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RIASSUNTO PURGATORIO

I CANTO =
10 APRILE 1300 ( DOMENICA DI PASQUA) POCO PRIMA DELL'ALBA, TRA LE 4.00 E LE
5.00 DEL MATTINO.
LA SPIAGGIA DELL'ISOLA DEL PURGATORIO- PARADISO TERRESTRE, CHE SI TROVA
AGLI ANTIPODI DI GERUSALEMME. E' SOLITARIA E PROGRESSIVAMENTE
ILLUMINATA DALLA LUCE DEL GIORNO SOTTO UN CIELO SERENO, DOVE DANTE
SCORGE IL PIANETA VENERE E QUATTRO STELLE LUMINOSE; IN SEGUITO RIESCE A
DISTINGUERE IN LONTANANZA IL MOTO ONDEGGIANTE DEL MARE. IL CUSTODE
DEL LUOGO E' CATONE UTICENSE.

Dante si accinge a solcare un mare più tranquillo perché canterà il secondo regno dei morti,
il regno della purificazione. Invoca l'aiuto delle Muse e in particolare di Calliope ,
chiedendole di accompagnare il suo canto con quella melodia che vinse e punì le Piche
(rievoca il mito delle figlie di Pierio trasformate in gazze dalle Muse come punizione per la
loro superbia). Dante prova diletto ad osservare il cielo azzurro, la cui parte orientale è
rischiarata dal pianeta Venere, che si trova nella costellazione dei Pesci: l'alba sta sorgendo e
siamo in primavera . Successivamente osserva quattro stelle, allegoria delle quattro virtù
cardinali, che solo Adamo ed Eva poterono contemplare e che gli uomini non possono più
vedere.
All'improvviso Dante vede accanto a sé un vecchio venerando: è Catone Uticense ,
reggitore- custode del Purgatorio, che ritenendo Dante e Virgilio due anime fuggite
dall'Inferno, chiede chi siano, chi li abbia guidati e per quale motivo siano potuti uscire dalla
cavità infernale. Virgilio fa inginocchiare Dante e risponde che è stato indotto da una donna
scesa dal cielo ( Beatrice), che Dante è ancora in vita e che cerca la libertà per la quale lo
stesso Catone si è tolto la vita in Utica; aggiunge che, essendo Dante vivo ed egli è un'anima
del Limbo sono svincolati dalle leggi infernali; chiede a Catone di concedere un passaggio
in nome di sua moglie Marzia. Catone risponde che non per Marzia, ma grazie alla donna in
cielo che li protegge , concederà il passaggio, ma prima Virgilio dovrà lavare il volto a
Dante e cingerlo con un giunco.
Scomparso Catone, Dante e Virgilio arrivano in un punto dove l'erba è bagnata dalla rugiada
e con questa Virgilio toglie dal volto di Dante la caligine infernale. Virgilio coglie un giunco
liscio ( che subito ricresce) e con esso cinge il fianco a Dante.
Catone ( che parteggiò per Pompeo, contro le mire dittatoriali di Cesare, perché vedeva in
lui il difensore della repubblica, si uccise in Utica , coerente con la dottrina stoica,
compiendo un supremo gesto di libertà) diviene simbolo della libertà morale.

CANTO II=
10 APRILE 1300 ( DOMENICA DI PASQUA) DALLE SEI DEL MATTINO. LA SPIAGGIA
DELL'ANTIPURGATORIO, DOVE, PROVENIENTI DALLA FOCE DEL TEVERE, ARRIVANO
LE ANIME SULLA BARCA GUIDATA DALL'ANGELO NOCCHIERO. IL PAESAGGIO E'
TEMPERATO DALLA LUCE DEL SOLE DEL MATTINO, IL MARE E' TRANQUILLO E SI
SCORGE PROGRESSSIVAMENTE LA NAVICELLA DELL'ANGELO. LE ANIME SONO
CONFUSE E INCERTE SUL DA FARSI PERCHE' NON CONOSCONO IL POSTO. I
PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO, CATONE, ANIME ESPIANTI E CASELLA.

Sono circa le sei del mattino, sorge il sole. Dante e Virgilio si trovano sulla spiaggia e
riflettono sulla strada da prendere. Dante scorge una luce che si avvicina dal mare e diventa
sempre più grande e intensa; ai lati di essa si distinguono forme bianche. Virgilio vi
riconosce delle ali e capisce che si tratta di un angelo, per cui impone a Dante di chinarsi.
L'angelo guida una barca senza usare né remi né vele. Approda e dalla barca fa scendere una
folla di anime che canta un salmo. L'angelo le benedice e se ne va. Le anime che rimangono
sulla spiaggia domandano a Dante e a Virgilio indicazioni per salire; Virgilio chiarisce la
loro condizione. Le anime si accorgono che Dante è vivo, perché respira , se ne stupiscono e
si accalcano attorno a lui.
Dante vede che un'anima avanza come se volesse abbracciarlo e tenta di fare la stessa cosa,
ma la consistenza vana delle anime impedisce l'abbraccio. L'anima dice a Dante di fermarsi;
dalla voce egli lo riconosce: è il suo amico Casella. Dante gli domanda come mai sia giunto
ora alla spiaggia ed egli risponde che l'angelo nocchiero sceglie chi far salire sulla sua barca,
ma nel 1300 per effetto del Giubileo tutte le anime destinate al Purgatorio vi salgono
liberamente. Dante prega Casella di cantare qualcosa. Casella intona AMOR CHE NELLA
MENTE MI RAGIONA. Dante, Virgilio e le anime lo ascoltano affascinati, ma irrompe
Catone che sgrida le anime perché se ne stanno ferme. Le anime spaventate fuggono come
colombi e anche Dante e Virgilio si avviano rapidamente.

CANTO III=
10 APRILE 1300 ( DOMENICA DI PASQUA) , PRIME ORE DEL MATTINO.
ANTIPURGATORIO. TRA LA SPIAGGIA E IL PRIMO BALZO: PRIMA SCHIERA DI
ANIME. LA SALITA E' MOLTO RIPIDAE VIRGILIO DEVE RICORRERE AGLI
SPIRITI PER TROVARE UN PUNTO DI ASCESA AGEVOLE PER DANTE. LA COLPA
E' LA SCOMUNICA. LA PENA: LE ANIME DEGLI SCOMUNICATI PROCEDONO
LENTAMENTE SUI PRIMI CONTRAFFORTI ROCCIOSI. CIASCUNA DEVE
ATTENDERE PER UN TEMPO PARI A TRENTA VOLTE GLI ANNI DELLA PROPRIA
SCOMUNICA PRIMA DI ENTRARE IN PURGATORIO. CONTRAPPASSO PER
ANTITESI: COME IN VITA ESSI FURONO RIBELLI E DISOBBEDIENTI ALLA
CHIESA, ORA PROCEDONO LENTAMENTE E SONO MANSUETI COME PECORE. I
PERSONAGGI SONO DNATE, VIRGILIO, MANFREDI E LE ANIME DEGLI
SCOMUNICATI.

Dante si accosta strettamente a Virgilio e, quando costui rallenta il passo, rivolge lo sguardo
al monte del Purgatorio. A Dante, smarrito perché vede sul terreno solo la propria ombra,
Virgilio dice di non temere: il suo corpo è sepolto in Italia e le anime non fanno ombra
perché sono oltrepassate dai raggi del sole. Come sia possibile che le anime prive di corpo,
provino sensazioni fisiche è un mistero. Quindi Virgilio raccomanda agli uomini di fermarsi
alla conoscenza dei fenomeni senza presumere di conoscere ciò che non è consentito loro di
sapere, come fecero invece Aristotele e Platone, il cui desiderio di conoscenza resterà
eternamente inappagato. Davanti al ripido monte del Purgatorio, Virgilio esita perché non
conosce la via che possa consentire a Dante la salita. Dante scorge in lontananza un gruppo
di anime e Virgilio rinfranca il discepolo. Le anime sono quelle dei morti scomunicati che
dopo aver visto i due pellegrini si fermano dapprima addossandosi alle rocce e Virgilio
chiede loro di mostrare la salita più agevole; poi come un gregge di pecore, avanzano verso i
due, ma arretrano turbate quando scorgono l'ombra di Dante. Virgilio confessa che Dante è
vivo e le anime dicono ai due di tornare indietro e di procedere davanti a loro.
Parla Manfredi rivelando il proprio nome e chiedendo a Dante di rendere noto alla figlia
Costanza che egli è salvo: afferma infatti di essersi pentito in punto di morte dei suoi orribili
peccati. Si rammarica poi del fatto che il vescovo di Cosenza abbia disseppellito il suo
corpo e lo abbia abbandonato lungo il fiume Garigliano. Aggiunge che chi muore in stato di
scomunica deve restare in quel luogo trenta volte il periodo in cui è stato ribelle alla chiesa,
ma che le preghiere dei vivi possono abbreviare tale periodo.
Con Manfredi Dante vuole onorare la dinastia sveva , legittima portatrice, nel Duecento,
dell'idea di Impero. Non nomina il padre Federico II nel nome del quale ha pur combattuto,
perché dannato tra gli epicurei (Inferno X): nomina invece la madre di Federico, beata in
Paradiso, quasi a rammentare la sacralità storica dell'impero. Le due Costanze di questo
canto sono: Costanza d'Altavilla, nonna di Manfredi; Costanza di Svevia, figlia di Manfredi.

CANTO IV=
10 APRILE 1300, DALLE NOVE CIRCA A MEZZOGIORNO. ANTIPURGATORIO,
SALITA AL PRIMO BALZO ( SUL QUALSE SI TROVA UN GROSSO MASSO:
SECONDA SCHIERA DI ANIME. LA SALITA E' RIPIDISSIMA E RICHIEDE QUASI
UNA SCALATA. LA COLPA E' L'ESSERSI PENTITI AL PUNTO ESTREMO DELLA
VITA DA PARTE DEI MORTI DIMORTE VIOLENTA. LE ANIME DEI PIGRI STANNO
SEDUTE , APPOGGIATE AD UN GROSSO MASSO E DEVONO ATTENDERE IN
QUESTA POSIZIONE PER UN TEMPO PARI ALLA DURATA DELLA LORO VITA
PRIMA DI ENTRARE IN PURGATORIO. CONTRAPPASSO PER ANALOGIA: COME
IN VITA ONO STATE PIGRE, ORA ATTENDONO FERME ALL'OMBRA DI UN
GROSSO MASSO CHE E' IL CORRELATIVO FIGURATIVO DELLA LORO
INDOLENZA. I PERSONAGGI SONO DNATE, VIRGILIO, LE ANIME DEGLI
SCOMUNICATI, BELACQUA E LE ANIME DEI PIGRI.

Dante è assorto a parlare con Manfredi e non si è accorto che sono passate tre ore ; ciò
dimostra che l'anima dell'uomo è una sola e, mentre la potenza sensitiva è occupata, quella
intellettiva non può percepire lo scorrere del tempo. Le anime degli scomunicati indicano a
Dante e a Virgilio il passaggio verso l'alto. Il sentiero per salire è strettissimo, bisogna
arrampicarsi con le mani. Dante è stanco e timoroso di non riuscire ad arrivare in alto e
chiede a Virgilio la strada. Virgilio gli addita il balzo da raggiungere e Dante fa un ultimo
sforzo. Dante si accorge di avere il sole a sinistra, al contrario di quanto avviene sulla terra.
Virgilio spiega che il Purgatorio e Gerusalemme hanno la stessa latitudine, ma opposta , per
cui il sole nell'emisfero settentrionale si muove in un senso e in quello meridionale nel senso
opposto . Dante ha capito e aggiunge che l'equatore è esattamente tra Gerusalemme e il
purgatorio. Virgilio spiega che la montagna del purgatorio è difficile da salire all'inizio, ma
più semplice a mano a mano che si avanza; quando sarà in cima, Dante potrà riposarsi.
Appena Virgilio tace, si sente una voce che commenta i loro discorsi. I due poeti si voltano e
vedono delle anime sedute all'ombra di un grande masso. Una sembra a Dante
particolarmente pigra; l'anima gli risponde con ironia e Dante la riconosce dalla voce e le si
avvicina. Dante chiama l'anima per nome: Belacqua, un amico noto per la sua pigrizia. Gli
chiede perché sia lì . Egli risponde che non si affretta perché l'angelo guardiano non lo
farebbe entrare prima del tempo in Purgatorio, a meno che uomini giusti non preghino per
lui. Dio ascolta solo le preghiere dei giusti. Virgilio si avvia e invita Dante a seguirlo, perché
è già mezzogiorno.

CANTO V=
10 APRILE 1300 POCO DOPO MEZZOGIORNO. ANTIPURGATORIO. SECONDO
BALZO: TERZA SCHIERA DI ANIME. RIPIDO PENDIO ROCCIOSO. LA COLPA E'
QUELLA DI ESSERSI PENTITI IN PUNTO DI MORTE DA PARTE DEI MORTI DI
MORTE VIOLENTA. I MORTI DI MORTE VIOLENTA CAMMINANO IN SCHIERA
COMPATTA LUNGO LA COSTA DEL MONTE, CANTANDO IL SALMO MISERERE.
COME LE ALTRE ANIME DELL'ANTIPURGATORIO, DEVONO ATTENDERE PER
UN TEMPO PARI ALLA DURATA DELLA LORO VITA PRIMA DI ENTRARE IN
PURGATORIO. CONTRAPPASSO: MANTENGONO UN ATTEGGIAMENTO
MILITARESCO, E , COME A LUNGO IGNORARONO LA MISERICORDIA DI DIO,
COSI' ORA LA INVOCANO CANTANDO IL SALMO. I PERSONAGGI SONO: DANTE
E VIRGILIO. L'ANIMA DI UN PIGRO. ANIME DI MORTI DI MORTE VIOLENTA .
JACOPO DEL CASSERO, BONCONTE DA MONTEFELTRO, PIA SENESE.

Una delle anime dei pigri si accorge dell'ombra di Dante ed esprime meraviglia. Dante
sorpreso, rallenta il passo e viene rimproverato da Virgilio che lo invita a non badare ai
mormorii, ad essere saldo come una torre e a non deflettere mai dalla meta prefissata. Dante
e Virgilio incontrano una schiera di anime che cantano il Miserere. Le anime, stupite
dall'ombra di Dante, inviano due messaggeri ai quali Virgilio conferma che il suo compagno
è vivo e può fare loro del bene. Tutte le anime corrono verso Dante , lo pregano di sostare
perché possa ascoltarle e affermano di essere morte violentemente pentendosi nell'ultimo
istante della vita. Dante risponde giurando che farà ciò che esse gli chiederanno. Parla la
prima anima ( Jacopo del Cassero, esponente di una nota famiglia marchigiana; guelfo fu
alleato di Firenze nella ghibellina Arezzo; fu ucciso dai sicari di Azzo VIII presso Oriago).
Dopo aver chiesto a Dante di indurre i suoi familiari, a Fano,a pregare per lui: racconta la
propria morte: inseguito dai sicari del signore d'Este, suo nemico, fu raggiunto in una palude
nel territorio di Padova e fu ucciso. Parla la seconda anima che dice di essere Bonconte da
Montefeltro (di fede ghibellina, figlio di Guido da Montefeltro, protagonista di Inferno
XXVII). Alla domanda di Dante relativa alla scomparsa del suo corpo dopo la battaglia di
Campaldino ( dove fu ucciso) risponde di essersi trascinato in fin di vita alla confluenza del
fiume Archiano con l'Arno; si pentì in punto di morte e il diavolo, per vendicarsi della
perdita della sua anima, sucistò una tempesta che provocò la piena dell'Archiano: il suo
corpo spinto nell'Arno dalla furia delle acque, fu sepolto dai detriti. Parla, la terza anima,
che ha nome Pia: nacque a Siena e morì in Maremma per mano del marito. (Pia è un
personaggio di cui manca ogni tipo di documentazione, molti affermano che morì per mano
del marito).

CANTO VI =
10 APRILE 1300 POCO DOPO MEZZOGIORNO. ANTIPURGATORIO. SECONDO
BALZO, TERZA SCHIERA DI ANIME, RIPIDO PENDìO ROCCIOSO. LA COLPA E'
QUELLA DI ESSERSI PENTITI NEL PUNTO ESTREMO DELLA VITA DA PARTE DEI
MORTI DI MORTE VIOLENTA. I MORTI DI MORTE VIOLENTA CAMMINANO IN
SCHIERA COMPATTA LUNGO LA COSTA DEL MONTE CANTANDO IL SALMO
MISERERE. COME LE ALTRE ANIME DELL'ANTIPURGATORIO, DEVONO
ATTENDERE PER UN TEMPO PARI ALLA DURATA DELLA LORO VITA PRIMA DI
ENTRARE IN PURGATORIO. CONTRAPPASSO: MANTENGONO UN
ATTEGGIAMENTO MILITARESCO E, COME A LUNGO IGNORARONO LA
MISERICORDIA DI DIO, COSì ORA LA INVOCANO CANTANDO IL SALMO.
I PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO, BENINCASA DA LATERINA, GUCCIO
DEI TARLATI, FEDERIGO NOVELLO, GANO DEGLI SCORNIGIANI, ORSO DEGLI
ALBERTI, PIERRE DE LA BROSSE, SORDELLO DA GOITO.
Come il vincitore del gioco dei dadi si allontana circondato da una folla di postulanti, così
Dante procede circondato da un folto gruppo di morti di morte violenta che chiedono
suffragi: ne riconosce e ne elenca alcuni. Benincasa, noto giurista che fece giustiziare per
rapina un fratello e uno zio di Ghino di Tacco, che per vendetta lo uccise personalmente a
Roma. Guccio dei Tarlati che annegò nell'Arno. Federigo Novello, ucciso da un esponente
di una famiglia guelfa. Gano degli Scornigiani, fu fatto uccidere dal conte Ugolino o da suo
nipote Nino. Orso degli Alberti, ucciso in una lunga faida familiare dal cugino Alberto.
Pierre de la Brosse, famoso chirurgo francese che accusò Maria di Brabante, seconda moglie
del re Filippo III , di aver fatto avvelenare il figliastro Luigi per consentire l'ascesca del
trono del figlio Filippo. Venne accusato di alto tradimento e fu impiccato.
Dante sottopone a Virgilio un suo dubbio: se nell'Eneide si dice che le preghiere non
possono piegare la volontà divina, la speranza delle anime espianti che lo pregano proprio
per questo è dunque vana? Virgilio risponde che i suffragi dei vivi dettati dalla carità,
abbreviano il tempo della pena, ma non mutano il decreto di Dio; e che chi prega per i
defunti deve essere in grazia di Dio. Invita inoltre Dante a non accontentarsi delle sue
parole, ma a sottoporre la questione a Beatrice, che egli vedrà sulla vetta del monte. Virgilio
vede un'anima solitaria in atteggiamento fiero e sdegnoso, che non risponde alla sua
domanda sulla via da percorrere , ma chiede ai due chi siano. Appena Virgilio ha
pronunciato il nome "Mantova", l'anima, il mantovano Sordello ( Nacque a Goito, fu poeta
in lingua provenzale e fu stimato da Dante che ne apprezzò l'eloquenza, lo abbraccia.
Dante-autore pronuncia un'indignata invettiva contro la mancanza di pace e il disordine
dell'Italia, indicando come responsabili gli ecclesiastici ( e la loro pretesa di dominio
temporale) e Alberto d'Asburgo, l'imperatore che ha abbandonato l'Italia a sè stessa. Si
rivolge poi a Cristo nella speranza di un aiuto provvidenziale. L'invettiva si chiude con
un'apostrofe ironica a Firenze, di cui sono elencati alcuni mali: l'assenza di giustizia e
l'ambizione dei cittadini, la fragilità dei provvedimenti pubblici e i continui mutamenti
politico-sociali.

