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DI LEONARDO DA VINCI
di Carlo Vecce
* I riferimenti ai testi di Leonardo sono attuati con un sistema di sigle, introdotte nelle brevi descrizioni dei mano-
scritti. I testi s’intendono citati dall’edizione di ogni singolo manoscritto, con rinvio, ove occorre, a LEONARDO DA
VINCI, Scritti, a cura di C. Vecce, Milano 1992 (citati come Scritti).
1 Milano, Biblioteca Ambrosiana, codice Atlantico (= C.A.), miscellanea di scritti e disegni, montati da Pompeo
Leoni su 401 ff. di grande formato, recentemente ricomposti in 12 voll. per complessive cc. 1119 (ne seguiamo la nuo-
va numerazione, riportando di seguito quella vecchia), a cura di A. Marinoni, Firenze 1973-80 (precedente edizione a
cura di G. Piumati, 5 voll., Milano 1894-1904). Per datazioni e commenti ai singoli testi, cfr. C. PEDRETTI, The Co-
dex Atlanticus of Leonardo da Vinci. A Catalogue of its Newly Restored Sheets, New York 1978.
2 London, British Library, codice Arundel 263 (= Ar), zibaldone di cc. 283; edizione a cura di P. Fedele ed E. Ca-
con il nome di Antonio da Pistoia (che compare, vicino a proverbi toscani, in C.A., c. 18r, ex 4rb: Scritti, p. 100): cfr.
C. PEDRETTI, Leonardo e Antonio Vinci da Pistoia, in «Raccolta Vinciana», XIX (1962), pp. 287-91.
155r), la descrizione del «fine della terreste natura» (Ar, c. 155v) e del processo
d’accrescimento della terra (Ar, c. 156r), la disputa sulla legge di natura (Ar, c.
156v), e la visione del mostro marino, smisurata forza della natura (C.A., c. 715r,
ex 265ra; Ar, c. 156r: Scritti, pp. 162-65).
E tirato dalla mia bramosa voglia, vago di vedere la gran copia delle varie e strane for-
me fatte dalla artifiziosa natura, raggiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli, pervenni
all’entrata d’una gran caverna. Dinanzi alla quale, resto alquanto stupefatto e ignorante
di tal cosa, piegato le mie reni in arco, e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, e col-
la destra mi feci ten(ebre) alle abbassate e chiuse ciglia, e spesso piegandomi in qua e in
là per (ve)dere se dentro vi discernessi alcuna cosa, e questo vietatomi la grande oscu-
ri(t)à che là dentro era. E stato alquanto, subito sa(l)se in me due cose, paura e deside-
ro: paura per la minac(cian)te e scura spilonca, desidero per vedere se là entro fusse al-
cun(na) miracolosa cosa. (Ar, c. 155r: Scritti, p. 162).
Il passaggio a Milano è segnato dalla celebre lettera a Ludovico il Moro, do-
cumento non autografo, e probabilmente steso da altri (C.A., c. 1082r, ex 391ra:
Scritti, pp. 235-36). Leonardo, che si presenta al duca come ingegnere ed archi-
tetto militare, e in second’ordine come pittore e scultore, al fine di eseguire il mo-
numento equestre di Francesco Sforza, si inserisce nella corte sforzesca associan-
dosi al vario mondo dei tecnici e scienziati empirici. Il più antico manoscritto vin-
ciano degno di questo nome, il B dell’Institut de France di Parigi, testimonia lo
sforzo di acquisire maggiori conoscenze teoriche in campo ingegneristico e archi-
tettonico, come se le capacità dichiarate nella lettera al Moro fossero più vantate
che reali4. Si tratta di una svolta notevole per l’esercizio della scrittura da parte di
Leonardo, che, ormai a trentacinque anni, tra 1487 e 1489, passa dalla nota occa-
sionale alla sistematica lettura e trascrizione di testi: in particolare dal De re mili-
tari di Roberto Valturio (edito nel 1472), nel volgarizzamento del Ramusio pub-
blicato nel 1483. Ai prevalenti temi militari si accostano note di geometria ele-
mentare, funzionari agli elementi di prospettiva; disegni di macchine belliche im-
maginarie che vanno ben oltre la tradizione prospettata dal Valturio (bombarde,
carri, macchine volanti ed acquatiche); e infine alcune pagine di architettura e di
urbanistica (cc. 16r-15v, 36r e 38r-v), che portano il pensiero vinciano alla proget-
tazione della città ideale, e alla realtà degli sforzi compiuti in questo campo nella
Lombardia sforzesca.
4 Paris, Institut de France, MS. 2173 (= B), di cc. 84 d’ampio formato. Ne è parte integrante il manoscritto dell’In-
stitut de France 2184, già Ashburnham 1875/1 (e Paris, Bibliothèque Nationale It. 2037) (= B1), di 26 pp., asportato
da Guglielrno Libri nell’Ottocento. L’edizione dei codici A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L ed M dell’Institut de France
è stata curata da A. Marinoni, Firenze 1985-90; precedente edizione completa Les manuscrits de Léonard de Vinci, a
cura di Ch. Ravaisson Mollien, 6 voll., Paris 1881-91 (per il codice B, anche le edizioni a cura della Reale Commissio-
ne Vinciana, Roma 1941, e di A. Corbeau e N. De Toni, Grenoble 1960).
5 London, Victoria and Albert Museum, codice Forster III (= FoIII), quaderno tascabile di cc. 88. Edizione com-
plessiva dei codici Forster a cura di A. Marinoni, Firenze l992 (precedente edizione a cura della Reale Commissione
Vinciana, 5 voll., Roma 1930-36).
6 London Victoria and Albert Museum, codice Forster I, seconda parte (= FoI-2), di cc. 15.
7 Milano, Bibboteca Trivulziana, codice N 2162 (= Tr), di cc. 55. Edizione a cura di A. M. Brizio, Firenze 1980
Leonardo «Libro di mia vocaboli», in AA.VV., Studi in onore di Alberto Chiari, Brescia 1973, pp. 751-66; G. PONTE,
Una fonte lessicale vinciana: il «Novellino» di Masuccio Salernitano, in «Esperienze letterarie», I (1976), pp. 62-72; N.
DE TONI, Ancora sul «Valturio», in «Notiziario Vinciano», III (1979), 10 pp. 5-68.
9 C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere, in «Italia medioevale e umanistica», V (1962), pp. 183-216. Alcune
Windsor Castle, 1978-80 (trad. it. Corpus degli studi anatomici nella collezione di Sua Maestà la regina Elisabetta II nel
Castello di Windsor, 3 voll., Firenze 1980-85), c. 40r (citato in seguito come Corpus). Alla Royal Library di Windsor si
conservano circa settecentottanta tra documenti e disegni di Leonardo (= W, 12275-727, 19000-152), per lo più pro-
venienti da una raccolto su 234 ff. allestita da Pompeo Leoni, smontata tra 1836 e 1910 (cfr. K. CLARK e C. PE-
DRETTI, A Catalogue of the Drawings of Leonardo da Vinci in the Collection at Windsor Castle, London 1969). I fo-
gli di anatomia furono rimontati in tre album segnati A (W, 19000-17=An A), B (W, 19018-59=AnB), C (W,19060-
152=An C, diviso in 6 quaderni). Edizioni anteriori al Corpus: a cura di G. Piumati e Th. Sabachnikoff, Paris 1898 e
Torino 1901; a cura di O. C. L. Vangensten, A. M. Fonahan e H. Hopstock, 6 voll., Oslo 1911-16.
Questo titolo si trova però tra i fogli d’anatomia di Windsor, in quel gruppo di stu-
di che manifestano l’estensione della ricerca in campo anatomico. Quasi contem-
poraneamente, in una prodigiosa e simultanea fioritura, si sviluppano le branche
della prospettiva e dell’ottica, che si intersecano continuamente con gli studi ana-
tomici, al punto da unire, negli stessi fogli, «proemi» di anatomia e di prospettiva.
Nel pieno del fervore intellettuale, Leonardo inizia il manoscritto C dell’In-
stitut de France, con la nota: «Adì 23 d’aprile 1490 cominciai questo libro e rico-
minciai il cavallo»; codice di grandi dimensioni, in cui, dopo un’iniziale attenzio-
ne allo studio delle acque e della percussione, prevale nettamente la tematica del-
la luce e dell’ombra11. Di poco posteriore deve essere il manoscritto A, uno dei
quaderni di Leonardo più ricchi di testi per il progettato libro di pittura12. Acqui-
sta un risalto particolare lo studio della prospettiva, mentre alla fine del mano-
scritto la capacità di descrizione figurativa di Leonardo viene portata al livello più
alto, in alcune pagine che dovevano servire all’illustrazione didattica nel libro di
pittura (cc. 81r-113v: Scritti, pp. 143-49).
L’ossessione del cavallo sforzesco torna nella seconda parte del codice II di Ma-
drid, un quaderno irregolare con note sulla fusione del monumento, steso tra 1491
e 149413. Nello stesso periodo gli studi di meccanica cercano la possibilità di appli-
cazioni dirette nell’elaborazione di un libro di «elementi macchinali», di cui resta
testimonianza nel codice I di Madrid14. Ma molti altri testi vengono scritti da Leo-
nardo su fogli e fascicoli volanti, e sfuggono all’organizzazione, comunque precaria,
in un unico manoscritto. Così avviene per le pagine più belle degli studi sulle acque,
conservate in fascicoli sparsi del codice Arundel (cc. 233r, 234r-v, 235r, 236v, 210r,
58r-v, 59r e 57r-v; cfr. anche C.A., C. 1100r, ex 396ra e c. 468r, ex 171ra).
