Nel libro VI dell’Eneide il protagonista scende negli inferi, accompagnato dalla
Sibilla cumana, sacerdotessa di Apollo. Virgilio immagina che l’ingresso nel mondo dei morti si trovi presso il lago d’Averno; da lì Enea si dirige nell’Ade per conoscere definitivamente il suo destino e la sua discendenza, seguendo l’ammonimento del padre Anchise, il cui spirito gli era apparso alla fine del libro V. Il modello letterario di questa catabasi, ossia discesa agli inferi, si trova nel canto XI dell’Odissea, quando, su esortazione della maga Circe, l’eroe itacese scende nell’Ade per consultare l’indovino Tiresia sul proprio destino.
Per comprendere meglio, osserviamo ora l’antecedente più diretto della
catabasi di Enea, vale a dire Odisseo. Questi non compie un vero e proprio percorso di discesa nell’oltretomba, ma si ferma sulla soglia, dove parlerà con le anime dell’Erebo, attratte sulla superficie attraverso un sacrificio di sangue. Il mondo dei morti non viene descritto se non per antitesi con quello dei vivi: l’Ade (letteralmente, il luogo in cui non si vede e non si è visti) è buio e le anime, si aggirano come larve, rimpiangendo la vita che non hanno più. I morti vivono in una condizione di assenza (del corpo, della vita, della luce, ecc.) e non c’è traccia di una qualsiasi idea di giustizia ultraterrena o di una suddivisione delle anime, nell’aldilà. L’iter di Enea, invece, è più complesso ed articolato. A metà della sua impresa, quando le sue peregrinazioni si stanno concludendo, Enea compie un vero e proprio viaggio attraverso gli inferi, dal quale uscirà, in qualche modo, purificato e rinforzato nella sua identità di eroe del destino; potrà, così, affrontare con maggior consapevolezza le guerre che lo attendono nel Lazio. Egli riceve dalla Sibilla i precetti necessari per scendere nell’Ade e, dopo aver compiuto un preciso rito di ingresso, entra nell’aldilà, potendo contare sulla profetessa come guida. Quello di Enea è un vero e proprio rito di iniziazione compiuto attraverso un viaggio. Il percorso dell’eroe troiano nell’aldilà è molto articolato e permette di disegnare una dettagliata geografia del mondo infernale, che verrà ripresa anche da Dante nella Commedia: in sintesi, dopo aver oltrepassato un vestibolo, dove si mostrano una serie di personificazioni dei mali degli uomini (il Pianto, gli Affanni, la Paura, la Morte, ecc.), Enea e la Sibilla arrivano al fiume Acheronte (un affluente del Cocito, il fiume delle lacrime), dove affrontano l’ira di Caronte (motivata dal fatto che Enea è vivo), il traghettatore delle anime nell’aldilà. Quindi i due placano Cerbero, il cane a tre teste, guardiano degli inferi, ed entrano nell’Ade vero e proprio, che si presenta come un tutto ordinato, in cui le anime vengono collocate in luoghi e modi diversi, a seconda di come gli individui si sono comportati in vita. In realtà, il solo fatto di trovarsi all’interno di un corpo contamina le anime e, pertanto, nell’aldilà esse vengono tutte quante sottoposte a supplizi in grado di purificarle; poi, quando si sono liberate del contagio corporeo, vengono mandate nei Campi Elisi, dove proseguono il processo di affinamento, sino a diventare puro etere. Allora, dopo circa mille anni, il dio le richiama alla vita: le anime bevono al fiume Lete, da cui traggono l’oblio, e desiderano nuovamente rientrare in un corpo. Viceversa i dannati in eterno, vengono puniti nel Tartaro. Inoltre, Virgilio allude anche ad una minoranza di beati, che abita per sempre nei Campi Elisi. Da ultimo, Enea giunge, appunto, ai Campi Elisi: lì, una luce diffusa mostra l’esistenza di sole e stelle propri, che illuminano uno spazio in cui le anime dei beati (ad esempio, coloro che combatterono per la patria, i sacerdoti puri, ecc.) vivono felici. Oltre un’altura, poi, si vede il fiume dell’oblio, il Lete, presso il quale stanno le anime pronte a reincarnarsi, fra cui quelle che costituiranno la discendenza di Enea nel Lazio. È lì che Enea incontra Anchise: questi, commosso alla vista del figlio, gli spiega la natura dell’universo, l’immortalità dell’anima ed il ciclo delle reincarnazioni; infine, dopo aver mostrato ad Enea la gloria futura di Roma, Anchise conduce il figlio alle porte del sonno, da cui può far ritorno nel mondo in superficie. Tante, dunque, le novità della catabasi di Enea:
la presenza di una guida (Sibilla);
l’uso di oggetti magici per superare alcune difficoltà nel cammino (un ramo d’oro da donare a Persefone; una focaccia soporifera con cui addormentare Cerbero); una suddivisione dell’aldilà basata sul concetto di giustizia; la fede nella metempsicosi e, dunque, in un ciclo eterno di morte e resurrezione; il motivo encomiastico.
A proposito di quest’ultimo punto, va sottolineato che Virgilio non intende
semplicemente aprire una parentesi dottrinaria nel percorso di Enea, una sorta di pausa prima della parte iliadica; egli rende la catabasi anche un elemento funzionale al motivo encomiastico: è necessario che Enea veda la sua discendenza (fra cui anche Cesare ed Augusto), per rafforzare la sua pietas e la sua adesione al fato. Ciò non significa che Enea, eroe problematico, non avrà più dubbi, ma che, nel momento dello sconforto e dell’indecisione, potrà contare sull’esperienza fatta nei Campi Elisi e confidare sulla necessità della sua missione.