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«SCRITTI»

DI LEONARDO DA VINCI

di Carlo Vecce

Letteratura italiana Einaudi 1


In:
Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere
Vol. I, a cura di Alberto Asor Rosa,
Einaudi,Torino 1992

Letteratura italiana Einaudi 2


Sommario

I-III. GENESI E STORIA, STRUTTURE, TEMATICHE. 4


Tradizione e fortuna. 16
Le strutture possibili. L’albero della conoscenza. 19
Le strutture possibili. Progetti di libri. 22

IV. LEONARDO E GLI «ALTORI». 25

V. VALUTAZIONE LINGUISTICA E CRITICA. 30


5.1. La lingua di Leonardo. 30
5.2. Una conclusione provvisoria 32

VI. Nota bibliografica. 34

Letteratura italiana Einaudi 3


I. GENESI E STORIA, STRUTTURE, TEMATICHE.

Nello scrittoio di Leonardo: i manoscritti vinciani. Un ristretto gruppo di carte del


codice Atlantico1 e del codice Arundel2 rappresenta la testimonianza superstite
delle prime scritture di Leonardo, negli anni dell’apprendistato fiorentino, dopo il
1469. Sono documenti umili della tradizione di bottega, testi dettati dal maestro o
trascritti da altri “libri d’arte”: memoria pratica di segreti del mestiere, di compo-
sizioni necessarie alla creazione dei colori, delle vernici e degli oli coprenti: ma si
avverte già il superamento del precetto nell’osservazione diretta del fenomeno,
della prova della mistione attraverso l’esperienza. Leonardo mette in discussione
l’autorità di chi gli consegna la tradizione dell’arte, e ricomincia da capo: un atteg-
giamento mentale gravido di conseguenze per la parabola successiva della sua vita.
L’esercizio della scrittura, da parte del giovane pittore, è assolutamente stru-
mentale alla sua attività, e diventa scrittura di notazione o di integrazione al dise-
gno, all’appunto figurativo. Sui primi fogli fiorentini si ritrovano anche rade note
che possono illuminare i rapporti di Leonardo con la cultura contemporanea, e
soprattutto con la tradizione popolare toscana di letteratura moraleggiante o di
poesia burlesca. Alcune riflessioni sul tempo risultano legate alla immaginaria co-
struzione di orologi (C.A., c. 42v, ex 12va), accanto ad una lista di nomi in cui
compaiono «maestro Pagolo medico» (cioè Paolo dal Pozzo Toscanelli), e «mes-
ser Giovanni Argiropulo» (Scritti, p. 262). Su un altro foglio del codice Atlantico
si raccolgono ricette di colori, un proverbio, alcune citazioni poetiche ancora sul
tema del tempo, della caducità della bellezza, dell’amore, da Luca Pulci, Petrarca,
Ovidio, e un oscuro sonetto non autografo (C.A., c. 195v-r, ex 71va-ra: Scritti, p.
229)3. Ma già allora, tra le carte che portava con sé abbandonando la Firenze di
Lorenzo il Magnifico, Leonardo doveva avere alcune delle prove più alte della sua
capacità di scrittura e immaginazione: i tre fogli del codice Arundel e del codice
Atlantico, delicatamente tinti di rosso, con il rinnovato mito della caverna (Ar, c.

* I riferimenti ai testi di Leonardo sono attuati con un sistema di sigle, introdotte nelle brevi descrizioni dei mano-
scritti. I testi s’intendono citati dall’edizione di ogni singolo manoscritto, con rinvio, ove occorre, a LEONARDO DA
VINCI, Scritti, a cura di C. Vecce, Milano 1992 (citati come Scritti).
1 Milano, Biblioteca Ambrosiana, codice Atlantico (= C.A.), miscellanea di scritti e disegni, montati da Pompeo

Leoni su 401 ff. di grande formato, recentemente ricomposti in 12 voll. per complessive cc. 1119 (ne seguiamo la nuo-
va numerazione, riportando di seguito quella vecchia), a cura di A. Marinoni, Firenze 1973-80 (precedente edizione a
cura di G. Piumati, 5 voll., Milano 1894-1904). Per datazioni e commenti ai singoli testi, cfr. C. PEDRETTI, The Co-
dex Atlanticus of Leonardo da Vinci. A Catalogue of its Newly Restored Sheets, New York 1978.
2 London, British Library, codice Arundel 263 (= Ar), zibaldone di cc. 283; edizione a cura di P. Fedele ed E. Ca-

rusi, 4 voll., Roma 1923-30.


3 Alla stessa mano Pedretti attribuisce una serie di ottave contro il Bellincioni (C.A., c. 53v, ex 16ra), collegandole

con il nome di Antonio da Pistoia (che compare, vicino a proverbi toscani, in C.A., c. 18r, ex 4rb: Scritti, p. 100): cfr.
C. PEDRETTI, Leonardo e Antonio Vinci da Pistoia, in «Raccolta Vinciana», XIX (1962), pp. 287-91.

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155r), la descrizione del «fine della terreste natura» (Ar, c. 155v) e del processo
d’accrescimento della terra (Ar, c. 156r), la disputa sulla legge di natura (Ar, c.
156v), e la visione del mostro marino, smisurata forza della natura (C.A., c. 715r,
ex 265ra; Ar, c. 156r: Scritti, pp. 162-65).
E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran copia delle varie e strane for-
me fatte dalla artifiziosa natura, raggiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli, pervenni
all’entrata d’una gran caverna. Dinanzi alla quale, resto alquanto stupefatto e ignorante
di tal cosa, piegato le mie reni in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e col-
la destra mi feci ten(ebre) alle abbassate e chiuse ciglia, e spesso piegandomi in qua e in
là per (ve)dere se dentro vi discernessi alcuna cosa, e questo vietatomi la grande oscu-
ri(t)à che là dentro era. E stato alquanto, subito sa(l)se in me due cose, paura e deside-
ro: paura per la minac(cian)te e scura spilonca, desidero per vedere se là entro fusse al-
cun(na) miracolosa cosa. (Ar, c. 155r: Scritti, p. 162).
Il passaggio a Milano è segnato dalla celebre lettera a Ludovico il Moro, do-
cumento non autografo, e probabilmente steso da altri (C.A., c. 1082r, ex 391ra:
Scritti, pp. 235-36). Leonardo, che si presenta al duca come ingegnere ed archi-
tetto militare, e in second’ordine come pittore e scultore, al fine di eseguire il mo-
numento equestre di Francesco Sforza, si inserisce nella corte sforzesca associan-
dosi al vario mondo dei tecnici e scienziati empirici. Il più antico manoscritto vin-
ciano degno di questo nome, il B dell’Institut de France di Parigi, testimonia lo
sforzo di acquisire maggiori conoscenze teoriche in campo ingegneristico e archi-
tettonico, come se le capacità dichiarate nella lettera al Moro fossero più vantate
che reali4. Si tratta di una svolta notevole per l’esercizio della scrittura da parte di
Leonardo, che, ormai a trentacinque anni, tra 1487 e 1489, passa dalla nota occa-
sionale alla sistematica lettura e trascrizione di testi: in particolare dal De re mili-
tari di Roberto Valturio (edito nel 1472), nel volgarizzamento del Ramusio pub-
blicato nel 1483. Ai prevalenti temi militari si accostano note di geometria ele-
mentare, funzionari agli elementi di prospettiva; disegni di macchine belliche im-
maginarie che vanno ben oltre la tradizione prospettata dal Valturio (bombarde,
carri, macchine volanti ed acquatiche); e infine alcune pagine di architettura e di
urbanistica (cc. 16r-15v, 36r e 38r-v), che portano il pensiero vinciano alla proget-
tazione della città ideale, e alla realtà degli sforzi compiuti in questo campo nella
Lombardia sforzesca.

4 Paris, Institut de France, MS. 2173 (= B), di cc. 84 d’ampio formato. Ne è parte integrante il manoscritto dell’In-

stitut de France 2184, già Ashburnham 1875/1 (e Paris, Bibliothèque Nationale It. 2037) (= B1), di 26 pp., asportato
da Guglielrno Libri nell’Ottocento. L’edizione dei codici A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L ed M dell’Institut de France
è stata curata da A. Marinoni, Firenze 1985-90; precedente edizione completa Les manuscrits de Léonard de Vinci, a
cura di Ch. Ravaisson Mollien, 6 voll., Paris 1881-91 (per il codice B, anche le edizioni a cura della Reale Commissio-
ne Vinciana, Roma 1941, e di A. Corbeau e N. De Toni, Grenoble 1960).

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A quelle pagine si collega immediatamente l’abbozzo di lettera al Moro affin-


ché fosse concessa l’autorità necessaria all’esecuzione del progetto urbanistico
(C.A., c. 184v, ex 65vb, del 1493: Scritti, pp. 236-37); l’abbozzo di relazione che
Leonardo inviò alla commissione per il consolidamento del duomo di Milano, con
l’ardito parallelo tra medicina e architettura e la concezione dell’edificio come or-
ganismo vivente (C.A., c. 730r, ex 270rc, del 1490: Scritti, pp. 237-238); la curiosa
lettera di raccomandazione per se stesso (presumibilmente firmata da altri) ai fab-
briceri del duomo di Piacenza, per l’esecuzione delle porte bronzee (C.A., c. 887r-
v, ex 323rb-vb, del 1495: Scritti, pp. 238-40). E nascono in questo contesto alcuni
piccoli notebooks come il codice Forster III (insieme di note disordinate, con ricet-
te, studi sul duomo di Milano una facezia e il primo gruppo di temi di favole)5, e la
seconda parte del codice Forster I (disegni e appunti su macchine idrauliche e sul
moto perpetuo, probabile confronto con il X libro del De architectura di Vitruvio)6.
Ma il problema più urgente restava, per Leonardo, l’acquisizione di un linguag-
gio specifico nelle discipline di cui intraprendeva lo studio, e l’avvicinamento a mo-
delli di espressione che erano propri della cultura umanistica latina, e che, come tali,
avevano contribuito, nel secondo Quattrocento, alla formazione di una nuova e più
vasta letteratura in volgare, con l’estensione graduale dei volgarizzamenti anche a
quelle opere della tradizione scientifica e tecnologica antica che erano mediate anco-
ra solo dal latino, e che erano definite nella loro globalità come literatura. In alcuni
brevi testi programmatici, caratterizzati talvolta dal titolo Proemio (C.A., c. 323r, ex
117rb e c. 327v, ex 119va), Leonardo riconosce di non essere uno specialista della li-
teratura, cioè un «litterato», ma rigetta con forza l’accusa (non sappiamo se reale, o
solo immaginata) di essere un «omo sanza lettere», cioè del tutto privo della possibi-
lità di intendere i testi della tradizione antica, e non solo per ragioni linguistiche:
Proemio.
So bene che, per non essere io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragione-
volmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta, non
sanno questi tali ch’io potrei, sì come Mario rispose contro a’ patrizi romani, lo si ri-
spondere, dicendo: «Quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me
medesimo non vogliano concedere». Diranno che, per non avere io lettere, non potere
ben dire quello di che voglio trattare. Or non sanno questi che le mie cose son più da
esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parola; la quale fu maestra di chi bene scrisse,
e così per maestra la piglio e quella in tutt’i casi allegherò.
(C.A., c. 327v, ex 119va: Scritti, p. 191).

5 London, Victoria and Albert Museum, codice Forster III (= FoIII), quaderno tascabile di cc. 88. Edizione com-

plessiva dei codici Forster a cura di A. Marinoni, Firenze l992 (precedente edizione a cura della Reale Commissione
Vinciana, 5 voll., Roma 1930-36).
6 London Victoria and Albert Museum, codice Forster I, seconda parte (= FoI-2), di cc. 15.

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Alla propria, consapevole ignoranza del latino Leonardo tenta di rispondere


con la pratica, consigliata per il volgare da Cristoforo Landino, e applicata tra gli
altri da Luigi Pulci, della raccolta sistematica di vocaboli, e dell’esercizio di deri-
vazione dei lemmi. Abbozzi di elenchi di nomi sono già nel manoscritto B (B, c.
40r, e B1, c. 10r). Il coevo codice Trivulziano si concentra quasi esclusivamente su
questo lavoro lessicale, presentando gli spogli del libro del Valturio, del Novellino
di Masuccio Salernitano, e soprattutto del Vocabulista del Pulci, e manifestando
l’interesse prevalente per vocaboli latineggianti o caratteristici di uno stile avverti-
to da Leonardo come “alto” o aulico7. E una più vasta raccolta lessicale doveva
essere compiuta nello stesso periodo, con attenzione ad altri settori specifici della
lingua, come la scienza, la medicina, l’architettura, in un perduto «libro di mia vo-
caboli»8. Leonardo, alla ricchezza di vocaboli della sua lingua materna, sente il bi-
sogno di aggiungere nuovi orizzonti linguistici desunti dal confronto con la litera-
tura. E il momento è decisivo, perché verso il 1489 la sua attività a Milano avreb-
be potuto essere oggetto di critiche, a fronte dell’evidente incapacità di portare a
termine il monumento Sforza. Dionisotti ha giustamente centrato l’attenzione sul-
la dedica di Francesco Puteolano al De gestis Francisci Sphortiae di Giovanni Si-
monetta, volgarizzato dal Landino e stampato a Milano nel 1490: un testo che isti-
tuisce il confronto polemico tra lettere ed arti, a tutto favore delle prime9.
La risposta di Leonardo si concreta non solo nella ripresa del cavallo sforze-
sco, ma soprattutto nell’iniziale progettazione e stesura di testi, in cui poteva con-
fluire il bagaglio di conoscenze accumulate in quegli anni. Il “libro” per eccellen-
za che Leonardo avrebbe potuto scrivere, nel solco della tradizione degli artisti
scrittori e “non litterati”, era naturalmente un libro di pittura, a cui rinviano i pri-
mi titoli e programmi, e l’orgogliosa notazione della data d’inizio della stesura: «A
dì 2 d’aprile 1489 libro titolato de figura umana» (W, 19059r = An B, c. 42r)10.

7 Milano, Bibboteca Trivulziana, codice N 2162 (= Tr), di cc. 55. Edizione a cura di A. M. Brizio, Firenze 1980

(precedenti edizioni a cura di L. Beltrami, Milano 1891, e di A. Marinoni, Milano 1980).


8 Cfr. A. MARINONI, Gli appunti grammaticali e lessicali di Leonardo da Vinci, 2 voll., Milano 1944-1952; ID.,

Leonardo «Libro di mia vocaboli», in AA.VV., Studi in onore di Alberto Chiari, Brescia 1973, pp. 751-66; G. PONTE,
Una fonte lessicale vinciana: il «Novellino» di Masuccio Salernitano, in «Esperienze letterarie», I (1976), pp. 62-72; N.
DE TONI, Ancora sul «Valturio», in «Notiziario Vinciano», III (1979), 10 pp. 5-68.
9 C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere, in «Italia medioevale e umanistica», V (1962), pp. 183-216. Alcune

riserve in A. MARINONI, La biblioteca di Leonardo, in «Raccolta Vinciana», XXII (1987), p. 310.