È possibile riconoscere una serie, del tutto episodica e spesso consegnata al
margine dei fogli, di scritti in cui riemerge il fondo moralistico e popolare della
prima formazione toscana di Leonardo: sono proverbi e massime (Scritti, pp. 100-
4), citazioni poetiche (da Petrarca e Dante: W, 12349v: Scritti, p. 230), e soprat-
tutto favole e facezie (Scritti, pp. 55-72 e 133-41). Il contatto con un grande ami-
co del Pulci a Milano, Benedetto Dei, ispira una straordinaria finzione di lettera,
11
Paris, Institut de France, ms. 2174 (= C), di cc. 11 + 30 (altra edizione a cura di A. Corbeau e N. De Toni, Gre-
noble 1964).
12 Paris, Institut de France, ms. 2172 (= A), di cc. 1-53 e 55-64: ma era di cc. 114, prima che il Libri ne rubasse le carte
ora mancanti, solo in parte rappresentate dal ms. 2185 (= A1), già Ashburnham 1875/2 e Paris, Bibliothèque Nationale It.
2038, di cc. 33 (altre edizioni a cura della Reale Commissione Vinciana, 2 voll., Roma 1936-38, e di A. Corbeau e N. De
Toni, Grenoble 1972). Per i testi sulla pittura, cfr. C. SCARPATI, Leonardo e i linguaggi (1981), in ID., Studi sul Cinque-
cento italiano, Milano 1982, pp. 3-26; LEONARDO DA VINCI, Il paragone delle arti, a cura di C. Scarpati, Milano 1993.
13 Madrid, Biblioteca Nacional, 8936, seconda parte (= MaII-2), cc. 141-57. Edizione complessiva dei codici di Ma-
15
Paris, Institut de France, ms. 2180, seconda parte (= I-2): cc. 49-139 (cc. 91; in origine 6 fascicoli di 8 bifogli).
16
Paris, Institut de France, ms. 2179 (= H).
17 Cfr. A. MARINONI, Gli appunti grammaticali cit., e quanto scrive lo stesso nella sua edizione di LEONARDO
DA VINCI, Scritti letterari, Milano 1974, pp. 227-38; inoltre A. MINICUCCI, De Nicolao Perotto apud Leonardum
Vincium, in «Res publica litterarum», IV (1981), pp. 185-94.
18 Andrebbero spostate per lo più verso il 1508 (Corpus, c. 125v); Cfr. L. RETI, «Non si volta chi a stella è fisso».
Le Imprese di Leonardo da Vinci, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», XXI (1959), pp. 7-54.
19 Cfr. A. MARINONI, I rebus di Leonardo da Vinci raccolti e interpretati, Firenze 1954; C. VECCE, Leonardo e il
gioco, in AA.VV., Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Roma 1993, pp.
269-312, e C. PEDRETTI, «Tomi», ibid., pp. 313-16.
20 London, Victoria and Albert Museum, codice Forster II (= FoII), diviso in due parti coeve: cc. I-63 (= Foll-1) e
64-159 (= FoII-2).
oltre alle opere di Piero della Francesca, soprattutto gli Elementa di Euclide, che
erano stati tradotti in latino dal Campano, e appassionarlo ad infinite sfide all’in-
telligenza in problemi come la quadratura del cerchio, la rappresentazione dei cor-
pi solidi più complessi, la possibilità di trasformazione delle figure geometriche21.
Proprio lo studio della geometria e del primo libro di Euclide domina nel ma-
noscritto M, un volume di piccolo formato, databile tra 1497 e 149822. È uno stu-
dio propedeutico all’esecuzione delle tavole dei poliedri richieste dal Pacioli per il
suo trattato De divina proporzione23. Ma, come sempre, il codice non è riservato
ad un unico interesse: vi si addensano note di arte militare, ottica e tecnologia, di
meccanica e di fisica (la caduta dei gravi, e dei liquidi, la resistenza del mezzo),
che rinviano alla lettura di Giordano Nemorario e di Alberto Magno, a loro volta
mediatori a Leonardo delle dottrine di Aristotele e Simplicio.
Le trascrizioni da Euclide continuano nella prima parte del manoscritto I, da-
tabile al 1497, in cui si completa lo studio del primo libro avviato in M, e si af-
frontano altre proposizioni dei libri II, III e X24. Più o meno contemporanea, la
seconda parte di quel manoscritto contiene invece testi sull’acqua, e sul problema
del moto, oltre a un nuovo gruppo di estratti e di elenchi lessicali latini dalla
grammatica del Perotti. Ma l’aspetto più notevole di questo testimone è la con-
servazione alle cc. 63r-67v di una delle serie più nutrite e omogenee di quei testi
che Leonardo designa «profezie», parodie in forma d’indovinello di temi apoca-
littici in voga a fine Quattrocento: una serie che si sviluppa altrove, soprattutto in
fogli del codice Arundel e del codice Atlantico (Scritti, pp. 107-32)25.
Allo scadere del secolo, insomma, Leonardo aveva accumulato una quantità
notevole di letture e di trascrizioni, superando l’iniziale proposito del libro di pit-
tura, e immaginando nuovi e più ambiziosi trattati in campo scientifico. Pure
qualcosa doveva essere giunto ad una forma vicina alla sua divulgazione, e ne fa
fede il Pacioli, che nella dedica al De divina proporzione, nel 1498, ricorda che
Leonardo ha già finito un «libro de pictura e movimenti humani», e attende ora a
un’«opera inextimabile del moto locale de le percussioni e pesi e de le forze tutte
cioè pesi accidentali»26.
21 Cfr. A. MARINONI, Leonardo, Luca Pacioli e il«Deludo geometrico», in «Atti e memorie dell’Accademia Petrar-
ca di lettere, arti e scienze di Arezzo», nuova serie, XL (1970-72), pp. 3-28; ID., La matematica di Leonardo da Vinci,
Milano 1982; ID., Leonardo e Euclide, in «Raccolta Vinciana», XXII (1987), pp. 258-67; e quanto scrive lo stesso in
LEONARDO DA VINCI, Scritti letterari cit., pp. 258-67.
22 Paris, Instìtut de France, MS. 2183 (= M), cc. 94.
23 Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. & 170 sup., C. LXXXVIIr: codice di dedica datato al 14 dicembre 1498 (L.
27 Cfr. p. GALLUZZI, Leonardo, Pacioli e Savasorda, in Leonardo e il leonardismo a Napoli e a Roma, a cura di A.
(= K-3).
31 Torino, Biblioteca Reale, codice «sul volo degli uccelli» (= VU), cc. 13. Edizione a cura di A. Marinoni, Firenze
il 1508, nei soggiorni a Milano e a Firenze, comincia a mettere un po’ d’ordine tra
le sue carte, a trascrivere testi da un manoscritto all’altro, a riunire note sparse in
discorsi più o meno unitari. Appartiene a questo periodo il manoscritto D, appe-
na dieci fogli incentrati sul tema dell’occhio, punto d’incontro di un’appassionata
indagine dove si incrociano i cammini della pittura (fondata sulla «finestra dell’a-
nima»), dell’ottica, della prospettiva, e anche dell’anatomia33: un discorso interdi-
sciplinare talmente originale per Leonardo, che si era già lasciato sfuggire l’orgo-
gliosa affermazione: «L’occhio che così chiaramente fa sperienzia del suo offizio è
insino ai mia tempi per infiniti attori stato difinito in un modo: trovo per ispe-
rienzia essere ’n un altro» (C.A., C. 327v, ex 119va).
È anche il tempo di una rinnovata immaginazione creativa, in testi che torna-
no ai mondi favolosi ed esotici già evocati dalla lettera al Dei, universi paralleli
dove la forza della natura suscita e distrugge l’uomo e la sua storia: nella lettera
fantastica al Diodario di Soria Leonardo inventa una relazione di viaggio alle pen-
dici del monte Tauro, e di descrizione di una catastrofe naturale causata dallo
straripamento di fiumi immani (C.A., c. 573v, ex 214vd e c. 393v, ex 145va-vb:
Scritti, pp. 168-71)34:
In prima fummo assaliti e combattuti dall’impeto e furore de’ venti. A questo s’aggiun-
se le ruine delli gran monti di neve, i quali hanno ripieno tutte queste valli e conquassa-
to gran parte della nostra città. E non si contentando di questo, la fortuna con subiti
dil(u)vi d’acque ebbe a sommergere tutta la parte bassa di questa città. Oltre a di que-
sto s’aggiunse una subita pioggia, anzi ruinosa tempesta piena d’acqua; sabbia, fango e
pietre, insieme avviluppati con radici sterpi e zocchi di varie piante, e ogni cosa, scor-
rendo per l’aria, discendea sopra di noi; e in ultimo uno incendio di foco, il quale parea
condotto non che da’ venti ma da trentamila diavoli che ’1 portassin, ha abbruciato e
disfatto tutto questo paese, e ancora non è cessato. E que’pochi che siano restati, siano
rimasti con tanto isbigottimento e tanta paura, che appena, come balordi, abbiamo ar-
dire di parlare l’uno con l’altro. Avendo abbandonato ogni nostra cura, ci stiamo insie-
me uniti in certe ruine di chiese, insieme misti maschi e femmine, piccoli e grandi a mo-
do di torme di capre, e se non fussi certi popoli che ci hanno soccorso di vettovaglia,
tutti saremmo morti di fame.