CANTO VII=
10 APRILE 1300, POCO PRIM A DEL TRAMONTO. ANTIPURGATORIO. SECONDO BALZO,
VALLETTA FIORITA : QUARTA SCHIERA DI ANIME. SUL FIANCO DEL MONTE E'
SCAVATO UN AVVALLAMENTO ALL'INTERNO DEL QUALE C'E' UN GIARDINO CON
SPLENDIDI COLORI E DA CUI SI EFFONDE UNO SPLENDIDO PROFUMO. LA COLPA E'
LA NEGLIGENZA DEI PrìNCIPI. LE ANIME DEI PRìNCIPI NEGLIGENTI STANNO NELLA
VALLETTA E CIASCUNO E' POSTO DI FRONTE AL SUO AVVERSARIO TERRENO.
CANTANO LA £SALVE REGINA" E SEMBRANO RIFLETTERE SUL MALE CHE RIVERSA
IN EUROPA. COME LE ALTRE ANIME DELL'ANTIPURGATORIO DEVONO ATTENDERE
UN PERIODO PARI ALLA DURATA DELLA LORO VITA PRIMA DI POTER ENTRARE NEL
PURGATORIO. CONTRAPPASSO: OGNI SERA SCENDE FRA LORO UN SERPENTE CHE
RAPPRESENTA LA TENTAZIONE E VIENE MESSO IN FUGA DAGLI ANGELI.
PERSONAGGI: DANTE, VIRGILIO, SORDELLO, PRINCIPI DELLA VALLETTA.

Conclusi i saluti tra Virgilio e Sordello, quest'ultimo chiede a Virgilio chi essi siano. Virgilio
si presenta e Sordello rimane stupito, abbraccia di nuovo il poeta latino. Virgilio dice di
stare nel Limbo, perché non fu cristiano. Chiede all'anima la strada per salire. Sordello si
offre per aiutare i due poeti a salire, ma precisa che di notte non sarà possibile farlo, per cui
ora che è quasi sera bisogna cercare un posto per dormire. Propone di accompagnarli in una
valle dove ci sono delle anime . Virgilio si stupisce dell'impossibilità di procedere di notte e
ne chiede la ragione. L'anima traccia una linea per terra e afferma che neppure quella si
potrebbe varcare senza la luce del sole, perché le anime non ne avrebbero la forza. Virgilio
accoglie la proposta di seguire Sordello. I tre avanzano un poco e arrivano in una valletta
scavata nel monte. Dentro c'è un prato di fiori dai colori splendidi , da cui emana un soave
profumo e sul quale si vedono delle anime che pregano. Sordello invita a fermarsi lì prima
di scendere in mezzo alle altre anime , per vederle meglio dall'alto.
Sordello addita le anime dei principi e le presenta approfittando di ciascuno per criticare i
regnanti attuali, tutti peggiori dei loro predecessori tranne Edoardo d'Inghilterra. L'anima
che siede più in alto è quella di Rodolfo, di fronte a lui c'è Ottocaro di Boemia; poi Filippo
III ed Enrico di Navarra; Pietro d'Aragona e Carlo d'Angiò. I loro casi provano che Dio ha
disposto che la virtù non sia ereditaria. Sordello indica infine Enrico d'Inghilterra e il
marchese Guglielmo di Monferrato, la cui morte ha provocato una guerra crudele.

CANTO VIII=
10 APRILE 1300, ORA DEL TRAMONTO. ANTIPURGATORIO: SECONDO
BALZO( VALLETTA FIORITA): QUARTA SCHIERA DI ANIME. LA COLPA E'
SEMPRE LA NEGLIGENZA DEI PRINCIPI . ALL'ORA DEL TRAMONTO UNA DELLE
ANIME INTONA L'INNO DELLA COMPIETA . I PERSONAGGI SONO DANTE,
VIRGILIO, SORDELLO. NINO VISCONTI. CORRADO MALASPINA. DUE ANGELI E
IL SERPENTE.

É l'ora del tramonto, quando chi è lontano da casa sente maggiormente la nostalgia .
Un'anima si alza e intona un inno, le altre le accompagnano nel canto, in modo dolcissimo.
Dante invita il lettore a fare attenzione al significato allegorico di quello che sta per
raccontare . Egli nota che le anime guardano in alto e vede due angeli scendere, vestiti di
verde e con due spade tronche infuocate, che si posano ai due lati della valletta. Sordello
spiega che vengono per cacciare il serpente che sta arrivando. Dante rabbrividisce al
pensiero del serpente. Sordello propone di scendere nella valletta. Dentro di essa Dante vede
un'anima che lo guarda insistentemente; quando sono più vicini la riconosce , nonostante ci
sia poca luce: è Nino Visconti. Dante lo saluta con cortesia e gli rivela che è vivo. Nino
Visconti si stupisce e chiama un'altra anima, Corrado Malaspina, a vedere.
Nino chiede a Dante di ricordarlo a sua figlia perché preghi per lui. Sua moglie invece si è
risposata con Galeazzo Visconti e non pensa più a lui. Ma Nino profetizza che il secondo
matrimonio della donna non sarà fortunato. Le sue parole rivelano la giusta indignazione.
Dante guarda il cielo e Virgilio dice che le quattro stelle che ha visto quando è arrivato sono
ora sostituite da altre stelle. Sordello indica il serpente che arriva strisciando e leccandosi.
Dante vede che gli angeli si sono mossi e al rumore delle loro ali il serpente fugge. Gli
angeli se ne vanno. L'anima che Nino Visconti aveva chiamato prima continua a fissare
Dante; gli chiede se ha notizie della Val di Magra e si presenta: è Corrado Malaspina. Dante
risponde di conoscere quella zona solo di fama, perché è nota ovunque per la cortesia e la
virtù dei suoi signori, cose rare nel mondo attuale. Corrado profetizza a Dante che entro
sette anni sperimenterà direttamente l'ospitalità dei Malaspina.

CANTO IX=
DALLE NOVE DELLA SERA DEL 10 APRILE 1300 ( DOMENICA DI PASQUA) ALLE
OTTO INOLTRATE DEL MATTINO DELL'11 APRILE. PASSAGGIO
DALL'ANTIPURGATORIO ( VALLETTA FIORITA) AL PURGATORIO, ATTRAVERSO
UNA PORTA. IL CANTO INIZIA NELLA VALLETTA DEI PRINCIPI E SI CONCLUDE
OLTRE LA PORTA DEL PURGATORIO. IL CUSTODE E' L'ANGELO GUARDIANO. I
PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO, SORDELLO. NINO VISCONTI, CORRADO
MALASPINA. SANTA LUCIA.

Sono passate le nove di sera, Dante si corica per dormire nella valletta dove era seduto con
Virgilio, Sordello, Nino e Corrado. All'alba quando i sogni sono veritieri, Dante vede in
sogno un'aquila che vola su di lui e lo afferra, come se fosse Ganimede sul monte Ida: gli
sembra che l'aquila lo porti alla sfera del fuoco. Si risveglia per la sensazione di calore. Al
suo risveglio Dante rimane smarrito, come Achille risvegliatosi a Sciro: si accorge che con
lui è rimasto soltanto Virgilio, sono già passate le otto e non è nel posto in cui si è
addormentato. Virgilio rassicura Dante spiegandogli che sono davanti alla porta del
Purgatorio e che mentre Dante dormiva è scesa Santa Lucia che lo ha preso in braccio e
portato fin là , poi ha indicato la porta a Virgilio. Dante è confortato e i due si avvicinano
alla porta. L'autore avverte il lettore che sta per elevare la propria materia e quindi il proprio
stile. Quando è vicino alla porta , Dante vede davanti ad essa tre scalini e sulla soglia un
guardiano con una spada , che deve essere un angelo perché abbaglia Dante . L'angelo
chiede ai due poeti chi siano . Virgilio risponde che una santa li ha condotti lì e l'angelo
allora li invita ad avvicinarsi. Dante vede bene gli scalini: il primo è bianco, il secondo
scuro, il terzo rosso. L'angelo è seduto sulla soglia . Dante gli si prostra ai piedi e lo prega di
aprire la porta. L'angelo incide sette P sulla fronte di Dante e gli raccomanda di cancellarle
nel cammino. Estrae dal suo vestito grigio una chiave d'oro e una d'argento e con quella apre
la porta. Spiega che gliele ha date San Pietro; indica l'entrata e ammonisce a non guardarsi
indietro, una volta dentro il Purgatorio. Dante e Virgilio entrano e la porta si richiude con
fragore. Da dentro il regno proviene un canto dolcissimo di ringraziamento a Dio.

CANTO X= 11 APRILE 1300 LUNEDI DI PASQUA TRA LE NOVE E LE DIECI DEL


MATTINO. IL LUOGO E' IL PURGATORIO, LA PRIMA CORNICE E' IN MARMO
SCOLPITO DI ESEMPI DELLA VIRTU' CONTRARIA ALLA SUPERBIA CHE E' IL
PRIMO PECCATO CAPITALE ( UMILTA'); IL PAVIMENTO PORTA SCOLPITI ESEMPI
DI SUPERBIA PUNITA. IL CUSTODE E' L'ANGELO DELL'UMILTA'. LA SUPERBIA
E' IL PRIMO PECCATO CAPITALE. I SUPERBI SI MUOVONO LENTAMENTE CURVI
CIASCUNO SOTTO UNA PESANTE PIETRA CHE DEVONO SOSTENERE CON IL
DORSO E LA NUCA. CONTRAPPASSO: COME IN VITA EBBERO UN' OPINIONE DI
SE' STESSI TROPPO ELEVATA, PENSARONO DI POTER OSARE TUTTO E
TENNERO IL CAPO ALTEZZOSAMENTE RIVOLTO VERSO L'ALTO, COSI' ORA
NON POSSONO GUARDARE IN ALTO E TENGONO IL CAPO RIVOLTO A TERRA
PER IL PESO OPPRIMENTE.
SONO SCENE SCOLPITE NELLA PARETE DI MARMO: MARIA CHE ACCOGLIE
CON UMILTA' L'ANGELO9 DELL'ANNUNCIAZIONE; DAVIDE CHE DANZA
DAVANTI ALL'ARCA DELLA SANTA ALLEANZA; TRAIANO CHE ASCOLTA ED
ESAUDISCE LA RICHIESTA DI GIUSTIZIA DI UNA POVERA VEDOVA.

Dante e Virgilio sono quindi entrati nel purgatorio, hanno chiuso la porta dietro di loro, ma
Dante non si è voltati, obbedendo all'angelo guardiano. La strada per arrivare sulla prima
cornice è tortuosa; infine la raggiungono e si fermano su di essa. Dante si accorge che la
parete della cornice è di marmo bianco e che vi sono scolpite delle scene: la prima è la scena
dell'Annunciazione. Virgilio gli fa notare che ci sono altre incisioni, allora Dante si sposta
per vederle. Dietro la scena dell'Annunciazione Dante vede scolpita l'arca della santa
alleanza e Davide che danza davanti al carro mentre la moglie Micol lo guarda irritata da
una finestra. Dante si sposta per vedere un'altra storia scolpita. Vede Traiano in mezzo ai
soldati e una vedova che gli chiede giustizia per la morte del figlio.
Virgilio vede delle anime in lontananza. L'autore invita il lettore a non scoraggiarsi per la
durezza della pena che sentirà, perché comunque essa è finalizzata al bene ed è temporanea.
Virgilio spiega che le anime sono basse sotto dei massi perché cosi espiano la loro colpa.
Dante pronuncia un'apostrofe contro la superbia degli uomini, che si dimenticano di essere
creature mortali, vede che le anime sostengono dei pesi di diversa grandezza , come certe
statue che sostengono i tetti. Tutte sembrano sofferenti per il peso.

CANTO XI=11 APRILE 1300 TRA LE DIECI DEL MATTINO E MEZZOGIORNO.


ANCHE QUI LA PARETE DELLA CORNICE E' IN MARMO SCOLPITO DI ESEMPI DI
UMILTA'. I SUPERBI RECITANO IL PADRE NOSTRO. I PERSONAGGI SONO
DANTE E VIRGILIO, OMBERTO ALDOBRANDESCHI, ODERISI DA GUBBIO,
PROVENZAN SALVANI, ANIME DI SUPERBI.

Le anime dei superbi recitano il padre nostro in una versione parafrasata che sottolinea la
debolezza umana e la necessità dell'aiuto divino. Pregano Dio anche per i vivi, quindi è
doveroso che gli stessi vivi, ricambino le loro preghiere affinché essi possano salire al più
presto in cielo. Virgilio augura alle anime una pronta salvezza e chiede quale sia la salita più
agevole per Dante, che procede con il peso del corpo. Un'anima dà la risposta e poi parla di
sé: è Omberto Aldobrandeschi, signore maremmano che, a causa dell'arroganza dovuta
all'antica nobiltà della sua stirpe, si scontrò con Siena e fu ucciso nel castello di
Campagnatico. Una seconda anima, si rivolge a Dante . È il miniaturista Oderisi da Gubbio
( miniatore famoso che operò soprattutto a Bologna, si recò anche a Roma per decorare i
codici della biblioteca papale, esponente del gusto coloristico francese) il quale, in un lungo
monologo sulla vanità della gloria terrena, mostra quanto sia effimera la fama: Cimabue è
stato oscurato da Giotto, Guinizzelli da Cavalcanti, e forse è già nato un poeta che supererà
entrambi (lo stesso Dante). Oderisi indica a Dante come esempio di brevità della gloria
mondana, l'anima del senese Provenzan Salvani ( autorevole capo ghibellino, tanto da essere
fatto cavaliere, ambasciatore presso re Manfredi, guidò la lega senese ghibellina alla vittoria
di Montaperti), celebre in tutta la Toscana solo qualche tempo prima, quando sconfisse
Firenze a Montaperti, e ora a malapena viene ricordato a Siena.
Dante è stupito dal fatto che Provenzano, evidentemente pentitosi in punto di morte non sia
nell'Antipurgatorio; Oderisi allora afferma che gli è stata concessa l'ascesa in purgatorio per
un suo gesto di umiltà: chiese pubblicamente l'elemosina per liberare un suo amico dal
carcere. Oderisi aggiunge che entro breve tempo i concittadini di Dante faranno in modo che
egli comprenda l'umiliazione e la vergogna provate da Provenzano: è una profezia
dell'esilio. Omberto è quindi la superbia nobiliare, fatta di alterigia dinastica e di disprezzo
per gli uomini; Oderisi è invece la superbia artistica, per l'eccesso di autostima e l'ambiziosa
aspirazione alla gloria; Provenzano è la superbia politica: presunzione e brama di potere. Il
messaggio centrale del canto è la caducità della fama terrena: di ogni fama, ma in
particolare della gloria artistico-letteraria. Per questo Dante eleva a proprio portavoce
Oderisi, un artista nella cui professione di umiltà e nella cui apostrofe contro la vana gloria
lo stesso Dante- autore esorcizza la propria superbia letteraria.

CANTO XII=
11 APRILE 1300, MEZZOGIORNO CIRCA. IL PASSAGGIO ALLA SECONDA
CORNICE, IL CUSTODE E' L'ANGELO DELL'UMILTA'. SONO SCENE SCOLPITE
NEL PAVIMENTO DELLA CORNICE: LUCIFERO, RIBELLE A DIO; IL GIGANTE
BRIAREO FULMINATO DA GIOVE; I GIGANTI UCCISI DAGLI DEI NELLA
BATTAGLIA AI CAMPI FLEGREI; NEMBROT CHE COSTRUI' LA TORRE DI
BABELE; NIOBE PIETRIFICATA DA LATONA PERCHE' SI ERA VANTATA DELLA
SUA FERTILITA'; SAUL CHE SI UCCIDE A GELBOE'; ARACNE TRASFORMATA IN
RAGNO DA MINERVA; ROBOAMO, RE TIRANNO CHE FUGGE DURANTE UNA
SOMMOSSA DEL SUO POPOLO; ERIFILE UCCISA DAL FIGLIO ALMEONE PER
AVERNE TRADITO IL PADRE PER UNA COLLANA; SENNACHERIB, UCCISO DAI
FIGLI PER AVER DISPREZZATO IL DIO DEGLI EBREI; CIRO SCONFITTO E
UCCISO DA TAMIRI; OLOFERNE, DECAPITATO DA GIUDITTA; TROIA
DISTRUTTA.
L'ANGELO DELL'UMILTA' PRONUNCIA LA PRIMA BEATITUDINE: “BEATI I
POVERI DI SPIRITO”.

