazione.
Poi il Santo Padre, con atto di autonoma autorità, ha proceduto ai suoi
proclamazione solenne nel discorso di chiusura della terza sessione, il 21
novembre 1964, accolto in silenzio da un'assemblea che in
tanti altri momenti era facile per gli applausi.
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4.8. Altro sulla performance papale al Vaticano II 75

Poiché il titolo era stato espulso dal progetto dalla Commissione teologica
(nonostante un'imponente raccolta di voti a suo favore), e il Vescovo di
Cuernavaca lo aveva impugnato in aula, l'atto del Papa suscitò vivaci
respingimenti. In questo fatto si rivelano i dissensi interni al Concilio e lo spirito
antipapale della frazione modernizzatrice. E non è possibile, contro l'evidenza dei ´
fatti, accogliere la successiva dichiarazione del card. Bea. Aveva ragione
nell'affermare che, mancando un voto esplicito dell'assemblea sull'attribuzione o
meno di tale trattamento alla Vergine, non era legittimo opporre la volontà
immanifesta del Concilio alla volontà del Papa espressa in via di autorità .

Tuttavia, partendo dall'argomentazione, il cardinale ha cercato di stabilire un


consenso tra il Papa e il Concilio sostenendo che tutta la dottrina mariologica
sviluppata nella Costituzione contenesse implicitamente il titolo di Mater
Ecclesiae. Ora, una dottrina implicita è una dottrina potenziale, e chi non vuole
esplicitarla (metterla in atto) non è certo d'accordo con chi chiede che sia
esplicitata. La dichiarazione del card. Bea (che era tra coloro che si opposero) è
solo una forma di dono e riparazione al Papa. Si basa su un'argomentazione
sofisticata che mette a confronto l'implicito e l'esplicito e cerca di dare un
significato ai fatti. Chi si rifiuta di esplicitare una proposizione implicita non ha lo
stesso sentimento di chi la vuole esplicitata, poiché non volendola esplicita, in
realtà non la vuole.
I dissensi tra l'organo e il capo del Consiglio furono testimoniati anche
dall'intervento papale del 6 novembre 1964 che raccomandava una rapida
accettazione del documento´ sulle missioni, a cui si opposero soprattutto i
Vescovi dell'Africa e i Superiori delle congregazioni missionarie .
Lo schema è stato respinto, ha dovuto essere riscritto e restituito nella IV sessione.
Più fermo e serio fu l'intervento di Paolo VI sulla dottrina del matrimonio.
Essendo state pronunciate in aula, anche per bocca di cardinali (L´eger e
Suenens), nuove teorie che abbassavano la finalità procreativa del matrimonio e
davano luogo alla loro frustrazione (elevando al contempo il loro pari o maiori a
finalità unitiva e donazione personale) , Paolo VI presentò alla commissione
quattro emendamenti con l'ordine di inserirli nello schema.
L'illegalità dei metodi contraccettivi innaturali dovrebbe essere espressamente
insegnata. Va anche dichiarato che la procreazione non è un fine accessorio del
matrimonio o assimilabile all'espressione dell'amore coniugale, ma necessario e
primario. Tutti gli emendamenti si basavano su testi della Casti connubii di Pio
XI, che avrebbero dovuto essere inseriti. Furono accettati gli emendamenti, ma
non i testi di Pio XI. Intanto la questione dei contraccettivi fu consultata da una
commissione pontificia, e fu poi decisa con l'enciclica Humanae vitae del 1968,
di cui parleremo nei §§6.5-6.6. La commissione conciliare escludeva i testi di Pio
XI, ma Paolo VI
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76 4. Lo sviluppo del Concilio

li costrinse ad aggiungersi allo schema approvato poi dal Consiglio nella IV


sessione.

4.9. Sintesi del Concilio nel discorso di


chiusura della quarta sessione

Sintesi del Concilio nel discorso di chiusura della quarta


sessione. Confronto con san Pio X. Chiesa e mondo
Il discorso di chiusura del Concilio è in realtà quello pronunciato da Paolo
VI il 7 dicembre 1965 al termine della IV sessione, perché quello dell'8 dicembre
è solo un discorso cerimoniale e di saluto. Lo spirito che aveva prevalso
appariva più chiaramente che nelle concrete manifestazioni intermedie del Papa.

In essa si apprende di più sull'interiorità della mente di Paolo VI di quanto


si possa conoscere attraverso gli stessi testi conciliari. Il documento ha un
carattere ottimistico che lo mette in relazione con il discorso inaugurale di
Giovanni XXIII: la concordia tra i Padri è meravigliosa, il momento della
conclusione è magnifico. In questa coloritura generale, che potremmo chiamare
eutimica (il Concilio è stato molto coscienziosamente ottimista, n. 9) si
confondono le singole parti della sintesi operata dal Papa. I partiti oscuri, che
tuttavia prevalgono sull'osservazione del Papa e non vengono messi a tacere,
sono investiti di riflessi di detto ottimismo. In questo modo, la diagnosi dello
stato attuale del mondo è, in definitiva e apertamente, positiva. Il Papa riconosce
il generale dislocamento della concezione cattolica della vita e vede, anche nelle
grandi religioni etniche del mondo, turbamenti e decadenze mai sperimentati (n.
4). In questa pericope va forse fatta almeno l'eccezione dell'Islam, che in questo
secolo conosce una nuova crescita ed elevazione. Ma nel discorso appare
manifesto il riconoscimento della tendenza generale dell'uomo moderno verso
la superiorità (Diesseitigkeit) e il progressivo rifiuto di ogni ulteriorità e
trascendenza (Jenseitigkeit). Ma fatta questa esatta diagnosi delle oscillazioni
moderne, il Papa la mantiene nell'ambito puramente descrittivo e non riconosce
il carattere della crisi come principale opposizione all'assiologia cattolica
dell'ulteriorità.

Anche san Pio X aveva riconosciuto nell'enciclica Supremi pontificatus, con


una diagnosi identica a quella di Paolo VI, che lo spirito dell'uomo moderno è
uno spirito di indipendenza che orienta verso di sé tutto il creato e guarda alla
propria divinizzazione. Ma papa Sarto aveva riconosciuto allo stesso modo il
carattere fondamentale di questa mondanità e quindi l'aveva indicato
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4.9. Sintesi del Concilio nel discorso di chiusura della quarta sessione 77

chiaramente l'antagonismo (s'intende quello oggettivo, prescindendo da


illusioni e intenzioni soggettive) con il quale viene necessariamente a
scontrarsi con il principio cattolico: questo dirige tutto da Dio a Dio, quello
invece dell'uomo verso l'uomo.
Di conseguenza, i due Papi fanno una diagnosi identica dello stato del
mondo, ma divergono nel loro giudizio di valore. Come san Pio X, citando san
Paolo (II Ts 2, 4), vedeva l'uomo moderno farsi dio e pretendere di essere
adorato, così Paolo VI dice espressamente che la religione di Dio che si è fatto
uomo, ha incontrato la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio (n. 8).
Eppure, ignorando il carattere fondamentale del confronto, pensa che grazie
al Concilio il confronto non ha prodotto uno scontro, né una rissa, né un
anatema, bensì un'immensa simpatia: una nuova attenzione della Chiesa alle
esigenze Uomo. E all'obiezione che inchinandosi al mondo e quasi correndogli
incontro, la Chiesa abdicherebbe al proprio cammino teotropico ed entrerebbe
nel cammino antropologico, il Papa oppone che agendo così la Chiesa non si
smarrisce nel mondo, ma si rivolge ad esso . Qui è opportuno chiedersi: si
gira per raggiungerlo o per attirarlo a sé? Certamente, l'ufficio di verità proprio
della Chiesa discende dal suo ufficio di carità verso il genere umano. Anche
la crudezza della correttezza dottrinale così come è stata esercitata nei tempi
risulta mostruosa se separata dalla carità, poiché c'è sia caritas severitatis
che caritas suavitatis.

Ma la difficoltà consiste nel non tradire la verità per amore della carità, e
nell'accostarsi all'umanità moderna (inserita in un movimento antropotropico)
non per sostenerne il movimento, ma per invertirlo. Non ci sono due centri
della realtà, ma un unico centro ei suoi epigoni. E non sono sicuro che in
questo discorso Paolo VI abbia specificato a sufficienza il carattere meramente
mediatore dell'umanesimo cristiano, poiché la carità non può farci accettare
come fine ultimo, neppure perfettamente, quello della visione antropologica.
Uomo.
L'imprecisione del discorso è evidente anche nell'adozione di due formule
contrarie: per conoscere l'uomo è necessario conoscere Dio e per conoscere
Dio è necessario conoscere l'uomo (n. 16). Secondo la dottrina cattolica esiste
una conoscenza di Dio accessibile per via naturale a tutti gli uomini, e una
conoscenza di Dio rivelata solo soprannaturalmente. E allo stesso modo, ci
sono due conoscenze dell'uomo. Ma dire indistintamente che per conoscere
l'uomo è necessario conoscere Dio e, viceversa, per conoscere Dio è
necessario conoscere l'uomo, non costituisce più il circolo solido riconoscibile
(data quella distinzione) nella formula cattolica, ma un circolo vizioso cerchio
che impedirebbe allo spirito di trovare un vero principio di movimento per
conoscere l'uomo e conoscere Dio.
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78 4. Lo sviluppo del Concilio

L'intero discorso intorno all'uomo ea Dio può allora estendersi dalla


conoscenza all'amore. Infatti il Papa dice che per amare Dio è necessario amare
gli uomini, ma non dice che è Dio che fa l'uomo buono, e che la ragione del
dovere di amare l'uomo è il dovere di amare Dio. In conclusione, l'essenza del
discorso finale è il nuovo rapporto della Chiesa con il mondo. Sotto questo
aspetto, il discorso finale del Concilio è un documento di estrema importanza
per chi voglia indagare le varianti del Concilio e la sua sostanza nascosta e
potenziale, che gli sviluppi postconciliari continueranno ad agire ea scoprire.
Questi sviluppi si mescolano con quelli delle tendenze opposte e coesistenti
che operarono nel Concilio. Li cercheremo ora nel complesso, travagliato e
ambiguo sviluppo della Chiesa postconciliare.
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Cap'itulo 5

Dopo il Concilio

5.1. Il superamento del Concilio. Lo spirito del


Concilio
Come abbiamo visto, il Concilio ruppe con tutta la sua preparazione e si
sviluppò sostituendo il Concilio così come era stato preparato. Ma dopo la
chiusura, il periodo postconciliare, che avrebbe dovuto significare il
completamento del Concilio, ne ha tuttavia significato anche il superamento.
Questo fatto è spesso deplorato anche nei discorsi del Papa, che lo disse
espressamente, ad esempio, il 31 gennaio 1972, riferendosi a minoranze piccole
ma ardite e fortemente dissolutrici.
Lo dimostrano anche le tante voci che, ritenendo insufficienti le novità
conciliari, invocano un Vaticano III che incoraggi la Chiesa a fare quel passo
avanti che ha resistito o esitato a fare nella prima
incontro.
Gli eccessi sono particolarmente palpabili nell'ordine liturgico, dove la
Messa si è trovata trasmutata dall'alto in basso; nell'ordine istituzionale, che fu
investito di uno spirito democratico di consultazione universale e referendum
perpetuo; e ancor più nell'ordine della mentalità, aperta a conciliarsi con dottrine
lontane dal principio cattolico.
Il superamento avvenne all'insegna di una causa complessa, anfibologica,
varia e confusa, che fu chiamata lo spirito del Concilio. E proprio come ha
superato la propria preparazione, o meglio l'ha lasciata da parte, il suo spirito
ha superato lo stesso Concilio. L'idea dello spirito del Concilio non è un'idea
chiara e distinta, ma una metafora: significa propriamente la sua ispirazione.
Tornato nel campo della logica, è legato all'idea di ciò che è principale in un
uomo e lo muove in tutte le sue operazioni.
La Bibbia parla dello spirito di Mosè e narra che Dio prese lo spirito

79
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80 5. El dopo il Concilio

Mosè e lo portò dai settanta anziani (Num. 11, 25). Lo spirito di Elia entrò nel suo
discepolo Eliseo (IV Re 2, 15). Altre cento volte menziona lo spirito del Signore. In tutti
questi passaggi lo spirito è ciò che in un uomo precede ogni atto e presiede a tutti i
suoi atti come primum movens.
I settanta anziani che iniziano a profetizzare quando Dio porta loro lo spirito di
Mosè hanno lo stesso motore ideale e supremo di Mosè.
Lo spirito di Elia in Eliseo è il pensiero di Elia, che diventa proprio di Eliseo. Lo spirito
del Signore è il Signore stesso, convertito in ragione e motivo di operare in tutti coloro
che hanno lo spirito del Signore. Allo stesso modo, lo spirito del Concilio è il principio
ideale che motiva e anima il suo operare, e, per dirla alla maniera stoica, ÿÿegemonicoÿÿ
in esso.
Ma, detto questo, è chiaro che sebbene lo spirito del Concilio (quello che sottende
la sostanza dei suoi decreti e ne diviene a priori) non si identifica certo con la sua
lettera, né ne è indipendente. In quali cose si esprime un organo deliberante, se non
nelle sue disposizioni e nelle sue deliberazioni? Il richiamo allo spirito del Concilio, e
soprattutto da parte di chi vuole superarlo, è un argomento equivoco e quasi un
pretesto per poter introdurre in esso il proprio spirito di innovazione.

Si può qui osservare che, poiché lo spirito di quella grande assemblea non era
altro che il suo principio informatore, ammettere in essa una molteplicità di spiriti
equivarrebbe a proporre una molteplicità di Concili, considerata da alcuni autori come
qualcosa di arricchente. La supposizione che lo spirito del Concilio sia molteplice non
può che nascere dall'incertezza e dalla confusione che viziano alcuni documenti
conciliari e fa sorgere l'ipotesi che questi siano stati superati per opera di quello
spirito.

5.2. La superaci´on del Concilio


Il superamento del Concilio. Carattere anfibologico dei testi conciliari In realtà, lo
sconfinamento
del Concilio appellandosi al suo spirito è dovuto talvolta ad un franco superamento
della sua lettera, altre volte all'ampiezza e negligenza dei termini. È un netto
miglioramento ogni volta che il postconcilio si è sviluppato come questioni conciliari
che non trovano riscontro nei testi, e di cui non conoscono nemmeno l'espressione.
Ad esempio, la parola pluralismo si trova non più di tre volte, e sempre riferita alla
società civile. Allo stesso modo, l'idea di autenticità come valore morale e religioso
1
della condotta umana non compare in nessun documento, poiché sebbene la voce
authenticus compaia otto volte, il suo significato è sempre filologico.

1Vedi detta voce nelle già citate Concordantiae del Vaticano II.
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5.2. La superaci´on del Concilio 81

e canonico riferendosi alle autentiche Scritture, all'autentico magistero, o


alle autentiche tradizioni, e mai quello di quel carattere di immediatezza
psicologica celebrato oggi come indice certo di valore religioso.
Infine, la parola democrazia con i suoi derivati non si trova in nessun
punto del Concilio, sebbene si trovi negli indici delle edizioni approvate
dei testi conciliari. Nonostante ciò, la modernizzazione della Chiesa
postconciliare è in gran parte un processo di democratizzazione.
Vi è anche un aperto superamento quando, trascurando la lettera del
Concilio, si sviluppano riforme in senso contrario alla sua volontà
legislativa. L'esempio più cospicuo è quello dell'eliminazione universale
della lingua latina nei riti latini, quando secondo l'articolo 36 della
Costituzione sulla liturgia dovrebbe essere conservata nel rito romano; di
fatto era proscritto, e la Messa veniva celebrata ovunque in lingua volgare,
sia nella parte didattica che in quella sacrificale. Vedere §§38.2-38.8. Su
quella aperta, approfittando a tal fine dell'ambiguità stessa, prevale però
quella che si compie facendo appello allo spirito del Concilio e introducendo
l'uso di parole nuove destinate a portare con sé un'idea specifica come
messaggio. le dichiarazioni conciliari 2 .

A questo scopo è estremamente importante che il Concilio, avendo


lasciato dietro di sé, come è consuetudine, una commissione per
l'interpretazione autentica dei suoi decreti, non abbia mai dato spiegazioni
autentiche e non sia mai stato citato. In questo modo, il tempo
postconciliare, più che l'esecuzione, era per l'interpretazione del Concilio.
Mancando un'interpretazione autentica, la definizione dei punti sui
quali la mente del Concilio era incerta e discutibile fu lasciata alla disputa
dei teologi, con questo grave danno all'unità della Chiesa che Paolo VI
deplorò nel suo discorso del 7 dicembre , 1968. Cfr. §1.7.

3
Il carattere anfibologico dei testi conciliari fornendo così una
base per l'interpretazione sia modernista che tradizionale, dando origine a
tutta un'arte ermeneutica così importante che qui non si può evitare un
breve riferimento.

2Tale incertezza è confessata da un testimone autorizzato, il card. PERICLE FELICI,


Segretario Generale del Concilio, secondo il quale la Costituzione Gaudium et Spes
maiore litura avrebbe potuto essere perfezionata in alcune espressioni (OR, 23 luglio
1975). D'altra parte, la redazione originale della Gaudium et Spes era in parte in francese.
3Questa ambiguità è ammessa anche dai teologi più fedeli alla Sede romana, che si
sforzano di scusare il Concilio. Ma è evidente che la necessità di difendere l'univocità del
Concilio è già indice del suo equivoco. Si veda, ad esempio, la difesa di PHILIPPE
DELHAYE, Le m´etaconcile, in Esprit et Vi, 1980, pp. 513 e segg.
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82 5. El dopo il Concilio

5.3. L'ermeneutica del Concilio nell'inn


vators
L'ermeneutica del Concilio negli innovatori. variazioni semantiche. La parola
ÿÿdialogoÿÿ
La profondità della variazione operata nella Chiesa nel periodo
postconciliare si deduce anche dagli imponenti mutamenti prodotti nel linguaggio.
Non entro più nella scomparsa nell'uso ecclesiastico di alcuni termini come
inferno, paradiso o predestinazione, significanti di dottrine che non sono
nemmeno una volta trattata negli insegnamenti conciliari: poiché la parola
segue l'idea, la sua scomparsa implica la scomparsa, o almeno l'eclisse,
di quei concetti, un tempo rilevanti nel sistema cattolico.
La trasposizione semantica è anche un grande veicolo di novità: chiamare
il sacerdote ÿÿoperatore pastoraleÿÿ , cena a messa, servizio all'autorità
o qualsiasi altra funzione, autenticità alla natura (anche se lo è
disonesto), ecc., sostiene una novità nelle cose che erano prima
riferimento con le seconde parole.
Il neologismo, altrimenti filologicamente mostruoso, è destinato
a volte per indicare nuove idee (ad esempio, ÿÿconcienciarÿÿ); ma più
spesso nasce dal desiderio di novità, come è evidente nell'uso di
presbitero invece di sacerdote, diacono invece di servizio, l'eucaristia
tempo della Messa. In questa sostituzione di vecchi termini per neologismi
si nasconde sempre una variazione di concetti, o almeno una colorazione
diverso.
Alcune parole che non erano mai state frequentate nei documenti papali e
che erano relegate a casi specifici, hanno conquistato nel breve
periodo di pochi anni una prodigiosa diffusione. Il più notevole è la parola
ÿÿdialogoÿÿ, finora sconosciuto nella Chiesa. Tuttavia, il Vaticano
II lo adottò ventotto (28) volte e coniò la famosa frase che indica il
asse e intenzione primaria del Concilio: ÿÿdialogo con il mondoÿÿ (Gaudium
4
et Spes 43) e ÿÿdialogo reciprocoÿÿ tra la Chiesa e il mondo. La parola è
diventata una categoria universale della realtà, superando le sfere di
logica e retorica, a cui in linea di principio era circoscritta. tutto aveva
struttura dialettica. Si è arrivati a configurare una struttura dialettica del
essere divino (non come uno e trino, ma come uno), della Chiesa, della
religione, della famiglia, della pace, della verità, ecc. Tutto diventa dialogo
e la verità in facto esse si diluisce nel suo stesso fieri come dialogo. Vedi altro

4In realtà, dire mutuo sembra superfluo, poiché se parla solo la Chiesa non c'è dialogo
ma monologo.
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5.4. Ancora sull'ermeneutica innovativa del Concilio 83

sotto §§16.1-16.6 5 .

5.4. M´as circa ermeneutica innovativa


del Concilio
Ancora sull'ermeneutica innovativa del Concilio. circiterismos. Uso delle
particelle avversative ÿÿperoÿÿ e ÿÿelseÿÿ. L'approfondimento

Un procedimento comune nell'argomentazione degli innovatori è il


circuterismo: esso consiste nel riferirsi a un termine indistinto e confuso come
se fosse qualcosa di solido e indiscutibile, ed estrarne o escluderne l'elemento
che interessa estrarre o escludere. Tale è, ad esempio, il termine spirito del
Concilio o anche quello del Concilio. Ricordo come anche nella prassi pastorale
i sacerdoti innovativi, che violavano le norme più ferme e che non erano mutati
neppure dopo la loro celebrazione, risposero ai fedeli, sorpresi dalla loro
arbitrarietà, Appellandosi al Concilio.
Certo, non mi sfugge che data, da un lato, la limitazione dell'intenzione
umana (incapace di contemplare simultaneamente tutti gli aspetti di un oggetto
complesso), e dall'altro, l'esistenza di un libero esercizio del pensiero, la il
conoscitore può rivolgersi solo successivamente alle varie parti del complesso.
Ma affermo che questa naturale operazione intellettiva non può essere confusa
con la separazione intenzionale che la volontà può dare all'atto intellettivo,
sicché (come si dice nel testo evangelico) guardando non vede, e ascoltando
non comprende (Mt 13). , 13).
La prima operazione si ritrova anche nella ricerca legittima (che per sua
natura è progressiva pedetentim), mentre la seconda ha un nome altro da
ricerca: infatti, più che alle cose, dà valore a un quid nato dalla propensione
soggettiva di ciascuno uno.
È comune anche parlare di messaggio, e del codice con cui il messaggio
viene letto e decifrato. La nozione di lettura ha soppiantato quella di conoscenza
della cosa, sostituendo la forza vincolante della cognizione univoca a una
possibile pluralità di letture. Un messaggio identico può essere letto (dicono)
in chiavi diverse: se è ortodosso può essere decifrato in chiave eterodossa, e
se è eterodosso in chiave ortodossa.
Tale metodo dimentica che il testo ha il suo senso primitivo, intrinseco,
ovvio e letterale; Questo deve essere compreso prima di qualsiasi interpretazione,

5 Significativo è anche l'uso della parola manichea, applicata a qualsiasi opposizione


(compresa quella del bene contro il male) per rifiutare ogni assoluto assiologico. Chi qualifica
un comportamento morale come cattivo viene subito accusato di manicheismo.
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84 5. El dopo il Concilio

e forse non supporta il codice con cui verrà letto e decifrato alla seconda
lettura. I testi del Concilio hanno, come qualsiasi altro testo, e
a prescindere dall'esegesi che se ne fa, una leggibilità evidente e
inequivocabile, un senso letterale che è fondamento di tutti gli altri.
La perfezione dell'ermeneutica consiste nel ridurre la seconda lettura a
la prima, che fornisce il vero significato del testo. La Chiesa no
mai proceduto diversamente.
Il metodo praticato dagli innovatori nel periodo postconciliare consiste
nell'illuminare o oscurare parti specifiche di un testo o di una verità.
Non è altro che un abuso dell'astrazione che la mente fa per necessità
quando si esamina qualsiasi complesso. Tale è in realtà la condizione del
conoscenza discorsiva (che si svolge nel tempo, a differenza dell'intuizione
angelica). A questo si aggiunge un altro metodo, tipico dell'errore, consistente
nel nascondere una verità dietro l'altra e poi procedere come se la verità
nascosta non solo fosse nascosta, ma come se il simpliciter non esistesse. Di
Ad esempio, quando si definisce la Chiesa popolo di Dio in movimento, si
nasconde la verità che la Chiesa comprende anche la parte già in termo
dei beati (la sua frazione più importante, essendo invece quella in
quale si compie la fine della Chiesa e dell'universo). In un ulteriore passo,
ciò che era ancora compreso nel messaggio, sebbene epocale, finirebbe per
esserne espulso, rifiutando il culto dei Santi. La procedura che abbiamo
descritto è spesso realizzato secondo uno schema caratterizzato dall'uso
delle particelle avversative ÿÿbutÿÿ e ÿÿelseÿÿ.
Basta conoscere il significato pieno delle parole per riconoscere
immediatamente l'intenzione nascosta dell'ermeneutica. Per attaccare l'inizio
della vita religiosa è scritto che il fondamento non è messo in discussione
della vita religiosa, ma piuttosto il suo stile di realizzarla. Per evitare il dogma di
si dice che è lecito dubitare della verginità della Vergine in partu, non della
credenza in sé, ma del suo oggetto esatto, di cui non si avrebbe il
certezza di aver compreso il miracolo del parto senza lesioni personali
6
. E per ridurre la chiusura delle suore si afferma che va mantenuta
la chiusura, ma adattandola alle condizioni di tempo e di luogo che 7 . se sai
la particella ÿÿmasÿÿ (sinonimo di ma) equivale a magis (più), di cui
viene da, e quindi con l'apparenza di mantenere la verginità in atto
della Vergine, la vita religiosa o la clausura, si dice infatti che più che la
In linea di principio ciò che è importante sono i modi di farlo secondo tempi e luoghi.
Ora, cosa rimane di un principio se è in basso, e non in alto?

6Cfr. JH La virginit´e de Mar´ÿe Fribourg (Svizzera) 1957, che combatte la tesi eterodossa
de A. MITTERER , Dogma e Biologia, Vienna 1952.
7Questi due testi sono tratti dal grande Rapporto in tre volumi dell'Union des Superiorieurs
de France citato in Itin´eraires, n. 155 (1971), pagina 43.
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5.5. Personaggi del dopoconcilio. L'universalità del cambiamento 85

sopra la sua realizzazione? E come non vedere che ci sono stili di produzione
che, invece di essere espressione del fondamento, lo distruggono? In base a
ciò si potrebbe dire che non si discute della fondazione dello stile gotico, ma
piuttosto del suo metodo di realizzazione, e quindi si fa a meno dell'arco a
sesto acuto. Questa formula del ma/ma si trova spesso negli interventi dei
Padri conciliari, i quali introducono nell'asserzione principale qualcosa che poi
viene distrutto con il ma/ma dell'affermazione secondaria, cosicché questa
Quest'ultima diventa il vero enunciato principale.
Anche nel Sinodo dei Vescovi del 1980 il Gruppo B francofono affermò: Il
Gruppo aderisce senza riserve all'Humanae vitae, ma sarebbe necessario
superare la dicotomia tra la rigidità del diritto e la duttilità pastorale.
L'adesione all'enciclica diventa così puramente vocale, perché ciò che più
conta è il cedere alla legge della debolezza umana (OR, 15 ottobre 1980). Più
aperta è la formula di chi chiede l'ammissione dei divorziati all'Eucaristia: Non
si tratta di rinunciare all'esigenza evangelica, ma di concedere a tutti la
possibilità di essere reintegrati nella comunità ecclesiale su (ICI, n. 555, 13
ottobre 1980, p.12). E ancora nel Sinodo del 1980 sulla famiglia comparve in
gruppi innovativi l'uso della parola ÿÿapprofondimentoÿÿ . Mentre si persegue
l'abbandono della dottrina insegnata dall'Humanae vitae, si professa piena
adesione, ma chiedendo che la dottrina venga approfondita: cioè non
confermata con argomenti nuovi, ma trasmutata in altro. L'approfondimento
consisterebbe nel cercare e ricercare fino ad arrivare alla tesi opposta.

Ancora più rilevante è che il metodo del circiterismo è stato talvolta


adottato proprio nella redazione dei documenti conciliari. Il circumterismo è
stato poi volutamente imposto perché la successiva ermeneutica postconciliare
potesse evidenziare o trascurare le idee che la interessavano. Lo abbiamo
espresso in modo diplomatico, ma dopo il Concilio. È uno stile diplomatico che
8
(etimologicamente, doppie) in cui la trarremo le conclusioni implicite
parola viene scelta in un'ottica ermeneutica, invertendo l'ordine naturale del
pensiero e della scrittura.

5.5. Personaggi del dopoconcilio. L'università del


cambiamento
La prima caratteristica del periodo postconciliare è il mutamento molto
generale che ha investito tutte le realtà della Chiesa, sia ad intra che

8Dichiarazione di P. SHILLEBEECKS sulla rivista olandese De Bazuin n. 16. 1965:


traduzione francese in Itin´eraires n. 155 (1971, p. 40).
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86 5. El dopo il Concilio

ad extra.
Da questo punto di vista, il Vaticano II è stato una forza spirituale così
imponente che è necessario collocarlo in una posizione singolare nell'elenco dei Concili.
Questa universalità della variazione introdotta pone anche la seguente
domanda: non si tratta forse di una mutazione sostanziale, come abbiamo
detto nei §§3.5-3.7, analoga a quella che in biologia si chiama modificazione
dell'idiotipo? La domanda sconosciuta è se il passaggio da una religione
all'altra non avverrà, come molti sacerdoti e laici non esitano a proclamare.
Se così fosse, la nascita del nuovo significherebbe la morte del vecchio, come
accade in biologia e metafisica. Il secolo del Vaticano II sarebbe allora un
magnus articulus temporum, l'apice di uno dei meandri che lo spirito umano
ha compiuto nel suo perpetuo ripiegamento su se stesso.
Il problema si può porre anche in altri termini: il secolo del Vaticano II non
potrebbe essere la dimostrazione della pura storicità della religione cattolica,
o che è lo stesso, della sua non-divinità? Si può dire che il campo di variazione
9 .
è quasi esauriente: delle tre classi di
atteggiamenti in cui si riassume la religione (cose da credere, cose da
sperare e cose da amare), non ce n'è nessuna che non sia stata raggiunta e
tendenzialmente trasformato. Nell'ordine gnoseologico, la nozione di fede
passa dall'essere un atto dell'intelletto a essere quello della persona, e
dall'adesione alle verità rivelate diventa una tensione vitale, entrando così
nell'ambito della speranza (§ 18.2) .
La speranza deprezza il suo oggetto proprio, diventando aspirazione e
attesa di liberazione e trasformazione terrena (§ 19.1).
La carità, che come la fede e la speranza ha un oggetto formalmente
soprannaturale (§ 20.1), allo stesso modo abbassa il suo termine rivolgendosi
all'uomo, e abbiamo già visto come il discorso conclusivo del Concilio abbia
proclamato all'uomo la condizione dell'amore per Dio .
Ma non solo queste tre classi di atteggiamenti umani riguardanti la mente
sono state raggiunte dalla novità, ma anche gli organi sensoriali dell'uomo
religioso e credente. Per il senso della vista, sono cambiate le forme delle
vesti, gli arredi sacri, gli altari, l'architettura, le luci, i gesti.

Per il senso del tatto, la grande novità è stata poter toccare ciò che la
venerazione del Sacro rendeva intoccabile. Il senso del gusto è stato concesso
per bere dal calice.

9P. Hegy, in una tesi pubblicata nella collana Th´eologie historique, diretta da p.
Dani´elou, sostiene che questo Concilio ha modificato tutti gli ambiti della vita religiosa,
tranne l´organizzazione ecclesiastica del potere, e che il Vaticano II non è solo una
rivoluzione, ma una rivoluzione incompleta ( Lautorit ´e dans le catholicisme
contemporain, Par´ÿs 1975, pp 15-17).
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5.5. Personaggi del dopoconcilio. L'universalità del cambiamento 87

L'olfatto, invece, trova quasi proibiti gli incensieri odorosi che santificano
i vivi ei morti nei sacri riti. Infine, il senso dell'udito ha conosciuto la più
grande e vasta novità mai operata in materia di lingua sulla faccia della terra,
essendo stata mutata la lingua di cinquecento milioni di persone dalla riforma
liturgica dei popoli; anche la musica è passata da melodica a percussiva, e il
canto gregoriano è stato espulso dai templi, che per secoli avevano addolcito
l'età del silenzio dei canti per gli uomini (cfr Eccl. 12, 1-4) e reso il

cuori.

E non anticipo qui quanto si vedrà in seguito sulle novità nelle strutture
della Chiesa, nelle istituzioni canoniche, nei nomi delle cose, nella filosofia e
nella teologia, nella convivenza con la società civile, nella concezione del
matrimonio: infine, nel rapporti della religione con la civiltà in generale.

Sorge allora il difficile discorso del rapporto tra l'essenza e le parti


contingenti di una cosa, tra l'essenza della Chiesa ei suoi accidenti.
Non si possono riformare tutte queste cose e generi di cose nella Chiesa, e
la Chiesa rimane la stessa? Sì, ma vale la pena notare tre cose.
Primo: ci sono anche quelli che gli scolastici chiamavano accidenti
assoluti, quelli che non si identificano con la sostanza della cosa, ma senza
i quali tale cosa non può esistere. Tali sono la quantità nella sostanza
corporea, ovvero la fede nella Chiesa.
Secondo: sebbene vi siano parti contingenti nella vita della Chiesa, non
tutti gli accidenti possono essere indifferentemente assunti o esclusi da
essa, poiché così come ogni cosa ha certi accidenti e non altri (una nave di
cento stadi, dice Aristotele, non è più una nave), e come, per esempio, il
corpo ha estensione e non ha coscienza, così la Chiesa è caratterizzata da
certi accidenti e non da altri, e ve ne sono che non sono compatibili con la
sua essenza e la distruggono.
Il perpetuo combattimento storico della Chiesa è consistito nel rifiutare
le forme contingenti che le venivano suggerite dall'interno o imposte
dall'esterno, e che ne avrebbero distrutto l'essenza. Ad esempio, il
monofisismo non era un modo contingente di intendere la divinità di Cristo?
E lo spirito privato di Lutero, non era un modo accidentale di intendere
l'azione dello Spirito Santo?
Terzo: sebbene le cose e le specie interessate dal cambiamento
postconciliare siano incidenti nella vita della Chiesa, non devono essere
considerate indifferenti, come se potessero essere o non essere, essere in
un modo o essere in un altro in un altro modo, senza cambiare l'essenza
della Chiesa. Non è certo questa la sede per introdurre la metafisica e
alludere al De ente et essentia di san Tommaso. Tuttavia, è necessario ricordare che la sostanza della
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88 5. El dopo il Concilio

se sussiste solo negli accidenti della Chiesa, e che una sostanza inespressa,
cioè senza accidenti, è una sostanza nulla (un non essere).
D'altra parte, l'intera esistenza storica di un individuo si riassume nei suoi
atti intellettivi e volitivi: ora, che cosa sono intellezioni e volizioni se non realtà
accidentali che accidentano, vanno e vengono, appaiono e scompaiono?
Eppure il destino morale della salvezza o della dannazione dipende proprio da
loro.
Di conseguenza, tutta la vita storica della Chiesa è la sua vita nei suoi
accidenti e contingenze. Come non riconoscerli come rilevanti e, se si pensa,
sostanzialmente rilevanti? E i mutamenti che avvengono nelle forme
contingenti, non sono forse mutamenti, accidentali e storici, dell'essenza
immutabile della Chiesa? E dove tutti gli accidenti cambiano, come riconoscere
che non è cambiata la sostanza stessa della Chiesa?
Cosa resta della persona umana quando si muta tutto il suo rivestimento
contingente e storico? Cosa resta di Socrate senza l'estasi di Potidea, senza i
colloqui dell'agorà, senza il Senato dei Cinquecento e senza la cicuta? Cosa
resta di Campanella senza i cinque supplizi, senza la congiura calabrese, senza
i tradimenti e le sofferenze? Cosa resta di Napoleone senza il Consolato, senza
Austerlitz e Waterloo? Eppure tutte queste cose sono accidentali nell'uomo. I
platonici, che isolano l'essenza della storia, la riscopriranno nell'iperuranio.
Ma noi, dove lo troveremo?

5.6. Altro sul post-concilio


Altro sul post-concilio. L'uomo nuovo. Gaudium et spes.
profondità del cambiamento
Se si studiano i movimenti progressisti o regressivi che hanno scosso la
Chiesa lungo i secoli, si scopre che abbondavano quelli catastrofici: quelli che
cercano di cambiare ab inus la Chiesa, e attraverso di essa tutta l'umanità.
Sono l'effetto dello spirito di indipendenza, che cerca di sciogliere i legami con
il passato per correre avanti senza esitazione (in senso etimologico). Non si
tratta di una riforma nei limiti della natura stessa della Chiesa, né attuata per
mezzo di certe istituzioni accolte come primordiali, bensì di un movimento
palingenetico che reinventa l'essenza della Chiesa e dell'uomo che le dona
altra base e altri limiti. Non si tratta più di novità nelle istituzioni, ma di nuove
istituzioni; né della relativa indipendenza di uno sviluppo che germoglia
organicamente in dipendenza dal passato, dipendente a sua volta da un
fondamento concesso semel pro semper, ma di pura e semplice indipendenza,
o come si dice oggi, creativa.
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5.6. Altro sul post-concilio 89

Ci sono precedenti per un simile tentativo. Per non essersi addentrati troppo
nelle accuse andando a cercarle nell'escatologia terrena eretica della Terza Era
(quella dello Spirito Santo), mi basterà ricordare l'aspetto che è il rinnovamento cattolico
ha preso il secolo scorso nel pensiero ardente di Lamennais, raccolto
10
nelle lettere inedite pubblicate da P'erin. Secondo il prete bretone, lo era
impossibile per la Chiesa resistere a riforme grandi e profonde
trasformazioni tanto certe quanto imprevedibili nel loro
contorni: sollecitava comunque un nuovo stato della Chiesa, a
una nuova era il cui fondamento sarebbe stato posto da Dio stesso attraverso un nuovo
manifestazione.
Né continuerò a dire che questa creazione di un uomo nuovo, caratteristica
della Rivoluzione moderna, coincide esattamente con la professata
in modo esoterico dal nazismo hitleriano. Secondo Hitler, il ciclo solare del
l'uomo giunge al suo termine, e già si annuncia un nuovo uomo che calpesterà il
11
l'antica umanità, che riaffiora con una nuova essenza. Gaudium et spes
contribuisce a questo scopo con uno dei testi più straordinari. il commercio morale
Ciò che deve prevalere nell'uomo di oggi (dice) è la solidarietà sociale coltivata
attraverso l'esercizio e la diffusione della virtù, ut vere novi homines et
gli artisti della nuova umanità devono esistere con il necessario aiuto della grazia divina
12. La parola novus si trova duecentododici (212) volte in Vaticano
II, spesso in modo sproporzionato rispetto a qualsiasi altro Concilio. All'interno
di questo grande numero, il novus appare spesso in senso ovvio
di relativa novità riguardante qualità o categorie accidentali
di cose. Così si parla (è ovvio) di Nuovo Testamento, di nuovi media
di comunicazione, di nuovi impedimenti alla pratica della fede, di nuovi
situazioni, nuovi problemi, ecc. Pero en el texto ciado (y quiz´a tam bi´en en
Joydium et Spes: ...sorge una nuova condizione di umanità) el vocablo se
si trasforma in un senso più ristretto e rigoroso. È una novità sotto il
che non sorge nell'uomo una nuova qualità o perfezione, ma risulta
ha mutato la sua stessa base e abbiamo una nuova creatura in senso stretto.
Paolo VI ha più volte proclamato la novità del pensiero conciliare: Le parole più
importanti del Concilio sono novità e aggiornamento.
La parola novità ci è stata data come un ordine, come un programma
(OR, 3 luglio 1974). Va notato qui che la teologia cattolica (altri
bene la fede cattolica) non conosce più di tre innovazioni radicali capaci di
rinnovare l'umanità e quasi transnaturalizzarla.

10In Miscele di politica ed economia, Lovaina 1882.


11Cfr. Tischreden di Hitler , pubblicato da HERMANN RAUSCHNING in
Hitler mi ha detto, Ed. Atlas, Madrid 1946, in particolare il berretto. XLII, L'eterna rivoluzione.
12... perché diventino veramente uomini nuovi e creatori di
una nuova Umanità, con il necessario aiuto della grazia divina.
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90 5. El dopo il Concilio

La prima è difettosa, ed è quella per cui, a causa del peccato originale,


l'uomo è caduto dallo stato di integrità e soprannaturalità.

La seconda è riparatrice e perfettiva, ed è quella per cui la grazia di Cristo


ripara lo stato originario e lo porta oltre la costituzione originaria.

La terza è quella che completa tutto l'ordine, e grazie alla quale alla fine dei
secoli l'uomo in grazia viene beatificato e glorificato in una suprema
assimilazione della creatura al Creatore (assimilazione che tanto in via Thomae
come in via Scoti è la fine dell'universo).

Non è dunque possibile immaginare una nuova umanità che, pur rimanendo
nell'attuale ordine del mondo, superi la condizione di novità a cui l'uomo è
stato trasferito dalla grazia di Cristo. Tale superamento appartiene all'ordine
della speranza ed è destinato ad avvenire in un momento nuovissimo per tutte
le creature: quando ci sarà una nuova terra e un nuovo cielo.

La Scrittura adotta il verbo creare per grazia in un senso molto conveniente,


perché l'uomo non riceve per grazia un potere o una nuova qualità, ma una
nuova esistenza e qualcosa che riguarda la sua essenza. Come la creazione è
il passaggio dal non essere all'essere naturale, la grazia è il passaggio dal non
essere all'essere soprannaturale, discontinuo rispetto al primo e del tutto
originario, in modo tale da costituire una nuova creatura (II Car. 5, 17) e un
uomo nuovo (Ef 4,1324).

Questa novità, innestata durante la vita terrena nell'essenza dell'anima,


informa tutta la vita mentale e informerà anche la vita corporea nella
metamorfosi finale del mondo. Ma a parte questa novità che conferisce
all'uomo una nuova esistenza, non solo morale, ma ontologica (attraverso un
vero qualcosa di divino che si inserisce nell'io dell'uomo), la religione cattolica
non conosce innovazioni vuote né rigenerazione, né addizione di essere .

Perciò si può concludere che la novi homines del Concilio non va intesa
nel senso forte di un mutamento di essenza, ma nel senso debole di una
grande restaurazione della vita nel corpo della Chiesa e della società umana.
Tuttavia, tale espressione è stata spesso intesa in quel senso stretto e
inammissibile, e ha favorito un'aura di anfibologia e utopia sul postconcilio.

13Sobre esta doctrina, aparte de la Summa theol, I, II, q. 114, a. I, 2 v 4, ver tambi´en
Rosmini, Antropolog´ÿa soprannaturale lib. I, cap. IV, a. 2 (ed. nac., vol. XXVII, p.44)
y Santo Tom´as de Aquino. Comm. in Epist. II ad Cor. V, 17, lect. IV.
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5.7. Impossibilità di variazione radicale nella Chiesa 91

5.7. Impossibilità di variazione radicale nella


Chiesa
Indubbiamente dall'episcopato si levano voci che indicano un mutamento
fondamentale. È come se la crisi della Chiesa non fosse una sofferenza da
sopportare per salvarla, ma piuttosto una sofferenza che un altro essere
genera. Secondo il card. Marty Arcivescovo di Parigi, la novità consiste in
un'opzione fondamentale per cui la Chiesa è uscita da se stessa per annunciare
il messaggio e farsi missionaria. Mons. Matagrin, vescovo di Grenoble, non è
meno esplicito e parla della rivoluzione copernicana, attraverso la quale (la
Chiesa) ha decentrato se stessa, le sue istituzioni, per concentrarsi solo su
Dio e sugli uomini (ICI, n. 58, p. 30, 15 aprile 1983). Ora, incentrarsi su due
centri (Dio e uomo) può essere una formula verbale, ma non è qualcosa di
concepibile.
La cosiddetta opzione fondamentale (cioè l'opzione per un'altra fondazione)
è cattolico assurdo.
Primo, perché proporre che la Chiesa lasci la Chiesa significa che lo è
strettamente un'apostasia.
Secondo, perché come 1 Cor. 3, 11, nessuno può porre un fondamento
14
diverso da quello già posto, che è Gesù Cristo .
Terzo, perché non è possibile rifiutare la Chiesa nel suo essere storico
(che nella sua continuità fu apostolica, costantiniana, gregoriana o tridentina )
e allo stesso tempo avere come programma il salto dei secoli, come confessa
P. Congar: l'idea è saltare quindici secoli.
Quarto, perché la proiezione missionaria della Chiesa nel mondo non può ´
essere confusa con una proiezione della Chiesa fuori di sé. Questa consiste
nel passare dal proprio essere al proprio non essere, mentre l'altra consiste
nell'espansione e propagazione del proprio essere verso il mondo. D'altra
parte, è storicamente incongruo caratterizzare la Chiesa contemporanea, che
non converte più nessuno, come missionaria, e negare tale carattere a quella
che in tempi a noi vicini convertì Gemelli, Papini, Psichari, Claudel, P'eguy ,
eccetera. Per non parlare, ovviamente, delle missioni di propaganda fide,
fiorenti e gloriose fino a poco tempo fa. P. Congar sostiene che la Chiesa di
Pio IX e Pio XII è giunta al capolinea, come se fosse cattolico parlare della
Chiesa di questo o quel Pontefice, o della Chiesa del Vaticano II, invece di
parlare dell'universale e Chiesa eterna nel Vaticano II. Mons. Polge, Arcivescovo
di Avignone, in OR del 3 settembre 1976, dice con tutte le sue lettere che la
Chiesa del Vaticano II è nuova e che lo Spirito Santo non

14In un altro luogo dice che il fondamento sono gli Apostoli, ma guarda che santo
Tommaso nel commento a questo brano.
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92 5. El dopo il Concilio

cessa di farla uscire dall'immobilità; la novità sta in una nuova definizione di


sé, nella scoperta della sua nuova essenza; e la nuova essenza consiste
nell'aver ricominciato ad amare il mondo, ad aprirsi ad esso, a dialogare tra
loro.
Questa persuasione di innovazione avvenuta nella Chiesa e che si
manifesta nella sua trasformazione universale (dalle idee alle cose e ai nomi
delle cose) si è manifestata anche nel continuo riferimento alla fede del
Concilio Vaticano II, abbandonando il riferimento alla fede una e cattolica, che
15 .
è la fede di tutti i Concili, e con non meno
evidenza si manifestò anche nell'appello di Paolo VI all'obbedienza dovuta
a lui e al Concilio, più che ai suoi predecessori e al tutta la Chiesa. Non mi è
nascosto che la fede di un successivo Concilio è la fede di tutti i precedenti e
li unifica tutti. Non bisogna però individuare e isolare ciò che è un tutto, né
dimenticare che se la Chiesa è una nello spazio, lo è ancora di più nel tempo:
è l'individualità sociale di Cristo nella storia.