(C.A., c. 573v, ex 714vd: Scritti, p . 171);
altrove gioca a descrivere minuziosamente, come se fosse reale, un tempio
immenso mai esistito, che ricorda piuttosto l’altissimo tempio piramidale dell’Hy-
33 Paris, Institut de France, ms. 2175 (= D) (altra edizioni a cura di A. Corbeau e N. De Toni, Grenoble 1964). Cfr.
D. S. STRONG, Leonardo da Vinci on the Eye, New York 1979; J. ACKERMAN, Leonardo’s Eye, in «Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes», XLI (1978), pp. 108-46.
34 Già datato al 1497-1500 (cfr. C. PEDRETTI, The Codex Atlanticus cit.,pp. 22-23), può essere riferito anche al
decennio successivo, fino al 1508 (cfr. F. P. DI TEODORO, «Stupenda e dannosa maraviglia», in «Achademia Leo-
nardi Vinci», II (1989), pp. 121-26).
pnerotomachia Poliphili (C.A., c. 775v, ex 285rc, del 1515), così come aveva gio-
cato ad immaginare un immenso ponte sul Bosforo, e a prospettare la realtà del
progetto al Sultano35. Quando l’Amboise gli dà l’incarico di allestirgli una «deli-
zia» o villa suburbana di piacere appena fuori Milano, Leonardo immagina giar-
dini, padiglioni, fontane e giochi d’acqua (C.A., c. 732bv, ex 271va, del 1508): la
sua fantasia trascorre al ricordo del palazzo incantato di Venere nell’isola di Cipro
(legato magari alle Stanze di Poliziano), e, con uno scarto tipico, vi associa l’im-
magine della morte e della disfazione, con i relitti e le carcasse di navigli squassa-
ti dalle onde sulle coste dell’isola del piacere:
Dalli meridionali lidi di Cilizia si vede per australe la bell’isola di Cipri, la qual fu regno
della dea Venere, e molti, incitati dalla sua bellezza, hanno rotte lor navili e sarte infra li
scugli, circondati delle reverti(gi)nali onde. Quivi la bellezza del dolce colle invita i va-
gabundi navicanti a recrearsi infra le sue fiorite verdure, fra le quali i venti raggirando-
si empiano l’isola e ’1 circunstante mare di suavi odori. O quante navi quivi già son
sommerse! O quanti navili rotti negli scogli! Quivi si potrebbe vedere innumerabili na-
vili: chi è rotto e mezzo scoperto dalla rena, chi si mostra da poppa e chi da prua, chi da
carena e chi da costa. E parrà a similitudine d’un Giudizi, che voglia risuscitare navili
morti, tant’è la somma di quelli, che copre tutto il lito settentrionale. Quivi e’ venti d’a-
quilone, resonando, fan vari e pauro(si) soniti.
(W, 12591v: Scritti, pp. 157-58).
Il passo è breve perché, tra le pagine di studi e osservazioni sulla natura del-
l’acqua, si sviluppino vere e proprie visioni indipendenti dalla struttura neutrale
dell’osservazione scientifica: l’acqua ossessiona Leonardo come il più forte e il più
grande degli elementi, e più continua lo sforzo di trovare regole e leggi per i suoi
comportamenti fisici, più prevale, a livello irrazionale, la percezione del suo im-
menso potere distruttivo, già rappresentato nei primi «diluvi» (C.A., c. 302r, ex
108vb, del 1490: Scritti, pp. 172-74). L’acqua è così sempre presente negli scritti di
Leonardo di questi anni: la ritroviamo, dopo vari studi di geometria, nella terza
parte del codice K, che esplora ancora le possibilità di regolare il corso dei fiumi e
di edificare argini e ripari36. L’acqua domina la composizione del codice Hammer,
e unisce anzi la sua storia alla storia della terra, che viene esaminata nelle sue tra-
sformazioni geologiche, come un qualsiasi essere vivente: l’occhio di Leonardo
passa continuamente dall’universale (la terra e i corpi celesti) all’infinitamente pic-
colo (i piccoli fossili animali, i «nichi», incastonati nella massa delle montagne)37.
35
La copia turca della straordinaria lettera di Leonardo fu rinvenuta nell’archivio del Top-Qapu Serajs di Istambul,
da F. BABINGER, Vier Bauvorschlage Lionardos da Vinci’s an Sultan Bajezid II. (1502/3), in «Nachrichten der Akade-
mie der Wissenschaften in Góttingen. Philologisch-Historische Klasse», I (1952), pp. 1-20.
36 Cfr. supra, nota 30.
37 Los Angeles Cal., Armand Hammer Museum of Art, codice Hammer (già codice Leicester 699) (= Ha), cc. 36.
Edizione a cura di C. Pedretti, Firenze 1987 (precedente edizione a cura di G. Calvi, Milano 1909).
38
Cfr. C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci on Painting: A Lost Book (Libro A) Reassembled from the Codex Vaticanus
1270 and from the Codex Leicester, Berkeley - Los Angeles Cal. 1964.
39 Cfr. l’acuto commento di L. M. BATKIN, Leonardo da Vinci, 1988 (trad. it. Bari 1988, pp. 3-14).
40 Paris, Institut de France, ms. 2177 (= F), cc. 96. Cfr. C. VASOLI, La lalde del sole di Leonardo da Vinci («XII let-
tura vinciana», 1972), in Leonardo letto e interpretato, a cura di P. Galluzzi, Firenze 1974, pp. 327-50.
mai prima alcun testo di Leonardo. Ne risultano pagine memorabili, databili agli
anni 1508-509, sui temi della disfazione e rigenerazione, e della «dolce morte»
(W, 19027v = An B, c. 10v: Corpus, c. 69v). Lo studio fisico e materiale della lin-
gua porta per analogia, come nel caso dell’analisi dell’occhio, ad acute riflessioni
sul linguaggio, e sulla sua evoluzione storica; e il discorso va avanti, sul filo della
“materialità” dell’emissione di voce, in un violento attacco alle credenze di entità
spirituali o soprannaturali, in una parola contro quella che Leonardo definisce la
«negromanzia», e l’«archimia» (W, 19045v, 19048v-r e 19047v = An B, cc. 28v,
31v-r e 30v: Scritti, pp. 215-21, Corpus, cc. 50v, 49v-r e 48v). Altrove, lo studio del-
lo «strumento» vocale fa nascere l’idea di comporre un «libro degli strumenti ar-
monici» (W, 19115r-v = An C IV, c. 10r-v: Corpus, C. 114v-r). Ma dove l’analisi
raggiunge i massimi livelli di rappresentatività, sia dal punto di vista del disegno
che da quello della parola, è nella figurazione degli organi interni della vita, e so-
prattutto del cuore (W, 19029r =An B, c. 12r: Corpus, c. 71r).
La speranza in un compimento dell’opera era vicina: «E questa vernata del
mille 510 credo spedire tutta tal notomia» (W, 19016 = An A, c. 17r). A Milano
aveva trovato la valida collaborazione di un giovane professore dell’università di
Pavia, Marcantonio Della Torre, che probabilmente lo fece assistere a dimostra-
zioni d’anatomia nell’università, e gli prospettò la destinazione più giusta dell’o-
pera di descrizione anatomica: la pubblicazione integrale delle analisi, con i testi e
i disegni, riprodotti su grandi tavole, come se fossero altrettante carte geografiche
del corpo umano, il «mondo minore», come nelle edizioni della cosmografia di
Tolomeo (W, 12592r e 19014v = An C v, c. 2r e An C III, c. 10v: Scritti, pp. 210-
12; Corpus, cc. 97r e 107r)41.
Il manoscritto G segue il passaggio di Leonardo da Milano a Roma, con note
di datazione che vanno dal 1510 al 1515: dopo tanti tentativi d’ordinamento, in
questo quaderno tornano ad addensarsi scritti di differenti aree tematiche: le
piante, la forza e la percussione, il moto e il volo degli uccelli, la geometria (con
citazioni da Archimede e Vitruvio, c. 96r), le acque e il sole, l’ottica e la prospetti-
va; lo studio del movimento della nave si fonda su Vitruvio, e su un opuscolo per-
duto di Leon Battista Alberti, il De navi (c. 54v)42.
L’ultimo manoscritto compiuto di Leonardo, il manoscritto E43, si colloca in-
teramente tra il 1513 e il 1514, sullo sfondo del soggiorno romano, del laboratorio
nel cortile del Belvedere, tra giochi di specchi e invenzioni che ai contemporanei
41
Il progetto fu vanifícato dalla diffusione di abbreviatura ad uso degli studenti, aspramente ripresi da Leonardo
(W, 19084 = An C II, c. 14r; W, 19063 = An C I, c. 4r): cfr. Scritti, pp. 213-15; Corpus, c.173r (e commento di C. Pe-
dretti, ibid., III, pp. 880-82).
42 Paris, Instìtut de France, ms. 2178 (= G), cc. 93.
43 13 Paris, Institut de France, MS. 2176 (= E), cc. 96
potevano parere ghiribizzi e strane chimere. «Un altro de’ primi pittori del mondo
sprezza quell’arte dove è rarissimo, ed essi posto a imparar filosofia», scrive con
ironia il Castiglione44. Ma non si trattava di un’improvvisa e tardiva conversione.
Nel manoscritto E prevalgono gli studi di fisica meccanica, con la scienza dei pesi
e le note sul volo degli uccelli, e continuano le note di pittura legate all’insegna-
mento e, probabilmente, all’idea del «libro», idea che ormai, oltre le premesse ge-
nerali e il dibattito sul «paragone», includeva anche l’insieme di regole, precetti,
conoscenze matematiche e prospettiche necessario alla trasmissione dell’arte.