Dante cammina chino ascoltando Oderisi, fino a che Virgilio gli dice di affrettarsi e lo invita
a guardare il pavimento. Dante vede che vi sono scolpiti gli esempi di superbia punita, come
le iscrizioni sulle tombe, dante commenta la perfezione dei bassorilievi e pronuncia
un'apostrofe contro la superbia degli uomini. Virgilio fa notare a Dante che è passato
mezzogiorno e che sta arrivando un angelo. Dante si riscuote dalla concentrazione sul
pavimento e guarda l'angelo che indica il passaggio per la seconda cornice e cancella una P
dalla fronte di Dante. Dante vede il punto in cui è possibile salire e si avvia. L'angelo
pronuncia la beatitudine contro la superbia. Il suo canto dolce richiama per antitesi i lamenti
infernali. Dante nota che fa meno fatica a camminare e Virgilio gli spiega che l'angelo gli ha
cancellato una P e che a mano a mano che gli saranno cancellate le P, camminerà più
agevolmente. Dante per verificare si tocca la fronte e Virgilio sorride del suo gesto.

CANTO XIII=
11 APRILE 1300, PRIME ORE DEL POMERIGGIO. SECONDA CORNICE. IL
PAVIMENTO E LA PARETE SONO DEL COLORE DELLA PIETRA.VOCI NELL'ARIA
ELENCANO ESEMPI DELLA VIRTU' CONTRARIA ALL'INVIDIA CHE E' IL
SECONDO PECCATO CAPITALE (CARITA') E DI INVIDIA PUNITA. GLI INVIDIOSI
SONO COPERTI DA MANTELLI RUVIDISSIMI (CILICIO); HANNO LE PALPEBRE
CUCITE; STANNO APPOGGIATI GLI UNI AGLI ALTRI E RECITANO LE LITANIE.
CONTRAPPASSO: IN VITA SI SONO RALLEGRATI PER IL MALE ALTRUI E ORA
SOFFRONO PER IL CILICIO. HANNO GUARDATO GLI ALTRI CON INVIDIA E ORA
E' TOLTA LORO LA VISTA. SI SORREGGONO A VICENDA PER INDICARE LA
SOLIDARIETA' E PREGANO I SANTI.
GLI ESEMPI DI CARITA' SONO GRIDATI DA VOCI AEREE: MARIA ALLE NOZZE
DI CANA, ORESTE E PILADE, ESEMPIO DI AMICIZIA; L'INSEGNAMENTO DI
CRISTO AD AMARE I NEMICI. I PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO, LE
ANIME DEGLI INVIDIOSI, SAPIA.

Dante e Virgilio sono arrivati sulla seconda cornice e non vi trovano nessuno a cui chiedere
la strada, per cui Virgilio invoca l'aiuto del sole e gira verso destra.
Dopo aver percorso circa un miglio, Dante sente una voce che ripete le parole di Maria alle
nozze di Cana e un'altra che ricorda Oreste e una terza che invita ad amare i nemici, come
disse Cristo. Chiede spiegazioni a Virgilio il quale afferma che sono esempi di Carità a cui
seguiranno quelli di invidia punita. Virgilio indica a Dante delle anime appoggiate alla
parete che recitano le litanie e si commuove per la loro sofferenza. Hanno gli occhi cuciti
con filo di ferro e sono coperti con cilicio, come i ciechi alle porte delle chiese. Dante
cammina fra Virgilio e le anime e gli sembra scortese il fatto che queste ultime non possano
vederlo. Virgilio lo esorta a chiedere loro ciò che vuole sapere; chiede s ci sia fra loro
qualche italiano e un'anima precisa che ora tutte sono cittadine della città di Dio. Dante
raggiunge l'anima che ha parlato e le chiede chi sia. L'anima si presenta: è Sapia di Siena. È
lì perché invidiosa dei suoi concittadini, pregò che venissero sconfitti e si rallegrò della loro
disfatta. Si pentì prima di morire, ma è già entrata in Purgatorio grazie alle preghiere di Pier
Pettinaio. Chiede a Dante chi sia. Dante dice di non essere un'anima invidiosa, poi rivela di
essere vivo. Sapia se ne stupisce e chiede di pregare per lei e di rivelare ai suoi che è salva. I
suoi sono a Siena, fra gli sciocchi senesi.

CANTO XIV=
11 APRILE 1300, PRIME ORE DEL POMERIGGIO. SECONDA CORNICE. IL
CUSTODE E' L'ANGELO DELLA MISERICORDIA; LA COLPA E' L'INVIDIA. ESEMPI
DI INVIDIA PUNITA SONO GRIDATI DA VOCI CHE PASSANO NELL'ARIA: CAINO,,
AGLAURO, INVIDIOSA DELLA SORELLA ERSE AMATA DA MERCURIO, FU
PIETRIFICATA DAL DIO. I PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO; GUIDO DEL
DUCA, RINIERI DA CALBOLI.

Due anime sono incuriosite dalla presenza di Dante vivo; una di esse gli chiede chi sia e da
dove venga. Dante non rivela il suo nome perché ancora poco noto: dice di provenire da una
città sul fiume che nasce dal Falterona. Una delle anime capisce che si tratta del fiume Arno
e chiede al vivo perché non lo abbia nominato. L'anima dice che il fiume non è degno di
essere nominato, per la malvagità degli abitanti delle sue rive, dalla sorgente alla foce: gli
abitanti del Casentino sono come porci; gli aretini cagnacci; i fiorentini lupi; i pisani volpi.
L'anima prosegue e profetizza la strage che compirà a Firenze Fulcieri da Calboli, nipote
dell'altra anima lì presente. L'anima che ha ascoltato la profezia rimane addolorata. Dante
chiede alle anime di presentarsi. Quella che ha parlato finora risponde: è Guido del Duca,
che peccò d'invidia e ora pronuncia un'apostrofe, contro i desideri umani che, per essere
soddisfatti, comportano l'esclusione degli altri uomini. Poi presenta l'altra anima: Rinieri da
Calboli; dopo di lui la sua casata non ebbe eredi virtuosi. Guido aggiunge che tutte le
famiglie romagnole, un tempo illustri, ora sono corrotte e malvagie e farebbero meglio a
non partorire altri eredi per non vedere guastato il loro buon nome. Ne fa una rassegna, poi
si congeda a Dante perché ha voglia di piangere.
Dante e Virgilio proseguono il cammino; all'improvviso si sente una voce che ripete le
parole di maledizione d Caino; ne segue un'altra che ricorda Aglauro pietrificata per la sua
invidia. Spaventato dalle voci improvvise, Dante si accosta al suo maestro che gli spiega che
sono esempi di invidia punita e ammonisce gli uomini che, nonostante la grandezza delle
bellezze divine, rimangono fissi nel peccato, per cui Dio li punisce.

CANTO XV=
11 APRILE 1300, DALLE TRE ALLE SEI DEL POMERIGGIO, CIRCA. PASSAGGIO
DALLA SECONDA ALLA TERZA CORNICE, CARATTERIZZATA DA UNA NEBBIA
FITTISSIMA CHE IMPEDISCE QUASI DI VEDERE. IL CUSTODE E' L'ANGELO
DELLA MANSUETUDINE. LA COLPA E' L'IRA, TERZO PECCATO CAPITALE. GLI
IRACONDI SONO IMMERSI IN UN UMO NERO E ACRE E PREGANO
CORALMENTE. CONTRAPPASSO: COME IN VITA FURONO ACCECATI DALL'IRA,
ORA SONO ACCECATI E SOFFOCATI DAL FUMO PUNGENTE E SCURO.
PREGANO INSIEME MENTRE IN VITA S'INFIAMMARONO L'UNO CON L'ALTRO.
ESEMPI DI MANSUETUDINE, SONO VISIONI ESTATICHE CHE APPAIONO L'UNA
DOPO L'ALTRA: MARIA CHE RITROVA GESU' DODICENNE CHE SI E' FERMATO
AL TEMPIO; PISISTRATO CHE RIFIUTA DI CONDANNARE L'INNAMORATO
DELLA FIGLIA; SANTO STEFANO LAPIDATO CHE PREGA PER I SUOI
PERSECUTORI. L'ANGELO DELLA MISERICORDIA CANTA LA QUINTA
BEATITUDINE: “ BEATI I MISERICORDIOSI”.

Sono circa le tre del pomeriggio e Dante e Virgilio, camminano con il sole di fronte;
all'improvviso una forte luce abbaglia Dante, come un raggio riflesso. Cerca di schermarsi,
ma non ci riesce. Dante chiede a Virgilio che cosa sia quella luce ed egli risponde che è
l'angelo della misericordia che ha indicato loro la salita per la terza cornice. Giunti al
passaggio, l'angelo pronuncia la beatitudine contro l'invidia. Mentre salgono, Dante chiede a
Virgilio di spiegargli alcune parole dette da Guido del Duca sulla condivisione dei beni.
Virgilio spiega che Guido ammoniva contro l'invidia, che nasce quando si desiderano i beni
terreni e non celesti. Dante non capisce e allora Virgilio chiarisce: il bene divino si concede
tanto più quanto più è desiderato; quindi dove molti lo desiderano esso è maggiore per
ognuno, al contrario dei beni materiali. Per altre spiegazioni Virgilio delega Beatrice, a cui
arriveranno alla fine delle cornici. Dante e Virgilio sono arrivati sulla terza cornice. Dante
all'improvviso ha una visione: vede Maria che ritrova nel tempio Gesù dodicenne, che aveva
cercato a lungo, e si rivolge a lui senza rimprovero. Segue un'altra visione: la moglie di
Pisistrato gli chiede di condannare l'amante della figlia, ma egli risponde con clemenza. La
terza visione di Dante sono i persecutori che lapidano Santo Stefano , il quale continua a
pregare per i suoi assassini. Dante si riscuote e capisce di aver avuto delle visioni. Virgilio
gli chiede che cosa avesse e Dante gli racconta delle visioni. Virgilio rivela di averlo
interrogato per spronarlo, non per conoscere il motivo, che sapeva già. Sono circa le sei;
mentre Dante e Virgilio camminano contro il sole, a poco a poco avanza un fumo pungente
da cui non c'è riparo e che impedisce la vista.

CANTO XVI=
11 APRILE 1300, LE SEI DEL POMERIGGIO CIRCA. IL LUOGO E' LA TERZA
CORNICE; IL CUSTODE E' L'ANGELO DELLA MANSUETUDINE; LA COLPA E'
L'IRA. I PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO, LE ANIME DEGLI IRACONDI;
MARCO LOMBARDO.

La terza cornice è avvolta da un fumo scurissimo e pungente, per cui Virgilio offre la sua
spalla a Dante e gli raccomanda di stargli vicino. Dante sente voci che cantano L'Agnello di
Dio coralmente; sospetta che siano delle anime; Virgilio glielo conferma e precisa che sono
gli iracondi. Un'anima chiede a Dante chi sia, e questi, esortato da Virgilio, la invita ad
accompagnarlo lungo la cornice. Essa acconsente e Dante le rivela di essere vivo e le chiede
di presentarsi. L'anima rivela di chiamarsi Marco Lombardo e di aver amato la virtù, cosa
oggi rara. Chiede a Dante di pregare per lei. Dante promette di farlo, poi le espone un
dubbio nato ascoltando Guido del Duca e accresciuto ora: se la corruzione del mondo derivi
da influenze astrali o soltanto dagli uomini. Marco Lombardo sospira e poi risponde che gli
uomini attribuiscono tutto al cielo e sbagliano, perché se anche i cieli hanno influenza su di
loro, essi sono dotati di ragione e di libero arbitrio: l'anima intellettiva è creata da Dio e
quindi libera dalle influenze dei cieli. Marco Lombardo spiega meglio la causa della
corruzione del mondo: l'anima umana nasce ingenua e con un istinto verso ciò che le dà
piacere. Le servono quindi delle guide, che devono essere due, come era a Roma: una
temporale e una spirituale. Ma ora il papa si è addossato entrambi i poteri e l'umanità,
seguendo una guida sbagliata, sbaglia anch'essa, come si vede dai risultati della condotta
papale. Marco Lombardo dice di provenire dall'Italia settentrionale, che un tempo era
popolata da gente per bene, mentre ora restano virtuosi soltanto tre vecchi: Corrado da
Palazzo, Gherardo e Guido da Castello. Dante non capisce chi sia Gherardo e Marco
Lombardo se ne stupisce e precisa che è il padre di Gaia. Poi si congeda da Dante perché
sono ormai giunti nel punto dove il fumo della cornice si dirada e si scorge l'angelo. Marco
si allontana.

CANTO XVII=
11 APRILE 1300, DOPO LE SIE POMERIDIANE, ORA DEL TRAMONTO.
PASSAGGIO DALLA TERZA ALLA QUARTA CORNICE. LA NEBBIA DELLA TERZA
CORNICE IMPEDOSCE A DANTE QUASI COMPLETAMENTE DI VEDERE;
QUANDO RIACQUISTA LA VIST, SCORGE UN ANGELO CHE GLI INDICA IL
PASSAGGIO ALLA QUARTA CORNICE, SULLA QULE DANTE E VIRGILIO SI
FERMANO. ESEMPI DI IRA PUNITA APPAIONO UNO DOPO L'ALTRO: PROCNE,
TRASFORMATA IN USIGNOLO PERCHE' UCCISE I SUOI FIGLI E LI DIEDE IN
PASTO AL MARITO TEREO; AMAN MINISTRO DEL RE PERSIANO ASSUER,
CROCIFISSO PER AVER PROGETTATO DI UCCIDERE MARDOCHEO IL QUALE SI
ERA RIFIUTATO DI ADORARLO; AMATA, MADRE DI LAVINIA, CHE SI UCCISE
PER LA DISPERAZIONE ALL'IDEA CHE SUA FIGLIA NON SPOSASSE TURNO,
BENSI' ENEA. L'ANGELO DELLA BEATITUDINE PRONUNCIA LA SETTIMA
BEATITUDINE: “BEATI PACIFICI”. I PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO.

Dante esce dal fumo degli iracondi, seguendo Virgilio e rivede il sole che sta tramontando.
La fantasia dell'uomo è capace di creare delle visioni anche senza essere sollecitata dai
sensi, se ispirata da Dio. Dio manda alla fantasia di Dante delle visioni di ira punita. Come
ci si risveglia improvvisamente per un bagliore improvviso, così Dante si riscuote dopo le
visioni perché la luce dell'angelo colpisce i suoi occhi. Dante ne rimane abbagliato e non lo
riconosce; Virgilio gli spiega chi è e ne celebra la gentilezza. Poi invita Dante ad avanzare
prima che scenda il buio. Non appena i due si sono avviati verso la salita, appare l'angelo
della mansuetudine che cancella la terza P dalla fronte di Dante e pronuncia la beatitudine
contro l'ira. Dante e Virgilio hanno raggiunto la quarta cornice, il sole è tramontato e Dante
non può proseguire; si ferma, ma non sente nulla nella nuova cornice, per cui chiede a
Virgilio di spiegargli quale colpa vi si espii. Virgilio spiega la struttura del Purgatorio. Nella
quarta cornice sono puniti gli accidiosi ( amore troppo fiacco verso Dio). L'unico motore
delle azioni umane è l'amore. Esso è di due tipi: NATURALE, sempre buono, e D'ANIMO,
che può sbagliare perché non si rivolge a Dio, oppure vi si rivolge con troppa o troppo poca
energia. Nessuno può amare il proprio male, né il male di Dio; l'unico male che si può
amare è quello del prossimo, in tre modi: per superbia, per invidia, o per ira. Queste tre
colpe sono espiate nelle tre cornici già visitate. La quarta punisce l'accidia. Le ultime tre
riguardano l'amore eccessivo per le creature, con modalità che Virgilio non spiega.
CANTO XVIII=
DALLA SERA A TUTTA LA NOTTE TRA L'11 APRILE E IL 12 APRILE 1300. QUARTA
CORNICE, DANTE E VIRGILIO VI SI FERMANO PERCHE' CALA LA NOTTE. IL
CUSTODE è L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE. L'ACCIDIA E' IL QUARTO
PECCATO CAPITALE. GLI ACCIDIOSI CORRONO CONTINUAMENTE LUNGO LA
CORNICE GRIDANDO AD ALTA VOCE ESEMPI DELLA VIRTU' CONTRARIA
ALL'ACCIDIA ( SOLLECITUDINE ED ESEMPI DI ACCIDIA PUNITA).
CONTRAPPASSO: COME IN VITA SONO STATI PIGRI, ORA DEVONO CORRERE
SENZA SOSTA. ESEMPI DI SOLLECITUTINE VENGONO GRIDATI DALLE PRIME
DUE ANIME CHE CORRONO LUNGO LA CORNICE: MARIA E CESARE. ESEMPI DI
ACCIDIA PUNITA VENGONO GRIDATI DALLE ULTIME DUE ANIME: GLI EBREI
CHE DOPO AVER ATTRAVERSATO IL MAR ROSSO SI RIFIUTARONO DI SEGUIRE
MOSE'; I TROIANI CHE PARTIRONO DA TROIA CON ENEA, MA SI FERMARONO
IN SICILIA. I PERSONAGGI SONO DANTE E VIRGILIO, L'ABATE DI SAN ZENO,
LE ANIME DEGLI ACCIDIOSI.

