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raccogliere sulla sua barca le anime salve destinate al Purgatorio; incontrano le anime
dei penitenti e tra questi l'amico Casella che intona una canzone in grado di attirare
l'attenzione di tutte le anime e questo fa arrabbiare Catone che le rimprovera per la
loro lentezza e negligenza invitandole a correre.
Il canto di Casella
Il canto inizia con una forma di natura geoastronomica in cui attraverso un discorso
poetico ed elevato spiega che il tempo in cui sta accadendo quello che sta per
raccontare è l'alba. Nella descrizione della cantica del Paradiso utilizzerà più spesso
questa tecnica introduttiva. Il vero viaggio di Dante nel Purgatorio inizia in questo
canto: il poeta si imbatte nell'imbarcazione di anime trasportata dall'Angelo nocchiero
e tra esse vi trova l'amico e cantore Casella. Ed è proprio quest'ultimo il protagonista
di questo canto dinamico e ricco di tematiche affettive e sentimentali, e lo si può
notare in modo più evidente durante il tentativo di Dante di abbracciare invano il suo
amico. Da questa spiacevole scene il poeta trova l'espediente per parlare della fisicità
del Purgatorio.
I penitenti del Purgatorio sono stupiti nel vedere Dante in vita e lo notano dal suo
respiro. Inoltre le anime mantengono il loro aspetto fisico e patiscono tutte le pene di
un essere vivente come la fame, la seta, la fatica... ma si tratta di una fisicità spirituale
e non carnale (diversa da quelle del mondo terreno e infernale), ragion per cui per
Dante non è possibile abbracciare l'anima del suo caro amico.
I penitenti
L'angelo nocchiero
Commento
L'apparizione dell'angelo nocchiero è un momento di serena certezza in un contesto
di situazioni estranee all'esperienza umana. Dopo tanti demoni infernali, l'incontro
con l'angelo acquista una dimensione rassicurante che si profila via via all'orizzonte
di Dante, ancora turbato dall'angoscia precedente. Ormai la rugiada ha lavato il volto
del poeta-pellegrino, che è pronto ad affrontare le nuove difficoltà con la coscienza di
essere scampato a un tragico pericolo. La situazione di incertezza caratterizza anche
le anime che giungono dalla foce del Tevere a bordo della navicella, unite però nella
consapevolezza di essere uscite da una condizione di schiavitù: cantano infatti
insieme In exitu Isdel de Aegypto, il salmo degli Ebrei fuggiti dalla prigionia
d'Egitto, lo stesso che veniva cantato in chiesa nelle cerimonie funebri. L'anima libera
dal peccato scioglie il suo canto a Dio e la coralità ravviva il senso di comunione e
compartecipazione che caratterizza le anime del Purgatorio.
Il passato, tuttavia, incombe forte e drammatico; sono ancora vive nel pellegrino le
immagini sconvolgenti di un mondo stravolto, le strida e gli alti guai, il frastuono di
un'atmosfera cupa e sinistra. La caligine tolta dal volto è ancora presente nell'animo
di Dante. Il poeta avverte la necessità di una pausa, di un momento di pace, cui si
possa abbandonare lo spirito esausto. Affiorano alla memoria le immagini positive di
una realtà trascorsa, i momenti di gioia, i sogni accarezzati e mai perduti. Ecco una
vecchia canzone d'amore, ricca di ricordi e sensazioni: l'anima rapita si tuffa nella
memoria, si abbandona al ricordo, a ciò che di piacevole ha vissuto, si rifugia
nell'alvo protettivo degli affetti. Trova così la forza di affrontare, con rinnovato
vigore, la nuova realtà. La regressione si realizza sulle note dolci e amiche di Casella,
che intona Amor che ne la mente mi ragiona, la seconda canzone del Convivio. Per
Dante e per queste anime è come ritrovare una parte di sé, recuperare il passato e farsi
cullare in questo rapimento dalla dolcezza del ricordo. Tutti si lasciano trascinare
dalle note di Casella, dimenticando di farsi purificare. Aspro giunge il rimprovero di
Catone, di colui che ha fatto dell'intransigenza un sistema di vita. L'intermezzo
musicale, tutto mondano, che ha spezzato il salmo iniziale e interrotto
momentaneamente il percorso di espiazione, è stato tuttavia un incentivo per Dante
che sta acquistando la forza per scalare la montagna del Purgatorio. L'intreccio tra
musica sacra e musica profana crea un contrasto che si compone nella nuova realtà
purgatoriale, in cui cielo e terra convivono nella dimensione pacata del naufrago
scampato a un pericolo mortale. Il rimprovero di Catone suggerisce peraltro che è
ormai tempo di affrontare la realtà.