Si può dire in conclusione (ma solo con la relativa esattezza di tutte le


analogie storiche) che la situazione della Chiesa nel nostro secolo è l'opposto
di quella in cui si trovò nel Concilio di Costanza: allora vi furono diversi Papi
e un un'unica Chiesa, oggi invece c'è un solo Papa e più Chiese (quella del
Concilio e quelle del passato, epocali e non autorizzate).

5.8. Maggiori informazioni sull'impossibilità di una renna


vacanza radicale
L'idea di una variazione radicale, proposta con ogni sorta di metafore e
frasi circensi (in cui, probabilmente per un vizio stilistico, si dice ciò che non
si vuole dire), è naturalmente legata all'idea della creazione di una nuova
Chiesa.
Ignota la continuità dell'evoluzione ecclesiale (fondata su un basamento

15La riduzione della Chiesa al Vaticano II (cioè la contestuale negazione della


storicità e sovrastoricità della Chiesa) è l'idea che ispira interi movimenti
postconciliari. Al convegno di studi su Comunione e Liberazione (Roma, ottobre
1982) è stato giustamente evidenziato il carattere escatologico della Chiesa, ma
l'opposizione tra quel caratterista e la tendenza degli innovatori a celebrare le
aspirazioni mondane dell'uomo; quando (secondo quanto si è detto) sale verso il
Cielo, rimbalza in Cielo ritornando alle sue fatiche terrene. L'intero Congresso è
stato fondato sull'idea che il compito del cattolico oggi è la realizzazione del
Concilio (OR, 4-5 ottobre 1982).
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5.8. Ancora sull'impossibilità di un rinnovamento radicale 93

immobile), la vita della Chiesa appare necessariamente come un incessante processo


di creazione ed ex nihilo. All'incontro ecclesiale italiano del 1976, mons. Dice
Giuseppe Franceschi, arcivescovo di Ferrara, in una delle prolusioni: Il vero problema
è inventare il presente e trovare in esso le vie di sviluppo di un futuro che appartiene
all'uomo. Ma inventare il presente è un composto di parole che non ha un senso
ragionevole; E se il presente è inventato, che bisogno c'è di trovare in esso le vie di
sviluppo del futuro?: basta inventare anche il futuro. La creazione non ha budget né
linee di sviluppo: ex nihilo fit quidlibet.

Trattare con rigore grammaticale e logico simili affermazioni circiteriane non


produce alcuna utilità per la risoluzione della questione: consente solo di riconoscere
il circiterismo generale dell'episcopato. Abbiamo già accennato all'impossibilità di
novità nella fondazione della Chiesa e di un risveglio della Chiesa che soppianti una
fondazione con un'altra. L'uomo è rinato nel battesimo e la sua rinascita esclude una
terza nascita, che sarebbe un epifenomeno della precedente e una mostruosità.
Antonio Rosmini la chiama formalmente eresia. Il cristiano rinasce e solo per lui
rinasce la Chiesa; e come non c'è altro grado di vita che non sia escatologico per il
cristiano, così non c'è altro grado di vita che non sia escatologico per la Chiesa. È
stato anche dimostrato storicamente che nella Chiesa non possono esserci mutazioni
della base, ma16solo sulla base. Tutte le riforme che sono avvenute nella Chiesa sono
state realizzate su un vecchio fondamento, senza cercare di crearne uno nuovo.
Tentarlo è il sintomo essenziale dell'eresia, dagli gnostici dei primi secoli a quelli dei
catari o del pauperismo in epoca medievale, o la gigantesca eresia della Germania.

Mi fermerò a due casi.


Savonarola operò nel popolo fiorentino una potente elevazione dello spirito
religioso che ruppe con la corruzione del secolo. Non rompeva però con la vita
quotidiana dei cittadini, né con le bellezze dell'arte, né con la cultura intellettuale. Il
movimento da lui avviato fu certamente profondo ed esteso, ma anche sollevandosi
contro il Romano Pontefice, il frate ebbe ben chiara la consapevolezza di non
promuovere una novità radicale o un saltus in aliud genus nella religione. La radice è
quella che è, e le fondamenta sono già state gettate. Le parole della sua predicazione
su Rut e Michea sono decisive: dico che ci sono cose da rinnovare. Ma non cambierà
la fede, né il credo, né la legge evangelica, né il potere ecclesiastico.Una situazione
17 .
simile si verificò all'inizio del XVII secolo come con

16 ANTONIO ROSMINI Risposta ad Augustine Theiner, Parte I Capitolo 2 ed. nato volume 42,
pagina 12
17Ed. nac., vol. I, Roma 1955, p. 188.
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94 5. El dopo il Concilio

sequenza di scoperte nelle scienze naturali, quando uomini di Chiesa troppo


aperti alla conoscenza del tempo ritenevano sussistesse un legame incongruo
tra fede e filosofia. Poteva allora sembrare ad alcuni che il profondo
cambiamento nella concezione dell'universo fisico implicasse una radicale
trasformazione dell'uomo e un rifiuto della certezza religiosa, con un'incipiente
desacralizzazione del mondo. Ma questa interpretazione catastrofica del
cambiamento culturale fu smentita dagli stessi autori del cambiamento
(Galileo, padre Castelli, Campanella) e da coloro che seppero mantenere la
separazione tra filosofia e teologia: il vero frutto di quel conflitto è la riduzione
teologia alla sua teologia.
Campanella estraeva dalle novità astronomiche, dalle anomalie celesti
(come credeva), e dalla scoperta di nuove terre e di nuove nazioni, argomenti
per una riforma universale del sapere e della vita, mantenendo però il
rinnovamento nell'orbita del cattolicesimo, o addirittura nell'ambito ambito
della Chiesa del Papa a Roma.
E Galileo rivolgeva il seguente monito a coloro che credevano, come
Bertold Brecht moderno nel suo dramma La vita di Galileo (1937), che la
rivoluzione astronomica iniziasse una rivoluzione della vita nel suo insieme:
A coloro che si scandalizzano di dover cambiare il tutto filosofia, mostrerò
come non è così, e che la stessa dottrina si mantiene sull'anima, sulla
18 .
generazione, sulle meteore, sugli animali
Le grandi riforme del sapere e della religione non rinnegano il fondamento
dell'uomo, ma professano l'esistenza di qualcosa che resiste al mutamento,
appoggiandosi sul quale l'uomo costruisce la nuova autenticità del proprio
momento storico.
I teologi del Centre des pastorales des sacrements, l'organo episcopale
di Francia, scrivono: La Chiesa non può essere segno universale di salvezza
se non a condizione di morire a se stessa; di accettare che istituzioni che
hanno dimostrato il loro valore diventino obsolete; vedere una formulazione
dottrinale modificata, e stabilire che quando c'è conflitto tra le persone e la
19 .
fede, è la fede che deve cedere.In questo
passo sta in teoria l'affermazione del cambiamento catastrofico che (data
l'ufficialità del suddetto Centro) anche incide sull'insegnamento della Chiesa
e rivela un male che non appartiene solo alla categoria della licenziosità e
della stravaganza dottrinale di un individuo.
Sembra quindi superfluo rivendicare la diagnosi della crisi della Chiesa

18ed. nac., vol. VII, Firenze 1933, p. 541.


19Op´usculo Di cui Dio sono segno i sacramenti, ed. Centro Jean Bart, sl, 1975, pp.
14-15. Mons. CADOTSCH, segretario della Conferencia episcopal helv´etica, ha dichiarato
tambi´en in Das neue Volk, 1980, n. 31, que la Iglesia est´a experimentando una mutaci
´on, e que hoy la teolog´ÿa es cr´ÿtico-interrogativa (ÿÿkritisclifiagendeÿÿ)
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5.9. La denigrazione della Chiesa storica 95

se fatta da chi non ne fa parte, coincidente nel considerarla


la Chiesa ha scelto nella sua tradizione alcuni aspetti in cui situarli
prima fila e altri per modificarli radicalmente, essendo coerenti con il
mondo moderno . 20 Questa composizione richiede una dislocazione verso
l'immanenza che il Concilio Vaticano II avrebbe favorito, seppure involontariamente, attraverso
una tendenza ad abolire la legge in favore dell'amore, della logica in favore di
il pneumatico, dell'individuo a favore del collettivo, dell'autorità in
vantaggio dell'indipendenza, del Consiglio stesso a vantaggio dello spirito
del Concilio 21 .

5.9. La denigrazione della Chiesa storica


L'attuale fenomeno di denigrazione del passato della Chiesa ad opera del
clero e laicato suppone un vivace contrasto con l'atteggiamento di forza e di
coraggio che il cattolicesimo ebbe nell'ultimo secolo di fronte ai suoi avversari.
L'esistenza di avversari e persino nemici del
Chiesa, ei Cattolici esercitarono nello stesso tempo la guerra contro l'errore
e la carità verso il nemico. E dove la verità impediva la difesa di deficienze
troppo umane, la riverenza ordinava di coprire quelle vergogne,
come Sem e Iafet con Noè, loro padre.
Ma subito la novità radicale e la conseguente
rottura della sua continuità storica, diminuito il rispetto e la venerazione per la
storia della Chiesa, sostituiti da movimenti di censura
e il rifiuto del passato.
Il rispetto e la riverenza, infatti, nascono da un sentimento di dipendenza
nei confronti di chi è in qualche modo il nostro principio: l'essere, come il
genitori e la Patria, o di qualche vantaggio nell'essere, come gli insegnanti.
Questi sentimenti implicano la consapevolezza della continuità tra chi rispetta e chi
è rispettato, quindi quelle cose che veneriamo sono qualcosa di noi
stessi e sotto qualche aspetto a loro dobbiamo il nostro essere. Ma se la Chiesa
deve morire a se stessa e rompere con la sua storia, e ne deve emergere una nuova.
creatura, è evidente che il passato non va recuperato e ravvivato, ma rifiutato e
ripudiato, cessando di essere considerato con rispetto e riverenza.
Le stesse parole di rispetto e riverenza includono l'idea di guardare indietro,

20N. ABBAGNANO Il giornale nuovo, 7 de julio de 1977.


21 È il parere, ad esempio, di PP DE LOCHT in ICI, n. 518, 15 settembre
1977, pag. 5, y del P. COMAO, OP, sulla televisione svizzera romanda, el 8 de septiembre
1977: È proprio la Chiesa che è cambiata molto profondamente, e in particolare
perché è arrivata ad accettare ciò che è accaduto in Europa dopo la fine del secolo
XVIII.
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96 5. El dopo il Concilio

che non ha più senso in una Chiesa proiettata nel futuro e per la quale la
distruzione dei suoi antecedenti appare come condizione della sua rinascita.
Già al Concilio si erano manifestati i sintomi di una certa pusillanimità nella
difesa del passato della Chiesa, vizio contrario alla costantia pagana e alla
fortezza cristiana; ma la sindrome si sviluppò rapidamente in seguito. Non
entro nella storiografia dei novatori su Lutero, le Crociate, l'Inquisizione o San
Francesco. I grandi Santi del cattolicesimo sono ridotti ad essere precursori
di novità oa nulla. Ma mi soffermo sulla denigrazione della Chiesa e sulla lode
di chi ne è fuori.
La denigrazione della Chiesa è un luogo comune nei discorsi del clero
postconciliare. A causa di circhi mentali, combinati con l'adattamento alle
opinioni del secolo, si dimentica che il dovere della verità non deve essere
adempiuto solo con l'avversario, ma anche con se stessi; e che non è
necessario essere ingiusti con se stessi per essere giusti con gli altri.
Il vescovo francese mons. Ancel attribuisce gli errori del mondo alle
deficienze della Chiesa, perché noi forniamo solo risposte insufficienti a
22 .
problemi reali.
Prima di tutto bisognerebbe precisare a chi si riferisce il pronome: a noi, i
cattolici? a noi, la Chiesa? a noi pastori? In secondo luogo, per il pensiero
cattolico è falso che gli errori nascano per difetto di soluzioni soddisfacenti,
perché coesistono sempre con i problemi e le vere soluzioni (che la Chiesa,
riguardo alle cose essenziali al destino morale dell'uomo, possiede e
perpetuamente insegna).
Ed è strano che chi dice che l'errore è necessario per la ricerca della
verità, poi dica chiassosamente che la ricerca della verità è ostacolata
dall'errore. L'errore ha anche un'autonoma responsabilità che non va attribuita
a chi non è in errore.
Pierre Pierrard ripudia tutte le polemiche sostenute dai cattolici nel XIX
secolo contro l'anticlericalismo; scrive direttamente che il motto Le cl
´ericalisme, voil´a l´´ennemi (allora considerato infernale) è ormai fatto proprio
dai sacerdoti, considerando quel passato della Chiesa come negazione del
23 .
Vangelo
Il francescano Nazzareno Fabretti (Gazzetta del popolo, 23 gennaio 1970),
parlando con molti circuitismi teologici del celibato ecclesiastico, carica di
un'accusa criminale l'intera storia della Chiesa: scrive che la verginità, il
celibato e i sacrifici della carne, poiché sono stati imposti per secoli unicamente
dall'autorità e senza altra persuasione e oggettiva possibilità di scelta a milioni
di seminaristi e

22Pastore BOEGNER, L'exigence oecumenique, Parigi 1968, p. 291.


23Il prete oggi, Parigi 1968.
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5.10. Critica della denigrazione della Chiesa 97

sacerdoti, rappresentano una delle più grandi piaghe che la storia ricordi.
Il vescovo Giuseppe Martinoli di Lugano sostiene che la religione è
responsabile del marxismo, e che se i cattolici avessero agito diversamente,
24
il socialismo ateo non sarebbe arrivato. E aggiunge in un'altra occasione
che la religione cristiana si presenta con un volto nuovo: non è più fatta di
piccole pratiche, di esternazioni, di grandi feste e di tanto rumore: la religione
25
cristiana consiste essenzialmente nel rapporto con Gesù Cristo
Mons. Jacques Leclercq sostiene che i responsabili della defezione di
le messe sono i sacerdoti che le hanno battezzate 26 .
Infine il card. Garrone, in OR del 12 luglio 1979, afferma: Se il mondo
moderno si è scristianizzato, non è perché rifiuta Cristo, ma perché non
glielo abbiamo dato. Nel Convegno ecclesiale italiano del 1976 la conclusione
del prof. Bolgiani (principale relatore) sul recente passato della Chiesa in
Italia è stato del tutto negativo: inutilità dell'episcopato, impegno al potere
politico, ostinata opposizione a ogni rinnovamento, ecc.
(OR, 3-4 novembre 1976). La carta. L´eger, arcivescovo di Montreal, in
un'intervista a ICI, n. 287 (1 maggio 1967), arrivò addirittura ad affermare che
se la pratica religiosa diminuisce, non è segno che la fede sia perduta,
perché, a mio modesto avviso, non ce n'è mai stata una (intendo una
personale fede). Secondo il cardinale, in passato non c'era vera fede nelle
città cristiane. Più avanti chiariremo il falso concetto di fede che sta alla
base di queste affermazioni. Scrive infine S. Barreau, autore del libro La
reconnaissance ou qu´est ce que la foi: Da parte mia, credo che dopo il XIII
secolo vi sia stata poca evangelizzazione nella Chiesa (ICI, n. 309, 1 aprile , 1968).

5.10. Critica della denigrazione della Chiesa


Questa tesi accusatoria (che sostituisce l'apologetica o almeno le accuse
della tradizione cattolica) è soprattutto superficiale, perché suppone che la
causa dell'errore di un uomo si trovi in modo decisivo ed efficace nell'errore
di altri uomini. Contiene una velata negazione del libero arbitrio e delle
responsabilità personali.
E' anche sbagliato, perché coloro ai quali si attribuisce l'errore degli altri
sarebbero gli unici protagonisti della storia, trasformando tutti gli altri in
deuteragonisti, o meglio in semplici oggetti per loro.
Infine, è irreligiosa e dà luogo a una conseguenza che contrasta con le
verità teleologiche e teologiche. Infatti, applicando questo criterio

24Giornale del Popolo, Lugano, 6 luglio 1969.


25Giornale
´ del Popolo, 6 settembre 1971.
26Dove va oggi la Chiesa , Tournai, 1969.
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98 5. El dopo il Concilio

Il processo accusatorio finisce per attribuire a Cristo stesso la responsabilità del


rifiuto che gli uomini gli hanno opposto, rimproverandolo di non essersi manifestato.
bene e sufficientemente, e di non aver fugato del tutto il dubbio in merito
della sua divinità: insomma, se non avesse compiuto il suo dovere di Salvatore della
mondo.
Dalla Chiesa l'accusa rimbalza su Cristo, dall'individuo sociale all'individuo
singolare che ne è il Fondatore. La verità è che il successo della Chiesa
non è un evento della storia, ma della religione e della fede; e non
si può contemplare l'azione della Chiesa, essenzialmente spirituale e ultramondana
(anche temporanea), come se per essa valessero le leggi
di un'impresa pienamente umana.
La tesi accusatoria risente della superficialità teologica degli innovatori, che
avendo epocato completamente il dogma della predestinazione
non riescono più a cogliere la profondità della libertà umana (alla quale
contraddittoriamente dipende dalla libertà degli altri) né dalla profondità
del mistero della redenzione. Giovanni Paolo II, nel messaggio di Natale del 1981
(OR, 26-27 dicembre 1981) ha ben mostrato questa profondità teologica del
mistero cristiano. È vero che il mistero cristiano è la nascita del
uomo-Dio venuto nel mondo, ma lo stesso mistero è che il mondo (anche nella
natività del Salvatore) non lo ha accolto e continua senza accoglierlo.
Il mistero del rifiuto del Verbo costituisce il mistero profondo della religione, e
suppone una grande aridità religiosa andare a cercarne la causa nel
colpe della Chiesa.
Cristo, prefigurazione in Is. 5, 4 y ricordo in el ammirevole ufficio di
la sesta fiera del Venerdì Santo, interroga il genere umano: Quid est, quod
27
Avrei dovuto fare di più e non l'ho fatto? Ma i moderni sembrano rispondere: Ultra,
Avresti dovuto fare di più e non l'hai fatto. A la lamentaci´on de Cristo ellos respon
28
den: sei stato pesato sulla bilancia e sei stato trovato che avevi meno (Dan. 5, 27) .
La miracolosa predicazione di Cristo ha lasciato molti increduli,
molti nel peccato, tutti nella propensione al peccato. È rimasto per
questo ha troncato la Redenzione? Gli accusatori della Chiesa non solo ignorano il
psicologia della libertà insieme al suo mistero e la teologia della predestinazione
insieme al suo arcano, ma anche la più alta legge della teodicea, che
riconosce nel progetto della manifestazione di Dio ad extra un fine cioè
ricondurre dalla gloria di Dio all'interno La distinzione semantica tra suggest
29
y persuadere es suficiente para giustificar la historia de la Iglesia

27Che altro dovevo fare per la mia vigna se non farla?


28Sei stato pesato sulla bilancia e sei stato trovato mancante.
29Il primo verbo significa ÿÿproporreÿÿ, il secondo ÿÿimporreÿÿ.
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5.11. Falso senno di poi sulla Chiesa primitiva 99

combinazione di predestinazione divina e libertà umana.

5.11. Falso senno di poi sulla Chiesa primitiva

Un effetto paradossale della denigrazione della Chiesa da parte di questa nuova


30
storiografia è l'esaltazione eccessiva della Chiesa primitiva, di cui si intende
adottare spirito e costumi. La Chiesa primitiva si presenta come una comunità di
perfetti ispirata alla carità e praticante ad amusim dei precetti evangelici.

La verità è, invece, che la Chiesa è stata sempre una massa mista, un campo di
grano e di zizzania, una totalità sincretica di buoni e cattivi. Le testimonianze
partono da San Paolo. Basta ricordare gli abusi dell'agape, le fazioni tra i fedeli, le
defezioni morali, le apostasie di fronte alle persecuzioni.

En tiempo de San Cipriano (III secolo) las masas cristianas precipitaban en la


apostas´ÿa al primer anuncio de la persecuci´a, antes a´un de que comen zase el
peligro real. Alle prime parole minacciose del nemico, il maggior numero dei fratelli
(es decir, la mayor'ÿa) tradì la propria fede. Almeno non hanno aspettato fino a
quando non sono arrivati e sono stati catturati, quindi hanno negato di essere
31 .
interrogati. D'altra parte, correre al mercato, ecc. (Dei caduti, 4-5)
D'altra parte, non appartiene forse ai primi secoli quell'enorme bacino di eresie
e scismi di cui sant'Agostino enumera nel De haeresibus ad Quodvultdeum fino a
ottantasette forme (dalle più ampie e profonde), come l'arrianismo, pelagianesimo
e manicheismo, al locale e stravagante, come Cayanos e Ofitas)? (TAV. 42, 17-50).

L'esaltazione retrospettiva del cristianesimo precostantiniano su cui si fondano


le prospettive di rinnovamento della Chiesa è priva di fondamento storico, poiché
il cristianesimo è sempre la mescolanza figurativa nella parabola della tares.na.
Volberone, abate di San Pantaleone, scrisse addirittura che la Chiesa contiene la
città di Dio e la città del diavolo.

30La denigrazione della Chiesa storica ha avuto poche confutazioni nel periodo postconciliare.
È notevole quanto Mons. VINCENI, Vescovo di Rayona, aveva letto alla Radio Vaticana il 7 marzo
1981 e poi pubblicato nel suo Bollettino Diocesano. Confuta uno per uno gli articoli di diffamazione:
che la Chiesa fosse puramente rituale, che la Bibbia fosse ignorata, che mancasse il significato
liturgico o che la questione sessuale fosse ossessiva. Il presule osserva che questa
contrapposizione tra passato e presente ha qualcosa di infantile, caricaturale e malsano.

31 Immediatamente, alle prime voci di minaccia del nemico, la stragrande maggioranza dei
fratelli tradì la propria fede. Non hanno nemmeno aspettato di essere arrestati, comparire in
tribunale ed essere interrogati. Sono corsi spontaneamente a presentarsi.
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100 5. El dopo il Concilio

32
(creo que erroneamente, porque como ense˜na San Agust´ÿn es el mundo,
y no la Iglesia, el que contiene a las dos ciudades). Tampoco con esto
defende mos la imposibilidad de distinguere una ´epoca de otra: junto al non
giudicare (no juzgu´eis) (Lc 6, 37) se lee non giudicare secondo il volto, ma
33 . Sia le azioni degli individui che quelle delle
giudicare il giusto giudizio (Giovanni 7 , 24)
generazioni sono oggetto di un giudizio così difficile. E il giudizio ha come
criterio l'immobilità della religione, alla quale si conforma in gradi diversi la
mutevolezza degli uomini. Anche in questo il giudizio storico della religione
non differisce, ad esempio, dal giudizio estetico.
Così come le opere d'arte si confrontano con il loro modello, e nella misura
in cui si confrontano con il modello a cui tendono (lo attesta il lavoro
dell'artista, chissà quando è vicino all'ideale e quando no) possono anche in
confronto tra loro, così anche le diverse epoche del cristianesimo sono
comparabili secondo il principio della religione; e calibrati in questo modo
sono anche confrontabili tra loro.
Un periodo di crisi per la Chiesa è quello in cui il suo allontanamento dal
principio arriva fino a metterla in pericolo. Ma non prenderemo come misura
di un momento storico un altro momento storico arbitrariamente privilegiato:
non giudicheremo, ad esempio, lo stato attuale della Chiesa confrontandolo
con la Chiesa medievale, ma le confronteremo tutte con la loro comune
principio soprastorico e immutabile (come si addice all'immutabilità divina).

32PL., 195, 1062.


33Non giudicare secondo le apparenze, ma lascia che il tuo giudizio sia giusto.
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Cap'itulo 6

La Chiesa postconciliare. Paolo


VI

6.1. Santità della Chiesa. Il principio dell'apologetica

Che la Chiesa sia santa è un dogma di fede (incluso nel Simbolo degli
Apostoli), ma la definizione teologica di tale santità è difficile. Non si tratta
qui del concetto di santità canonizzata, certamente diversificata nel corso dei
secoli: la santità dell'Imperatore Sant'Enrico II differisce indubbiamente da
quella di San Giovanni Bosco, e la santità di Santa Giovanna d'Arco da quella
di Santa Teresa di Lisieux . È anche evidente che le virtù eroiche oggetto di
canonizzazione non sono la stessa cosa, e la santità inerente a tutti coloro che
sono in stato di grazia, in quanto tali. Nella Summa theol. III, q.8, a.3 ad
secundum e nel Catechismus ad parochos tridentino (nella sezione sul
Simbolo) si spiega perché il peccato dei battezzati non impedisce la santità
della Chiesa, ma continua ad essere un complesso nozione che solo una
distinzione rigorosa può chiarire. Conviene distinguere bene l'elemento
naturale dall'elemento soprannaturale che dà origine alla nuova creatura,
l'elemento soggettivo dall'oggettivo, l'elemento storico dall'elemento
soprastorico che opera in essa.
In primo luogo, la Chiesa è oggettivamente santa perché è il corpo il cui
capo è l'uomo-Dio. Unita alla sua testa, essa stessa diventa teandrica: in
nessun tipo di corpo può essere concepita l'esistenza di un corpo profano
con una testa santa.
In secondo luogo, è oggettivamente santo perché possiede l'Eucaristia,
che è per essenza il Santissimo e il Santificatore: tutti i sacramenti sono di
derivazione eucaristica.

101
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102 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

In terzo luogo, è santo perché possiede infallibilmente e infallibilmente la


verità rivelata. E in ciò va posto il principio stesso dell'apologetica cattolica: la
Chiesa non può esibire nel suo corso storico una serie irreprensibile di atti
conformi alla legge evangelica, ma può pretendere una ininterrotta predicazione
della verità; la santità della Chiesa va cercata in questo, non in quello. Ecco
perché gli uomini che appartengono alla Chiesa predicano sempre una dottrina
superiore ai loro fatti. Nessuno può predicare se stesso, sempre deficiente e
prevaricatore, ma solo riinsegnare la dottrina insegnata dall'uomo-Dio: anzi,
predicare la persona stessa dell'uomo-Dio. Di conseguenza, la verità è anche un
costitutivo della santità della Chiesa, perennemente legata alla Parola e
perennemente contraria alla corruzione, compresa la propria.

La santità della Chiesa si rivela anche, in un modo che si potrebbe dire


soggettivamente, nella santità dei suoi membri, cioè di tutti coloro che vivono in
grazia come membra vive del Corpo mistico. In modo eminente ed evidente
appare poi nei suoi membri canonizzati, i quali la grazia e le proprie opere
sospingevano verso gradi verticali di virtù.
E ricorderò ancora una volta che questa santità non è scomparsa nemmeno nei
periodi di maggiore corruzione della società cristiana e dell'establishment
clericale: per citare alcuni esempi, nel secolo della depravazione paganizzante
del Papato fiorì Caterina da Bologna ( †1464), Bernardino de Feltre (†1494),
Catherine de los Fiescos (†1510), Francisco de Paula (†1507), o Juana de Valois
(†1503), oltre a molti riformatori come Jerónimo Savonarola (†1498 ).

Tuttavia, queste ragioni e questi fatti non sgombrano il campo per tutte le obiezioni.
Paolo VI ammetteva ai denigratori che la storia della Chiesa stessa ha molte
pagine lunghe che non sono edificanti (OR, 6 giugno 1972), ma distingue troppo
debolmente tra la santità oggettiva della Chiesa e la santità soggettiva dei suoi
membri.
E in un altro discorso usa i seguenti termini: La Chiesa dovrebbe essere
santa, buona, dovrebbe essere proprio come Cristo l'ha pensata e ideata, e
talvolta verifichiamo che non è degna di questo titolo (OR, 28 febbraio 1972).
Dà l'impressione che il Pontefice trasformi una nota oggettiva in una
soggettiva. I cristiani dovrebbero essere santi (e lo sono finché sono in grazia),
ma la Chiesa è santa. Non sono i cristiani che fanno santa la Chiesa, ma la Chiesa
i cristiani. L'affermazione biblica dell'irreprensibile santità della Chiesa non
habentem maculam aut rugam (senza macchia, né ruga, né nulla di simile]) (Ef 5,
27) si addice solo in parte e incipientemente alla Chiesa provvisoria, benché
anch'essa sia santa . Tutti i Padri rimandano a questa assoluta irreprensibilità
non più al suo pellegrinaggio e stato storico, ma alla sua ultima purificazione
escatologica.
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6.2. La cattolicità della Chiesa 103

6.2. La cattolicità della Chiesa


Cattolicesimo nella Chiesa. Obiezione. La Chiesa come principio
di divisione. Paolo VI
Mi sembra essenziale non continuare senza accennare ad un altro aspetto
della denigrazione della Chiesa, perché toccato da Paolo VI il 24 dicembre
1965: La Chiesa, con il suo dogmatismo così esigente, così determinante,
impedisce il libero dialogo e armonia tra gli uomini; è nel mondo più un
principio di divisione che di unione. Ora, come si rendono compatibili con la
loro cattolicità e santità le divisioni, le discordie, le dispute?

Alla difficoltà, il Papa ha risposto che il cattolicesimo è un principio di


distinzione tra gli uomini, ma non di divisione. E la distinzione (dice il Papa) è
come quella implicita nella lingua, nella cultura, nell'arte o nella professione.
E poi, correggendosi: è vero che il cristianesimo può essere motivo di
separazione e di contrasti derivati dal bene che dona all'umanità: la luce
splende nelle tenebre e così diversifica gli spazi dello spazio umano.
Ma non è da lei combattere contro gli uomini, ma per gli uomini.
Il motivo apologetico sembra debole e rischioso. Paragonare la varietà
delle religioni con la varietà delle lingue, delle culture, e anche dei mestieri,
abbassa la religione, che è il valore supremo, al livello dei valori superiori nel
suo genere, ma di genere diverso. E mentre non c'è una vera lingua, nessuna
vera arte, nessuna vera professione, cioè assoluta, esiste tuttavia una religione
vera, cioè assoluta.
Interpretando la divisione come una pura distinzione, il Papa non risolve
l'obiezione sollevata, già intravista nella logica pura: ogni distinzione può
ridurre, ma non eliminare, l'elemento contraddittorio che si trova nelle diverse
cose; questo elemento esclude una perfetta comunanza tra cose diverse e
include sempre qualcosa che separa l'una dall'altra.
Il Pontefice è però passato dall'ordine della fede (con il suo dogmatismo
esigente e qualificante) all'ordine della carità, ossia della libertà: il rispetto di
quanto vi è di vero e di onesto in ogni religione e in ogni opinione umana,
specialmente in il tentativo di promuovere la concordia civile e la collaborazione
in ogni genere di buona attività. Non entro nella questione della libertà religiosa.

Mi basta osservare che in questo passo il principio dell'unità tra gli uomini
non è più la religione, ma la libertà; e che di conseguenza riappare intatta
l'obiezione che il Pontefice intendeva risolvere: quella del cattolicesimo come
principio di divisione. Per produrre unione occorre un principio veramente
unitivo al di là delle divisioni religiose, e questo principio secondo Paolo VI è
la libertà.
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104 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

Forse la soluzione dell'aporia tra l'universalità del cattolicesimo e la sua


determinazione (con la quale si oppone e divide), non va ricercata in un
principio di filosofia naturale, come la libertà o la filantropia, ma in un principio
di teologia soprannaturale. Non si può dimenticare che nel testo sacro Cristo
è annunciato come segno di contraddizione (Lc 2, 34), e che la vita del cristiano
e della Chiesa è descritta come una situazione di lotta. Conviene, però, riferirsi
alla superiore teodicea della predestinazione, che è ab initio usque ad
consumationem mistero di divisione, separazione ed elezione (Mt 25, 31-46).

E questa opposizione, che appartiene all'ordine della giustizia, non


contraddice né la fine dell'universo né la gloria di Dio: il progetto divino non
fallisce perché fallisce il destino particolare di alcuni uomini. È possibile
credere che il primo sia fallito quando il secondo fallisce solo se si confonde
la fine dell'universo con la fine di tutti gli uomini in particolare; o se si dice,
come Gaudium et Spes, che l'uomo è una creatura che Dio ama per sé, e non
per sé; oppure se si cede alla tendenza antropologica della mentalità moderna,
e usando termini teologici, si abbandona la distinzione tra predestinazione
antecedente (che considera l'umanità in solidum) e predestinazione
conseguente (che considera men divisim).

6.3. L'unità della Chiesa postconciliare


Stiamo ripercorrendo gli appunti della Chiesa postconciliare, dovendo di
norma mettere in relazione tutti i fenomeni di crescita con quello che ci sembra
essere il principio del cattolicesimo (l'idea di dipendenza) e tutti i fenomeni di
decrescita con la sua idea opposta (l'indipendenza). Lo spirito di indipendenza
provoca la radicalità dei cambiamenti, e questa radicalità coincide con
l'esigenza di creare un mondo nuovo; infine, l'esigenza creativa dà luogo a
una discontinuità con il passato e alla denigrazione della Chiesa storica. Tocca
a noi ora contemplare gli effetti che lo spirito di indipendenza genera intorno
all'unità della Chiesa.
Nel già citato drammatico discorso del 30 agosto 1973, Paolo VI lamentava
la divisione, la disgregazione che, purtroppo, si riscontra oggi in molti settori
della Chiesa, e dice senza altro che La ricomposizione dell'unità, spirituale e
reale, all'interno la Chiesa stessa, è oggi uno dei problemi più gravi e urgenti
della Chiesa.
La situazione di scisma è tanto più grave in quanto coloro che si separano
affermano di non averlo fatto, e coloro che hanno la responsabilità di dichiarare
che i separati sono separati attendono tuttavia che gli scismatici si confessino
come tali. Il Papa dice che vorrebbero legalizzare, con qualunque cosa
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6.3. L'unità della Chiesa postconciliare 105

presunta tolleranza, il legame ufficiale con la Chiesa stessa, abolendo ogni ipotesi di
scisma, o di autoscomunica.
Nel discorso del 20 novembre 1976, il Papa torna sulla situazione dei figli della
Chiesa che, senza dichiarare la loro rottura canonica ufficiale con la Chiesa, sono
tuttavia in uno stato anormale nei loro rapporti con essa.

Dà l'impressione che queste affermazioni coprano di soggettivismo un fatto che


spetta alla Chiesa stabilire, che il sentimento soggettivo di essere uniti alla Chiesa
non basta perché sussista il fatto dell'unione. D'altra parte, c'è nella Chiesa un organo
con una funzione oggettiva che sa quando l'unità è stata spezzata e deve dichiararlo
quando è necessario, e non limitarsi solo a confermare la dichiarazione di chi si sente
separato. Nell'esprimere il suo grande dolore per questo fenomeno che si sta
diffondendo come un'epidemia negli ambienti culturali della nostra comunità ecclesiale,
ha usato una frase sfuggente e diminutiva, poiché il fenomeno raggiunge anche la
sfera del pericolo. la formazione di gruppi isolati e autosufficienti è consentita dai
vescovi e dalle conferenze episcopali.

Il Papa sostiene che la disunità della Chiesa deriva dal pluralismo: quest'ultimo
dovrebbe essere confinato nell'ambito delle modalità secondo le quali la fede è
formulata, ma è introdotto nell'ambito della sua sostanza; dovrebbe essere confinato
nell'ambito dei teologi, ma viene introdotto in quello dei vescovi, che sono in disaccordo tra loro.
Nello stesso discorso il Papa vede chiaramente anche l'impossibilità per una Chiesa
disunita di realizzare l'unione tra tutti i cristiani e ancor meno tra tutti gli uomini.

Sempre nel discorso del 29 novembre 1973, e riferendosi a coloro che pretendono
di diventare Chiesa (come tendono a dire) solo credendosi Chiesa, Paolo VI fa questo
giudizio mitigatore della situazione scismatica: Alcuni difendono questa posizione
ambigua con ragioni di per sé plausibili, cioè con l'intenzione di correggere alcuni
aspetti umani deplorevoli o dubbi della Chiesa, o con lo scopo di farne avanzare la
cultura e la spiritualità, o per farla adeguare alle trasformazioni dei tempi ; danneggiano,
anzi spezzano quella comunione, non solo “istituzionale”, ma anche spirituale, alla
quale desiderano restare uniti.

È curiosa in questo brano di Paolo VI l'identificazione del ragionamento plausibile


con l'intenzione di emendare la Chiesa; Sembra come se le intenzioni potessero
rettificare il falso ragionamento di coloro che affermano di essere nella Chiesa
indipendentemente dalla Chiesa, e come se qualsiasi diserzione dall'unità ecclesiale
dovesse essere accettata e convalidata dai disertori per produrre un vero scisma nella
Chiesa. Non è un atteggiamento storicamente frequente in conflitti di questo genere
che chi si separa nega di essersi separato e afferma piuttosto di essere più unito alla
Chiesa che alla Chiesa?
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106 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

stessa? Lo scismatico non pretende forse di appartenere alla vera Chiesa, dalla quale
la Chiesa cattolica è in qualche modo separata?

6.4. La Chiesa disunita dalla gerarchia


Il carattere dell'unità rocciosa della Chiesa, lodata o criticata, è stato sostituito
nella Chiesa postconciliare dalla disunione, ugualmente lodata o criticata. Della
mancanza di unità nella dottrina della fede ci occuperemo più avanti. Qui ci riferiamo
ai fatti che dimostrano la disunione nella gerarchia.

Il vescovo Gijsen di Roermond, riferendosi al pluralismo della Chiesa olandese,


dichiara che un accordo al suo interno è impossibile quando questo accordo significa
che alcuni vogliono aderire a una Chiesa e altri a un'altra. Sarebbe (dice) accordo tra le
Chiese, e non all'interno della Chiesa. E alla domanda se la divergenza tra i vescovi
olandesi fosse così grande da parlare di Chiese diverse, ha risposto che certamente,
spiegando come i suoi fratelli nell'episcopato olandese vogliano che la Chiesa romana
sia una Chiesa uguale a quella olandese: cioè loro negare il dogma cattolico del primato
di Pietro e dei suoi successori. La diagnosi del vescovo cattolico risponde punto per
1
punto a quella della comunità evangelica: in realtà non siamo più di fronte a un
cattolicesimo, ma a vari tipi di cattolicesimo
2 .
Il senso di queste testimonianze sulla discordia interna del cattolicesimo diventerà
più evidente se si rifletterà su come la solida concordia della Chiesa romana si sia
sempre opposta, da abbracciare o da criticare, alla pluralità del protestantesimo. La
frammentazione che il principio dello spirito privato generava nel protestantesimo fu
fino al Concilio un luogo comune dell'apologetica cattolica.

Un vero pluralismo episcopale deriva da pronunciamenti opposti sullo stesso


punto. Ad esempio, nel 1974 i postulati del sinodo di Würzburg riguardanti l'accesso ai
sacramenti per i divorziati bigami e la partecipazione degli acattolici all'Eucaristia
furono respinti dall'episcopato tedesco, ma identicamente proposti dal sinodo elvetico
e approvati dal suo episcopato.

Inoltre, all'interno della stessa conferenza episcopale, qualsiasi membro può


compiere atti di dissenso e di separazione. È la conseguenza del regime collegiale,
che deliberando a maggioranza sconfessa i vescovi della minoranza, senza però
precisare il grado di somma

1Giornale del popolo, 28 ottobre 1972.


2La voce evangelica, settembre 1971, organo della comunità evangelica di lingua spagnola
italiano in Svizzera.
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6.4. La Chiesa disunita dalla gerarchia 107

issione dovuta né da dove derivi l'obbligo di presentazione. Da un lato,


ogni vescovo è autorizzato, mentre un altro può giudicare di no
non solo alla propria Conferenza, ma a tutti gli altri vescovi ea tutti
3
le altre Conferenze .
Mons. Riob´e, Vescovo di Orl´eans, aderì apertamente nel 1974 alla difesa dei
cappellani catecumenali francesi, che erano stati espressamente
respinto dalla Conferenza episcopale e dal card. Marty (ICI, n. 537,
1979, pag. 49).
Per la concessione del card. D'opfner la Basilica di San Bonifacio a Monaco di Baviera
per rappresentare l'Ave Eva oder dei Fall Maria (opera offensiva per la Vergine),
ricevette critiche pubbliche e le proteste di mons. Graber, Vescovo di
Ratisbona.
L'arcivescovo Arceo, vescovo di Cuernavaca, è stato disapprovato dalla Conferenza
Vescovile del Messico per aver sostenuto che il marxismo ne è una componente
necessarie del cristianesimo (Dei Fels, agosto 1978, p. 252).
Il vescovo Simonis di Rotterdam ha lasciato la sessione del terzo colloquio
pastorale olandese, a cui i suoi fratelli hanno continuato a partecipare e hanno
acconsentito alle proposte di ordinare donne e uomini sposati (Das neue
Volk, 1978, n. 47).
Mons. Gijsen, obispo de Roermond, separ'o de modo efectivo del resto
dell'episcopato olandese, istituendo un proprio seminario e rifiutando il
nuova pedagogia per la formazione del clero.
Dopo che l'arcivescovo Simonis ha dichiarato errata l'affermazione secondo cui la
Chiesa cattolica è semplicemente una parte della Chiesa, è stato contraddetto dall'arcivescovo Ernst,
Vescovo di Bre Mons. Groot ha affermato che la dottrina del vescovo Simonis è
francamente in contrasto con gli insegnamenti del Vaticano II (ICI, n. 449, 1974, p.
27).
Nei rapporti con la politica lo sono i vescovi della stessa nazione
spesso discordante. Nelle elezioni presidenziali del Messico nel 1982 il
la maggioranza ha raccomandato di votare per un candidato, mentre una forte minoranza
era sostenitrice di un politico opposto (ICI, n. 577, 15 agosto 1982, p. 53).
Il contrasto tra i vescovi francesi e italiani è significativo
sul comunismo. Gli italiani stabilirono l'incompatibilità tra
Essere cristiano e aderire al marxismo ateo: libertà di scelta nelle cose
la politica è limitata da questa oggettiva incompatibilità. Anzi,
Nella loro conferenza del 1975, i vescovi francesi ritirarono a tutti la missione
gruppi giovanili e di azione cattolica e operaia e decidono di liberare il

3Il vescovo di Coira, mons. VONDERACH, in una lettera datata 10 aprile 1981, no
esitava ad ammettere: come vescovo isolato, sono impotente. La lettera appartiene alla
mia corrispondenza.
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108 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

movimenti per fare le scelte politiche che vogliono.


In particolare le organizzazioni sociali cattoliche vengono sciolte perché
nessun movimento potrà mai esprimere in sé la pienezza della testimonianza
cristiana evangelica (ICI n. 492, 1975, p. 7). Oltre alla discrepanza dottrinale
4
tra i due episcopati, sono rilevanti le ragioni addotte dai francesi. Presumono
che tutte le forme di testimonianza siano specie equivalenti dello stesso
genere e che non ci siano specie opposte di quel genere. Per inciso, accusano
la Chiesa di defezionibilità (perché ha bisogno del marxismo per dare una
testimonianza integrale), e propugnano un sincretismo nella sfera sociale in
cui le opposizioni di idee sarebbero completamente obliterate e distrutte.