Virgilio ha terminato la spiegazione, ma Dante ha ancora dei dubbi: chiede che cosa sia
l'amore di cui il maestro ha parlato. Virgilio spiega: quando l'anima scorga qualcosa che le
piaccia, tende ad esso e inizia a desiderarlo. Questo desiderio è l'amore. Per cui la
predisposizione dell'animo ad amare è sempre positiva, mentre l'amore in sé non lo è
necessariamente. Dante ha un nuovo dubbio: come sia ascrivibile a merito o a colpa ciascun
amore se nasce da un'immagine esterna. Virgilio risponde entro i limiti della ragione,
rimandando a Beatrice per chiarimenti. L'uomo è fornito di ragione per decidere se accettare
o meno un amore. Di ciò si sono accorti anche i filosofi antichi, che per questo hanno
lasciato all'umanità i princìpi morali. Questa facoltà dell'uomo è il libero arbitrio. È
mezzanotte avanzata e la luna brilla nel cielo. Dante è tranquillo ed è preso da una
sonnolenza che subito gli viene stroncata da alcune anime che corrono con foga. Quando il
gruppo arriva all'altezza di Dante e Virgilio, i primi due della schiera gridano due esempi di
sollecitudine. Maria rapida nel visitare la sorella Elisabetta, e Cesare, veloce nelle sue
battaglie nella guerra contro Pompeo. Il resto delle anime risponde al grido con l'invito ad
affrettarsi per espiare l'accidia. Virgilio rivela alle anime che Dante è vivo e chiede dove sia
il passaggio per la cornice successiva. Una delle anime li invita a seguirla, in quanto essa
non può fermarsi. Si presenta come l'abate del monastero veronese di san Zeno e accusa
Alberto della Scala di aver posto come abate in quel monastero il proprio figlio illegittimo e
menomato. Dante riferisce solo questo, perché questo lo interessò. Virgilio invita Dante a
prestare attenzione agli esempi di accidia punita, gridati dalle anime: gli ebrei che non
seguirono Mosè fino alla terra promessa; i Troiani che si fermarono ingloriosamente in
Sicilia. Quando le anime si allontanano, Dante cade in uno stato di confusione mentale e si
addormenta.

CANTO XIX=
12 APRILE 1300, DALLE QUATTRO DEL MATTINO ALL'ALBA. PURGATORIO;
PASSAGGIO DALLA QUARTA ALLA QUINTA CORNICE. DANTE SI
ADDORMENTA, DOPO IL SUO RISVEGLIO L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE
GUIDA LUI E VIRGILIO AL PASSAGGIO PER SALIRE ALLA QUINTA CORNICE. IL
CUSTODE è L'ANGELO DELLA GIUSTIZIA. LA COLPA E'L'AVARIZIA, QUINTO
PECCATO CAPITALE. GLI AVARI SONO SDRAIATI A TERRA LUNGO LA CORNICE,
CON IL VISO RIVOLTO VERSO IL PAVIMENTO. HANNO MANI E PIEDI LEGATI;
PIANGONO E RIPETONO IL SALMO 118; DURANTE IL GIORNO PRONUNCIANO
ESEMPI DI VIRTU' CONTRARIA ALL'AVARIZIA( POVERTA' E LIBERALITA') E
DURANTE LA NOTTE ESEMPI DI AVARIZIA PUNITA. CONTRAPPASSO: COME IN
VITA SI SONO CONCENTRATI SOLO SUI BENI TERRENI, ORA SONO COSTRETTI
A GUARDARE SEMPRE IN BASSO; COME HANNO VOLUTO IMPADRONIRSI DI
OGNI COSA TENENDOLA PER SE', COSI' HANNO PIEDI E MANI LEGATI.
L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE PRONUNCIA LA TERZA BEATITUDINE:
“BEATI COLORO CHE PIANGONO (Qui Iugent) PERCHE' SARANNO CONSOLATI.
DANTE E VIRGILIO SONO I PERSONAGGI. A DANTE APPAIONO IN SOGNO LA
“FEMMINA BALBA” E LA “DONNA ONESTA” ( FORSE SANTA LUCIA). PAPA
ADRIANO V ( OTTOBONO FIESCHI DI LAVAGNA).

Poco prima dell'alba a Dante appare in sogno una femmina balbuziente e bruttissima.
Mentre Dante la guarda, diviene bella e la sua voce lo seduce come il canto delle sirene.
Appare una donna santa che esorta Virgilio a cacciare la prima. Virgilio apre i vestiti e il
petto della femmina balba da cui esce un fetore nauseante. Dante si risveglia e riprende il
cammino con Virgilio, ripensando al sogno. Appare l'angelo della sollecitudine che indica il
passaggio per la quinta cornice, toglie la quarta P dalla fronte di Dante e pronuncia la
beatitudine. Virgilio chiede a Dante a cosa stia pensando e gli spiega il sogno: la donna
brutta è la seduzione dei beni terreni che si espia nelle ultime tre cornici. Continuano il
cammino fino alla quinta cornice. Il pavimento della quinta cornice è occupato da anime che
giacciono a terra, piangono e pregano. Virgilio chiede a una di esse la strada, poi chi sia e
perché sta sdraiata. L'anima si presenta: è papa Adriano V, di Lavagna. Racconta che fu
avaro in vita e denuncia la difficoltà di tenere il pontificato senza farsi corrompere; spiega
la pena degli avari: devono stare prostrati a terra perché in vita si concentrarono solo sui
beni terreni e hanno piedi e mani legati perché le loro azioni furono sempre volte al
prendere e mai al dare. La pena durerà fino a quando Dio lo vorrà. Dante vorrebbe
inginocchiarsi per rispetto del papa, ma Adriano V glielo impedisce perché dopo la morte le
cariche terrene non valgono più. L'anima congeda Dante per poter continuare la sua
espiazione. Chiede di poter essere ricordato a sua nipote Alagia, l'unica rimasta onesta nella
sua famiglia.

CANTO XX
12 APRILE 1300 ( MARTEDI DOPO PASQUA) PRIME ORE DEL MATTINO. QUINTA
CORNICE. IL CUSTODE E' L'ANGELO DELLA GIUSTIZIA; LA COLPA E'
L'AVARIZIA: QUINTO PECCATO CAPITALE. GLI ESEMPI DI POVERTA' E
LIBERALITA' SONO PRONUNCIATI DALLE ANIME, PIANGENDO, DURANTE IL
GIORNO A VOCE PIU' O MENO ALTA A SECONDA DELL' ARDORE DI PENITENZA
DI CIASCUNA ANIMA: MARIA, FABRIZIO, SAN NICCOLO'. ESEMPI DI AVARIZIA
PUNITA SONO PRONUNCIATI DALLE ANIME ALLO STESSO MODO DEGLI
ESEMPI POSITIVI, MA DURANTE LA NOTTE: PIGMALIONE; RE MIDA; ACAN;
SAFFIRA E ANANIA; ELIODORO; POLIMNESTORE; CRASSO. I PERSONAGGI
SONO DANTE E VIRGILIO; UGO CAPETO.

Dante si allontana da Adriano V, anche se avrebbe altro da chiedergli. Il cammino lungo la


quinta cornice è difficoltoso perché le anime degli avari la occupano quasi tutta. Dante
riflette sulla diffusione dell'avarizia nel mondo e auspica un giustiziere che la cacci. Mentre
cammina Dante sente una voce che ricorda la povertà di Maria e di Fabrizio. Si compiace di
sentire queste parole e cerca chi abbia parlato. Si sente anche la storia di San Niccolò. Dante
chiede all'anima che ha parlato di presentarsi e di spiegargli perché ha ricordato questi tre
casi, promettendole di ricordarla fra i vivi. L'anima si offre di parlare senza nulla in cambio
e si presenta: è Ugo Capeto, capostipite della famiglia dei Capetingi, ora diventata malvagia.
Fu figlio di un macellaio; quando la dinastia non ebbe più eredi, fu eletto re di Francia suo
figlio Roberto. I Capetingi si mantennero onesti fino a che non allargarono i loro
possedimenti con la Provenza. Profetizza il tradimento di Carlo di Valois contro Firenze e la
vigliaccheria di Carlo lo Zoppo, pronto a vendere sua figlia. Ma il male peggiore sarà
compiuto da Filippo il Bello che umilierà il papa e caccerà i templari. L'anima attende la
giusta vendetta di Dio contro i suoi discendenti meschini. Ugo Capeto spiega che tutte le
anime ripetono gli esempi di povertà, ma con voce diversamente alta. Di notte esse
ricordano i casi di avarizia punita: Pigmalione, Mida, Acan, Saffira e Anania, Eliodoro,
Polimnestore, Crasso. Dante e Virgilio si sono allontanati da Ugo Capeto e cercano di salire
alla sesta cornice. All'improvviso un terremoto scuote il monte e si sente il canto del
GLORIA intonato dalle anime. I due si fermano stupiti, poi riprendono il cammino; Dante si
chiede cosa sia successo.

CANTO XXI
12 APRILE 1300 ( MARTEDI DOPO PASQUA) PRIME ORE DEL MATTINO. QUINTA
CORNICE DEL PURGATORIO. IL CUSTODE E' L'ANGELO DELLA GIUSTIZIA. LA
COLPA E' L'AVARIZIA: QUINTO PECCATO CAPITALE, AMORE TROPPO INTENSO
PER I BENI TERRENI.
I PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO E STAZIO.

Dante e Virgilio camminano lungo la quinta cornice guardando in basso per non urtare gli
avari. All'improvviso un'anima li saluta. Virgilio risponde al saluto e rivela di provenire
dall'inferno. L'anima se ne stupisce. Virgilio spiega che Dante è vivo e che egli è stato
incaricato di guidarlo nell'inferno e nel purgatorio. Poi chiede all'anima la ragione del
terremoto e del canto che si sono avvertiti prima. Anche Dante smania di conoscerla.
L'anima spiega che nelle cornici del Purgatorio non ci sono perturbazioni fisiche. Esse
possono esserci solo nell'Antipurgatorio. Il terremoto che si è sentito è il segnale
dell'avvenuta purificazione di un'anima. Ultimata la propria espiazione, l'anima avverte in sé
la volontà di salire, mentre prima non potrebbe farlo. L'anima per cui prima c'è stato il
terremoto è proprio quella che sta parlando. Dante è soddisfatto per aver appreso la ragione
del terremoto. Virgilio ringrazia per la risposta e chiede all'anima chi sia e quale sia il suo
peccato. L'anima si presenta: è vissuta al tempo della distruzione di Vespasiano; fu poeta,
tolosano, ma vissuto a Roma, e si chiama Stazio; fu autore della Tebaide e dell'Achilleide
che lasciò incompiuta. Lo guidò alla poesia la lettura dell'Eneide, e si sente tanto debitore
verso Virgilio che passerebbe un altro anno in Purgatorio per conoscerlo. Virgilio con uno
sguardo impedisce a Dante di presentarlo a Stazio, ma questi si accorge del suo ammiccare
e ne chiede il motivo. Dante rivela a Stazio che quello con cui sta parlando è proprio
Virgilio, di cui egli ha parlato tanto bene finora. Stazio stupito e felice di trovarsi davanti a
Virgilio, si china per abbracciarlo, ma Virgilio gli ricorda che sono entrambe anime senza
corpo. Stazio commenta che il suo affetto per l'altro è tale da indurlo a dimenticare questo
dato evidente.
CANTO XXII
12 APRILE 1300 ( MARTEDI DOPO PASQUA) FRA LE DIECI E LE UNDICI DEL
MATTINO. PASSAGGIO DALLA QUINTA ALLA SESTA CORNICE, DOVE SI TROVA
UN ALBERO CON FRUTTI PROFUMATI, DA CUI PROVENGONO DELLE VOCI. IL
CUSTODE E' L'ANGELO DELLA TEMPERANZA. LA COLPA E' LA GOLA: SESTO
PECCATO CAPITALE: AMORE TROPPO INTENSO PER I BENI TERRENI.
I GOLOSI PASSANO SOTTO UN ALBERO CARICO DI FRUTTI PROFUMATI CHE
ESSI NON POSSONO RAGGIUNGERE; SULL'ALBERO SCENDE UN'ACQUA
LIMPIDA. SONO ORRIBILMENTE SMAGRITI; RECITANO IL SALMO 50 E
PIANGONO. PASSERANNO POI SOTTO UN SECONDO ALBERO CARICO DI
FRUTTI VERSO IL QUALE ALZERANNO INVANO LE BRACCIA. CONTRAPPASSO:
POICHE' IN VITA SI ABBANDONARONO A CIBI E A BEVANDE , ORA SOFFRONO
LA FAME E LA SETE E NON POSSONO RAGGIUNGERE I FRUTTI E L'ACQUA.
SONO PRONUNCIATI DA UNA VOCE CHE PROVIENE DALLE FRONDE
DELL'ALBERO CON I FRUTTI PROFUMATI: MARIA ALLE NOZZE DI CANA; LE
ANTICHE DONNE ROMANE; IL PROFETA DANIELE; L'ETA' DELL'ORO; SAN
GIOVANNI BATTISTA. L'ANGELO DELLA GIUSTIZIA PRONUNCIA LA QUARTA
BEATITUDINE: “ BEATI QUELLI CHE HANNO SETE DI GIUSTIZIA” I
PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO, STAZIO.

L'angelo della giustizia ha indicato il passaggio alla sesta cornice, cancellato la quinta P e
pronunciato la beatitudine. Dante segue Virgilio e Stazio ed è molto più leggero di prima.
Virgilio dice a Stazio di aver avuto sue notizie nel limbo da Giovenale e gli attesta il proprio
affetto; gli chiede come mai egli sia fra gli avari.
Stazio chiarisce che non è un avaro, ma che anzi fu troppo prodigo e si convertì leggendo un
verso dell'Eneide. Molti saranno condannati come prodighi all'inferno perché non sanno che
la prodigalità è un peccato. In questa quinta cornice si espia insieme alla colpa dell'avarizia
anche il suo opposto. Virgilio chiede a Stazio quando e come si convertì al cristianesimo.
Stazio risponde che lo illuminò la quarta bucolica di Virgilio che annuncia la nascita di un
nuovo bambino e di una nuova umanità: notò che la profezia si accordava con la
predicazione degli apostoli e iniziò a frequentarli, durante le persecuzioni di Domiziano. Si
battezzò, ma fu cristiano in segreto, per questo ha espiato la colpa dell'accidia. Stazio chiede
a Virgilio dove siano gli altri poeti antichi, Virgilio risponde che sono tutti nel Limbo.
Aggiunge che ci sono anche Euripide, Antifonte e vari altri, oltre alle eroine dei poemi di
Stazio. I tre poeti sono arrivati alla sesta cornice; sono passate le dieci del mattino. Voltano
verso destra e proseguono il cammino. Sulla sesta cornice si vede un albero con dei frutti
profumati, più stretto alla base e più largo in alto; dalla parte scende dell'acqua. Si sente una
voce che grida esempi di temperanza.

CANTO XXIII
12 APRILE 1300 ( MARTEDI DOPO PASQUA), INTORNO A MEZZOGIORNO.
SESTA CORNICE DEL PURGATORIO. IL CUSTODE E' L'ANGELO DELLA
TEMPERANZA. LA COLPA E' LA GOLA, SESTO PECCATO CAPITALE. I
PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO E STAZIO; FORESE DONATI E ANIME DEI
GOLOSI.

Dante guarda fisso l'albero da cui ha sentito provenire delle voci, mentre Virgilio lo invita ad
affrettarsi. Si sente il canto di un salmo: Dante e Virgilio ipotizzano che siano delle anime
espianti. Il gruppo delle anime arriva di corsa: sono magrissime: il solo odore dei frutti
dell'albero può ridurle in quello stato. Dante si chiede come le anime possano dimagrire
così. Un'anima lo chiama ed egli dalla voce lo riconosce: è l'amico Forese Donati, che lo
prega di parlare un po' con lui. Forese spiega che il dimagrimento fa parte della loro pena
espiatoria. Dante si stupisce che Forese non sia più nell'Antipurgatorio. Questi risponde che
sua moglie Nella ha pregato per lui, accorciando l'attesa. Sua moglie è fra le poche donne
oneste di Firenze, tanto che nella città si dovrà fare una legge per regolare i costumi
femminili. Ma entro quindici anni Firenze sarà punita. Forese chiede a Dante perché sia lì,
da vivo. Il poeta risponde che la sua condotta giovanile, che coinvolse lo stesso Forese, lo ha
trascinato nella confusione del peccato, da cui lo ha tirato fuori Virgilio, che ora lo
accompagna. Egli gli ha mostrato l'inferno e ora gli sta mostrando il Purgatorio. L'altra
anima è quella per cui prima il monte ha tremato per segnalarne il compimento
dell'espiazione.

CANTO XXIV
12 APRILE 1300 POCO DOPO MEZZOGIORNO. SESTA CORNICE DEL
PURGATORIO. DANTE, VIRGILIO E STAZIO VEDONO UN SECONDO ALBERO
VERDEGGIANTE E RICCO DI FRUTTI. IL CUSTODE E' L'ANGELO DELLA
TEMPERANZA. LA COLPA E' LA GOLA, SESTO PECCATO CAPITALE. LE ANIME
ORRIILMENTE SMAGRITE, SOSTANO A GRUPPI SOTTO IL SECONDO ALBERO
CHE NEGA LORO I SUOI FRUTTI. SONO PRONUNCIATI DA UNA VOCE CHE
PROVIENE DAL SECONDO ALBERO: I CENTAURI, DIVENUTI VIOLENTI A
CAUSA DEL VINO E DEL CIBO, UCCISI DA TESEO; GLI EBREI INGORDI NEL
BERE ACQUA, RIFIUTATI COME COMPAGNI DA GEDEONE NELL'ATTACCO
CONTRO I MADIANITI. L'ANGELO DELLA TEMPERANZA PRONUNCIA LA
SECONDA PARTE DELLA QUARTA BEATITUDINE: “ BEATI QUELLI CHE HANNO
FAME DI GIUSTIZIA”. I PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO, STAZIO, FORESE
DONATI, BONAGIUNTA DA LUCCA, PAPA MARTINO IV( MOLTI ANEDDOTI LO
DICONO GHIOTTO DI VINO E DELLE ANGUILLE DI BOLSENA), UBALDINO
DELLA PILA, BONIFAZIO FIESCHI, MARCHESE DEGLI ARGUGLIOSI. ANIME DI
GOLOSI.