10 K. D. KEELE e C. PEDRETTI, Corpus of the Anatomical Studies in the Collection of Her Majesty the Queen at

Windsor Castle, 1978-80 (trad. it. Corpus degli studi anatomici nella collezione di Sua Maestà la regina Elisabetta II nel
Castello di Windsor, 3 voll., Firenze 1980-85), c. 40r (citato in seguito come Corpus). Alla Royal Library di Windsor si
conservano circa settecentottanta tra documenti e disegni di Leonardo (= W, 12275-727, 19000-152), per lo più pro-
venienti da una raccolto su 234 ff. allestita da Pompeo Leoni, smontata tra 1836 e 1910 (cfr. K. CLARK e C. PE-
DRETTI, A Catalogue of the Drawings of Leonardo da Vinci in the Collection at Windsor Castle, London 1969). I fo-
gli di anatomia furono rimontati in tre album segnati A (W, 19000-17=An A), B (W, 19018-59=AnB), C (W,19060-
152=An C, diviso in 6 quaderni). Edizioni anteriori al Corpus: a cura di G. Piumati e Th. Sabachnikoff, Paris 1898 e
Torino 1901; a cura di O. C. L. Vangensten, A. M. Fonahan e H. Hopstock, 6 voll., Oslo 1911-16.

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Questo titolo si trova però tra i fogli d’anatomia di Windsor, in quel gruppo di stu-
di che manifestano l’estensione della ricerca in campo anatomico. Quasi contem-
poraneamente, in una prodigiosa e simultanea fioritura, si sviluppano le branche
della prospettiva e dell’ottica, che si intersecano continuamente con gli studi ana-
tomici, al punto da unire, negli stessi fogli, «proemi» di anatomia e di prospettiva.
Nel pieno del fervore intellettuale, Leonardo inizia il manoscritto C dell’In-
stitut de France, con la nota: «Adì 23 d’aprile 1490 cominciai questo libro e rico-
minciai il cavallo»; codice di grandi dimensioni, in cui, dopo un’iniziale attenzio-
ne allo studio delle acque e della percussione, prevale nettamente la tematica del-
la luce e dell’ombra11. Di poco posteriore deve essere il manoscritto A, uno dei
quaderni di Leonardo più ricchi di testi per il progettato libro di pittura12. Acqui-
sta un risalto particolare lo studio della prospettiva, mentre alla fine del mano-
scritto la capacità di descrizione figurativa di Leonardo viene portata al livello più
alto, in alcune pagine che dovevano servire all’illustrazione didattica nel libro di
pittura (cc. 81r-113v: Scritti, pp. 143-49).
L’ossessione del cavallo sforzesco torna nella seconda parte del codice II di Ma-
drid, un quaderno irregolare con note sulla fusione del monumento, steso tra 1491
e 149413. Nello stesso periodo gli studi di meccanica cercano la possibilità di appli-
cazioni dirette nell’elaborazione di un libro di «elementi macchinali», di cui resta
testimonianza nel codice I di Madrid14. Ma molti altri testi vengono scritti da Leo-
nardo su fogli e fascicoli volanti, e sfuggono all’organizzazione, comunque precaria,
in un unico manoscritto. Così avviene per le pagine più belle degli studi sulle acque,
conservate in fascicoli sparsi del codice Arundel (cc. 233r, 234r-v, 235r, 236v, 210r,
58r-v, 59r e 57r-v; cfr. anche C.A., C. 1100r, ex 396ra e c. 468r, ex 171ra).
È possibile riconoscere una serie, del tutto episodica e spesso consegnata al
margine dei fogli, di scritti in cui riemerge il fondo moralistico e popolare della
prima formazione toscana di Leonardo: sono proverbi e massime (Scritti, pp. 100-
4), citazioni poetiche (da Petrarca e Dante: W, 12349v: Scritti, p. 230), e soprat-
tutto favole e facezie (Scritti, pp. 55-72 e 133-41). Il contatto con un grande ami-
co del Pulci a Milano, Benedetto Dei, ispira una straordinaria finzione di lettera,

11
Paris, Institut de France, ms. 2174 (= C), di cc. 11 + 30 (altra edizione a cura di A. Corbeau e N. De Toni, Gre-
noble 1964).
12 Paris, Institut de France, ms. 2172 (= A), di cc. 1-53 e 55-64: ma era di cc. 114, prima che il Libri ne rubasse le carte

ora mancanti, solo in parte rappresentate dal ms. 2185 (= A1), già Ashburnham 1875/2 e Paris, Bibliothèque Nationale It.
2038, di cc. 33 (altre edizioni a cura della Reale Commissione Vinciana, 2 voll., Roma 1936-38, e di A. Corbeau e N. De
Toni, Grenoble 1972). Per i testi sulla pittura, cfr. C. SCARPATI, Leonardo e i linguaggi (1981), in ID., Studi sul Cinque-
cento italiano, Milano 1982, pp. 3-26; LEONARDO DA VINCI, Il paragone delle arti, a cura di C. Scarpati, Milano 1993.
13 Madrid, Biblioteca Nacional, 8936, seconda parte (= MaII-2), cc. 141-57. Edizione complessiva dei codici di Ma-

drid a cura di L. Reti, 5 voll., Firenze 1974.


14 Madrid, Biblioteca Nacional, 8937 (= MaI), di cc. 184, composto in realtà di due manoscritti, preparati in due

momenti diversi ma contigui: cc. 1 + 1-96 (= MaI-1) e 97-184 (= MaI-2).

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che Leonardo immagina d’inviare dall’Oriente al Dei, sull’apparizione di un gi-


gante, che da figura dell’immaginario popolare, cara alla letteratura dei cantari
(dal Morgante di Pulci fino a risalire ad Antonio Pucci, citato da Leonardo nel
manoscritto I-2, c. 139r15), si trasforma in uno strumento della forza distruttiva
della natura (C.A., c. 852r, ex 311ra e 265v, ex 96vb: Scritti, pp. 165-67).
Lo stesso fondo di cultura popolare toscana ispira la composizione del cosid-
detto bestiario del manoscritto H16, un insieme di tre quadernetti databili preci-
samente al 1494, e recanti altresì proverbi, testi per imprese ed allegorie, e ap-
punti dai Rudimenta grammatices del Perotti, che testimoniano dello sforzo di
Leonardo, da autodidatta e a quarantadue anni, di imparare la lingua latina17. A
questa fase del periodo sforzesco appartiene anche l’esercizio intellettuale sul nes-
so tra parola e immagine, che porta alla composizione di complesse allegorie, in
cui il disegno non sembra poter bastare senza l’ausilio della parola scritta che ne
aiuti a decifrare i sensi (Scritti, pp. 154-57). Più immediate e affidate alla forza
dell’icona, precorrendo una moda e un gusto che apparterranno all’età manieri-
stica, sono le raccolte di imprese (Scritti, pp. 94-99)18, a loro volta parallele al gio-
co fantastico del linguaggio “per immagini”, “per cose” (rebus), esperimento di
linguaggio cifrato provato anche dal Bramante e da fra Luca Pacioli19.
Proprio il nome del Pacioli, studioso di matematica ed allievo di Piero della
Francesca, a Milano dal 1496, va fatto a proposito del manoscritto Forster II, in
cui si ritrovano ampi estratti dalla Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni
et Proportionalità, edita a Venezia il 10 novembre 1494. A questa prima fase di tra-
scrizione, databile al 1495, Leonardo aggiunge fíno al 1497 importanti appunti fi-
gurativi sugli atteggiamenti degli apostoli nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie
(cc. 62v-63v), alcune facezie (cc. 30v e 31r) e profezie (CC. 20r e 54r). La seconda
parte del codice, nata come quaderno a parte, si concentra invece sulla branca del-
la fisica medievale dedita al problema dei pesi, collegandosi al codice di Madrid I
e preparando un ingente materiale per un trattato (mai scritto) De ponderibus20. Il
Pacioli, che conosceva il latino un po’ meglio di Leonardo, può mediare all’amico,

15
Paris, Institut de France, ms. 2180, seconda parte (= I-2): cc. 49-139 (cc. 91; in origine 6 fascicoli di 8 bifogli).
16
Paris, Institut de France, ms. 2179 (= H).
17 Cfr. A. MARINONI, Gli appunti grammaticali cit., e quanto scrive lo stesso nella sua edizione di LEONARDO

DA VINCI, Scritti letterari, Milano 1974, pp. 227-38; inoltre A. MINICUCCI, De Nicolao Perotto apud Leonardum
Vincium, in «Res publica litterarum», IV (1981), pp. 185-94.
18 Andrebbero spostate per lo più verso il 1508 (Corpus, c. 125v); Cfr. L. RETI, «Non si volta chi a stella è fisso».

Le Imprese di Leonardo da Vinci, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», XXI (1959), pp. 7-54.
19 Cfr. A. MARINONI, I rebus di Leonardo da Vinci raccolti e interpretati, Firenze 1954; C. VECCE, Leonardo e il

gioco, in AA.VV., Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Roma 1993, pp.
269-312, e C. PEDRETTI, «Tomi», ibid., pp. 313-16.
20 London, Victoria and Albert Museum, codice Forster II (= FoII), diviso in due parti coeve: cc. I-63 (= Foll-1) e

64-159 (= FoII-2).

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oltre alle opere di Piero della Francesca, soprattutto gli Elementa di Euclide, che
erano stati tradotti in latino dal Campano, e appassionarlo ad infinite sfide all’in-
telligenza in problemi come la quadratura del cerchio, la rappresentazione dei cor-
pi solidi più complessi, la possibilità di trasformazione delle figure geometriche21.
Proprio lo studio della geometria e del primo libro di Euclide domina nel ma-
noscritto M, un volume di piccolo formato, databile tra 1497 e 149822. È uno stu-
dio propedeutico all’esecuzione delle tavole dei poliedri richieste dal Pacioli per il
suo trattato De divina proporzione23. Ma, come sempre, il codice non è riservato
ad un unico interesse: vi si addensano note di arte militare, ottica e tecnologia, di
meccanica e di fisica (la caduta dei gravi, e dei liquidi, la resistenza del mezzo),
che rinviano alla lettura di Giordano Nemorario e di Alberto Magno, a loro volta
mediatori a Leonardo delle dottrine di Aristotele e Simplicio.
Le trascrizioni da Euclide continuano nella prima parte del manoscritto I, da-
tabile al 1497, in cui si completa lo studio del primo libro avviato in M, e si af-
frontano altre proposizioni dei libri II, III e X24. Più o meno contemporanea, la
seconda parte di quel manoscritto contiene invece testi sull’acqua, e sul problema
del moto, oltre a un nuovo gruppo di estratti e di elenchi lessicali latini dalla
grammatica del Perotti. Ma l’aspetto più notevole di questo testimone è la con-
servazione alle cc. 63r-67v di una delle serie più nutrite e omogenee di quei testi
che Leonardo designa «profezie», parodie in forma d’indovinello di temi apoca-
littici in voga a fine Quattrocento: una serie che si sviluppa altrove, soprattutto in
fogli del codice Arundel e del codice Atlantico (Scritti, pp. 107-32)25.
Allo scadere del secolo, insomma, Leonardo aveva accumulato una quantità
notevole di letture e di trascrizioni, superando l’iniziale proposito del libro di pit-
tura, e immaginando nuovi e più ambiziosi trattati in campo scientifico. Pure
qualcosa doveva essere giunto ad una forma vicina alla sua divulgazione, e ne fa
fede il Pacioli, che nella dedica al De divina proporzione, nel 1498, ricorda che
Leonardo ha già finito un «libro de pictura e movimenti humani», e attende ora a
un’«opera inextimabile del moto locale de le percussioni e pesi e de le forze tutte
cioè pesi accidentali»26.

21 Cfr. A. MARINONI, Leonardo, Luca Pacioli e il«Deludo geometrico», in «Atti e memorie dell’Accademia Petrar-

ca di lettere, arti e scienze di Arezzo», nuova serie, XL (1970-72), pp. 3-28; ID., La matematica di Leonardo da Vinci,
Milano 1982; ID., Leonardo e Euclide, in «Raccolta Vinciana», XXII (1987), pp. 258-67; e quanto scrive lo stesso in
LEONARDO DA VINCI, Scritti letterari cit., pp. 258-67.
22 Paris, Instìtut de France, MS. 2183 (= M), cc. 94.
23 Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. & 170 sup., C. LXXXVIIr: codice di dedica datato al 14 dicembre 1498 (L.

PACIOLI, De divina proporzione, a cura di A. Marinoni, Milano 1982).


24 Paris, Institut de France, ms. 2180, prima parte (= I-1), cc. 1-48: quaderno di piccolo formato.
25 Cfr. C. VECCE, Leonardo e il gioco Cit., pp. 287-302.
26 Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. & 170 sup., c. 11r.

Letteratura italiana Einaudi 10


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

La caduta di Ludovico il Moro nel 1499 e il ritorno a Firenze (passando da


Mantova e Venezia) sono eventi che sembrano toccare solo la biografia esteriore di
Leonardo, preso interamente dalla prosecuzione delle indagini avviate negli anni
milanesi, e in particolare degli studi di geometria istigati dal Pacioli, giunto anche lui
a Firenze nel 1500 per leggere Euclide allo Studio27. Il notebook che attraversa que-
sto periodo, denso di rivolgimenti storici, è il manoscritto L, iniziato nel 1497, con
appunti di matematica elementare, e destinato ad accompagnare Leonardo nell’e-
state del 1502 durante la parentesi del suo servizio a Cesare Borgia: una serie fittissi-
ma di note di viaggio, appunti di fortificazioni, carte geografiche e piante di città28.
Nuovamente a Firenze, Leonardo inizia un nuovo, ampio zibaldone, nella
prima parte del codice di Madrid I, raccogliendovi appunti legati agli incarichi
della Signoria (la deviazione dell’Arno nella guerra contro Pisa nel 1503 e le forti-
ficazioni a Piombino nel 1504), accanto ai materiali più svariati: note di geometria
applicata, dalla quadratura del cerchio alla ripresa dei testi euclidei (cc.140v-
138v), fino ad un abbozzo di stereometria, in cui si cita l’enciclopedia umanistica,
fresca di stampa, di Giorgio Valla, il De expetendis et fugiendis rebus, pubblicato a
Venezia da Aldo Manuzio nel 1501 (cc. 72v e 75v; cfr. anche Ar, cc. 178v-79v); se-
guono testi di pittura, ottica, prospettiva, oltre ad una serie di trascrizioni dal trat-
tato di architettura di Francesco di Giorgio Martini, da un manoscritto diverso da
quello che Leonardo già possedeva (Laurenziano Ashburnham 361)29. Ai fecondi
anni fiorentini è possibile attribuire anche le prime due parti del manoscritto K,
in cui continua lo studio di Euclide, con trascrizioni dai libri II-VI, mediati da un
testo volgarizzato probabilmente per incarico del Pacioli30; e nuove osservazioni
sul volo degli uccelli si raccolgono nel codice «sul volo degli uccelli», composto
nel 150531. Infine, la prima parte del codice Forster I è preceduta dalla nota: «Li-
bro titolato de strasformazione cioè d’un corpo ’n un altro sanza diminuizione o
accrescimento di materia» (c. 3r), seguita da una precisa datatio: «Principiato da
me Leonardo da Vinci a dì 12 di luglio 1505» (c. 3v)32: elementi di rilievo per l’u-
nico trattato di Leonardo che si presenti in forma unitaria e coerente.
Dal 1506 in poi Leonardo si lega al servizio del re di Francia, Luigi XII, at-
traverso il governatore di Milano Charles d’Amboise. In particolare, tra il 1506 e

27 Cfr. p. GALLUZZI, Leonardo, Pacioli e Savasorda, in Leonardo e il leonardismo a Napoli e a Roma, a cura di A.

Vezzosi, Firenze 1983, pp. 74-75.