6.5. Disunità nella Chiesa attorno


all'Humanae Vitae
La famosa enciclica Humanae vitae del 25 luglio 1968 ha dato luogo alla
manifestazione più diffusa, importante e per certi versi insolente del dissenso
interno alla Chiesa. Documenti al riguardo sono stati pubblicati da quasi tutte
le conferenze episcopali: alcune concordi, altre contrarie.
La comparsa di documenti episcopali in occasione degli insegnamenti o
delle decisioni del Papa non è una novità nella Chiesa; basti ricordare quante
lettere di vescovi ai loro diocesani videro la luce durante il pontificato di Pio
IX. La novità è che tali lettere non esprimono un giudizio consensuale, bensì
un giudizio di riesame, come se fosse venuto meno il principio che Prima
Sedes a nemine iudicatur.
Nessuno ignora quanto viva sia stata l'opposizione, nella sostanza o nella
sua tempistica storica, al dogma dell'infallibilità, né come si sia manifestata
sia nella controversia storico-teologica che nei dibattiti del Vaticano I. Ad
esempio, il tedesco i vescovi non erano d'accordo sulle opere di D¨ollinger,
condannato da mons. Ketteler, vescovo di Magonza, ma ammesso da altri
vescovi. Tuttavia, quando il dogma fu definito, nel giro di pochi mesi (tranne
Strossmayer, che lo ritardò fino al 1881) vi aderirono tutti i suoi oppositori. Le
definizioni pontificie non solo fissavano i termini (fini) della verità contestata,
ma ponevano anche fine alla disputa, poiché era assurdo che la dottrina della
Chiesa fosse in regime di referendum perpetuo. Tuttavia, avendo stabilito il

4Anche l'episcopato italiano era disunito; ad esempio mons. Borromeo,


vescovo di Pesaro, e la rivista Renovatio (ispirata dal card. Siri), entrarono in
contrasto con il card. Pellegrino intorno ai rapporti tra Chiesa e Stato (ICI, n. 279,
1967, p. 33).
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6.5. Desuni´on de la Iglesia en torno a Humane Life 109

Concilio Vaticano II il principio della collegialità in natura (e in generale della


corresponsabilità di tutti in tutto), l'enciclica di Paolo VI divenne un
testo suscettibile di diverse letture, secondo l'ermeneutica trattata nel §5.4.
E non solo i vescovi, ma i teologi, i consigli pastorali, i sinodi
nazionali, la totalità degli uomini (credenti o non credenti), entrati
discutere l'insegnamento del Papa e censurarlo.
Non citerò le innumerevoli pubblicazioni sull'enciclica, limitandomi al
dissenso episcopale. Certamente, pronunciandosi come ha fatto (contro la
maggioranza degli esperti pontifici, contro il consenso di
i teologi, contro la mentalità del secolo, contro l'aspettativa scatenata da
dichiarazioni autorizzate e dal loro stesso comportamento, contro
5
-alcuni dicono- la stessa opinione da lui tenuta come doctor privatus) ,
Paolo VI compì l'atto più importante del suo pontificato. E non solo perché
l'identità antica e perenne è stata riaffermata nella sua identità essenziale
dottrina fondata su verità naturali e soprannaturali, ma perché il
sentenza papale, cadendo sul dissenso interno della Chiesa e ponendolo
sotto una chiara luce, si trattava di un atto di autorità pontificia didattica
esercitata manifestamente ex sese, non autem ex consensus Ecclesiae (per usare il
t´erminos del Vaticano I).
Il dissenso fu grave, ampio e pubblico, evidente nei documenti episcopali
e in migliaia di pubblicazioni il cui contenuto consisteva nel modo di leggere
e applicano l'enciclica, ma di fatto le danno il significato che preferiscono.
L'enciclica è stata contestata e alterata da società di riviste religiose
per il grande pubblico. Una menzione particolare merita la deformazione effettuata in
interventi e scritti dell'autorevole Giacomo Perico, SI In Arnica, grande
settimanale con una tiratura di settecentomila copie, scritto il 12 di
Agosto 1969: Non è esatto parlare in senso assoluto di nuovi orientamenti. Al
contrario, si può dire che alcuni uomini di Chiesa abbiano ceduto
le passate interpretazioni eccessivamente restrittive della morale coniugale. Ah
stato un errore.
Qui i ruoli si invertono: non si trattava di alcuni uomini di Chiesa, ma del
Chiesa, tutti i Papi compreso Paolo VI, e tutta la Tradizione, che hanno
confermato la sentenza restrittiva. Alcuni uomini di Chiesa che hanno tenuto
altrimenti venivano condannati. Padre Perico ha continuato con questo travisamento.
de Humanae Vitae en cursos de update para el clero y en el Giornale
del popolo del 22 marzo 1972. La sua opinione fu da me discussa in due
Articoli dello stesso quotidiano, dell'8 aprile e del 29 aprile. Mentre festeggia

5Qui dovremmo entrare nel problema riferito all'arcano più inquietante di Pietro:
Può lui, come Papa, condannare contro le proprie convinzioni? In cosa consiste questa
dualità di persone? E qual è il ruolo del confessore del Papa, che è il giudice della sua coscienza?
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110 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

do gesuita, la norma sull'uso dei contraccettivi contenuta nell'enciclica è


precisa: i coniugi non dovrebbero mai ricorrere a tecniche contraccettive. No:
l'enciclica insegna che non dovrebbero. Sostituendo l'imperativo che il Papa
usa al condizionale, l'enciclica si trasforma.
Le obiezioni all'enciclica si riferiscono o all'autorità della promulgazione
pontificia, o alla sua dottrina. La carta. D¨opfner, arcivescovo di Monaco e
difensore dei contraccettivi, dichiara: Ora contatterò gli altri vescovi per
studiare come offrire aiuto ai fedeli (Corriere della sera, 30 luglio 1968). Dà
l'impressione che per l'arcivescovo i fedeli debbano essere aiutati contro
l'enciclica, e che questo sia un atto di ostilità verso il genere umano.

La reazione è stata dura negli Stati Uniti, dove pare che anticipando
ingannevolmente la decisione del Papa, i vescovi abbiano avviato un
programma di assistenza contraccettiva. Contraddicendo il proprio vescovo
(card. O'Boyle), l'Università Cattolica di Washington, in una dichiarazione
sostenuta da duecento teologi, non solo respinge la dottrina, ma contesta
anche l'autorità papale per aver respinto l'opinione della maggioranza e non
aver consultato il collegio episcopale (ICI, n. 317-318, 1968, suppl., p. XIX).
L'episcopato tedesco, generalmente pro-contraccettivo, aderì
all'insegnamento di Paolo VI; ma argomentando con il carattere non infallibile
del documento, concede ai fedeli la possibilità di dissentire in teoria e in
pratica e li rimette in ultima analisi alla luce individuale della loro coscienza, a
condizione che chi dissente chieda in coscienza se può consentire tale
6
dissentire in modo responsabile davanti a Dio. Secondo i vescovi tedeschi, la
loro opposizione non significa un rifiuto fondamentale dell'autorità papale;
forse non significa il rifiuto del fondamento dell'autorità, ma certamente i suoi
atti concreti. Ma del conflitto nella Chiesa di Germania ci fu una clamorosa
manifestazione al Katholikentag di Essen nel settembre 1968: l'assemblea
discusse e votò a stragrande maggioranza (cinquemila contro novanta) una
risoluzione per la revisione dell'enciclica, alla presenza del legato pontificio
(card. Gustavo Testa) e dell'intero episcopato nazionale, e tra le voci che
chiedevano le dimissioni del pontefice.
L'OR del 9 settembre ha risposto a un così grave atto di ribellione
pubblicizzando un messaggio del Papa in cui chiedeva fedeltà e obbedienza
ai cattolici tedeschi (RI, 1968, p. 878). Il rifiuto dell'enciclica continuò, tuttavia,
nel Sinodo svizzero del 1972, nel Sinodo tedesco di Würzburg e nella
Dichiarazione di K'onigstein. Il più grande quotidiano del cattolicesimo
svizzero (Das Vaterland) finora non ha né approvato né respinto queste proteste.

6Testo in Humanae Vitae, ed. ICAS, Raccolta di studi e documenti, n. 15, Roma
1968, pag. 98.
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6.6. Ancora sulla disunità della Chiesa attorno all'Enciclica di Paolo VI 111

La divisione tra i cattolici di Germania, e tra questi e la sede romana,


continua e si fa sempre più evidente. Il Katholikentag del 1982 ebbe una
controparte parallela e simultanea con un cosiddetto Katholikentag di
base che riuniva i cattolici dissidenti. Questi cattolici chiedono
l'intercomunione eucaristica, il sacerdozio delle donne, l'abolizione del
celibato per i sacerdoti, e celebrano una messa diversa (ICI, n. 579, pp.
15 e ss., ottobre 1982 Secondo la rivista, esistono due tipi di cattolici in
Germania, che credono di essere uno solo).

6.6. Ancora sulla disunità della Chiesa in


attorno all'Enciclica di Paolo VI
C'era anche una profonda divisione nella Chiesa d'Inghilterra, dove
mons. Roberts, arcivescovo di Bombay, si oppose a mons.
Beck, arcivescovo di Liverpool, contestando fortemente l'enciclica. The
Tablet, la più grande pubblicazione cattolica inglese (generalmente
fedele all'ortodossia), sorprese con una protesta contro l'enciclica e
rivendicando il diritto e il dovere di protestare quando la coscienza lo
richiede (ICI, n. 317-318, 1968, supp., p. XIV): la coscienza, interrogata
secondo luci individuali, diventa la norma regolatrice della morale.
Nella Chiesa olandese, che era in uno stato di ribellione, indipendenza
e sperimentazione precismatica, l'opposizione all'Humanae vitae era
chiara e diffusa.
La carta. Alfrink sosteneva che, non essendo infallibile, la coscienza
individuale continua ad essere la norma più importante, pur non tacendo
del tutto l'obbligo del credente di conformarsi agli insegnamenti del
Magistero. Il vicario generale della diocesi di Breda ha dichiarato in
televisione che i fedeli devono continuare ad agire secondo la propria
coscienza. La Commissione del Consiglio pastorale per la famiglia
definisce l'enciclica incomprensibile e frustrante e annuncia di voler
proseguire sulla propria strada. Tutti concordano sul fatto che la questione definita dal Papa res
Anche la forza ultima della coscienza individuale è motivo dominante
nei vescovi canadesi. Introducono anche il concetto di conflitto tra
doveri, che se presentato in situazioni specifiche che solo i coniugi
conoscono appieno, può essere apprezzato e deciso solo da loro (ed.
ICAS cit., pp. 92, 94 e 118).
Più evidente è la separazione rispetto all'insegnamento papale dei
vescovi francesi. Contro la dottrina dell'Humanae Vitae secondo cui non
è mai lecito volere un atto intrinsecamente cattivo, e quindi indegno di
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112 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

persona umana (anche se l'intento è quello di salvaguardare un bene


individuale o familiare), i Vescovi (§2.5) sostengono che in un conflitto di
doveri la coscienza può cercare davanti a Dio quale dovere è maggiore in ogni
circostanza.

In questo modo contraddicono la teoria tradizionale e quella del Papa,


secondo la quale questo equilibrio di opzioni è ammesso solo quando non è
in questione un atto di per sé disordinato (come l'atto contraccettivo): ciò che
è intrinsecamente illecito è non reso lecito in nessuna condizione. In realtà, il
conflitto di doveri è solo soggettivo e psicologico, mai oggettivo e morale.
Insegnare che il dovere deve cedere ogni volta che incontra una difficoltà
umanamente insopportabile è l'errore sempre combattuto dalla religione, per
la quale non c'è sofferenza che esenta dal dovere.

La posizione dell'episcopato francese fu direttamente disapprovata con


una notifica dell'OR del 13 settembre 1968, negando che fosse stata approvata
dalla Santa Sede. Sebbene (per il solito eufemismo) il 13 gennaio 1969 il
giornale affermasse che nessun episcopato aveva messo in discussione i
7
, a confessare che
fondamenti dottrinali richiamati dal Papa, fu poi costretto
alcune espressioni dei vescovi avrebbero potuto destare perplessità sul vero
significato di le dichiarazioni 8 .

In Italia la resistenza all'Humanae Vitae fu più contenuta, ma non per


questo meno estesa. Cito la presa di posizione contro l'enciclica di Famiglia
Cristiana, settimanale dei Paules, la cui tiratura è di un milione e mezzo di
copie in tutte le parrocchie. Nei numeri del 23 maggio e del 20 giugno 1976,
padre Bernard H´aring difendeva la contraccezione, schierandosi con i vescovi
francesi. L'OR del 14 luglio 1976 lo attaccò e lo confutò, ma disse che i
9 .
religiosi continuavano a insegnare contro l'enciclica

7Questo eufemismo è frequente nei prelati quando parlano di Humanae Vitae, e ad


esempio mons. MARTINI, Arcivescovo di Milano, nella sua conferenza stampa durante il
Sinodo dei Vescovi del 1980. Cfr. Il Giornale nuovo, 17 ottobre 1980.
8Nel convegno organizzato dall'Ecole fran¸caise di Roma su Paolo VI e la modernità
della Chiesa, JEAN-LUC POUTHIER sostiene nel suo intervento sull'Humanae vitae che ,
dopo essere stata presentata e commentata in termini inappropriati, l'Humanae vitae
è stata totalmente dimenticato, quindi sembra giunto il momento di riprendere un
documento che in molti passaggi appare oggi come straordinario (OR, 5 giugno 1983).
´
9fr. HARING giunse al punto nella sua campagna di combattere come immorale il metodo
della continenza periodica raccomandato dal Pontefice. Si veda la confutazione in OR del 6
agosto 1977.
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6.7. Lo scisma olandese 113

6.7. Lo scisma olandese


I dissensi della Chiesa olandese hanno assunto la forma più acuta di
disunione nella Chiesa 10 in ,quanto sono stati condivisi dalla maggioranza dei
vescovi e hanno messo in discussione l'autorità del Papa quando non è esercitata collegialmente.
Dopo il Concilio la Chiesa ha allentato il vincolo dell'unità: non solo dove
era troppo rigida, ma anche dove, unendo così le Chiese particolari, le univa
anche tra loro.
Ignorò quel grande assioma dell'arte politica che richiede una proporzione
di autorità tanto più forte quanto più grande è il corpo da governare e tanto
più diversificato il complesso da cui preservare l'unità. Questa massima
massima della scienza politica è stata enunciata e praticata fin dagli antichi.
Tacito (Hist. I, 16) fa dire a Galba, nell'atto di adottare Pisone come suo
successore, che la grande massa dell'impero non potrebbe stare in equilibrio
senza un solo sovrano. Questa esigenza è considerata la giustificazione
storica della trasformazione di Roma da Repubblica ad Impero. Anche Paolo
VI dichiarò in apertura della terza sessione del Concilio, il 14 settembre 1964,
che l'unità della Chiesa (è) tanto più bisognosa di una direzione centrale
quanto più vasta diventa la sua estensione cattolica (n.
17). Ma mettendo in pratica il difficile principio della collegialità si scontrava
con quello del centralismo, che unifica le varie parti nello stesso atto in cui le
conserva e le fa sussistere al loro posto (nell'organicità del corpo sociale).

Il postema (come dicevano i dottori) si apre con il Consiglio pastorale


olandese, una grande assemblea rappresentativa di tutte le classi della Chiesa,
e alla presenza dell'episcopato. Con una maggioranza del 90 per cento, questa
assemblea ha votato a favore dell'abolizione del celibato dei sacerdoti, della
concessione degli ordini alle donne e della partecipazione deliberativa dei
sacerdoti vescovi ai decreti del Pontefice e dei laici a quelli dei vescovi .
Per rispondere al desiderio di molti che si chiedevano quale fosse
l'atteggiamento della Santa Sede nei confronti del Concilio olandese, l'OR del
13 gennaio 1970 pubblicò la lettera autografa di Paolo VI indirizzata a
quell'episcopato. In esso si vede il carattere proprio del suo pontificato:
l'occhio vede la ferita e l'errore, ma la mano non si avvicina al male per
combatterlo e sanarlo, né con medicine, né con cauterizzazioni, né con bisturi. Paolo VI non può nascon

10 Non mi dilungo sui frequenti casi di rifiuto di tutto il clero diocesano a ricevere il vescovo scelto
da Roma. È stato il caso di Botucat´u (Brasile), dove però il vescovo Zioni, a cui è stato chiesto di
dimettersi, ha resistito alle fazioni, definendole sacerdoti di basso livello intellettuale (ICI, n. 315,
p.8, 1 luglio , 1968). La nomina di Mons. Mamie ad assistente di Mons. Carriere, Vescovo di Friburgo
(Svizzera) suscitò anche nel clero un movimento di opposizione (Corriere della sera, 21 agosto
1968).
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114 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

le relazioni su alcuni progetti accettati dall'episcopato come base di discussione,


nonché certe affermazioni dottrinali che vi compaiono, lo lasciano perplesso e gli
sembrano meritevoli di serie riserve.
Il Papa ha poi espresso fondate riserve sui criteri di rappresentatività dei cattolici
olandesi in quella assemblea plenaria. Rimane profondamente colpito perché il
Vaticano II viene raramente citato ei pensieri ei progetti dell'assemblea olandese non
sembrano in alcun modo armonizzarsi con gli atti conciliari e papali. In particolare, la
missione della Chiesa è presentata come puramente terrena, il ministero sacerdotale
come ufficio conferito dalla comunità, il sacerdozio è dissociato dal celibato e
attribuito alle donne, e del Papa non si parla se non per minimizzarne il ruolo e la
poteri affidatigli da Cristo.

Di fronte a tale denuncia di errori che talvolta raggiungono l'essenza della Chiesa
(come la negazione del sacerdozio sacramentale e il primato di Pietro) il Papa
conclude nell'originale francese con queste parole: La nostra responsabilità di
Pastore della Chiesa universale ci obbliga a ti chiedo francamente: cosa pensi che
potremmo fare per aiutarti, per rafforzare la tua autorità, affinché tu possa superare
le attuali difficoltà della Chiesa in Olanda? È chiaro che la precedente denuncia da
parte del Papa dell'attacco degli olandesi ad articoli essenziali del sistema cattolico
(con il consenso o la connivenza dei vescovi) richiedeva che i vescovi fossero invitati
a riaffermare la fede della Chiesa in quei punti.

Ma invece di esigere questa riaffermazione, Paolo VI offrì i suoi servigi ai vescovi


olandesi per aiutarli e rafforzare la loro autorità, quando in realtà ciò che era
sconosciuto era suo, non loro; per aiutarli (dice) a superare le difficoltà della Chiesa
olandese, quando si tratta di difficoltà della Chiesa universale.

Le parole con cui il Papa si è rivolto al card. Alfrink sarebbe più appropriato se
fossero indirizzate a un avversario dello scisma. In modo peculiare, ci sono anche
quelli con cui si consola, ritenendosi rafforzato dall'appoggio di tanti fratelli
nell'episcopato. È difficile per il Papa non poter dire tutto, e deve basarsi solo sul
maggior numero, che non costituisce principio in nessun ordine di valori morali.

La debolezza dell'atteggiamento di Paolo VI è evidente anche a posteriori;


riferendosi al card. Alfrink ai punti principali censurati dal Pontefice, dichiarò
addirittura al Corriere della sera (il 30 gennaio, dopo l'invio della lettera del Papa) che
la questione non doveva essere risolta da un'autorità centrale, ma secondo il principio
di collegialità, che è, dal collegio episcopale di tutto il mondo, retto dal Papa. Il presule
dimenticava che il collegio è consultivo e che, anche così limitato, la sua autorità
viene dal papa.
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6.8. La revoca dell'autorità. Una confidenza di Paolo VI 115

Affermando poi che uno scisma può esistere solo in materia di fede, cadde
in un errore formale confondendo lo scisma con l'eresia: lo scisma è la
separazione della disciplina e il rifiuto dell'autorità; San Tommaso lo tratta
come un peccato contro la carità, mentre l'eresia è un peccato contro la fede
(Summa theol. 11, 11, qq. 11 e 39).

6.8. La revoca dell'autorità. Una confidenza di


Paolo VI
Ma la disunione della Chiesa (palpabile nella disunione dei vescovi tra loro
e con il Papa) è il fatto ad extra. Il fatto ad intra che lo produce è il ritiro della
stessa autorità pontificia, dalla quale si propaga a qualsiasi altra autorità.

Qualunque sia il tipo di società su cui si esercita, l'autorità è una funzione


necessaria (secondo alcuni direttamente costitutiva) per essa, costituita
sempre da una moltitudine di libere volontà che devono essere unificate.
Questa unificazione (che non è una riduzione ad unum di tutto, ma un
coordinamento di tutte le libertà in un'unità intenzionale) è la finalità
dell'autorità, che deve orientare la libertà di espressione verso il fine sociale.
è, l'ordine) per raggiungerlo.
Dunque, l'atto dell'autorità è duplice: puramente razionale in quanto scopre
e promulga la regola dell'agire sociale, e tuttavia pratico in quanto ordina detto
ordine, disponendo secondo sé le parti dell'organismo sociale. Questo
secondo atto di autorità si chiama governare.
Il carattere peculiare del pontificato di Paolo VI è la propensione a inclinare
l'ufficio pontificio di governo verso l'ammonimento e (adottando termini tipici
della Scolastica) a restringere il campo del diritto obbligatorio (che origina un
obbligo) allargando quello del diritto direttivo (che formula un legge ma non
ha l'obbligo di seguirla in allegato). In questo modo viene diminuito il governo
della Chiesa e, biblicamente parlando, viene tagliata la mano di Dio (Is 59,1).
La breviatio manus può dipendere da tre ragioni: una conoscenza imperfetta
dei mali, una mancanza di forza morale, o un calcolo di prudenza che non si
mette all'opera per rimediare ai mali percepiti perché ritiene che così si
facciano. , piuttosto che curarli.
Papa Montini era incline all'indebolimento del suo potere da una
disposizione del suo carattere confessata nel suo diario intimo e affidata al Sacro
Collegio nel discorso del 22 giugno 1972 per il IX anniversario della sua
elevazione: Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non perché io
abbia attitudini, o perché io governi e salvi la Chiesa nelle presenti difficoltà,
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116 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI


´
ma perché io soffra qualcosa per la Chiesa, e appare chiaro che è Lui, e non
altri, che la guida e la salva. La confessione è notevole, perché11entrambi
da un punto di vista storico oltre che teologico, supera ogni aspettativa che
Pietro, incaricato da Cristo di guidare la nave della Chiesa (governare è,
anzi, una derivazione del nautico pilotar), sembrano riluttanti a tale servizio
e rifugiarsi nel desiderio di soffrire per la Chiesa.
Il Papato presuppone un servizio di funzionamento e di governo. l'atto di
governare è estraneo alla natura e alla vocazione di Montini; non riesco a trovare
nella propria interiorità la via per unire la propria anima al proprio destino:
La sua opera gli è estranea (Pues Yahv´e se levantar´a como en el monte
Perasim, e come nella valle di Gabaon si arrabbierà, per compiere la sua opera, la sua
opera straordinaria, per compiere la sua opera, la sua opera mirabile) (Is. 28,
21).
Facendo prevalere le inclinazioni del suo carattere sulle prescrizioni
dell'ufficio di papa, sembra riconoscere un maggiore esercizio dell'umiltà nella
sofferenza che nell'agire per ufficio. Non so se ci sia una base per un tale pensiero:
È vero che proporre di soffrire per la Chiesa è più umiltà di
accettare di agire per la Chiesa?
Poiché il Papa considerava la sua funzione come quella di chi dà regole
direttive ma non ordina con regole prescrittive, il
persuasione che nell'adempimento del dovere dirigenziale si compia la missione
di Pietro. Ciò appare chiaramente nella lettera a Mons. Lefebvre (OR, 2
dicembre 1975). In esso, una volta che la condizione grave del
Chiesa (dolorata dalla caduta della fede, da deviazioni dogmatiche e da
il rifiuto della dipendenza gerarchica), lo riconosce anche il Papa
spetta a lui più di chiunque altro specificare e correggere le deviazioni, e presto
afferma di non aver mai smesso di alzare la voce rifiutando tali sistemi teorici e
pratici sfrenati ed eccessivi. E infine protesta:
In verità, non abbiamo mai omesso nulla o in alcun modo senza preoccupazione
La nostra tradizione di mantenerci nella Chiesa fedeli al nome della verità
12 .
sarebbe
confermata.
sempre gli atti di governo (cioè di potere legale e coercitivo),
senza il quale lo stesso insegnamento delle verità di fede rimane puro
enunciazione teorica e accademica. Per mantenere la verità sono necessari
due cose. Primo: togliere l'errore dalla sua collocazione dottrinale, che
Si fa confutando gli argomenti di errore e dimostrando che non sono conclusivi.

11Una concezione diametralmente opposta fu quella di Giovanni XXIII, che sul letto di
La Morte disse al suo medico: Un Papa muore di notte, perché la Chiesa governa di giorno.
12In realtà mai e in nessun modo abbiamo cessato di manifestare il Nostro
richiesta di conservazione nella Chiesa della Tradizione autentica
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6.8. La revoca dell'autorità. Una confidenza di Paolo VI 117

conclusiva Secondo: togliere chi sbaglia deponendolo dal suo ufficio, che
è fatto da un atto di autorità della Chiesa. Se quest'ultimo servizio
pontificio è ridotto, non si può dire che tutti i mezzi siano stati adottati
mantenere la dottrina della Chiesa: ha luogo una brevatio manus Do mini. Un
concetto viene poi diffuso senza incontrare sufficienti impedimenti.
riduzione dell'autorità e dell'obbedienza, a cui corrisponde un concetto di libertà
amplificato e discutibile. Questa breviatio manus ha
certamente l'origine nel discorso inaugurale del Concilio, che lo proclamava
rinuncia a condannare
´ l'errore (§4.3), ed è stata praticata da Paolo VI in tutti
suo pontificato. Come medico aderì alle tradizionali formule ortodosse, ma come
pastore non impedì la circolazione delle formule eterodosse,
pensando che da soli sarebbero stati sistematizzati in espressioni conformi a
la verità. Gli errori furono da lui denunciati e la fede cattolica mantenuta,
ma la deformazione dogmatica non era condannata nei vagabondi e nella situazione
gli scismatici della Chiesa erano nascosti e tollerati (§ 6.7).
Questa mancanza di completezza del governo pontificio è solo cominciata
fare obiezione Giovanni Paolo II, condannando i nominatim e cessando i maestri
dell'errore o ripristinando i principi cattolici nella Chiesa d'Olanda
attraverso il Sinodo straordinario dei vescovi di quella provincia convocato a
Roma.
Paolo VI preferì il metodo dell'esortazione e dell'ammonimento, che ammonisce ma
non condanna; che attira l'attenzione, ma non obbliga; dirige, ma non comanda.
Nella solenne Esortazione Apostolica Paterna dell'8 dicembre 1974
a tutto il mondo cattolico, il Papa ha denunciato coloro che tentano di indebolire
la Chiesa dall'interno (consolandosi eufemisticamente che sono
proporzionalmente pochi); si estende al rifiuto di obbedire all'autorità,
manifestato nell'accusa di essere i suoi pastori custodi di un sistema
o apparato ecclesiastico; deplora il pluralismo teologico che si ribella al
Insegnamento; Protestò con vigore contro tale condotta infida; lega
appropriarsi della pretesa della propria autorità episcopale fatta dal
Cris´ostomo: Finché ci sediamo su questo seggio, fintanto che presiediamo, abbiamo
e autorità e potere, anche se siamo indegni. El Papa se 13
llena de
dolore, denuncia, rivendica, accusa; ma nell'atto stesso di rivendicare il
autorità, lo identifica con un ammonimento; come se nella causa fosse a
La parte, e non il giudice, è responsabile dell'accusa, ma non della sentenza.
L'effetto più generale della revoca dell'autorità è il licenziamento di
e l'inosservanza in cui cade da parte di coloro che sono sottostanti
lei, il soggetto non potendo avere un'opinione migliore dell'autorità di

13 Finché siamo responsabili di questa sede, finché presiediamo, abbiamo l'autorità e


il potere, anche se ne siamo indegni
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118 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

ciò che l'autorità ha di per sé. Un arcivescovo francese proclama che oggi la
Chiesa non deve più insegnare, né comandare, né condannare, ma aiutare gli
14
uomini a vivere ea gioire. E per scendere dal Palatino alla Suburra, in una
tavola rotonda di preti convocata dal quotidiano L'Espresso nel 1969 si
sostenne che il Papa è uguale ai laici, allo stesso modo in cui la sentinella sta
al bivio, m più in alto degli altri, per regolare la circolazione. E più che un
fenomeno patologico e anomalo, questa ribellione universale (che rende la
Chiesa attuale così diversa da quella storica e preconciliare) sembra essere
qualcosa di caratteristico della religione, è un autentico segno di vitalità
ecclesiale. Non c'è documento papale davanti al quale non prendano posizione
gli episcopati del mondo, e dietro di essi, pur indipendentemente e
contraddicendosi, teologi e laici. Vi è dunque una molteplicità di documenti
che manifestano una varietà diversa da quella propria dell'ordine, poiché in
tal modo l'autorità, moltiplicandosi, si annulla.

6.9. Parallelismo storico tra Paolo VI e


Pio IX
La disgiunzione che abbiamo segnalato in Paolo VI tra il supremo ufficio
pastorale e l'esercizio dell'autorità ha un antecedente nel pontificato di Pio IX;
non perché questo Papa abbia decurtato la funzione spirituale escludendo il
metodo della condanna, ma perché ha decurtato il proprio principato civile
resistendo all'esercizio di certi atti che gli sono inerenti. Il rimprovero che
Antonio Rosmini rivolse a Pio IX in ambito politico in una lettera del maggio
15
1848 al card. Castracane è applicabile , ambito religioso alla politica di Paolo
in
VI.
Non sembra che i doveri annessi al principato siano adempiuti da un
principe che non impedisce l'anarchia e non fa nemmeno alcuno sforzo per
impedirla, lascia fare tutto ciò che dichiara di non volere essere fatto, e
indirettamente sostiene cosa si fa contro le sue espresse dichiarazioni.
Rosmini aveva in mente la politica estera di Pio IX, il quale, per l'alta
considerazione del proprio ufficio di pastore universale, fuggiva dalle alleanze
di guerra che il suo dovere di principe (e di principe italiano) gli prescriveva.
Ma la situazione psicologica e morale dei due Pontefici è analoga. Una mostra
la contraddizione che introduce nell'ambito l'unione del primato spirituale con il principato civil
14Corriere di Roma, n. 137, 5 dicembre 1974, pag. 7.
15Si legge nell'Epistolario completo, Casale 1892, vol. X, pagg. 312-319. Le
osservazioni che il MANZONI fece il 23 maggio 1848 a detta lettera, che il Rosmini
gli aveva fatto conoscere, nel suo Epistolario, cit., vol. 11, pag. 447.
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6.10. governo e autorità 119

proprio di questo L'altro evidenzia la contraddizione tra il governo spirituale


del Papa e la rinuncia all'autorità insita in quel governo.
E poiché Pio IX riteneva che il sacerdozio cattolico impedisse la perfezione
del principato civile, non ebbe altra scelta che dimettersi dal principato.
o esercitarlo completamente. Allo stesso modo, poiché l'esercizio dell'autorità
sembrava a Paolo VI poco compatibile con il ministero pastorale,
non c'era altra scelta che dimettersi dal governo supremo (e c'erano segni di tale
possibilità) o 16
ripristinare il pieno esercizio dell'autorità.
La differenza tra i due casi è che nel caso di Pio IX il
parte abbandonata era una carica estrinseca, benefica per l'intimo spirituale
tempi passati ma che potrebbe essere abbandonato senza danneggiarlo intrinsecamente;
mentre nel caso di Paolo VI la parte cui si rinunciava lo era
intrinseco al governo spirituale, e la rinuncia ad esso squilibrarebbe l'intimo
organismo della Chiesa, fondato sul principio della dipendenza e non
sulla libertà.
Mancando del temporale, Pio IX correva il rischio di abusare dello spirituale
nelle questioni politiche: non combatté di fatto, ma scomunicò il
combattenti. Paolo VI, al contrario, quasi depredato da ogni potere
temporale, ha giustamente rimesso tutto ciò che è spirituale, ma abdicandolo per
paura di usarlo in modo non spirituale; contro errore, ordine e sanzione
sarebbero quasi un abuso, sarebbero intimamente ripugnanti alla natura della Chiesa,
17 .
avrebbero più carattere temporale che spirituale

6.10. governo e autorità


D'altra parte, dovrebbe essere chiarito che la revoca dell'autorità
non suppone in Paolo VI l'abbandono dei principi dogmatici, che lui

16Il segno indubbio di una possibile abdicazione risiede nella possibilità, espressamente
contemplato nella riforma dei regolamenti del Conclave promulgata nel 1975, che il
la vacanza della Sede Apostolica si verifica per le dimissioni del Pontefice, possibilità che non avverrà mai
antes se hab´ÿa contemplado. Ver Gazzetta Ticinese, Paolo VI come Celestino V?, 2 y 9 de
luglio 1977.
17La tendenza dell'autorità a diventare una funzione meramente didattica ha esempi notevoli. Quando
il teologo di Tiibingen HERBERI' HAAG negò la dottrina cattolica
sul diavolo nel libro Abschied vom Teufel, fu avviato a Roma un procedimento contro
ma fu presto abbandonata e l'unica risposta fu un documento della Congregazione
per la dottrina della fede che riaffermava la dottrina tradizionale. HAAG, ha continuato a dogmatizzare
contro i principi cattolici. Nel giorno dell'Immacolata Concezione, nel 1981, ha tenuto l'omelia
nella chiesa principale di Lucerna, negando formalmente due dogmi capitali: l'Immacolata
Concezione e peccato originale. Si veda il testo dell'omelia pubblicato dallo stesso HAAG in
Luzerner Neueste Nachrichten, b. 43, 1982. Sembra che l'autorità episcopale abbia creduto
poter reprimere l'errore senza impedire l'azione del vagabondo che lo diffonde.
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120 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

si è affermato con forza anche nelle grandi encicliche dottrinali, come Humanae vitae
sul matrimonio o Mysterium fidei sull'Eucaristia.
Anche il principio stesso del pieno potere pontificio di iudicare omnia fu rivendicato
da Paolo VI nel discorso del 22 ottobre 1970, richiamandosi espressamente alla
famosa bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII: tutte le cose sono soggette alle chiavi
di Pietro.
Questa desistenza significa solo che le affermazioni di fede sono separate
dall'esercizio dell'autorità prescrittiva e sanzionatoria, che secondo la tradizione della
Chiesa è al servizio di esse. L'obbligo di obbedire rimane nell'uomo, ma a questo
obbligo dell'uomo non corrisponde nella Chiesa alcun titolo per esigerlo. È come se
l'uomo non fosse socialmente organizzato, ma lasciato all'isolamento del suo spirito
privato; l'autorità della Chiesa non diventa mai il motivo ultimo delle determinazioni
del cristiano.

Nel discorso del 18 giugno 1970, Paolo VI parlò ampiamente dell'autorità papale
secondo la concezione cattolica, e sebbene collochi il primato di Pietro sotto la
categoria del servizio, nondimeno dichiara che il fatto che Gesù Cristo ha voluto la
sua Chiesa essere governati con spirito di servizio non significa in alcun modo che la
Chiesa non debba avere un potere di governo gerarchico: le chiavi consegnate a
Pietro dicono qualcosa al riguardo.
Il Papa ricorda che il potere degli Apostoli non è altro che il potere di Cristo stesso
trasmesso loro; e non nasconde il fatto che è il potere in virga, punitivo, e anche per
soggiogare Satana. È innegabile che la revoca dell'autorità è accompagnata in Paolo
VI dall'affermazione dell'autorità senza breviatio manus, che è una caratteristica dello
stile di Paolo VI, ma non della Chiesa. E se subordina l'autorità al servizio, questo
risponde al sistema cattolico, che configura tutto come tale: l'uomo, secondo il
catechismo, è nato per conoscere, amare e servire Dio. Quindi non dovrebbe sembrare
strano che l'autorità stessa sia un servizio.

E quando il Papa ricorda il titolo di servus servorum Dei assunto da san Gregorio
Magno per designare il potere delle Chiavi, va notato che la formula servus servorum
non è un genitivo oggettivo (come se fosse il Pontefice a servire i servi di Dio), ma un
genitivo ebraico che conferisce significato superlativo (come in secula seculorum,
virgo virginum, caeli caelorum, ecc.). L'espressione significa che il Papa è il più
servitore dei servi di Dio, è il servo di Dio per eccellenza, non il servo di coloro che
sono servi di Dio.

Se così fosse, la formula insinuerebbe un servizio all'uomo e non a Dio, e inoltre,


l'unico che non sarebbe servo di Dio sarebbe il Papa, essendo così tutti gli altri.

Infine, va notato che sebbene l'autorità sia un servizio fornito


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6.11. Maggiori informazioni sulla rinuncia all'autorità 121

dato a coloro sui quali si esercita, ciò non toglie quell'elemento di disuguaglianza
che lo costituisce e per il quale chi comanda (in quanto tale) è più
di chi è ai suoi ordini. È impossibile mettere l'autorità e l'obbedienza
in un sistema di perfetta uguaglianza.
Anche la stessa parola di autorità (che viene da augere, aumentare)
indica che c'è un elemento nell'autorità che aumenta la forza dell'autorità
persona ne è rivestita fino al punto da oltrepassare il suo valore personale: cioè invia
ad un rapporto trascendente sempre riconosciuto nella filosofia cattolica.

6.11. Maggiori informazioni sulla rinuncia all'autorità

Maggiori informazioni sulla rinuncia all'autorità. La questione del Catechismo francese

Il ritiro dall'autorità anche nell'ambito della dottrina, inaugurato da Giovanni XXIII


e seguito da Paolo VI, è proseguito con Giovanni Paolo II.
Oltre ad allontanarsi dal metodo tradizionale, promulgò il nuovo catechismo
dall'episcopato francese in disaccordo con il dogma cattolico sui punti capitali,
come dimostreremo nel §13.6.
Nei discorsi pronunciati a Lione ea Parigi nel gennaio 1983, il card.
Ratzinger ha condannato ampiamente l'errata ispirazione del catechismo francese.
Sembrava un avvertimento e un reindirizzamento, ma la desistenza di
l'autorità che si era già manifestata nel caso del catechismo olandese
e nella tenue sentenza contro Hans Kèung (alla cui eterodossia non si oppose
nessun limite) fatto Card. Ratzinger a ritrattare la critica quasi subito dopo, dando
modo ai vescovi di Francia di proclamare
la sua ritrattazione in un documento pubblicato da La croix il 19 marzo,
1983. Vi si legge che il cardinale intendeva occuparsi della situazione globale della
catechesi, e non rinnegare il lavoro catechistico in Francia. abbiamo potuto
per verificare recentemente ad alta voce il nostro accordo con lui su tutti i punti.
La ritrattazione del card. Ratzinger mostra fino a che punto la forza
dell'autorità romana si ritira prima dell'emancipazione episcopale. Sebbene
il nuovo Codice di diritto canonico stabilisce al can. 775 senza il quale le conferenze
episcopali non possono promulgare catechismi per il loro territorio
Con l'approvazione della Santa Sede, i vescovi francesi promulgarono il
il suo senza di essa, vietando anche l'uso di qualsiasi altro testo, e rimanendo
pose così anche il veto al catechismo del Concilio di Trento e a quello di San Pio X.
Ratzinger, che nel suo discorso aveva parlato della miseria della nuova catechesi
e della decomposizione, ora sembra essere d'accordo con i vescovi francesi
nell'apprezzare e lodare tale miseria e tale decomposizione.
E nemmeno un naturale orgoglio dell'uomo di Curia di fronte al disprezzo
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122 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

verso l'autorità romana, né la coerenza personale, hanno saputo spingere


un atto di forza. Come insegna san Tommaso, oltre a una virtù speciale il cui
atto principale è resistere, la fortezza è anche la forma generale
di tutte le virtù, in quanto è fermezza d'animo. abbiamo parlato
§ 6.8 della breviatio manus consistente nel ridurre l'ufficio dell'autorità al
semplice avvertimento: ma almeno gli avvertimenti potrebbero essere coerenti e
stare lontano da qualsiasi concessione opportunistica. Sembra però che tutto sia stato ridotto
a una manifestazione puramente verbale, e che era stata la voce della Chiesa
diventa puro Eco che riflette le variazioni del mondo. Sotto questo aspetto, la
ritrattazione del card. Ratzinger (Prefetto della Congregazione per
dottrina della fede) corrisponde a una consuetudine della Chiesa
postconciliare, e manifesta i principali fenomeni che la affliggono: decadenza della
autorità papale, emancipazione degli episcopati, disunità della Chiesa,
e declino della vis l´ógica e dell´accettazione delle verità dogmatiche.
Per dimostrare come l'autorità nella Chiesa sia stata abbassata e
l'incoerenza dei suoi atti, adattata alla mutevolezza dei tempi, converrà ´
accennare ai propositi di papa Luciani nel suo effimero pontificato. Dichiarava
di voler mantenere intatta la grande disciplina della Chiesa e si rivolgeva
ai suoi collaboratori, chiamati ad una rigorosa esecuzione della volontà del
Pontefice e all'onore di un'attività che li obbliga alla santità di vita, a
spirito di obbedienza, alle opere di apostolato e per dare un esempio molto forte
amore per la Chiesa (OR, 29 settembre 1983). È facilmente visibile il
risposta che gli eventi successivi hanno dato alle finalità di
è il Papa.
Né questo ritiro di autorità consiste in una cessione contingente e
temporanea di un principio davanti alla forza delle situazioni storiche,
ma è esso stesso un principio. Carta. Silvio Oddi, prefetto della Congregazione
per il Clero, durante la sua visita negli Stati Uniti nel
Luglio 1983, in una conferenza ad Arlington davanti a ottocento membri di
Cattolici uniti per la fede.
Il porporato ha ammesso la decomposizione della fede: oggi molti
catechisti selezionano nel depositum fidei alcuni articoli in cui credere, lasciando
credere in tutti gli altri.
Dogmi come la divinità di Cristo, la verginità della madre di Dio,
peccato originale, presenza reale nell'Eucaristia, carattere assoluto
dell'imperativo morale, dell'inferno o del primato di Pietro, sono pubblicamente
respinti dai pulpiti e dalle cattedre da teologi e vescovi.
Interpellato con ansia il prefetto della Congregazione per il Clero
Perché la Santa Sede non sanziona mai questi seminatori di errori (come ad es
Padre Curran, che da anni contesta apertamente l'Humanae
vitae e difende la legalità della sodomia).
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6.12. Il personaggio di Paolo VI. auto ritratto. Cardinal Gut 123

Perché mai correggi e scomunichi quei non pochi vescovi, come mons.
Gereti, che deviano dalla retta dottrina e spiegano la loro ala protettrice sui
corruttori della fede? Con manifesti segni di angoscia, Car.
Oddi rispose che anche i vescovi sono uomini del materiale di Adamo, e che
non credeva che essi intendessero davvero opporsi alle verità di fede.
La Chiesa, ha dichiarato, non infligge più dolore, ma spera di persuadere
chi sbaglia. E tu hai scelto questo comportamento forse perché non hai una
conoscenza esatta delle diverse situazioni di errore, o forse perché non ritieni
opportuno procedere con misure energiche, o forse anche perché non vuoi
provocare uno scandalo più grande intorno alla disobbedienza.
La Chiesa ritiene che sia meglio tollerare certi errori, nella speranza che,
superate certe difficoltà, il prevaricatore abiuri l'errore e ritorni alla Chiesa.Si
confessa 18 .
così la breviatio manus di cui ai §§6.8-6.10, professando la novità
annunciata nel discorso inaugurale del Concilio (§§ 4.1-4.3): l'errore contiene
in sé il principio del suo stesso emendamento, e non è necessario aiutarlo ad
arrivarci; lascia che si dispieghi in modo che guarisca se stesso. Si fanno
coincidere le idee di carità e di tolleranza, si fa prevalere sulla severità la via
dell'indulgenza, si trascura il bene della comunità ecclesiale per rispetto di un
abuso della libertà individuale, e il sensus logicus e la virtù della forza propria
In chiesa. La Chiesa dovrebbe piuttosto custodire e difendere la verità con
tutti i mezzi di una società perfetta.

6.12. Il personaggio di Paolo VI. auto ritratto.


Cardenal Gut

Il carattere di Paolo VI è discusso all'infinito. Ad alcuni sembra che papa


Montini avesse un carattere perplesso per un'impressionante ampiezza di
vedute. Se, secondo la profonda teoria di san Tommaso, l'atto di decisione è
un atto di troncamento della contemplazione operata dall'intelletto sulle
diverse possibilità di azione, è evidente che qualunque sia il numero delle
possibilità contemplate (più ampio è il visione dell'intelligenza) quanto più
tempo impiega a compiersi l'atto che decide, cioè che taglia. È l'interpretazione
di Jean Guitton (op. cit., p. 14) sul personaggio di Paolo VI, riprendendo quella
già considerata per Giovanni XXIII.
Secondo altri, non era il suo carattere, ma piuttosto un progetto ampio

18Il testo integrale del card. ODDI in versione tedesca è apparso in


Der Fels, settembre 1983, pp. 216-214, da cui l'abbiamo tradotto.
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124 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

perfettamente saldo nella mente del papa. Tenendo d'occhio un adattamento della
Chiesa allo spirito del secolo per assumerne la guida
tutta l'umanità in un ordine puramente umanitario, avrebbe voluto Paolo VI
proceduto con cautela (a volte girandosi di lato, a volte di lato
opposto): non costretto, ma volontariamente, e sempre nella direzione del
obiettivo preimpostato.
Secondo altri, infine, anche se il suddetto
progetto, il loro procedere in modi contrastanti sarebbe dovuto all'impulso
delle circostanze. Tale interpretazione sembrerebbe confermata dall'autoritratto
tratteggiato da Paolo VI il 15 dicembre 1969, riprendendo una similitudine
nautico di San Gregorio Magno. Il Papa si rappresenta come
un pilota che a volte conduce le onde con la prua dritta, altre volte
schivare l'assalto girando obliquamente il fianco della nave, e sempre disturbato e
costretto. Evidentemente, anche nelle precedenti interpretazioni l'
L'azione del Papa sarebbe forzata dalle circostanze e conterrebbe a
frazione di passività (come tutte le azioni umane), ma nella terza interpretazione questa
frazione è prevalente e segna il carattere del pontificato. A
A tal fine, le dichiarazioni sull'arbitrarietà non possono essere taciute.
nella liturgia fatta dal cardinale Gut, prefetto della Congregazione per
il culto divino.
Molti sacerdoti hanno fatto quello che volevano. Sono riusciti a prevalere. Spesso
era già impossibile fermare le iniziative intraprese senza
autorizzazione. Così, nella sua grande bontà e saggezza, il Santo Padre ha
19
dati via, spesso contro la loro volontà. È ovvio osservare che cedere a
Chi viola la legge non è né bontà né sapienza se, cedendo, non resiste né cede
sostiene la legge, anche se protesta. La saggezza è discernimento
pratica intorno ai mezzi per raggiungere il fine, e non è mai riconciliato con
l'abbandono della fine
Il consenso all'abbandono della legge potrebbe anche essere visto come a
concessione al partito che si è rivelato maggioritario nell'insieme dei
società ecclesiale: in caso di provvedimenti disciplinari, tale condotta
è plausibile. Ma lo è meno quando l'assegnazione è contraria alla legge
assecondando una minoranza riluttante e contro una maggioranza obbediente.
Così è successo con la facoltà di prendere la Comunione in mano, contro
che avevano pronunciato i due terzi dell'episcopato. Tuttavia, questa possibilità fu
concessa, prima solo ai francesi (che avevano
introdotto come abuso), per poi pretendere di estenderlo alla Chiesa universale. La
conversione dell'abuso in criteri per abrogare una legge non sembra
mai ammesso, né mai considerato ammissibile. Ma anche

19 Documentazione cattolica, n. 1551, pag. 18.


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6.13. Così e Non en la Iglesia postconciliare 125

Avvenne attorno al modello della riforma della Messa: fu proposta ai Padri del
Concilio e da essi respinta, ma sotto la spinta di potenti influssi fu poi adottata
e promulgata come rito universale.