Dante procedendo con Forese Donati senza interrompere la conversazione, gli chiede dove
sia Piccarda, sorella dell'amico, e quali siano le anime più note di quella cornice. Forese,
dopo aver detto che Piccarda è beata in Paradiso, indica a Dante alcune anime. Dante si
rivolge al poeta Bonagiunta da Lucca, che dà segno di volergli parlare e mormora il nome di
“Gentucca”: una fanciulla che , dice lo spirito, gli farà apprezzare la città di Lucca. Poi
Bonagiunta gli chiede conferma che sia lui l'autore della canzone: DONNE CH'AVETE
INTELLETTO D'AMORE. Dante rivela di comporre le proprie poesie su diretta ispirazione
d'amore; l'altro comprende che questo è l'ostacolo che ha tenuto lontani Iacopo da Lentini,
Guittone d'Arezzo e lui stesso dal DOLCE STIL NOVO. Dante riprende a parlare con
Forese e si augura di vederlo al più presto in Purgatorio perché la città dove vive si
corrompe ogni giorno di più; l'amico si congeda da lui preannunciandoli la morte, e la
conseguente dannazione, del maggior responsabile del male di Firenze (il fratello Corso
Donati). Dante, Virgilio e Stazio continuano il percorso giungendo nei pressi di un albero
che nega i propri frutti alle anime dei golosi. Una voce proviene dall'albero incitandoli ad
allontanarsi, che - dice - quell'albero discende direttamente dall'albero della conoscenza del
bene e del male, a cui morse Eva, e che si trova nel Paradiso terrestre. Dopodiché la voce
prosegue enunciando esempi di gola punita:
• il primo esempio è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e racconta dei centauri che, ebbri di
vino, tentarono di violentare le donne dei loro ospiti alla cena di nozze di Piritoo e
Ippodamia, e vennero per questo in gran parte uccisi da Teseo;
• il secondo esempio è tratto dal Libro dei Giudici dell'Antico Testamento e racconta di come
Gedeone respinse gli Ebrei che avevano bevuto troppo avidamente alla fonte di Arad, prima
della battaglia contro i madianiti
Oltrepassato l'albero, i tre poeti odono una voce che indica la strada: è la voce dell'angelo
della temperanza, custode della sesta cornice, che abbaglia Dante con la sua luce e con l'ala
gli leva dalla fronte la sesta P mentre recita la seconda parte della quarta beatitudine
evangelica.

LE DONNE ANGELO – IL DITTICO DI FORESE – COME SI POTREBBERO


DEFINIRE I CANTI XXIII-XXIV- RIVELA UN LIMPIDO CONTRASSEGNO
STILNOVISTICO NELLE TRE FIGURE FEMMINILI: NELLA, MOGLIE DI FORESE,
CARA A DIO, UNICA VEDOVA DELLA COMMEDIA CHE ONORI LA MEMORIA
DEL MARITO; PICCARDA, BELLA E BUONA FIGURA ANGELICALE; GENTUCCA,
CHE RENDERA' GRADITO A DANTE IL SOGGIORNO LUCCHESE. LA DONNA HA
QUI UNA SIGNIFICATIVA CENTRALITA' MORALE: E' DONNA SALVEZZA,
PORTATRICE DI VALORI, MODELLO DI VITA, INCARNAZIONE DI FORME
D'AMORE TUTTE AL DI SOPRA DELLA SENSUALITA' E DELLA PASSIONE.

CANTO XXV=
12 aprile 1300, DOPO LE DUE DEL POMERIGGIO. PASSAGGIO DALLA SESTA ALLA
SETTIMA CORNICE, DOVE A RIDOSSO DELLA PARETE DEL MONTE CORRE UNA
CORTINA DI FUOCO. IL CUSTODE E' L'ANGELO DELLA CASTITA'. LA COLPA E'
LA LUSSURIA: SETTIMO PECCATO CAPITALE. I LUSSURIOSI CAMMINANO
DENTRO LA CORTINA DI FUOCO E PREGANO. COME IN VITA FURONO
BRUCIATI DALLA PASSIONE, ORA BRUCIANO NEL FUOCO. ESEMPI DI CASTITA'
SONO GRIDATI DALLE ANIME CHE LI ALTERNANO ALL'INNO DEL MATTUTINO
DEL SABATO, CONTRO LA LUSSURIA: LA RISPOSTA DI MARIA
ALL'ARCANGELO GABRIELE; DIANA; L'AMORE CONIUGALE CHE SI
MANTIENE ENTRO IL GIUSTO E IL VIRTUOSO. I PERSONAGGI SONO DANTE,
VIRGILIO E STAZIO E LE ANIME DEI LUSSURIOSI.

I tre pellegrini procedono per una stretta e ripida scala. Dante, combattuto tra il desiderio di
porre una domanda e il timore di essere importuno, apre e chiude invano la bocca. Virgilio
se ne accorge e lo esorta ad esprimersi. Dante quindi chiede come possa dimagrire un essere
(del tutto spirituale) che non ha bisogno di nutrirsi. Virgilio richiama l'esempio mitologico di
Meleagro, che si consumò insieme al consumarsi di un tizzone; lo invita quindi a pensare
come l'immagine riflessa in uno specchio riproduca ogni moto anche minimo del corpo che
si specchia. Ciò dovrebbe rendergli meno ardua la questione. Invita quindi Stazio a dare la
risposta risolutiva.Stazio replica con deferenza a Virgilio di non poter rispondere
negativamente alla sua richiesta. Continua dunque invitando Dante a seguire con mente
attenta le sue parole. Espone quindi una teoria della generazione e dell'infusione dell'anima
nel corpo umano. Il sangue completamente purificato dai processi digestivi assume nel
cuore la prerogativa di dar forma a tutte le membra, e, ulteriormente selezionato, scende
nell'apparato genitale maschile, e da qui poi si unisce ad altro sangue nell'utero della donna.
I due sangue, uno attivo e l'altro passivo, si fondono producendo dapprima un coagulo e poi
dando vita ad esso come propria specifica materia. La potenza formativa, divenuta anima
vegetativa, analoga a quella di una pianta salvo che in questa è già compiuta mentre
nell'essere umano deve ancora evolversi, continua ad operare fino a diventare capace di
moto e di senso (anima sensitiva) come una spugna marina; da questo punto inizia a
organizzare le facoltà delle quali è origine. Così si manifesta pienamente la virtù che
proviene dal cuore del padre, nei vari modi in cui la natura provvede allo sviluppo di tutte le
membra. Ma ancora non si comprende come l'essere vivente diventi essere parlante (ossia
abbia un'anima razionale); e su questo punto - osserva Stazio - è caduto in errore un grande
sapiente (Averroè) che non vedendo un organo deputato all'anima razionale fece di
quest'ultima una sostanza separata ed universale. Dante si apra dunque alla verità e
comprenda che non appena il cervello del feto è pienamente formato, Dio infonde in un così
mirabile frutto della natura fisica uno spirito appena creato, pieno di virtù (ossia di potenze),
che assimila a sé tutte le virtù che trova nel feto formando con esse un'unica anima, che vive
(vegetativa), sente (sensitiva) e riflette su di sé (razionale). Stazio aggiunge un'analogia
naturalistica: il calore del sole congiunto al succo della vite diventa vino.Quando l'uomo
muore - continua Stazio - l'anima si scioglie dal corpo, portando con sé sia la parte umana
(vegetativa e sensitiva) sia quella divina (razionale). Le facoltà umane, prive del corpo,
rimangono inattive; invece memoria, intelligenza e volontà, liberate dai vincoli corporei,
assumono intensità maggiore. L'anima in modo misterioso conosce il proprio destino, verso
l'Inferno o il Purgatorio. Non appena raggiunge la sua sede, la virtù formativa agisce
sull'aria circostante così come aveva operato nella materia corporea. Come nell'aria piena di
vapore acqueo la luce del sole si manifesta nei vari colori dell'arcobaleno, così l'aria intorno
all'anima viene da essa disposta nella forma analoga a quella assunta dal corpo; da allora in
poi quel corpo aereo segue l'anima così come la fiammella accompagna il fuoco. Dato che
ricava da questa parvenza incorporea la propria possibilità di manifestarsi, l'anima è
chiamata ombra; in questa figura incorporea organizza tutte le sue funzioni sensitive. Così,
dice Stazio, le anime possono parlare e ridere, piangere e sospirare secondo i diversi
sentimenti provati. Ecco la causa di quel fenomeno per cui Dante si meraviglia (ovvero la
magrezza delle anime incorporee). Mentre Stazio sviluppava la sua spiegazione, i pellegrini
sono giunti all'ultimo girone e hanno piegato verso destra. Una nuova difficoltà li attende: la
parete rocciosa del monte scaglia verso l'esterno una fiamma che viene volta in su da un
vento che spira dall'orlo della cornice; rimane libero per il passaggio solo un lembo molto
stretto confinante con l'abisso, così che i tre devono avanzare l'uno dopo l'altro, e Dante
teme da una parte il fuoco e dall'altra il vuoto. Virgilio lo invita a guardare con attenzione
per non mettere il piede in fallo. Dal cuore della fiamma si ode l'inno di Sant'Ambrogio
Summae Deus clementiae (Dio di somma clemenza) e Dante, voltatosi, vede spiriti che
cantano mentre camminano tra le fiamme. Finito l'inno, gridano le parole Virum non
cognosco (dal racconto dell'Annunciazione nel Vangelo di Luca), indi ripetono a bassa voce
l'inno intercalandolo con esempi di castità elogiando Diana cacciatrice che mise al bando la
ninfa Elice venuta meno all'impegno di castità, quindi mogli e mariti che vissero con
temperanza la loro vita coniugale. Dante comprende che questi cibi spirituali faranno sì che
alla fine la piaga del loro peccato (la lussuria) si cicatrizzi.

CANTO XXVI= 12 APRILE 1300


DOPO LE QUATTRO DEL POMERIGGIO. SETTIMA CORNICE. I LUSSURIOSI
CAMMINANO DENTRO LA CORTINA DI FUOCO E PREGANO CANTANDO L'INNO
SUMMAE DEUS CLEMENTIAE. SONO DIVISI IN DUE SCHIERE: I PECCATORI
SECONDO NATURA E I PECCATORI CONTRO NATURA E PROCEDONO IN
DIREZIONI OPPOSTE; QUANDO LE ANIME DELLE DUE SCHIERE SI
INCONTRANO, SI BACIANO FRATERNAMENTE. ESEMPI DI LUSSURIA PUNITA
SONO GRIDATI DALLE DUE SCHIERE QUANDO SI INCONTRANO: I LUSSURIOSI
CONTRO NATURA GRIDANO L'ESEMPIO DI SODOMA E GOMORRA, CITTA'
BIBLICHE DISTRUTTE DA DIO CON UNA PIOGGIA DI FUOCO A CAUSA DEL
PECCATO DI OMOSESSUALITA'; I LUSSURIOSI SECONDO NATURA GRIDANO
L'ESEMPIO DI PASIFAE, MITICA REGINA DI CRETA CHE SI UNI' AD UN TORO. I
PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO E STAZIO, GUIDO GUINIZZELLI,
ARNAUT DANIEL, LE DUE SCHIERE DI LUSSURIOSI.

Le anime dei lussuriosi, che procedono in schiera dentro le fiamme, provano stupore
nell'intuire che Dante è vivo. Un'anima gli chiede come sia possibile che egli ostacoli i raggi
del sole. Dante sta per rispondere quando la sua attenzione è attirata da una seconda schiera
di anime che procede in direzione contraria alla prima. Le anime delle due schiere si
baciano fuggevolmente e poi, mentre si accingono a separarsi, gridano, la prima esempi di
omosessualità punita ( Sodoma e Gomorra), la seconda esempi di lussuria punita ( Pasifae).
Dopo che la schiera dei sodomiti si è allontanata, le anime che prima avevano interrogato
Dante si riavvicinano a lui e ripetono la loro domanda, al che egli risponde di essere
effettivamente salito al Purgatorio con il proprio corpo, al fine di non essere più «cieco»
(alla luce divina), grazie alle preghiere di una donna (Beatrice) che si trova in Paradiso.
Dopo aver detto questo, a sua volta chiede alle anime chi siano loro e chi siano quelle
dell'altra schiera, perché più tardi lo possa scrivere sulla carta.
Dapprima ammutolita per lo stupore, la stessa anima che prima aveva parlato risponde a
Dante spiegandogli la differenza fra il peccato dell'una e dell'altra schiera, aggiungendo poi
che non potrebbe citargli tutti i nomi di coloro che sono là presenti perché mancherebbe il
tempo: ma almeno gli dirà chi sia lui, e cioè Guido Guinizzelli, che espia il suo peccato del
quale si pentì prima di morire. Al sentire il nome del «padre [suo] e degli altri [...] che rime
d'amore usar[ono] dolci e leggiadre» - vale a dire del fondatore del Dolce Stil Novo -, Dante
vorrebbe abbracciarlo ma non osa per timore del fuoco; allora procede pensoso per un tratto,
finché offre a Guinizzelli i suoi servigi. Guinizzelli risponde toccato da questa offerta di cui
- afferma - il Lete (il fiume dell'oblio) non potrà ternire il ricordo, e chiede per quale ragione
egli dimostri tanto amore nei suoi confronti, ragione - risponde Dante - che si può
individuare nei suoi «dolci detti», che saranno apprezzati finché durerà l'«uso moderno»
(vale a dire la poesia in lingua volgare). Al sentire queste parole allora Guinizzelli indica al
poeta un'altra anima, che definisce «miglior fabbro [= autore] del parlar materno», che tutti
superò nei «versi d'amore e prose di romanzi», benché altra gente stolta affermi che sia
migliore Giraut de Bornelh (detto con perifrasi "quello di Limoges"): quella gente è attenta
più alla fama che al vero, e così si forma un'opinione senza aver neanche ascoltato l'arte o la
ragione, proprio come fecero con Guittone d'Arezzo, fino a quando la verità non fu
riconosciuta da un gran numero di persone. Infine, dopo aver chiesto a Dante di pronunciare
per lui una preghiera quando sarà in Paradiso, si allontana scomparendo nel fuoco. Dante
allora si avvicina all'altra anima che Guinizzelli gli aveva indicato, e le chiede chi sia, al che
l'anima risponde in provenzale:

« Tan m'abellis vostre cortes deman,


qu'ieu no me puesc ni voill a vos cobrire:
jeu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen la joi qu'esper, denan;
ara vos prec, per aquela valor
que vos guida al som de l'escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!»
Risponde cioè che tanto le piace la cortese richiesta che non può né vuole rifiutarsi: egli è
Arnaut Daniel, che piange e va cantando considerando la sua follia passata e la felicità che
vede nel suo futuro; poi prega Dante, in nome di Dio, che si ricordi di lui al momento giusto
(come pure aveva chiesto Guinizzelli, che gli dedichi una preghiera quando sarà in
Paradiso). Detto questo torna a nascondersi nel fuoco che li purga. Ad alcuni critici è parsa
fuori luogo la collocazione di Guido Guinizzelli e di Arnaut Daniel tra i lussuriosi e -
escludendo che Dante potesse aver avuto notizie a noi sconosciute da una loro qualche
biografia - hanno ricercato nei testi di questi due poeti quali elementi potessero avere
indotto Dante a tale classificazione: l'ardore sensuale di Arnaut Daniel è rintracciabile in
parecchi suoi versi d'amore, mentre per Guinizzelli un solo sonetto (Chi vedesse a Lucia un
var cappuzzo) parrebbe autorizzare tale giudizio. Più corretto sarebbe ammettere
nell'accezione di lussuriosi non solo coloro che praticarono l'amore "in modo bestiale", ma
tutti coloro che posero l'amore più in alto di Dio, che a esso dedicarono più attenzione che
non alla loro salvezza spirituale, considerandolo più importante: e in tale accezione si
possono quindi includere i poeti che cantarono l'amore, e quindi lo stesso Dante, che infatti
è più volte ammonito da Virgilio perché stia attento a non cadere nella fiamma
(materialmente quella che si trova nel Purgatorio, ma allegoricamente la fiamma
dell'amore), e che d'altronde dovrà - nel canto successivo - attraversare il fuoco per accedere
al Paradiso terrestre. Così si può interpretare anche il casto bacio che si scambiano gli
espianti incontrandosi sulla cornice (e ricordiamo che i dannati che si incontravano
nell'Inferno invece si insultavano): solo l'amore virtuoso, ispirato da Dio (come il bacio è da
Lui prescritto) e a Lui finalizzato, può salvare l'uomo; e questo ci ricorda anche che l'amore
e le sue manifestazioni non sono negative in sé, ma diventano peccato nel momento in cui
sono rivolte alla ricerca di un piacere terreno e materialistico. Si può considerare chiusa, in
questo canto, la riflessione sul canto e sulla poesia portata avanti per molti canti (iniziata nel
canto V dell'Inferno, e nel Purgatorio nel canto II con Casella, e nel canto XXIV con
Bonagiunta Orbicciani), con la proclamazione di Guinizzelli quale padre e maestro della
poesia moderna - il Dolce Stil Novo -, definita come «rime dolci e leggiadre». Già Arnaut,
presentato come il poeta più grande, si pone come anima penitente che piange la sua follia
passata e «canta» non l'amore, bensì la sua futura beatitudine in Paradiso: la sua poesia è
ormai lontana, e tale lontananza è sottolineata dal contrasto del cambiamento di lingua,
omaggio di Dante al poeta provenzale. Con marcato realismo linguistico, infatti, Dante si
esibisce in questo vistuosismo tecnico, unico esempio nella Commedia di lingua straniera
moderna.Notiamo anche come, prima di concludere il proprio discorso poetico, Dante
esprima un giudizio negativo nei confronti di un altro poeta provenzale, Giraut de Bornelh -
lodato invece nel De vulgari eloquentia -, e di Guittone d'Arezzo, riflettendo sul rischio a
cui d'ora in poi è soggetta la poesia moderna, che la fama superi la verità, e cioè che non sia
ritenuto migliore il più meritevole, ma al contrario quello che piace di più al pubblico (gli
«stolti»).
CANTO XXVII=
DAL TRAMONTO DEL 12 APRILE ( MARTEDI DOPO PASQUA) ALL'ALBA DEL 13
APRILE 1300. PASSAGGIO DALLA SETTIMA CORNICE ALL'EDEN. IL PASSAGGIO
AVVIENE ATTRAVERSO UN MURO DI FUOCO. L'ANGELO DELLA CASTITA'
PRONUNCIA LA SESTA BEATITUDINE: “BEATI I PURI DI CUORE (MUNDO
CORDE)”. I PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO E STAZIO. L'ANGELO
GUARDIANO DELL'EDEN. IN SOGNO DANTE VEDE LIA E LIA EVOCA RACHELE.