Avrebbero dovuto trovarvi posto, alla fine delle descrizioni della natura e de-
gli elementi, anche i mirabili «diluvi» di Windsor, testi descrittivi come la Descri-
zione del diluvio (W, 12665r), e il Diluvio e sua dimostrazione in pittura (W,
12665v), e disegni (W, 12376-88), assolutamente complementari gli uni agli altri,
dove la parola segue la linea temporale in sequenze incalzanti, con procedimenti
retorici di accumulazione e amplificazione, e l’imnmagine dà la visione simulta-
nea della catastrofe (Scritti, pp. 175-79)45:
Diluvio e sua dimostrazione in pittura.
Vedeasi la oscura e nubolosa aria essere combattuta dal corso di diversi e avvilup-
pati venti, misti colla grav(e)zza della continua pioggia, li quali or qua or là portavano
infinita ramificazione delle stracciate piante, miste con infinite foglie dell’altonno. Ve-
deasi le antiche piante diradicate e stracinate dal furor de’ venti. Vedeasi le ruine de’
monti, già scalzati dal corso de’ lor fiumi, ruinare sopra e medesimi fiumi e chiudere le
loro valli; li quali fiumi ringorgati allagavano e sommergevano le moltissime terre colli
lor popoli. Ancora aresti potuto vedere, nelle sommità di molti monti, essere insieme ri-
dotte molte varie spezie d’animali spaventati e ridotti alfin di.tnesticamente in compa-
gnia de’ fuggiti ominí e donne colli lor figlioli.
(W, 12665v: Scritti, p. 177).
Ma l’opera di Leonardo non si chiudeva nel segno sublime e negativo dei di-
luvi, e negli ultimi anni francesi, dal 1516 al 1519, tornava a volgersi inesausta a
progetti operativi in campo urbanistico, all’approfondimento delle ricerche medi-
che, ad osservazioni naturalistiche destinate idealmente al «libro» che non sareb-
be mai stato scritto, alla forma “chiusa” che fu sempre il termine dialettico di
quella scrittura infinita.
44
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, II, XXXIX, a cura di E. Bonora, con il commento di P. Zoccola, Mi-
lano 1976, p. 148.
45 Cfr. J. GANTNER, Leonardos Vísionen von dersintflut und vom Untergang der Welt, Bern 1958.
46 Il codice Urbinate rimase inedito fino alla pubblicazione di G. Manzi, Roma 1817. Un’edizione critica fu curata
da H. Ludwig: LEONARDO DA VINCI, Das Buch von der Malerei, Wien 1882; scorrette le edizioni italiane di M. Ta-
barrini (Roma 1890) e di C. Borzelli (Lanciano 1914). Importanti interventi critici e bibliografici sono in I. RICHTER,
Paragone. A Comparison of the Arts by Leonardo da Vinci, Oxford 1949; LFONARDO DA VINCI, Treatise on Pain-
ting [Codex Urbinas Latinus 1270], a cura di Ph. McMahon, introduzione di L. H. Heydenreich, Princeton N. J. 1956;
K. T. STEINITZ, Leonardo da Vinci’s Trattato della Pittura, Copenhagen 1958; C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci on
Painting cit., pp. 93-251; ID., Commentary, in J.P. RICHTER, The Literary Works of Leonardo da Vinci Compiled and
Edited from the Original Manuscripts, Oxford 1977, I, pp. 12-88; C.J. FARAGO, Leonardo da Vinci’s “Paragone”. A
Critical Interpretation with a New Edition of the Text in the “Codex Urbinas”, Leiden 1992; LEONARDO DA VINCI,
Il paragone delle arti cit.
47 B. CELLINI, Discorso dell’architettura (1568), in ID., Opere, a cura di B. Maier, Milano 1968, pp. 858-60; S.
ri, scultori ed architettori, nelle redazioni del 1550 e del 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Testo, 6 voll., e
Commento secolare, 2 voll., Firenze 1966-87, IR, p. 843 e IV, p. 28.
49 Cfr. E. PANOFSKY, The Codex Huygens, London 1940; C. PEDRETTI, Commentary cit., pp. 48-75; F. ZOL-
LNER, Die Bedeutung von Codex Huygens und Codex Urbinas fur die Proportions - und Bewegungsstudien Leonardos
da Vinci, in «Zeitschrift fur Kunstgeschichte», III (1989), pp. 334-52.
50 Nel Trattato dell’arte de la pittura (Gottardo Pontio, Milano 1584, p. 158), Lomazzo ricorda un manoscritto au-
tografo di Leonardo (non identifìcabde con quelli superstiti), composto ad istanza del Moro, «in determinazione di
questa questione, se è più nobile la pittura o la scoltura». Sul Lomazzo e i suoi testi “vinciani”, cfr. E. SOLMI, Ricor-
di della vita e delle opere di Leonardo da Vinci raccolti dagli scritti di Gio. Paolo Lomazzo, in «Archivio storico lombar-
do», XXXIV (1907), pp. 290-331; C. PEDRETTI, Studi vinciani, Genève 1957, pp. 54-76; G. P. LOMAZZO, Scritti
sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, Pisa 1973-74; M. ROSCI, Leonardo “filosofo”. Lomazzo e Borghini 1584: due linee di
tradizione dei pensieri e precetti di Leonardo sull’arte, in AA.VV., Fra Rinascimento, manierismo e realtà. Scritti di Sto-
ria dell’arte in memoria di Anna Matia Brizio, Firenze 1984, pp. 53-77.
volo, in qualche passaggio di lettura per la sua progettata edizione, e finiva nella
biblioteca dei Duchi d’Urbino, e poi nella Vaticana. Al suo posto iniziavano a cir-
colare verso il 1570 manoscritti di una redazione abbreviata che presentava intera
solo la trattazione dei precetti generali della pittura e della rappresentazione del
corpo e dei movimenti, cancellando l’intero paragone delle arti, e le sezioni di ot-
tica e di prospettiva: le scuole e le accademie di pittura operavano una scelta si ri-
duttiva, ma funzionale ai canoni vigenti, e obliteravano la battaglia vinciana in fa-
vore della pittura come «scientia», o «discorso mentale».
Dopo la morte del Melzi, avvenuta nel 1570, la preziosa eredità dei mano-
scritti di Leonardo conobbe una vicenda di dispersione che, in effetti, coincise
con più di due secoli di oblio51. Concorrevano alla “sfortuna” difficoltà oggettive
non solo di lettura, ma soprattutto di intelligenza e inquadramento critico della
globalità della sua opera scientifica. Nella prima metà del Seicento Cassiano Dal
Pozzo favorì l’esecuzione di copie manoscritte, in funzione di complementi a
quanto già si conosceva della redazione breve del Trattato della pittura, che poi
venne pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1651, da Raphael Du Fresne, con
le illustrazioni di Nícolas Poussin52. Più coraggioso, e in linea con certi interessi
scientifici e sperimentali del tempo, fu semmai a tentativo di Luigi Maria Arcona-
ti, che trascrisse dai manoscritti posseduti dal padre Galeazzo, nel 1634, i testi re-
lativi alle acque, organizzandoli in un ipotetico Trattato del moto e natura delle ac-
que, rimasto però inedito53. All’Ambrosiana i manoscritti dormirono sonni tran-
quilli: li consultò nel 1704 Ludovico Antonio Muratori, giudicandoli un «campo
sterile»54. Un notevole passo avanti venne compiuto da Giovan Battista Venturi,
che studiò i manoscritti a Parigi, e divulgò i risultati di quella prima indagine si-
51 La maggior parte dei manoscritti fu raccolta da Pompeo Leoni, scultore milanesi al servizio del re di Spagna (m.
Madrid 1608), che allestì il codice Atlantico, la raccolta delle tavole anatomiche ora a Windsor, e probabilmente il co-
dice Arundel. Confluirono nella Biblioteca Ambrosiana l’Atlantico e i manoscritti che ora sono all’Institut de France
a Parigi, portati via da Milano nel 1796; gli altri codici finirono in Inghilterra (l’Arundel, i disegni di Windsor, i For-
ster, e il codice Hammer, ora a Los Angeles), tranne i due rimasti in Spagna. Purtroppo i manoscritti superstiti rap-
presentano poco più della metà di quelli che Leonardo effettivamente compose. Cfr. G. CALVI, I manoscritti di Leo-
nardo dal punto di vista cronologico, storico e biografico, Bologna 1925; A. MARINONI, I manoscritti di Leonardo da
Vinci e le loro edizioni, in AA.VV., Leonardo. Saggi e ricerche, presentazione di A. Marazza, Roma 1954, pp. 231-74; C.
PEDRETTI, Leonardo da Vinci on Painting cit., pp. 252-59; ID., Commentary cit., II, pp. 393-402; A. CORBEAU, Les
manuscrits de Léonard de Vinci, Caen 1968.
52 Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, Giacomo Langlois, Paris 1651. Sulle vicende di trsmissione, oltre alle ope-
re citate di Steinitz e Pedretti, cfr. J.C. Bell, Cassiano dal Pozzo’s Copy of the Zaccolini Manuscripts, in «Journal of the War-
burg and Courtauld Institutes», LI (1988), pp. 103-25; C.J. FARAGO, Leonardo da Vinci’s “Paragone” cit., pp. 14-31.
53 Fino al 1826: LEONARDO DA VINCI, Del moto e misura dell’acqua, a cura di F. Cardinali, in E. MANFREDI,
Opuscoli idraulici, Bologna 1826, pp. 271-450; ID., Del moto e misura dell’acqua, a cura di E. Carusi ed A. Favaro, Bo-
logna l923. A differenza del codice Urbinate, la compilazione dell’Arconati si fonda quasi interamente su manoscritti
conosciuti: cfr. N. DE TONI, Frammenti vinciani XII, in «Raccolta Vinciana», XX (1964), pp. 197-209.