28 Paris, Institut de France, MS. 2182 (= L), di cc. 94.
29 Madrid, Biblioteca Nacional, 8936, prima parte (= MaII-1): cc. 1-140.
30 Paris, Institut de France, ms. 2181 (= K), CC. 128, diviso in 3 quaderni: cc. 1-48 (= K-1), 49-80 (=K-2), 81-128

(= K-3).
31 Torino, Biblioteca Reale, codice «sul volo degli uccelli» (= VU), cc. 13. Edizione a cura di A. Marinoni, Firenze

1976 (precedente edizione a cura di Th. Sabachnikoff e G. Piumati, Paris 1893).


32 London, Victoria and Albert Museum, codice Forster I, prima parte (= FoI-1): cc. 1-40.

Letteratura italiana Einaudi 11


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

il 1508, nei soggiorni a Milano e a Firenze, comincia a mettere un po’ d’ordine tra
le sue carte, a trascrivere testi da un manoscritto all’altro, a riunire note sparse in
discorsi più o meno unitari. Appartiene a questo periodo il manoscritto D, appe-
na dieci fogli incentrati sul tema dell’occhio, punto d’incontro di un’appassionata
indagine dove si incrociano i cammini della pittura (fondata sulla «finestra dell’a-
nima»), dell’ottica, della prospettiva, e anche dell’anatomia33: un discorso interdi-
sciplinare talmente originale per Leonardo, che si era già lasciato sfuggire l’orgo-
gliosa affermazione: «L’occhio che così chiaramente fa sperienzia del suo offizio è
insino ai mia tempi per infiniti attori stato difinito in un modo: trovo per ispe-
rienzia essere ’n un altro» (C.A., C. 327v, ex 119va).
È anche il tempo di una rinnovata immaginazione creativa, in testi che torna-
no ai mondi favolosi ed esotici già evocati dalla lettera al Dei, universi paralleli
dove la forza della natura suscita e distrugge l’uomo e la sua storia: nella lettera
fantastica al Diodario di Soria Leonardo inventa una relazione di viaggio alle pen-
dici del monte Tauro, e di descrizione di una catastrofe naturale causata dallo
straripamento di fiumi immani (C.A., c. 573v, ex 214vd e c. 393v, ex 145va-vb:
Scritti, pp. 168-71)34:
In prima fummo assaliti e combattuti dall’impeto e furore de’ venti. A questo s’aggiun-
se le ruine delli gran monti di neve, i quali hanno ripieno tutte queste valli e conquassa-
to gran parte della nostra città. E non si contentando di questo, la fortuna con subiti
dil(u)vi d’acque ebbe a sommergere tutta la parte bassa di questa città. Oltre a di que-
sto s’aggiunse una subita pioggia, anzi ruinosa tempesta piena d’acqua; sabbia, fango e
pietre, insieme avviluppati con radici sterpi e zocchi di varie piante, e ogni cosa, scor-
rendo per l’aria, discendea sopra di noi; e in ultimo uno incendio di foco, il quale parea
condotto non che da’ venti ma da trentamila diavoli che ’1 portassin, ha abbruciato e
disfatto tutto questo paese, e ancora non è cessato. E que’pochi che siano restati, siano
rimasti con tanto isbigottimento e tanta paura, che appena, come balordi, abbiamo ar-
dire di parlare l’uno con l’altro. Avendo abbandonato ogni nostra cura, ci stiamo insie-
me uniti in certe ruine di chiese, insieme misti maschi e femmine, piccoli e grandi a mo-
do di torme di capre, e se non fussi certi popoli che ci hanno soccorso di vettovaglia,
tutti saremmo morti di fame.
(C.A., c. 573v, ex 714vd: Scritti, p . 171);
altrove gioca a descrivere minuziosamente, come se fosse reale, un tempio
immenso mai esistito, che ricorda piuttosto l’altissimo tempio piramidale dell’Hy-

33 Paris, Institut de France, ms. 2175 (= D) (altra edizioni a cura di A. Corbeau e N. De Toni, Grenoble 1964). Cfr.

D. S. STRONG, Leonardo da Vinci on the Eye, New York 1979; J. ACKERMAN, Leonardo’s Eye, in «Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes», XLI (1978), pp. 108-46.
34 Già datato al 1497-1500 (cfr. C. PEDRETTI, The Codex Atlanticus cit.,pp. 22-23), può essere riferito anche al

decennio successivo, fino al 1508 (cfr. F. P. DI TEODORO, «Stupenda e dannosa maraviglia», in «Achademia Leo-
nardi Vinci», II (1989), pp. 121-26).

Letteratura italiana Einaudi 12


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

pnerotomachia Poliphili (C.A., c. 775v, ex 285rc, del 1515), così come aveva gio-
cato ad immaginare un immenso ponte sul Bosforo, e a prospettare la realtà del
progetto al Sultano35. Quando l’Amboise gli dà l’incarico di allestirgli una «deli-
zia» o villa suburbana di piacere appena fuori Milano, Leonardo immagina giar-
dini, padiglioni, fontane e giochi d’acqua (C.A., c. 732bv, ex 271va, del 1508): la
sua fantasia trascorre al ricordo del palazzo incantato di Venere nell’isola di Cipro
(legato magari alle Stanze di Poliziano), e, con uno scarto tipico, vi associa l’im-
magine della morte e della disfazione, con i relitti e le carcasse di navigli squassa-
ti dalle onde sulle coste dell’isola del piacere:
Dalli meridionali lidi di Cilizia si vede per australe la bell’isola di Cipri, la qual fu regno
della dea Venere, e molti, incitati dalla sua bellezza, hanno rotte lor navili e sarte infra li
scugli, circondati delle reverti(gi)nali onde. Quivi la bellezza del dolce colle invita i va-
gabundi navicanti a recrearsi infra le sue fiorite verdure, fra le quali i venti raggirando-
si empiano l’isola e ’1 circunstante mare di suavi odori. O quante navi quivi già son
sommerse! O quanti navili rotti negli scogli! Quivi si potrebbe vedere innumerabili na-
vili: chi è rotto e mezzo scoperto dalla rena, chi si mostra da poppa e chi da prua, chi da
carena e chi da costa. E parrà a similitudine d’un Giudizi, che voglia risuscitare navili
morti, tant’è la somma di quelli, che copre tutto il lito settentrionale. Quivi e’ venti d’a-
quilone, resonando, fan vari e pauro(si) soniti.
(W, 12591v: Scritti, pp. 157-58).
Il passo è breve perché, tra le pagine di studi e osservazioni sulla natura del-
l’acqua, si sviluppino vere e proprie visioni indipendenti dalla struttura neutrale
dell’osservazione scientifica: l’acqua ossessiona Leonardo come il più forte e il più
grande degli elementi, e più continua lo sforzo di trovare regole e leggi per i suoi
comportamenti fisici, più prevale, a livello irrazionale, la percezione del suo im-
menso potere distruttivo, già rappresentato nei primi «diluvi» (C.A., c. 302r, ex
108vb, del 1490: Scritti, pp. 172-74). L’acqua è così sempre presente negli scritti di
Leonardo di questi anni: la ritroviamo, dopo vari studi di geometria, nella terza
parte del codice K, che esplora ancora le possibilità di regolare il corso dei fiumi e
di edificare argini e ripari36. L’acqua domina la composizione del codice Hammer,
e unisce anzi la sua storia alla storia della terra, che viene esaminata nelle sue tra-
sformazioni geologiche, come un qualsiasi essere vivente: l’occhio di Leonardo
passa continuamente dall’universale (la terra e i corpi celesti) all’infinitamente pic-
colo (i piccoli fossili animali, i «nichi», incastonati nella massa delle montagne)37.

35
La copia turca della straordinaria lettera di Leonardo fu rinvenuta nell’archivio del Top-Qapu Serajs di Istambul,
da F. BABINGER, Vier Bauvorschlage Lionardos da Vinci’s an Sultan Bajezid II. (1502/3), in «Nachrichten der Akade-
mie der Wissenschaften in Góttingen. Philologisch-Historische Klasse», I (1952), pp. 1-20.
36 Cfr. supra, nota 30.
37 Los Angeles Cal., Armand Hammer Museum of Art, codice Hammer (già codice Leicester 699) (= Ha), cc. 36.

Edizione a cura di C. Pedretti, Firenze 1987 (precedente edizione a cura di G. Calvi, Milano 1909).

Letteratura italiana Einaudi 13


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

Il codice Hammer è rilevante anche perché manifesta il tentativo di riordina-


re materiali dispersi in altri zibaldoni, materiali che qui vengono trascritti in bella
copia e in successione più coerente: in particolare, vi compaiono, di seguito a
molti brani sulle acque, rinvii numerici alle carte di un quaderno “A”, che hanno
permesso a Pedretti di ricostruire, almeno idealmente, la composizione del per-
duto “Libro A”, miscellanea di note di idrodinamica e di pittura databile verso il
150538. Leonardo era consapevole della difficoltà di fermare il fiume in piena dei
suoi scritti, che si accumulavano spontaneamente seguendo il libero corso dell’in-
dagine: questo atteggiamento ambivalente tra ordine e disordine, tra costrizione e
libertà, trova la sua espressione più significativa all’inizio del primo fascicolo del
codice Arundel: «Cominciato in Firenze in casa Piero di Baccio Martelli addì 22
di marzo 1508. E questo fia un raccolto sanza ordine tratto di molte carte, le qua-
li io ho qui copiate, sperando poi di metterle per ordine alli lochi loro, secondo le
materie di che esse tratteranno» (Ar, c. 1r: Scritti, pp. 226-27)39.
L’indagine della natura continua ad estendersi senza posa anche agli altri ele-
menti naturali, e alle loro manifestazioni: descrizioni di venti, nuvole, piogge, ful-
mini, osservazioni celesti, profonde speculazioni sulla luna e sul sole. Nel mano-
scritto F, composto prevalentemente a Milano nel 1508-509, oltre il tema preva-
lente delle acque, si affrontano questioni cosmologiche, che portano Leonardo a
confutare Platone nella disputa sulla naturale forma geometrica degli elementi
primari (C. 27r-v), e a presentare la dottrina dell’eccellenza e della centralità del
sole nel sistema dell’universo, con accenti che avvicinano alla poesia degli inni di
Marullo e della Spera del Dati, non a caso citati a chiusa di questa «Lalde del so-
le» (cc. 5r-4v)40.
Leonardo aveva ripreso lo studio dell’anatomia nel secondo periodo fiorenti-
no, partecipando a dissezioni di cadaveri nello spedale di Santa Maria Nuova a
Firenze. I suoi interessi in campo anatomico, partiti inizialmente dalla fínalità di
comprendere meglio le forme muscolari e le ragioni dell’origine dei movimenti,
necessarie alla rappresentazione pittorica della figura umana, erano diventati au-
tonoma curiosità scientifica, e si ramificavano a loro volta in branche specialisti-
che d’indagine, seguendo il metodo suggerito dagli auctores medici tardo medie-
vali che Leonardo aveva letto e meditato. Il risultato è che ora il disegno serve al-
l’anatomia e non viceversa: è il disegno che è strumentale alla descrizione esatta
degli organi interni del corpo umano, e che interagisce con la parola scritta come

38
Cfr. C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci on Painting: A Lost Book (Libro A) Reassembled from the Codex Vaticanus
1270 and from the Codex Leicester, Berkeley - Los Angeles Cal. 1964.
39 Cfr. l’acuto commento di L. M. BATKIN, Leonardo da Vinci, 1988 (trad. it. Bari 1988, pp. 3-14).
40 Paris, Institut de France, ms. 2177 (= F), cc. 96. Cfr. C. VASOLI, La lalde del sole di Leonardo da Vinci («XII let-

tura vinciana», 1972), in Leonardo letto e interpretato, a cura di P. Galluzzi, Firenze 1974, pp. 327-50.

Letteratura italiana Einaudi 14


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

mai prima alcun testo di Leonardo. Ne risultano pagine memorabili, databili agli
anni 1508-509, sui temi della disfazione e rigenerazione, e della «dolce morte»
(W, 19027v = An B, c. 10v: Corpus, c. 69v). Lo studio fisico e materiale della lin-
gua porta per analogia, come nel caso dell’analisi dell’occhio, ad acute riflessioni
sul linguaggio, e sulla sua evoluzione storica; e il discorso va avanti, sul filo della
“materialità” dell’emissione di voce, in un violento attacco alle credenze di entità
spirituali o soprannaturali, in una parola contro quella che Leonardo definisce la
«negromanzia», e l’«archimia» (W, 19045v, 19048v-r e 19047v = An B, cc. 28v,
31v-r e 30v: Scritti, pp. 215-21, Corpus, cc. 50v, 49v-r e 48v). Altrove, lo studio del-
lo «strumento» vocale fa nascere l’idea di comporre un «libro degli strumenti ar-
monici» (W, 19115r-v = An C IV, c. 10r-v: Corpus, C. 114v-r). Ma dove l’analisi
raggiunge i massimi livelli di rappresentatività, sia dal punto di vista del disegno
che da quello della parola, è nella figurazione degli organi interni della vita, e so-
prattutto del cuore (W, 19029r =An B, c. 12r: Corpus, c. 71r).
La speranza in un compimento dell’opera era vicina: «E questa vernata del
mille 510 credo spedire tutta tal notomia» (W, 19016 = An A, c. 17r). A Milano
aveva trovato la valida collaborazione di un giovane professore dell’università di
Pavia, Marcantonio Della Torre, che probabilmente lo fece assistere a dimostra-
zioni d’anatomia nell’università, e gli prospettò la destinazione più giusta dell’o-
pera di descrizione anatomica: la pubblicazione integrale delle analisi, con i testi e
i disegni, riprodotti su grandi tavole, come se fossero altrettante carte geografiche
del corpo umano, il «mondo minore», come nelle edizioni della cosmografia di
Tolomeo (W, 12592r e 19014v = An C v, c. 2r e An C III, c. 10v: Scritti, pp. 210-
12; Corpus, cc. 97r e 107r)41.
Il manoscritto G segue il passaggio di Leonardo da Milano a Roma, con note
di datazione che vanno dal 1510 al 1515: dopo tanti tentativi d’ordinamento, in
questo quaderno tornano ad addensarsi scritti di differenti aree tematiche: le
piante, la forza e la percussione, il moto e il volo degli uccelli, la geometria (con
citazioni da Archimede e Vitruvio, c. 96r), le acque e il sole, l’ottica e la prospetti-
va; lo studio del movimento della nave si fonda su Vitruvio, e su un opuscolo per-
duto di Leon Battista Alberti, il De navi (c. 54v)42.
L’ultimo manoscritto compiuto di Leonardo, il manoscritto E43, si colloca in-
teramente tra il 1513 e il 1514, sullo sfondo del soggiorno romano, del laboratorio
nel cortile del Belvedere, tra giochi di specchi e invenzioni che ai contemporanei