Nel Purgatorio il sole sta tramontando, a Gerusalemme è mezzanotte e sulle rive del fiume
Gange è mezzogiorno, quando l'angelo della castità appare lieto a Dante e Virgilio. Egli si
trova sull'orlo del girone, fuori dalle fiamme, e a gran voce canta:
(LA) (IT)
«Beati mundo «Beati i puri di
corde!» cuore»

A queste parole Dante si spaventa: si protende con le mani strette guardando il fuoco e
immaginando intensamente corpi umani già veduti bruciare vivi sulla terra. Virgilio lo
rassicura che nel Purgatorio il fuoco può dare tormento ma non morte; egli lo invita così a
porre un lembo della sua veste sopra al fuoco per verificare in prima persona la veridicità
delle sue parole. Dante ancora titubante viene esortato nuovamente da Virgilio che gli
ricorda che oltre la barriera cui si trovano davanti vi è Beatrice. Convinto da quelle parole,
Dante, insieme a Virgilio e Stazio, entra nel fuoco. All'interno del fuoco li guida un angelo
la cui voce arriva dalla fine della barriera.Al giungere della notte, Dante, Virgilio e Stazio
devono fermarsi e coricarsi ognuno su un gradino della rupe su cui si trovano, poiché la
legge divina stabilisce che si possa viaggiare solo di giorno (nel Purgatorio c'è ancora il
ciclo giorno-notte, a differenza dell'Inferno e del Paradiso). Durante la notte Dante sogna
una giovane e bella donna che canta cogliendo i fiori: è Lia e sta raccogliendo addobbi
floreali per creare una ghirlanda per poi ammirarsi nello specchio, proprio come fa sempre
sua sorella Rachele tutto il giorno. La mattina Dante, Virgilio e Stazio riprendono il
cammino. Giunti in cima alla montagna Virgilio si congeda da Dante: egli lo accompagnerà
fino a che non incontreranno Beatrice ma da ora il poeta non udirà uscire più alcuna parola
dalla bocca del maestro.

CANTO XXVIII=
13 APRILE 1300 ( MERCOLEDI DOPO PASQUA) PRIME ORE DEL MATTINO. EDEN O
PARADISO TERRESTRE: E' UNA FORESTA POSTA SULLA CIMA DEL MONTE DEL
PURGATORIO, ALLIETATA DA UNA LIEVE BREZZA, DAL CANTO DEGLI UCCELLI E DA
UN RIO DALL'ACQUA PURISSIMA CHE POI SI DIRAMA NEL LETE E NELL'EUNOE'. I
PERSONAGGI SONO DANTE, VIRGILIO E STAZIO; MATELDA.

Dante ( seguito da Virgilio e Stazio) penetra lentamente nella foresta dell'Eden, paragonata
alla pineta di Classe, presso Ravenna, dentro la quale scorre un limpido e ombreggiato
fiumicello ( il Lete). Al di là di esso Dante scorge una donna, giovane e bella, Matelda, che
coglie fiori cantando. Dante la prega di avvicinarsi a lui perché possa comprendere le parole
del suo canto; la donna ne esaudisce il desiderio e si ferma sorridente sulla riva opposta del
fiumicello, separata dal poeta di pochi passi. Dopo aver invitato Dante a trovare la ragione
del suo sorriso nel salmo DELECTASTI, la donna chiarisce i dubbi relativi all'origine del
vento e dell'acqua nell'Eden: il vento è prodotto dall'attrito della massa atmosferica, che
ruota attorno alla Terra, con gli alberi della foresta: in tal modo si diffondono nel nostro
mondo tutti i “ semi” della specie vegetali, qui presenti. L'acqua esce da una fonte resa
inesauribile dalla Volontà di Dio e si dirama nei fiumi Lete (che ha la virtù di far
dimenticare i peccati commessi) ed Eunoè (che ha quella di risvegliare il ricordo del bene
compiuto). Matelda aggiunge un corollario: forse gli antichi poeti che parlarono dell'età
dell'oro sognarono nella loro fantasia l'Eden. Dante si volge indietro verso Virgilio e Stazio
e li vede sorridere; poi torna a guardare la bella donna.
Il Canto XXVIII appare nettamente staccato dal precedente, con una delle fratture più
evidenti di tutta la Divina Commedia: infatti, il Canto XXVII si conclude con il solenne
commiato di Virgilio, che è il simbolo del cammino cui l’uomo può essere guidato dalla
ragione verso il controllo e la sopressione degli istinti (e dei peccati cui spesso essi
conduconoI. Questa è la condizione migliore, di massima perfezione e felicità, cui l’uomo
può giungere nella sua dimensione terrena, con le proprie forze; ora però è giunto il
momento della fede. In ciò si vede quindi il valore simbolico del Paradiso terrestre. Perciò,
con tono ormai idillico e sereno, nell’attesa del Paradiso e di Beatrice, Dante si avvia nel
bosco e avanza da solo, con Virgilio e Stazio alle spalle, i quali lo accompagnano ancora ma
non hanno più niente da insegnargli. La foresta dell’Eden, luogo di pace e contemplazione, è
descritta come il tipico locus amoenus medievale e inoltre come bosco folto e ricco; la
contrapposizione con la “selva oscura” è evidente e voluta. I modelli letterari in gioco sono
però molto più numerosi: i classici, e soprattutto Ovidio - sia per il mito dell’età dell’oro sia
per quello del rapimento di Proserpina, citato in modo esplicito -, poi i Padri del
cristianesimo, in particolare Agostino, cui rimandano l’idea dell’armonia nel segno di Dio
(il movimento degli alberi, il canto degli uccelli) e il senso di moderazione anche nella
felicità, simboleggiato dalla luce e dal vento. Infine, i modelli più recenti: lo Stilnovo,
quello dello stesso Dante, che spesso recupera e riusa esperienze poetiche già note, come
avviene più volte soprattutto nelle prime due Cantiche, e quello di Cavalcanti, che aveva
lasciato più spazio alle immagini naturalistiche. Troviamo quindi gli occhi splendenti, la
bellezza luminosa ed angelica di Matelda, e soprattutto il senso dell’amore, che Dante
richiama anche nel paragone con la dea Venere; qui però il sentimento non più quello
passionale e terreno, ma è tutto rivolto alla creazione divina. Questi elementi sono
particolarmente significativi nella rappresentazione diMatelda, figura molto complessa sul
cui significato storico e simbolico la critica si è a lungo interrogata. Le identificazioni
storiche proposte sono state numerose; va menzionata almeno quella con Matilde di
Canossa (1046-1115). In tutti i casi, e a maggior ragione in quello appena citato, la fisicità
dei personaggi - che manca assolutamente nel Canto - è stata la ragione principale per
obiezioni molto convincenti. Piuttosto, per una coerente e corretta interpretazione del canto
ventottesimo, bisogna ricordare che quale siano la storia e la funzione del Purgatorio. Il
monte è nato per accogliere i primi uomini nell’Eden, che per i loro peccati hanno perduto
tale privilegio; poi ha acquisito la funzione di far purgare le anime pentite finché non
fossero pronte a passare al Paradiso, dopo un atto di ultima purificazione, presso i fiumi
Leté ed Eunoé, patrocinato dalla stessa Matelda. Ciò significa nell’ordine che: non è
possibile che uomini vivi meritino di entrarvi, perché l’intero genere umano ne è stato
cacciato per colpa di Adamo ed Eva; non è possibile che le anime vi restino perché una volta
purificate hanno diritto di passare al Paradiso e se così non fosse, Matelda sarebbe l’unica
beata esclusa dal cielo; infine, Matelda non può essere al pari delle anime che purifica,
perché ha nei loro confronti una funzione istituzionale e costante. Matelda è dunque un
personaggio simbolico: ella incarna la felicità perfetta, ed è lei stessa dolce e felice, poiché
innocente, in armonia con Dio, immersa nella sua creazione. In quanto perfettamente felice,
è al contempo creatura attiva e contemplativa, cioè completa: in lei si assomano perciò i due
personaggi biblici di Lia e Rachele che Dante ha introdotto nel Canto precedente, attraverso
il racconto di un suo sogno. Come la prima, Matelda cammina e raccoglie fiori, come la
seconda intona il salmo e contempla la natura. Si noti infine la sua pervasiva dolcezza, che
rimane anche quando le viene affidato il compito di dare spiegazioni tecniche e scientifiche.
Anche i due fiumi, il Lete e l’Eunoé, sono simboli della pace raggiunta: rispettivamente,
bevendo le loro acque, si cancella ogni ricordo del male compiuto e si vivifica il ricordo del
bene operato. Basterebbe il ricordo del dolore, quindi, a contaminare l’innocenza e la
serenità interiore delle anime pacificate. Il paesaggio stesso si fa portavoce di questa pace, il
monte del Purgatorio svetta sopra ai mutevoli turbamenti terrestri e, sulla sua cima, la luce
del sole è mitigata dalle fronde della foresta, mentre il vento e il corso dell’acqua non
mutano mai per intensità o direzione, in un quadro di perenne perfezione.

CANTO XXIX= 13 APRILE 1300, PRIME ORE DEL MATTINO. EDEN O PARADISO
TERRESTRE. DANTE, VIRGILIO, STAZIO E MATELDA SONO I PERSONAGGI.
Matelda canta piena d'amore e dichiara beati coloro i cui peccati sono stati coperti dal
perdono, quindi inizia a risalire lentamente il corso del fiume Lete, simile ad antiche ninfe
boscherecce che giravano sole per le foreste. Dante segue la donna adeguandosi alla sua
lenta andatura e dopo meno di cento passi il fiume compie un'ansa verso levante. A un tratto
Matelda si volta verso Dante e lo invita a guardare e ascoltare con attenzione.
Improvvisamente un fulgore attraversa tutta la foresta e Dante per un attimo pensa si tratti di
un lampo, salvo che questo, a differenza dei lampi naturali, non termina ma persiste nel
tempo. Il poeta si chiede di che si tratti, quando una dolcissima melodia si diffonde nell'aria
e Dante rimprovera l'ardimento di Eva, la quale non volle rispettare i divieti divini e privò
così lui e tutti gli uomini del godimento delle delizie dell'Eden. Mentre Dante prosegue il
cammino tra quelle meraviglie, comprende che il fulgore è una luce rossastra che filtra tra i
rami e la melodia si rivela come un canto melodioso.
Dante si rivolge alle Muse e ne invoca l'assistenza in nome dei sacrifici spesi per dedicarsi
alla poesia, dal momento che si accinge a descrivere cose difficili da pensare e avrà bisogno
in particolare dell'aiuto di Urania. Poco lontano, infatti, a Dante sembra di vedere nell'aria
sette alberi d'oro, che però quando si avvicina gli appaiono chiaramente come candelabri,
mentre ascolta il canto Osanna. I sette candelabri risplendono in modo tale da rischiarare
tutto il cielo, per cui Dante si rivolge interrogativamente a Virgilio il quale, tuttavia, si
mostra non meno sorpreso del discepolo. A questo punto Dante torna a osservare quegli
oggetti, che si muovono verso di lui più lentamente di spose novelle. Matelda esorta Dante a
non guardare solamente i candelabri, ma a osservare ciò che viene dietro di essi: il poeta
scorge allora delle figure vestite di bianco che seguono i candelabri come fossero le loro
guide. L'acqua del Lete risplende della luce dei candelabri e Dante vi vede il proprio fianco
sinistro riflesso. Il poeta avanza ancora, finché la distanza che lo separa dai candelabri è solo
quella del fiume, quindi si arresta e vede che le lampade avanzano lasciando dietro di sé
sette liste luminose, simili ai colori dell'arcobaleno. Le liste luminose si estendono al di là
della vista di Dante, il quale crede che tra le due più esterne vi sia una distanza di dieci
passi. Dietro i candelabri avanzano ventiquattro vecchi, a due a due e coronati con gigli,
che cantano tutti le lodi della bellezza della Vergine. I vecchi passano oltre e dietro di loro
compaiono quattro animali, ognuno coronato con una fronda verde: ciascuno di essi ha sei
ali le cui penne sono piene d'occhi simili a quelli di Argo, e il lettore che volesse ulteriori
dettagli è invitato da Dante a leggere il libro di Ezechiele, che descrive quelle creature tali e
quali salvo il particolare delle penne, tratto invece dall'Apocalisse.
I quattro animali circondano un carro trionfale a due ruote, trainato da un grifone che porta
il giogo al suo collo. Le due ali del grifone si ergono tra la lista luminosa al centro e le altre
tre da ciascun lato, salendo tanto in alto da non essere vedute; l'animale ha le parti da
uccello di colore dorato, le altre di colore bianco e rosso. Non solo l'antica Roma non aveva
un carro così bello con cui celebrare i trionfi di Scipione o Augusto, ma addirittura il carro
del Sole sarebbe povero a paragone di esso (Dante ricorda come questo deviò dal suo
cammino sotto la guida di Fetonte, occasione nella quale Giove esercitò la sua giustizia in
modo misterioso). Accanto alla ruota destra del carro avanzano danzando tre donne, delle
quali una è di colore rosso fuoco, l'altra di verde smeraldo, l'altra ancora di bianco candido.
Esse sembrano guidate ora dalla bianca, ora dalla rossa, mentre è quest'ultima a dare il ritmo
alla danza. Accanto alla ruota sinistra ci sono altre quattro donne, vestite di porpora, che
seguono una di loro che ha tre occhi nella testa. Dietro tutti costoro avanzano due vecchi,
vestiti diversamente ma simili negli atti: uno di essi sembra un seguace di Ippocrate, cioè un
medico, l'altro invece impugna una spada che incute timore a Dante. Dietro di loro avanzano
ancora quattro personaggi dall'aspetto umile, seguiti a loro volta da un vecchio solitario che
dorme ma ha il volto espressivo. Questi ultimi sette personaggi sono biancovestiti come i
ventiquattro vecchi, ma non hanno una corona di gigli bensì di rose e altri fiori rossi che
sembra ardere sopra le loro ciglia. Quando il carro giunge di fronte a Dante si sente un
tuono, quindi tutti i personaggi e il carro si arrestano come se fosse loro proibito procedere
oltre.
Processione sacra:
-sette candelabri= settemplice spirito di Dio da cui discendono i sette doni dello Spirito
Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio);
-ventiquattro anziani vestiti di bianco con corona di gigli ( i libri dell'antico testamento);
-quattro animali alati e incoronati di alloro ( i quattro vangeli);
-un carro splendido ( chiesa), tirato da un grifone ( Cristo);
-tre donne, una rossa, una verde e una bianca, che danzano ( le virtù teologali: carità,
speranza, fede);
-quattro donne vestite di rosso guidate da una con tre occhi ( le virtù cardinali: giustizia,
prudenza, fortezza e temperanza; le guida la prudenza);
-un medico (san Luca, con gli Atti degli Apostoli);
-un vecchio armato di spada (san Paolo con le sue Lettere);
-quattro uomini di umile aspetto (autori delle altre Lettere: san Giacomo, san Pietro, san
Giovanni, san Giuda);
-un vecchio che dorme ( san Giovanni con l'Apocalisse).

CANTO XXX
13 APRILE 1300: EDEN O PARADISO TERRESTRE: è UNA FORESTA POSTA SULLA
CIMA DEL MONTE DEL PURGATORIO, ALLIETATA DA UNA LIEVE BREZZA. LA
PROCESSIONE SACRA SI è FERMATA E I VENTIQUATTRO “SENIORI” SI SONO
VOLTATI VERSO IL CARRO. I PERSONAGGI SONO DANTE, STAZIO E MATELDA.
BEATRICE. GLI ANGELI. I PERSONAGGI DELLA PROCESSIONE SACRA.