54 Cfr. Per il 250° anniversario della nascita di Lodovico Antonio Muratori, a cura della R. Deputazione modenese di
55
Cfr. G. B. VENTURI, Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Léonard de Vinci, Paris 1797.
56
Cfr. W. PATER, Leonardo da Vinci (1869), in ID., The Renaissance, London 1961, pp. 103-25. Cfr. R. SEVERI,
The myth of Leonardo in English decadent writers, in «Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 96-104; S. MI-
GLIORE, Tra Hermes e Prometeo: il mito di Leonardo nel Decadentismo europeo, Olschki, Firenze.
57 Cfr. J.P. RICHTER, The Literary Works of Leonardo da Vinci Compiled and Edited from the Original Manu-
scripts (1883), Oxford 1939 e Les manuscrits de Léonard de Vinci, ed. Ravaisson Mollien cit.
58 S. FREUD, Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, 1910 (trad. it. Saggi sull’arte, la letteratura e il lin-
guaggio, Torino 1969, I, pp. 73-158); P.VALERY, Introduction à la méthode de Léonard de Vinci, 1894 (trad. it. Scritti
su Leonardo, Milano 1984, pp. 27-53).
59 Lezione valida anche per I. CALVINO, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano 1988,
pp. 75-77: Leonardo è citato esplicitamente nella conclusione del capitolo sull’esattezza, ma allusioni a suoi testi per-
corrono tutti gli altri capitoli, e possono intervenire nella struttura immaginativa di molte opere narrative di Calvino.
In effetti, è quasi inesplorato il campo delle relazioni tra Leonardo e gli «altori» contemporanei: e s’intendono rela-
zioni profonde di struttura, di stile, di concezione del mondo, oltre le appropriazioni superficiali di D’Annunzio; ad
esempio nello Zibaldone di Leopardi (che dovette conoscere il Trattato della pittura), nei cahiers di Paul Valéry, in
Quencau e Ponge, o nelle opere di Gadda (e non solo nel Primo libro delle favole).
Non esiste quasi, all’interno del grande “libro” di Leonardo, un discorso coe-
rente che superi la misura della pagina, o del foglio: anche nei manoscritti dall’a-
spetto più unitario, il cambio di pagina corrisponde ad un cambio d’argomento,
di capitolo o di paragrafo. Il limite della singola pagina, del singolo foglio diventa
una sorta di “misura biologica” per tutti i testi di Leonardo: tutti, invariabilmen-
te, concentrati all’interno di quella misura, notazioni immediate, osservazioni
scientifiche e dimostrazioni di teoremi che molto spesso restano aperte, chiuse da
un emblematico «eccetera»60. Le infinite soluzioni possibili sono oltre quell’ecce-
tera, e Leonardo lascia aperte tali possibilità, come se ogni sua pagina fosse una
scheda intercambiabile di un unico discorso sulla natura e sulla sua rappresenta-
zione.
Sorprende allora (ma non troppo) la scoperta che l’apparente disordine dei
manoscritti cela una costante preoccupazione di organizzazione delle carte, e di
fascicolazione, preoccupazione che può essere attribuita con sicurezza allo stesso
autore61. Leonardo ebbe l’abitudine, per quasi tutta la sua vita, di scrivere su bifo-
gli sciolti (ovviamente incominciando da quella che per noi sarebbe l’ultima car-
ta), e di riunirli insieme in fascicoli costanti di otto bifogli: la riunione avveniva
non quando si completava l’unità tematica, ma semplicemente quando la scrittu-
ra aveva coperto quelle carte. Certo, potevano esserci quaderni in cui veniva ri-
spettata maggiormente una certa coerenza tematica, e quaderni lasciati invece
“aperti” con molti fogli bianchi: ma erano entrambi campioni di “philosophie
portative”. Resta il fatto che la scrittura era per Leonardo non strumento di orga-
nizzazione del pensiero, bensì strumento di registrazione.
Recuperati nella loro successione cronologica, che coincide con la loro strut-
tura reale, i testi di Leonardo si dispongono così in una serie di grandi linee tema-
tiche che partono l’una dall’altra come i rami di un unico albero: l’idea di utilizza-
re la parola scritta per illustrare le ragioni della pittura come «scientia», in pole-
mica con il sistema tradizionale delle «arti», guida l’approfondimento linguistico e
il tentativo d’apprendere il latino, e il confronto con le arti del trivio; della pro-
spettiva prevale l’approfondimento teorico, nella direzione della matematica e
della geometria, e quindi delle arti del quadrivio; lo studio della rappresentazione
del corpo umano, dei movimenti, dei fenomeni naturali si profonda in altrettanti
settori dell’indagine scientifica, del tutto autonomi dall’iniziale discorso di pittura,
ma collegati con le altre attività pratiche di Leonardo come ingegnere e architetto:
60
All’argomento, solo in apparenza insignificante, è dedicata una delle più acute «letture vinciane»: C. PEDRET-
TI, «Eccetera: perché la minestra si fredda» (Codice Arundel, fol. 245 recto) («XV lettura vinciana», 1975), Firenze
1975; cfr. L. M. BATKIN, Leonardo cit., pp. 37-44; C. VECCE, Leonardo e il gioco cit., p. 270. Aggiungo che d pro-
cedere per «eccetera» è una delle cifre significative dello Zibaldone leopardiano.
61 Cfr. A. MARINONI, Sulla tipologia dei mss. vinciani, in «Raccolta Vinciana», XXIV (1992), pp. 189-99.
62 Cfr. C. MACCAGNI, Riconsiderando il problema delle fonti di Leonardo («X lettura vinciana», 1970), in Leonar-
SCAGLIA, Francesco di Giorgio, autore, in Prima di Leonardo. Cultura delle macchine a Siena nel Rinascimento, a cu-
ra di P. Galluzzi, Milano 1991, pp. 15-46 e 57-80 (cfr. anche le schede su Taccola e Francesco di Giorgio autori: nascita
e fortuna di un nuovo genere letterario, pp. 172-271, e in particolare su Leonardo e gli ingegneri senesi, pp. 213-17).
64 Cfr. CH. BEC, Les marchands écrivains. Affaires et bumanisme à Florence 1375-1434, Parìs 1967; A. CICCHET-
TI e R. MORDENTI, I libri di famiglia in Italia, Roma 1985; V. BRANCA, Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra
Medioevo e Rinascimento, Milano 1988.
65 Cfr. G. PADOAN, Leonardo e l’Umanesimo veneziano, in AA.VV., Leonardo & Venezia, Milano 1992, p. 100:
«Per Leonardo il momento decisivo è quello della progettualità, l’esecuzione divenendo fatto secondario, e al limite
trascurabile».
capitoli, e spesso ha l’abitudine di citare da altri suoi scritti con numeri di riferi-
mento, che non sempre corrispondono ad opere reali. E sono note importanti
non tanto per tentare ricostruzioni arbitrarie di quel che non è mai esistito, ma
per cogliere, intorno ai progetti, i fulcri determinanti della ricerca di Leonardo.
All’inizio era, naturalmente, l’idea di un libro di pittura, dedicato soprattutto
allo studio del corpo umano: «A dì 2 d’aprile 1489 libro titolato de figura umana»
(W, 19059 = An B, c. 42r), con le indicazioni delle questioni da affrontare, dall’u-
niversale al particolare (W, 19037 = An B, c. 20v; W, 19038 = An B, c.21r: Corpus,
cc. 40r, 80r, 81r).
La parola «libro» compare, carica di significato, all’inizio di nuovi manoscrit-
ti: «A dì 23 d’aprile 1490 comincia’ questo libro e ricomincia il cavallo» (C,c.
15v). La stessa progettualità sovraintende alla composizione di quei brani intito-
lati «proemi», brevi testi oratori destinati ad inizio di altrettanti libri, soprattutto
di prospettiva o di anatomia, o di studi sulle acque, come il «Cominciamento del
trattato de l’acqua. L’omo è detto da li antiqui mondo minore» (A, c. 55v), o il
«Principio del libro dell’acque» (I, c. 72v): testo quest’ultimo costruito su un’im-
palcatura definitoria, che ad un certo punto diventa elenco incalzante di sessanta-
quattro vocaboli relativi alle acque66.
L’altro polo d’interesse verteva sulla meccanica, e in quel campo potevano
presentarsi a Leonardo vari esempi di organizzazione della materia, desunti dalla
tradizione tardomedievale degli scrittori de ponderibus: si segnala il progetto di li-
bro sugli «elementi macchinali», in quattro volumi, le cui proposizioni vengono
citate nel codice di Madrid I (cc. 82r, 96v, 97v; e cfr. C.A., c. 421v, ex 155vb; c.
444r, ex 164ra; c. 220v, ex 81vb)67. Altrove si ricorda un trattato di «moto locale e
di forza e di peso», che è il lavoro a cui allude il Pacioli nella Divina proporzione
nel 1498, e che fu continuato anche in seguito: «Come si mostra ’n un mio tratta-
to di moto locale e di forza e di peso» (C.A., c. 915b, ex 335vd, del 1503); «Come
si dimostra nel libro delli mia moti» (C.A., c. 978bv, ex 353vc, del 1513-14).