6.13. Così e Non en la Iglesia postconciliare


La revoca dell'autorità ha l'effetto dell'incertezza e della malleabilità del
diritto. Rinunciando a se stessa, l'autorità si smentisce e si contraddice, dando
vita a un sic et non in cui scompaiono la certezza dottrinale e la sicurezza
pratica. Il vecchio adagio lex dubia non obligat, applicato alla situazione che
abbiamo descritto, provoca l'adesione dell'autorità resistente alle successive
imposizioni della volontà resistente, divenendo così fonte di diritto.

L'incertezza della norma a causa del vacillamento dell'autorità è evidente


nella riforma liturgica, promossa in modo tumultuoso attraverso ritrattazioni
di divieti, successive estensioni di diritti e modalità di procedere ad
experimentum. Da essi e dall'introduzione del principio di creatività del
celebrante deriva una così variegata diversità di celebrazioni: mentre il rito
ufficiale ammetteva solo quattro canoni, si vedeva come il loro numero si
moltiplicasse e sale C'erano libri e più libri che proponevano nuovi modelli ,
elaborato da commissioni liturgiche diocesane e da privati, talvolta con
l'approvazione della Santa Sede. Questa moltitudine di forme rituali è lamentata
da coloro che hanno approvato la riforma e denunciata da coloro che la
disapprovano. Il caso più evidente della frammentazione del rito cattolico a
seguito della rinuncia all'autorità è la quasi totale scomparsa delle rubriche
obbligatorie e l'abbondanza di formule raccomandanti o desiderative, oltre al
moltiplicarsi delle possibilità alternative: il celebrante farà una certa gesto,
non lo farà, o ne farà un altro, secondo considerazioni di tempo e di luogo
lasciate alla sua considerazione (salvo casi specifici). A ciò si aggiunge il
fatto che un gran numero di facoltà prima riservate alla Santa Sede sono state
concesse ai vescovi, e poiché sono liberi nel modo di applicarle, si generano
nuove discrepanze tra una nazione e l'altra, tra una diocesi e un altro, e anche
tra parrocchia e parrocchia. Questa discrepanza è evidente, ad esempio, nella
pratica della comunione sulla mano: era consentita per decreto generale,
essendo praticata in alcune nazioni, quasi imposta in altre, e in altre invece
20 .
vietata.

20 Clamoroso il gesto di Giovanni Paolo II, durante la sua visita in Francia, di deporre la
Comunione in bocca alla moglie di Gicard d'Estaing mentre lei tendeva la mano per ricevere
la Comunione. Si veda la documentazione fotografica in Der Fels, luglio 1980, p. 229. Anche
se questo fatto è indicativo della preferenza personale del Papa, prova anche la situazione anomala
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126 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

Il sic del diritto unito al non dell'autorità desistente si configura talvolta in


modo paralogistico, come si vede ad esempio in Notitiae (newsletter
della Commissione per la riforma liturgica, 1969, p. 351), che pubblica contemporaneamente
una Instructio e un decreto che vietano e consentono, rispettivamente, cosa
Stesso.
Non meno evidente è l'incostanza della disciplina sull'ordine
storia cronologica dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia nel
Prima Comunione dei bambini. Alcune Conferenze Nazionali conservarono
l'antica consuetudine di far precedere la confessione sacramentale
ricezione dell'Eucaristia; altri, invece, fecero l'innovazione di invertire
quell'ordine per motivi psicologici meno rigorosi. Se il bambino è immaturo
(come si dice) per percepire il proprio peccato, come sarà maturo per
discernere la Presenza Reale nel sacramento? La Conferenza episcopale tedesca
svoltosi prima, sotto la presidenza del card. Dopfner, che doveva essere ricoverato
i bambini all'Eucaristia senza previa confessione, e qualche anno dopo, con
suo successore card. Ratzinger, ha invece stabilito che la confessione deve
precedere la Prima Comunione.
È evidente che l'incertezza della legge, convertita in qualcosa di mutevole e
subordinata nella sua applicazione all'apprezzamento di diverse persone in disaccordo
l'un l'altro, rafforza il sentimento del valore della discrezione privata e produce a
pluralità di opzioni in cui l'unità organica si eclissa e scompare
della chiesa.

6.14. M´as sobre la desistencia de la autori


Papà. La riforma del Sant'Uffizio

Non è possibile a questo punto lasciare che la riforma del


Santo Oficio, promulgada con el Motu proprio Integrae servandae del 7 de
diciembre de 1964 y con la posterior Notificaci´on Post litteras apostolicas del
4 giugno 1965.
La Notifica dà conto della desistenza nel modo più esplicito possibile
dell'autorità, che non pretende più di essere obbligatoria per mezzo di una legge, ma piuttosto
si riferisce all'obbligo che lega la coscienza alla legge morale. Infatti,
dichiara che l'"Indice dei libri proibiti rimane moralmente vincolante,
ma non ha più forza di diritto ecclesiastico, con le relative censure.
Il punto di partenza di questa assenza di obbligo è il presupposto che
nel popolo cristiano sussiste quella maturità intellettuale e religiosa che con

di diritto nella Chiesa, poiché secondo le norme vigenti in Francia la scelta tra il
due modi di prendere l'Eucaristia è assolutamente gratuito.
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6.14. Maggiori informazioni sulla rinuncia all'autorità. La riforma del Sant'Uffizio 127

illumina l'uomo per se stesso; infatti, come si legge nel documento, la Chiesa
confida nell'esistenza di quella maturità nel popolo cristiano. Ma sarà la storia
a dover verificare se quella presunta maturità esista o meno, e giustificare
sufficientemente l'abrogazione del divieto. La Chiesa sottolinea anche la sua
più ferma speranza nella vigile sollecitudine degli Ordinari, ai quali spetta il
compito di esaminare e impedire la pubblicazione dei libri dannosi e, se
necessario, di rimproverarne gli autori e di ammonirli.
È fin troppo evidente che questa supposizione della vigilanza dottrinale
21
dei vescovi è un modus irreale, poiché la dottrina dell'episcopato non è né
ferma né coerente, e talvolta nemmeno sana; e inoltre neppure gli Ordinari
possono impedire la pubblicazione dei libri dannosi se non è loro concesso
alcun potere di esigere che siano preventivamente sottoposti al loro giudizio.
Come risulta dal decreto del 19 marzo 1975, la Chiesa si limita a enixe
commendare sacerdoti che non pubblicano senza il permesso dei vescovi; ai
vescovi, che veglino sulla fede ed esigano che i libri in materia di fede siano
loro sottoposti dagli autori (i quali però non hanno l'obbligo di farlo). Infine,
chiede anche che tutti i fedeli collaborino in questo con i pastori.

Dietro la riforma della disciplina si nasconde il principio dello spirito


privato che si pone immediatamente prima della legge senza la mediazione
dell'autorità, e al quale si riconosce a priori quella maturità che, secondo
l'antica disciplina, era propriamente l'obiettivo della Chiesa in ogni sua attività
legislativa. Ed è evidente il passaggio da un ordine di precetti e divieti ad un
ordine puramente direttivo ed esortativo, che rimprovera l'errore ma non
rimprovera l'errante, presupponendo (come fu auspicato nel discorso
inaugurale del Concilio) che l'errore si generi da sé. e dentro di sé la propria
confutazione e persuasione delle verità opposte.
La libertà riconosciuta dalla Chiesa ai fedeli di fronte all'imperativo morale
riguardo alla lettura dei libri è la libertà comune che appartiene all'uomo di
fronte alla legge morale. Ora, si può riconoscere anche questa libertà di
scrivere libri, poiché non è più un atto privato e temporaneo, ma un atto
pubblico che rimane fisso e produce un effetto separato dalla sua causa e
distaccato da essa? Certo, poiché lo Stato è retto da un principio diverso da
quello della Chiesa e non strettamente religioso, deve ammetterlo assolutamente.
Ma per quanto riguarda la Chiesa, bisogna tener presente che da principi
diversi scaturiscono conseguenze diverse. L'abolizione dell'Index librorum
divietorum è un atto di desistere dall'autorità; Ciò mantiene il precedente
divieto della legge morale, ma non va a particolarizzarlo concretamente:

21Ricorda che in grammatica questo è il nome dato a una proposizione che enuncia una condizione
che non è soddisfatta: quindi non è soddisfatta nemmeno la condizione.
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128 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

rimanda la coscienza dei fedeli ai principi universali perché ne facciano l'applicazione


particolare.
Per quanto riguarda la scrittura di libri, la Chiesa postconciliare non ha voluto
spingersi fino ad accettare tale libertà e si è comunque riservata di giudicare, in
considerazione del bene comune, l'ortodossia degli scritti. Oltre al dovere di insegnare
la dottrina nella sua integrità e purezza, ha anche il dovere di preservare dall'errore i
membri della società ecclesiale. Questo secondo dovere è stato fortemente proclamato
nel discorso inaugurale (cfr §4.3), ma identificandosi con il primo: basta che la Chiesa
insegni perché il cristiano si preservi dall'errore, essendo considerato capace di
rivolgersi a se stesso con la sua retta opinione .
Nell'originaria istituzione di Paolo III nel 1542, lo scopo della Congregazione era
combattere le eresie e conseguentemente reprimere i delitti contro la fede. Ora, a
Paolo VI sembra meglio che la difesa della Fede avvenga mediante l'impegno di
promuovere la dottrina mediante la quale, mentre gli errori vengono corretti e coloro
che errano sono dolcemente chiamati a una migliore considerazione, coloro che
predicano il Vangelo ricevono nuova forza.
Come nel discorso inaugurale, il metodo dell'amore poggia su un duplice presupposto:
primo:
che l'errore raggiunga da sé la verità purché gli si lasci evolvere.

Secondo, che l'uomo, o per la sua costituzione naturale o per il grado di civiltà in
cui si trova, è in uno stato di maturità tale che i fedeli seguono più pienamente e con
più amore il cammino di Dio. La Chiesa se si tratta di Viene loro dimostrata la fede e la
natura dei costumi.

6.15. Critiche alla riforma del Sant'Uffizio


Ho già accennato nei §§ 4.3 e 4.4 ai rapporti di quella posizione con una mentalità
antropotropica, e lo farò in seguito. Qui vorrei solo segnalare il qui pro quo giuridico
e psicologico sotteso alla base della riforma. Era un Index librorum proibitorum, e non
un Index auctorum proibitorum. La differenza continua ad essere trascurata nelle
controversie che circondano la riforma, come lo era durante la sua attuazione. È forse
un'iniquità, come si sostiene, giudicare un libro senza ascoltare le spiegazioni del suo
autore?

Si tratta se il significato di uno scritto va dedotto dalle intenzioni dell'autore o


dalle spiegazioni da lui date, e non dallo scritto stesso. Il libro è una cosa in sé che
porta intrinsecamente il proprio significato, o meglio consiste in esso.

È un insieme di parole, e le parole sono qualcosa di più dell'uomo


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6.15. Critiche alla riforma del Sant'Uffizio 129

chi li pronuncia e portano un significato oggettivo. È necessario che lo


scrittore sappia rendere compatibile il suo significato soggettivo con il
significato oggettivo del linguaggio. Si può intendere ciò che non si dice, e
per questo il segno di scrivere bene (di scrivere vero) è proprio dire ciò che si
vuole dire. Ecco perché un libro può professare l'ateismo e credere che
22 .

l'autore sia un teista: le glosse che l'autore fa del suo libro una volta pubblicato
non ne cambiano la natura. E anche se lo facessero (per qualsiasi motivo)
risultando in un lavoro irreprensibile, ciò non dovrebbe contare per quanto
riguarda il libro. Il motivo è ovvio. Le osservazioni di supporto dell'autore post
editum librum non possono accompagnare il libro ovunque vada, poiché
segue il proprio destino senza compagnia: Parve sine me, liber, ibis23in. urbem
Si tratta di distinguere tra una cosa e un'altra, tra una persona e un libro.
Si tratta di riconoscere, come fece Platone (Prot. 329 A), che un libro non è
come una persona con cui si dialoga; Questo fa di tutto per farsi capire da chi
lo interroga, chiarificando, specificando e spiegandosi; ma il libro risponde
sempre allo stesso modo: risponde a ciò che esprimono le parole usate, prese
nel loro significato proprio, e niente di più.
E non si deve dire che in una lingua le parole non abbiano un significato
proprio: non lo hanno quando non sono nei dizionari, ma certamente lo hanno
nella specificità di un contesto. Cos'altro fanno tutti i critici del mondo?
Forse si astengono dal giudicare un'opera finché non hanno parlato con
l'autore? Chiedono all'autore il significato del suo lavoro o lo estraggono da
esso? Senza aggiungere che i grandi capolavori, e la più importante di tutte le
nazioni (che sono come la fonte di tutta la poesia, anzi di tutta la civiltà di un
popolo), sono ancora impersonalità anonime e sovrumane. Tuttavia, nessuno
ha mai pensato che il suo valore

22Le opere di Giovanni Gentile furono poste all´Indice nel 1934; il filosofo ne fu
sorpreso e amareggiato. In una conferenza tenuta a Firenze nel 1943, non solo
proclamava: sono cristiano, ma continuava: voglio aggiungere subito, a scanso
di equivoci, che sono cattolico. Non credo di aver tradito il primo insegnamento
religioso che mi è stato impartito da mia madre. Ci sono coscienze erronee nel
teoretico così come ce ne sono nella pratica.
23Te ne andrai, libretto, a Roma senza di me Ovidio. Uno scritto pubblico non
può essere corretto o confutato se non con un altro scritto pubblico, naturalmente
purché abbia un significato invariabile che può essere ritrattato (nel duplice senso di
riesaminare e ritrattare) solo con uno scritto pubblico. Secondo la riforma, il
Sant'Uffizio ascolta la difesa dell'autore ed esige che siano da lui resi noti i
chiarimenti giustificativi da lui forniti affinché l'opera ritorni all'ortodossia. Questo atto
equivalente a una ritrattazione è ripugnante per l'autore, rendendo il tutto più
spiacevole. Tale è il caso di padre Schillebeeckx. Cfr. Le Monde, 10 dicembre 1980.
L'autore si è rifiutato di rendere pubbliche le dichiarazioni rese al Sant'Uffizio, il quale
si è limitato a pubblicare la lettera indicante le correzioni che l'autore avrebbe dovuto apportare.
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130 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

scomparso perché non si sapeva nulla del suo autore. E non solo la
comprensione di un'opera non dipende dalla conoscenza del suo specifico
autore, a volte del tutto oscuro, come Omero (se era un singolo individuo,
cosa che Friedrich August Wolf nega) o Shakespeare, ma si può addirittura
sostenere con Flaubert che la soggettività dell'autore non deve entrare
nell'opera, la perfezione di uno scrittore consiste nel far credere ai posteri che
non esiste.
Pertanto, e tornando alla riforma del Sant'Uffizio, l'intenzione dell'autore
non può far sì che le parole scritte, se esprimono un errore, non esprimano
l'errore. La certezza nel senso delle parole è il fondamento di ogni
comunicazione tra gli uomini. Non si tratta di giudicare lo stato di una
coscienza, ma di conoscere il significato delle parole. E non è affatto vero che
nell'esame di un libro al Sant'Uffizio non si considerassero tutti gli aspetti del
libro; ma proprio tutti gli aspetti del libro sono stati considerati, non le
intenzioni dell'autore. E non si può argomentare adducendo le lunghe e
ripetute visite dell'Inquisizione a Giordano Bruno tra il 1582 e il 1600, perché lì
non dialogavano per conoscere il vero significato dei libri del filosofo, ma
piuttosto ne cercavano la penitenza e l'abiura. Già Benedetto XIV (e credo che
l'usanza sia rimasta) volle che un consultore prendesse ex professo la difesa
del libro, non per illuminare l'intenzione dell'autore, ma per interpretare le
parole del testo nel loro vero senso.
Di conseguenza, le accuse mosse contro la vecchia procedura nascono
dall'ignoranza della natura oggettiva e intrinseca di ogni scrittura e, infine, da
24 .
una mancanza di arte critica.

6.16. Variazione della Curia Romana. Mancanza di


rigore
La smania di innovazione pervase tutta la Curia, non solo riordinando
l'antica, come aveva fatto san Pio X nel 1908 seguendo l'esempio di tanti suoi
predecessori, ma anche cambiando le funzioni delle vecchie Congregazioni e
assegnando nuove funzioni a nuovi organismi. Inoltre, tutti i nomi furono
modificati: ad esempio: la Congregazione di Propaganda Fide divenne per
l'Evangelizzazione dei popoli e quella del Concistoro divenne quella dei
Vescovi. Inoltre sono state create altre Congregazioni con il titolo

24Trovo sorprendente che l'apologia del Sant'Uffizio fatta da Mons. HAMER


nell'OR del 13 luglio 1974 non accenni al punto fondamentale: che il libro ha una
realtà propria, separata da quella dell'autore. Lo stesso difetto mi sembra di vedere
nello studio di Mons. LANDUCCI in Rinnovato, 1981, p. 363, che trova altamente
lodevole il modo di tutelare i diritti dell'interessato nella nuova Ratio agendi.
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6.16. Variazione della Curia Romana. Mancanza di rigore 131

la moderna di Commissioni, Consigli o Segretariati per l'unione dei


cristiani, per le religioni non cristiane, per i non credenti, per le
comunicazioni sociali, per l'apostolato dei laici, ecc. La variazione dei
nomi non è priva di significato. La Propaganda ha insinuato l'idea di
un'espansione del cattolicesimo tra i popoli infedeli, mentre il concetto
di evangelizzazione è generico ed è già stato applicato all'azione
pastorale tra persone già evangelizzate, o addirittura allo stesso atto di
evangelizzazione della vita cristiana, confondendo così la specie con il genere.
Un'opinione antichissima, che tende a concepire l'andamento delle
cose secondo il modello della somma vettoriale delle forze meccaniche,
sostiene che la Curia romana abbia esercitato nel periodo postconciliare
un'azione contraria alle intenzioni riformatrici del Concilio e del Papa.
Al contrario (e va da sé che la Curia, in quanto esecutore del governo
pontificio, è stata in ogni tempo l'organo di sviluppo ecclesiale), la verità
è che tutte le trasformazioni avvenute e stanno operando nel
cattolicesimo del novecento hanno avuto come organo la Curia.
La riforma del Sant'Uffizio, significativa e produttrice dell'ultima
mentalità postconciliare, porta la firma del card. Ottaviani, prefetto di
quella Congregazione, e nel quale tuttavia gli innovatori riconoscono
l'incarnazione dello spirito preconciliare. Inoltre, come abbiamo visto al
§6.12, gli stessi movimenti di disobbedienza alle norme romane hanno
ricevuto forza dalla loro successiva ratifica da parte della Curia, che ha fatto marcia indietro fac
Tuttavia, qui il tema del nostro discorso è la trasformazione della
Curia in termini di funzionamento tecnico e formale. E va anzitutto
evidenziato il degrado del latino della Curia. Non è necessario andare
allo stile diamantato e raffinato dei documenti di Gregorio XVI, oa quello
elegante di Leone XIII, per rendersi conto con questo paragone della
perdita di nobiltà, di lucidità e di rigore dello stile curiale. Il latino del
Vaticano II è stato spesso deplorato come povero anche da Padri che
approvavano il contenuto dei documenti. Anche alcuni dei testi principali
(come la Gaudium et spes) furono inizialmente scritti parzialmente in
francese, violando il canone dello stile curiale, che considera originale
e autentico il testo latino, e generando quelle incertezze ermeneutiche già citate al § 4.2.
Un caso insigne de tal incertidumbre, traspasada del orden gramatical
al orden jur´ÿdico, es la Constituci´on apost´olica del 3 de abril de 1969.
En la per´ÿcopa final se lee: Ex his quae hactenus de novo Missali
Romano expo abbiamo, ora ci piace forzare e guidare qualcosa, tu dici:
desideriamo trarre una conclusione certa, poiché forzare ed effettuare è
un'espressione ciceroniana di concludere. Pero las traducciones si
accorse subito y puestas en circ culaci´on dan a la frase este sentido:
Nous voulons donner force de loi´a tout ce que Nous avons expos´e (Documentation catholique
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132 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

traducci´on italiana: Vogliamo dare forza di legge a quanto abbiamo sposto


(OR, 12 de abril de 1969), o bien: Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato
vogliamo che rimanga valido ed efficace ora e in futuro (Misal romano editado
dalla Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1969).
Non intendiamo fare filologia attorno al testo curiale, anzi pontificio, ma è
opportuno osservare come si siano persi in un paragrafo
di tale trascendenza la perspicuità e il rigore dello stile della Curia.
Confessandoci incapaci di decidere una controversia filologica, ci limitiamo a
affermare ciò che ci sembra incontrovertibile: un latino così schifoso (anche insolito,
se la frase ha il senso di Cicerone) impedisce l'immediata percezione della
senso inteso dal legislatore, e ha così aperto la strada a letture contraddittorie;
si considera tale espressione semplicemente come a
clausola (sebbene non si trovi dopo quale sia la conclusione concreta,
perché nel documento la data e la firma seguono velocemente); un altro vi
riconosce l'intenzione di dare forza di legge a tutte le cose esposte
(sin embargo quiddam en modo alguno puede valer como quiddam, como sin
tuttavia è stato assunto nelle traduzioni).
Una sequela necessaria al circusterismo e all'incertezza con cui
L'intera vicenda è stata condotta è il fatto pietoso dell'esistenza di tre diverse
forme della tipica edizione della Costituzione, dovute ad integrazioni e
omissioni.

6.17. Sarei sobrio nella trasformazione da Cu


fiume romano. fallimenti culturali

Ma oltre alla scarsa qualità del latino e alla mancanza di rigore, si può
rimproverare alla Curia la difettosa cultura alla base dei testi pontifici,
che si è gloriato per secoli di una perfezione mirabilmente irreprensibile.
Riserviamo un discorso particolare all'art. 7 della Costituzione Missale
romanun, che dà una definizione della Messa al di fuori della concezione
cattolica (la Messa si chiama assemblea, quando in realtà è un sacrificio) e
doveva essere riformato dopo pochi mesi perché era ovviamente aberrante al
confrontarla con la dottrina della Chiesa. Vedere §§37.9-37.10. Qui porteremo
tuttavia alcuni vistosi esempi di errata conoscenza, di negligenza colpevole,
e anche di scarsa attenzione da parte dei consiglieri del Papa
(il cui prestigio non dovrebbe mai essere leso dagli atti pontifici, specialmente
quando sono didascaliche e solenni). Nel discorso del 2 agosto 1969
A Kampala (Uganda), Paolo VI esaltò la Chiesa africana di Tertulliano, santo
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6.17. Ancora sulla trasformazione della Curia romana. fallimenti culturali133

25
Cipriano e San Agust´ín come se la Chiesa dell'Uganda fosse , quando ero
una Chiesa
´ chiaramente latina. Inoltre, annovera tra i grandi della Chiesa
d'Africa un inesistente Ottaviano di Mileto (e che se esistesse non sarebbe
Africano); c'è un Octatus di Milevi, ma è uno scrittore secondario e di
incerta ortodossia.
In altro luogo, parlando degli eventi fortuiti che talvolta troncano i disegni
degli uomini, il Papa ha citato dal cap. VII del Principe di Machiavelli,
il commento che gli fece César Borgia, che (ha detto il Papa) aveva pensato a
tutto tranne che sarebbe morto anche lui nel giorno meno atteso.
Ora, l'imprevisto non era che doveva morire (come avrebbe potuto dirglielo?),
ma che si trovava quasi a morire (sebbene non fosse morto).
proprio nei giorni in cui Alessandro VI era morto e lui aveva meditato
assumere lo stato.
In un altro discorso, il Papa afferma che al Concilio è sembrato buono
ritorno al termine e al concetto di collegialità. Ora, quel termine
non si trova in nessun testo del Concilio e il Papa26potrebbe benissimo
ci sono entrato, ma quello che non puoi fare è portarlo lì, quando
tuttavia non lo è.
Nel discorso del 9 marzo 1972 il Papa parla del dono della libertà
che rende l'uomo simile a Dio (cfr Par. I, 105), cadendo in un lapsus
perché in quel luogo Dante non parla di libertà, ma dell'ordine del mondo,
che essendo un'idea dell'intelletto divino impressa nella creazione rende il
creatura simile al Creatore.
Inoltre, il che sembra davvero strano, il circosticismo si estende anche alle
citazioni della Scrittura. Il 26 luglio 1970 il Papa
citato Gal. 5, 6 come se dicesse che la fede rende operante la carità, quando
San Paolo dice il contrario (la carità rende operante la fede), come tradotto
correttamente, e lo stesso passaggio, in un altro discorso del 3 agosto 1978.
Senza entrare nella contraddizione generalizzata che il pensiero ottimista
del Papa trova nello stato globale del mondo e della Chiesa,
si trovano affermazioni su fatti concreti che sono smentite da quegli stessi fatti.
Nel discorso del 27 novembre 1969 sull'introduzione
del Novus ordo della Messa, giustificando l'abbandono del latino da parte della liturgia,
detto che il latino rimarrà la lingua nobile degli atti ufficiali del
Sede Apostolica; rimarrà (e se possibile con maggior splendore) come
strumento scolastico degli studi ecclesiastici.

Ora: in quasi tutte le università ecclesiastiche e in tutte

25L'errore è già stato rivelato nell'omelia per i martiri ugandesi, che sono neri,
e che il papa pose accanto ai martiri sciliti, che erano romani.
26Vedi detta voce nelle predette Concordantiae.
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134 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

l'insegnamento dei seminari si svolge ora nelle lingue nazionali; dentro


Consiglio, negli interventi orali sono state ammesse le lingue volgari
e negli scritti; e nel Sinodo dei Vescovi, dopo la sessione plenaria il
l'assemblea è divisa in Circuli minors secondo le lingue nazionali.
Anche la Curia romana si sta mischiando¨ue, e tra la mia corrispondenza
c'è una lettera del card. Wright, prefetto della Congregazione del
Clero, facente capo alla Congregazione del Clero, carta intestata. Ovviamente,
nella stesura del suddetto discorso, una pericope di altra penna
diverso da quello del Papa ha trasmutato il verbo rimanere.
Il peso di questi circhi nel calo di stima dovuto a
la Curia romana non deve essere misurata dall'apprezzamento e dall'inclinazione di ciascuno
che ne fece una così rispettabile istituzione pontificia. Ma in verità, molto di più
Deplorevole è questo difetto contingente dei collaboratori collaboratori del
Papa, la cui persona rappresenta in certo modo l'intero corpo culturale del
Chiesa Cattolica, quanto più irreprensibile dovrebbe essere la Sede Suprema.
E va rilevato che, anche se Paolo VI non ha potuto notare (a causa della proroga
dei documenti, la preparazione delle bozze, l'immensità dei discorsi e la
ricerca di autori e citazioni) le inimmaginabili deficienze del loro
collaboratori, però, aveva un'idea chiara della perfezione richiesta in
il lavoro di coloro che collaborano con il Papa. Ha detto a Jean Guitton che non può
non sia tollerata, in bocca a un Papa, la minima inesattezza o la minima lacuna
(op. cit., p. 13).
Questi foglietti di cui abbiamo portato alcuni esempi non indicano forse a
carenza culturale sottostante, ma implicano certamente una mancanza di diligenza
e precisione che non mancano di colpire il Papa stesso. Il principale responsabile
non può rispondere dell'eccellenza di tutti i compiti dei suoi subordinati,
ma l'ordinaria qualità dei collaboratori da cui viene utilizzato compromette
necessariamente la propria capacità di discernimento. Tutti gli atti di
Gli strumenti di autorità sono atti di autorità e mantengono o diminuiscono
il loro prestigio. I clamori si sono alzati quando sono entrati
un discorso davvero storico un capo del governo ha citato poche parole
di Protagora attribuendoli ad Anassagora.

6.18. La desistenza della Chiesa nella relazione


zioni con gli Stati

Il ritiro dell'autorità, che abbiamo indagato ad intra della Chiesa


approfondendosi nella riforma del Sant'Uffizio, si manifesta anche nel
rapporti con gli Stati, nella forma di quella condiscendenza con cui il
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6.18. Il ritiro della Chiesa nei rapporti con gli Stati 135

La Chiesa partecipa a questo grande processo che tende alla distensione internazionale.
Il fatto è manifesto, ma non ci addentreremo in un argomento che non corrisponda
direttamente a un libro come questo e che ci porterebbe a portare alla luce qualche
evento famoso. (Si allude soprattutto alla rimozione del cardinale Joseph
Mindszenty dalla sede primaziale d'Ungheria, o all'umiliazione volontaria della
legazione pontificia durante le celebrazioni del 1971 per l'insediamento del nuovo
patriarca ortodosso: il card. Willebrands e l'intera delegazione pontificia hanno
ascoltato senza qualsiasi movimento o atto di protesta alle accuse contro la Chiesa
romana. Alludiamo, infine, alle manifestazioni di simpatia di Paolo VI verso la
Chiesa scismatica di Cina, condannate però da Pio XII in due lettere encicliche del
1956). , dilungarmi un po' sul più sintomatico degli atti che manifestarono
l'atteggiamento di resa della Chiesa di fronte allo Stato moderno. Nei rapporti tra i
due poteri, la revisione del Concordato italiano del 1929 è il fatto più significativo
del cambiamento operato dalla Chiesa cattolica nella sua filosofia e nella sua
teologia.

La separazione rispetto ai principi era già stata annunciata, nei periodi


precedenti alla lunga trattativa, in un articolo dell'OR del 3 dicembre 1976, dove si
dichiarava che per attestare la propria disponibilità la Chiesa sarebbe stata
addirittura disposta sacrificare i principi. I nuovi patti restringono le materie
contenute da quelli del 1929 a più di 40 a soli 14 articoli, questa riduzione
presuppone di per sé che molte materie di natura mista siano state abbandonate
al potere civile, rinunciando alla Chiesa ad avere voce in esse.

Le varianti decisive sono tre. Il primo è stabilito dall'art. 1 del Protocollo


addizionale e recita: Il principio, originariamente rivendicato dai Patti Lateranensi,
della religione cattolica come unica religione dello Stato italiano non è più
considerato vigente (RI, 1984, p. 257). Questa disposizione del nuovo patto implica
l'abbandono del principio cattolico secondo il quale l'obbligo religioso dell'uomo
va oltre l'ambito individuale e tocca la comunità civile: ciò deve in quanto tale
avere un atteggiamento positivo verso la destinazione ultima, verso lo Stato della
vita trascendente, della convivenza umana.

Il riconoscimento del Numen è un dovere non solo individuale, ma anche


sociale. Anche volendo annullare il vecchio dettame in quanto incongruo con la
natura dei tempi, era sempre possibile assumerlo in linea storica: a prescindere
dal valore ultrastorico che la religione pretende di avere, restava la possibilità di
assumere che valore come parte integrante e divulgativa della vita storica della
nazione italiana, nei modi della lingua, dell'arte e della cultura. Questa è la tesi
insegnata da Paolo VI (§6.2), che fa della religione un carattere non divisivo della
società civile, ma distintivo.
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136 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

Vale anche la pena notare come un maggiore affinamento della diplomazia


vaticana avrebbe potuto trovare il modo di dare un'espressione meno aperta
a una così grande conformità della Chiesa all'emancipazione dell'assiologia
civile sui principi religiosi. Invece di affermare che tale principio non è più in
vigore, si sarebbe potuto stabilire che la Santa Sede prende atto che lo Stato
italiano non lo ritiene più in vigore. La variazione di sostanza è manifesta:
oggi la Chiesa chiama laicità ciò che ieri chiamava laicità e lo condannava
come illegittima parificazione di comportamenti disuguali.
Infine, va notato che i patti firmati il 12 febbraio 1984 riformano non solo il
Concordato del 1929 (come tutti riconoscono), ma anche il Trattato che
regolava la sovranità e l'indipendenza temporanea del Papato. La possibilità
di abrogare il Concordato lasciando immutabile il Trattato, scandita da
Mussolini in un discorso parlamentare, fu prontamente esclusa da Pio XI
quando proclamò: simul stabunt aut simul cadent.
Non conosco la legittimità di una procedura che abroga la clausola di un altro
accordo in un accordo senza citarla, ma il fatto (poco notato negli interventi e
sulla stampa) è che l'art. 1 del Protocollo addizionale firmato il 18 febbraio
1984 abroga tacitamente gli articoli 1 e 2 del Trattato del 1929, i quali
stabiliscono che l'Italia riconosce ed afferma il principio per cui la religione
cattolica, apostolica e romana è l'unica religione di Stato. Di conseguenza,
l'art. 13 del nuovo Concordato, affermando che le disposizioni precedenti
costituiscono modifiche del Concordato Lateranense, è a malincuore errato:
esse costituiscono anche una modifica del Trattato.

6.19. Altro sulla revisione del Concordato


La seconda variazione riguarda il regime matrimoniale. Con la Concordia
del 1929 l'Italia riconobbe gli effetti civili del matrimonio canonico, trascritto
obbligatoriamente all'anagrafe civile. Ma già con l'introduzione del divorzio, il
regime è stato variato unilateralmente: il coniuge di un divorziato è revocato
dallo Stato dallo stato di coniuge, che però la Chiesa conserva in perpetuo.
Inoltre, sebbene l'art. 8 del patto del 1984 rinnova il riconoscimento degli
effetti civili del matrimonio canonico, attribuisce allo Stato il potere di negarlo
quando le condizioni del diritto canonico non corrispondono in casu alle
norme del diritto civile.
La terza variazione si riferisce al regime scolastico. In luogo dell'obbligo
sancito, il nuovo stabilisce: La Repubblica italiana, riconoscendo il valore
della cultura religiosa, e tenuto conto che i principi del cattolicesimo fanno
parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare la
promozione dell'insegnamento della la religione cattolica nelle scuole. Tutti sono riconosciuti
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6.19. Altro sulla revisione del Concordato 137

il diritto di scegliere se usufruire o meno di tale insegnamento. Questo diritto di scelta


è esercitato dagli studenti o dai loro genitori.
Il regime dell'obbligo, temperato dal diritto di dispensa derivato dalla libertà di
coscienza, è sostituito da un regime facoltativo mediante il quale l'insegnamento
della religione cattolica è indirizzato alla libertà individuale. La religione cattolica non
fa più parte dell'assiologia della società italiana e non la obbliga più (i valori legano).
Non è più la religione cattolica in quanto cattolica che lo Stato riconosce, ma la
religione cattolica come forma di religiosità storicamente rilevante.

È la tesi della religione naturale come nucleo di tutte le religioni, per cui tutte hanno
valore. È lo sfondo, come abbiamo detto tante volte, dello spirito del secolo presente.
Neppure su un punto vitale della politica scolastica i negoziatori della Santa Sede
abbandonarono la linea della condiscendenza e della rassegnazione. La richiesta che
lo Stato sovvenzionasse le scuole private o le famiglie che le usufruiscono non è stata
difesa né è diventata un punto cardine della trattativa, nonostante i cattolici italiani
avessero rivendicato tale diritto in numerose manifestazioni come

conseguenza del pluralismo, e ha chiesto che il sistema italiano si uniformi a quello di


molte democrazie in Europa e nel mondo.
La revisione del Concordato ha dato luogo a un vasto fenomeno di dissimulazione
ed eufemismo che ha mascherato l'innovazione introdotta nella dottrina rivestendola
di una fittizia continuità storica, continuità ottenuta trasformando l'uso delle parole e
indebolendo la visione logica del discorso ecclesiastico. Al contrario, l'innovazione è
riconosciuta dagli osservatori più spassionati. A nome di tutti citerò Rl, 1984, p. 246:
Il Concordato è troppo diverso dal vecchio per metterne in discussione la novità: è un
nuovo percorso la cui evoluzione non è prevedibile. L'autore richiama poi la dottrina
di Pio XI sulla superiorità oggettiva dei fini della Chiesa e conclude che appare
evidente quanto profondamente sia cambiata la Chiesa cattolica negli ultimi anni.

Totalmente opposto è il parere dell'organo vaticano del 19 febbraio, per il quale il


nuovo Concordato è il frutto solido e ben radicato dei Patti del 1929. Questa
affermazione sarebbe vera se si ribaltasse il senso delle parole, e se cambiare i
principi (come si confessa abbia fatto) equivale a svilupparli, farli fruttificare e
mantenere il Concordato nella sua integrità.

E sebbene poi si affermi che i principi della religione cattolica restano intatti, la
distinzione è evidente: restano intatti in se stessi e indipendentemente dal Concordato
(come restano intatti di fronte all'errore e alla persecuzione), ma non certo nel diritto,
nel costume o nella vita sociale dello Stato, che professa e pratica il contrario. Il Papa
stesso non lo sa
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138 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

Si è astenuto da questa tentazione di cambiare le cose cambiando il senso


delle parole, e di cercare nelle formule verbali la soddisfazione che la realtà
non permette. Nel suo discorso del 20 febbraio ha detto: La revisione del
Concordato è un segno della rinnovata concordia tra lo Stato e la Chiesa in
Italia. Ma il divorzio non contrasta con l'indissolubilità? Ed è forse che l'aborto
non contravviene, per la Chiesa, al divieto di uccidere che la morale naturale
esige?
E l'indifferentismo della scuola pubblica verso l'istruzione religiosa, non
si scontra con il dovere del cattolico di essere istruito nella propria religione?
La verità è che nell'assiologia della Repubblica italiana c'è spazio per
l'alfabetizzazione, la cultura fisica, la salute, il lavoro, la previdenza, le arti e le
lettere, ma quel valore che secondo la dottrina cattolica è il valore originario
e consuma tutto però , è esclusa e ridotta alla sfera privata, sotto la tutela
27 .
della libertà
Geno Pampaloni, in un articolo intitolato Il Tevere più stretto (II Giornale,
6 gennaio 1984), illumina la crescente convergenza tra Stato e Chiesa in Italia,
ma erroneamente la considera come l'effetto di una flexi sulla laicità, quando
sul anzi è dovuto a uno scolorimento nel cattolicesimo di tutto ciò che gli è
proprio: non è lo Stato che inclina verso la religione, è la religione che inclina
verso lo Stato e (usare l'espressione) dereligionizzata. Questo processo è
chiamato da Pampaloni con un termine del lessico politico italiano, impegno
storico. Nella sua ampiezza e profondità, tuttavia, è la trasformazione
fondamentale che prepara la cosmopoli umanitaria e la teocrazia universale.
28 .

6.20. La Chiesa di Paolo VI. I discorsi


del settembre 1974
La stessa disposizione di Paolo VI a nascondere le difficoltà della Chiesa
non poteva persistere nella mente del Papa, poiché tale disposizione
costituisce in certo modo uno stato violento, e abbiamo già visto nel § 1.7 le
sue precisazioni, moltissime lamentele di queste difficoltà . Queste denunce
culminarono, peraltro, nei due discorsi dell'11 e del 18 settembre 1974, che
stupirono l'opinione pubblica mondiale, furono accolti nel loro testo integrale dai massimi

27Il giudizio del Papa è stato duramente smentito nelle dichiarazioni del card.
BALLESTRERO, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nell'OR del 25 novembre
1983: Il nostro Paese è terribilmente distaccato dalla Chiesa perché i principi che lo
ispirano in quasi tutte le sue decisioni e comportamenti non sono più quelli del Vangelo.

28La teocrazia è, in senso stretto, una mescolanza di divinità.


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6.20. La Chiesa di Paolo VI. I discorsi del settembre 1974 139

enti di studi storici e politici (RI, 1974, p. 932), e ha avuto un lungo commento
su OR nella penna del suo direttore.
Il fatto che viene sia dall'Oriente che dall'Occidente è l'avanzata costante
del secolarismo scristianizzatore. Dopo aver riconosciuto l'inimicizia teorica
e pratica del mondo moderno con la religione in generale e con il cattolicesimo
in particolare, e abbandonandosi a un moto di tristezza spirituale, il Papa
confessa di non sapere solo che la religione non sembra avere un prospero
esistenza in quel mondo, ma piuttosto sembra a chi guarda le cose
superficialmente qualcosa di impensabile ai nostri giorni, sembra una Chiesa
destinata a svanire e a lasciarsi sostituire da una concezione scientifica e
razionale della natura del mondo, più facile ed esperienziale , senza dogmi,
senza gerarchie, senza limiti al possibile godimento dell'esistenza, senza la croce di Cristo.
La Chiesa (dice il Papa) è ancora una grande istituzione, ma apriamo gli
occhi: in questo momento, per certi aspetti, è sottoposta a gravi sofferenze,
opposizioni e risposte corrosive. E il Papa dubita che il mondo abbia ancora
bisogno che la Chiesa catturi i valori della carità, del rispetto dei diritti, della
solidarietà, visto che per il momento tutto questo lo sta già facendo lo stesso
mondo profano, e sembra addirittura molto meglio, e il trionfo del mondo nel
raggiungere questi valori sembra giustificare sia l'abbandono dell'osservanza
religiosa da parte di interi popoli, sia l'irreligiosità del secolarismo,
l'emancipazione della legge morale, la defezione dei sacerdoti e il fatto che
alcuni dei fedeli non temono più di essere infedeli.

Infine, il Papa avanza l'idea della superficialità del cristianesimo e


dell'assenza di religione nel mondo contemporaneo: è l'avvento, possiamo
dire, dell'uomo microteano.
Una nota importante dell'attuale crisi è riconosciuta dal Papa nel fatto che
i tentennamenti della Chiesa non sono dovuti all'assalto di forze esterne, ma
anche´ interne.
Questo è proprio il criterio da noi stabilito per stabilire nella storia della
Chiesa quando c'è crisi e quando non c'è (§§ 1.2, 2.1 e 2.8).
Molti di essi (i mali) non assalgono la Chiesa dall'esterno, ma la affliggono, la
indeboliscono e la sfiniscono dall'interno. Il cuore si riempie di amarezza. La
novità non consiste nell'apparire di mali provenienti dall'establishment
clericale, poiché sempre in passato i mali hanno avuto origine da esso. La
novità ben intuita dal Papa è quella definita autodemolizione nel celebre
discorso al Seminario lombardo. L'espressione è dogmaticamente
insostenibile, e infatti non è mai più stata ripetuta dal Papa, perché la Chiesa
è essenzialmente costruttiva e non distruttiva; ma storicamente inteso, è
accurato. Affrontare il problema del superamento della crisi, se il Papa
rimanesse nel campo dei fatti e
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140 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

ipotesi ragionevoli che ammettono, ti ritroveresti le mani legate.


Quindi, concludendo, si passa dal livello storico in cui la Chiesa soffre e
declina, al livello della fede dove lo spirito del credente è sostenuto nel divino
non praevalebunt (non prevarranno) (Mt 16, 18). . Questo passaggio al discorso
di fede è frequente nell'apologetica postconciliare. Ma è dubbio che si tratti
davvero di un cambio di piano. La diagnosi che ha concretizzato il male
radicale del mondo nella lontananza da Dio, nella desacralizzazione e nella
Diesseitigkeit totale, è già un discorso di fede. Solo la fede intende come
rovina ciò che sembra essere il miglioramento e il progresso del genere
umano a coloro che ne sono privi.

6.21. L'irrealismo intermittente di Paolo VI


Paolo VI vinse in due modi la tristezza provocata dalla contemplazione
della Chiesa contemporanea. Il modo legittimo, necessario e tradizionale
consiste nell'introdurre l'interpretazione filosofica e teologica propria del
cattolicesimo, e sotto questa luce, contemplare fatti la cui natura non è sconosciuta.
L'illegittimo si fonda sulla grande legge psicologica del gratissimus mentis
error, per la quale lo spirito si ripugna a riconoscere ciò che conosce, perché
gli sembra sgradevole; se ne accorge a contatto con la realtà, ma la nasconde
a se stesso e non la comunica nemmeno agli altri. Scrittori moralisti e Profeti
biblici (ai quali il popolo grida loquimini nobis placentia) parlano
abbondantemente di questo fenomeno, ma esso è percepito anche da ogni
individuo stesso.
Forse le parole di una lettera giovanile di Montini rivelano i sintomi primitivi
di questo prevalere della facoltà ideativa sulla percezione del concreto: sono
convinto che un mio pensiero, un pensiero della mia anima, valga per me più
di ogni altra cosa nel mondo.
Solo per chi poco sa delle latebre agostiniane o del guazzabuglio
manzoniano di cui è costituito il cuore umano (anche quello pontificio), può
sorprendere trovare nello stesso discorso di Paolo VI, contiguo e legato, la
tristezza correlata alla realtà e il trionfalismo che la offusca, la trasfigura o la
capovolge. Ad esempio, nel suo discorso del 16 novembre 1970, il Papa ha
dipinto vividamente lo stato deplorevole della Chiesa postconciliare.
Esternamente è la legalità opprimente di tanti Paesi che incatena la Chiesa:
soffre, lotta, sopravvive come può, perché Dio l'assiste. All'interno, inoltre, è
motivo di stupore, dolore e scandalo per tutti vedere che le preoccupazioni e
le infedeltà nascono proprio all'interno della Chiesa, e spesso da parte di
coloro che dovrebbero, per l'impegno acquisito e il carisma ricevuto, essere
più leali e più
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6.21. L'irrealismo intermittente di Paolo VI 141

Modelli. E così pure le aberrazioni dottrinali, l'allontanamento dall'autorità


della Chiesa, la licenziosità generalizzata dei costumi, il disprezzo per la
disciplina clericale. Tuttavia, nonostante il grave onere annunciato in
modo così articolato, il Papa vede idealmente qualcosa di positivo nella
situazione, e persino segni meravigliosi di vitalità, spiritualità, santità. Li
vede, ma indistintamente li vede e indistintamente li annuncia, trasportato
com'è dai movimenti della sua facilità ideativa. Anche nelle viscere degli
errori dogmatici, da lui tuttavia vigorosamente condannati nell'enciclica
Mysterium fidei, il Papa trova motivi di relativo plauso, trovando anche
nell'eresia che nega la Presenza Reale il lodevole desiderio di scrutare un
così grande mistero e di esplorarne le ricchezza inesauribile.
La propensione papale a non spegnere qui quel lumicino fumoso arriva
addirittura a ritenere lodevole il tentativo di chi cerca di restringere e
dissolvere il mistero.
Ma anche in altri discorsi, la tendenza all'irrealismo di Paolo VI lo porta
a confondere le figurazioni del suo pensiero con la consistenza dei fatti.
Per una sorta di sineddoche generalizzata, ogni parte (anche minuscola e
irrilevante) è affetta da un illusorio valore esponenziale, e viene rapportata
a una scala più ampia per farne un'indicazione di fatti generali.