41
Il progetto fu vanifícato dalla diffusione di abbreviatura ad uso degli studenti, aspramente ripresi da Leonardo
(W, 19084 = An C II, c. 14r; W, 19063 = An C I, c. 4r): cfr. Scritti, pp. 213-15; Corpus, c.173r (e commento di C. Pe-
dretti, ibid., III, pp. 880-82).
42 Paris, Instìtut de France, ms. 2178 (= G), cc. 93.
43 13 Paris, Institut de France, MS. 2176 (= E), cc. 96

Letteratura italiana Einaudi 15


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

potevano parere ghiribizzi e strane chimere. «Un altro de’ primi pittori del mondo
sprezza quell’arte dove è rarissimo, ed essi posto a imparar filosofia», scrive con
ironia il Castiglione44. Ma non si trattava di un’improvvisa e tardiva conversione.
Nel manoscritto E prevalgono gli studi di fisica meccanica, con la scienza dei pesi
e le note sul volo degli uccelli, e continuano le note di pittura legate all’insegna-
mento e, probabilmente, all’idea del «libro», idea che ormai, oltre le premesse ge-
nerali e il dibattito sul «paragone», includeva anche l’insieme di regole, precetti,
conoscenze matematiche e prospettiche necessario alla trasmissione dell’arte.
Avrebbero dovuto trovarvi posto, alla fine delle descrizioni della natura e de-
gli elementi, anche i mirabili «diluvi» di Windsor, testi descrittivi come la Descri-
zione del diluvio (W, 12665r), e il Diluvio e sua dimostrazione in pittura (W,
12665v), e disegni (W, 12376-88), assolutamente complementari gli uni agli altri,
dove la parola segue la linea temporale in sequenze incalzanti, con procedimenti
retorici di accumulazione e amplificazione, e l’imnmagine dà la visione simulta-
nea della catastrofe (Scritti, pp. 175-79)45:
Diluvio e sua dimostrazione in pittura.
Vedeasi la oscura e nubolosa aria essere combattuta dal corso di diversi e avvilup-
pati venti, misti colla grav(e)zza della continua pioggia, li quali or qua or là portavano
infinita ramificazione delle stracciate piante, miste con infinite foglie dell’altonno. Ve-
deasi le antiche piante diradicate e stracinate dal furor de’ venti. Vedeasi le ruine de’
monti, già scalzati dal corso de’ lor fiumi, ruinare sopra e medesimi fiumi e chiudere le
loro valli; li quali fiumi ringorgati allagavano e sommergevano le moltissime terre colli
lor popoli. Ancora aresti potuto vedere, nelle sommità di molti monti, essere insieme ri-
dotte molte varie spezie d’animali spaventati e ridotti alfin di.tnesticamente in compa-
gnia de’ fuggiti ominí e donne colli lor figlioli.
(W, 12665v: Scritti, p. 177).
Ma l’opera di Leonardo non si chiudeva nel segno sublime e negativo dei di-
luvi, e negli ultimi anni francesi, dal 1516 al 1519, tornava a volgersi inesausta a
progetti operativi in campo urbanistico, all’approfondimento delle ricerche medi-
che, ad osservazioni naturalistiche destinate idealmente al «libro» che non sareb-
be mai stato scritto, alla forma “chiusa” che fu sempre il termine dialettico di
quella scrittura infinita.

Tradizione e fortuna. L’intera eredità dei manoscritti di Leonardo passò nel


1519 a Francesco Melzi, l’allievo milanese non sprovvisto di cultura letteraria e
umanistica, che si ritirò nella propria villa a Vaprio d’Adda. Il Melzi riordinò i

44
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, II, XXXIX, a cura di E. Bonora, con il commento di P. Zoccola, Mi-
lano 1976, p. 148.
45 Cfr. J. GANTNER, Leonardos Vísionen von dersintflut und vom Untergang der Welt, Bern 1958.

Letteratura italiana Einaudi 16


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

manoscritti, e soprattutto trascrisse i testi di pittura nel codice Vaticano Urbina-


te1270, intitolato Libro di pittura, servendosi di diciotto manoscritti originali,
menzionati alla fine dell’Urbinate (cc. 330v-31r), e dei quali solo otto sopravvi-
vono. La compilazione del Melzi ha importanza capitale per gran parte dei testi
che contiene, e di cui non è rimasto l’originale di Leonardo. Inoltre il codice Ur-
binate fu preparato con cura nell’organizzazione della materia (in parte rispon-
dente a un disegno dell’autore), nella trascrizione dei testi e nella disposizione
delle illustrazioni, affìnché fosse pronto come esemplare di stampa, intorno agli
anni 1540-5046.
Qualcosa però degli scritti di Leonardo aveva già cominciato a diffondersi.
Benvenuto Cellini acquistò nel 1542 in Francia da un gentiluomo impoverito una
copia di trattato su scultura, pittura e architettura, giudicandone straordinaria la
trattazione della prospettiva, e trasmettendo il testo al Serlio47. A Roma verso il
1530 Guglielmo Della Porta già possedeva il codice Hammer, e sempre a Roma il
Vasari incontrò un pittore milanese che recava con sé, per pubblicarlo, uno scrit-
to autografo di Leonardo sulla pittura48. Altri disegni e studi di proporzioni del
corpo umano venivano ripresi dal compilatore del codice Huygens49; e anche il
pittore e teorico dell’arte Giovanni Paolo Lomazzo frequentò casa Melzi, consul-
tando diversi manoscritti originali50. Infine, lo stesso codice Urbinate prendeva il

46 Il codice Urbinate rimase inedito fino alla pubblicazione di G. Manzi, Roma 1817. Un’edizione critica fu curata

da H. Ludwig: LEONARDO DA VINCI, Das Buch von der Malerei, Wien 1882; scorrette le edizioni italiane di M. Ta-
barrini (Roma 1890) e di C. Borzelli (Lanciano 1914). Importanti interventi critici e bibliografici sono in I. RICHTER,
Paragone. A Comparison of the Arts by Leonardo da Vinci, Oxford 1949; LFONARDO DA VINCI, Treatise on Pain-
ting [Codex Urbinas Latinus 1270], a cura di Ph. McMahon, introduzione di L. H. Heydenreich, Princeton N. J. 1956;
K. T. STEINITZ, Leonardo da Vinci’s Trattato della Pittura, Copenhagen 1958; C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci on
Painting cit., pp. 93-251; ID., Commentary, in J.P. RICHTER, The Literary Works of Leonardo da Vinci Compiled and
Edited from the Original Manuscripts, Oxford 1977, I, pp. 12-88; C.J. FARAGO, Leonardo da Vinci’s “Paragone”. A
Critical Interpretation with a New Edition of the Text in the “Codex Urbinas”, Leiden 1992; LEONARDO DA VINCI,
Il paragone delle arti cit.
47 B. CELLINI, Discorso dell’architettura (1568), in ID., Opere, a cura di B. Maier, Milano 1968, pp. 858-60; S.

SERLIO, Tutte le opere d’architettura et prospettiva (1545), Venezia 1619, c. 27r.


48 Entrambe le notizie compaiono nella seconda redazione delle Vite: G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pitto-

ri, scultori ed architettori, nelle redazioni del 1550 e del 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Testo, 6 voll., e
Commento secolare, 2 voll., Firenze 1966-87, IR, p. 843 e IV, p. 28.
49 Cfr. E. PANOFSKY, The Codex Huygens, London 1940; C. PEDRETTI, Commentary cit., pp. 48-75; F. ZOL-

LNER, Die Bedeutung von Codex Huygens und Codex Urbinas fur die Proportions - und Bewegungsstudien Leonardos
da Vinci, in «Zeitschrift fur Kunstgeschichte», III (1989), pp. 334-52.
50 Nel Trattato dell’arte de la pittura (Gottardo Pontio, Milano 1584, p. 158), Lomazzo ricorda un manoscritto au-

tografo di Leonardo (non identifìcabde con quelli superstiti), composto ad istanza del Moro, «in determinazione di
questa questione, se è più nobile la pittura o la scoltura». Sul Lomazzo e i suoi testi “vinciani”, cfr. E. SOLMI, Ricor-
di della vita e delle opere di Leonardo da Vinci raccolti dagli scritti di Gio. Paolo Lomazzo, in «Archivio storico lombar-
do», XXXIV (1907), pp. 290-331; C. PEDRETTI, Studi vinciani, Genève 1957, pp. 54-76; G. P. LOMAZZO, Scritti
sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, Pisa 1973-74; M. ROSCI, Leonardo “filosofo”. Lomazzo e Borghini 1584: due linee di
tradizione dei pensieri e precetti di Leonardo sull’arte, in AA.VV., Fra Rinascimento, manierismo e realtà. Scritti di Sto-
ria dell’arte in memoria di Anna Matia Brizio, Firenze 1984, pp. 53-77.

Letteratura italiana Einaudi 17


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

volo, in qualche passaggio di lettura per la sua progettata edizione, e finiva nella
biblioteca dei Duchi d’Urbino, e poi nella Vaticana. Al suo posto iniziavano a cir-
colare verso il 1570 manoscritti di una redazione abbreviata che presentava intera
solo la trattazione dei precetti generali della pittura e della rappresentazione del
corpo e dei movimenti, cancellando l’intero paragone delle arti, e le sezioni di ot-
tica e di prospettiva: le scuole e le accademie di pittura operavano una scelta si ri-
duttiva, ma funzionale ai canoni vigenti, e obliteravano la battaglia vinciana in fa-
vore della pittura come «scientia», o «discorso mentale».
Dopo la morte del Melzi, avvenuta nel 1570, la preziosa eredità dei mano-
scritti di Leonardo conobbe una vicenda di dispersione che, in effetti, coincise
con più di due secoli di oblio51. Concorrevano alla “sfortuna” difficoltà oggettive
non solo di lettura, ma soprattutto di intelligenza e inquadramento critico della
globalità della sua opera scientifica. Nella prima metà del Seicento Cassiano Dal
Pozzo favorì l’esecuzione di copie manoscritte, in funzione di complementi a
quanto già si conosceva della redazione breve del Trattato della pittura, che poi
venne pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1651, da Raphael Du Fresne, con
le illustrazioni di Nícolas Poussin52. Più coraggioso, e in linea con certi interessi
scientifici e sperimentali del tempo, fu semmai a tentativo di Luigi Maria Arcona-
ti, che trascrisse dai manoscritti posseduti dal padre Galeazzo, nel 1634, i testi re-
lativi alle acque, organizzandoli in un ipotetico Trattato del moto e natura delle ac-
que, rimasto però inedito53. All’Ambrosiana i manoscritti dormirono sonni tran-
quilli: li consultò nel 1704 Ludovico Antonio Muratori, giudicandoli un «campo
sterile»54. Un notevole passo avanti venne compiuto da Giovan Battista Venturi,
che studiò i manoscritti a Parigi, e divulgò i risultati di quella prima indagine si-

51 La maggior parte dei manoscritti fu raccolta da Pompeo Leoni, scultore milanesi al servizio del re di Spagna (m.
Madrid 1608), che allestì il codice Atlantico, la raccolta delle tavole anatomiche ora a Windsor, e probabilmente il co-
dice Arundel. Confluirono nella Biblioteca Ambrosiana l’Atlantico e i manoscritti che ora sono all’Institut de France
a Parigi, portati via da Milano nel 1796; gli altri codici finirono in Inghilterra (l’Arundel, i disegni di Windsor, i For-
ster, e il codice Hammer, ora a Los Angeles), tranne i due rimasti in Spagna. Purtroppo i manoscritti superstiti rap-
presentano poco più della metà di quelli che Leonardo effettivamente compose. Cfr. G. CALVI, I manoscritti di Leo-
nardo dal punto di vista cronologico, storico e biografico, Bologna 1925; A. MARINONI, I manoscritti di Leonardo da
Vinci e le loro edizioni, in AA.VV., Leonardo. Saggi e ricerche, presentazione di A. Marazza, Roma 1954, pp. 231-74; C.
PEDRETTI, Leonardo da Vinci on Painting cit., pp. 252-59; ID., Commentary cit., II, pp. 393-402; A. CORBEAU, Les
manuscrits de Léonard de Vinci, Caen 1968.
52 Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, Giacomo Langlois, Paris 1651. Sulle vicende di trsmissione, oltre alle ope-

re citate di Steinitz e Pedretti, cfr. J.C. Bell, Cassiano dal Pozzo’s Copy of the Zaccolini Manuscripts, in «Journal of the War-
burg and Courtauld Institutes», LI (1988), pp. 103-25; C.J. FARAGO, Leonardo da Vinci’s “Paragone” cit., pp. 14-31.
53 Fino al 1826: LEONARDO DA VINCI, Del moto e misura dell’acqua, a cura di F. Cardinali, in E. MANFREDI,

Opuscoli idraulici, Bologna 1826, pp. 271-450; ID., Del moto e misura dell’acqua, a cura di E. Carusi ed A. Favaro, Bo-
logna l923. A differenza del codice Urbinate, la compilazione dell’Arconati si fonda quasi interamente su manoscritti
conosciuti: cfr. N. DE TONI, Frammenti vinciani XII, in «Raccolta Vinciana», XX (1964), pp. 197-209.
54 Cfr. Per il 250° anniversario della nascita di Lodovico Antonio Muratori, a cura della R. Deputazione modenese di

Storia patria e della Biblioteca Estense, Modena 1922, p. 127.

Letteratura italiana Einaudi 18


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

stematica55. Alla fine dell’Ottocento, in un generale risveglio d’interesse per la fi-


gura (e il mito) di Leonardo (culnúnato nelle pagine di Walter Pater o Gabriele
D’Annunzio)56, apparvero i Literary Works del Richter, e i manoscritti di Parigi ri-
prodotti dal Ravaisson Mollien57: raccolte di testi che allargarono la conoscenza
delle scritture di Leonardo oltre i confini della pittura, inaugurando la moderna
“riscoperta” della sua opera intellettuale, che passa anche attraverso le pagine
suggestive di Freud e Valéry58. Leonardo è oggi molto più vicino, anche per l’in-
trinseca consonanza con le aspettative e le inquietudini del nostro tempo, e per la
straordinaria lezione di conoscenza e di stile che emerge dalla sua scrittura59.