PARAFRASI
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del secondo canto del Purgatorio.
Più alto punto = anastrofe (v. 3). Cioè "col suo punto più alto".
Come gente che pensa a suo cammino, che va col cuore e col corpo
dimora = similitudine (vv. 11-12). Cioè: "come coloro che pensano al cammino che
devono fare e sono pronti col desiderio, ma rimangono fermi con il corpo".
Va col cuore = metonimia (v. 12). Il concreto per l'astratto, il cuore invece che il
desiderio.
Qual, sorpreso dal mattino, per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sovra
‘l suol marino, cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, un lume per lo mar venir sì
ratto = similitudine (vv. 13-17). Cioè: "come sorpresa dal mattino, Marte, rosseggia
sulla superficie del mare a causa dei vapori densi che lo avvolgono, così mi apparve
e, possa rivederla ancora, una luce che veniva dal mare".
Che ‘l muover suo nessun volar pareggia = similitudine (v. 18). Cioè: "così
rapidamente che nessun volatile può eguagliare il suo modo di muoversi".
Ritratto l’occhio = sineddoche(vv. 19-20). Cioè: "distolsi gli occhi", il singolare per il
plurale, l'occhio invece degli occhi.
Lucente e maggior = endiadi (v. 21).
Omai vedrai di sì fatti officiali = perifrasi (v. 30). Per indicare i ministri, le figure
autorevoli che incotreranno nel purgatorio.
Non si mutan come mortal pelo = similitudine (v. 36). Cioè: "che non si trasformano
come le penne dei mortali".
Rimirando intorno come colui che nove cose assaggia = similitudine (vv. 53-54).
Cioè: "si guardava intorno come colui che sperimenta cose nuove"
Lo sol, ch’avea con le saette conte = metafora (v. 56). Cioè: "il sole, con le sue saette
infallibili".
La fronte = sineddoche (v. 58). Cioè: "la testa", la parte per il tutto.
Lo salire omai ne parrà gioco = metafora (v. 66). Cioè: "salire il monte ci sembrerà
uno scherzo, un gioco".
E come a messagger che porta ulivo tragge la gente per udir novelle, e di calcar
nessun si mostra schivo, così al viso mio s’affisar quelle anime fortunate tutte quante,
quasi obliando d’ire a farsi belle = similitudine (vv. 70-75). Cioè: "E come la gente si
affolla intorno al messaggero che porta notizie di pace, e nessuno si sottrae alla calca,
così quelle anime destinate alla salvezza puntarono su di me i loro sguardi, quasi
dimenticando di andare a purificarsi".
L’ala = sineddoche (v. 103). Il singolare per il plurale, l'ala invece delle ali.
La dolcezza ancor dentro mi suona = metafora (v. 114). Cioè: "la dolcezza di quel
canto risuona ancora dentro di me".
Come a nessun toccasse altro la mente = similitudine (v. 117). Cioè: "come se a
nessuno altri pensieri sfiorassero la mente".
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio = metafora (v. 122). Cioè: "correre al monte
per liberarvi del peccato".
Come quando, cogliendo biado o loglio, li colombi adunati a la pastura, queti, sanza
mostrar l’usato orgoglio, se cosa appare ond’elli abbian paura, subitamente lasciano
star l’esca, perch’assaliti son da maggior cura; così vid’io quella masnada fresca
lasciar lo canto = similitudine (vv. 124-131). Cioè: "Come quando i colombi,
beccando biada o zizzania, radunati per il pasto, quieti e senza mostrare il consueto
orgoglio, se appare qualcosa che li spaventa lasciano subito il cibo perché sono
assaliti da una preoccupazione maggiore; così io vidi quelle anime appena arrivate
abbandonare il canto".
E fuggir ver’ la costa, com’om che va, né sa dove riesca = similitudine (vv. 131-132).
Cioè: "e correre verso la montagna come qualcuno che va senza sapere dove andrà a
finire".