Continua è la preoccupazione che queste opere in fieri abbiano tra loro un
giusto ordine di successione, come se fossero parti di un’enciclopedia: «El libro
dell’impeto va inanti a questo, e inanti all’impeto va il moto» (C.A., c. 657av, ex
214vb, 1513); «E libro della scienzia delle macchine va inanzi al libro de’ giova-
menti» (W, 19070v = An C I, c. 13v: Corpus, c. 11r)68; «Fa che ’1 libro delli ele-
menti macchinali colla sua pratica vada inanti a la dimostrazione del moto e forza
66
Cfr. L. M. BATKIN, Leonardo cit., pp. 53-58.
67
Cfr. quanto scrive C. Pedretti nel Corpus, III, p. 876.
68 Sulla stessa pagina si leggono importanti appunti («Fa tradurre Avicenna de’ giovamentì […] Fa legare li tua li-
bri di notomia»), e alcuni Proemi per i libri d’anatomia, con l’indicazione dei «centoventi libri da me composti» (Scrit-
ti, pp. 209-10).
dell’omo e altri animali; e mediante quelli tu potrai provare ogni tua proposizio-
ne» (W, 19009 = An A, c. 10r)69; «Fa prima il trattato delle cause generatrici delle
rotture de’ muri, e poi il trattato de’ rimedi, separato» (Ar, c. 157r).
La frequentazione del Pacioli spinse Leonardo a ideare scritti di matematica
e geometria, e forse questo fu l’unico campo in cui la struttura reale consegnataci
da un manoscritto si avvicina ad una struttura ideale, quella del «Libro titolato de
strasformazione» (Fol-1 c. 3v). Registriamo ancora una «Scientia de equiparan-
tia» (MaII-1, c..112r), o un «Libro de equatione», o un titolo che riecheggia gli al-
bertiani Ludi mathematici, il «De ludo geometrico, nel quale si dà il processo d’in-
finite varietà quadrature di superfizie di lati curvi» (C.A., c. 272v, ex 99vb, del
1517-18; cfr. C.A., c. 476v, ex 174vb e c. 459r, ex 168ra); o un «Trattato de quan-
tità continua» (C.A., c. 455r, ex 167ra, del 1515).
Gli anni intorno al 1508 (cioè vicini a quella lucida consapevolezza della ten-
sione fra strutture ideali e reali, che viene espressa nel primo foglio del codice
Arundel) vedono un incremento della progettualità di Leonardo, in coincidenza
di alcuni lavori di trascrizione e riordino dei suoi scritti, ad esempio nel codice
Hammer, fondato in parte sul perduto Libro A: «Questi libri contengano in ne’
primi della natura dell’acqua in sé, ne’ sua moti; li altri contengano delle cose fat-
te da e sua corsi, che mutano il mondo di centro e di figura» (Ha, c. 5v); e poi so-
prattutto nel manoscritto F, con i suoi riferimenti al progetto di organizzazione
degli studi delle acque, e del «libro de’ giovamenti» (F, cc. 2v e 23r) Un titolo sin-
golare come «Primo libro delle acque» farà la sua comparsa nelle ultime carte di
Leonardo, dopo il 1510 (Ar, cc. 159v, 204v, 266r, 160r, 205r e 267r; E, c. 12r)70.
Infine, un progetto definito ebbero gli ultimi studi di anatomia, verso il 1508-
10, con la precisa trattazione dell’«Ordine del libro», che prende a modello la
Geographia di Tolomeo (W, 19061 =, An C I, c. 2r: Corpus, c. 154r)71. Corollari
dell’indagine anatomica erano i progetti per il «De voce» (C.A., c. 780r, ex 287ra,
del 1514-15), e il «libro degli strumenti armonici» (W, 19115r-v = An C IV, c. ior-
v: Corpus, c. 114v-r).
Sembrerà strano, ma fra tante idee era rimasto fuori proprio il «libro di pittu-
ra», che pure era stato all’inizio di tutto, e per il quale si riconoscono abbozzi ed
elenchi di capitoli e proposizioni72 . Al «libro di pittura», che poi fu l’unico ad es-
69
Cfr. anche Corpus, c. 153r (W, 19060 = An C I, c. 1r).
70
Cfr. A. M. BRIZIO, Leonardo da Vinci. Primo libro delle acque, in Miscellanea di scritti vari a cura di P. Pieri, To-
rino 1951, pp. 93 III.
71 Il riferimento a Tolomeo deriva naturalmente dall’analogia tra corpo umano e mondo, di ascendenza stoica, ed è
già presente in Corpus, c. 97r (W, 12592r = An C V, c. 2r) e c. 107r (W, 1901114v = An C III, c. 10v).
72 I due casi più interessanti sono alcuni testi trascritti da Allievi, e in parte corretti da Leonardo, in Ar, cc. 100xv-
sere realizzato in una struttura adattata dal Melzi, sono ascrivibili poche indica-
zioni progettuali: forse perché, nel campo che più gli era specifico, Leonardo si
rendeva conto che non poteva giocare più di tanto. Un importante accenno a quel
«libro» compare fra i tardi fogli di anatomia: «Fa l’arco celeste nell’ultimo libro
della pittura, ma fa prima il libro delli colori nati dalla mistion delli altri colori»
(W, 19076 = An C II, c. 6r: Corpus, c. 167r); e dimostra che i suoi confini andava-
no ben oltre le otto parti che poi furono disposte dal Melzi nell’Urbinate. Quel-
l’ultimo libro, nel progetto di Leonardo, era il culmine della sua arte: la rappre-
sentazione globale della natura e delle forze che la governano73.
73
L. H. HEYDENREICH, Introduzione a LEONARDO DA VINCI, Treatise on Painting cit., pp. XXVIII,
XXXII-XXXIII, XLI. Cfr. i saggi di ricostruzione cronologica di C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci on Painting cit.;
ID.,Commentary cit.
74 Sulla questione delle “fonti”, cfr. P. DUHEM, Études sur Léonardo de Vinci. Ceux qu’il a lus et ceux qui l’ont lu,
3 voll., Paris 1906-13; E - SOLMI, Le fanti dei manoscritti di Leonardo (1908), e Nuovi contributi alle fonti dei mano-
scritti di Leonardo (1911), in ID., Scritti vinciani, Firenze 1976, pp. 1-344 e 345-405. Ma su entrambi si veda E. GA-
RIN, Il problema delle fonti del pensiero di Leonardo (1952), in ID., La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Fi-
renze 1961, pp. 388-401.
75
Cfr. A. MARINONI, La biblioteca di Leonardo cit., p. 318.
76
Citazioni dirette in Ar, cc. 31v-32r e 66r (Ludi mathematici); F, c. 82r, G, c. 54r e Ha, c. 13r (De navi).
77 Cfr. K. CLARK, L. B. Alberti on Painting, in «Proceedings of the British Academy», XXX (1945), pp. 127-51; V. P.
ZOUBOV, Léon-Battista Alberti et Léonard de Vinci, in «Raccolta Vinciana», XVIII (1960), pp. 1-14; C. SCARPATI, In-
troduzione a LEONARDO DA VINCI, Il paragone delle arti cit., pp. 11-13 e 32-33. È importante notare che alcuni testi di
pittura e prospettiva nei manoscritti vinciani vengono strutturati, come nell’Alberti, in trattato sequences, tripartite in defi-
nizione, discussione, conclusione-precetto per il pittore: C. J. FARAGO, Leonardo da Vincis “Paragone” cit., pp. 414-23.
78 Riecheggiati nelle favole: cfr. L. B. ALBERTI, Apologhi ed elogi, a cura di R. Contarino, Genova 1984.
79 Cfr. F. P. DI TEODORO, “Maestro Piero del Borgo”, in «Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 58-62 (e bi-
bliografia relativa).
80 P. DAL POZZO TOSCANELLI, Della prospettiva, a cura di A. Parronchi, Milano 1991.
81 Cfr. M. KEMP, Leonardo and the Vísual Pyramid, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XL
(1977), pp. 128-49; K. H. WELTMAN, Studies on Leonardo da Vinci I: Linear Perspective and the Visual Dimensions
of science and Art, München 1986; B. EASTWOOD, Alhazen, Leonardo and LateMedieval Speculátion on the Inver-
sion of images in the Eye, in «Annals of Sciences», XLIII (1986), pp. 413-46; J. C. BELL, Color Perspective, c. 1492, in
«Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 64-77.
82 Cfr. R. MARCOLONGO, Memorie sulla geometria e la meccanica di Leonardo da Vinci, Napoli 1937; M. CLA-
GETT, Leonardo da Vinci and the medieval Archimedes, in «Physis», XI (1969), pp. 100-51. Per ricerche di libri nella
biblioteca del convento di San Marco a Firenze, cfr. C. VECCE, “Libreria di Sancto Marco”, in «Achademia Leonardi
Vinci», V (1992), pp. 122-24.
83 Si veda, con cautela, LEONARDO DA VINCI, I libri di meccanica, a cura di A. Uccelli, Milano 1940, pp. XX-
pp. 359-67.
85 Vi insistono A. CHASTEL, Léonard et la culture, in AA.VV., Léonard de Vinci et l’expérience scientifique au XVI
siècle, Paris 1953, pp. 251-63; ID., Art et humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique, 1961 (trad. it. Ar-
te e umanesimo a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, Torino 1979, pp. 411-514); A. MARINONI, Leonardo da
Vinci, in AA.VV., Grande antologia filosofica, Milano 1964, VI, pp. 1149-212; ID., La biblioteca di Leonardo cit., p.
314. Più interessante mi sembra il rapporto con il De Civitate Dei di Sant’Agostino: cfr. C. PEDRETTI, Il concetto di
bellezza e utilità in Sant’Agostino e Leonardo, in «Achademia Leonardi Vinci», V (1992), pp. 107-11.