Le strutture possibili. L’albero della conoscenza. L’aspetto forse più distintivo


degli scritti di Leonardo, e il segno più radicale della loro alterità dalle conven-
zioni del sistema letterario, è dato dalla relazione indissolubile di quegli scritti con
lo strumento materiale che ne assicura la sopravvivenza, il manoscritto. Gli ap-
punti di Leonardo si sono stratificati lungo l’arco di più di quarant’anni su quelle
carte, senza soluzione di continuità, con una paradossale coerenza di metodo. E
l’insieme dei manoscritti si presenta in effetti come un’unica, immensa opera, la
cui struttura coincide con la successione cronologica di composizione dei testi: in
quell’opera non è dato di ritagliare frammenti o isolare trattati compiuti, per la
semplice ragione che essa non contiene né “frammenti” né “trattati”. La scrittura
possiede, in Leonardo, un carattere originario, primordiale, di rappresentazione
della realtà: e per giungere fino in fondo a questa sfida di conoscenza non può fer-
marsi a questioni di organizzazione del testo, o del discorso. Conta unicamente la
percezione della varietà della natura: e la scrittura segue a tal punto quella perce-
zione da identificarsi con essa, e da rappresentare la varietas al livello della pro-
pria struttura primaria.

55
Cfr. G. B. VENTURI, Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Léonard de Vinci, Paris 1797.
56
Cfr. W. PATER, Leonardo da Vinci (1869), in ID., The Renaissance, London 1961, pp. 103-25. Cfr. R. SEVERI,
The myth of Leonardo in English decadent writers, in «Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 96-104; S. MI-
GLIORE, Tra Hermes e Prometeo: il mito di Leonardo nel Decadentismo europeo, Olschki, Firenze.
57 Cfr. J.P. RICHTER, The Literary Works of Leonardo da Vinci Compiled and Edited from the Original Manu-

scripts (1883), Oxford 1939 e Les manuscrits de Léonard de Vinci, ed. Ravaisson Mollien cit.
58 S. FREUD, Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, 1910 (trad. it. Saggi sull’arte, la letteratura e il lin-

guaggio, Torino 1969, I, pp. 73-158); P.VALERY, Introduction à la méthode de Léonard de Vinci, 1894 (trad. it. Scritti
su Leonardo, Milano 1984, pp. 27-53).
59 Lezione valida anche per I. CALVINO, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano 1988,

pp. 75-77: Leonardo è citato esplicitamente nella conclusione del capitolo sull’esattezza, ma allusioni a suoi testi per-
corrono tutti gli altri capitoli, e possono intervenire nella struttura immaginativa di molte opere narrative di Calvino.
In effetti, è quasi inesplorato il campo delle relazioni tra Leonardo e gli «altori» contemporanei: e s’intendono rela-
zioni profonde di struttura, di stile, di concezione del mondo, oltre le appropriazioni superficiali di D’Annunzio; ad
esempio nello Zibaldone di Leopardi (che dovette conoscere il Trattato della pittura), nei cahiers di Paul Valéry, in
Quencau e Ponge, o nelle opere di Gadda (e non solo nel Primo libro delle favole).

Letteratura italiana Einaudi 19


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

Non esiste quasi, all’interno del grande “libro” di Leonardo, un discorso coe-
rente che superi la misura della pagina, o del foglio: anche nei manoscritti dall’a-
spetto più unitario, il cambio di pagina corrisponde ad un cambio d’argomento,
di capitolo o di paragrafo. Il limite della singola pagina, del singolo foglio diventa
una sorta di “misura biologica” per tutti i testi di Leonardo: tutti, invariabilmen-
te, concentrati all’interno di quella misura, notazioni immediate, osservazioni
scientifiche e dimostrazioni di teoremi che molto spesso restano aperte, chiuse da
un emblematico «eccetera»60. Le infinite soluzioni possibili sono oltre quell’ecce-
tera, e Leonardo lascia aperte tali possibilità, come se ogni sua pagina fosse una
scheda intercambiabile di un unico discorso sulla natura e sulla sua rappresenta-
zione.
Sorprende allora (ma non troppo) la scoperta che l’apparente disordine dei
manoscritti cela una costante preoccupazione di organizzazione delle carte, e di
fascicolazione, preoccupazione che può essere attribuita con sicurezza allo stesso
autore61. Leonardo ebbe l’abitudine, per quasi tutta la sua vita, di scrivere su bifo-
gli sciolti (ovviamente incominciando da quella che per noi sarebbe l’ultima car-
ta), e di riunirli insieme in fascicoli costanti di otto bifogli: la riunione avveniva
non quando si completava l’unità tematica, ma semplicemente quando la scrittu-
ra aveva coperto quelle carte. Certo, potevano esserci quaderni in cui veniva ri-
spettata maggiormente una certa coerenza tematica, e quaderni lasciati invece
“aperti” con molti fogli bianchi: ma erano entrambi campioni di “philosophie
portative”. Resta il fatto che la scrittura era per Leonardo non strumento di orga-
nizzazione del pensiero, bensì strumento di registrazione.
Recuperati nella loro successione cronologica, che coincide con la loro strut-
tura reale, i testi di Leonardo si dispongono così in una serie di grandi linee tema-
tiche che partono l’una dall’altra come i rami di un unico albero: l’idea di utilizza-
re la parola scritta per illustrare le ragioni della pittura come «scientia», in pole-
mica con il sistema tradizionale delle «arti», guida l’approfondimento linguistico e
il tentativo d’apprendere il latino, e il confronto con le arti del trivio; della pro-
spettiva prevale l’approfondimento teorico, nella direzione della matematica e
della geometria, e quindi delle arti del quadrivio; lo studio della rappresentazione
del corpo umano, dei movimenti, dei fenomeni naturali si profonda in altrettanti
settori dell’indagine scientifica, del tutto autonomi dall’iniziale discorso di pittura,
ma collegati con le altre attività pratiche di Leonardo come ingegnere e architetto:

60
All’argomento, solo in apparenza insignificante, è dedicata una delle più acute «letture vinciane»: C. PEDRET-
TI, «Eccetera: perché la minestra si fredda» (Codice Arundel, fol. 245 recto) («XV lettura vinciana», 1975), Firenze
1975; cfr. L. M. BATKIN, Leonardo cit., pp. 37-44; C. VECCE, Leonardo e il gioco cit., p. 270. Aggiungo che d pro-
cedere per «eccetera» è una delle cifre significative dello Zibaldone leopardiano.
61 Cfr. A. MARINONI, Sulla tipologia dei mss. vinciani, in «Raccolta Vinciana», XXIV (1992), pp. 189-99.

Letteratura italiana Einaudi 20


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

dall’anatomia alla meccanica, dalla fisica all’idrodinamica. L’accumulazione dei


dati prosegue in ogni direzione, puntando esclusivamente sulla loro registrazione.
La struttura reale delle scritture di Leonardo nella loro globalità è dunque
quella propria della scrittura privata. E a questo punto si potrebbe richiamare al-
la memoria il fatto che un tale genere di struttura, così poco “letteraria” nell’acce-
zione tradizionale del termine, è assimilabile ad altri e ben conosciuti esempi di
“registrazione privata dei dati”, contemporanei e vicini allo stesso Leonardo62.
Il primo modello è senz’altro lo zibaldone umanistico, il quaderno d’appunti
in cui s’addensano, seguendo solo la successione dei testi, note ed appunti filolo-
gici, collettori disordinati che servono poi all’organizzazione in un più compiuto
discorso di esegesi. E campo d’indagine dell’umanista è la realtà testuale della tra-
dizione consegnatagli dall’antichità classica, la realtà di “libri” e di “autori” dei
quali l’umanesimo tenta un’opera grandiosa di risistemazione, classificando testi,
emendando lezioni corrotte, allestendo lessici e vocabolari, e le prime enciclope-
die, come quella di Giorgio Valla: ma i più bei libri che scrissero gli umanisti fu-
rono quelli in cui l’ordinato “disordine” della ricerca, colta nel suo far sì, diventa
struttura e programma, come i Miscellanea del Poliziano. Il campo d’indagine di
Leonardo è la stessa natura, indagata attraverso la «sperienzia», anche se l’appor-
to degli auctores, o degli «altori», magari criticato, continua ad essere operante: e
i suoi manoscritti sono quel che sopravvive di un unico, grande zibaldone privato.
Un altro modello di libro “aperto” era culturalmente più vicino a Leonar-
do, e veniva dal mondo degli ingegneri e degli scrittori pratici del Quattrocento
toscano, Buonaccorso Ghiberti, Giuliano da Sangallo, Francesco di Giorgio
Martini, che diffondono in volgare la materia tecnologica e meccanica già trat-
tata in latino ai primi del secolo nel De ingeneis di Mariano Taccola, e speri-
mentata direttamente da Filippo Brunelleschi. Comune era l’ambizione di giun-
gere alla redazione di trattati, o di libri “chiusi” (ad esempio nel Martini, e nel-
le redazioni del Trattato di architettura, che Leonardo possedette), ma il loro
modo naturale di lavorare passava attraverso la redazione continua di taccuini
di disegni e testi: il Martini ne tenne aperti almeno due per disegni di monu-
menti romani e per trascrizioni dal Taccola (Vaticano Urbinate lat. 1757), Buo-
naccorso Ghiberti utilizzò la sola struttura dello Zibaldone (Firenze, Biblioteca
Nazionale, B.R. 228) per i propri disegni, che furono ripresi da Leonardo63. E

62 Cfr. C. MACCAGNI, Riconsiderando il problema delle fonti di Leonardo («X lettura vinciana», 1970), in Leonar-

do letto e interpretato cit., pp. 292-93.


63 Cfr. P. GALLUZZI, Le macchine senesi. Ricerca antiquaria, spirito di innovazione e cultura del territorio, e G.

SCAGLIA, Francesco di Giorgio, autore, in Prima di Leonardo. Cultura delle macchine a Siena nel Rinascimento, a cu-
ra di P. Galluzzi, Milano 1991, pp. 15-46 e 57-80 (cfr. anche le schede su Taccola e Francesco di Giorgio autori: nascita
e fortuna di un nuovo genere letterario, pp. 172-271, e in particolare su Leonardo e gli ingegneri senesi, pp. 213-17).

Letteratura italiana Einaudi 21


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

un frammento di uno di questi quaderni, con ricette, «ingegni» e rozzi disegni,


finì tra le stesse carte del codice Arundel (cc. 258r-61v).
A guardare in un’altra, imprevista direzione suggerisce invece il fatto che i
manoscritti di Leonardo sono vergati in una scrittura che, per quanto rovesciata,
è la stessa con cui sono scritti i libri privati di ricordi di mercanti e borghesi fio-
rentini del Quattrocento64. La loro tipologia coincide perfettamente, considerate
le differenze di contenuto, con quella dei manoscritti di Leonardo: sono scritture
di registrazione quotidiana, stratificatesi giorno per giorno; i testi restano nello
stato in cui sono precipitati, non sono mai corretti, talvolta solo integrati; e quei li-
bri contengono veramente di tutto, senza ordine apparente, passando dall’atto
commerciale all’annotazione di un proverbio o di considerazioni morali; ma so-
prattutto ogni testo ha la sua misura precisa nella pagina, nel foglio, introdotto da
formule specifiche come «memoria» o «ricordo»; né c’è una fine prestabilita: l’ul-
tima pagina resterà bianca al momento della morte dello scrivente. Quanto s’è
detto, che è descrizione dei libri di famiglia fiorentini, potrebbe valere benissimo
per i manoscritti di Leonardo, il suo “libro segreto”, che ha per noi anche valore
di fonte documentaria e biografica, con le infinite date e note tipiche del libro di
ricordanze, talvolta introdotte dagli stilemi formulari che dovevano essere fami-
liari al figlio illegittimo del notaio ser Piero di ser Antonio da Vinci: «Addì 9 di lu-
glio 1504 in mercoledì a ore 7 morì ser Piero da Vinci notaio al palagio del pode-
stà, mio padre, a ore 7. Era d’età d’anni 80, lasciò 10 figlioli maschi e 2 femmine»
(Ar, c. 272r).

Le strutture possibili. Progetti di libri. Il problema del destinatario delle pro-


prie scritture, e il rapporto controverso con una tradizione di testi più o meno
compulsati insieme all’esperienza diretta, portò comunque Leonardo a porsi il
problema della composizione di “libri”: e da un certo momento in avanti tutta la
sua opera, incarnata nella struttura reale e continua del libro di “registrazione”,
vivrà della tensione verso la forma definita del trattato. È il grande paradosso del-
le scritture di Leonardo: la consapevolezza del «raccolto sanza ordine», e la pro-
gettualità inesauribile di nuove strutture che non saranno mai realizzate, come in
un gioco nel quale conta più la possibilità mentale, immaginata, che non l’attua-
zione pratica65. In effetti, Leonardo “vede” i suoi trattati, in lunghe liste di libri e

64 Cfr. CH. BEC, Les marchands écrivains. Affaires et bumanisme à Florence 1375-1434, Parìs 1967; A. CICCHET-

TI e R. MORDENTI, I libri di famiglia in Italia, Roma 1985; V. BRANCA, Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra
Medioevo e Rinascimento, Milano 1988.
65 Cfr. G. PADOAN, Leonardo e l’Umanesimo veneziano, in AA.VV., Leonardo & Venezia, Milano 1992, p. 100:

«Per Leonardo il momento decisivo è quello della progettualità, l’esecuzione divenendo fatto secondario, e al limite
trascurabile».

Letteratura italiana Einaudi 22


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

capitoli, e spesso ha l’abitudine di citare da altri suoi scritti con numeri di riferi-
mento, che non sempre corrispondono ad opere reali. E sono note importanti
non tanto per tentare ricostruzioni arbitrarie di quel che non è mai esistito, ma
per cogliere, intorno ai progetti, i fulcri determinanti della ricerca di Leonardo.
All’inizio era, naturalmente, l’idea di un libro di pittura, dedicato soprattutto
allo studio del corpo umano: «A dì 2 d’aprile 1489 libro titolato de figura umana»
(W, 19059 = An B, c. 42r), con le indicazioni delle questioni da affrontare, dall’u-
niversale al particolare (W, 19037 = An B, c. 20v; W, 19038 = An B, c.21r: Corpus,
cc. 40r, 80r, 81r).
La parola «libro» compare, carica di significato, all’inizio di nuovi manoscrit-
ti: «A dì 23 d’aprile 1490 comincia’ questo libro e ricomincia il cavallo» (C,c.
15v). La stessa progettualità sovraintende alla composizione di quei brani intito-
lati «proemi», brevi testi oratori destinati ad inizio di altrettanti libri, soprattutto
di prospettiva o di anatomia, o di studi sulle acque, come il «Cominciamento del
trattato de l’acqua. L’omo è detto da li antiqui mondo minore» (A, c. 55v), o il
«Principio del libro dell’acque» (I, c. 72v): testo quest’ultimo costruito su un’im-
palcatura definitoria, che ad un certo punto diventa elenco incalzante di sessanta-
quattro vocaboli relativi alle acque66.
L’altro polo d’interesse verteva sulla meccanica, e in quel campo potevano
presentarsi a Leonardo vari esempi di organizzazione della materia, desunti dalla
tradizione tardomedievale degli scrittori de ponderibus: si segnala il progetto di li-
bro sugli «elementi macchinali», in quattro volumi, le cui proposizioni vengono
citate nel codice di Madrid I (cc. 82r, 96v, 97v; e cfr. C.A., c. 421v, ex 155vb; c.
444r, ex 164ra; c. 220v, ex 81vb)67. Altrove si ricorda un trattato di «moto locale e
di forza e di peso», che è il lavoro a cui allude il Pacioli nella Divina proporzione
nel 1498, e che fu continuato anche in seguito: «Come si mostra ’n un mio tratta-
to di moto locale e di forza e di peso» (C.A., c. 915b, ex 335vd, del 1503); «Come
si dimostra nel libro delli mia moti» (C.A., c. 978bv, ex 353vc, del 1513-14).
Continua è la preoccupazione che queste opere in fieri abbiano tra loro un
giusto ordine di successione, come se fossero parti di un’enciclopedia: «El libro
dell’impeto va inanti a questo, e inanti all’impeto va il moto» (C.A., c. 657av, ex
214vb, 1513); «E libro della scienzia delle macchine va inanzi al libro de’ giova-
menti» (W, 19070v = An C I, c. 13v: Corpus, c. 11r)68; «Fa che ’1 libro delli ele-
menti macchinali colla sua pratica vada inanti a la dimostrazione del moto e forza

66
Cfr. L. M. BATKIN, Leonardo cit., pp. 53-58.
67
Cfr. quanto scrive C. Pedretti nel Corpus, III, p. 876.
68 Sulla stessa pagina si leggono importanti appunti («Fa tradurre Avicenna de’ giovamentì […] Fa legare li tua li-

bri di notomia»), e alcuni Proemi per i libri d’anatomia, con l’indicazione dei «centoventi libri da me composti» (Scrit-
ti, pp. 209-10).