Nelle parole di Arnobio, è come se si negasse il carattere tellurico della


montagna perché vi è sepolta una pepita d'oro, o la malattia di un malato
completamente livido e dolorante perché ha la furia delle unghie.

La più grande testimonianza dell'errore gratis simus è forse il discorso


del 23 giugno 1975 in occasione del dodicesimo anniversario della sua incoronazione.
Dopo aver detto che il Vaticano II ha davvero inaugurato una nuova era
nella vita della Chiesa del nostro tempo, il Papa loda la grande sintonia di
tutta la Chiesa con il suo Sommo Pastore e con gli stessi Vescovi, proprio
quando quasi tutti gli episcopati del mondo giudicavano le encicliche
papali e fabbricavano dottrine particolari, e dopo che gli eventi menzionati
nel §6.5 avevano avuto luogo al Katho likentag di Essen .
Il Papa soccombette tre settimane dopo a un colpo di dimenticanza di
tanta concordia quando aggiunse, come abbiamo già visto: Basta con i
dissensi all'interno della Chiesa! Basta con l'interpretazione divisiva del pluralismo!
Basta con l'offesa che gli stessi cattolici infliggono alla loro indispensabile
coesione! (OR, 18 luglio 1975). Allo stesso modo, dire che il Concilio ha
fatto comprendere appieno la "dimensione verticale della vita" suppone
che la Chiesa preconciliare si fosse rivolta al mondo piuttosto che al
vertice, e contraddice l'intenzione precedente e confessata dal Concilio a
partire suo inizio, che fu proprio per correggere quell'orientamento del cattolicesimo e temperarlo
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142 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI

storia.
Il Papa dice anche che i frutti della riforma liturgica stanno ora apparendo
in tutto il loro splendore; ma poche settimane prima la cattedrale di Reims
aveva subito una tale profanazione (con la consapevolezza del vescovo) che
se ne chiedeva la riconsacrazione, e intanto in Francia le liturgie arbitrarie si
moltiplicavano a dismisura, pullulando a centinaia (con disprezzo per le norme
romane) canoni illegittimi, e la Missa cum pueris suscitò le più vive proteste
del mondo cattolico. Infine, con una generalità di pronuncia che difficilmente
sarebbe tipica di secoli di vera unità spirituale, il Papa ha dichiarato che gli
insegnamenti del Concilio sono entrati nella vita quotidiana, sono diventati
una sostanza che corrobora il pensiero e la prassi cristiana. L'affermazione
è valida se il Papa intende per vita cristiana quei circoli ristretti ai quali è stato
ridotto ritirandosi dal grande corpo sociale (secondo la sua vecchia previsione:
29
§3.8), e così via . Ma se la diagnosi del Papa riguarda oggi il mondo intero e la
Chiesa, allora a quelle parole si oppongono troppo il degrado dei costumi, la
violenza civile che trasforma le città in giungle, la costituzionalizzazione
30
dell'ateismo (fenomeno nuovo nella storia , umana), il cinico disprezzo per i
diritti delle nazioni, il divorzio, l'aborto e l'eutanasia. C'è in questo discorso
un velo di mancanza di discernimento che copre la realtà storica e talvolta la
capovolge, considerando lo sfondo nero del dipinto come mere ombre. Questa
visione monocromatica della situazione è ripresa dal quotidiano della Santa
Sede, che, non potendo chiudere gli occhi, ricorre alla distinzione tra buona
salute di base e fenomeni visibili (OR, 24 dicembre 1976); Se così fosse, la
diagnosi dello stato della Chiesa sarebbe funzione di un giudizio esoterico di
cui il senso comune della Chiesa e del mondo è incapace. Ora, se è vero che
il sostrato della Chiesa è un principio invisibile che compie nell'intimo della
coscienza azioni in sé invisibili, è anche vero che questo qualcosa di invisibile
che appartiene alla storia si manifesta nell'ordine di eventi. In quanto la Chiesa
è nel mondo, fa parte dell'ordine del visibile: è come il regno di Francia, diceva
Bellarmino.

Non dirò della Chiesa contemporanea cosa del decadente mondo romano

29Non vale, invece, per la città di Roma, sede di Pietro, dove, secondo le
statistiche OR del 19 novembre 1970, l'80% si dichiara cattolico, ma il 50% non
crede né al paradiso né all'inferno. Né è valida alla luce degli eventi successivi,
visto che nel maggio 1981 solo il 22% dei romani si espresse contro l'aborto.

30 A tal punto che non ai tempi di Paolo VI, ma nel 1984, alcuni Paesi celebravano il
giorno dell'odio, che si accompagna alla festa della mamma, al giorno degli ammalati, al
giorno del fiore, e a tutte quelle feste laiche che sono sostituire le feste religiose della liturgia.
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6.21. L'irrealismo intermittente di Paolo VI 143

dec´ia T´acito (Germ.19): corrompere ed essere corrotti si chiama età,31 ma


né mi piaceranno le antilopi bibliche, che anche quando caddero nel
le reti avevano uno spirito fiducioso, ignorando volentieri la propria prigione
(Is. 51, 20).

31Vivere è chiamato corrompere ed essere corrotti


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144 6. La Chiesa postconciliare. Paolo VI


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Cap'itulo 7
La crisi del sacerdozio

7.1. La defezione dei sacerdoti


Il rifiuto di Paolo VI di rattristarsi per le tristi realtà della Chiesa non poteva
fare molto contro il fatto della defezione dei sacerdoti, statisticamente provata,
1
e ovunque evidente. Paolo VI è entrato in un tema così spinoso e doloroso in
due discorsi. Nel discorso del Giovedì Santo del 1971, ricordando il dramma
pasquale del Dio-uomo (abbandonato dai discepoli e tradito da un amico), il
Papa passò dal parlare di Giuda all'apostasia dei sacerdoti. Ha anticipato che
bisogna distinguere caso per caso, bisogna capire, simpatizzare, perdonare,
assistere, ed è sempre necessario amare. Ma poi chiamò i traditori o gli infelici
apostati o disertori, parlò dei vili motivi terreni che li guidano, e deplorò la loro
mediocrità morale, che pretende di trovare normale e logica la trasgressione
su una promessa lungamente meditata (OR, 10 aprile , 1971).

Il cuore del Papa è appesantito dall'evidenza dei fatti, e non potendo


togliere la colpa dall'apostasia, la mitiga un po', dicendo ad esempio disgraziati
o disertori. Come non vedere che la diserzione non è un'alternativa all'infelicità,
e che i lapsi sono infelici proprio perché hanno disertato?

Parlando al clero romano nel febbraio 1978 sulle defezioni sacerdotali, il


Papa disse: Le statistiche ci sopraffanno; ci dà la casistica

1L'Annuarium statisticum del 1980 mostra una diminuzione della tendenza regressiva e
qualche segno di ripresa nel numero dei sacerdoti. Il rapporto delle ordinazioni sacerdotali è
salito da 1,40 a 1,41 per cento sacerdoti. Le defezioni sono cessate. Tuttavia, il numero dei
sacerdoti nel mondo cattolico è diminuito durante l'anno dello 0,6%. Continuano a diminuire i
religiosi e le religiose, ma di più le religiose (con una quota negativa dell'1,4%, che era solo
dell'1,1% l'anno precedente). ´
In generale, il calo è caratteristico dell'Europa e l'aumento dell'Africa (OR, 28 maggio 1982).

145
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146 7. La crisi del sacerdozio

concerto; le motivazioni, sì, incutono rispetto e ci muovono a compassione,


ma ci provocano un dolore immenso; ci confonde il destino dei deboli che
hanno trovato la forza di disertare il loro impegno. E il Papa parla di una mania
di secolarizzazione che sconsacra la figura tradizionale del sacerdote e, con
un processo alquanto inverosimile, ha strappato dal cuore di alcuni il sacro
rispetto dovuto alla sua stessa persona (OR, 11 febbraio 1978).

L'ansia del Papa deriva da un lato dall'ampiezza statistica del fenomeno,


dall'altro dalla profonda corruzione che questo comporta. Né si tratta
primariamente della corruzione dei costumi sacerdotali come violazione del
celibato (poiché fu corrotto anche in altri tempi, pur senza cadere
nell'apostasia), ma di un'altra consistente corruzione nel rifiuto delle essenze
e nel successivo tentativo di convertire il sacerdote in qualcosa di diverso da
sé (cioè un non-sacerdote), tuttavia il nuovo stato si arroga l'identità del primo.
Ovviamente, alterando l'essenza, quell'identità diventa qualcosa di puramente
verbale.
Per quanto riguarda le statistiche, vale la pena ricordare i due modi in cui
è avvenuto l'abbandono del sacerdozio (inammissibile in quanto
sacramentalmente ordinato): per dispensa dalla Santa Sede, oppure per
rottura arbitraria e unilaterale. Questa seconda forma non è una novità nella Chiesa.
Nella Rivoluzione francese si affermarono ventiquattromila su ventinovemila
sacerdoti del clero e ventuno vescovi su ottantatré, sposandone dieci. Durante
il pontificato di san Pio X2non furono pochi quelli che abbandonarono le
proprie abitudini per motivi di fede o per desiderio di indipendenza. Ma fino al
Concilio il fenomeno fu sporadico; ogni caso suscitò interesse o scandalo, e
il d´efroqué divenne un soggetto letterario. La particolarità delle defezioni
nella Chiesa postconciliare non deriva dal numero impressionante di casi, ma
dalla loro legalizzazione da parte della Santa Sede, concedendo una dispensa
pro gratia molto ampia che dispensa il sacerdote dal ministero ma mantiene
tutti i diritti e le funzioni proprie al laico (disattivando e rendendo insignificante
il carattere indelebile dell'ordinazione ricevuta). Se rara era la riduzione di un
sacerdote allo stato laicale inflitta come pena, rarissima era la pro gratia
concessa per mancanza di consenso, qualcosa di simile al defectus consensus
del diritto matrimoniale.
A parte quelli della Rivoluzione francese, gli esempi di vescovi sposati
sono rari nella storia della Chiesa. Casi celebri sono quelli di Vergerio,
vescovo di Capo d'Istria, al tempo del Concilio di Trento; De Dominis,
Arcivescovo di Spalato, al tempo di Paolo V; Seldnizky, vescovo di Breslavia,

2AUL CHRISTOMF., Le scelte del clero nelle rivoluzioni del 1789, 1830 e 1848,
Lille 1975, t. 1, pag.
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7.2. La legittimazione canonica della defezione sacerdotale 147

sotto il pontificato di Gregorio XVI; e dopo un secolo, mons. Mario Radovero,


ausiliare di Lima, e padre del Vaticano II (CR, 23 marzo 1969).

7.2. La legittimazione canonica della defezione


sacerdotale
La novità del fenomeno della defezione sacerdotale non sta tanto nel suo
grande numero (enormemente sproporzionato rispetto a quello del periodo
preconciliare) nonché nella variazione del modo in cui esso era contemplato e
3
trattato dalla Chiesa. In realtà, non c'è fatto nella storia che non sia puntualmente
già passato. Per questo si può ben affermare, secondo un detto del comico latino,
Nihil est iam factum quod non factum sit prius. Ma l'elemento rilevante e innovativo
è la sua stima morale da parte della mente, e solo questa stima è indice del reale
corso della storia.
Sebbene certamente dal punto di vista numerico le defezioni abbiano turbato
il Papa, la pratica della dispensa (divenuta comune dopo essere stata per lungo
tempo pressoché inesistente) ha dato un'altra configurazione morale e giuridica al
venir meno dell'impegno sacerdotale, assumendo via il carattere di abbandono
che ebbe in un altro tempo.
Un personaggio di altissimo rango della Curia Romana che fu chiamato
d'ufficio a occuparsi di tali pratiche mi confessò come quelle riduzioni alla laicità,
che tra il 1964 e il 1978 furono effettuate annualmente a migliaia, fossero in tempi
così singolari che molti ( anche tra il clero) non erano a conoscenza dell'esistenza
di una tale istituzione canonica.
Dal Tabularum statisticirum collectio del 1969 e dall'Annuarium statis ticum
Ecclesiae del 1976 a cura della Segreteria di Stato, si deduce che in quei sette
anni, nel mondo cattolico, i sacerdoti diminuirono da quattrocentotredicimila a
trecentoquarantatre mille, e i religiosi da duecentottomila a centosessantacinquemila.

Dallo stesso Annuario statistico del 1978 si deduce che gli abbandoni furono
3.699 nel 1973 e 2,37 nel 1978.

Le dispense cessarono quasi del tutto a partire dall'ottobre 1978 da . Sebbene


ordine di Giovanni Paolo 4II le defezioni abbiano decimato le truppe,

3La novità consiste nella´ partecipazione della gerarchia al movimento contro il celibato. Dice il
card. LEGER, ad esempio: È lecito chiedersi se questa istituzione non potesse essere
riconsiderata (ICI, n. 279, p. 40, 1 gennaio 1967).
4La decisione di papa Wojtyla è stata fortemente criticata dagli innovatori. Si veda ad esempio
l'intervista rilasciata da HORST HERRMANN, professore di diritto canonico
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148 7. La crisi del sacerdozio

la vera gravità del fatto risiede nella legittimazione ricevuta attraverso


quell'abbondante generosità della dispensa.
Il diritto canonico (can. 211-4) ha stabilito che, ridotto allo stato laicale, il
chierico perde uffici, benefici e privilegi clericali, ma rimane obbligato a
mantenere il celibato. Sono esonerati da tale obbligo solo coloro la cui
ordinazione risulta invalida per mancanza di consenso (can. 214). Ma dà
l'impressione che l'attuale giurisprudenza della Santa Sede desume il mancato
consenso non dalle disposizioni del soggetto al momento dell'ordinazione,
bensì da successive esperienze di incapacità o di malcontento morale
dispiegate nella vita del sacerdote già ordinato . È il criterio che i Tribunali
diocesani degli Stati Uniti hanno cercato di introdurre nelle cause di
annullamento del matrimonio, respinte e interrotte da Paolo VI nel 1977.
Seguendo questo criterio, il fatto stesso che un sacerdote chieda a un certo
punto della sua vita di il ritorno alla condizione secolare diventa la prova che,
già al momento del fidanzamento, era immaturo e incapace di un valido
consenso. La convalida del consenso invalido prevista dal can. 214, che
ostacolerebbe la concessione della deroga. In essa, come nella giurisprudenza
delle Corti americane, vi è sia un velato rifiuto del valore che ogni singolo atto
morale possiede di fronte al carattere assoluto del diritto, sia una non
riconosciuta adozione del principio di globalità ( §§ 29.1-29.3). I momenti
specifici della volontà sono esonerati dalla responsabilità, per ricoprire con
essa il tutto.

Forse la diminuzione delle vocazioni al sacerdozio (unita all'aumento delle


defezioni) dipende nelle sue ragioni più profonde da questa frivolezza
dell'impegno, che toglie al sacerdozio quel carattere di totalità e perpetuità
che soddisfa (nonostante i momenti amari e difficili) parte più nobile della
natura umana.
Come diceva Giovanni Paolo II, queste defezioni sono un antisegno e un
antitestimonianza, che sono tra le ragioni del venir meno delle grandi speranze
di vita nuova che scaturirono nella Chiesa dal Concilio Vaticano II (OR, 20
maggio , 1979).
La crisi del clero ha dato luogo a spiegazioni basate sul solito non causas
pro causis, argomentando con il sociologico e lo psicologico invece che con
il morale. L'eziologia del fenomeno è eminentemente spirituale e riguarda un
duplice ordine. In primo luogo, dal punto di vista naturale, vi è un abbassamento
del valore della libertà, ritenuta incapace di vincolare

all'Università di T¨ubingen, al settimanale Der Spiegel del 6 ottobre 1981: Perché dobbiamo
continuare a far parte di un gruppo di uomini che tradiscono continuamente il
Vangelo dell'Amore?
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7.3. Tentativi di riformare il sacerdozio cattolico 149

di non aderire assolutamente a nulla di assoluto, e al contrario capace di


sciogliere ogni legame. Come è facile intuire, si tratta di qualcosa di identico
o analogo al caso del divorzio. Anche questa si fonda sull'impossibilità della
libertà umana di vincolarsi incondizionatamente: si fonda cioè sulla negazione
dell'assoluto.
In secondo luogo, dal punto di vista soprannaturale (oltre all'indebolimento
della libertà come virtù che assolutizza le finalità e pone l'uomo in una
coerenza indefettibile), c'è una flessibilizzazione della fede: un dubbio su
quell'assoluto a cui il sacerdote si dedica e alla quale non c'è dedizione
autentica se non è assoluta de jure.
Questa flessione, che potrebbe raddrizzarsi o essere raddrizzata, è però
rafforzata dalla dispensa concessa dal Superiore. Si cade in un circolo vizioso
credendo che la virtù vacilli proprio per ciò che potrebbe sostenerla e
governarla.
Detta prassi indulgente e generosa faceva scandalo in se stessa come
sintomo di debolezza morale e di decadente senso della dignità personale,
anche se confrontata con la condizione dei laici, vincolati dall'indissolubilità
del matrimonio; per questo fu presto interrotta da Giovanni Paolo II.

Inoltre, la Congregazione per la Dottrina della Fede, con documento del 14


ottobre 1980 e pubblicato in Documentation catholique (n. 566, ottobre 1980)
e in Esprit et vie (1981, p. 77), ha promulgato una disciplina restrittiva che
riduceva i motivi della dispensa a due soli punti: il mancato consenso nell'atto
di ordinazione e l'errore del Superiore nell'ammissione ad essa.

7.3. Tentativi di riformare il sacerdozio cattolico


co
Nessuno dei tanti tentativi di riforma del sacerdozio che risuonano sul
gigantesco apparato altoparlante dell'opinione pubblica ha un minimo di
novità: essi circolano lungo tutta la storia della Chiesa.

Sono generalmente proposti con un consapevole spirito eterodosso, come


nel caso dei Catari, degli Hussiti o di Lutero; ma altre volte si tratta di
un'ingenua aberrazione di fede, come quella del famoso cardinale Angelo Mai
5
(teologo meno bravo quanto filologo), che avrebbe voluto che fosse concessa
a tutto il clero la facoltà di chiedere la dissociazione dell'ordine sacro A

5Ver Nuova Antologia, enero 1934, p. 80, Memorie de Leonetto Cipriani.


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150 7. La crisi del sacerdozio

qualsiasi età. Tutti i motivi sottesi alla riforma del sacerdozio si risolvono nel rifiuto delle
essenze e in un impulso a trasgredire quel limite che le circoscrive e, circoscrivendole, le
determina e le fa
essere.

Si lamenta oggi che il sacerdote viva in uno stato di inferiorità e di imperfetta


responsabilità, e si chiede di restituirgli il potere di determinare la propria situazione
concedendogli il potere di sposarsi, di lavorare in un ufficio, di pubblicare libri, di esprimere
le proprie opinioni, ecc. di espressione del clero cattolico non è mai stata così ampia,
6 Quest'ultima pretesa è contraria alla realtà: la libertà
facile e
risonante come adesso. I sacerdoti possono pubblicare libri senza la preventiva
autorizzazione del loro vescovo, fare dichiarazioni, tenere conferenze di protesta, parlare
alla radio e alla televisione, scendere in piazza per manifestare contro i decreti del Papa, o
mescolarsi con i non credenti e comparire al loro fianco. nei loro vagabondaggi. Il rapido
allontanamento dalla disciplina canonica è stato utile e fruttuoso. E va anche rilevato come,
sotto lo strato di autorità ricevuto con l'ordinazione, molti sacerdoti predicano le proprie
fluttuanti e fulminee opinioni come kerigma evangelico e dottrina della Chiesa: cioè
predicano se stessi o qualcosa di se stessi. Commettono così un abuso tipicamente
clericale ben noto nella storia, esercitato un tempo dalla confusione del politico con il
religioso, ma oggi a causa di un allontanamento dalla dottrina e con l'obiettivo di riformare
il dogma e dislocare le strutture di la Chiesa.

Di conseguenza, non solo i sacerdoti hanno l'autorità che spetta loro in virtù della loro
ordinazione, ma in actu exercito la estendono più del necessario, attribuendo al loro
ministero quell'indebita autorità di cui cercano di investire le loro opinioni private.

Va anche notato che la pretesa da parte del sacerdote di un potere più ampio di
determinare la propria situazione (ma c'è qualcuno che può realizzarlo?) suppone un
indebolimento della fede e quindi del concetto di dignità sacerdotale. Chi ha il potere di
produrre sacramentalmente il corpo del Signore e di assolvere i peccati trasformando i
cuori degli uomini, come può sentirsi inferiore e privo di responsabilità completa, se non
perché soffre di un oscuramento dell'intelletto? di fede? Questo sentimento di inferiorità
nasce dal fatto che il sacerdote si è spogliato del significato essenziale del sacerdozio
(dare ciò che è sacro agli uomini), prendendo a modello dello stato sacerdotale l'altro stato
in cui l'uomo cerca la propria realizzazione.

6 Queste le proposte del congresso dei laici e dei sacerdoti riunito a Bologna, citato da
il quotidiano La Stampa del 28 settembre 1969.
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7.4. Critica della critica al sacerdozio cattolico. Don Mazzolari 151

e promozione nel mondo.

7.4. Critica della critica al sacerdozio cattolico


co. El P. Mazzolari
Diranno che il sacerdote soffre porque est´a en medio de un mundo
indifferente y hostil que no es receptivo a su actuaci´on y pasa a su lado
sin encontarse con ´el. ¡En verdad no convienen al sacerdote contempor
´aneo las palabras del Salmista que inaugurated el Concilio Vaticano I:
Andarono e piansero, seminando i loro semi, ma quelli che vennero,
7
vennero con esultanza, portando. I sacerdoti di questo
i loro greggi (Sal. secolo
125, 6) soffrono
quando vanno a seminare e soffrono quando tornano, perché per loro
non esistono i grappoli che rallegrano il cuore. Certo la posizione del
sacerdote è difficile, ma è una difficoltà primordiale e costitutiva; né gli
Apostoli ne avevano un altro, né un altro era loro promesso. Ed è
sconvolgente che si faccia un problema di questa distanza tra il
sacerdozio e il mondo, per poi accusare di trionfalismo quei secoli di
grande fede in cui questa distanza non era così sentita; non perché non
esistesse, ma perché era assorbito nell'armonia generale del mondo umano.
Padre Mazzolari osserva che il sacerdote soffre di dover predicare
parole più alte della sua vita, e che lo condannano. Ma questa non è
solo la condizione costitutiva del sacerdote davanti alla legge morale,
ma quella di tutti gli uomini, e lo stesso vale per la legge evangelica.
Basta riconoscere la distinzione tra l'ordine ideale e l'ordine reale
(necessario per la morale, che è l'unione tendenziale di entrambi gli
ordini) per comprendere come nessuno possa predicare verità morali
su base personale; nessuno possiede una virtù paragonabile
all'elevazione della dottrina. Sostenere la predicazione morale su una
base diversa dal titolo di verità significherebbe voler misurare la validità
della predicazione dalla perfezione del predicatore, come supponeva l'eresia di John Hus.
In questo modo, la predicazione sarebbe impossibile. Se l'abilitazione
del sacerdote a predicare fosse un'altezza morale paragonabile alla
dottrina, anche il sacerdote più santo si asterrebbe dal farlo. Tuttavia, è
necessario che molti, anzi tutti, predichino una moralità superiore alle loro azioni.
Il ministero rende deboli gli uomini che, in realtà, a volte cedono alle
passioni, predicano una morale austera e perfetta.
Nessuno può accusarli di ipocrisia, perché parlano per missione e scopo.
7
È vero che chi porta il sacchetto dei semi andrà piangendo, ma tornerà raggiante
contento di portare i suoi covoni.
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152 7. La crisi del sacerdozio

data di scadenza e implicitamente (e talvolta esplicitamente) ammettono di esserlo


lontano dalla perfezione che insegnano. Purtroppo a volte capita che il
la predicazione scende al livello dei costumi; ma questo è un inconveniente:
8
senza il ministero sarebbe un sistema. L'inadeguatezza presente nel
La vita del sacerdote è solo un esempio dell'inadeguatezza presente nella vita di
tutti gli uomini rispetto all'ideale. E la conseguenza da trarre
È l'umiltà, non l'angoscia dell'orgoglio. D'altra parte, non scompare neppure la parte
umana del sacerdote, fin dall'esercizio del ministero
mostra senza impedimenti tutti i talenti, tutto lo zelo, tutti i valori
dell'individuo: insomma tutto ciò che costituisce il merito. Non c'è dentro
la storia della Chiesa concetti infiniti di bellezza, iniziative caritative,
o opere di dottrina, che lasciano uno spazio molto ampio all'azione del
persona anche se non le è permesso predicare se stessa? Dove è successo
così frequentemente come nella Chiesa che il nome di un individuo
finiscono per battezzare intere corporazioni di uomini con punti di vista,
obiettivi e azioni comuni?

7.5. Sacerdozio universale e sacerdozio


ordinato
Il senso della critica sollevata contro il sacerdozio storico della Chiesa
(che è il sacerdozio in quanto tale) consiste nell'ignorare le essenze e
ricondurre tutto a funzioni di natura puramente umana. Dogma cattolico
attribuisce al sacerdote una differenza rispetto al laico, non solo funzionale,
ma essenziale e ontologica, per il carattere impresso nell'anima dal sacramento
dell'ordine. La nuova teologia, invece, fa rivivere vecchie affermazioni
eretici che poi confluirono nell'abolizione luterana del sacerdozio,
nasconde la distanza tra il sacerdozio universale dei fedeli battezzati e il
sacerdozio sacramentale che appartiene solo ai sacerdoti.
Con il battesimo l'uomo viene aggiunto al Corpo Mistico di Cristo e
consacrato al culto divino mediante la partecipazione al sacerdozio di
Cristo, l'unico che ha reso a Dio il dovuto culto nel modo più perfetto. Ma
Oltre al carattere battesimale, il sacerdote riceve nell'ordinazione un ulteriore
carattere che è come una ristampa del primo. Grazie all'ordinazione
diventa capace di atti in persona Christi di cui i laici sono incapaci;
le principali sono la presenza eucaristica e l'assoluzione dei peccati. IL
tendenza della nuova teologia è quella di dissolvere il secondo sacerdozio
nella prima e ridurre il sacerdote allo stato comune del cristiano. Secondo
8ALESSANDRO MANZONI, Osservazioni sulla morale cattolica, ed. cit., vol. III, p.
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7.5. Sacerdozio universale e sacerdozio ordinato 153

Innovatori, il prete ha una funzione speciale, come tutto


cristiano nella variegata comunità della Chiesa.

Questa speciale funzione è conferita al sacerdote dalla comunità e non


comporta alcuna differenza ontologica rispetto al laico, né il ministero deve essere
considerato come qualcosa di superiore (CIDS, 1969, p. 488). La dignità del
sacerdote consiste nell'essere stato battezzato come ogni altro cristiano (CIDS,
1969, pag. 227). Si nega così la distinzione tra le essenze, rifiutando le
sacerdozio sacramentale e rendere il corpo della Chiesa (organico e
9
differenziato) un corpo omogeneo e uniforme. Nel libro di RS Bunnik,
buon esempio del pensiero prevalente nella Chiesa olandese e nei suoi
10
istituti di formazione teologica la tesi, viene svolta ex professo. Lui
il sacerdozio universale si impone come categoria fondamentale del popolo di Dio,
mentre il ministero particolare non è che una categoria funzionale e lo è
un bisogno sociologico che viene dal basso. Dal fatto che il sacerdozio
universale è il fondamento di quello particolare (è, poiché l'ordinando deve
essere battezzato), il teologo olandese prosegue negando che l'ordinazione situa
all'uomo su una base diversa da cui emanano atti impossibili per l'uomo
base battesimale, che fornisce una capacità attiva per determinati atti,
ma per altri concede solo una capacità passiva, come ricevere il
Eucaristia e ordine sacerdotale.

Il paralogismo sul sacerdozio si raddoppia con il paralogismo su


la posizione della Chiesa nel mondo. Così, dice che la Chiesa del Concilio
scopre progressivamente che, in ultima analisi, la Chiesa e il mondo
costituiscono un'unica e identica realtà divina. Ecco le essenze
dissolti e confusi: prima, quello del sacerdozio ordinato confuso con quello
del sacerdozio battesimale, e poi quello della Chiesa soprannaturale
theandrico confuso con la società universale del genere umano indifferenziato.

´
9
Inequivocabile e palese è la posizione di Mons. RIOBE, Vescovo di Orléans, che in un
comunicato della Conferenza episcopale francese pubblicato su Le Monde l'11 novembre
del 1972, propone l'istituzione di laici che esercitano su richiesta della comunità e
con il consenso del vescovo, anche solo temporaneamente, le funzioni del sacerdote
Ordinato
10 Priests of new times, tradotto dall'Olanda da Denise Moeyskens, Tournai
1969 (edizione originale in Ed. Casterman, Amsterdam 1969). I brani citati sono in
le pp. 64 e 43. La tesi che sostiene è quella di P. SCHILLEBEECKX.
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154 7. La crisi del sacerdozio

7.6. Critica dell'adagio ÿÿil prete è un uomo come


gli altriÿÿ

La confusione teologica è diventata un luogo comune dell'opinione popolare, in


parte causa e in parte effetto della dottrina di alcuni noti autori. Secondo questa
opinione, il prete è un uomo come gli altri. L'affermazione è superficiale e falsa, sia in
senso teologico che storico. In senso teologico, perché va contro il dogma del
sacramento dell'Ordine, che alcuni cristiani ricevono e altri no, differenziandosi così
ontologicamente e, quindi, funzionalmente.

In senso storico, perché nella comunità civile gli uomini non sono uguali, se non
nell'essenza: e ciò quando si contempla in astratto e non in concreto, dove si
differenzia. Dire che il sacerdote è un uomo come tutti gli altri (non sacerdoti) è ancora
più falso che dire che il medico è un uomo come tutti gli altri (non medici): non è un
uomo come tutti gli altri, è un uomo-sacerdote. Non tutti sono sacerdoti, così come
non tutti sono medici. Basta pensare al comportamento delle persone per rendersi
conto che ognuno distingue tra un medico e chi non lo è, o tra un prete e chi non lo è.
In alcuni guai chiamano il dottore, in altri il prete. Gli innovatori, puntando sull'identità
astratta della natura umana, rifiutano il carattere soprannaturalmente speciale
introdotto dal sacerdozio nella specie umana, grazie al quale il sacerdote è separato:
Segregate mihi Saulum et Barnabam (Separami da Bernab e Saulo) (At 13 , 2).

Da questo errore discendono i corollari pratici più comuni: oggi il sacerdote deve
applicarsi al lavoro manuale, perché solo nel lavoro può compiere il proprio destino
individuale e prendere coscienza anche della realtà umana in chi legge i disegni di Dio
sul mondo. Così il lavoro è considerato come il fine dell'uomo o la condizione sine
qua non di tale fine, ponendo la contemplazione e la sofferenza al di sotto della
produttività utilitaristica. D'altra parte, poiché il sacerdote è un uomo come gli altri,
rivendicherà il diritto al matrimonio, alla libertà nel modo di vestire, alla partecipazione
attiva alle lotte sociali e politiche; e così aderirà alla lotta rivoluzionaria, che fa di chi,
anche se è un ingiusto, un nemico contro il quale è fratello.

È infondato lamentarsi che il sacerdote sia segregato dal mondo.

In primo luogo perché è separato, come Cristo ha separato i suoi apostoli, proprio
per essere inviato nel mondo. E il plus introdotto dall'ordine sacramentale nell'uomo
separato era fino a tempi recenti come
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7.6. Critica dell'adagio ÿÿil prete è un uomo come gli altriÿÿ 155

ben noto a tutti che lo attestano anche espressioni popolari in volgare:


distinguono l'uomo-sacerdote dal suo sacerdozio, ed evitano di offendere il
sacerdote anche quando vogliono offendere l'uomo, sapendo differenziare
l'uomo dal suo abito ( preso come segno il sacerdozio) e ciò che amministra:
il sacro.
In secondo luogo, la separazione del clero dal mondo nel senso lamentato
dai novatori non trova riscontro nella storia.
Sia il cosiddetto clero secolare che quello regolare sono separati dal mondo,
ma nel mondo. E per dimostrare vittoriosamente che questa separazione dal
mondo non fa del clero qualcosa di estraneo ad esso, basta che sia lo stesso
clero regolare (il più separato del secolo: l'uomo del chiostro) a diffondere più
potentemente non solo i religiosi influenza, ma anche influenza civile nel
mondo.
Ha informato la civiltà per secoli; o meglio l'ha partorita, avendo originato
in essa le forme della cultura e del vivere civile, dall'agricoltura alla poesia,
dall'architettura alla filosofia, dalla musica alla teologia.

Riprendendo un'immagine spesso abusata e collocandola nel suo


significato legittimo, diremo che il clero è il lievito che fa germogliare la pasta,
ma senza diventarla. Inoltre, secondo i chimici, gli enzimi contengono un
principio antagonista alla sostanza che fermentano.
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156 7. La crisi del sacerdozio


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Cap'itulo 8

La Chiesa e i giovani

8.1. Variazione nella Chiesa postconciliare in tema


di giovani. Delicatezza dell'opera educativa

Anche altri aspetti della realtà umana sono visti con uno sguardo diverso
dalla Chiesa dopo il Concilio. C'era già un segno indiretto della nuova
considerazione della giovinezza nella deminutio capitis inflitta alla vecchiaia
nell'Ingravescentem aetatem di Paolo VI. Ma altri documenti esprimono
direttamente questo nuovo punto di vista.
Filosofia, morale, arte e buon senso, ab antiquo fino ai nostri tempi,
considerati la giovinezza come età di imperfezione naturale e di imperfezione
morale. Sant'Agostino, che nel sermone Ad iuvenes scrive flos aetatis,
periculum tentationis (PL 39, 1796), insistendo poi sull'imperfezione morale,
arriva a chiamare stoltezza e follia il desiderio di repuerascere.
Per la debolezza della sua ragione, non ancora consolidata, il giovane è
cereus in vitium flecti (Orazio, Ars poet., 163) e la sua minorità esige un
tutore, un consigliere e un maestro. Egli, infatti, ha bisogno di luce per
realizzare il destino morale della vita, nonché di aiuto concreto per
trasformarsi e plasmare le inclinazioni naturali della persona verso l'ordine razionale.
Questa idea è stata posta a fondamento della pedagogia cattolica da tutti i
grandi educatori, da san Benedetto da Norcia a sant'Ignazio di Loyola, da
san Giuseppe Calasanzio a san Giovanni Battista de La Salle o san Giovanni
Bosco.
Il giovane è un soggetto in possesso del libero arbitrio e deve essere
educato ad esercitarlo in modo tale che, scegliendo il compimento del dovere
(la religione non dà altro scopo alla vita), si determini verso quell'unum a scegliere il

157
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158 8. La Chiesa ei giovani

che ci è appunto data la libertà. La delicatezza dell'azione educativa deriva


dall'avere per oggetto un essere che è soggetto, e per fine la sua perfezione.
Insomma, è un'azione sulla libertà umana che non la limita, ma la produce.
Sotto questo aspetto, l'azione educativa è un'imitazione della causalità divina,
1
che secondo la teoria tomista produce l'azione libera dell'uomo proprio in
quanto libera.
La condotta della Chiesa nei confronti dei giovani non può quindi fare a
meno della contrapposizione tra i seguenti elementi correlativi: chi è imperfetto
davanti a chi è perfetto (relativamente, si intende), e chi non sa e quindi
apprende, prima di chi sa (relativamente, si intende si capisce). La differenza
tra le cose non può essere lasciata da parte e trattare i giovani come maturi,
gli abili come perfetti, i giovani come anziani e, in ultima analisi, i dipendenti
come indipendenti.

8.2. Caratteristiche della giovinezza. Critica della


vita come gioia
Anche per quanto riguarda la giovinezza, la profonda teoria tomista della
potenza e dell'atto funge da guida per lo studioso delle realtà umane,
sostenendolo nella ricerca delle caratteristiche essenziali di questa età della
vita e preservandolo dalla deviazione verso la quale le odierne opinioni
dominanti spingerlo.
Essendo la giovinezza una vita incipiente, è necessario che comprenda e
spieghi tutta la vita, vale a dire: il fine in cui deve realizzarsi la virtualità
dell'incipiente, e il modo in cui il potere deve essere dispiegato.
La vita è difficile, o se vuoi, seria. In primo luogo perché l'uomo è una natura
debole, in lotta con la sua finitezza in mezzo alla finitezza degli altri uomini e
alla finitezza delle cose (che tendono a invadersi a vicenda).

In secondo luogo (e questo è un fatto di fede cattolica) l'uomo è corrotto


e tende al male. E per cattive inclinazioni, la condizione della vita umana,
attratta da motivi opposti, è una condizione di milizia, o meglio di guerra, o
meglio ancora di assedio.
La vita è difficile, e le cose difficili sono le cose interessanti, perché
interessante è ciò che si trova all'interno dell'essenza (interesse-est), data
come potenza e che vuole uscire fuori ed esplicitarsi.
1
Anche secondo il molinismo si può dire che l'educazione è un'imitazione della causalità
divina, in quanto predispone circostanze favorevoli alla giusta scelta.
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8.3. I discorsi di Paolo VI ai giovani 159

L'uomo non deve realizzare se stesso (come spesso si dice), ma piuttosto


realizzare i valori per i quali è stato creato e che richiedono la sua
trasformazione. Ed è curioso che mentre la teologia postconciliare frequenti
la parola metanoia, che significa trasformazione della mente, ponga poi tanta
enfasi sull'autorealizzazione. Seguire il pendio è dolce; punire il proprio Sé
per modellarlo è duro. Tale asprezza era riconosciuta nella filosofia, nella
poesia gnomica, nella politica, nel mito. Tutto il bene si acquista o si conquista
a prezzo della fatica. Gli dèi, dice il saggio greco, hanno interposto il sudore
tra noi e la virtù, e Orazio afferma: multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit
(Ars poet. 413). Che la vita umana sia combattimento e fatica era un luogo
comune dell'antica educazione e la lettera epsilon ne divenne un simbolo, non
quella con due braccia ugualmente piegate, ma quella pitagorica con un
braccio dritto e uno piegato. L'antichità ha formato su di esso la famosissima
favola di Ercole al bivio.
Oggi la vita si presenta ai giovani, in modo velleitario, come gioia,
sostituendo la gioia della speranza che placa lo spirito in via alla gioia piena
che lo disseta solo in termo. La durezza della vita umana, descritta a volte
come una valle di lacrime nelle preghiere più frequenti, viene negata o
nascosta. E poiché con questo mutamento la felicità appare come lo stato
proprio dell'uomo, costituendo così qualcosa che gli è dovuto, l'ideale
consiste nel preparare ai giovani un cammino libero da ogni ostacolo e
strappo (Purg., XXXIII, 42).
Ecco perché ogni ostacolo che devono superare sembra ingiusto ai
giovani, e non considerano le barriere come una prova, ma come uno
scandalo. Gli adulti hanno abbandonato l'esercizio dell'autorità per compiacerli,
perché credono di non poter essere amati se non si comportano con dolcezza
e non assecondano i loro capricci. A loro è rivolto il monito del Profeta: Vae
quae consuunt pulvilos sub omni cubito manus et faciunt cervicalia sub
capite universae aetatis ad capiendas animas (Ez 13, 18).
2 .

8.3. I discorsi di Paolo VI ai giovani


Tutte le ragioni di questa giovinezza del mondo contemporaneo, condivise
dalla Chiesa, confluirono nel discorso dell'aprile 1971 a un gruppo di hippy
riuniti a Roma per manifestare per la pace. Il Papa elogia i valori segreti che
cercano i giovani, e li enumera.

2
Guai a chi cuce assorbenti per tutte le giunture delle braccia e fa
teste di tutte le taglie per teste, per cacciare le anime!
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160 8. La Chiesa ei giovani

In primo luogo, la spontaneità, che al Papa non sembra in contraddizione


con il tentativo di rivendicarla, nonostante che se la spontaneità è ricercata,
essa cessa di essere tale. Non gli sembra in contraddizione, nemmeno con la
morale, sebbene questa, perché è intenzionalità cosciente, si sovrapponga
alla spontaneità e possa contraddirla.
Il secondo valore della giovinezza è la liberazione da certi legami formali
e convenzionali. Il Papa non specifica cosa siano. Le forme, inoltre, sono
l'apparenza della sostanza: sono la sostanza stessa nella sua manifestazione,
nella sua presenza nel mondo. E ciò che è convenzionale è ciò che è stato
concordato, cioè ciò che è concordato, ed è buono se è un accordo su cose buone.
Il terzo è il bisogno di essere se stessi. Ma non è chiaro quale sia l'io che
il giovane deve realizzare e in cui riconoscersi: infatti, in una natura libera ce
ne sono una pluralità, modificabili in tutti i modi possibili. Il vero Sé non esige
che il giovane si realizzi in alcun modo, ma piuttosto che si trasformi e
addirittura diventi qualcosa al di là di se stesso. Inoltre, le parole del Vangelo
non ammettono interpretazioni: abneget semetipsum (rinuncia a te stesso)
(Lc 9,23). Il Papa stesso aveva esortato il giorno prima alla metanoia. Dove
siamo, allora?
Realizzare o trasformare?
Il quarto è l'impulso a vivere e interpretare il proprio tempo. Il Papa però
non dà ai giovani la chiave per interpretare il loro tempo; né fa notare che,
secondo la religione, nella brevità del proprio tempo, l'uomo non deve cercare
l'effimero, ma piuttosto il fine ultimo che rimane attraverso tutto ciò che è
effimero.
Avendo sviluppato il discorso senza alcuna spiegazione religiosa, Paolo
VI conclude un po' a sorpresa: Pensiamo che in questa tua ricerca interiore
tu percepisca il bisogno di Dio. In verità, qui il Papa parla in modo opinativo e
non magistrale.
La semiologia della gioventù fatta dal Papa nel discorso del 3 gennaio
1972 è ancor più nettamente antitetica a quella cattolica tradizionale. Il naturale
disinteresse per il passato, il facile temperamento critico, la lungimiranza
intuitiva sono descritti come qualità positive. Questi personaggi non
concordano con la vera psicologia della giovinezza e non sono positivi.
Separarsi dal passato è un'impossibilità morale, storica e religiosa: basti
dire che per il cristiano tutta la sua vita e il suo impegno di vita dipendono dal
battesimo, che è un antecedente; e il battesimo, a sua volta, della famiglia,
altro antecedente; e la famiglia, infine, della Chiesa, che ne costituisce l'ultimo
antecedente.
Che la giovinezza abbia un senso critico (cioè un giudizio di discernimento)
è difficile da sostenere se si riconosce l'evoluzione nella formazione dell'uomo,
se si distingue il momento dell'immaturità dal momento della maturità, e se si sostiene
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8.4. Maggiori informazioni sulla giovanilizzazione della Chiesa. vescovi svizzeri 161

che primitivamente il soggetto si trova in una situazione in cui deve diventare ciò che
non è ancora.
La preveggenza, infine, è qualcosa di nuovo in psicologia, che ha sempre
riconosciuto nel giovane un tardus preveggente (Orazio, Ars poeta. 164): qualcuno che
vede tardivamente non solo le vicende del mondo, ma anche la propria utilità. Infatti
temeritas est florentis aetatis, prudentia senes centis (Cicerone, De senectute, VI, 20).

Ma l'entusiasmo per Ebe porta il Pontefice a proclamare che voi potete essere
all'avanguardia profetica della causa congiunta della giustizia e della pace perché voi,
prima e più degli altri, avete il senso della giustizia, e tutti (i non giovani ) sono a tuo
favore: questi come triari, i giovani come avanguardie.

Non è difficile scoprire nel discorso giovanile di Paolo VI alla Città dei ragazzi una
singolare inversione di natura, per cui chi dovrebbe guidare è guidato, e l'immaturo è
un esempio per il maturo. L'attribuzione alla gioventù di un innato senso di giustizia
non trova fondamento in nessuna semiologia cattolica. Certamente lo shock del suo
spirito (contagiato dal suo temperamento giovanile) inclinò il Papa verso una dossologia
della giovinezza. Questa stessa inclinazione all'entusiasmo febico lo portò in un'altra
occasione a cambiare la lettera del testo sacro, leggendo i giovani dove sono scritti i
fanciulli (Mt 21, 15), a sostegno dell'affermazione secondo cui fu il giovane ad intuire la
divinità di Cristo (OR, 12 aprile 1976).

8.4. Maggiori informazioni sulla giovanilizzazione della Chiesa.


vescovi svizzeri
Per dimostrare che il culto di Ebe non è solo qualcosa di caratteristico del Papa,
ma che è diffuso in tutti gli ordini della Chiesa, non citerò le quasi infinite opere di
clero e laici, bensì un documento della Conferenza Episcopale Svizzera per la festa
nazionale del 1969. Si dice che la contestazione giovanile porti con sé valori di
autenticità, disponibilità, rispetto dell'uomo, rifiuto della mediocrità, denuncia
dell'oppressione: valori che, a ben guardare, si ritrovano in il Vangelo.