86 Cfr. G. CASTELFRANCO, Introduzione a Leonardo (1952), in ID., Scritti vinciani, Roma 1966, pp. 25-42; E.
tamorphoseon libri, I, 253-312). Cfr. anche A. MINICUCCI, Quid ex Ovidii operibus in Leonardi Vincii scripta sit de-
rivatum, in AA.VV., Acta Conventus omnium gentium Ovidianis studii sfavendis, Bucarest 1976, pp. 451-58.
88 Cfr. E. GARIN, Il problema delle fonti cit., pp. 399-401.
89 Cfr. SENFCA, Quaestiones naturales, III, XXVII-XXX.
90 Cfr. C. VECCE, Leonardo e il gioco Cit., pp. 288-9.
91 Cfr. le note di commento agli Scritti, pp. 152-53, 187 e 234; C. SCARPATI, Leonardo e i linguaggi Cit., pp. 24-26;
C. PEDRFTTI, Leonardo & Dante, in «Achademia Leonardi Vinci», IV (1991), pp. 204-10.
92 Per i rapporti di Leonardo con la cultura del suo tempo, si vedano Soprattutto E. GARIN, La cultura fiorentina
nell’età di Leonardo (1952), e Universalità di Leonardo (1962), in ID., Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano,
Bari 1965, pp. 57-85 e 87-107; C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit.; A. CHASTEL, Art et humanisme cit.;
Scritti, pp. 5-30.
veniva la visione del mostro marino, o l’idea del teatro girevole per la rappresen-
tazione dell’Orfeo di Poliziano (di cui forse c’è anche la conoscenza delle Stan-
ze)93; e soprattutto in Plinio era possibile leggere la storia dell’arte e della pittura
antica, un racconto che presentò a Leonardo il mito di Apelle, facendo rivivere
quella sfida di rappresentazione della natura che era simbolicamente fissata nella
gara con Protogene94, o nella capacità di cogliere la varietà universale, e di dipin-
gere ciò che non può essere dipinto: temi ossessionanti per Leonardo, che tracciò
le parole greche «astrapen bronten ceraunobolian» dietro il diabolico disegno
dell’”angelo dell’annunciazione”95.
S’è detto del “bestiario”, ove convergevano invece tradizioni letterarie carat-
teristiche della cultura popolare toscana, cultura che si ritrova nella composizione
di favole, proverbi, indovinelli, profezie, facezie, in cui interagiscono comunque
testi come gli Apologi dell’Alberti. La letteratura dei cantari è presente con una ci-
tazione diretta dalla Reina d’Oriente di Antonio Pucci, un’ottava su un gigante che
si lega a quella lettera a Benedetto Dei, che invece è giocata sul duplice registro
della parodia delle lettere-relazioni di viaggio del Dei dall’Oriente, e della fantasia
senza misura del Morgante di Luigi Pulci. In fogli giovanili si leggono versi delle
Pistole di Luca Pulci, e della pistola più sperimentale dal punto di vista espressivo,
e più problematico dal punto di vista religioso e filosofico, quella di Polifemo a
Galatea, con le sue tirate contro la credenza dell’immortalità dell’anima; è docu-
mentato il possesso di opere come il Driadeo e il Ciriffo Calvaneo; ed è a Luigi che
Leonardo deve anche il gusto per il gioco linguistico, e per il più serio esercizio del
«vocabulizare», passato dal Vocabulista agli elenchi lessicali del codice Trivulzia-
no, fondato su testi come Valturio e il Novellino di Masuccio Salernitano96.
Utile strumento alla conoscenza della cultura di Leonardo sono infine le due
liste di libri, databile quella del codice Atlantico al 1490 circa (C.A., c. 559r, ex
210ra), e quella del codice di Madrid II al 1503 (MaII-1, cc. 2v-3r)97: i due docu-
93 Cfr. A. MARINONI, Il regno e il sito di Venere, in AA.VV., Il Poliziano e il suo tempo, Firenze1957, pp. 273-88;
K. T. STEINITZ, Les décors de théâtre de Léonard de Vinci, Paradis et Enfer, in «Bibliothèque d’Humanisme et Re-
naissance», XX (1958), pp. 257-65.
94 Cfr. E. H. GOMBRICH, Tbe Heritage of Apelles, 1976 (trad. it. L’eredità di Apelle, Torino 1986, pp. 5-26).
95 Cfr. J. F. MOFFITT, The “evidentia” of curling waters and whirling winds: Leonardo’s “Ekphraseis” of the latin
weatherman, e C. PEDRETTI, The “Angel in the Flesh”, in «Achademia Leonardi Vinci», IV (1991), rispettivamente
alle pp. 11-33 e 34-47.
96 Cfr. Scritti, pp. 14, 81-83, 232 e 257-58; C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit., pp. 203-5. Su altri testi
utilizzati da Leonardo, cfr. G. PONTE, Una fonte lessicale cit.; ID., Tra Leonardo, Prisciano e la «Rhetorica ad Heren-
nium», in AA.VV., Medioevo e Rinascimento Veneto, Padova 1979, II, pp. 3-10
97 Scritti, pp. 255-61. Sulla biblioteca di Leonardo, cfr. G. D’ADDA, Leonardo da Vinci e la sua libreria. Note di un
bibliofilo, Milano 1873; C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit., pp. 183-98; C. MACCAGNI, Riconsideran-
do il problema Cit.; L. RETI, La biblioteca di Leonardo, in LEONARDO DA VINCI, I codici di Madrid cit., III, pp. 91-
109; A. MARINONI, La biblioteca di Leonardo cit.; e quanto scrive in LEONARDO DA VINCI, Scritti letterari cit.,
pp. 239-57.
menti vanno però letti con cautela, perché possono registrare libri sì posseduti ma
non letti, mentre non vi compaiono autori di cui invece i manoscritti di Leonardo
hanno già rivelato l’influsso. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata dei lo-
ro titoli: basti misurare l’accrescimento (nell’ipotesi di due liste abbastanza com-
plete) dai quaranta titoli del 1490 ai centosedici del 1505, un numero notevole
per la biblioteca di un artista, come anche per la biblioteca di un mercante fio-
rentino dell’epoca98. Nella prima lista la coincidenza dei testi letterari, religiosi e
morali con i cataloghi conosciuti di biblioteche di borghesi fiorentini, spettro del-
la cultura media vicina agli anni della formazione di Leonardo, è impressionante,
e pressoché totale; e non è credibile che quei libri fossero stati raccolti tutti tra A
1487 e il 1490, quando Leonardo diventa “scrittore”; anzi, ben pochi di essi era-
no funzionali agli interessi specifici del manoscritto B (in effetti, solo il De re mili-
tari del Valturio). Nel passaggio alla seconda lista un notevole incremento avviene
nel settore dei libri scientifici e medici pubblicati negli ultimi anni del Quattro-
cento, e immediatamente acquisiti da Leonardo: inutile sottolineare l’importanza
della presenza di Giorgio Valla, per la traduzione latina nella sua enciclopedia di
scritti scientifici; compaiono poi i libri medici, prima assenti, e ora collegati alla ri-
presa delle anatomie in Santa Maria Nuova; i Problemata, le Propositiones e i Me-
teora d’Aristotele (in volgare), con il «libro di Filone de acque»; il De re aedifica-
toria, i Ludi mathematici e il De navi dell’Alberti; Euclide latino e volgare, e la
Summa del Pacioli; ma, accanto a testi di alta divulgazione scientifica, continuano
ad affollarsi libri di prediche e di edificazione popolare, di magia e fisiognomia,
lapidari ed erbolari; e si è accresciuto il numero dei più elementari libri d’abaco,
delle grammatiche latine, dei primi vocabolari, necessari per imparare il latino; te-
stimonianza di quanto fosse ancora difficile, per Leonardo, l’accesso ai livelli più
elevati della literatura. Leonardo non fu un “umanista”, ma fu certamente “uomo
di lettere”, perché dedicò interamente la sua vita alla ricerca e alla conoscenza.
98
Rinvio all’ottimo bilancia di CH. BEC, Les livres des Florentins (1413-1608), Firenze 1984.
99
Cfr. J. RODINI, Leonardo da Vinci and Language, in «Philological Quarterly», LXX (1991), pp. 277-87.
100
I. CALVINO, Lezioni americane cit., p. 75: sostanzialmente concorde con G. DE ROBERTIS, La difficile arte di
Leonardo (1944), in ID., Studi, Firenze 1953, pp. 76-87.
101 Cfr. C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere cit., p. 216.
104 Cfr. P. BONGRANI, La Lombardia, in L’italiano nelle regioni, a cura di F. Bruni, Torino 1992, pp. 84-105 (con
relativa bibliografia).
105
Cfr. M. L. ALTIERI BIAGI, Considerazioni sulla lingua di Leonardo, in «Notiziario Vinciano», VI (1982), 22,
pp. 9-29.
106 Cfr. T. BOLELLI, Osservazioni linguistiche sul «Trattato della pittura» di Leonardo (1952), in ID., Leopardi lin-
guista e altri saggi, Messina-Firenze 1982, pp. 83-92; G. FOLENA, Chiaroscuro leonardesco (1951), in ID., Il linguag-
gio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino 1991, pp. 242 -54.
un numero altrettanto indeterminato di letture: quel che poi, nel caso di Leonar-
do, storicamente è avvenuto, e avviene. Se in questa sede si è preferita la strada
della descrizione della storia di quei testi, nelle loro relazioni interne, e nelle rela-
zioni con il contesto culturale in cui essi sono nati, è perché sembrava fosse più al-
to il grado di verità di alcune conclusioni, comunque provvisorie ed aperte a nuo-
vi sviluppi della ricerca.