Letteratura italiana Einaudi 23


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

dell’omo e altri animali; e mediante quelli tu potrai provare ogni tua proposizio-
ne» (W, 19009 = An A, c. 10r)69; «Fa prima il trattato delle cause generatrici delle
rotture de’ muri, e poi il trattato de’ rimedi, separato» (Ar, c. 157r).
La frequentazione del Pacioli spinse Leonardo a ideare scritti di matematica
e geometria, e forse questo fu l’unico campo in cui la struttura reale consegnataci
da un manoscritto si avvicina ad una struttura ideale, quella del «Libro titolato de
strasformazione» (Fol-1 c. 3v). Registriamo ancora una «Scientia de equiparan-
tia» (MaII-1, c..112r), o un «Libro de equatione», o un titolo che riecheggia gli al-
bertiani Ludi mathematici, il «De ludo geometrico, nel quale si dà il processo d’in-
finite varietà quadrature di superfizie di lati curvi» (C.A., c. 272v, ex 99vb, del
1517-18; cfr. C.A., c. 476v, ex 174vb e c. 459r, ex 168ra); o un «Trattato de quan-
tità continua» (C.A., c. 455r, ex 167ra, del 1515).
Gli anni intorno al 1508 (cioè vicini a quella lucida consapevolezza della ten-
sione fra strutture ideali e reali, che viene espressa nel primo foglio del codice
Arundel) vedono un incremento della progettualità di Leonardo, in coincidenza
di alcuni lavori di trascrizione e riordino dei suoi scritti, ad esempio nel codice
Hammer, fondato in parte sul perduto Libro A: «Questi libri contengano in ne’
primi della natura dell’acqua in sé, ne’ sua moti; li altri contengano delle cose fat-
te da e sua corsi, che mutano il mondo di centro e di figura» (Ha, c. 5v); e poi so-
prattutto nel manoscritto F, con i suoi riferimenti al progetto di organizzazione
degli studi delle acque, e del «libro de’ giovamenti» (F, cc. 2v e 23r) Un titolo sin-
golare come «Primo libro delle acque» farà la sua comparsa nelle ultime carte di
Leonardo, dopo il 1510 (Ar, cc. 159v, 204v, 266r, 160r, 205r e 267r; E, c. 12r)70.
Infine, un progetto definito ebbero gli ultimi studi di anatomia, verso il 1508-
10, con la precisa trattazione dell’«Ordine del libro», che prende a modello la
Geographia di Tolomeo (W, 19061 =, An C I, c. 2r: Corpus, c. 154r)71. Corollari
dell’indagine anatomica erano i progetti per il «De voce» (C.A., c. 780r, ex 287ra,
del 1514-15), e il «libro degli strumenti armonici» (W, 19115r-v = An C IV, c. ior-
v: Corpus, c. 114v-r).
Sembrerà strano, ma fra tante idee era rimasto fuori proprio il «libro di pittu-
ra», che pure era stato all’inizio di tutto, e per il quale si riconoscono abbozzi ed
elenchi di capitoli e proposizioni72 . Al «libro di pittura», che poi fu l’unico ad es-

69
Cfr. anche Corpus, c. 153r (W, 19060 = An C I, c. 1r).
70
Cfr. A. M. BRIZIO, Leonardo da Vinci. Primo libro delle acque, in Miscellanea di scritti vari a cura di P. Pieri, To-
rino 1951, pp. 93 III.
71 Il riferimento a Tolomeo deriva naturalmente dall’analogia tra corpo umano e mondo, di ascendenza stoica, ed è

già presente in Corpus, c. 97r (W, 12592r = An C V, c. 2r) e c. 107r (W, 1901114v = An C III, c. 10v).
72 I due casi più interessanti sono alcuni testi trascritti da Allievi, e in parte corretti da Leonardo, in Ar, cc. 100xv-

103v (ca. 1490), e C.A., c. I004r, ex 360rc (ca. 1506).

Letteratura italiana Einaudi 24


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

sere realizzato in una struttura adattata dal Melzi, sono ascrivibili poche indica-
zioni progettuali: forse perché, nel campo che più gli era specifico, Leonardo si
rendeva conto che non poteva giocare più di tanto. Un importante accenno a quel
«libro» compare fra i tardi fogli di anatomia: «Fa l’arco celeste nell’ultimo libro
della pittura, ma fa prima il libro delli colori nati dalla mistion delli altri colori»
(W, 19076 = An C II, c. 6r: Corpus, c. 167r); e dimostra che i suoi confini andava-
no ben oltre le otto parti che poi furono disposte dal Melzi nell’Urbinate. Quel-
l’ultimo libro, nel progetto di Leonardo, era il culmine della sua arte: la rappre-
sentazione globale della natura e delle forze che la governano73.

4. Leonardo e gli «altori».


L’analisi delle strutture reali e dei progetti di libri rinvia costantemente ad un si-
stema culturale che Leonardo considera in modo dialettico, tentando di avvici-
narsi a metodi e forme di organizzazione o di espressione, o allontanandosi di
nuovo dall’esperienza degli altri (degli «altori»), per interrogare direttamente la
natura per mezzo della propria «sperientia»: «Se bene come loro non sapessi alle-
gare gli altori, molto maggiore e più degna cosa allegherò allegando la sperienzía,
maestra ai loro maestri» (C.A., c. 323r, ex 117rb: Scritti, p. 189). Il problema è ca-
pitale, perché Leonardo vive la sua impresa intellettuale nel tempo e nello spazio
dell’umanesimo, di una civiltà che ha il suo fondamento sul concetto di riscoper-
ta della tradizione classica, e di recupero filologico della sapienza degli antichi. I
testi in cui Leonardo afferma di non avere «altori», se non la natura, e rigetta l’ac-
cusa d’essere «omo sanza lettere», sono di natura fortemente polemica, e il loro
impianto retorico non va inteso alla lettera. In realtà, a partire dal 1487-90. Leo-
nardo inizia un dialogo faticoso con gli «altori», acquistando e leggendo libri, e
formando una biblioteca di tutto rispetto per un «non litterato»74.
Le sue scritture appartengono spesso alla categoria del discorso di “riuso”
ma è assai difficile riuscire a riconoscere la profondità e l’ampiezza delle letture su
cui sono basate, perché Leonardo rielabora sempre in estratti molto diversi dal-
l’originale. Non c’è alcuna preoccupazione di rendere riconoscibile la fonte, tran-
ne che nei casi in cui essa va discussa e confutata: un’eccezione sembrerebbe es-
sere il manoscritto B, che invece abbonda di altisonanti nomi antichi, spesso stor-

73
L. H. HEYDENREICH, Introduzione a LEONARDO DA VINCI, Treatise on Painting cit., pp. XXVIII,
XXXII-XXXIII, XLI. Cfr. i saggi di ricostruzione cronologica di C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci on Painting cit.;
ID.,Commentary cit.
74 Sulla questione delle “fonti”, cfr. P. DUHEM, Études sur Léonardo de Vinci. Ceux qu’il a lus et ceux qui l’ont lu,

3 voll., Paris 1906-13; E - SOLMI, Le fanti dei manoscritti di Leonardo (1908), e Nuovi contributi alle fonti dei mano-
scritti di Leonardo (1911), in ID., Scritti vinciani, Firenze 1976, pp. 1-344 e 345-405. Ma su entrambi si veda E. GA-
RIN, Il problema delle fonti del pensiero di Leonardo (1952), in ID., La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Fi-
renze 1961, pp. 388-401.

Letteratura italiana Einaudi 25


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

piati in forme improbabili e favolose, come «Febar di Tiria», o «Callias rodiano»


(c. 50v). Ma quel manoscritto è il primo zibaldone di Leonardo, e la fonte vera di
quegli estratti, il Valturio, non viene mai nominata: Leonardo sceglie una serie di
exempla di seconda mano, e li conserva per utilizzarli in altri testi, con la finta pa-
tente di nobiltà umanistica della provenienza da autori classici’75.
S’è detto dello stretto rapporto, strutturale e tematico, con i manoscritti tec-
nologici di ingegneri e architetti come Buonaccorso Ghiberti o Francesco di Gior-
gio Martini, legati comunque alla dimensione empirica della ricerca. Un modello
“alto” era invece attingibile nelle opere di Leon Battista Alberti, e naturalmente
nelle opere tecniche e matematiche (il perduto De navi, i Ludi mathematici e il De
lunularum quadratura)76, e in quelle dedicate alle arti, il De pictura, il De statua, il
De re aedificatoria (e Leonardo si avvicinò coraggiosamente anche a Vitruvio): an-
zi, il De pictura (letto probabilmente nel volgarizzamento) costituisce uno dei pun-
ti di riferimento per gli scritti teorici sulla pittura, e per l’idea stessa del Libro di pit-
tura77. Alberti è un «attore» importante per Leonardo, raramente citato, talvolta
discusso e confutato, forse accostato anche in testi non tecnici, come gli Apologi78.
Di fronte alla tradizione in volgare del Libro di Cennino Cennini e dei Com-
mentarii di Lorenzo Ghiberti, e alla tradizione sommersa degli insegnamenti di
bottega, Leonardo preferisce il progetto albertiano, che imposta più rigorosamen-
te il rapporto con le matematiche, nella definizione della scienza prospettica. Solo
per quella via era possibile giungere alla fondazione della pittura come «scientia»,
cioè come forma di conoscenza autonoma, fondata su regole universali. E concor-
revano allora le letture dei testi di prospettiva di Piero della Francesca, mediati so-
prattutto dal Pacioli dopo il 149679, e del trattato di prospettiva attribuito a Paolo
dal Pozzo Toscanelli80, accanto agli autori medievali, Alhazen, John Peckham, Wi-
telo81. Attraverso il Pacioli si apriva la possibilità di accedere alle fonti del pensie-

75
Cfr. A. MARINONI, La biblioteca di Leonardo cit., p. 318.
76
Citazioni dirette in Ar, cc. 31v-32r e 66r (Ludi mathematici); F, c. 82r, G, c. 54r e Ha, c. 13r (De navi).
77 Cfr. K. CLARK, L. B. Alberti on Painting, in «Proceedings of the British Academy», XXX (1945), pp. 127-51; V. P.

ZOUBOV, Léon-Battista Alberti et Léonard de Vinci, in «Raccolta Vinciana», XVIII (1960), pp. 1-14; C. SCARPATI, In-
troduzione a LEONARDO DA VINCI, Il paragone delle arti cit., pp. 11-13 e 32-33. È importante notare che alcuni testi di
pittura e prospettiva nei manoscritti vinciani vengono strutturati, come nell’Alberti, in trattato sequences, tripartite in defi-
nizione, discussione, conclusione-precetto per il pittore: C. J. FARAGO, Leonardo da Vincis “Paragone” cit., pp. 414-23.
78 Riecheggiati nelle favole: cfr. L. B. ALBERTI, Apologhi ed elogi, a cura di R. Contarino, Genova 1984.
79 Cfr. F. P. DI TEODORO, “Maestro Piero del Borgo”, in «Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 58-62 (e bi-

bliografia relativa).
80 P. DAL POZZO TOSCANELLI, Della prospettiva, a cura di A. Parronchi, Milano 1991.
81 Cfr. M. KEMP, Leonardo and the Vísual Pyramid, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XL

(1977), pp. 128-49; K. H. WELTMAN, Studies on Leonardo da Vinci I: Linear Perspective and the Visual Dimensions
of science and Art, München 1986; B. EASTWOOD, Alhazen, Leonardo and LateMedieval Speculátion on the Inver-
sion of images in the Eye, in «Annals of Sciences», XLIII (1986), pp. 413-46; J. C. BELL, Color Perspective, c. 1492, in
«Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 64-77.

Letteratura italiana Einaudi 26


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

ro matematico e geometrico degli antichi, a Euclide e ad Archimede82, mentre il


versante dell’indagine fisico-meccanica tentava di acquisire la conoscenza di auto-
ri come Aristotele (la Fisica, e i Meteorologica, volgarizzati), Erone d’Alessandria,
Filone di Bisanzio, Giordano Nemorario e gli scritti medievali de ponderibus spes-
so attribuiti ad Euclide, fino alla tradizione scolastica tardomedievale83. In campo
medico, accanto alle dissezioni anatomiche, Leonardo utilizza i primi incunaboli
di medicina, che divulgavano i testi medievali e le osservazioni pionieristiche dei
primi anatomisti italiani: il Fasciculus medicinae di Johannes Ketham, la Cyrurgia
di Guy de Chauliac e il Tractatus de urinarum iudiciis di Bartolomeo Montagnana,
Rhazes, la redazione di Arnaldo da Villanova del Regimen sanitatis Salernitanum,
l’Anatomia di Mondino de’ Liuzzi, e quella di Alessandro Benedetto: e probabil-
mente lo stesso Galeno84. Quasi sempre l’avvicinamento a questi «altori» non è di-
retto, ma si avvale della mediazione di volgarizzamenti o riduzioni operate nel-
l’ambito delle scritture scientifiche del Quattrocento, o addirittura commissionate
da Leonardo (Euclide, Avicenna); talvolta quei nomi compaiono come solitari ap-
punti per testi da cercare, e forse non letti fino in fondo, o non affatto trovati. Con
qualche difficoltà, molti materiali erano rintracciabili in un’enciclopedia umanisti-
ca che Leonardo possedeva nei primi anni del nuovo secolo, il De expetendis et fu-
giendis rebus di Giorgio Valla. La trattatistica scientifica ed artistica fornì comun-
que a Leonardo le strutture principali del suo argomentare, fondato sulla succes-
sione di capitoli relativamente brevi (che, se “completi”, possono dare sequenze
di definizioni o proposizioni generali, dimostrazioni, corollari), o sulla controver-
sia, con l’esposizione delle ragioni pro e contra.
Questi furono i rapporti più o meno certi con libri e autori che è dato ricono-
scere all’interno dei testi di Leonardo, per ammissione esplicita, o per convergen-
za di contenuti tale da non poter essere posta in dubbio. Più vaghe restano le mo-
dalità di acquisizione, all’interno del pensiero vinciano, di spunti neoplatonici, o
di derivazione ficiniana85, che comunque sono presenti in opere come il commen-

82 Cfr. R. MARCOLONGO, Memorie sulla geometria e la meccanica di Leonardo da Vinci, Napoli 1937; M. CLA-

GETT, Leonardo da Vinci and the medieval Archimedes, in «Physis», XI (1969), pp. 100-51. Per ricerche di libri nella
biblioteca del convento di San Marco a Firenze, cfr. C. VECCE, “Libreria di Sancto Marco”, in «Achademia Leonardi
Vinci», V (1992), pp. 122-24.
83 Si veda, con cautela, LEONARDO DA VINCI, I libri di meccanica, a cura di A. Uccelli, Milano 1940, pp. XX-

VII-CLV; integrando con E. GARIN, Il problema delle fonti cit.