È facile apprezzare come i vescovi svizzeri pecchino di indeterminatezza logica.

L'autenticità in senso cattolico non consiste nel presentarsi come si è naturalmente,


ma nel fare se stessi come si dovrebbe essere: cioè, in ultima analisi, consiste
nell'umiltà.
La disponibilità è di per sé indifferente e sarà valutata come buona
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162 8. La Chiesa ei giovani

unicamente in funzione del bene al quale l'uomo è disponibile.


Il rispetto dell'uomo esclude il disprezzo del passato dell'uomo e il ripudio
della Chiesa storica. Il rifiuto della mediocrità, oltre che essere indeterminata
(mediocrità in cosa?), si contrappone alla saggezza antica, alla virtù della
rassegnazione e della povertà di spirito.
E che siamo in presenza di nuove mete umane e religiose è un'affermazione
che privilegia il nuovo come nuovo, e dimentica che non c'è altra nuova
creatura oltre a quella rifondata
´ dall'uomo-Dio, né altre mete diverse da quelli
da Lui prescritti. Vedere §§5.7-5.8. In seguito i vescovi si spingono fino ad
additare i giovani come segno dei tempi e come voce stessa di Dio davanti a
tutto il cristianesimo contemporaneo, ma quel composto di parole è assurdo
per l'eccesso dell'adulazione. ancora più assurda di quella della vox populi
vox Dei, perché fa di un movimento in gran parte sconsiderato un organo
della volontà divina e quasi un testo della Rivelazione divina.

Va anche contro il principio cattolico dell'umiltà e dell'obbedienza lodare il


fatto che i giovani vogliano essere protagonisti, poiché la Chiesa non è solo
per i giovani e non tutti possono prevalere: questa preminenza ignora i diritti
degli altri. Riconoscere gli altri è il principio della religione, a parte il principio
di giustizia.
Concludendo questa analisi del nuovo comportamento del mondo e della
Chiesa verso i giovani, noteremo che anche qui si è consumata un'alterazione
semantica, trasformando i termini paterno e paternalistico in termini
dispregiativi: come se l'educazione del padre ( come padre) non fossero un
ottimo esercizio di sapienza e di amore, e come se tutta la pedagogia con cui
Dio ha educato il figlio non fosse paterna del genere umano in cammino di
salvezza.
Come non vedere che in un sistema dove il valore si basa sull'autenticità
e sul rifiuto di ogni imitazione, il primo rifiuto sarà verso la dipendenza
paterna? Al di là degli eufemismi di clero e laicato, la verità è che la giovinezza
è uno stato di virtualità e imperfezione, e non può essere considerata uno
stato ideale o presa a modello.
Inoltre, il valore della giovinezza esiste in quanto è il futuro e la speranza
del futuro, in modo tale che diminuisce e scompare quando il futuro si realizza.
La favola di Ebe diventa la favola di Psiche. Se i giovani sono deificati,
sono portati al pessimismo, perché sono costretti a desiderare una
perpetuazione impossibile. La giovinezza è un progetto di non giovinezza, e
l'età matura non va modellata su di essa, ma sulla sapienza della maturità.
Nessuna età della vita ha una propria evoluzione verso un'altra età della vita,
propria o altrui, come modello. In realtà, il modello per ognuno è dato
dall'essenza deontologica dell'uomo, che va cercata e vissuta, ed è
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8.4. Maggiori informazioni sulla giovanilizzazione della Chiesa. vescovi svizzeri 163

identici per tutte le età della vita. Anche qui lo spirito della vertigine spinge il
dipendente verso l'indipendenza e l'insufficiente verso l'autosufficienza.
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164 8. La Chiesa ei giovani


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Cap'itulo 9

La Chiesa e la donna

9.1. Chiesa e femminismo


L'accomodamento della Chiesa al mondo manifestatosi nell'idolatria della
gioventù è evidente anche nel sostegno al femminismo, eretto fin dai suoi inizi
come sistema di emancipazione e di eguaglianza integrale della donna
rispetto all'uomo. Tuttavia, per motivi strettamente dogmatici, tale sostegno
non ha potuto raggiungere l'uguaglianza nel sacerdozio, sempre escluso dalla
Tradizione (che è una fonte dogmatica), e questa esclusione essendo un diritto
divino positivo.
Il messaggio del Concilio alle donne dell'8 dicembre 1965 era stato molto
riservato sulla questione della promozione della donna. Pur assicurando che
è giunto il tempo in cui si compie pienamente la vocazione della donna (n. 3),
questa vocazione è stata descritta in modo tradizionale come custodia della
casa, amore per le sorgenti della vita, senso della culla (n. 5). Il messaggio
esortava anche: trasmettete ai vostri figli e figlie le tradizioni dei vostri padri
(n. 6).
Sono stati chiarissimi i meriti della Chiesa, che si vanta di aver elevato e
liberato la donna, di aver fatto risplendere, nel corso dei secoli, nella diversità
dei caratteri, la sua innata uguaglianza con l'uomo. .

Lo sviluppo postconciliare si è generalmente discostato da questi termini,


esaltando non solo la conservazione dei valori tradizionali, ma anche le spinte
all'emancipazione e all'uguaglianza.
Come tutti gli altri principi di fede e di costume, l'impossibilità del
sacerdozio delle donne fu fermamente ribadita da Paolo VI nella lettera al
Primate anglicano (OR, 21 agosto 1971); ma per detta breviatio manus
caratteristica, come si è detto, del suo pontificato (§ 6.8),

165
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166 9. La Chiesa e le donne

le richieste femministe non sono state contraddette o efficacemente contenute


mente. Il III Congresso Mondiale per l'Apostolato dei Laici (Roma, ottobre
1967), tra altre istanze dottrinalmente errate e occulte
dal quotidiano della Santa Sede a conferma de facto del sentimento di
laici, giurarono che un serio studio dottrinale determinasse il
situazione delle donne nell'ordine sacramentale (OR, 21 ottobre 1967).
In Francia, un'associazione chiamata Giovanna d'Arco mira a
il sacerdozio delle donne, mentre negli Stati Uniti sussiste e opera
senza scandalo dall'episcopato una Convenzione nazionale dei religiosi
nordamericani che reclama l'ordinazione delle donne. L'audacia di questo movimento è
divenne evidente, con stupore del mondo, in occasione della visita di Juan
Paolo II in quel Paese, quando Suor Teresa Kane (Presidente della Convenzione)
affrontò inaspettatamente il Sommo Pontefice rivendicando il diritto di
donna al sacerdozio e invitando i cristiani ad abbandonare ogni aiuto al
Chiesa fintanto che tale diritto non fosse riconosciuto (ICI, n. 544, 1979, p. 41).
Anche alla Conferenza internazionale delle donne svoltasi a Copenaghen,
Mons. Cordes, delegato della Santa Sede, ha dichiarato che la Chiesa
Cattolico ora gioisce della sete di una vita pienamente umana e libera
che è all'origine del grande movimento di liberazione delle donne, il dare
capire che dopo duemila anni di cristianesimo questa vita è pienamente
L'umanità gli era stata negata troppo spesso. In effetti, non ancora
si può dire che la donna è accolta come Creatore e Cristo l'ha voluta, cioè da
se stessa come persona umana pienamente responsabile
(OR, ed. francese, 12 agosto 1980). La tendenza femminista circola attraverso il
Chiesa anche con ostentazioni clamorose, come quella del presidente
Gioventù Cattolica di Baviera, che durante la visita di Giovanni Paolo II ha rinnovato il
gesto dell'americano (Rl, 1980, p. 1057).
Due caratteristiche del pensiero innovativo sono chiaramente delineate nel
movimento: primo, l'adozione del vocabolario del femminismo; secondo,
la denigrazione della chiesa storica. In occasione di affrontare un vasto
pubblico femminile, Giovanni Paolo II ha condiviso la propria visione storica
del femminismo: è triste vedere come sono state le donne nel corso dei secoli
così umiliato e maltrattato (OR, 1 maggio 1979). E da queste parole
comprendono anche (sembra) i secoli cristiani, l'OR del 4 maggio ha cercato
di fare una distinzione difensiva, attribuendo all'incoerenza di
Cristiani, e non la Chiesa, le suddette ingiustizie e vessazioni contro i
donne.
Ma questo sotterfugio non è valido, poiché in tempi in cui tutti
civiltà è stata informata dallo spirito e dalle prescrizioni della Chiesa, non si
può togliere ad essa la responsabilità degli avvenimenti (I
Mi riferisco alle vicende in generale) di quei secoli; sì, può essere rimosso-
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9.2. Critica del femminismo. Femminismo come maschilismo 167

leggi, tuttavia, oggi, quando la società nel suo insieme ha apostatato dalla
religione e la rifiuta. Ed è curioso che mentre cerca di scusare la Chiesa per
le cose brutte del passato, le si rimproveri una crisi nata proprio dalla
defezione del mondo moderno da essa (§5.9).
La verità storica ci impedisce di sostenere la denigrazione della Chiesa
storica; piuttosto costringe a confutarlo. Il primo grande movimento
femminile organizzato è stato, nel nostro secolo, l'Azione Cattolica Femminile
suscitata da Benedetto XV, che in un'udienza concessa nel 1917 ne delineò
le motivazioni e le finalità: Le nuove condizioni dei tempi hanno allungato il
campo di attività della donna: un l'apostolato in mezzo al mondo è succeduto
per la donna quell'azione più intima e ristretta che svolgeva prima tra le mura
domestiche.
Di fronte alle antiche civiltà, che tenevano le donne nell'abiezione
attraverso il dispotismo maschile, la prostituzione sacra e il ripudio quasi ad
libitum, il cristianesimo le ha emancipate da quelle servitù esecrabili:
santificare e rendere inviolabile il matrimonio, stabilire l'uguaglianza
soprannaturale dell'uomo e della donna, esaltare la verginità e il matrimonio
al tempo stesso, e infine (vetta irraggiungibile per l'uomo), coronando e
inglobando al di sopra di sé la specie umana esaltando alla donna madre di
Dio.
Il diritto perpetuo ed inviolabile delle donne al matrimonio (derivato
dall'indissolubilità) fu difeso dai Romani Pontefici contro il dispotismo
maschile in occasioni famosissime. Non nego che nelle famose cause
dell'imperatore Lotario, Filippo Augusto (memoriale il grido di Ingeburga:
Cattiva Francia, cattiva Francia! Roma, Roma!), Enrico IV di Francia, Enrico
VIII d'Inghilterra, o Napoli, insieme ai principali motivo religioso di
indissolubilità, gli aspetti politici prevalgono contemporaneamente e
subordinatamente (o contrastano).
Ma non erano che cause secondarie, sempre superate dal fermo principio
della parità dei sessi nel matrimonio. Non c'è esempio nella storia, al di fuori
della Chiesa romana, di un sacerdozio che si eleva con tutta la sua forza
morale a difesa dei diritti della donna.

9.2. Critica del femminismo. femminismo co


il mio mascolinismo
C'è una parte della variazione avvenuta nei costumi e nelle disposizioni
del mondo moderno che, come necessaria conformazione del principio
cattolico ai mutevoli accidenti storici, non può non avere ripercussioni.
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168 9. La Chiesa e le donne

sulla vita della Chiesa: ogni variazione delle circostanze incide sempre sui
costumi, sulla mentalità, sui riti e sulle manifestazioni esterne della Chiesa;
ma sono solo variazioni circostanziali, cioè di atti e modi che circondano
l'essenza della vita cristiana, che mutano proprio per conservare ciò che è
identico, e non possono nuocerla.
Più difficile è discernere in che misura i mutamenti intervenuti in un dato
momento storico attaccano l'inizio, e in che misura lo amplificano e lo
sviluppano (§2.14); ed è compito della Chiesa custodire e nello stesso tempo
sviluppare il principio, temperando lo spirito esistenziale dell'età con lo spirito
essenziale della conservazione, come insegnava Paolo VI definendo la Chiesa
come intransigente conservatrice (OR , 23 gennaio 1972 ): non può estirpare
e disseccare la sua radice per impiantarsi in un'altra.
Anche nel femminismo la questione sta nel principio di dipendenza, che
si vuole indebolire per emancipare e slegare ciò che in natura e nella
Rivelazione è dato come dipendente e legato. Il cattolicesimo rifiuta ogni
dipendenza dell'uomo da un altro uomo.
Tuttavia professa quella dell'uomo rispetto alla propria essenza, cioè una
dipendenza che esclude il principio della creatività. Essendo essenze come
tali forme divine increate, ed essendo come esistenze di partecipazione di
quelle (messe in atto attraverso la creazione), in ultima analisi questa
dipendenza è rispetto al primo Essere. L'uomo consapevole di essa e capace
di assumerla compie un atto di obbedienza morale all'essere divino. La radice
dell'errore del femminismo moderno consiste nel fatto che, ignorando la
peculiarità della creatura femminile, non si è dedicato a rivendicare per la
donna ciò che le risulta proprio attraverso la contemplazione della natura
umana, ma piuttosto ciò che sembra appartenere alla natura umana
considerando il maschio. Il femminismo si riduce quindi ad una imitazione del
maschile, perdendo quelle caratteristiche raccolte dalla natura umana dalla
dualità dei generi. Sotto questo aspetto, il femminismo è un caso evidente di
abuso dell'astrazione, origine dell'egualitarismo; cerca di spogliare la persona
delle caratteristiche impresse dalla natura. In ultima analisi, non è
un'esaltazione della donna, ma un obliterazione del femminile e la sua totale
riduzione al maschile. La sua ultima evoluzione (come stiamo vedendo) è la
negazione del matrimonio e della famiglia, solennizzata da quella dualità. La
naturale uguaglianza dei sessi non ostacola la peculiarità delle donne e ne
mantiene il destino primario verso la vita interna della famiglia e verso funzioni
incomunicabili all'altro sesso.
L'Esortazione Apostolica Familiaris consortio del 15 dicembre 1981 di
Giovanni Paolo II, nella quale sono ripresi gli orientamenti prescritti dal Sinodo
dei Vescovi per la famiglia, dice al n. 23 che va sradicata la mentalità per cui
censetur honor mulieris magis ex opere foris facto
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9.2. Critica del femminismo. Femminismo come maschilismo 169

1
sorgere che da un domestico
Y en el n. 25 dichiara che la società deve essere organizzata in modo tale che le
mogli e le madri non siano costrette a lavorare all'estero, così come affinché le loro
famiglie possano vivere con dignità e prosperare anche quando concentrano tutte le
2
loro cure sulla propria .
famiglia. referencia en las oraciones por el S´ÿnodo de bispos sobre la familia: È
sicuramente così! È necessario che le famiglie della nostra epoca siano restituite al
3
loro stato originario. E allo stesso modo lo riconosco sor Teresa de Calcutta in
un'intervista al Giornale nuovo del 29 dicembre 1980: La mujer es el coraz´on de la
familia. Y si hoy tenemos grandes problemas se debe a que la mujer ya no es el coraz
´on de la familia, y cuando el ni˜no vuelve a casa ya no encuentra a su madre para
recibirlo
Pertanto, il femminismo è in realtà un mascolinismo, che erra nella direzione del
proprio movimento e non prende a modello il proprio prototipo, ma la mascolinità. Ad
esempio, quando si parla dell'emancipazione della donna dall'uomo, non si intende il
suo rispetto per lei, che lo obbliga alla fedeltà e alla castità coniugale, ma la sua
spinta alla licenziosità e ai costumi dell'uomo.

E nella sua forma più delirante, la rivendicazione dell'emancipazione conduce


questo innaturale egualitarismo non solo al ripudio di un'immaginaria inferiorità, ma
anche dei vantaggi che la civiltà riconosce al genere femminile.

Quindi, le considerazioni previste dalla legge nei confronti delle gestanti e del
puerperio, il divieto di imporre lavori pesanti alle donne, la pensione sociale per le
vedove (i vedovi non la percepiscono) e in generale ogni speciale tutela per le madri.
Tutto questo perché questa distribuzione tradizionale di compiti e doveri tra uomini e
donne indebolisce le donne nel mercato del lavoro. L'uguaglianza dei disuguali è
contraria alla varietà dell'essere creato; si scontra con il principio di contraddizione,
4
ma si fonda su una situazione di arroganza che rifiuta il proprio vantaggio se deriva
da una disparità ritenuta umiliante (quando invece è originalità e ricchezza).

1Si ritiene che la dignità della donna derivi più dal lavoro svolto fuori casa che da quello
domestico.
2Che le donne e le madri non siano infatti costrette a lavorare fuori casa, e che le loro
famiglie possano vivere dignitosamente e prosperare, anche quando dedicano tutte le loro
attenzioni alla propria famiglia.
3
È proprio così! È necessario che le famiglie del nostro tempo ritornino alla condizione iniziale

4Rapporto della Commissione federale per le questioni femminili, Berna 1980.


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170 9. La Chiesa e le donne

9.3. teologia femminista


La perdita dei veri nomi delle cose, l'erroneità dottrinale, il circusterismo
storico o la tendenza generale a seguire lo spirito del secolo, hanno anche
prodotto una teologia femminista. Questa teologia (contraddittoria anche
nella parola stessa, riferita al discorso attorno a Dio) include il soggetto
teologizzante nell'oggetto teologizzante, e fa della donna la luce sotto la quale
le cose della donna devono essere viste. Nella teologia autentica, la donna è
vista alla luce della Rivelazione e in relazione a Dio, che è il suo oggetto
formale.
Il giornale della Santa Sede non è stato risparmiato dalla teologia
femminista. Non mi riferisco al tentativo di eliminare il concetto di paternità
del Padre Nostro: tale tentativo deriva da un disgusto verso il genere
grammaticale maschile, comunemente privilegiato per esprimere l'eccellenza;
Spinta da una simile repulsione, la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha
sostituito la voce dell'uomo con la voce del popolo nella liturgia. Mi riferisco
all'OR del 1° dicembre 1978, dove si denigra la Chiesa storica, alla quale il
femminismo contemporaneo avrebbe rivelato i valori femminili dopo due
millenni, e dove il postulato delle donne cristiane si configura come una
5
richiesta di essere considerata persona e di conseguenza poter agire come
tale: come un essere che si compie e si esprime. Ovviamente, non sempre il
pensiero precede la parola, e per questo non sempre ciò che viene detto
riesce ad essere anche qualcosa di pensabile.
Che la Chiesa per due millenni abbia onorato, catechizzato, dato i
sacramenti, fatto soggetti di diritto e di canonizzazioni, esseri ai quali ha
negato di essere persona, è un semplice composto di parole, da cui semmai è
possibile decifrare è l'ignoranza dell'autore su cosa sia essere una persona,
cos'è la libertà, qual è il fine del cristiano e cos'è la Chiesa. Ancora più
6
temerario (Seminari e teología, aprile 1979) è il tentativo di una suora di
introdurre il genere femminile nella Santissima Trinità, trasformando lo Spirito
Santo in Spirito Santo. L'ignoranza storica incoraggia l'autore fino all'insolenza,
definendo la teoria trinitaria della teologia cattolica un'anomalia molto strana
e un errore colossale, non avendo capito che la terza persona della Santissima
Trinità è lo Spirito

5Questo è diventato un luogo comune, anzi molto comune. Non c'è discorso di sacerdoti
o laici sulla donna che non ritorni alla formula che la donna è finalmente diventata
persona e soggetto. Ad esempio ICI, n. 556, (1980), pag. 42, Le nouveau r´ole de la
femme dans la famille occidentale.
6Contro l'assurdità e l'empietà dell'articolo protestai con lettera del 3 dicembre 1978 al
direttore del giornale il quale, essendo tanquam modo genitus infans, ignorava la
tradizione di veridicità e cortesia del giornale vaticano e non si degnava di rispondere Me.
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9.4. La tradizione egualitaria della Chiesa 171

Santo; la voce ebraica tradotta in greco con un neutro e in latino con un


maschile sarebbe in realtà femminile, e lo Spirito Santo della nostra Vulgata
sarebbe una Madrina, uno Spirito Santo 7 .
Da una storia ottica, solo l'ignoranza può trovare nuova questa stravaganza
di lo spirito Santo. È già ricordata da Agobardo (PL. 104, 163) e fu professata
dagli eretici detti Osceni, che fecero della terza persona una donna e la
adorarono incarnata come Guillermina Boema.
Da un punto di vista teorico, le mostruosità logiche e biologiche causate da
questa stravaganza sono terrificanti. La Santissima Vergine (Mt 1, 18) sarebbe
coperta dall'ombra di un'entità di genere femminile, e così Gesù nascerebbe
da due donne. E se la terza persona è la Madre, in quanto procede dal Figlio,
si avrebbe l'assurdità di una madre originata dal figlio. Come si può vedere da
queste argomentazioni teologiche della suora, non scrivere è per lei molto più
difficile che scrivere.
Va anche notato che l'introduzione delle donne nella SS. una madre. Ma
quel brano parla della misericordia divina e dice che Dio è come una madre,
anzi che è madre, perché può una donna dimenticare il bambino che porta al
seno senza avere pietà del figlio del suo grembo? E se anche lei potesse
dimenticarlo, io non dimenticherei te (Is 49, 15). È una bella figura poetica che
non suppone l'esistenza della femminilità in Dio, ma piuttosto un'illimitata
misericordia divina sulla quale Giovanni Paolo II scrisse poi l'enciclica Dives
in misericordia. Giovanni Testori, scrittore convertito che non ha abbandonato
il vizio di amplificare tutto e di arrivare fino allo scandalo, è arrivato a scrivere
che la Vergine è entrata nella Trinità. In conclusione, è evidente che la teologia
femminista confonde attributi ad intra con attributi ad extra, e assegna alla
Trinità un carattere sessuale proprio solo dell'ordine creato, il quale, trasportato
all'ordine trinitario, dà luogo a conclusioni meramente equivoche.

9.4. La tradizione egualitaria della Chiesa


La tradizione egualitaria della Chiesa. Subordinazione e primato

7Va notato che questa teologia femminista all'interno del cattolicesimo è uno
dei punti in cui si cerca di avvicinarsi ai non cattolici. Nel documento finale
dell'assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese del 1983 a Vancouver si
raccolgono proposte non solo a favore del sacerdozio femminile, ma anche per
definire lo Spirito Santo come Dio madre . Vedi OR, 10 agosto 1983.
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172 9. La Chiesa e le donne

della donna
L'uguaglianza della donna con l'uomo (introdotta anche nella Trinità) è
meno accettabile della superiorità affermata dai giacobini; Lo hanno dedotto
dal racconto della Genesi, dove la donna è creata dopo l'uomo perché è una
creatura più perfetta che implica un grado più avanzato di attività creativa.
8 .

Ma tutto il femminismo si scontra con l'ordine naturale, che differenzia i


due generi e non li subordina unilateralmente, ma reciprocamente. Questa
distinzione armonica non è (come alcuni biologi osano sostenere) un effetto
puramente sociale che scomparirebbe o si invertirebbe con la scomparsa o
l'inversione delle tendenze sociali. Senza questa differenziazione, la natura
non sarebbe completa, perché è stata archetipicamente concepita in detta dualità.
Il senso di solitudine di Adamo è il senso profondo del proprio essere (che
fa appello alla totalità). Non intendo addentrarmi nell'aspetto metafisico della
dualità sessuale (dualità ordinata all'unità) né ho bisogno di evocare il mito
dell'androgino, intuizione dell'unione coniugale. Mi basterà ricordare che
essendo i sessi coordinati tra loro, questa subordinazione innegabilmente
9
procreazione o la naturale non suppone che l'identità alla fine (la
donazione personale nell'atto coniugale, ora non importa) presupponga tra i
due un uguaglianza assoluta.
Allo stesso modo, questa subordinazione non suppone che le funzioni
naturalmente differenziate dei due rispetto alle conseguenze e all'effetto di un
tale atto unitario siano moralmente e socialmente di pari valore. La dottrina
dell'inferiorità delle donne come masculus occasionatus (maschio castrato)
non è dottrina cattolica, ma lo è la coordinazione dei due disuguali in un'unità
equalizzante.
E nell'unità dei disuguali sono innegabili sia la subordinazione fisiologica
della donna sia la sua priorità psicologica nel senso inverso dell'ordine di
attrazione, poiché il polline della seduzione non l'uomo è attivo nel congresso
coniugale, è dopo essere stato soggiogato dalla sollecitazione nella fase di
aggressus.
A causa di questa reciprocità di subordinazioni, l'antica polemica (frequente
in letteratura) intorno alla maggiore forza amatoria di un sesso o dell'altro
perde ogni significato, e il caso di Messalina diventa puro aneddoto,

8Giacobini italiani, Bari 1964, vol. 11, P. 459, La causa delle donne (an´onimo).
9Che nell'atto unitivo l'uomo sia il principio attivo e la donna il passivo mi sembra una
verità riconosciuta fin dagli antichi e non sconosciuta ai moderni: il fiasco nell'esperienza
erotica esiste solo dalla parte dell'uomo, perché solo l'uomo ha parte attiva nella
consumazione carnale. Vedi STENDHAL, De l'amour, Par´ÿs, sa, nel capitolo dedicato al
Fiasco. In OVIDIO, Amorum III, VII, è la classica descrizione del fenomeno.
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9.5. La subordinazione delle donne nella tradizione cattolica 173

il caso contrastante del mitologico Ercole, e il celebre decreto della regina


10
d'Aragona. Ciò che è vero in questi fatti rifletterebbe solo predisposizioni
individuali, che non alterano la reciprocità di influenze a cui abbiamo fatto
riferimento.
Il primato della donna si esercita in modo peculiare nell'ambito strettamente
domestico, e Giovanni Paolo II si è esplicitamente allontanato dalle visioni
innovative nell'importante documento promulgato nel 1983 come Carta dei
diritti della famiglia. Il Papa insegna che il luogo naturale dove si esprime la
persona della donna è la famiglia, e la sua missione è l'educazione dei figli.
Lavorare fuori casa è un casino che deve essere sistemato.
L'arte. 10, sulla retribuzione da lavoro, stabilisce che essa sia tale da non
costringere le madri a lavorare fuori casa, a scapito della vita familiare e
soprattutto dell'educazione dei figli. E chiedendo preghiere per il Sinodo dei
Vescovi sulla famiglia, il Pontefice sembra avallare una restaurazione
dell'antico ordine familiare: Est profecta ita! Necesse est familae aetatis
nostrae ad pristinum statum revocentur. Necesse est Christum con sectentur.
Ma l'insegnamento papale fu ben presto smentito apertamente dal Congresso
delle donne cattoliche quando proclamò la tesi innovativa: nessuna donna
ritiene positivo rinunciare all'esperienza del lavoro fuori casa, né alcuna
considera di essere casalinga per tutta la vita vita (OR, 1 aprile 1984).

9.5. La subordinazione delle donne nella


tradizione cattolica
In senso religioso, sia l'uguaglianza che la subordinazione dei due generi
appartengono all'ordine soprannaturale. Secondo il racconto della Genesi (2,
21-2) cui allude san Paolo (1 Cor. 11, 8), la donna fu estratta dall'uomo per
separarlo dall'esperienza della solitudine, così che al risveglio dal sogno
mandato da Dio, si ritrovò maschio e femmina. La donna è quindi secondaria
rispetto all'uomo nella linea della creazione. È soggetta all'uomo, ma non
perché l'uomo sia il fine della donna. Il fine di entrambi è identico e superiore
a entrambi. San Paolo dice fermamente che rispetto alla fine non c'è maschio
e femmina (Gal 3,28), così come non c'è né Giudeo né Gentile, né libero né
schiavo. Non è che queste qualità non esistano con le loro differenze, ma
piuttosto che tutti i battezzati sono rivestiti dello stesso Cristo e come tali non

10Su Messalina, cfr. GIOVENALE VI, 128-130; a proposito di Ercole, STAZIONE,


Silv. III, 42; e quanto al decreto della regina, MONTAIGNE, Saggi (EDAF, Madrid
1971), lib. III, cap. V (Su alcuni versi di Virgilio), p. 847.
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174 9. La Chiesa e le donne

non c'è differenza tra loro.


Non c'è accettazione o eccezione di persone nell'ordine della grazia. Tutti sono
fatti membra di Cristo e informati di un'unità di vita. San Paolo però prescrive la
subordinazione delle donne, riprendendo così l'ordinamento primitivo della Genesi:
Mulieres, subditae estote viris sicut oportet in Domino (Donne, siate sottomesse ai
vostri mariti, come si conviene al Se ˜nor) (Col. 3, 18), dove il verbo originario è forse
tradotto peggio con un predicato nominale che con uno verbale riflessivo, perché il
significato più vicino al greco (sottomettere) è sottomettersi a se stessi. Ed è notevole
11
che il testo indichi anche il modo e il limite della soggezione, che deve essere in
Domino: cioè deve avere come norma la servitù dovuta a Dio, che è servitù liberatrice.
E se in Domino è legato con subditae stote, allora è indicato il motivo supremo della
sottomissione al marito, che non è certo il marito, ma il principio primo di ogni
obbedienza.

La libertà cristiana non è la liberazione da ogni ordine e subordinazione, ma la


scelta dell'ordine a cui sottomettersi. E come spiega Eph. 5:22, questa sottomissione
12
al marito è una sottomissione al Signore. Difficile ridurre la subordinazione delle
donne agli uomini a pure contingenze storiche, come si fa di solito, seguendo gli
schemi della storiografia marxista, come ogni questione e istituzione cattolica che
non piace al secolo.
Non ha origine solo nella legislazione divina degli inizi dell'umanità. Né si fonda
solo sulla diversità della natura dei due sessi, l'uno segnato dall'impronta delle virtù
di governo e mosso dall'istinto della procreazione, l'altro segnato dall'impronta della
dirigibilità e dell'adesione al marito.

È anche sottolineato dall'Apocalisse nel testo di I Cor. 11,3, in cui il carattere non
servile della sudditanza è assicurato da una gradazione di entità teologali, l'Apostolo
dicendo che ciò avviene perché capo di ogni maschio è Cristo, e dell'uomo, capo
della donna, e Dio , capo di Cristo.

La subordinazione si trova scolpita nella natura, non contemplandola nella sua


generica astrazione, ma riconoscendola con l'impronta dei due sessi. Negarne la
consistenza è ancora una volta l'effetto di un'astrazione viziosa e fallace, che, dopo
aver spogliato l'ente delle sue note specificanti e individuanti, si trova di fronte a
un'essenza generica.

11D'altra parte, non si può dimenticare quando Ef. 5, 21 dice che i coniugi sono
reciprocamente subordinati, come ammoniva Giovanni Paolo II nel suo discorso del 13
agosto 1982.
12Decisivo per questo scopo è Ef. 5, 24, dove la sottomissione della moglie al marito è
esemplificata da quella della Chiesa a Cristo: come la Chiesa si sottomette a Cristo,
così anche le donne ai loro mariti in tutte.
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9.6. Apologia della dottrina e della prassi della Chiesa riguardo alle donne 175

e lo prende come se fosse una realtà.


In verità lo è, ma non con quella forma astratta, bensì con quella
individuale e concreta. E presa l'astrazione come un dato di fatto, ne
derivano titoli di diritto, che invece derivano da fatti reali: ad esempio,
il diritto dell'operaio al suo salario non deriva dall'essere uomo, ma
dall'essere circostanziatamente lavoratore.
Si potrebbe sostenere che storicamente la posizione delle donne
nella Chiesa è stata talvolta di subordinazione, più di serva che di
compagna. In tal modo si potrebbero addurre alcuni giudizi degradanti
dei Padri della Chiesa (soprattutto della Chiesa greca) e alcune
discriminazioni liturgiche. Tra i primi c'è il famoso passo di Clemente
Alessandrino (Pedagogo 2): Ogni donna deve morire di vergogna al
pensiero di essere donna. Tra questi ultimi non si può includere
l'esclusione del sacerdozio, perché è di diritto divino positivo.
Una delle discriminazioni più visibili e note è stata l'esclusione delle
donne dal presbiterio, durata fino alla recente riforma liturgica, ma che
non può essere considerata discriminazione dovuta al sesso, poiché è
stata mantenuta (dal San Carlos, per esempio) anche rispetto ai sovrani;
esprimeva l'opposizione tra sacerdoti e laici, non tra uomini e donne.
Le discriminazioni che riguardano certamente il sesso sono però quelle
che nei secoli lontani gravavano più sulle donne che sugli uomini nella
penitenza imposta per lo stesso peccato, e quella che in certi cicli
allontanava le donne dall'Eucaristia.
Ma alcune di queste discriminazioni sono connesse con l'idea
(accolta anche nell'Antico Testamento) dell'impurità prodotta da certi
fatti fisiologici che si ritenevano inseparabili da una impurità morale,
nella quale invece sono in certi casi accomunati l'uomo e la donna .

9.6. Apologia della dottrina e della prassi della


Chiesa riguardo alle donne
Per dare un giudizio su questa presunta inferiorità delle donne nella
Chiesa, vanno tenute presenti due considerazioni.
La prima è che la disuguaglianza naturale di cui si parla al § 9.5 può
motivare un diverso riconoscimento di diritti che corrispondono ad
entrambi, e ciò senza che ciò pregiudichi quella superiore uguaglianza,
così chiaramente esaltata dallo stesso Clemente Alessandrino. Fede
unica e identica per l'uomo e per la donna; esiste per entrambi una sola
Chiesa, un solo pudore, un solo pudore. Uguali sono il cibo, il matrimonio, la respirazione,
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176 9. La Chiesa e le donne

vista, udito, conoscenza, speranza, obbedienza, amore, grazia,


salvezza, virtù (Pedagogus 1, 10). I diritti individuali di tutti
soggetto non derivano dalla sua essenza astratta (come fanno i commons),
ma dell'essenza esistenzialmente concretizzata e circostanziale: cioè di
i fatti.
Conviene anche considerare la storicità della Chiesa e la sua perfezione
sia in termini di cose da credere sia in termini di ciò che si può fare. Sì
Mentre l'ortodossia e l'ortoprassi sono immutabilmente date dall'inizio, sono
determinate, spiegate e specificate in una moltitudine di applicazioni.
che formano un processo temporaneo.
Per quanto riguarda l'ortodossia, ad esempio, è manifesto che il chiaro e
pieno della dignità e della purezza della Vergine è dopo la nozione indistinta
e perfezione che la Chiesa primitiva ebbe da lei e che la stessa
Apostoli. E13tralascio di parlare del dogma della grazia, dell'infallibilità
pontificale, dell'Assunzione, e di tanti altri punti di fede che la Chiesa del
Il Novecento la possiede in modo molto più esplicito e distinto rispetto alla Chiesa antica.
E quello che succede con l'ortodossia, succede con l'ortoprassi. Chiesa
Il cattolicesimo ha sempre mantenuto il principio dell'uguaglianza assiologica
e teleologica dei due generi, grazie al quale la distanza naturale (non quella provocata
dalla corruzione e dalla concupiscenza) e la comoda subordinazione si
risolvono
´ nell'eguaglianza.
Questo è l'elemento inamovibile della dottrina. Ma le conseguenze di
quelli di cui il principio è pregno vengono alla luce come risultato di uno sviluppo
storia dell'intelligenza, e le deduzioni che devono essere derivate flusso
a poco a poco attraverso ritardi e deviazioni; e soprattutto se si tratta di detrazioni
remoto, più difficile da trovare più alto è l'inizio.
La schiavitù, ad esempio, è superata dall'assoluta uguaglianza di
destino morale e filiazione spirituale dei cristiani, anche se il
la schiavitù è stata mantenuta nelle leggi civili.
Ma l'esigenza immanente di quell'uguaglianza richiede che essa scompaia. E
infatti la religione ha gradualmente sottratto la schiavitù anche alla sua sussistenza
nelle leggi civili.
Il parere sull'abiezione e lo svilimento delle donne ad opera di
la religione è diventata un luogo comune nelle pubblicazioni innovative;
ed è ampiamente condiviso dal concedente senza prova storica o
conclusioni filosofiche che le donne hanno avuto nei secoli passati uno status di oggetto,
è stato privato della personalità, e inoltre è da biasimare per non esserlo
14 .
hanno riflettuto sulla propria servitù e l'hanno accettata
13Non concedo la frase non plausibile secondo la quale gli Apostoli sapevano perfettamente
le verità di fede (poi gradualmente riconosciute), ma non le manifestarono.
14Ver el cuaderno Sulla condizione femminile de Vita e pensiero de mayo-agosto 1975.
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9.7. Elevazione delle donne nel cattolicesimo 177

La verità è che qui, come in molte altre parti del pensiero contemporaneo,
è stata usata una sineddoche storiografica (isolando una parte e prendendola
per il tutto). Ci sono momenti nel ciclo storico della Chiesa in cui, man mano
che i principi vengono oscurati, vengono messe in dubbio anche le
deduzioni logiche che se ne devono trarre. Così la prassi in primo luogo, e
poi in misura minore la teoria, cadono in deduzioni illegittime che il principio
rifiuta e condanna.
Ma all'inizio è necessario chiedergli conto delle sue legittime conseguenze,
non di quelle che le passioni dell'uomo estraggono arbitrariamente. Ora, i
secoli in cui la religione è stata più importante sono anche i secoli in cui la
dignità delle donne è stata riconosciuta e la loro influenza nel mondo è stata
maggiormente dispiegata.

9.7. Elevazione delle donne nel cattolicesimo


Tralascio le sante donne alle quali nelle sue lettere San Paolo tributa
nominalmente tanti onori. Trascuro la preminenza della Maddalena
nell'annuncio della Risurrezione. Non entro in un discorso che sarebbe quasi
infinito: quello dell'ordine delle vergini e delle vedove all'interno della
comunità ecclesiale, ordine la cui elevazione morale e religiosa è volutamente
celebrata da tutti i Padri, da Tertulliano a Sant'Agostino.
Il discorso, oltre che infinito, sarebbe difficile, perché la mentalità
moderna non ha ali per elevarsi a quel punto di vista in cui si apprezza il
pregevole e si ammira la squisitezza della virtù. Menzionerò comunque
l'importante ruolo svolto nell'evoluzione del mondo cristiano in Oriente e in
Occidente da donne virtuose sul trono imperiale, come Elena e Teodora II.
Più tardi (in tempi in cui la barbarie si riduceva alla mansuetudine e alla
civiltà), donne come Teodolinda, Clotilde o Radegunda ebbero più influenza
15 .
di qualsiasi donna moderna.

Questo assunto è professato fin dalle prime pagine e, inoltre, la sua trattazione è intrisa di
freudismo, marxismo e storicismo. Si citano autori eterodossi, si dimentica tutta la tradizione
cattolica, si ignorano sant'Agostino e san Tommaso. Anche la lingua è stravagante a causa di
circhi di ogni tipo. Vedi anche l'OR del 4 maggio 1979, dove ammette che le donne sono state
universalmente maltrattate in passato. In questo modo, quello che era un vero luogo comune (che
il cristianesimo elevasse la donna) cede a un falso luogo comune (che la sviliva).

15 È opportuno ricordare che vi furono donne che ebbero influenza nella vita di Atene, e che
Epicuro ammise le donne nella sua scuola. Pero la cosa causaba stupor, y todav´ÿa tres siglos
despu´es CICERON, De nat. deorum 1, 33, 93, alludendo agli scritti di Leonzio, discepolo di
Epicuro, scrisse: Leonzio osò scrivere contro Teofrasto, sapendo che si trattava di una
questione di parole e di soffitta, ma comunque... Este hecho no impide
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178 9. La Chiesa e le donne

Il miglioramento delle donne raggiunse un grado singolare nei monasteri


di Francia e Germania, sia nell'ordine della cultura intellettuale che nel
reggimento della comunità. Durante il periodo di massimo splendore
carolingio, il primo trattato di pedagogia fu scritto da una donna (Duoda), non da un uomo.
In seguito, nei grandi monasteri dove germogliarono tutte le forme di
civiltà, anche attraverso l'opera delle donne, la cultura raggiunse un'alta
perfezione. Eloísa (XIII secolo), badessa dello Spirito Santo, insegna alle sue
monache il greco e l'ebraico, rinnovando la didascalia di San Girolamo a Roma
ea Betlemme; Ildegarda (XII secolo), badessa di Bingen, scrive di storia
naturale e medicina; Roswitha, badessa di Gandersheim, compone commedie
latine e le fa rappresentare. Sono prove di un'uguale elevazione delle donne,
per nulla sporadiche. Particolare attenzione merita la partecipazione delle
donne alle assemblee medievali, dove hanno svolto un ruolo importante nel
promuovere l'attenuazione delle ostilità belliche e nell'introduzione delle
tregue di Dio. La misura in cui l'eguaglianza è stata avanzata risalta in modo
singolare nel fatto che nei monasteri gemelli di uomini e donne, più di una
volta il reggimento unitario della comunità è stato affidato a donne
16 .

Benché legata al titolo censuario, come fu legato quello degli uomini fino
al nostro secolo, la partecipazione delle donne alle assemblee comuni (le
uniche assemblee popolari del passato, con i grandi affari nazionali governati
dai sovrani) non fu rara fino al XIX secolo.
E solo lo svilimento della condizione femminile causato dall'avvento
dell'economia utilitaristica e industriale e dalla concomitante scristianizzazione
delle masse potrebbe determinare la riduzione della partecipazione politica
della donna. Ma va ricordato che le donne avevano diritto di voto nelle
comunità municipali dell'Austria, in Svizzera e anche nelle Legazioni pontificie.

La massima esaltazione con cui si esaltava la donna nel medioevo cristiano


avvenne con la poesia cortese, cui rimanda l'opera teorica di Andrea Capellano.

La poesia cortese rifletteva tutto un complesso di sentimenti e costumi


fondati sulla delicatezza del pensiero, sul rispetto e sulla fedeltà. L'amor
cortese si è forse smarrito sotto forma di disincarnata dilezione o, al contrario,
di opposta passione erotica; ma nel suo insieme è la prova del massimo

la diffusa abiezione della donna nelle società pagane, denunciata da tutti i Padri.

16Come gli uomini, nei monasteri le badesse esercitavano una giurisdizione quasi
episcopale: la totalità del legittimo governo spirituale e temporale nel proprio territorio.
Ver la importante obra de ADRIANA VALERIO, La questione femminile nei secoli X-XII, N
´apoles 1983.
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9.8. Il declino delle dogane 179

sentimento generato nella civiltà medievale dalla contemplazione del femminile.

Una vetta ancora più alta fu raggiunta dal motivo della donna angelica nella
scuola poetica siciliana e nel dolce stil nuovo. La Divina Commedia esalta il
femminile nella Vergine Maria e in Beatriz, e nelle donne benedette del preludio
come sublime processo di elevazione spirituale e virtù dell'uomo che gli
garantisce la salvezza.
Se non si ignora il valore della poesia in quei secoli, è impossibile ignorare
la dignità e l'esaltazione della donna operata dalla religione.

È vero che la separazione dell'amore dal rapporto personale e dal


matrimonio (determinato dall'esaltazione del femminile in sé) inclinava alla
deviazione neoplatonica incompatibile con il realismo cristiano, ma il fenomeno
testimonia inconfutabilmente che il cattolicesimo rimase fedele a una doppia
verità, adulterata dal femminismo moderno: che le donne sono assiologicamente
e teleologicamente uguali agli uomini, e allo stesso tempo disuguali, dovendo
vivere tale logica assiologica secondo la propria diversità.
Una nuova prova della parità che il cattolicesimo riconosce tra i due sessi
si ottiene dall'influenza che le donne di alto intelletto e veemente ispirazione
mistica.

Basta andare ai nomi di Sta. Catalina de Siena, Sta.


´ Juana de Arco, Sta.
Catalina de G´enova, o Sta. Teresa de Avila, per avere una dimostrazione più
che sufficiente di questa presenza del femminile in la Chiesa.

Le tante donne di grande carattere attivo che fondarono ordini religiosi e


compagnie o semplicemente indussero i Romani Pontefici a compagnie di
importanza universale (come nel secolo scorso mademoi selle Tamisier, che
promosse o con Pio IX i Congressi Eucaristici). E non menzioniamo tante
donne onorate dalla Chiesa con la canonizzazione, né quelle che essa adornò
neppure del titolo di Dottore della Chiesa, come avvenne con santa Caterina
da Siena e la spagnola santa Teresa.

9.8. Il declino delle dogane

Collegata alla deviazione sulla natura delle donne è la deviazione sugli atti
della sessualità. Per formarsi un giudizio corretto, va notato che in tutti i
comportamenti umani, ma soprattutto nei costumi, anche se è importante la
maggiore o minore frequenza degli eventi (senza tale frequenza non c'è
costume), ciò che conta in primo luogo è quali sono i fatti.
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180 9. La Chiesa e le donne

nella mentalità: cioè nel modo in cui la coscienza pubblica li giudica.

Quanto alla frequenza, nessuno nega che la spudoratezza sia oggi più
diffusa che in passato, quando gli eccessi erano fenomeni di strati ristretti e,
cosa ancora più importante, si cercava di nasconderli senza osare ostentarli.
Oggi sono diventati il volto delle nostre città. Si può dire che la modestia fu la
caratteristica generale dei secoli passati, mentre la sfacciataggine è la nostra;
e basta scorrere i trattati d'amore, i libri per l'educazione delle donne, i
provvedimenti civili e canonici e le Praxeis confessariorum (fonti primarie in
questo campo) per averne la certezza.

Al contrario, oggi le intimità mancano del vecchio velo viola del pudore e
vengono propagate, ostentate e comunicate anche sulle prime pagine dei
giornali di cui le persone si nutrono. Gli spettacoli (soprattutto il cinema)
hanno come tema d'elezione le questioni sessuali, e l'estetica, che dà loro un
supporto teorico, arriva a stabilire che la trasgressione del limite morale è una
condizione dell'arte. Da ciò segue una progressione puramente meccanica e
infinita dell'oscenità: dalla semplice fornicazione all'adulterio, dall'adulterio
alla sodomia, dalla sodomia all'incesto, dall'incesto all'incesto, sodomia,
bestialità, cropofagia, ecc.