Il canto XXX rappresenta uno snodo fondamentale: assistiamo infatti all’entrata in scena di
Beatrice, che è allegoria della Teologia, e alla scomparsa di Virgilio, che ha accompagnato
sin qui il poeta. Seguono gli aspri rimproveri della donna a Dante per il suo periodo di crisi
e di traviamento, che lo hanno quasi condannato alla dannazione infernale. Il momento è
quello, sempre altamente significativo in Dante, dell’alba. Ad un certo punto, mentre
s’intona un versetto del Cantico dei Cantici (vv. 10-12: “e un di loro, quasi da ciel messo, |
'Veni, sponsa, de Libano' cantando | gridò tre volte, e tutti li altri appresso”), si stacca una
figura, di rosso e verde vestita e avvolta in una nuvola di fiori, che Dante intuisce essere la
donna da lui sempre amata, Beatrice (vv. 33-39). Tale è lo sbigottimento che Dante, come
un fanciullo che accorra dalla madre, si volge a Virgilio, che però, compiuta la sua missione,
è ormai scomparso. Il tributo umano e letterario di Dante al proprio maestro giunge quindi
in un momento di grande carica emotiva, con un omaggio finale e definitivo, fatto tra
lacrime di commozione, che ricalca fedelmente il verso di Didone nel quarto libro
dell’Eneide (vv. 46-48: “per dicere a Virgilio: «Men che dramma | di sangue m'è rimaso che
non tremi: | conosco i segni de l'antica fiamma»”). Tra il poeta latino e la nuova guida di
Dante è in atto un vero e proprio passaggio di consegne: a Virgilio, allegoria della Ragione e
della conoscenza, si sostituisce la Beatrice celeste, simbolo della Teologia, risorsa
fondamentale per accedere all’ultimo regno. Ma l’incontro con la donna amata non va come
forse Dante aveva sperato: aspro è infatti il rimprovero di lei per il traviamento esistenziale
che l’ha condotto alle soglie della dannazione infernale, tanto che Dante, a sentir Beatrice,
non dovrebbe piangere per la perdita dell’amico, ma per ben più gravi mancanze (vv. 55-57:
“«Dante, perché Virgilio se ne vada, | non pianger anco, non piangere ancora; | ché pianger
ti conven per altra spada»”). Il tutto si spiega all’interno del rituale di ammenda e
purificazione delle proprie colpe che il pellegrino Dante deve effettuare; anche le parole in
sua difesa da parte delle altre anime attraverso salmi biblici non servono a smuovere
l’implacabile Beatrice. La contrizione del protagonista (resa con la mirabile similitudine
delle nevi appenniniche in disgelo, vv. 85-90) scoppia in un pianto doloroso è solo l’anticipo
ad una nuova arringa d’accusa. Dante, pur in possesso di tutte le facoltà per operare per il
bene (vv. 115-117: “questi fu tal ne la sua vita nova | virtüalmente, ch'ogne abito destro |
fatto averebbe in lui mirabil prova”), sarebbe andato incontro ad un cupo periodo di
traviamento esistenziale dopo la morte di Beatrice (cui alluderebbe anche l’allegoria della
Filosofia nel Convivio). Quindi, è necessario che il poeta si penta: l’espiazione delle colpe
sarà il viatico per il proseguimento del viaggio. L’ingresso in scena di Beatrice, preparato
sin dal ventiquattresimo canto con la riflessione dantesca sullo Stilnovismo giovanile e sulla
poetica della lode, celebra qui, al massimo grado, l’unione in lei di dimensione umana
(Beatrice conserva tratti del tutto terreni, nel suo essere “proterva” e nel rassomigliare ad
una madre “superba” che rimprovera il figlio) e dimensione divina (lei stessa dichiara, ai vv.
133-135, di aver richiesto l’intervento provvidenziale per salvare Dante, e tutto il canto è
fitto di richiami cristologici); questa circostanza - oltre a giustificare l’addio commosso al
“dolce duca” Virgilio - permette a Dante di completare non solo il suo percorso di
redenzione, ma anche di dare una lettura univoca e rettilinea della sua vita umana e poetica.
Il canto trentesimo, non a caso, disegna una forte linea di continuità con la Beatrice della
Vita nova: la spiritualizzazione dell’amata è la precondizione per poter fare di Beatrice la
guida fondamentale per tutto il Paradiso (almeno fino al canto trentatreesimo), cui qui si
sovrappone un nuovo livello di lettura. Infatti, qui a Beatrice è il fulcro attorno a cui
rileggere un’intera esperienza: la materia sacra che Dante si accinge a cantare nella nuova
cantica impone che non solo la sua poesia giovanile ma tutto il suo essere uomo e poeta
siano posti ad un vaglio preventivo. Si spiega anche così il duro rimprovero di Beatrice, che
per due volte (vv. 55-81 e vv. 100-145) chiede conto a Dante del modo in cui ha sperperato
la sua “larghezza di grazie divine” (v. 112). Se la critica dantesca ha già chiarito che la colpa
di Dante di darsi “altrui” (v. 126) può alludere sia a motivi più “terreni” (come l’amore
sensuale per altre donne) sia a problematiche filosofico-morali (l’amore per la conoscenza e
il sapere che allontana il poeta dalla concezione dell’amore-virtù e dal cammino verso la
salvezza eterna), conta anche che Dante, attraverso l’apparizione di Beatrice, voglia
sottoporre ad una netta revisione (si pensi alla splendida similitudine del suo pianto, che
sgorga come le nevi dell’Appennino al disgelo) tutto il suo itinerario di poeta, di
intellettuale, di uomo. Nel Paradiso terrestre il passaggio fondamentale, propedeutico alla
terza cantica, è il passaggio da qualsiasi tipo di passione ed inclinazione terrena (sia essa per
una donna concreta, per la poesia o per la Filosofia) ad una nuova “scienza”, la Teologia,
che interpreti e spieghi tutta la realtà in funzione del divino che Dante sta per contemplare.
E si tenga presente che per Dante ciò non vuol dire svalutare ciò che è avvenuto in
precedenza, ma rileggerlo in un’ottica più ampia e più grande; in tal senso, il più grande atto
di umiltà di Dante (e di ogni uomo) è ammettere i propri errori.

CANTO XXXI= 13 APRILE 1300 EDEN O PARADISO TERRESTRE: DANTE VIENE


IMMERSO NEL FIUME LETE. DANTE E STAZIO, BEATRICE E MATELDA. GLI
ANGELI; LE QUATTRO DONNE VESTITE DI ROSSO ( LE VIRTU' CARDINALI); LE
TRE DONNE VESTITE DI BIANCO ( LE VIRTU' TEOLOGALI); IL GRIFONE.

Beatrice comanda a Dante di confessare le sue colpe, ma Dante resta confuso dal
rimprovero e non riesce a parlare. Beatrice glielo impone ed egli emette a fatica un "sì" e
scoppia a piangere. Beatrice gli chiede quali lusinghe vide nei beni terreni per darsi ad essi
dopo la morte di lei. Dante si confessa. Il canto è interamente centrato sul personaggio
Dante e può essere interpretato in stretto collegamento con i primi due canti dell'Inferno.
All'inizio del poema Dante presenta se stesso in una condizione di gravissimo traviamento
spirituale, dal quale viene salvato grazie all'intervento di Virgilio (Inferno, I), sollecitato da
Beatrice (Inferno, II). Le cause e le manifestazioni di questa condizione di peccato non sono
però rese esplicite; nel corso dell'opera e in particolare del Purgatorio si possono trovare
indicazioni su peccati di superbia (canto XI), ma soltanto nella parte finale della cantica,
ambientata nel Paradiso Terrestre, Dante-poeta rappresenta se stesso nell'atto di riconoscere
l'errore che fu alla radice del suo grave traviamento.
Alla morte di Beatrice, la guida spirituale che lo aveva fino ad allora sostenuto, egli fu
attratto da beni provvisori e deludenti («o pargoletta / o altra novità con sì breve uso»). Si
interpreta questa accusa di Beatrice come riferimento a un'altra donna, evidentemente meno
significativa sul piano spirituale, (cfr. Le Rime, LXXXVII e LXXXIX) e ad esperienze
intellettuali problematiche. Si può dunque notare un collegamento col tema dell'origine del
peccato nel rapporto con i beni terreni, trattato ad esempio nel canto XIX; nel XXXI tuttavia
si esce dal linguaggio simbolico o filosofico per dare al tema evidenza drammatica
attraverso il colloquio diretto tra Beatrice e Dante. Esso segue una scansione liturgica (dalla
contrizione del cuore, v.13 ss., all'aperta confessione, v.34 ss.) e contemporaneamente è
permeato di elementi umani e psicologici: Dante-personaggio piange, sospira, fatica ad
ammettere in parole la propria colpa; di fronte a lui Beatrice appare severa, a tratti ironica
nel rimproverarlo per una condotta non scusabile in persona matura. La seconda parte del
canto (dal v. 76) riporta il lettore al contesto, ovvero a quella scena solenne e affollata di
figure simboliche che si era presentata nel canto XXIX. Dante, sopraffatto dall'amore e dal
pentimento, sviene; al suo riaversi, si rende conto di essere al centro di un rito di
purificazione officiato da Matelda insieme alle Virtù cardinali e teologali. Egli contempla il
grifone riflesso negli occhi di Beatrice e ne vede alternativamente le due nature, simbolo
della natura divina e umana di Cristo. Solo a questo punto Beatrice rivela interamente il suo
volto splendente. È significativo che la doppia natura di Cristo sia vista da Dante negli occhi
di Beatrice: allo stesso modo avverrà, all'inizio del Paradiso, il «trasumanar» che rende
possibile all'uomo Dante l'ingresso nel mondo celeste; in seguito gli occhi di Beatrice
saranno il tramite per il progressivo innalzarsi di Dante. Il linguaggio è caratterizzato nella
prima parte da un registro discorsivo, ricco di metafore che rappresentano i momenti
psicologici; la seconda parte presenta uno stile più elevato e complesso, con pleonasmi
(«vincer», vv.83-84), iterazioni (v.93, 119, 133), similitudini (v.96, 118, 121).

CANTO XXXII

Dante è tutto assorto nella contemplazione del viso di Beatrice, pienamente rivelatosi dopo
dieci anni dalla scomparsa di lei, a tal punto che quanto lo circonda gli è indifferente. Per
questo viene rimproverato dalle Virtù teologali. Volgendosi verso di loro, una volta
recuperata la vista abbagliata dal troppo sole, Dante vede che la solenne processione si è
rimessa in cammino, questa volta verso oriente: prima i sette candelabri che simboleggiano i
doni dello Spirito Santo, come già descritto nel canto XXIX; seguono i ventiquattro vecchi,
poi il carro (che rappresenta la Chiesa), trainato dal grifone. Matelda, Stazio e Dante si
accodano alla ruota destra del carro e procedono, accompagnati da canti di angeli, per uno
spazio pari a circa tre tiri di freccia; a questo punto Beatrice scende dal carro. Tutti
mormorano "Adamo" circondando una pianta completamente priva di gemme o foglie. La
sua chioma ha forma di cono rovesciato ed è di altezza smisurata. Le voci delle varie figure
simboliche esaltano il grifone (simbolo di Cristo) perché non si ciba di quell'albero, dolce al
gusto ma dannoso poi; e il grifone risponde che in tal modo si preserva il bene. Il grifone
quindi trascina il carro fino all'albero e lo lega ad esso. Come sulla terra le piante in
primavera mettono le gemme, poi i fiori, così l'albero, fino a quel momento del tutto
spoglio, si riveste di fiori di un colore tra rosso e viola. Dante non riesce a percepire bene e
fino alla fine il canto che accompagna questo momento, perché è colto da un sonno
improvviso; non può descrivere il modo in cui si è addormentato, il che è impossibile per
tutti. Il risveglio è causato da un improvviso bagliore e da una voce che lo invita ad alzarsi.
Come, dopo la Trasfigurazione di Gesù, Pietro, Giovanni e Giacomo ritornano alla realtà
consueta, così Dante vede Matelda china su di lui. Matelda invita Dante a contemplare
Beatrice seduta sotto l'albero, circondata dalle sette Virtù; intanto gli altri personaggi
seguono il grifone verso il cielo, cantando un inno. Dante è di nuovo assorto
nell'ammirazione di Beatrice, quando ella solennemente gli preannuncia che presto egli sarà
in eterno in paradiso con lei. Prima però, a vantaggio dell'umanità peccatrice, deve osservare
con attenzione il carro e prepararsi a scrivere fedelmente, tornato sulla Terra, tutto quello
che vedrà. Con la velocità del fulmine, dalla cima dell'albero scende un'aquila che ne fende
la corteccia e rompe le fronde nuove, e colpisce violentemente il carro che si piega sul
fianco. Poi si avventa su di esso una volpe famelica, ma Beatrice l'accusa di colpe
spregevoli e la mette in fuga. L'aquila a sua volta entra nel carro e vi lascia le sue penne; una
voce dal cielo lamenta lo stato in cui si trova la "navicella" sua. (È San Pietro che deplora il
triste carico che appesantisce la sua Chiesa, ossia i beni terreni).
Appare un drago, come uscito dalla terra, che conficca la coda nel carro, poi la ritrae
trascinando con sé una parte del fondo, quindi se ne va. I resti del carro vengono ricoperti
dalle piume dell'aquila, che in breve invadono anche il timone e le ruote. Il carro così
trasformato mette fuori tre teste (ciascuna con due corna) sul timone e una su ogni lato (con
un solo corno): mostro mai visto prima.Sul carro appare una "puttana" provocante, che
scambia baci con un gigante. Non appena essa rivolge lo sguardo a Dante, l'amante la
percuote selvaggiamente poi, pieno di gelosia e di furore, scioglie il carro dall'albero e lo
trascina per la foresta, finché tra Dante e queste orride figure c'è uno schermo di alberi.

CANTO XXXIII=
Le Virtù cardinali e teologali cantano alternandosi l'inizio del salmo 78 (Deus, venerunt
gentes), piangendo, e Beatrice le ascolta triste; poi avvampata in volto, risponde loro con le
parole di Gesù che preannunciano l'imminenza della sua morte e resurrezione. Quindi,
preceduta dalle Virtù; si incammina facendo un cenno a Dante, Matelda e Stazio perché la
seguano. Dopo pochi passi sollecita Dante a camminare più svelto e a raggiungerla per poter
meglio parlare con lui; lo invita quindi a rivolgerle quelle domande che vorrebbe porle e
che, spiega lui, esita a formulare per troppa deferenza. Del resto, aggiunge Dante, Beatrice
sa che cosa lui desidera sapere Beatrice commenta che ormai Dante non ha più motivo di
timore o di soggezione; inizia quindi a sviluppare in senso profetico il significato delle
metamorfosi del carro (la Chiesa) descritte nel canto precedente. Il carro sfondato dal
serpente (scisma) è avvenimento del passato, i colpevoli del quale sono sottoposti a
punizione divina. L'aquila (l'Impero) non resterà sempre senza eredi: è prossimo il tempo
nel quale un «cinquecento, dieci e cinque» (in cifre romane DXV), inviato da Dio, ucciderà
la meretrice e il suo amante (la Curia romana e il re di Francia).
Questo racconto, continua Beatrice, può ora apparire oscuro, ma presto i fatti stessi
scioglieranno ogni enigma. Dante dunque registri le parole che ora ascolta e le riporti
fedelmente ai viventi. Non deve assolutamente dimenticare di scrivere della doppia
spoliazione dell'albero della conoscenza del Bene e del Male: chiunque lo danneggi compie
un sacrilegio, perché Dio l'ha creato unicamente per i propri disegni e quindi è inviolabile.
Adamo è stato punito infatti per più di cinquemila anni. Dante è stolto se non capisce che la
pianta è altissima e capovolta per una ragione particolare: se non fosse stato sviato da
pensieri attraenti ma falsi riconoscerebbe in quella forma esterna il segno della giustizia di
Dio ovvero della proibizione morale di coglierne i frutti. Dato però che l'intelletto di Dante è
ottenebrato al punto che la luce della verità lo abbaglia, Beatrice vuole che nella sua mente
egli porti almeno abbozzato questo discorso, così come il pellegrino riporta dalla Terrasanta
come ricordo e testimonianza il bastone ornato di foglie di palma. Dante assicura che le
parole di Beatrice sono impresse nella sua mente come un sigillo sulla cera; chiede poi
perché le parole di lei si spingano tanto oltre le possibilità di comprensione che quanto più
egli si sforza di capire, tanto più esse gli sfuggono. Beatrice risponde che questo avviene
perché egli comprenda i limiti della filosofia umana che ha finora seguito, e si renda conto
che la scienza umana dista dalla scienza divina quanto la terra dista dal cielo più alto e più
veloce (Primo Mobile).Dante afferma che non si rammenta di essersi mai allontanato da
Beatrice, né prova alcun rimorso. Beatrice sorridendo lo invita a ricordare che ha poco
prima bevuto l'acqua del Lete e che l'oblio è chiara dimostrazione della sua colpa. D'ora in
poi, assicura, le sue parole saranno semplici e accessibili alla mente di Dante ancora
inesperta.
Il sole è salito quasi allo zenit quando le Virtù si arrestano al margine di un'ombra tenue
come quella che in montagna si spande dalle foglie degli alberi sopra i ruscelli. Dante vede
sgorgare da una sorgente due corsi d'acqua (come Tigri ed Eufrate) che lentamente si
allontanano; subito egli chiede a Beatrice di che fiumi si tratti, e la donna lo esorta a
chiederlo a Matelda. Questa risponde di aver già spiegato questo e si dice certa che Dante
non può averlo dimenticato. Forse, commenta Beatrice, la preoccupazione più grande di
comprendere tutto ciò che ha visto ha appannato la sua mente: Matelda lo guidi quindi
all'Eunoè e ravvivi, come è suo compito, la sua debole capacità di ricordare il bene. Matelda
con pronta gentilezza prende per mano Dante e fa cenno a Stazio di accompagnarlo.Dante
poeta afferma che se avesse più spazio tenterebbe di descrivere la dolcezza di quel bere
(l'acqua dell'Eunoè) di cui non si sarebbe mai saziato; ma le carte predisposte per la seconda
cantica ormai sono esaurite, e il «fren de l'arte» non gli consente di proseguire. Ritorna dalla
sacra acqua dell'Eunoè interiormente rinnovato, come una giovane pianta che si riveste di
nuove fronde, ormai «puro e disposto a salire a le stelle»

TEODOLINDA BAROLINI E' CRITICA LETTERARIA E DIRETTRICE DEL DIPARTMENTO


DI ITALIANO DELLA COLUMBIA UNIVERSITY DI NEW YORK DOVE E' DOCENTE DI
LETTERATURA ITALIANA.
E' AUTRICE DI NUMEROSI SAGGI E ARTICOLI SUL DUECENTO E SUL TRECENTO,
SOPRATTUTTO SU PETRARCA, BOCCACCIO, DANTE E LA TRADIZIONE LIRICA.
E' CURATRICE DI UN'EDIZIONE DELLE RIME DI DANTE PER LA BIBLIOTECA
UNIVERSALE RIZZOLI.
NEL 1993 ESCE LA TRADUZIONE IN ITALIANO DEL SUO PRIMO LIBRO, 'IL MIGLIOR
FABBRO', APPUNTO: UNO STUDIO DELL'AUTOBIOGRAFIA POETICA DI DANTE.

QUESTO SAGGIO SI SUDDIVIDE IN TRE CAPITOLI:


– IL PRIMO CAPITOLO AFFRONTA LA VALUTAZIONE CHE DANTE COMPIE DELLE
PROPRIE IDENTITA' POETICHE PRECEDENTI;
– IL SECONDO CAPITOLO DESIGNA L'INTRICATA MAPPA DEI SUOI RAPPORTI
CON I POETI VOLGARI;
– IL TERZO CAPITOLO DELINEA IL SUO TRATTAMENTO DEGLI ANTECEDENTI
CLASSICI, IN SPECIAL MODO VIRGILIO.