Innanzitutto Leonardo ha inteso portare avanti una battaglia culturale che la
storia dell’umanesimo dimostra perfettamente in linea con vicende simili fra il
XIV e il XV secolo: la dimostrazione che la pittura non appartiene al novero del-
le arti meccaniche, ma che essa è in grado di assurgere al grado di «scientia», cioè
di essere una forma di conoscenza pura, in grado di comprendere e rappresenta-
re valori universali107. Gli umanisti avevano combattuto questa battaglia contro le
discipline scolastiche tradizionalmente al vertice della gerarchia del sapere, la me-
tafisica e la dialettica, ponendo al posto più alto l’arte della parola, dello strumen-
to principe del pensiero umano. Leonardo, al di fuori dell’umanesimo della paro-
la, cerca vie di indagine e di espressione che possono fare a meno della tradizione
della scrittura, e in un celebre «paragone» fa primeggiare la pittura sulla poesia:
ma perché la pittura raggiunga il livello di «scientia», essa deve saper giungere al-
la rappresentazione di verità universali, paradosso gnoseologico che coinvolge
Leonardo, consapevole ad un certo punto dell’infinita varietà della forme della
natura, soggetta a leggi di perpetuo divenire. Se a divenire si attua nel tempo, alla
pittura, immagine fissata in una condizione di unicità ed immobilità, non sarebbe
dato in alcun modo di rappresentarne l’essenza. Ma è proprio qui la grande illu-
sione di Leonardo: fermare nella pittura il continuo fluire degli elementi e del
tempo e della vita, fermare nell’immobile il movimento; quel che potrebbe spie-
gare l’ossessiva frequenza, nelle pagine di Leonardo, di un tema naturalmente bi-
fronte, di derivazione eraclitea: la fuga del tempo, e lo studio dell’acqua, dell’ele-
mento mobile per eccellenza: «Col tempo ogni cosa va variando» (Ar, c. 210r)108.
Leonardo credeva che fosse possibile avvicinarsi a questa altezza, attraverso
un’indagine diretta della varietà della natura, aperta ad ogni ambito disciplinare e
ad ogni metodologia utile. Ed è la tensione di quell’illusione che dà ragione del fa-
scino segreto di ogni sua opera artistica. Ma io credo che quella tensione rappre-
senti in fondo anche il criterio unificante, dal punto di vista stilistico, di tutte le
sue scritture. Un abito squisitamente mimetico, segno di una conoscenza almeno
empirica di alcune “regole” del gioco letterario, attraversa i momenti più specifi-
107
C. SCARPATI, Introduzione cit., pp. 11-19
108
Cfr. E. H. GOMBRICH, The Form and Movement in Water and Air, 1969 (trad. it. La forma del movimento nel-
l’acqua e nell’aria, in ID., L’eredità di Apelle cit., pp. 51-79); K. CLARK, Leonardo e le curve della vita («XVII lettura
vinciana», 1977), Firenze 1979; C. PEDRETTI, Leonardo. A Study in Cronology and Style, New York 1982, pp. 9-24.
ci nel loro carattere di “scrittura”, adattandoli magari a testi e generi della lettera-
tura (“alta” o “bassa”) con cui è instaurato un confronto, o uno scontro109: l’isti-
tuto della narrazione, breve o lunga, nelle favole o nelle facezie; la lettera favolosa
e la relazione di viaggio nelle lettere al Dei e al Diodario di Soria; l’allocuzione a
un pubblico immaginario nei proemi, e negli scritti programmatici di pittura, di
scienza, di anatomia, con l’uso frequente in senso polemico della funzione conati-
va110; l’uso di tecniche della retorica persuasiva e di una sintassi talvolta latineg-
giante nelle lettere realmente scritte e nelle relazioni su opere da realizzare. La
chiave stilistica più cara a Leonardo (e non poteva essere altrimenti) è quella lega-
ta alla descrizione, non importa se di cose reali o puramente immaginarie: quello
che conta, è l’assoluta aderenza e immediatezza della rappresentazione111. Leo-
nardo è un “classico”, nelle sue scritture, perché le sue immagini, dalla descrizio-
ne della caduta di una goccia d’acqua alla visione del diluvio, sono immagini pri-
mitive, come se quei fenomeni fossero “visti” per la prima volta: ed è quella “pri-
ma volta” che spiega il senso di stupore, di meraviglia che attraversa gli scritti del
“fanciullo” di Vinci112. Leonardo agisce sulla sua «lingua materna» privilegiando
aspetti stilistici o strutturali come la dimensione temporale del verbo (l’uso “mi-
tologico” del passato remoto, e dell’imperfetto)113; i tropi nell’ordine delle parole;
la rielaborazione consapevole di costruzioni sintattiche di coordinazione e subor-
dinazione tipiche della lingua parlata, ma adattate ad un livello superiore di velo-
cità descrittiva; la condensazione semantica nella scelta di aggettivi e sinonimi. Il
tentativo non dichiarato era quello di superare la distanza sostanziale tra le forme
d’espressione, di superare l’idea stessa di «paragone» in nome di un unico pro-
getto conoscitivo. In Leonardo la parola serve, paradossalmente, a “vedere”.
6. Nota bibliografica.
Aggiornate rassegne bibliografiche, a cura di Mauro Guerrini, sono nella rivista
«Raccolta Vinciana», stampata a Milano dal 1905, mentre utili saggi di bibliogra-
109 Sui caratteri della prosa di Leonardo, cfr. F. FLORA, Leonardo, Milano 1952; ID., Umanesimo di Leonardo, in
AA.VV., Atti del Convegno di studi vinciani, Firenze 1953, pp. 3-25; ID., Unità di linguaggi, in «Raccolta Vinciana»,
XVII (1954), pp. 3-16; N. SAPEGNO, Leonardo scrittore, in AA.VV., Atti del Convegno di studi vinciani cit., pp.
115-24; G. PONTE, Leonardo prosatore, Genova 1976.
110 Ma gran parte dell’opera di Leonardo «è dialogica e composta in un’attitudine di magistero: tiene davanti a sé
costantemente una figura di discepolo (o di interlocutore avversario, o di oppositore)» (C. SCARPATI, Introduzione
cit., p. 53).
111 Cfr. C. SEGRE, La descrizione al futuro: Leonardo da Vinci, in ID., Semiotica filologica, Torino 1979, pp. 131-60.
112 Cfr. A. MOMIGLIANO, La prosa di Leonardo (1940), in ID., Cinque saggi Firenze 1945, pp. 109-38; K.
181-88.
fia tematica sono comparsi in «Achademia Leonardi Vinci», diretta da Carlo Pe-
dretti, e stampata da Giunti a Firenze dal 1988. Resta un punto di riferimento E.
VERGA, Bibliografia vinciana, Bologna 1931, da integrare almeno con A. CHA-
STEL, Leonardiana, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», XVI
(1954), pp. 386-97; ID., Les travaux sur Leonardo da Vinci, ibid., XXII (1960), pp.
200-13; G. CASTELFRANCO, Momenti della recente critica vinciana (1954), in
ID., Scritti vinciani, Roma 1966, pp. 54-124; A. M. BRIZIO, Rassegna degli studi
vincíani dal 1952 al 1968, in «L’Arte», I (1968), pp. 107-20; A. LORENZI e P.
MARANI, Bibliografia vinciana 1964-1979, Firenze 1982. Utili anche il catalogo
della sezione vinciana della Elmer Belt Library di Los Angeles: K. T. STEINITZ,
Catalogue of the Elmer Belt Library of Vinciana, Los Angeles Cal. 1955, e il cata-
logo congiunto della Biblioteca di Vinci e della Raccolta Vinciana di Milano: M.
GUERRINI, Bibliotheca Leonardiana, Milano 1991.
Per i manoscritti di Leonardo, leggibili in facsimile e trascrizione critica nel-
l’edizione nazionale presso Giunti, a Firenze, rinvio a quanto già indicato nelle
singole note. Una nuova edizione critica del Libro di pittura, secondo la lezione
del codice Urbinate, a cura di C. Pedretti e C. Vecce, Giunti, Firenze.
Tra le antologie di testi leonardeschi vanno segnalate quelle di E. SOLMI,
Frammenti letterati e filosofici di Leonardo da Vinci, Firenze 1899; G. FUMA-
GALLI, Leonardo prosatore, Milano-Roma 1915; ID., Leonardo «omo sanza lette-
re», Firenze 1952; LEONARDO DA VINCI, Scritti letterari, a cura di A. Mari-
noni, Milano 1974; ID., Scritti scelti, a cura di A. M. Brizio, Torino 1966 . Scelte
di scritti vinciani sono in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, 3
voll., Milano-Napoli 1971-77. La prima parte del Libro di pittura, con una lucida
introduzione, è pubblicata in LEONARDO DA VINCI, Il paragone delle arti, a
cura di C. Scarpati, Milano 1993.
Sulle scritture di Leonardo, oltre ai contributi già citati in nota, cfr. F. TA-
TEO, Il dialogo e il trattato da Leon Battista Alberti a Leonardo, in La letteratura
italiana. Storia e testi, diretta da C. Muscetta, III/1. Il Quattrocento. L’età dell’U-
manesimo, Bari 1972, pp. 353-65; L. LAZZARINI, «Leonardo da Vinci», in Di-
zionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, Torino 1986, III, pp.
558-66; M. MACHIEDO, Leonardo da Vinci e la poesia, in «Studi e problemi di
critica testuale», XXXIV (1987), pp. 105-24.