Il fatto provato dei rapporti pubblici, per trovarli bisogna risalire ai cinici
e che sant'Agostino giudicò impossibili anche per motivi fisiologici, è forse la
prova suprema della realtà della concupiscenza contemporanea; A meno che
non venga superata dalle mostre internazionali di oggetti erotici, come quella
famosa di Copenaghen nel 1969, e la mostra internazionale di arte pornografica
inaugurata nel 1969 ad Amburgo dal Ministro della Cultura.

La Chiesa assunse ben presto una condotta indulgente nei confronti della
lussuria cinematografica. Ha soppresso dalla propria stampa l'indicazione
degli spettacoli da evitare, ha giustificato la soppressione argomentando che
la morale attuale è diversa dal pudico moralismo in cui non di rado è caduto
in passato, ha assegnato premi ad opere cinematografiche di clamoroso
impurità, e ha presentato il nuovo atteggiamento indulgente come un omaggio alla maturità del
Ma, come abbiamo detto, al di sopra dei fatti prevale il significato che essi
hanno nella mentalità degli uomini e le profonde e tacite persuasioni con cui
muovono i giudizi. Conviene, dunque, approfondire un po' il fenomeno del
pudore per dimostrare come l'attuale decadenza dei costumi derivi anche
dalla negazione delle nature e delle essenze.
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9.9. Filosofia del pudore. La vergogna della natura 181

9.9. Filosofia del pudore. La vergogna della natura

Lungi dall'essere un fenomeno sociale temporaneo ed evanescente


(riducibile alla psicologia e alla sociologia, come fanno i moderni), il
pudore è un fenomeno che arriva alla base della metafisica dell'uomo e
deve essere studiato in antropologia e teologia.
La vergogna è una specie del genere della vergogna: è la vergogna
intorno alle cose del sesso. La vergogna in genere è il sentimento che
accompagna la percezione di un difetto, e siccome il difetto può essere
nella natura o nella persona, c'è una vergogna naturale e una vergogna
morale.
La natura si vergogna dei propri difetti perché tutta la natura vuole
essere all'altezza dell'idea che ha di se stessa; e se per difetto congenito
o sopravvenuto è in dissonanza con esso, avverte del difetto e questo
avvertimento è accompagnato da un sentimento di vergogna causato da esso.
Poiché non c'è vera natura se non in un individuo, e quindi nessuna
natura difettosa se non in un individuo difettoso, la vergogna dell'uno
diventa la vergogna dell'altro.
Si obietterà che l'individuo non è colpevole e non può vergognarsi
dei difetti della sua natura. L'obiezione è superficiale. Non importa che
l'individuo non sia colpevole dei difetti della natura: la natura si vergogna
del proprio difetto nell'individuo. I fatti più comuni della vita lo
dimostrano.
Nessuno sano di mente presume o è indifferente di essere gobbo,
storpio o cieco. Nessuno considera normali questi difetti nell'uomo o in
se stesso come individuo. E non basta osservare che questi difetti sono
nell'individuo senza sua colpa per negare che l'individuo è difettoso ed
evitare la vergogna che la natura ne soffre.
Per questo è notevole il dolore e la vergogna vissuti dall'uomo a
causa della propria mortalità, vizio radicale della natura umana. Quel
sentimento, oscuramente o chiaramente vissuto, si estende dalla
mortalità alla malattia, alla vecchiaia, oa tutte le operazioni che
comportano la mortalità. Gli atti di nutrizione, generazione o defecazione
vengono compiuti dall'uomo tra muri già nascosti. Filosofi e grandi
poeti hanno fatto riferimento a questo arcano.
Epicuro (che tuttavia si applicò a spegnere nell'uomo l'orrore della
morte) parla dello sdegno dell'uomo per essere nato mortale (De rer.
nat. III, 884). Orazio sa che prima della morte l'uomo prova paura e
rabbia, perché la sente come una contraddizione con la propria natura:
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182 9. La Chiesa e le donne

con la paura e l'ira della morte (Epist 2, 2, 207).


Gabriele d'Annunzio aborrisce la vergogna della decrepitezza e della morte,
come l'antico Mimnermo. Che vergogna è questa, se l'uomo non è colpevole?

La vergogna è metafisica: è il disprezzo per la distruzione di un essere la cui


struttura originaria rifiuta la morte; è vergogna per un difetto che non è
dell'individuo in quanto tale, ma della natura. L'uomo non si vergogna né si
disprezza di non avere le ali (non avere le ali per lui non è un difetto), ma di non
essere immortale (la mortalità è un difetto).
La profondità del fenomeno del pudore si manifesta anche nella sua natura
involontaria. L'uomo arrossisce del proprio e del vagabondaggio altrui (Par.
XXVII, 32): anche suo malgrado, il suo volto si accende. Non è la persona che si
vergogna, ma la natura della persona. La fronte rugosa e il volto addolorato
sono, in tutte le nazioni, segni di tristezza.

9.10. La vergogna della persona. reich


Ma più profondo del pudore della natura è il pudore della persona,
che è vergogna per il difetto morale di cui la persona è causa.
La sua forma morale non è più un puro sentimento, ma un libero atto di
conoscenza del proprio difetto e di volontaria detestazione del volontario difetto,
cioè della colpa. Il fenomeno del pudore risulta essere ancora più profondo se
contemplato teologicamente. La libido è la disobbedienza più ampia che si
compie nell'uomo, disarmonica a causa della disobbedienza originaria.
Era certamente un'esagerazione, anzi un grave errore (popolare, però), fare del
persone colte Tuttavia, è vero 17 peccato carnale il peccato essenziale. non di
che la concupiscenza (anche se non coincide con il peccato) è il massimo
sintomo dello stato attuale dell'uomo, peccatore per natura. La sottomissione
della parte vedente e razionale alla parte cieca e istintiva dell'uomo è massima
nella consumazione carnale, che al suo apice costituisce un momento di delirio
e di perdita di coscienza, annullando la percezione, il significato stesso unitivo
dell'atto.
Considerata alla luce della religione, la vergogna del sesso appartiene alla
sfera profonda della realtà umana, e se viene banalizzata con pudore,
riducendola alla sfera meramente psicologica o sociologica, diventa nega tutto
il dramma dell'amore e il senso del combattimento morale.
Al contrario, è il segno della scissione provocata nella natura umana dal
peccato. A causa di una tale divisione, la volontà del governo diventa

17Nell'Inferno e nel Purgatorio dantesco i lussuriosi sono nel luogo più leggero
pietà, oltre che essere portatori di brutte colpe.
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9.11. Documenti episcopali sulla sessualità 183

governato, e ha bisogno di preservare la sua signoria morale con il combattimento perpetuo.


Non è incatenata alla lussuria, come voleva Lutero, ma alla lotta contro la
lussuria, e in questa lotta è vittoriosa; ma è una vittoria sempre in atto, poiché
in atto è il combattimento.
Pertanto, le dottrine moderne, nemiche del pudore, dimenticano il
combattimento e celebrano la lussuria come liberazione totale. Nella famosa
opera di Reich The Sexual Revolution (Ed. Roca, Messico 1976) si proclama
che la felicità dell'uomo consiste nel piacere sessuale, e quindi tutti gli
impedimenti alla libido devono essere rimossi in quanto costituiscono un impedimento alla felicità.
Poiché il divieto morale è il divieto supremo, poiché persiste nonostante
ogni trasgressione, riaffiorando con più impeto a ciascuna di esse,
l'emancipazione dal pudore si identifica con la felicità. Da ciò procede,
teoricamente, la negazione di ogni finalità e di ogni legge nell'attività sessuale,
e praticamente, l'abolizione del matrimonio, dei rapporti pubblici, dei municipi
innaturali, dei pammixis, o della minimizzazione dell'abbigliamento. Al fondo
dell'erotismo c'è un concetto spurio di libertà, secondo il quale il dipendente
ignora la dipendenza dall'idealità imperativa della legge inscritta nel fondo
della sua stessa natura.

9.11. Documenti episcopali sulla sessualità

Documenti episcopali sulla sessualità. Carta. Colombo.


vescovi tedeschi
Molti documenti episcopali sulla sessualità non hanno spessore religioso:
l'impudenza non è condannata in virtù della colpa morale che essa implica,
ma unicamente come disordine della meccanica vitale e come impedimento
allo sviluppo della personalità. Non compaiono ragioni teologiche, non si
stabilisce alcun nesso con il peccato originale, non si considera la scissione
tra l'uomo e la legge morale, non si adottano neppure i termini della castità e
del pudore.
La carta. Giovanni Colombo, arcivescovo di Milano, nell'omelia di
Pentecoste del 1971 sull'amore come unico principio dell'unione dei sessi,
non menziona né il fine generativo né la legge non conosce altra motivazione
della continenza che la maturazione della persona , al di fuori della quale la
sessualità diventa causa di freni psicologici e di aridità affettive, talvolta
irreparabili, e conseguentemente danneggia e deforma il processo di
maturazione personale (OR, 5 giugno 1971).
Anche la lettera pastorale dei vescovi della Germania (OR, 18 luglio 1973)
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184 9. La Chiesa e le donne

parte di un'antropologia che non è cattolica, perché afferma che la sessualità


informa tutta la nostra vita, e poiché corpo e anima sono un'unità, la nostra
sessualità ne determina anche la sensibilità e la fantasia, il nostro pensiero e
le nostre decisioni.
Volendo non aggravare le accuse, nel giudicare queste affermazioni dei
vescovi tedeschi voglio tener conto del circuiterismo teologico generale
dell'episcopato moderno, e quindi non prendere troppo rigorosamente i termini usati.
Ma l'antropologia sottostante qui è lontana dall'antropologia cattolica (in
nessuna delle sue scuole), secondo la quale sexus non est in anima (il sesso
non è nell'anima) (Summa theol. Supp. q. 39, a. 1).
La via di tutta la vita non è la sessualità, ma la razionalità. La definizione
classica, assunta nel IV Concilio Lateranense, è che anima razionalis est
forma sostanzialiis corporis, cioè il primo principio che dà l'essere all'intero
individuo umano.
Pertanto, dire che la sessualità determina il pensiero e le decisioni della
volontà è ´un'affermazione contraria alla spiritualità dell'uomo. Questa consiste
propriamente nel fatto che l'anima che informa il corpo è un'attualità che o è
non si esaurisce informando il corpo, ma sussiste come forma. Da questa
emergente facoltà della materia nasce l'attitudine all'universale, e con essa la
libera scelta, che raggiunge l'universalità del bene e non si limita solo ai
termini del particolare. Se la sessualità determina la decisione, la decisione
non può essere libera Più tardi, in un passaggio del 18 .
documento, si invertono l'etica e l'ascetica del pudore; Si tratta di quello
in cui, condannando le relazioni prematrimoniali, si abbandona la cautela
(così predicata in passato) sulle prossime occasioni di peccato, e si difende
la familiarità tra i sessi, come se il mettersi in tentazione fosse un sintomo di
maturità morale.
Anche se rimane il pericolo che questi incontri conducano a rapporti
sessuali e legami prematuri, non è giusto rifiutare o cercare di evitare questo
piccolo progresso nella maturazione della capacità di amare degli uomini.

Si evitano implicitamente due principi morali della Chiesa.


La prima è teologica: poiché la natura ha perso la sua integrità a causa del
peccato originale, e di conseguenza la parte più alta dell'uomo ha perso la
sua signoria, la debolezza di fronte alle sollecitazioni sessuali è la condizione
delle stesse dell'uomo. Il secondo punto è propriamente morale: certo,
accostarsi al peccato senza cadervi non significa essere caduti in quel peccato.

18 A questo proposito si potrebbe dire che la facoltà sensitiva, la facoltà nutritiva


e la facoltà respiratoria informano tutta la vita. Non è così, anzi lo integrano con più
gradi assiologici di cui quello che caratterizza l'uomo è quello razionale.
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9.11. Documenti episcopali sulla sessualità 185

peccato; e non è peccato per questo motivo, ma per l'orgoglio e la presunzione


di non cadere, impliciti nella condotta di chi assume una forza morale capace
di controbilanciare ogni impulso contrario alla legge. La massima salus mea
in fuga, che fu presieduta dall'ascetismo cattolico, sembra qui dimenticata e
rimandata all'idea della maturità personale e dell'educazione all'amore.
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186 9. La Chiesa e le donne


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Cap'itulo 10

Somatolatria e penitenza

10.1. Somatolatria moderna e Chiesa


Sebbene la sessualità sia spesso considerata come la forma stessa
della persona umana, è molto più generale sostenere il culto della corporeità, convertito
dalla civiltà contemporanea in una parte significativa della vita dell'uomo. So benissimo
che il culto del vigore e della bellezza della persona era uno dei legami che univano le
città elleniche nell'antichità nelle amphictiones, e che esse ricevevano la loro manfiction
nelle feste nazionali come alta esaltazione. Ma vi concorreva tutta la cultura della stirpe
greca, e i poeti, gli storici, i drammaturghi non furono meno incoronati degli atleti della
corsa o del canestro: non c'è tuttavia Pindaro tra i campioni contemporanei.

Gli atteggiamenti oggi detti sportivi facevano parte (indubbiamente importante, ma


pur sempre parte) dei valori celebrati in quei giochi; Pur sapendo questo, non si può
ignorare che la stima verso tali valori di de scomparve non appena furono separati dal
compound in cui erano integrati, e che la pura professione dello sport fu disprezzata dai
filosofi e oggetto di scherno nella commedia S´eneca, in Epist. ad Lucilium 88, 19, parla
con disprezzo di atleti quorum corpora in sagina, animi in macie; Epitteto sentenzia che
abiecti animi esse studio corporis et veterno sunt; Persio III, 86 anni, si fa beffe della
1
attribuisce alla giovinezza muscolosa; e Plutarco, nelle Quaestiones Romanae,
2 ´immorari ginnastica il declino della Grecia. Nella tradizione della pedagogia cattolica,
la cura del corpo faceva parte delle virtù dell'esercizio e della prontezza, ed era confusa
(dal punto di vista medico) con l'igiene. Nel diffusissimo Manuale dell´educazione

1Il cui corpo è pieno di vigore e la cui anima è emaciata e intorpidita


2È caratteristico di uno spirito abietto dedicare troppo tempo alla cura del corpo

187
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188 10. Somatolatria e penitenza

umana (Milano 1834) di don Antonio Fontana, direttore generale della pubblica
istruzione nel Lombardo-Veneto, questa indistinzione è ancora percepibile: dei
quattro libri che lo compongono, uno intero è dedicato all'educazione fisica;
ma sotto quel titolo si tratta del cibo, del sonno, della pulizia, e un solo capitolo,
Degli esercizi della persona, si occupa dell'educazione fisica.
La specializzazione nelle discipline, l'elevazione dell'esercizio corporeo a
forma speciale di attività umana, e infine la sua celebrazione e apoteosi, sono
un fenomeno dell'ultimo mezzo secolo.
Lo sport riempie la vita degli atleti professionisti, occupa gran parte
dell'attività e quasi completamente l'umore dei giovani, e ha invaso la mentalità
di enormi masse per le quali non è un esercizio, ma piuttosto una fonte di
divertimento. competizione e rivalità.
I giornali dedicano abitualmente un terzo del loro spazio allo sport, hanno
creato uno stile di metafore magniloquenti per descrivere le competizioni,
esaltare imprese ed eroi con le forme dell'epopea, e confondere la vittoria in
una partita con la conquista della perfezione
persona.
Quando due pugili si incontrarono per il campionato del mondo nel 1971
con esplosioni di bestialità che equivalevano a un insulto personale, i giornalisti
sportivi (alcuni dei quali estremamente talentuosi) adottarono le parole stile e
persino filosofia per riferirsi alle varie forme di quella rabbia solo semi omicida;
Pertanto, hanno profanato quelle parole in modo simile a come fanno con
quelle di speculazione e discussione per riferirsi allo sviluppo di un gioco sul
campo di calcio.
Magistrati e autorità esaltano in occasioni speciali il significato spirituale
dello sport e proclamano che, oltre a un susseguirsi di azioni disciplinari
finalizzate ad un fine altissimo, lo sport ha valore di nobile gara del pensiero
civile, e di fronte all'odio che divide i popoli , solo lo sport può riconciliarli e
3 .
unirli
Questa esorbitanza dello sport oltre il suo scopo naturale, attribuendosi la
dignità di forza spirituale, non è stata efficacemente confutata dalla Chiesa;
quasi ammettendo l'accusa ingiusta e fatale di distruggere il vigore delle
membra con il tarlo dello spirito, temeva di non condividere (o che gli pareva
di farlo) l'esaltazione del fisico e... movimento somatol'atrico del secolo; come
se un tale movimento avesse bisogno del suo aiuto, e la passione sportiva non
fosse già sufficientemente accesa tra gli uomini! L'unico segno della permanenza
della Chiesa nel suo atteggiamento di riservata approvazione è il

3Queste le parole del sindaco di una città svizzera all'inaugurazione del campo sportivo.
Anche GIOVANNI PAOLO II, ricevendo i calciatori varesini, parlò di questo sport come di
una nobile attività umana (OR, 5 dicembre 1982)
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10.2. Lo sport come perfezione della persona 189

assenza di una sezione sportiva dell'Osservatore Romano. Ma la gerarchia si


è spostata su posizioni di lode e partecipazione.
Nei tempi moderni ci sono sempre state associazioni sportive e ginniche
che si riunivano sotto il vessillo cattolico; ma l'allusione alla religione era
quella generica allusione possibile in ogni attività onesta. C'erano banche
cattoliche, leghe agrarie cattoliche, ecc., ma erano più cattoliche nelle banche
e nelle leghe che nelle banche e leghe cattoliche.

10.2. Lo sport come perfezione del per


all'estremità

I motivi principali del battesimo concesso dalla Chiesa al culto del corpo
sono due. Primo: la presenza corporea perseguita con esercizi sportivi è
condizione di equilibrio e perfezione della persona.
Secondo: al reunir a grandes moltitudini diferenciadas por la lengua, el modo
de vivir o la constituci´on pol´ÿtica, las competiciones deportivas
contribuiscono al mutuo conocimiento de las gentes ya la formaci´on de un
esp´ÿritu de frater nidad mundial. Ecco come descrive questi due motivi di
Gioia e Speranza: Le azioni sportive manifeste forniscono lo slancio per
stabilire l'equilibrio emotivo e le relazioni fraterne tra persone di tutte le
4
condizioni, nazioni .
o razze diverse. de 1952 en el Congreso cient´ÿfico nacional del deporte

5
.
Le attività dell'uomo sono qualificate dalla loro prossima fine; Lo sport
non appartiene alla sfera della religione, ma sebbene la conservazione e lo
sviluppo del vigore fisico siano il fine successivo dell'esercizio fisico, tale
fine è ordinato al fine ultimo di tutti i fini primari. Dio. Il Papa fa notare che tra
le mete prossime dello sport c'è il controllo sempre più agile della volontà
sullo strumento ad essa annesso: il corpo. Ma il corpo che diventa oggetto di
sport è il corpo della morte destinato ad essere restituito alla corrente della
mortalità biologica, mentre il corpo integrato nel destino soprannaturale
dell'uomo è lo stesso, ma rivestito di immortalità (a cui nulla aggiunge il
vigore qui di seguito acquisita).

4
... eventi sportivi, che aiutano a preservare l'equilibrio spirituale anche nel pubblico, e a stabilire
rapporti fraterni tra uomini di tutte le classi, nazioni
e gare.
5Vite. il citato volume dei Discorsi ai medici, Roma 1959, pp. 215 e segg.
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190 10. Somatolatria e penitenza

Qui noterò di sfuggita quanto sia falsa l'idea che l'esercizio del corpo di per sé
produca salute morale. Questa falsità era già stata denunciata dagli antichi. La frase
di Giovenale mens sana in corpore sano, che è stata mutilata nel linguaggio colloquiale,
è in realtà una confutazione del significato attribuitogli. Non dice che un corpo sano
implica una mente sana, ma piuttosto che dobbiamo pregare gli dèi di darci l'uno e
l'altro: Orandum est ut sit mens sana in corpore sano (Sat. X, 356). Lo sport è soggetto
alla legge ascetica che esige l'ordinamento razionale della totalità dell'uomo; l'uso
intensivo del vigore fisico non può essere la fine dello sport: se si emancipa
dall'austerità (cioè dal dominio dello spirito sulle membra), lo sport scatena gli istinti
attraverso la violenza o le seduzioni della sensualità.

La consapevolezza della propria forza corporea e il successo agonistico non sono


l'elemento principale dell'attività umana (sono aiuti apprezzabili, anche se non
indispensabili), né un'assoluta necessità morale, tanto meno uno scopo nella vita.

Tuttavia, lo stravolgimento generale del giudizio delle masse su questo punto era
tale che il Papa ha ritenuto suo dovere riaffermare che nessun uomo viene sminuito
nella sua realtà umana dal fatto di non essere adatto allo sport.
Data l'unità della persona, definita dalla sua parte superiore, non si può parlare di una
personalità fisica e di una personalità spirituale. Anche chi non può praticare sport
realizza un misterioso disegno individuale di Dio
6 .

Ma questa riservatezza davanti allo sport imposta dalla ragione teologica, che
distingue la forza fisica dalla perfezione della persona, viene spesso abbandonata
sotto l'influsso dell'entusiasmo delle folle. Quando ebbe luogo quel violento
combattimento di cui abbiamo parlato, l'OR del 20 marzo 1971 (col titolo La folgorante
vittoria dei pugni) scriveva che l'interesse universale per un simile evento poteva
essere considerato in un certo senso positivo perché nonostante tutto l'umanità ha
ancora la possibilità di reagire, di concentrarsi su un valore o un evento considerato
tale.
È come se per l'articolista il grado di attività morale dell'uomo fosse misurato solo
dal suo attivismo, e dedicarsi a un valore oa un presunto valore avesse lo stesso
carattere positivo. È l'eresia del dinamismo moderno, per il quale l'azione vale di per
sé indipendentemente dal suo oggetto e dal suo fine. È il dinamismo che porta l'autore
a paragonare l'interesse mondiale per l'evento di pugilato con quello della conquista
della Luna nel 1969,

6 Quanto sia avanzata la mentalità somatolarica dopo quel discorso, lo si vede


dal fatto che oggi sembra che gli invalidi vengano ingiustamente privati della loro
perfezione di persone se non praticano sport.
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10.3. Lo sport come stimolo alla fraternità 191

concludendo che il pugilato rappresenta un grande momento della vita,


con l'unica riserva di non assolutizzarlo.
Ma è fin troppo evidente che tale riserva riguardi lo sport come idea di
iperuranio, e non si riferisca alla realtà dello sport nel mondo: tende alla
sua apoteosi, dalla quale la Chiesa non vuole prendere le distanze
condannandolo.

10.3. Lo sport come stimolo alla fratellanza

Non meno fallace è la seconda motivazione della moderna somatolatria,


secondo la quale lo sport favorisce non solo il dominio dello spirito sui
membri, ma anche le virtù della lealtà e del rispetto tra i membri degli
uomini, e quindi contribuisce alla concordia tra le nazioni. Non nego che
la forma agonistica dello sport presupponga una disciplina di obbedienza
alle regole della competizione, generalmente osservate. In realtà, tale
ordine prescritto all'azione in gara è condizione della sua stessa esistenza,
come per ogni azione alla quale partecipino più soggetti: se i concorrenti
non le osservassero, l'attività sportiva sarebbe impossibile.
Ma a questa comune affermazione si oppongono situazioni di frode,
violenza e intolleranza.
Di truffa, come nel 1955 in Italia, quando intere squadre di calcio furono
retrocesse per aver corrotto giocatori di squadre avversarie per farli
vincere; e quelle ancora più estese del 1980, sollevate davanti alla
cosiddetta magistratura sportiva.
Di violenza, come nell'incontro dell'ottobre 1953 tra Austria e Jugoslavia,
che diede luogo a una richiesta diplomatica di scuse; a Belfast nel
dicembre 1957, dove i giocatori della squadra italiana furono assaliti dalla
folla e dovettero essere protetti dalla Polizia; e allo stadio di Lima nel 1964,
con decine di morti calpestati dalla folla infuriata dopo la partita con
l'Argentina.
D'altra parte, nel maggio 1984 i ministri dello sport di ventidue paesi
europei si sono incontrati a Malta per cercare un rimedio alla violenza negli
stadi e alle frodi nelle competizioni.
E quanto al sentimento di rispetto per la persona umana, non vorrei
ricordare (anche se devo) come nel giugno 1955 a Le Mans, dopo che un
veicolo uscì di pista provocando una strage di spettatori, ottanta morti
non bastarono a impedire la competizione mortale dal continuare. Infine,
c'è un fatto il cui incredibile carattere dimostra il ventaglio
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192 10. Somatolatria e penitenza

dell'odio nazionale e civile dovuto allo sport: la guerra durata diverse


settimane tra San Salvador e Honduras (con decine di morti e centinaia di
esuli) a causa di una partita di calcio (RI, 1969, p. 659). .

Tuttavia il card. Dell'Acqua, vicario del Papa per la Città, elogiava lo sport
in OR del 20 febbraio 1965 e con mediocri argomentazioni vedeva nella parola
sport un acronimo di Salute, Pace, Ordine, Religione e Tenacia.
Il documento più rilevante del sostegno della Chiesa allo spirito
somatolatrico del secolo è il discorso di Paolo VI ai XX Giochi Olimpici di
Monaco, tragicamente smentito poi dagli atroci avvenimenti che conclusero
quei giochi.
Il discorso inizia con una dossologia della giovinezza sana, forte, agile e
bella, risorta dall'antica forma dell'umanesimo classico, insuperata per
eleganza ed energia; giovani ubriachi del proprio gioco nel godimento di
un'attività fine a se stessa, svincolati dalle leggi meschine e utilitaristiche del
lavoro quotidiano, leali e gioiosi nelle più diverse competizioni che intendono
produrre, e non offendere, all'amicizia . Il Papa passa poi alla consueta
celebrazione della giovinezza come immagine e speranza di un mondo nuovo
e ideale in cui il sentimento della fratellanza e dell'ordine ci rivela finalmente
la pace. E proclama felici i giovani perché sono in cammino verso l'alto. Su
questo punto il Papa non può abrogare o abrogare la dottrina cattolica, e
conclude così che lo sport deve essere impulso verso la pienezza dell'uomo e
tendere a superare se stesso per raggiungere i livelli trascendenti di quella
stessa natura umana, alla quale non ha conferito una perfezione statica, ma
orientata alla perfezione totale. Il discorso terminava con una citazione del
ciclista Eddy Merckx.
Questa dossologia dello sport è in sintonia con l'affermazione di Avery
Brundage, presidente del Comitato olimpico internazionale, che esplicita il
significato teologico e parateologico del discorso di Paolo VI. Scomparsa in
virtù dei fatti la debole riserva del Papa sul carattere non ultimo dell'ideale
sportivo, l'attività sportiva può ben simulare un'assiologia religiosa o quasi
religiosa. L'olimpismo, quindi dice Lord Brundage, è la più grande religione
del nostro tempo, una religione che porta in sé il nucleo di tutte le altre (OR,
27 luglio 1972).
Analizzando il discorso papale, si trova che delle quattro qualità di cui il
Pontefice adorna la giovinezza, nessuna (e meno di nessuna la bellezza)
esprime un valore morale: o ciò che è lo stesso, una virtù.
In secondo luogo, non può essere oggetto di soddisfazione che la gioventù
sembri ubriaca del proprio gioco, perché la religione esclude ogni eccesso e
ogni ubriachezza (tranne la sobria ubriachezza dello Spirito Santo). E questo
svilimento del lavoro (apparentemente incatenato a leggi utilitaristiche) sembra dimenticare che
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10.4. La somatolatria nei fatti 193

Il lavoro è un'attività essenzialmente morale in cui si esplicitano molte virtù.

Né rientra nella concezione cattolica, che non concepisce alcuna attività


umana fine a se stessa, prendere lo sport come fine a se stesso quando
nemmeno l'uomo lo è. Non è ammissibile identificare la felicità dei giovani con
la via del successo, né il progresso nello sport può essere visto come
progresso umano: tutt'al più, secondo la distinzione di san Tommaso,
progresso dell'uomo. Né lo sport può superare se stesso e raggiungere livelli
trascendenti, poiché non può uscire dalla propria essenza e non appartiene
alla linea dello sviluppo spirituale dell'uomo.
Insomma, l'affermazione dell'epilogo secondo cui lo sport non è tutto nella
vita è assolutamente vera, né costituisce una religione. Ma con questa smentita
non è più possibile riconoscere nello sport alcuna peculiarità morale; Tutte le
attività della vita, in quanto capaci di entrare in una finalità morale mediante
l'opera della volontà, sono, come lo sport, una categoria di perfezione: ma non
proprio di per sé, bensì mediante l'opera della volontà morale. Bisogna fare
attenzione a non confondere le essenze ea non considerare lo sport come una
forma di spiritualità. L'OR del 1° gennaio 1972, non aveva quella cura, dove si
legge: Lo sport beneficia del mistero pasquale e diventa strumento di
elevazione. Non essendoci assolutamente alcun possibile riferimento
nell'Apocalisse ad un'attività sportiva di Cristo, con un'operazione confusa e
circense si tenta almeno di introdurre lo sport nel mistero pasquale.

10.4. La somatolatria nei fatti


La dossologia dello sport, tipica del mondo moderno e accettata in parte o
nella sua interezza dalla Chiesa, ha ricevuto una netta contraddizione con gli
eventi delle Olimpiadi di Monaco del 1972, e proprio rispetto allo spirito di
filantropia e di amore internazionale che lo sport farebbe crescere gli uomini.
Sui sentimenti di 7filantropia e di umanità prevalevano in quei Giochi le passioni
dell'oltraggio nella lotta e gli odi nazionali. Non insisto sul fatto che nella
concezione originaria del barone De Coubertin le Olimpiadi fossero una
competizione tra individui e non tra Stati, mentre ora la vittoria dell'atleta è
sempre sofferta e glorificata come la vittoria della Russia, dagli Stati Uniti ,
dall'Italia, ecc. Durante lo svolgimento della competizione, le masse che
urlano, fischiano o canticchiano dividono gli animi e suppongono l'esistenza
di animi divisi. in quanto

7Gli Stati Uniti non hanno partecipato alle Olimpiadi di Mosca del 1980 e l'Unione Sovietica non
ha partecipato alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984.
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194 10. Somatolatria e penitenza

Per quanto riguarda la lealtà, diciotto giudici sono stati rimossi per aver mostrato
pregiudizi nei confronti dei loro atleti preferiti e molti atleti sono stati esclusi dalla
competizione per l'uso di stimolanti chimici e rinvigorenti proibiti.

Ma la contraddizione che ha terrorizzato il mondo è stata l'atroce e infida strage


della squadra israeliana da parte dei terroristi palestinesi, con la conseguente ed
esecrabile decisione di non cancellare le Olimpiadi. Il motivo della decisione era che
un atto criminale non doveva avere la precedenza sulla sportività. È il solito qui pro
quo. Non si trattava di far prevalere il crimine sulla sportività (concetto confuso su cui
gli uomini concordano proprio per la loro stessa indeterminatezza), ma di onorare e
rispettare le vittime, e di non procedere come se i morti non fossero morti e gli
assassini non fossero assassini.

Questa mancanza di umanità e di pietà manifesta l'irreligiosità del


Olimpiadi moderne rispetto a quelle antiche.
Per formarsi un giudizio esente da ogni prevenzione riguardo alla moderna
somatolatria, è opportuno non dimenticare che le passioni di odio tra alcune fazioni e
altre si accesero anche nel circo romano e nell'ippodromo bizantino.
Come è noto, Vitellio giustiziò i nemici dei suoi Azzurri, e la folla di Costantinopoli fu
molte volte infuriata fino all'assassinio e all'incendio di mezza città. E va anche
ricordato che le rivalità sportive erano molto vive tra i popoli cristiani durante il
Medioevo.
Anche tra le confraternite, il cui scopo erano le devozioni o le opere di misericordia,
le emulazioni e le rivalità sono durate fino a tempi recenti. Ma nel presente discorso
non si è in alcun modo affermato che le basse passioni degli uomini siano una novità
del secolo: oggetti belli e oggetti non belli sono oggetto di tali passioni e che si
appropriano anche della religione convertita. in irata e insensata animosità. La novità
osservata consiste nella tendenza a togliere a queste passioni il loro fondamento
proprio (l'ordine somatico) per dar loro un altro fondamento assiologico che le nobiliti
e le metta in contatto con la religione, o addirittura direttamente con il mistero cristiano.

Lo sport di per sé non appartiene alla perfezione umana né al destino della


persona, e non conferisce in alcun modo né l'uno né l'altro, poiché può esserci
eccellenza nelle capacità corporee e tuttavia essere debole nel v rapporto di dipendenza
delle potenze inferiori con motivo. Ciò che dà valore all'esercizio fisico è solo
l'esercizio della volontà, che accresce nell'uomo il potere della ragione e la libertà
morale. Non si deve passare dal genere fisico al genere morale come se la linea fosse
continua. È un salto che solo la volontà morale può compiere.
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10.5. Spirito di penitenza e mondo moderno 195

10.5. Spirito di penitenza e mondo moderno


NO

Esp´ÿritu de penance y mundo moderne. Riduzione della distanza


cessazioni e digiuni
Quando la somatolatria avanza, il principio penitenziale e l'esigenza ascetica
della religione cattolica retrocedono come necessaria conseguenza.
La battuta d'arresto sembra iniziare con l'indulto speciale del 1941, che ha
abrogato l'astinenza dalla carne il venerdì per tutta la durata della guerra, così
come tutti i digiuni tranne quelli delle Ceneri e del Venerdì Santo. Non si trattava
in realtà di una regressione, ma di un normale riadattamento del principio al
mutare delle condizioni. Oltre a produrre una diminuzione proporzionale della
quantità, la diffusa penuria di cibo in tempo di guerra rendeva difficile selezionare
il cibo come dono al precetto della Chiesa.
Per comprendere la riduzione che il digiuno ecclesiastico comportava nella
quantità giornaliera di cibo, va ricordato che esso consisteva in un unico pasto
normale lungo tutto l'arco della giornata, aggiungendo il cosiddetto frustulum del
mattino e una modesta cena. Era prescritta anche la selezione dei cibi,
escludendone molti dal pasto del digiuno. Anche il digiuno eucaristico, che è
riverente al sacramento e non ascetico (come il digiuno ecclesiastico e
l'astinenza), è stato mitigato nel 1947 dopo l'introduzione delle messe serali.
Successivamente è stato possibile per le persone, che prima erano state
costrette a digiunare dalla mezzanotte, ricevere la Comunione avendo smesso di
mangiare un'ora prima della Comunione. Il motivo dell'allentamento va ricercato
nella debolezza di quella generazione dovuta alla crescente scarsità di rifornimenti
e alle sofferenze della guerra.
Ma la disciplina penitenziale fu poi modificata nel 1966 riducendo l'astinenza
dalla carne solo nei venerdì di Quaresima, e attraverso successivi tagli il digiuno
eucaristico fu ridotto nel 1973 (almeno per i malati) a un quarto d'ora prima della
domenica. (OR, 1 aprile 1973). Oggi, infatti, anche l'astinenza del venerdì è abolita.
In pochi anni la disciplina del digiuno perse di rigore fino a quasi abolire il
precetto. Tuttavia, ci fu un tempo (come è ben noto negli annali ecclesiastici e si
vede dai costumi e dalla parlata del popolo) in cui il digiuno non solo era
universalmente praticato, ma era addirittura fissato nelle leggi civili e considerato
oggetto di trattativa tra governi e la Santa Sede.

Questo rilassamento ha prodotto più effetti. Uno era di ordine linguistico e lessicale.
Si trasformò la parola digiuno, che da indicare la privazione del cibo per un tempo
considerevole (svuotamento dello stomaco) passò a significare solo-
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196 10. Somatolatria e penitenza

attenzione a non mangiare, nemmeno per pochi minuti. Nel nuovo significato,
si può essere sazi e digiunare, e come tale andare alla Comunione.
El segundo efecto fue falsificar la liturgia quit´andole vericidad a las f
´ormu las del rito, que vienen a decir lo contrario de lo que la Iglesia practica.
El motivo dominante del tiempo de Cuaresma era el ayuno corporal, y en el
prefacio se invocaba por ejemplo: Deus qui corporal ieiunio vicitas compris,
elevando la mente, dando virtù e premi Pero 8 .
el prefacio del Novus Ordo, en lugar del ayuno corporal, habla s´olo gen
´ericamente del ayuno cuaresmal En la feria 3 post Dominica I se ped´ÿa in
modo che la nostra mente risplenda del tuo desiderio, che si castiga con 9 .
la macerazione della carne un'idea del genere (che senza embargo viene
direttamente da San Pablo en I Cor. 9, 27) . Y as´ÿ, el s´abado post Domini cam
2 in modo che la punizione della carne assunta alla nostra vegetazione passi
10 anime
.
Questa falsificazione dei testi liturgici, contraddetta dalla prassi riformata
della Chiesa, è stata poi sventata con la riforma degli stessi testi, nei quali ora
si trova qua e là qualche residuo del vecchio ordinamento, ma la cui ispirazione
generale deriva la dottrina penitenziale modernizzata e conforme alla
11 .
ripugnanza del secolo per la mortificazione.Nella religione cattolica, il
digiuno ha un fondamento puramente dogmatico: è una speciale applicazione
del dovere della mortificazione, che a sua volta discende dal dogma del
peccato originale. Solo se la natura non fosse corrotta o concupiscente, i suoi
impulsi dovrebbero essere fedelmente seguiti invece che repressi. Pelagio e
Vigilancio partono dalla stessa smentita, e nella dura polemica con Vigilancio,
San Girolamo si fa beffe del suo avversario chiamandolo Dormitancio:
significava che chiudeva gli occhi sulla condizione profonda dell'uomo

Tutti gli altri motivi assegnati dai teologi al digiuno discendono dalla
necessità della mortificazione dell'uomo corrotto per poter essere rianimato
come nuova creatura. La mortificazione puramente filosofica, come quella
praticata nelle sette orientali, non ha tale fondamento: in essa il corpo è punito
per un motivo ginnico, perché interferisce con le operazioni

8 Eterno Dio, che con il digiuno corporale doma le nostre passioni, eleva la mente, ci dà
virtù e ricompensa
9Fai risplendere il nostro spirito, che è punito con la macerazione della carne
davanti alla tua presenza con il
desiderio di Te 10Affinché la mortificazione della carne rafforzi le
nostre anime 11Effetto e sintomo della degradazione dello spirito di penitenza è anche
l'abolizione del tempo preparatorio della Quaresima, in altro tempo assegnato alle tre
domeniche di Septuag'esima, Sexag'esima e Quincuag'esima.
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10.6. La nuova disciplina penitenziale 197

della mente, e solo perché non li turbi. Questa mortificazione può avvenire
senza alcun intervento di motivi religiosi.
Le opere penitenziali nel cattolicesimo esprimono anche e soprattutto
dolore, dovuto alla colpa. Questo dolore (atto comandato dalla volontà)
costituisce la penitenza come virtù interiore; ma per il vincolo antropologico
grazie al quale nulla si muove nell'uomo interiore che non si muova
all'esterno, la penitenza esterna è necessaria alla penitenza interna, o meglio
è la stessa penitenza interna di un atto umano.
A questo proposito, il digiuno è una parte primaria della penitenza, e va
notato che quando Cristo parla di facere iustitiam esemplifica le opere di
giustizia in tre soli: l'elemosina, la preghiera e il digiuno; come spiega Saint
Agostino, benevolenza e beneficenza in universale, aspirazione a Dio in
12 .
universale e repressione della concupiscenza in universale
Nel suo discorso del Mercoledì delle Ceneri del 1967 a Santa Sabina,
Paolo VI ha sottolineato l'insegnamento della Chiesa secondo cui la penitenza
è necessaria per la metanoia (perché la natura è corrotta) e per la riparazione
dei peccati. Ma il digiuno non è solo un perfezionamento della virtù naturale
della sobrietà, cosa conosciuta anche dai gentili, ma qualcosa di proprio
della religione cristiana, la quale, avendo reso l'uomo consapevole dei suoi
mali profondi, gli ha fornito i rimedi. I piaceri della tavola (poiché si tratta di
questa parte della concupiscenza) possono certamente conciliarsi con la
sobrietà, ma la religione riconosce in essi una tendenza sensuale che ci
distoglie dal vero destino, e secondo la sua percezione dell'umano nell'uomo,
molesta quella tendenza al male prima che il male abbia inizio.

10.6. La nuova disciplina penitenziale


La riforma della disciplina del digiuno sembra mutare l'essenza della
restrizione (eliminando il carattere di afflizione della carne, prima così
evidente e proclamato anche nella liturgia) per mantenere solo quella della
regolarità morale. La penitenza, però, non consiste nell'astenersi dalla
magnificenza del cibo, ma in un taglio al regime ordinario della sobrietà in
vista di un duplice fine: rafforzare le carenti energie morali della mente, che
devono sostenere la lotta contro la legge del suo corpo (Rm 7, 23), ed espiare
i fallimenti nei quali la fragilità ereditata fa cadere anche i virtuosi
13 .

12 Sulla perfezione della vita dell'uomo, cap. VIII, 18 en PL, 44, 300.
13V´eanse sobre el ayuno las p´aginas de MANZONI en Osservazioni sulla morale cattolica,
ed.cit., vol. 11, pag. 284 e ss.
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198 10. Somatolatria e penitenza

Si può aggiungere che, per l'organicità del corpo della Chiesa (in cui tutti i
membri sono uniti tra loro e con Cristo, suo capo), le opere penitenziali del
cristiano sono anche imitazione e partecipazione all'opera penitenziale
compiute dal Cristo innocente a vantaggio del genere umano peccatore: e
questo anche se il valore di queste opere deriva tutto dal valore di quelle di
Cristo.
La riforma della prassi penitenziale non è stata separata dalla denigrazione
della Chiesa storica parallela a ogni modernizzazione. Le consuetudini
cattoliche dell'astinenza (celebrate da tutti i Padri della Chiesa con opere
speciali, spesso capolavori, e seguite con unanime obbedienza per secoli e
secoli da generazioni attente e obbedienti) sono state nei tempi moderni
argomento di scherno da parte di scrittori superficiali e irreligiosi.

Questi scrittori non hanno saputo separare la verità, la profondità e la


bellezza delle prescrizioni della Chiesa, dagli abusi contingenti che avvenivano
in essa come in ogni altra azione religiosa; e non hanno tenuto conto del
principio fondamentale che una dottrina deve essere giudicata dalle
conseguenze che ne derivano logicamente, e non dai fatti con cui gli uomini
la contravvengono o la contraddicono.
Il ridicolo promosso contro il precetto della Chiesa riguardo al cibo ha la
sua causa nella generale avversione del mondo alla mortificazione dei sensi,
e trova poi un pretesto nel modo in cui possono Queste prescrizioni possono
talvolta essere seguite: solo materialmente, senza attenzione o intenzione
verso i fini altamente morali a cui sono ordinati. Alcuni cristiani prendono
solo una parte della penitenza concordata dalla Chiesa, e la isolano dal resto
di ciò che è ordinato dalla Chiesa; e in questo modo si vede quella parte
risaltare in una vita impantanata in contenuti banali.
Allora gli spiriti superficiali e irreligiosi, trovando una dissonanza tra quel
frammento di penitenza e la totalità del precetto, trovano motivo di disprezzare
anche l'intera penitenza e di deriderla. Ma il fatto notevole nello stato attuale
della Chiesa è che tale spirito di superficialità (che respinge la mortificazione
dei sensi e la ridicolizza) è stato comunicato anche al clero, incapace più di
percepire il gusto e la sapienza del precetto.

Per citare solo uno dei tanti esempi che ho raccolto, nel Bollettino della
Cattedrale di San Lorenzo a Lugano dell'ottobre 1966, si scherzava con
volgarità sulla differenza nulla tra sogliola e bistecca e tra fritto e salato.

Qui si ignora il delectus ciborum conosciuto dalla legge mosaica e dalla


Chiesa. In un certo senso, la parificazione delle essenze si estende anche al
cibo. Una volta separato dalla conoscenza fisiologica dei tempi
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10.7. Eziologia della riforma penitenziale 199

In passato le ragioni della differenziazione tra alcuni cibi e altri (che sono di
diritto positivo) sono soggette a variazione, e dopo l'espansione extraeuropea
del cattolicesimo, l'astinenza da certi cibi di cui è che certe nazioni erano
totalmente private era incongruo e chiedeva una riforma della disciplina.

Tuttavia, la Chiesa non deve vergognarsi della sua legislazione né la sua


dottrina è esposta al ridicolo, perché era estremamente ragionevole, era
fondata sulla natura, era stata ordinata da Cristo, ed è rimasta o sancita
dall'obbedienza di generazioni che non erano più brutali, ma più riflessive, né
meno fragili, ma meno sensuali, di quelle attuali.