I CAPITOLO

AUTOCITAZIONE E AUTOBIOGRAFIA

I momenti in cui il poeta, attraverso l'autocitazione, guarda al proprio passato poetico,


acquistano fondamentale importanza. Sono tre le autocitazioni dalla Commedia: due nel
Purgatorio e una nel Paradiso. In tutti e tre i casi si tratta di incipit di canzoni, e tutti da
liriche amorose. Mentre nell'inferno, il richiamo più esplicito alla lirica d'amore avviene nel
V canto, dove il corposo tessuto di reminiscenze letterarie, da Virgilio e Agostino a Boezio e
alla tradizione volgare, funge da impalcatura. Il materiale necessario all'inchiesta dantesca è
fornito da Francesca, il cui monologo è divisibile opportunamente in due parti: la prima
contiene la celebre invocazione anaforica all'Amore; nella seconda Francesca risponde alla
domanda del pellegrino sui particolari della propria caduta. Si affida all'autorità di
LANCELOT DU LAC, mentre nella fase preparatoria aveva chiamato in causa i princìpi del
codice amoroso ormai acquisito. I commentatori hanno unanimemente indicato non solo la
presenza di Andrea Cappellano, ma anche quella della lirica italiana e in special modo di
quella stilnovistica. Il verso ' Amor, ch'a nullo amato amar perdona', attinge da due delle
regole d'amore di Cappellano. Contini invece indica che il verso ' Amor, ch'al cor gentil ratto
s'apprende', sia una fusione di due versi di un acanzone di Guinizzelli ' Al cor gentil'
( considerata il manifesto del dolce stil novo). Ipotesi ulteriormente incrementata dal fatto
che richiama anche l'incipit di un Sonetto della Vita Nova in cui Dante sta apertamente
imitando il suo precursore Guinizzelli.
In Inferno II,invece, l'uso da parte di Virgilio del registro lirico è particolarmente evidente
nella sua iniziale descrizione dell'arrivo di Beatrice, un passo di cui è stato sottolineato il
sapore stilnovistico soprattutto per le coppie di aggettivi 'beata e bella', 'soave e piana', per la
descrizione della voce angelica della donna e per l'accostamento dei suoi occhi alle stelle.
Dante sembra prodigarsi per creare in Inferno II un ambiente di corte (la descrizione di Dio
come 'cortese' che è un aggettivo etimologicamente legato a corte; l'insistenza sul concetto
di corte che raggiunge il suo apice quando Virgilio si riferisce alla sfera delle assistenti
celesti in gtermini cortesi 'tre donne benedette...nella corte del cielo') con un preciso intento:
far ricordare ai lettori questa evocazione della corte, quando, qualche canto più avanti,
incontreranno una simile costruzione.
Anche Francesca invocherà una corte immaginaria, in cui Dio ha il ruolo di re, con la
differenza che Francesca (esiliata dalla corte celeste) usa il condizionale; Beatrice usa il
futuro in netto contrasto: 'di te mi loderò sovente a lui'. Un contrasto che è indizio della
grande differenza tra queste due donne e tra le loro due 'corti'. La lirica d'amore è uno dei
temi principali di Purgatorio II,e, si può dire che sia un correttivo di Inferno V e che Casella
sia in questo senso una nuova versione di Francesca. L'arte come suprema conquista
collettiva dell'umanità, pervade il Purgatorio. Tutti gli aspetti della ricerca artistica trovano
espressione nel Purgatorio: musica, arti plastiche e figurative, poesia ( quella esplorata più a
fondo). Una cantica che contiene gli episodi di Casella, Sordello, Stazio, Forese Donati,
Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel. La poesia ha nel Purgatorio un
ruolo centrale; è l'unico dei tre regni i cui la poesia può diventare oggetto di sé stessa come
tema. Nei primi due canti del Purgatorio Dante mette in scena il tema purgatoriale del
distacco, nei confronti di una donna ( la moglie di Catone, Marzia), di un amico ( Casella) e
dell'amoroso canto che Casella esegue. Rilevanti sono Casella, appunto, il primo di molti
'vecchi amici' che si trovano in questa cantica, e la sua canzone, AMOR CHE NE LA
MENTE MI RAGIONA, che essendo la prima autocitazione della Commedia, qualifica lo
stesso Dante come primo poeta lirico del Purgatorio. I tre episodi della Commedia che
contengono un'autocitazione, sono tutti legati ad incontri con amici: AMOR CHE NE LA
MENTE che viene cantato in Purgatorio II da Casella; in Purgatorio XXIV il richiamo a
DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE, anche se fatto da Bonagiunta, è compreso
nel più ampio episodio di Forese Donati; in Paradiso VIII VOI CHE 'NTENDENDO IL
TERZO CIEL MOVETE è citata da Carlo Martello. Autocitazioni, o reminescenze poetiche
sono associate, quindi, ad incontri personali.

AMOR CHE NE LA MENTE MI RAGIONA


(canzone commentata nel libro III del Convivio)
Casella esegue la canzone in risposta alla specifica richiesta del pellegrino di ascoltare un
amoroso canto. nel canto è molto presente il motivo della velocità, soprattutto all'inizio;
l'angelo appare velocissimo e altrettanto velocemente riparte, dopo che le anime si sono
"gettate" sulla spiaggia al suo segnale. A questo motivo è contrapposto invece quello della
lentezza, che compare non appena le anime iniziano ad indugiare presso i poeti, finché non
interviene Catone a rimproverarle, introducendo un altro tema che ricorrerà spesso nel
Purgatorio, e cioè quello della sollecitudine delle anime ad espiare.
Se le anime si erano attardate, è perché trattenute dalla "dolcezza" del canto di Casella. Il
canto che invece gli espianti devono praticare è quello dei Salmi, come quello che appunto
stavano cantando sulla barca che li trasportava: v. 46, "In exitu Israel de Aegypto", che
invoca allegoricamente la liberazione dal peccato e dalla schiavitù della condizione terrena
attraverso il salmo sulla liberazione degli Ebrei dall'Egitto (come spiega Dante stesso nel
Convivio e nell'Epistola a Cangrande). Altra spia simbolica potrebbe essere il canto solitario
di Casella, contrapposto all'armonia con cui invece le anime cantavano, "a una voce", il
salmo. Questo ci porta anche a riflettere su come la prima immagine che ci è data di queste
anime sia proprio quella del coro, dell'armonia, della solidarietà: nel Purgatorio infatti le
anime sono solidali tra loro - a differenza dell'Inferno, dove invece si insultano e litigano -, e
solidali con Dante, qui loro eguale ben più che nelle altre cantiche, come testimonia anche la
ricorrenza di sorrisi, di abbracci, di cui il primo è proprio quello tra Dante e Casella.
Abbiamo già detto che si tratta di un'insistenza sulla lirica d'amore che serve a mettere in
diretto contrasto Purgatorio II con Inferno V. Nel canto precedente Catone respinge il
tentativo troppo umano con cui Virgilio, ricordandogli la moglie Marzia, ha cercato di
ingraziarselo. Catone rammenta poi a Dante e a Casella che i legami terreni di amicizia sono
meno importanti del processo di purificazione che li attende. È stato spesso notato come
AMOR CHE NE LA MENTE sia strettamente modellata su DONNE CH'AVETE. Contiene
lo stesso numero di istanze ( cinque) ed è organizzata in base agli stessi principi: in
entrambe, a una stanza introduttiva fa seguito una serie di stanze impegnate a lodare vari
aspetti della donna ( lode in generale nella seconda stanza, lode dell'anima nella terza, lode
del corpo nella quarta), a cui fa seguito, a sua volta un congedo. In AMOR CHE NE LA
MENTE lo schema delle rime della fronte ripete inoltre quello di DONNE CH'AVETE.
Entrambe le canzoni appartengono allo stilo della loda. Queste marcate somiglianze hanno
portato i critici a pensare che la composizione più tarda sia stata concepita come un tentativo
di oltrepassare quella precedente. Il verso 4 di AMOR CHE NE LA MENTE - “ CHE LO
'NTELLETTO SOVR'ESSE DISVIA” - fornisce un paradigma che sintetizza tutti gli aspetti
della discussione: le anime escono ( temporaneamente) dal retto cammino nel momento in
cui cedono alla dolcezza della canzone in PURGATORIO II; e Dante era
( temporaneamente) uscito dal cammino quando si era lasciato troppo consolare dalla
dolcezza della Filosofia nel Convivio. Donna Filosofia è stata senz'altro un errore.

DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE (canzone presente nella Vita Nova, alla
quale Dante stesso attribuisce «mater[i]a nuova» e «alto parlare»)
La seconda autocitazione ci porta a uno dei momenti più discussi della Commedia, cioè
l'episodio culminante tra il pellegrino e il poeta Bonagiunta da Lucca che evoca la canzone
come contrassegno di identità poetica. Rievoca l'altra sua esperienza giovanile: il dolce
stilnovo, la cui definizione, posta in bocca al rimatore lucchese nel v. 57, resterà canonica
nella nostra storia letteraria. Lo stilnovo è infatti poesia dell'anima nata nel profondo dello
spirito. I segnali di recupero dello stilnovo sono molti nel Purgatorio: dal canto di Casella
(II) al colloquio con Guinizzelli(XXVI), dall' “angelica” Metelda (XXVIII) alla donna-
Cristo Beatrice. Bonagiunta chiede quindi a Dante se sia davvero l'inventore della nuova
forma di poesia, iniziata con DONNE CH'AVETE; nella risposta Dante minimizza in
apparenza il proprio ruolo nel rinnovamento poetico, affermando di comporre sotto la
dettatura di Amore; al che Bonagiunta dichiara di aver compreso perché la poesia praticata
da lui stesso e dai suoi compagni e predecessori, sia inferiore alla nuova. Questo canto
appartiene alla ricca categoria di canti danteschi in cui si assiste a riflessioni di poetica e
letteratura da parte dell'autore, egli stesso fecondo scrittore di poesie stilnovistiche e non,
ma che approda nella Divina Commedia a una concezione sicuramente diversa, più alta e
moralmente agonistica, della letteratura, rispetto agli scritti giovanili. Nelle parole che fa
pronunciare a Bonagiunta Orbicciani, egli mette a fuoco un unico punto cruciale: gli
stilnovisti - e Dante per primo - scrivono solo quello che Amore detta loro. In questo viene
identificato il «nodo», l'impedimento che rende inferiori rispetto a questa le poetiche
precedenti, legate come sono al senso convenzionale dell'amore; il Dolce Stil Novo, invece,
vuol essere soprattutto impostato su un nuovo concetto d'amore, dell'amore come
affiatamento religioso dell'anima: Dante, cioè, così come Cavalcanti, Guinizzelli e altri,
interiorizza il discorso amoroso, esprimendo una verità profonda che il poeta percepisce
direttamente nella propria anima. Si noti anche come Dante enuncia questo principio: «a
quel modo / ch'ei (cioè Amore) ditta dentro vo significando» (vv. 53-54), sottolineando
quindi l'importanza di una componente di interpretazione, di riflessione, nel trascrivere le
parole di Amore; «nota[te]» quando egli «ispira»: solo interpretandola l'esperienza di Eros
può essere oggetto di poesia.
Bonagiunta però si perde un altro punto cruciale nella svolta stilnovistica: egli considera
questa interpretazione interiore dell'amore l'unica differenza con la poesia precedente,
eppure nota anche una componente stilistica che rende la «n[u]ova» poesia così diversa
dalla precedente, aspra, difficile, petrosa (come alcune rime dello stesso Dante); e a questa
componente vanno attribuite le due parole, così importanti per Dante e così presenti nel suo
lessico poetico, di "dolce" e di "nuovo" (egli aveva d'altronde intitolato la sua raccolta di
componimenti Vita Nova). Ma se la donna, nella Vita Nova, era sì una donna-angelo, ma
conservava sempre i suoi connotati terreni, la Beatrice della Divina Commedia viene
trasfigurata, perde ogni caratteristica puramente fisica, diventando simbolo trascendente
della Grazia divina: Dante supera pertanto anche la poesia stilnovistica, che indirizzava al
raggiungimento di un amore spirituale, attraverso un processo di astrazione con il quale il
sentimento e la donna perdono ogni scoria terrena per diventare puro strumento di
avvicinamento a Dio. Donne ch'avete viene presentata come derivante da un rapporto
divinamente ispirato ed esclusivo tra il poeta e un' entità superiore e viene fissata come
emblematica dell'intero genere della canzone. Un episodio che tratta di temi lirici è dunque
sostenuto da prerequisiti narrativi del genere letterario: le donne. Non è un caso che nel
corso di questo episodio Dante chieda all'amico dove si trovi la sorella, o che Bonagiunta
preannunci l'aiuto di una giovane donna di Lucca; sia Piccarda, sia Gentucca sono
correlativi storici delle vere eroine della cornice, "le donne che hanno intelletto d'amore". La
caduta deve avere un nome, Forese, come la salvezza ha un nome, Beatrice, e così come la
conversione avviene, proprio cinque giorni prima, quando c'è la luna piena, sotto l'egida di
Virgilio. L'ultima delle autocitazioni è contenuta in Paradiso VIII, “voi che 'ntendendo il
terzo ciel movete”. Nel cielo di Venere, Dante incontra Carlo Martello, il quale dà notizie
della propria dimora citando la canzone dell'amico, appropriatamente indirizzata alle
intelligenze angeliche di questo terzo cielo. L'incontro del pellegrino con Carlo Martello è
un calco dei suoi precedenti incontri con Casella e Forese. A dispetto della brevità del
soggiorno, il poeta lo considera un amico. Un'amicizia preziosa, ma in qualche modo
remota, certamente basata su un minore grado di intimità, è proprio ciò che il poeta vuole
per la sua ultima cantica dal momento che l'amicizia del Paradiso è intesa a contrastare
quella del Purgatorio. Invece di molti amici, adesso ve ne è solo uno, un principe che il
poeta conosceva appena. Concepisce il cielo di Venere come anticlimax, come mezzo
testuale per liberare il lettore ( e il pellegrino) da ogni ulteriore aspettativa di sentimenti
terreni ( o purgatoriali). Collocando l'autocitazione di Paradiso VIII ci rendiamo conto che
VOI CHE 'NTENDENDO, costituisce una scelta in apparenza inadeguata per una canzone
che deve scalzare dalla sua vetta DONNE CH'AVETE. VOI CHE 'NTENDENDO, la poesia
in cui il nuovo amore per la filosofia viene privilegiato rispetto al vecchio amore per
Beatrice, fu composta in un periodo in cui Dante viveva queste due passioni in modo
conflittuale. Una canzone che celebra una donna allegorizzata come filosofia, in cui il poeta
mostra un crescente coinvolgimento nella filosofia e nella politica, viene messa dunque in
bocca, in Paradiso VIII, ad un personaggio con una forte identità politica – un principe – e
situata nel contesto di un cielo dedicato a questioni filosofiche e politiche. È difficile non
vedere in queste coincidenze tematiche qualcosa di intenzionale, specialmente alla luce
degli sviluppi del canto IX, dove sia Cunizza che Folquet inveiscono contro la corruzione
politica, portando al massimo il numero di profezie a carattere politico di questo cielo ( tre
in tutto: Carlo predice disastri alla casa D'Angiò, Cunizza si scaglia contro Padova, Treviso
e Feltre, Folquet attacca la Curia romana). VOI CHE 'NTENDENDO è una canzone di
conflitto, di quei conflitti, cioè, che il poeta esperisce tra il suo amore per Beatrice –
l'insieme dei suoi interessi mistici, spirituali e poetici – e gli altri grandi interessi della sua
vita. Tutto ciò che ha a che fare con il cielo di Venere parla di un'integrazione delle questioni
che sulla terra erano viste come separate e antagonistiche. Attraverso la rettifica di Carlo, il
cielo di Venere diventa il primo luogo dell'autocorrezione dantesca sulla questione delle
gerarchie angeliche. Voi che 'ntendendo viene introdotta nel testo attraverso un nuovo ordine
dei Principati; la struttura dell'enunciato garantisce che la canzone sia quindi
immediatamente collegata all'autocorrezione. Così come il terzo ordine angelico è composto
da principati, e non da Troni come avrebbe voluto il CONVIVIO, ora c'è Beatrice a fianco
di Dante, e non “la donna gentile”. Nel canto VIII Dante ridimensiona tutti i punti
dell'episodio del Convivio: I Troni diventano principati, Venere e Cupido sono ugualmente
un antico errore, i poeti che vi credevano sono degli stolti. Ma il canto VIII va anche al di là
di questi particolari, verso l'errore più considerevole che sta dietro di essi: privilegiare la
cultura classica – la filosofia piuttosto che la rivelazione, la “donna gentile” piuttosto che
Beatrice – cosa che dal punto di vista del Dante maturo, è il più grave difetto del Convivio.
Voi che 'ntendendo si presenta in maniera diversa dalle liriche che l'hanno preceduta.
L'emblema della sua differenza sta nel termine non lirico “grandezza”, usato qui allo scopo
di lodare la nuova donna, saggia e cortese, nella sua grandezza.
Il nodo storiografico della Commedia si impernia sul nodo di PURGATORIO XXIV. Mentre
la prima parte della conversazione del pellegrino con Bonagiunta tratta della sola biografia
poetica di Dante, collocando implicitamente DONNE CH'AVETE all'interno della sua
oeuvre complessiva, la replica di Bonagiunta. Dante cerca in questo passo di stabilire due
punti:
-c'è un nuovo stile che compete a un gruppo di nuovi poeti; si tratta dello stilnovo in senso
generico, definito storicamente come quello stile o maniera a cui i vecchi poeti qui nominati
non possono aspirare;
-all'interno di questo nuovo stile, c'è uno stile veramente nuovo, caratterizzato dalle “nove
rime”, ed è questo lo stil novo tipico di Dante. L'intenzione di Dante è quella di farci
tracciare una linea di demarcazione tra vecchio e nuovo: sia nel canto XXIV sia nel canto
XXVI, ci fornisce nomi che possono essere collocati da una delle due parti dell'immaginario
crinale, ottenendo così un'approssimativa cronologia. Il canto XXIV estende il raggio
dell'indagine fino agli inizi della tradizione italiana attraverso la menzione del Notaro,
Giacomo da Lentini. Il passo si riferisce esclusivamente a dei capiscuola, in rappresentanza
non soltanto di sé stessi, ma anche dei propri seguaci: dal Notaro, capofila della scuola
siciliana, a Guittone, capofila di quella toscana, a Bonagiunta, mediatore siculo-toscano. La
poesia di Guinizzelli viene attentamente collegata a quella di Dante e al “dolce stilnovo”
evocato da Bonagiunta, attraverso un doppio uso della parola chiave “dolce”. Qui Dante
chiama Guinizzelli padre poetico, un padre che ha generato, non solo lo stesso Dante, ma
anche altri poeti amorosi. Guinizzelli per modestia indica accanto a sé un poeta che fu
“MIGLIOR FABBRO” del parlar materno. Cioè uno scrittore che nel proprio volgare
raggiunse risultati superiori ai suoi ARNAUT DANIEL.

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