84 Cfr. Corpus cit.; e in particolare M. A. GUKOWSKY, Leonardo e Galeno, in «Raccolta Vinciana», XX (1964),

pp. 359-67.
85 Vi insistono A. CHASTEL, Léonard et la culture, in AA.VV., Léonard de Vinci et l’expérience scientifique au XVI

siècle, Paris 1953, pp. 251-63; ID., Art et humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique, 1961 (trad. it. Ar-
te e umanesimo a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, Torino 1979, pp. 411-514); A. MARINONI, Leonardo da
Vinci, in AA.VV., Grande antologia filosofica, Milano 1964, VI, pp. 1149-212; ID., La biblioteca di Leonardo cit., p.
314. Più interessante mi sembra il rapporto con il De Civitate Dei di Sant’Agostino: cfr. C. PEDRETTI, Il concetto di
bellezza e utilità in Sant’Agostino e Leonardo, in «Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 107-11.

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

to di Cristoforo Landino alla Commedia di Dante. E qui entriamo in un’area del-


le letture di Leonardo non propriamente scientifica, ma in fondo essenziale alla
formazione della sua personale visione del mondo, assimilabile piuttosto alla dot-
trina stoica86, e nutrita fin dai primi anni fiorentini di riferimenti a testi squisita-
mente letterari, non sappiamo come e quando letti da Leonardo: le prime note
sulla fuga del tempo e sulla caducità della bellezza derivano dalle Metamorfosi di
Ovidio, testo che pure si associa alla composizione dei diluvi87; il mito “rovescia-
to” della caverna in cui entrare a scoprire le ragioni “segrete” della natura è un te-
ma che sembra legarsi alla descrizione della Crypta Neapolitana nelle Epistolae di
Seneca88. E ancora Seneca, con le Quaestiones naturales, guida l’indagine sulle ac-
que, dall’iniziale dichiarazione della dottrina pitagorica e stoica del mondo assi-
milato per analogia ad un corpo umano, fino alla straordinaria descrizione del di-
luvio, ciclico e inarrestabile movimento di rinnovamento cosmico89; ma nei temi
diluviali convergeva lo stesso filone profetico e apocalittico su cui Leonardo ave-
va giocato negli ultimi anni sforzeschi90. La Commedia di Dante forniva allora una
potente materia espressiva alla scrittura leonardesca, soprattutto nei punti in cui
era maggiormente necessaria l’immediatezza della descrizione, o meglio della “vi-
sione”91.
Da Firenze a Milano Leonardo portò soprattutto l’eco della lezione del Lan-
dino, e non il neoplatonismo di Ficino o la filologia di Poliziano92. Oltre al com-
mento alla Commedia, lesse attentamente il volgarizzamento della Naturalis Hi-
storia di Plinio il Vecchio, e possedette il Formulario di pistole attribuito al Landi-
no. Plinio fu uno degli autori antichi più letti da Leonardo, che ad un certo pun-
to si avvicinò anche al testo latino: quella summa del sapere antico gli dava infini-
te notizie sulle più diverse branche scientifiche, e anche fantastici cataloghi natu-
ralistici che confluirono nel “bestiario” di Leonardo, accanto a testi provenienti
da una rielaborazione del Fiore di virtù e dall’Acerba di Cecco d’Ascoli. Da Plinio

86 Cfr. G. CASTELFRANCO, Introduzione a Leonardo (1952), in ID., Scritti vinciani, Roma 1966, pp. 25-42; E.

GARIN, Il problema delle fonti cit., pp. 398-99.


87 Scritti, p. 229 (OVIDIO, Metamorphoseon libri, XIII, 12-15, e XV, 232-36 e 262-65), pp. 174-79 (OVIDIO, Me-

tamorphoseon libri, I, 253-312). Cfr. anche A. MINICUCCI, Quid ex Ovidii operibus in Leonardi Vincii scripta sit de-
rivatum, in AA.VV., Acta Conventus omnium gentium Ovidianis studii sfavendis, Bucarest 1976, pp. 451-58.
88 Cfr. E. GARIN, Il problema delle fonti cit., pp. 399-401.
89 Cfr. SENFCA, Quaestiones naturales, III, XXVII-XXX.
90 Cfr. C. VECCE, Leonardo e il gioco Cit., pp. 288-9.
91 Cfr. le note di commento agli Scritti, pp. 152-53, 187 e 234; C. SCARPATI, Leonardo e i linguaggi Cit., pp. 24-26;

C. PEDRFTTI, Leonardo & Dante, in «Achademia Leonardi Vinci», IV (1991), pp. 204-10.
92 Per i rapporti di Leonardo con la cultura del suo tempo, si vedano Soprattutto E. GARIN, La cultura fiorentina

nell’età di Leonardo (1952), e Universalità di Leonardo (1962), in ID., Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano,
Bari 1965, pp. 57-85 e 87-107; C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit.; A. CHASTEL, Art et humanisme cit.;
Scritti, pp. 5-30.

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

veniva la visione del mostro marino, o l’idea del teatro girevole per la rappresen-
tazione dell’Orfeo di Poliziano (di cui forse c’è anche la conoscenza delle Stan-
ze)93; e soprattutto in Plinio era possibile leggere la storia dell’arte e della pittura
antica, un racconto che presentò a Leonardo il mito di Apelle, facendo rivivere
quella sfida di rappresentazione della natura che era simbolicamente fissata nella
gara con Protogene94, o nella capacità di cogliere la varietà universale, e di dipin-
gere ciò che non può essere dipinto: temi ossessionanti per Leonardo, che tracciò
le parole greche «astrapen bronten ceraunobolian» dietro il diabolico disegno
dell’”angelo dell’annunciazione”95.
S’è detto del “bestiario”, ove convergevano invece tradizioni letterarie carat-
teristiche della cultura popolare toscana, cultura che si ritrova nella composizione
di favole, proverbi, indovinelli, profezie, facezie, in cui interagiscono comunque
testi come gli Apologi dell’Alberti. La letteratura dei cantari è presente con una ci-
tazione diretta dalla Reina d’Oriente di Antonio Pucci, un’ottava su un gigante che
si lega a quella lettera a Benedetto Dei, che invece è giocata sul duplice registro
della parodia delle lettere-relazioni di viaggio del Dei dall’Oriente, e della fantasia
senza misura del Morgante di Luigi Pulci. In fogli giovanili si leggono versi delle
Pistole di Luca Pulci, e della pistola più sperimentale dal punto di vista espressivo,
e più problematico dal punto di vista religioso e filosofico, quella di Polifemo a
Galatea, con le sue tirate contro la credenza dell’immortalità dell’anima; è docu-
mentato il possesso di opere come il Driadeo e il Ciriffo Calvaneo; ed è a Luigi che
Leonardo deve anche il gusto per il gioco linguistico, e per il più serio esercizio del
«vocabulizare», passato dal Vocabulista agli elenchi lessicali del codice Trivulzia-
no, fondato su testi come Valturio e il Novellino di Masuccio Salernitano96.
Utile strumento alla conoscenza della cultura di Leonardo sono infine le due
liste di libri, databile quella del codice Atlantico al 1490 circa (C.A., c. 559r, ex
210ra), e quella del codice di Madrid II al 1503 (MaII-1, cc. 2v-3r)97: i due docu-

93 Cfr. A. MARINONI, Il regno e il sito di Venere, in AA.VV., Il Poliziano e il suo tempo, Firenze1957, pp. 273-88;

K. T. STEINITZ, Les décors de théâtre de Léonard de Vinci, Paradis et Enfer, in «Bibliothèque d’Humanisme et Re-
naissance», XX (1958), pp. 257-65.
94 Cfr. E. H. GOMBRICH, Tbe Heritage of Apelles, 1976 (trad. it. L’eredità di Apelle, Torino 1986, pp. 5-26).
95 Cfr. J. F. MOFFITT, The “evidentia” of curling waters and whirling winds: Leonardo’s “Ekphraseis” of the latin

weatherman, e C. PEDRETTI, The “Angel in the Flesh”, in «Achademia Leonardi Vinci», IV (1991), rispettivamente
alle pp. 11-33 e 34-47.
96 Cfr. Scritti, pp. 14, 81-83, 232 e 257-58; C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit., pp. 203-5. Su altri testi

utilizzati da Leonardo, cfr. G. PONTE, Una fonte lessicale cit.; ID., Tra Leonardo, Prisciano e la «Rhetorica ad Heren-
nium», in AA.VV., Medioevo e Rinascimento Veneto, Padova 1979, II, pp. 3-10
97 Scritti, pp. 255-61. Sulla biblioteca di Leonardo, cfr. G. D’ADDA, Leonardo da Vinci e la sua libreria. Note di un

bibliofilo, Milano 1873; C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit., pp. 183-98; C. MACCAGNI, Riconsideran-
do il problema Cit.; L. RETI, La biblioteca di Leonardo, in LEONARDO DA VINCI, I codici di Madrid cit., III, pp. 91-
109; A. MARINONI, La biblioteca di Leonardo cit.; e quanto scrive in LEONARDO DA VINCI, Scritti letterari cit.,
pp. 239-57.

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

menti vanno però letti con cautela, perché possono registrare libri sì posseduti ma
non letti, mentre non vi compaiono autori di cui invece i manoscritti di Leonardo
hanno già rivelato l’influsso. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata dei lo-
ro titoli: basti misurare l’accrescimento (nell’ipotesi di due liste abbastanza com-
plete) dai quaranta titoli del 1490 ai centosedici del 1505, un numero notevole
per la biblioteca di un artista, come anche per la biblioteca di un mercante fio-
rentino dell’epoca98. Nella prima lista la coincidenza dei testi letterari, religiosi e
morali con i cataloghi conosciuti di biblioteche di borghesi fiorentini, spettro del-
la cultura media vicina agli anni della formazione di Leonardo, è impressionante,
e pressoché totale; e non è credibile che quei libri fossero stati raccolti tutti tra A
1487 e il 1490, quando Leonardo diventa “scrittore”; anzi, ben pochi di essi era-
no funzionali agli interessi specifici del manoscritto B (in effetti, solo il De re mili-
tari del Valturio). Nel passaggio alla seconda lista un notevole incremento avviene
nel settore dei libri scientifici e medici pubblicati negli ultimi anni del Quattro-
cento, e immediatamente acquisiti da Leonardo: inutile sottolineare l’importanza
della presenza di Giorgio Valla, per la traduzione latina nella sua enciclopedia di
scritti scientifici; compaiono poi i libri medici, prima assenti, e ora collegati alla ri-
presa delle anatomie in Santa Maria Nuova; i Problemata, le Propositiones e i Me-
teora d’Aristotele (in volgare), con il «libro di Filone de acque»; il De re aedifica-
toria, i Ludi mathematici e il De navi dell’Alberti; Euclide latino e volgare, e la
Summa del Pacioli; ma, accanto a testi di alta divulgazione scientifica, continuano
ad affollarsi libri di prediche e di edificazione popolare, di magia e fisiognomia,
lapidari ed erbolari; e si è accresciuto il numero dei più elementari libri d’abaco,
delle grammatiche latine, dei primi vocabolari, necessari per imparare il latino; te-
stimonianza di quanto fosse ancora difficile, per Leonardo, l’accesso ai livelli più
elevati della literatura. Leonardo non fu un “umanista”, ma fu certamente “uomo
di lettere”, perché dedicò interamente la sua vita alla ricerca e alla conoscenza.

5. Valutazione linguistica e critica.

5.1. La lingua di Leonardo.


C’è in Leonardo una dichiarazione dell’importanza della lingua volgare, e in
particolare della propria lingua toscana, che illumina la sua posizione nei con-
fronti dell’espressione linguistica: «I’ ho tanti vocavoli nella mia lingua materna,
ch’io m’ho più tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento del-
le parole, colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia» (W,

98
Rinvio all’ottimo bilancia di CH. BEC, Les livres des Florentins (1413-1608), Firenze 1984.

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

19086: Scritti, p. 195). Altrove, all’interno di studi anatomici sull’apparato della


Donazione, compare uno straordinario excursus sulla dimensione storica e imma-
nente dell’evoluzione linguistica, nella molteplicità di condizionamenti temporali
e spaziali99:
Considera bene come, mediante il moto della lingua, coll’aiuto delli labbri e denti, la
pronunziazione di tutti i nomi delle cose ci son note, e li vocaboli semplici e composti
d’un linguaggio pervengano alli nostri orecchi, mediante tale istrumento. Li quali, se
tutti li effetti di natura avessino nome, s’astenderebbono inverso lo infinito, insieme
colle infinite cose che sono in atto e che sono in potenzia di natura. E queste non isple-
merebbe in un solo linguaggio, anzi in moltissimi, li quali ancor lor s’astendano inverso
lo infinito, perché al continuo si variano di seculo in seculo e di paese in paese, median-
te le mistion de’ popoli che per guerre o altri accidenti al continuo si mistano. E li me-
desimi linguaggi son sottoposti alla obblivione, e son mortali come l’altre cose create; e
se noi concederemo il nostro mondo essere etterno, noi diren tali linguaggi essere stati,
e ancora dovere essere, d’infinita varietà, mediante l’infiniti secoli, che nello infinito
tempo si contengano ecc. (W, 19045v: Scritti, pp. 216-17).
Leonardo vive un rapporto privilegiato con la propria «lingua materna»: ma
l’atto della scrittura innesca comunque un processo lento e faticoso di avvicina-
mento alle cose: «un documento straordinario d’una battaglia con la lingua, una
lingua ispida e nodosa, alla ricerca dell’espressione più ricca e sottile e precisa»100.
Si tratta di considerazioni per noi storicamente ancora più importanti, se
pensiamo che Leonardo matura la sua vocazione di “scrittore” a Milano, in un
contesto linguistico diverso da quello della Firenze di Lorenzo il Magnifico: ma
proprio a Milano intorno al 1490 si iniziò un programma di avvicinamento cultu-
rale ai modelli della cultura e della letteratura toscana, favorito direttamente da
Ludovico il Moro in collegamento con un grande divulgatore come il Landino,
che aveva volgarizzato il De gestis Francisci Sphortiae di Giovanni Simonetta, pre-
mettendo al testo un alto elogio della lingua fiorentina101. Leonardo a Milano era
naturalmente privilegiato dalla propria condizione linguistica di toscano parlante:
e questo potrebbe spiegare perché non tentò quasi mai di omologare la sua prosa
ai modelli della prosa letteraria volgare, o a quelli della stessa prosa ibrida della
corte sforzesca, entrambi assai debitori alle strutture e alle grafie del latino104. La
scrittura di Leonardo resta spesso fedele anche alla rappresentazione della so-
stanza fonetica del toscano parlato, con tutte le sue oscillazioni: un fenomeno

99
Cfr. J. RODINI, Leonardo da Vinci and Language, in «Philological Quarterly», LXX (1991), pp. 277-87.
100
I. CALVINO, Lezioni americane cit., p. 75: sostanzialmente concorde con G. DE ROBERTIS, La difficile arte di
Leonardo (1944), in ID., Studi, Firenze 1953, pp. 76-87.
101 Cfr. C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit., p. 216.
104 Cfr. P. BONGRANI, La Lombardia, in L’italiano nelle regioni, a cura di F. Bruni, Torino 1992, pp. 84-105 (con

relativa bibliografia).