10.7. Eziologia della riforma penitenziale


La riforma della disciplina penitenziale aveva due motivazioni: una
antropologica e pseudo-spirituale, l'altra libertaria. Il motivo antropologico è
quello di una concezione viziosa della reciprocità tra anima e corpo. Non si
conosce l'unità profonda tra i due elementi metafisici che compongono
l'uomo, ritenendo che gli atti del corpo non esprimano gli atti dell'anima. Si
ignora che questi ultimi non sono autentici se rimangono senza espressione
e senza ripercussione nell'esperienza sensibile. Certamente è possibile
conformarsi a una norma diretta alla mortificazione della volontà, inclinata
verso i sensi, senza mortificare la volontà: cioè obbedire materialmente al
precetto senza assumerne la finalità.
Ma, in primo luogo, questo sdoppiamento non è proprio della norma
dell'astinenza, ma si estende ad ogni comandamento morale: si possono fare
opere di giustizia senza giustizia, opere di castità senza castità, o opere
d'amore senza amore; e tutto si può fare sul teatro della virtù con la sola
maschera della virtù e senza l'animus in quo sunt omnia, l'animus da cui tutto
dipende.
Tuttavia, l'osservanza della legge, per quel principio antropologico della
solidarietà di tutte le parti del composto umano, produce effetti anche
preterintenzionali: nel corpo macerato si indeboliscono gli impulsi dei sensi,
e la loro contumacia contro le leggi dello spirito sembra meno violento. La
tendenza degli innovatori a squalificare la penitenza corporale è quindi
sbagliata. Certamente il digiuno deve essere accompagnato dalla compunzione
del cuore e si fa essenzialmente per provocarla, ma anche separato da essa
produce un effetto salutare che impedisce che venga trascurato.
Pertanto, la remissione del digiuno corporeo alla mortificazione interiore
operata dai documenti innovativi sarebbe fallace, se implicasse un disprezzo
per il valore dell'astinenza corporea (che è il valore morale del composto); e lo sarebbe
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200 10. Somatolatria e penitenza

tanto più inaccettabile se (come spesso accade) l'osservanza del precetto


penitenziale fosse vista quasi come un impedimento all'esercizio della vera
penitenza: come se vedere un cristiano mortificato secondo il precetto
ecclesiale del digiuno fosse indice di ipocrisia o di spirito materialistico.
A parte il dividere l'uomo a metà, la penitenza esclusivamente spirituale è
impossibile, poiché non si possono amputare i desideri della superbia senza
umiliarsi esteriormente, né i desideri dei sensi senza reprimere i loro atti illeciti
ed esteriori, né i desideri della gola senza far diminuire la magnificenza e cibi
grossolani. Cristo stesso, che tanto energicamente ha condannato il digiuno in
facie, non lo ha certo condannato come esteriorità della mortificazione
(esteriorità necessaria e intrinseca ad essa), ma come ostentazione arrogante
e rispetto umano.
Y est'a tan lejos de condenar la observancia de los preceptos concernientes
a los alimentos e los external act (includendo de los m'as'' minimos), que la
considera tan necessaria como la de los interiore actos: era necessario fare
questo e quello da non omettere (Mt 14 23, 23), confrontando l'esterno con l'interno.
Il male è nella mancanza di spirito, non nel compimento delle pratiche.
Questo confronto non si fonda sull'uguaglianza di peso morale tra astinenza
dal cibo e astinenza dal peccato: la prima essendo mezzo per la seconda, non
può avere lo stesso grado assiologico. Essa si fonda sul principio
dell'obbedienza, al quale ha preso coraggio la riforma della disciplina
penitenziale, sostituendo ai lunghi periodi penitenziali che erano stati ordinati
in altri tempi un precetto di soli due giorni, e abbandonando così anche il
dovere morale e religioso di mortificazione alla libertà del fedele, mente
presumibilmente illuminata e matura. Quando Giovanni XXIII promulgò
l'enciclica sulla penitenza non c'era la proclamazione di un grande digiuno e
nemmeno un solo giorno di prescritta astinenza dal cibo, dai divertimenti o dai piaceri mondani.
E quando Paolo VI istituì una domenica di preghiera e digiuno nell'ottobre
del 1971, molti vescovi, celebrandola, non accennarono neppure al digiuno,
riferendosi tutto all'interiorità.
Il passaggio da un obbligo imposto ai fedeli mediante una legge ecclesiastica
positiva, a un obbligo imposto dalla legge morale, è analogo a quanto avvenuto
nella riforma sulla lettura dei libri (§1.4 6.14-6.15). Gli uomini sono riferiti alla
propria luce, alla legislazione della propria coscienza, elevando il principio di
libertà al di sopra di quello della legge.
Già san Tommaso, rispondendo a un'obiezione, scriveva che il digiuno non
si oppone alla libertà dei fedeli, ma piuttosto un modo per liberare lo spirito
dall'impero della carne (Summa theol. II, II, q. 147, a. 3 ad terzio). L'obiezione,
la cui origine è stata trovata in argomenti del

14Questo deve essere praticato, senza omettere quello


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10.8. penitenza e obbedienza 201

lo spiritualismo eretico del Medioevo, fu ripreso da Erasmo: ogni cristiano


è libero di digiunare solo quando lo ritenga necessario in virtù del suo
scopo, la mortificazione.
L'esaltazione della libertà è diventata un luogo comune della teologia
postconciliare; l'idea è penetrata in diverse testate, soprattutto per opera
delle cosiddette ditte, o consiglieri teologici dei settimanali più popolari.

Monsignor Ernesto Pisoni, ad esempio, interpellato sul precetto


ecclesiastico di astinenza (Arnica, 2 agosto 1964), ha risposto che si tratta
semplicemente di un precetto che riceve giustificazione e valore morale
dalla libera volontà di chi vuole osservarlo in spirito, perché nella lettera è
facile evitarlo. In questo modo un prete cattolico insinua a un pubblico di
oltre mezzo milione di lettori un'idea sbagliata della morale. L'atto dell'uomo
riceve il suo valore dalla conformità al precetto, mentre qui il valore del
precetto è fatto derivare dall'atto libero dell'uomo che sceglie di compierlo.
Viene proposto un doppio errore; primo, che la volontà rifiuta ogni
eteronomia: cioè il dipendente diventa indipendente; secondo, che il
fedele, membro di quel corpo collettivo e mistico di Cristo che è la Chiesa,
si dissocia o si smembra da essa per costituirsi come individuo che si dà
la legge.

10.8. penitenza e obbedienza


L'allentamento della pratica penitenziale è avvenuto sotto l'assunzione
di una più matura coscienza ascetica dei fedeli e con il tentativo di
spiritualizzare e affinare la mortificazione. Ma l'ipotesi è smentita dai fatti. I
popoli cristiani godono generalmente di abbondanti piaceri sensuali e
soddisfazioni mondane, e l'altra parte del mondo che oggi ne è priva è
destinata a essere gradualmente condotta a una pari abbondanza.

Con la riduzione da parte della Chiesa delle privazioni corporali, nella


convinzione che ciò aumenterebbe l'umiltà interiore, ogni digiuno è quasi
scomparso dalla vita ordinaria del popolo cristiano. Ed è una stravaganza
quella del cardinale inglese Godfrey, che proprio nel momento in cui stava
avvenendo la scomparsa universale della mortificazione, volle che anche
gli animali partecipassero alla Quaresima. Insomma, e come abbiamo già
osservato, nella decadenza del precetto il valore dell'obbedienza è stato
totalmente trascurato: anzi è stato demolito e capovolto, trasformandolo
nel suo contrario. La penitenza è necessaria, scrive il Bollettino della
Cattedrale di San Lorenzo di Lugano del gennaio 1967, indipendentemente dal fatto che esistano o m
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202 10. Somatolatria e penitenza

cosa fare e cosa non fare: meglio ancora se non ce ne sono. E Diocesi di
Milano (1967, p. 130), commentando la cura pastorale dei vescovi lombardi,
afferma dopo aver fatto riferimento all'abolizione dei divieti e delle prescrizioni
che la penitenza è gratuita e quindi più meritoria. In questa nuova dottrina si
dimenticano tre valori. In primo luogo, per obbedienza alla Chiesa, e nel modo
da essa prescritto, fare ciò che impone il dovere della penitenza. In secondo
luogo, compiere l'atto penitenziale non solo individualmente, ma ecclesialmente
(come dichiarava la liturgia del Vetus ordo) e rimettendo alla Chiesa la
determinazione della forma sostanziale di tale dovere. Terzo, il merito che
deriva dall'abdicazione della propria volontà in relazione alla modalità della
penitenza, abdicazione che è già essa stessa penitenza.
Ma questi valori dipendenti dalla sottomissione della volontà alle forme e ai
tempi prescritti non sono più apprezzati come a quei tempi in cui i cibi consentiti
erano pesati in once e si prevedeva che si suonassero le campane per rompere
il digiuno.
Infatti la Congregazione romana, di fronte al dubbio se il grave obbligo di
osservare i giorni penitenziali si riferisse a giorni isolati o nel loro insieme,
rispose che era quest'ultimo (OR, 9 marzo 1967). Questa risposta lascia alla
libertà dei credenti il tempo e la modalità della mortificazione corporale, e rende
mobile il carattere sacro che sembrava assegnato al Mercoledì delle Ceneri e al
Venerdì Santo della Settimana Santa.
Infine, la convertibilità dell'astinenza in opere di misericordia, a scapito del
concetto di penitenza, è stata stabilita in istituzioni come il Sacrificio
quaresimale, obbligo monetario che diventa equivalente alla mortificazione
corporale. Tale sacrificio di denaro, sostituto del digiuno (considerato
inadeguato ai tempi), non è però più consono ai tempi di questo.

Poiché la società cristiana è in gran parte ricca e facoltosa, questa rinuncia


ha poco valore, a parte il fatto che è sempre più doloroso togliere qualcosa dal
corpo che dai beni della fortuna. La confusione del penitenziale e del non
penitenziale, considerati come la stessa cosa, è professata esplicitamente nel
documento del 1966, che afferma: Si possono considerare atti di penitenza:
l'astensione da cibi particolarmente desiderati, un atto di carità spirituale o
corporale, la lettura un brano delle Sacre Scritture, la rinuncia a uno spettacolo
o intrattenimento, e altri atti di mortificazione.
La lettura non è un atto di mortificazione, e nemmeno le opere di carità.
Perso il concetto di penitenza, tutto diventa penitenza.
Anche nel messaggio di Giovanni Paolo II per la Quaresima del 1984, la
Quaresima è fatta di opere di misericordia, ma il digiuno non si trova da
nessuna parte.
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Cap'itulo 11

Movimenti religiosi e sociali

11.1. Abbandono dell'azione politica e sociale


Mentre la società contemporanea è dominata dall'idea del dominio del
mondo attraverso la tecnologia (cioè attraverso l'applicazione delle scienze
naturali al suo dominio), la vita politica nella sua interezza ha assunto un nuovo
carattere. Il soggetto sociale è ora la massa degli individui uniti nella ricerca
dell'utilità, e il fine sociale è diventato la produzione della massima utilità e la
sua massima distribuzione. Il cambiamento avvenuto si può riassumere
nell'abbandono della religione, sostituito dalla dedizione all'azione politica e
sociale.
Nel corso dell'Ottocento i partiti politici, privi di organizzazione, non avevano
quasi altro fondamento che la questione religiosa. L'intero secolo del liberalismo
fu caratterizzato da questa dualità: un partito favorì la separazione della vita
civile dalle cose della religione, riferite alla coscienza individuale e da quelle
che non erano considerate relative alla p' post prosperità; l'altro vi si opponeva,
ritenendo che la religione non sia solo parte della vita storica nazionale, ma
anche (al di là della politica e della storia) una necessità morale della vita nella
società. La lotta tra la Chiesa e lo Stato moderno (che sta diventando un valore
autonomo e si distacca dalla tensione religiosa su cui aveva funzionato) spiega
fino a che punto le lotte politiche implicassero valori religiosi e fossero
presentate come un impegno, sia per mantenerli nel corpo sociale, o di
circoscriverli alla sfera della libertà individuale.

I Pontefici del secolo scorso avevano promosso un'ampia espansione


dell'attività politica e pubblica dei cattolici, sia attraverso la creazione

203
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204 11. Movimenti religiosi e sociali

di partiti politici autonomi che si definivano cattolici e informavano la loro


azione sulla dottrina della Chiesa, o attraverso il fiorire di associazionismo
differenziato per rami (da quello culturale a quello sportivo, da quello
assistenziale a quello economico).
Non includiamo in questa categoria le lotte sostenute dal partito cattolico
in Inghilterra, in quanto si tratta di uno Stato eterodosso dove l'azione dei
cattolici (e soprattutto degli irlandesi) fu praticamente una continuazione della
Si trattò di una delle guerre di religione, e il suo slancio politico si mescolò
all'aspirazione all'indipendenza. Ma certamente rientrano in questa categoria i
partiti cattolici operanti negli Stati che professavano ancora nelle loro
costituzioni la religione cattolica.
In Francia, al tempo di Lu´ÿs Felipe, consumata la disgiunzione della causa
cattolica rispetto a quella monarchica, Montalembert e Dupanloup rivendicarono
i diritti di religione, ma con una ragione nuova: il titolo di libertà simpliciter.

In Svizzera, il cosiddetto partito cattolico-conservatore aveva la sua ragione


prioritaria nella difesa dei diritti e anche dei privilegi della Chiesa.
Ha perseguito la sua fine con tanta veemenza che i cantoni cattolici si sono
sentiti in dovere di separarsi dalla Lega elvetica formando una Lega separata
e non rifiutando la guerra civile. Un'organizzazione diffusa e attiva che prese il
nome da Pio IX (Piusverein) sostenne l'azione politica attraverso grandi
assemblee popolari.
In Belgio e in Olanda le forze cattoliche si unirono in forti organizzazioni
che ebbero spesso un peso preponderante nel dare il loro indirizzo alla vita
nazionale.
In Germania la minoranza cattolica (impressionante per numero, potente
per organizzazione, sicura per unità di intenti e valore dei suoi capi) vessava la
politica anticattolica di Bismarck, che finì per cedere a quell'opposizione
ritirando la Legge Kulturkampf.
Le condizioni di incapacità e minorità politica in cui si trovavano i cattolici
italiani (a causa dell'inimicizia tra Chiesa e Stato dovuta al conflitto sul potere
temporale del Papato) impedirono al partito cattolico di dispiegare la sua forza.
Ma quando quella incapacità scomparve, il Partito Popolare dei Cattolici
fondato da Sturzo esercitò un profondo influsso sulla vita del paese, o almeno
dimostrò quanto poteva diventare questo.

Ma la direzione presa dopo il Vaticano II ha comportato la decolorazione e


la desalinizzazione (sal terrae evaniut) dei partiti e delle organizzazioni sociali
dei cattolici. So bene che tale scolorimento fa parte di un processo generale
per cui ogni partito, una volta persa la peculiarità per cui si opponeva agli altri,
conserva quella parte generica di finalità politica
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11.2. Scomparsa o trasformazione dei partiti cattolici 205

che aveva in comune con gli altri. In questo modo, il motivo per
difesa della libertà della Chiesa concepita secondo il sistema che le contrapponeva
gli altri, i partiti cattolici hanno adottato il vessillo della libertà simpliciter, che
riprende certamente il vecchio motivo, ma ormai sommerso
al motivo prioritario e superiore della libertà simpliciter.

11.2. Scomparsa o trasformazione del


feste cattoliche
Tutti i partiti cattolici hanno subito una riduzione o scolorimento di
i contenuti per i quali sono stati creati, o sono scomparsi dal
teatro della vita nazionale. Il Movimento è completamente scomparso
R´epublicain Populaire emerse in Francia dopo la guerra per opera di
Maurizio Schumann 1 .
In Svizzera, il Partito conservatore cattolico ha abbandonato il suo vecchio
nome (che rivelava troppo il suo carattere originale), chiamandosi adesso
Democrazia cristiana, ispirando il suo programma a una generica idealità
cristiana che assume tutti i principi della filosofia politica liberale. Nel Canton
Ticino, ad esempio, è diventato il Partito Popolare
Democratico, nel cui nome c'è un incongruo licenziamento
dell'idea di ÿÿpopoloÿÿ, essendo scomparsa anche ogni espressa qualificazione
cattolica. Seguendo le direttive del Vescovo diocesano, la festa
accolse e promosse la trasformazione costituzionale del Cantone cattolico in
un cantone di religione mista. In Germania, un processo simile ha portato alla
Christliche demokratische Partei (successore del celebre Zentrum e che riuniva
cattolici e protestanti) a volgersi verso la dottrina politica del
liberalismo.
La Spagna, che ha avuto per quarant'anni un regime politico che
partiti esclusi, ha visto sorgere, dopo la morte del generale Franco, movimenti
di ispirazione cattolica in sincretismo con le massime del
stato moderno.
In Belgio e nei Paesi Bassi i movimenti cattolici (che arrivarono ad avere un
organizzazione unita e potente) subì la stessa desalinizzazione, scomparendo
le ragioni dell'inveterato antagonismo verso il liberalismo dello stato moderno.
Inoltre, l'antagonismo nei confronti del comunismo ha lasciato il posto alla solidarietà
con la classe operaia, e durante le condanne di Pio XI e Pio XII, il partito

1Cfr. R. RICCHET, La d´emocratie chr´etienne en France. Le Mouvement r´publicain


popu laire, Besançon 1980. Per valutare il fenomeno, ricordiamo che nei primi anni dopo
Dopo la guerra il Movimento era il partito più forte di Francia.
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206 11. Movimenti religiosi e sociali

e il movimento sociale cattolico si volse verso posizioni tendenti al liberalismo


e al comunismo.
L'esempio più cospicuo di questo rifiuto di qualificarsi come cattolica è
quello della Democrazia cristiana italiana; Dopo trent'anni di governo, ha
progressivamente indebolito la sua opposizione al socialcomunismo, fino alla
sconfitta che aveva ricevuto nelle elezioni del 18 aprile 1948 un'imponente
2
investitura da parte della nazione. E per valutare l'asprezza dell'opposizione e
la gravità del pericolo a cui nel 1948 si credeva potesse soccombere la nazione,
basti ricordare che il sigillo della clausura fu addirittura tolto alle monache di m
´ come stretta osservanza, in modo che potessero aiutare con il voto contro la
minaccia di Annibale ad portas. E al contrario, per apprezzare il mutato
atteggiamento del partito (passato da un atteggiamento energico e combattivo
di antitesi a uno di acquiescenza e accomodamento), basti rilevare che in
nessun paese del periodo democratico d'Europa, il mutamento della situazione
politica e della mentalità nazionale fu radicale come in Italia.

Se la sconfitta del socialcomunismo nel 1948 è stata la causa più grande e


l'obiettivo supremo della lotta, oggi l'obiettivo più grande dell'azione di quel
partito è l'unità (chiamata l'impegno storico) con gli avversari di ieri.
Sin dalla famosa dichiarazione di papa Gelasio nel V secolo, poi confermata
da Bonifacio VIII, la Chiesa riconosce la propria incompetenza nelle questioni
politiche, nelle quali laici e sacerdoti sono soggetti al sovrano temporale; ma
rivendica potere assoluto nelle cose spirituali e in quelle che hanno un lato
spirituale (misto), in cui laici e sacerdoti sono soggetti ad essa.

E anche se si tiene lontana dall'azione politica, che costituisce un mezzo


per il fine morale dell'uomo, può giudicare le leggi della comunità politica
quando impediscono tale fine o violano la giustizia naturale ei diritti della
Chiesa. Perché sebbene nei regimi moderni la sovranità appartenga all'intero
corpo dei cittadini, la Chiesa può resistere a leggi inique prescrivendo la
condotta che i cattolici in quanto cittadini

2Non meno indicativa era la sua debolezza nell'opposizione al divorzio. Mentre in


Parlamento si discuteva il disegno di legge sul divorzio Fortuna-Baslini, Gumo GONELLA
deplorava l'assenza di indicazioni governative in sede. Dal 1948 il governo si è pronunciato
su tutti i progetti di legge; ma oggi, con quindici ministri in gabinetto, la Dc non ha una parola
da dire. E nel Congresso nazionale della Dc, lo stesso GONELLA ha chiesto che se non si
concordasse il ritorno della legge, il partito provocherebbe una crisi ministeriale.
Gli sembrava impossibile che la Dc non sapesse impedire con la sua forza ciò che per un
secolo era stato rifiutato dall'Italia laica e anticlericale. Già nel 1919 p. GEMELLI e mons.
F. OLGIATI ha denunciato la mancanza di programma del Partito Popolare. In Renovatio
(1979, pp. 402-406) si chiedeva al partito di abbandonare quell'aggettivo, poiché nella sua
attività non si riscontrava alcuna azione specificamente cristiana.
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11.3. Il ritiro della Chiesa nella campagna d'Italia 207

devono continuare a usare i loro diritti politici e lontano da ogni spirito di odio
o sedizione.
Questa dottrina è stata confermata da Giovanni XXIII nella Pacem in terris
facendo coincidere il dovere religioso con il dovere civile: il bene di giustizia
(oggetto della virtù morale) è costitutivo del bene comune (oggetto della virtù politica).
Per questa coincidenza, ad un certo punto della storia, i Romani Pontefici
hanno potuto annullare le leggi dello Stato. L'ultimo esempio è quello di Pio
XI, che nel 1926 dichiarò nulle le leggi antireligiose del Messico.
Ma a prescindere dall'annullamento di una legge iniqua per decreto
pontificio, resta fermo il diritto dei cattolici (nei regimi in cui partecipano al
potere legislativo) di opporsi alle leggi che offendono la legge naturale, così
come il dovere della Chiesa di attaccare loro provocando e regolando l'azione
civile dei laici.
Attualmente la Chiesa ha abdicato quasi totalmente a questo diritto di cui
si è avvalso il laicato cattolico, anche nel nostro secolo, seguendo la
gerarchia; e nello stesso modo in cui ha praticato una politica di rinuncia nei
suoi rapporti diretti con gli Stati (§ 6.18), è riuscita a ispirare le masse
cattoliche all'interno di ogni Stato.

11.3. La desistenza della Chiesa nella campagna


d'Italia
Il ritiro della Chiesa nella campagna italiana sul divorzio e sull'aborto
Citerò solo due esempi di
questo fenomeno di resa, che contrasta con la fermezza combattiva del
precedente movimento cattolico; secondo il metodo che professo, li sosterrò
su documenti della gerarchia e non su pareri privati.

Il primo è l'abbandono e l'isolamento in cui la Chiesa italiana ha lasciato il


movimento laico che si opponeva all'introduzione del divorzio promuovendo
un referendum abolizionista. Alla combattiva alacrità dei sacerdoti (che
pubbliche) 3 difendevano apertamente il divorzio in innovative assemblee
si contrappone il malevolo e scontento riserbo dell'episcopato, che sembrava
condividere le ragioni di prudenza carnale addotte da coloro che

3Riviste nominalmente cattoliche come Il Regno (Bologna) e Il Gallo (Genova) si


batterono a favore del divorzio. Un centinaio di professori e studenti dell'Università
Cattolica di Milano si sono ribellati a un articolo di mons. GB GUZZEITI perché
intende decidere una volta per tutte quale sia la dottrina della Chiesa.
Sostenevano che il cattolico non può imporre agli altri ciò che fa in nome della sua fede.
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208 11. Movimenti religiosi e sociali

4 racconta come lo stesso Paolo VI


si sono opposti al referendum. Giulio
Andreotti ha avuto un atteggiamento dubbioso nei confronti del referendum
quanto al suo successo, ma un dissenso intrinseco quanto all'iniziativa stessa.
Il Papa ha infatti dichiarato di non poter impedire a un gruppo di cattolici
italiani di utilizzare liberamente lo strumento offerto dall'ordinamento italiano
per cercare di abrogare una legge ritenuta ingiusta.
Sembra piuttosto che il Papa avrebbe dovuto ritenere suo dovere
incoraggiare, piuttosto che non ostacolare, il movimento democraticamente
legittimo e religiosamente vincolante dei cattolici mossi da spirito di giustizia
per combattere una legge finora respinta dalla coscienza nazionale.
Né l'anticipazione di un risultato avverso potrebbe dissuaderci dal
combattere: la nostra tranquillità consiste nel fare il nostro dovere, non nel
fatto che le probabilità siano a nostro favore. Il laicato fu abbandonato dalla
gerarchia, che era meno disposta a sostenere un punto di diritto naturale ed
evangelico che a conoscere le disposizioni dell'opinione pubblica per poterle
assecondare.
L'arcivescovo di Milano, card. Giovanni Colombo formulò il principio della
desistenza in queste tre proposizioni: primo, il sacerdote che si opponeva al
referendum non sarebbe in sintonia con l'Episcopato; secondo, non sarebbe in
sintonia neanche il sacerdote che ha raccolto personalmente le firme a favore
del referendum; In terzo luogo, coloro che sono in sintonia sono i sacerdoti
che si sforzano di incoraggiare i fedeli cattolici ad agire in coerenza con la loro
coscienza cristianamente illuminata.
Vale la pena notare in questi orientamenti il riferimento ad una concordia
con l'episcopato in una materia in cui la coscienza deve anzitutto conformarsi
alla legge morale; la predicazione di questa conformità è il mestiere proprio di
quegli stessi pastori, senza deviare dalla franchezza per la quale i loro
predecessori del XIX secolo si lasciarono imprigionare difendendo punti che,
in fondo, non erano di diritto naturale.
In secondo luogo, è notevole il divieto ai sacerdoti di esercitare un diritto
civile al servizio del dovere religioso, impedendo loro la partecipazione attiva
alla raccolta delle firme. Colpisce, infine, il rinvio alla coscienza individuale di
una decisione che, essendo di diritto divino naturale e positivo, spetta alla
Chiesa prescrivere e ordinare, invece di abbandonarla alle incerte luci private
dei fedeli. Sembra che nel discorso del cardinale la Chiesa abbia evitato di
rendere quel servizio di indottrinamento degli spiriti che le spetta come lumen
gentium.
E se l'OR del 5 maggio 1971 dice correttamente che conviene tenere i
religiosi dai civili, sbaglia però quando difende il

4A ogni morte di Papa, Mil´an 1980, p. 121.


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11.4. Chiesa e comunismo in Italia. Le condanne del 1949 e del 1959 209

astensione della Chiesa nella lotta al divorzio; Si tratta di una materia


mista religiosa e civile, e chi difende l'astensione arriva a sostenere che
la Chiesa deve astenersi anche nelle questioni miste, sulle quali aveva
sempre rivendicato la propria competenza.
Carta. Colombo quando l'opinione pubblica nazionale era agitata dalla
proposta di legge sull'aborto.

L'arcivescovo di Milano, predicando in Duomo, ha assicurato che i


vescovi non intendono sancire esclusivamente con una legge l'osservanza
di una norma morale, quando essa non sia più riconosciuta come tale
dalla maggioranza delle coscienze (OR , 26 febbraio 1976 ). In questo
testo si uniscono i termini di maggioranza e di coscienza, che sono intrinsecamente in contrasto.
L'arcivescovo si oppone alla legge che introduce l'aborto (definito
crimine nefasto dal Vaticano II) perché suppone che sia rifiutato
dalla maggioranza, allo stesso modo in cui se la maggioranza delle
coscienze fosse favorevole a questo crimine i vescovi tacerebbero
e i cattolici dovrebbero come cittadini accettare l'iniquità.
Secondo l'omelia del presule milanese, sembra che l'ammissibilità di una
legge civile dipendesse dal consenso del maggior numero, la morale era
un'emanazione dell'uomo, e in caso di maggioranza bisognerebbe invece
cedere alla resistenza o, al massimo, accovacciarsi nel rifugio solitario della
coscienza personale.

11.4. Chiesa e comunismo in Italia. IL


1949 e 1959 condanne
L'abbandono da parte della Chiesa del suo impegno per la vita civile si
concretizza in una remissione del cristiano a se stesso nelle scelte riguardanti
le questioni della vita pubblica. Il criterio insegnato dai vescovi italiani (assunto
dal Congresso ecclesiastico del 1976) è che i fedeli abbiano piena libertà di
scelta, con la sola condizione che la scelta sia coerente con la fede religiosa.
È la formula comune nella Chiesa poiché le costituzioni democratiche
conferiscono la sovranità alla maggioranza oa tutti i cittadini. Ma il criterio di
tale coerenza viene strappato dalle mani del Magistero (che in altri tempi se lo
riservava) e posto in quelle della comunità.

Nel suddetto congresso, padre Sorge approvò l'espressione militad


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210 11. Movimenti religiosi e sociali

dove volete, ma continuate ad essere cristiani, e ha aggiunto la condizione che


il giudizio su cosa sia essere cristiano non sia personale e arbitrario, ma in
sintonia con quello dell'intera comunità cristiana (Corriere della sarà, 5
novembre , 1976).
La sostituzione dell'imperativo della Chiesa all'opinione generale è evidente.
Non solo la scelta politica è riferita alla libertà (appunto), ma anche il giudizio
di coerenza tra libertà e fede: non è propriamente riferito ai singoli, ma all'intera
comunità cristiana. Ma tale espressione si riferisce alla Chiesa con il suo
legame organico tra gerarchia e laici, o al gruppo dei fedeli, che dovrebbero
manifestare la loro fede in modo maggioritario?
O come altro? Il limite che la Chiesa pone alla libertà politica è analogo a quello
che pone alla libertà del pensiero teologico e, in generale, a ogni libertà,
assicurando l'ortonomia oltre che l'autonomia. E poiché la libertà politica si
allarga ampiamente prima di scontrarsi con il limite, le determinazioni che la
Chiesa fa del limite sono tra le poche che sembrano necessarie. I più importanti
sono senza dubbio il decreto del Sant'Uffizio del 28 giugno 1949 e il più
aggravante del 25 marzo 1959, già con Giovanni XXIII. La prima dichiara che
incorrono nella scomunica i fedeli che professano la dottrina comunista, atea e
materialista, e condanna come illegale l'appoggio dato al partito. Il secondo
condanna coloro che votano per il partito comunista oi partiti che sostengono
il partito comunista.
L'aggravamento del secondo è manifesto. La prima condanna ha dato
origine alla distinzione tra il comunista che professa la dottrina (condannato
nella Divini redemptoris di Pio XI) e il comunista che la pratica ma non la
professa (che sono la maggioranza).
Il secondo decreto dispensa dall'animosità del cittadino e attacca l'atto
esterno di votare per il partito. Inoltre, rimprovera anche alle coalizioni che, per
amministrare la cosa pubblica, si sia realizzato con il condannato un partito
non condannato; e mette così tra parentesi l'intero gioco politico delle nazioni
democratiche, dove la pluralità dei partiti rende necessaria la cooperazione di
forze politiche disparate.
L'intervento della Chiesa in Italia provocò anche aperti conflitti tra vescovi
e autorità civili. La più grave e clamorosa è stata quella di mons.
Fiordelli, Vescovo di Prato, che per aver pubblicamente condannato come
coniugale il matrimonio civile di un comunista, fu denunciato, condannato e poi
assolto. Prima dell'annuncio della sentenza, il card. Lercaro ordinò il bilancio
delle campane della sua diocesi e Pio XII annullò la celebrazione dell'anniversario
della sua incoronazione.
Ad Aosta, a causa di un'alleanza elettorale con i comunisti, il vescovo
sospese la teorica processione del Corpus Domini; in Sicilia il card. Ruffini è
entrato nelle elezioni regionali per combattere il candidato
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11.5. La Chiesa e il comunismo in Francia 211

democristiana, ea Bari l'arcivescovo Mons. Niccodemo respinse la presenza


del sindaco comunista della città, giudicandola incompatibile con l'azione
sacra.
In queste manifestazioni episcopali, mi sembra che la norma che distingue
la persona privata dalla persona pubblica, e l'ente morale (la città in tutta la
sua complessità) dalla maggioranza che in un dato momento la governa e la
rappresenta, non sia stata osservato. . È massima di diritto costituzionale che
i deputati non rappresentino la fazione che li ha eletti, ma la totalità dei
cittadini. Inoltre i Papi ammettono annualmente la visita del Consiglio
Comunale della capitale, anche quando è a maggioranza comunista.

11.5. La Chiesa e il comunismo in Francia


Abbiamo visto la trasformazione operata dall'episcopato italiano da un
comportamento di resistenza attiva a uno di desistenza, nei confronti del
Partito comunista. Questo passo portò la Chiesa d'Italia su posizioni in cui si
era posta da tempo la Chiesa di Francia, stabilendo la piena libertà del cristiano
di partecipare politicamente a qualunque causa gli sembrasse conforme alla
propria coscienza.
Poiché questo libro non è una storia del movimento sociale cattolico,
presumo che lei conosca le vicissitudini che il movimento ebbe in Francia
prima del Concilio, e baserò le mie osservazioni sul documento dei Vescovi
di Francia sul dialogo con i cristiani militanti che hanno effettuato
l'opzione socialista 5 .
Già nell'impostazione e nella forma letteraria, il documento rinuncia alla
natura dell'ufficio didattico, direttivo e imperativo di un atto episcopale.

Essa intende solo riflettere e rispettare le opinioni del mondo dei lavoratori,
inteso sostanzialmente come un insieme omogeneo. In questa prospettiva, il
movimento sociale cattolico è totalmente dimenticato.
Impossibile nascondere la distanza tra questo stile e lo stile dei documenti
pontifici che abbiamo citato al §11.4 In tema
di dialogo, in esso sono enunciate molte proposizioni professate da
operai cristiani (considerando per sineddoche che tutti sono comunisti) , ma
non c'è opposizione o confutazione, più che talvolta di passaggio, con finzione
e anfibologia.
Il documento intende aiutare questi cristiani che professano il comunismo
dall'interno della loro situazione spirituale; è come nello stesso senso

5In Catholic Documentation, 29 maggio 1972, col. 471 e ss.


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212 11. Movimenti religiosi e sociali

il germe dell'idealità cristiana era alla base della sua persuasione e si trattava
solo di svilupparla; e come se tale aiuto, tipico dei pastori, non potesse mai
supporre un'opposizione di principio e un'abiura di eventuali errori: insomma
una conversione, come si dice.
Questa posizione è legata nel documento a una confusione di prospettive
che vede l'azione dello Spirito nelle agitazioni e lotte del mondo e confonde il
6
movimento del comunismo (che può dispiegare lavoratori con le forze
storiche e naturali che generano eventi) con uno di quei movimenti in cui
operano gli impulsi soprannaturali dello Spirito Santo (nn. 16-17); trasforma
insomma gli sconvolgimenti sociali del secolo in un fenomeno religioso.

Il circosterismo innovativo di carattere immanente non distingue tra le


ragioni della Provvidenza (che conduce il destino umano al risultato
predestinato) e l'azione dello Spirito Santo (che è l'anima della Chiesa, ma non
del gennaio umano).
Sul documento di riflessione del 1972, l'episcopato francese si è modellato
sulla sua prassi del 1981, rinunciando a ogni intervento nella campagna
elettorale che ha portato la Francia a un regime sociale comunista il cui Progetto
annuncia la costituzione di una società totalmente atea con affiliazione
marxista.
In un documento del 10 febbraio 1981 i vescovi dichiaravano la loro
neutralità nei confronti di tutte le parti e di non voler influenzare le decisioni
personali dei fedeli: come se le questioni politiche fossero iperuraniche e il
magistero della Chiesa non dovesse raddrizzare e illuminare le coscienze.
Nel documento del 1° giugno 1981 i vescovi professano l'assoluta neutralità:
cioè l'impossibilità di giudicare i vari partiti in Francia secondo il cristiano aut
aut; e questo perché (dicono) i cristiani si trovano in tutte le parti dello spettro
politico.
Non vogliono sostenere un gruppo o opporsi a nessuno, ma attirare
l'attenzione su valori essenziali. Come abbiamo visto, questi valori sono
riconosciuti da tutte le parti, e quindi non possono né prescriverli né prescriverli.

La differenza che la Divini Redemptoris e gli insegnamenti papali elevano a


criteri di condotta cristiana prima del comunismo, è posta in secondo piano
rispetto al cosiddetto approfondimento; Ciò consiste nello scoprire nella
profondità di due concezioni opposte un ulteriore e comune sfondo in cui può
avvenire un mutuo riconoscimento e una condivisione di conoscenze.

6 Meno inspiegabile il movimento comunista che ha la sua origine nello Spirito


Santo, l'introduzione di Karl Marx nel Missel des dimanches promulgato
dall'episcopato francese , dove a p. 139 il fondatore del comunismo viene ricordato
il 14 marzo, giorno della sua morte
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11.6. Maggiori informazioni sui cristiani impegnati 213

valori.
La formula che raccoglie tale equivalenza di sistemi in ispirazione di fondo
è che ci sono valori comuni che vengono percepiti in modo diverso a seconda
del medium a cui appartengono (n. 29).
Qui sta una negazione del sistema cattolico. Il documento toglie all'uomo
la capacità di cogliere un valore nel proprio essere e gli assegna solo la
possibilità di percepirlo secondo la sua condizione soggettiva (che qui non è
l'idiotropion della psicologia individuale, bensì l'idiotropion della situazione di
classe della soggetto). Poiché le percezioni differiscono, ma il valore percepito
diversamente è identico, i vescovi possono affermare che due concezioni
contraddittorie sono nondimeno percezioni diverse della stessa cosa. Questa
forma di soggettivismo deriva dall'analisi marxista, secondo la quale la
percezione nasce dalla situazione sociale. Pertanto nel documento francese la
differenza tra le essenze è sconosciuta. La religione non è per i vescovi un
principio, ma un'interpretazione e un linguaggio.
La Parola cristiana non è più principio e caput, ma interpretazione destinata
a conciliarsi con le altre interpretazioni in una crux confusa, che a volte sembra
essere la giustizia e altre volte l'amore.
Questa ignoranza del carattere essenziale dell'opposizione tra cristianesimo
e marxismo allontana il documento dall'insegnamento di Pio XI, che descrive il
comunismo come intrinsecamente perverso.
E d'altra parte, rivela la simpatia dei redattori verso l'opzione socialista,
poiché mentre rifiutano l'essenziale perversità del comunismo, stigmatizzano
il sistema capitalista come intrinsecamente perverso (n. 21): così fanno
scomparire i due sistemi , che tuttavia hanno ugualmente condannato gli
insegnamenti papali, dalla Rerum novarum alla Populorum progressio.

Dopo aver falsamente trovato lo Spirito Santo e Gesù Cristo (n. 47) nel
dinamismo del mondo operaio e posto l'opzione socialista sullo stesso piano
dell'impegno cristiano, il documento si lancia in una nuova e definitiva
confusione: la sentenza che se il lavoro dei cristiani comunisti in favore di una
maggiore giustizia, fraternità e uguaglianza, raggiunge quel fondo comune
citato, trova una vera forma di contemplazione e cammino missionario (n. 54).
La prassi marxista e la lotta di classe usurpano così il posto della
contemplazione, che, come è noto, occupa il posto supremo.

11.6. Maggiori informazioni sui cristiani impegnati


Il valore dell'identità profonda dei contraddittori, dissolti in un immaginario
valore precedente, permette di depredare le tesi della loro specificità.
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214 11. Movimenti religiosi e sociali

delle due opposte scuole, e quindi negare la loro opposizione.


Limitandosi solo ai fondamenti, l'opzione socialista contraddice due articoli
fondamentali della dottrina sociale della Chiesa: il principio della proprietà
privata e il principio dell'armonia tra le classi sociali.
Mentre Giovanni XXIII nella Mater et Magistra afferma il diritto naturale alla
proprietà privata dei beni, compresi quelli della produzione, e ne patrocina la
diffusione (n. 113), il documento francese (adottando un'analisi marxista)
restringe l'affermazione papale negando che le corporazioni La proprietà (oggi
dominante nell'economia e controllata da un ristretto numero di azionisti),
rientra nella categoria della proprietà privata e dovrebbe essere tutelata come
valore di diritto naturale.
Ma la defezione più evidente della dottrina sociale cattolica è quella per cui
la lotta per la giustizia si identifica con la lotta di classe, assumendo che la
giustizia si possa ottenere solo andando oltre la giustizia: essendo una sorta
di contro-ingiustizia.
Ciò presuppone che l'ordine sociale sia indipendente dall'ordine morale e così via
è necessario trascendere questo per stabilire quello.
La lotta di classe è un'azione di guerra indotta all'interno del gruppo delle
società civili e, secondo la dottrina di Lenin e di Stalin, non viene mai
abbandonata, tende a trasferirsi, quando le circostanze lo richiedono, al gruppo
della società etnarchica: è così diventa una guerra dell'intera classe operaia
del mondo contro l'intera classe non operaia del mondo.
Se la lotta di classe (che è stata condannata dalla Chiesa) viene equiparata
a un'opera di giustizia, è evidente che, trattandosi di un'attività di guerra,
dovrebbe essere inclusa nella categoria della guerra giusta, che è guerra licita.

11.7. Debolezza delle antitesi


La debolezza dell'antitesi tra comunismo e cristianesimo, la cui logica
evoluzione verso la teologia della liberazione vedremo nel prossimo paragrafo,
è la conseguenza di due fatti: il dissenso dottrinale in seno al comunismo e la
dottrina enunciata da Giovanni XXIII nella Pacem in terris.
Per quanto riguarda il primo fatto (detto ´eclatement du marxisme), va
ricordata anzitutto la riforma operata da alcuni partiti comunisti nei loro statuti,
dispensando dalla necessità di professare il materialismo storico e ammettendo
nel partito anche coloro che sono ispirato da esso per l'impegno operaio verso
altre idee filosofiche o religiose.
Questa trasformazione del comunismo era stata preceduta dall'Internazionale
socialista, che, quando fu ricostituita a Francoforte nel 1951, stabilì al punto IX
del preambolo: Il socialismo democratico è un movimento
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11.7. Debolezza delle antitesi 215

diritto internazionale che non richiede una rigorosa uniformità dottrinale. Sia
che basino le proprie convinzioni sul marxismo o su altri sistemi di analisi della
società, sia che si ispirino a principi religiosi e umanitari, tutti i socialisti lottano
per lo stesso obiettivo: un sistema di giustizia sociale, di maggiore benessere,
di libertà e pace nel mondo (RI, 1951, p. 576).

Epocaci tutti i principi specifici del marxismo (come il materialismo storico,


il rifiuto della religione, l'espropriazione dei mezzi di produzione, o la lotta di
classe) è possibile la convergenza di movimenti eterogenei in un'ideologia
atipica, come quella della giustizia, benessere e pace.

In questo modo il documento di Francoforte è simile al documento


dell'Episcopato di Francia: va oltre lo specifico per trovare un fondamento
generico e confuso. In realtà, la giustizia è qualcosa di totalmente diverso nel
pensiero dei Papi (che la concepiscono come comunità della ricchezza in
termini di utilizzo) e nell'ideologia marxista (che vuole realizzarla attraverso
l'accentramento statale di tutti i beni).
Questa convergenza delle due dottrine è accompagnata anche dalle
discrepanze che sono sorte tra i teorici del marxismo. Rimanendo in Francia,
basti ricordare la dissidenza di Garaudy, che, rifiutando l'accentramento del
potere come unico mezzo per raggiungere il comunismo, immagina un
centralismo democratico e policentrico; e quella di Althusser, che, rifiutando il
primato esclusivo dell'economico, dottrina comune ai marxisti, ammette una
pluralità di strutture, assegnando all'economico solo un primato dominante
7 .
sugli altri, varianti che però lasciano
intatta l'essenza del comunismo. Si spiegano semplicemente con la diversità
che nasce da ogni elaborazione intellettuale compiuta a partire da un'idea
fondamentale. Queste varietà del marxismo potrebbero essere paragonate alle
varietà in cui si discute la teologia, quando viene introdotta nella deduzione del
principio e nelle interpretazioni del fatto della fede.

Si apre allora un vasto campo alla disputa del disputato, secondo varie
scuole (tomista, scotista, suarista, rosminiana) in cui l'intelletto cristiano è
imprigionato nell'ossequio alla fede, ma non più al di là delle parole della fede;
ed è in questi, e non negli argomenti teologici di ciascuna scuola, che tutte le
scuole concordano.
Ma torniamo al marxismo. Le varie specie del genere non possono né
ampliare il principio per includere il suo opposto, né

7 Sulle varianti del comunismo, vedi MAURICE CORVEZ, Los estructuralistas, ed.
Amorrortu, Buenos Aires 1972, cap. 5, pagg. 114 e segg.
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216 11. Movimenti religiosi e sociali

romperlo, né alterarlo. Inoltre il partito, forza storicamente efficace, ha sempre


ripudiato l'attacco delle sue varianti contro il principio. Georges Marchais,
segretario generale del Partito comunista francese, intervistato dal quotidiano
La Croix, ha dichiarato senza mezzi termini: Non vogliamo creare illusioni su
questo punto: tra marxismo e cristianesimo non c'è nessuna possibile
conciliazione, né possibile convergenza ideologica. Questa affermazione
coincide interamente con quella del presidente socialcomunista della Francia,
Francois Mitterrand, nel libro Here and Now (Ed. Argos-Vergara; prefazione di
Felipe Gonz'alez), che è una dichiarazione aperta contro la religione. In esso si
afferma il perfetto Dies seitigkeit del comunismo, che sostituisce al destino
ultraterreno dell'uomo la visione della felicità da raggiungere ici (qui: nel
mondo) e maintenant (ora: non nella vita futura).
E se ci si rivolge alle fonti dottrinali del movimento, troviamo il testo di
Lenin citato in OR, 5-6 luglio 1976: I comunisti che si alleano con i socialisti
democratici e con i cristiani non lasceranno di essere rivoluzionari, perché
coordinano tali collaborazioni in vista del proprio fine, che è la distruzione della
società borghese.
Questo riferimento al principio comunista è parallelo a quello fatto da Paolo
VI al principio cattolico nella Lettera apostolica del 14 maggio 1971 al card.
Roy: Il cristiano che vuole vivere la sua fede in un'azione politica concepita
come servizio, non può aderire senza contraddizione a sistemi ideologici
radicalmente o sostanzialmente opposti alla sua fede e alla sua concezione
dell'uomo (Octogesima Adveniens, n. 26). Curiosa la negazione fatta da OR il
1° settembre 1982 della distanza tra cristianesimo e marxismo, in un articolo
intitolato Cultura, pluralismo e valori. Con tesi nuovissime, nega l'opposizione
insegnata da Pio XI: Vale veramente la pena di considerare se persista ancora
lo schema di analisi che distingueva tra cultura cattolica e cultura marxista.

Parece que el autore ignora quasi modo genitus infans la Divini Redemptoris
y todos los documentos pontificios.

11.8. Principio e movimento nella pacem in terris

Eppure sembra che sia il cattolicesimo che il comunismo siano usciti da


questa posizione di integrità logica che distanzia le due concezioni in infinitum
senza possibili coincidentia oppositorum.
Per i cattolici l'impulso è venuto da un famoso passo di Giovanni
23 en la Enc´ÿclica Pace sulla terra: anche tu sei assolutamente necessario

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