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

normale a tutte le scritture private di mercanti, notai, borghesi fiorentini dell’epo-


ca. Ma ovviamente cambia la sua lingua, assimilando parole e abitudini grafiche o
fonetiche settentrionali durante il lungo soggiorno a Milano. Esercizi di raccolta
di vocaboli da libri caratterizzati da registri stilistici “alti” (o ritenuti tali) servono
ad arricchire e nobilitare la lingua d’uso con parole dotte.
Il campo d’azione più interessante di Leonardo scrittore è nei testi scientifici
e tecnici, ispirati dalla preoccupazione di descrivere con la massima esattezza gli
oggetti o i fenomeni. Tale esattezza si realizza anche con l’uso di un lessico spe-
cializzato, che in gran parte è anteriore a Leonardo, e passa dalla letteratura spe-
cialistica medievale, in latino (ma spesso con calchi e derivazioni dall’arabo), ai
primi volgarizzamenti e alle riduzioni ad uso pratico fra Trecento e Quattrocento.
All’inizio l’interesse si rivolge al lessico dell’architettura e dell’ingegneria militare
(Valturio, Francesco di Giorgio), e si estende poi alle varie scienze fisiche e mec-
caniche. In anatomia, Leonardo si avvicina alla terminologia medica corrente in
termini come «parte silvestra», «meri», «fucili», «adiutorio», «nuca», «rasceta», e
così via105. In questa prospettiva, le sezioni tecniche del Libro di pittura appari-
ranno opera tanto più straordinaria, perché riflettono, in testi che per la maggior
parte sono databili all’ultimo periodo della vita di Leonardo, la sintesi del lessico
delle arti figurative formatosi nel Quattrocento106, e del lessico specialistico del-
l’ottica, della matematica, della geometria, delle scienze naturali: la dimostrazione
più chiara, se proprio ce n’era bisogno, dell’innalzamento della pittura a «scien-
tia», e del fatto che la battaglia di Leonardo passava anche attraverso le “parole”.
In questi testi, chiari, distinti, apparentemente aridi nelle dimostrazioni, si avver-
te un momento aurorale: gli inizi della lingua della scienza moderna.

5.2. Una conclusione provvisoria.


Quando si sono percorsi nella loro interezza tutti i manoscritti di Leonardo, non
si può non condividere, almeno in parte, il senso di sgomento avvertito da Paul
Valéry e Leonid Batkín. E se l’avvicinamento a Leonardo è avvenuto fino in fon-
do, senza pentimenti, è inevitabile che anche a livello critico avvenga una conta-
minazione di quel “metodo”, almeno nella consapevolezza di non poter giungere
ad un giudizio definitivo sull’opera, programmaticamente “infinita”, lasciata
aperta ad innumerevoli possibilità di organizzazione al suo interno, e quindi ad

105
Cfr. M. L. ALTIERI BIAGI, Considerazioni sulla lingua di Leonardo, in «Notiziario Vinciano», VI (1982), 22,
pp. 9-29.
106 Cfr. T. BOLELLI, Osservazioni linguistiche sul «Trattato della pittura» di Leonardo (1952), in ID., Leopardi lin-

guista e altri saggi, Messina-Firenze 1982, pp. 83-92; G. FOLENA, Chiaroscuro leonardesco (1951), in ID., Il linguag-
gio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino 1991, pp. 242 -54.

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

un numero altrettanto indeterminato di letture: quel che poi, nel caso di Leonar-
do, storicamente è avvenuto, e avviene. Se in questa sede si è preferita la strada
della descrizione della storia di quei testi, nelle loro relazioni interne, e nelle rela-
zioni con il contesto culturale in cui essi sono nati, è perché sembrava fosse più al-
to il grado di verità di alcune conclusioni, comunque provvisorie ed aperte a nuo-
vi sviluppi della ricerca.
Innanzitutto Leonardo ha inteso portare avanti una battaglia culturale che la
storia dell’umanesimo dimostra perfettamente in linea con vicende simili fra il
XIV e il XV secolo: la dimostrazione che la pittura non appartiene al novero del-
le arti meccaniche, ma che essa è in grado di assurgere al grado di «scientia», cioè
di essere una forma di conoscenza pura, in grado di comprendere e rappresenta-
re valori universali107. Gli umanisti avevano combattuto questa battaglia contro le
discipline scolastiche tradizionalmente al vertice della gerarchia del sapere, la me-
tafisica e la dialettica, ponendo al posto più alto l’arte della parola, dello strumen-
to principe del pensiero umano. Leonardo, al di fuori dell’umanesimo della paro-
la, cerca vie di indagine e di espressione che possono fare a meno della tradizione
della scrittura, e in un celebre «paragone» fa primeggiare la pittura sulla poesia:
ma perché la pittura raggiunga il livello di «scientia», essa deve saper giungere al-
la rappresentazione di verità universali, paradosso gnoseologico che coinvolge
Leonardo, consapevole ad un certo punto dell’infinita varietà della forme della
natura, soggetta a leggi di perpetuo divenire. Se a divenire si attua nel tempo, alla
pittura, immagine fissata in una condizione di unicità ed immobilità, non sarebbe
dato in alcun modo di rappresentarne l’essenza. Ma è proprio qui la grande illu-
sione di Leonardo: fermare nella pittura il continuo fluire degli elementi e del
tempo e della vita, fermare nell’immobile il movimento; quel che potrebbe spie-
gare l’ossessiva frequenza, nelle pagine di Leonardo, di un tema naturalmente bi-
fronte, di derivazione eraclitea: la fuga del tempo, e lo studio dell’acqua, dell’ele-
mento mobile per eccellenza: «Col tempo ogni cosa va variando» (Ar, c. 210r)108.
Leonardo credeva che fosse possibile avvicinarsi a questa altezza, attraverso
un’indagine diretta della varietà della natura, aperta ad ogni ambito disciplinare e
ad ogni metodologia utile. Ed è la tensione di quell’illusione che dà ragione del fa-
scino segreto di ogni sua opera artistica. Ma io credo che quella tensione rappre-
senti in fondo anche il criterio unificante, dal punto di vista stilistico, di tutte le
sue scritture. Un abito squisitamente mimetico, segno di una conoscenza almeno
empirica di alcune “regole” del gioco letterario, attraversa i momenti più specifi-

107
C. SCARPATI, Introduzione cit., pp. 11-19
108
Cfr. E. H. GOMBRICH, The Form and Movement in Water and Air, 1969 (trad. it. La forma del movimento nel-
l’acqua e nell’aria, in ID., L’eredità di Apelle cit., pp. 51-79); K. CLARK, Leonardo e le curve della vita («XVII lettura
vinciana», 1977), Firenze 1979; C. PEDRETTI, Leonardo. A Study in Cronology and Style, New York 1982, pp. 9-24.

Letteratura italiana Einaudi 33


«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

ci nel loro carattere di “scrittura”, adattandoli magari a testi e generi della lettera-
tura (“alta” o “bassa”) con cui è instaurato un confronto, o uno scontro109: l’isti-
tuto della narrazione, breve o lunga, nelle favole o nelle facezie; la lettera favolosa
e la relazione di viaggio nelle lettere al Dei e al Diodario di Soria; l’allocuzione a
un pubblico immaginario nei proemi, e negli scritti programmatici di pittura, di
scienza, di anatomia, con l’uso frequente in senso polemico della funzione conati-
va110; l’uso di tecniche della retorica persuasiva e di una sintassi talvolta latineg-
giante nelle lettere realmente scritte e nelle relazioni su opere da realizzare. La
chiave stilistica più cara a Leonardo (e non poteva essere altrimenti) è quella lega-
ta alla descrizione, non importa se di cose reali o puramente immaginarie: quello
che conta, è l’assoluta aderenza e immediatezza della rappresentazione111. Leo-
nardo è un “classico”, nelle sue scritture, perché le sue immagini, dalla descrizio-
ne della caduta di una goccia d’acqua alla visione del diluvio, sono immagini pri-
mitive, come se quei fenomeni fossero “visti” per la prima volta: ed è quella “pri-
ma volta” che spiega il senso di stupore, di meraviglia che attraversa gli scritti del
“fanciullo” di Vinci112. Leonardo agisce sulla sua «lingua materna» privilegiando
aspetti stilistici o strutturali come la dimensione temporale del verbo (l’uso “mi-
tologico” del passato remoto, e dell’imperfetto)113; i tropi nell’ordine delle parole;
la rielaborazione consapevole di costruzioni sintattiche di coordinazione e subor-
dinazione tipiche della lingua parlata, ma adattate ad un livello superiore di velo-
cità descrittiva; la condensazione semantica nella scelta di aggettivi e sinonimi. Il
tentativo non dichiarato era quello di superare la distanza sostanziale tra le forme
d’espressione, di superare l’idea stessa di «paragone» in nome di un unico pro-
getto conoscitivo. In Leonardo la parola serve, paradossalmente, a “vedere”.

6. Nota bibliografica.
Aggiornate rassegne bibliografiche, a cura di Mauro Guerrini, sono nella rivista
«Raccolta Vinciana», stampata a Milano dal 1905, mentre utili saggi di bibliogra-

109 Sui caratteri della prosa di Leonardo, cfr. F. FLORA, Leonardo, Milano 1952; ID., Umanesimo di Leonardo, in

AA.VV., Atti del Convegno di studi vinciani, Firenze 1953, pp. 3-25; ID., Unità di linguaggi, in «Raccolta Vinciana»,
XVII (1954), pp. 3-16; N. SAPEGNO, Leonardo scrittore, in AA.VV., Atti del Convegno di studi vinciani cit., pp.
115-24; G. PONTE, Leonardo prosatore, Genova 1976.
110 Ma gran parte dell’opera di Leonardo «è dialogica e composta in un’attitudine di magistero: tiene davanti a sé

costantemente una figura di discepolo (o di interlocutore avversario, o di oppositore)» (C. SCARPATI, Introduzione
cit., p. 53).
111 Cfr. C. SEGRE, La descrizione al futuro: Leonardo da Vinci, in ID., Semiotica filologica, Torino 1979, pp. 131-60.
112 Cfr. A. MOMIGLIANO, La prosa di Leonardo (1940), in ID., Cinque saggi Firenze 1945, pp. 109-38; K.

CLARK, Leonardo e le curve della vita cit., p. 8.


113 Cfr. F. CHIAPPELLI, Osservazioni su alcuni testi di Leonardo (1952), in ID., Il legame musaico, Roma 1984, pp.

181-88.

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«Scritti» di Leonardo da Vinci - Carlo Vecce

fia tematica sono comparsi in «Achademia Leonardi Vinci», diretta da Carlo Pe-
dretti, e stampata da Giunti a Firenze dal 1988. Resta un punto di riferimento E.
VERGA, Bibliografia vinciana, Bologna 1931, da integrare almeno con A. CHA-
STEL, Leonardiana, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», XVI
(1954), pp. 386-97; ID., Les travaux sur Leonardo da Vinci, ibid., XXII (1960), pp.
200-13; G. CASTELFRANCO, Momenti della recente critica vinciana (1954), in
ID., Scritti vinciani, Roma 1966, pp. 54-124; A. M. BRIZIO, Rassegna degli studi
vincíani dal 1952 al 1968, in «L’Arte», I (1968), pp. 107-20; A. LORENZI e P.
MARANI, Bibliografia vinciana 1964-1979, Firenze 1982. Utili anche il catalogo
della sezione vinciana della Elmer Belt Library di Los Angeles: K. T. STEINITZ,
Catalogue of the Elmer Belt Library of Vinciana, Los Angeles Cal. 1955, e il cata-
logo congiunto della Biblioteca di Vinci e della Raccolta Vinciana di Milano: M.
GUERRINI, Bibliotheca Leonardiana, Milano 1991.
Per i manoscritti di Leonardo, leggibili in facsimile e trascrizione critica nel-
l’edizione nazionale presso Giunti, a Firenze, rinvio a quanto già indicato nelle
singole note. Una nuova edizione critica del Libro di pittura, secondo la lezione
del codice Urbinate, a cura di C. Pedretti e C. Vecce, Giunti, Firenze.
Tra le antologie di testi leonardeschi vanno segnalate quelle di E. SOLMI,
Frammenti letterati e filosofici di Leonardo da Vinci, Firenze 1899; G. FUMA-
GALLI, Leonardo prosatore, Milano-Roma 1915; ID., Leonardo «omo sanza lette-
re», Firenze 1952; LEONARDO DA VINCI, Scritti letterari, a cura di A. Mari-
noni, Milano 1974; ID., Scritti scelti, a cura di A. M. Brizio, Torino 1966 . Scelte
di scritti vinciani sono in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, 3
voll., Milano-Napoli 1971-77. La prima parte del Libro di pittura, con una lucida
introduzione, è pubblicata in LEONARDO DA VINCI, Il paragone delle arti, a
cura di C. Scarpati, Milano 1993.
Sulle scritture di Leonardo, oltre ai contributi già citati in nota, cfr. F. TA-
TEO, Il dialogo e il trattato da Leon Battista Alberti a Leonardo, in La letteratura
italiana. Storia e testi, diretta da C. Muscetta, III/1. Il Quattrocento. L’età dell’U-
manesimo, Bari 1972, pp. 353-65; L. LAZZARINI, «Leonardo da Vinci», in Di-
zionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, Torino 1986, III, pp.
558-66; M. MACHIEDO, Leonardo da Vinci e la poesia, in «Studi e problemi di
critica testuale», XXXIV (1987), pp. 105-24.

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