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1 Canto Inferno
Adesso spiegheremo il primo canto dell' Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri
.
Primo canto introduttivo del grande poema fiorentino della Divina Commedia di Dante Ali
ghieri.
Che è il cosiddetto canto introduttivo,
sappiamo che la Divina Commedia è composta da 100 canti.
Vi sono 33 canti per ogni cantica:
Inferno,
Purgatorio
e Paradiso.
L' Inferno ha un canto in più rispetto agli altri
perchè è proprio questo primo canto introduttivo
nel quale si spiega il motivo del viaggio del Poeta.
Quindi, inizia così l' incipit della Divina Commedia:
"Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta
via era smarrita".
Il Poeta ci dice subito che si trova a metà della sua vita.
Si riteneva nel medioevo seguendo Aristotele
che la durata massima, più o meno generalizzata della vita umana era di 70 anni.
Quindi trovarsi a metà della propria vita, voleva dire essere a 35 anni.
E il Poeta svolge appunto, il viaggio nei tre mondi dell' aldilà preciso quando aveva 35 an
ni.
Dante nasce a Firenze tra fine maggio e giugno del 1265
e svolge il viaggio nel aldilà nella Pasqua del 1300.
Quindi 35 anni esatti.
Si trova in "una selva oscura",
la selva rappresenta appunto il peccato,
si trovava in momento difficile della sua vita, in una profonda depressione, immerso nei v
izi;
"ché la diritta via era smarrita".
Prosegue il Poeta:
"Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel
pensier rinova la paura"!
Quindi con tre aggettivi ci dà subito la descrizione del luogo dove si trova,
"questa selva, selvaggia e aspra e forte"
una selva colma di alberi che non permette il passaggio della luce.
Dice:
che solo al ricordo del pensiero "rinova la paura"!
"Tant’ è amara che poco è più morte".
Non c' è da commentare queste parole:
"Tant’ è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’ i’ vi trovai, dirò de l’
altre cose ch’ i’ v’ ho scorte".
In un momento difficile, ognuno di noi come ha fatto il Poeta
cerca guardandosi intorno, quelle cose che possono rincuorarlo da uno stato d' animo al
quanto basso.
Quindi, guarda intorno se vede qualcosa di positivo.
"Io non so ben ridir com’ i’ v’ intrai, tant’ era pien di sonno a quel punto che la vera
ce via abbandonai".
Il Poeta non si ricorda di come è entrato nella "selva oscura" del peccato.
Dice: "tant’ era pien di sonno a quel punto":
il "sonno" va quì inteso come appunto, il sonno della coscienza.
Questo torpore dell' anima che immersa nel peccato,
non si rende conto di peccare e se anche si rende conto non ha la forza di poterne uscire
.
"che la verace via abbandonai".
Sappiamo che "la verace via" è quella di Gesù Cristo:
"Io sono la Via, la Verità e la Vita".
"Ma poi ch’ i’ fui al piè d’ un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’ ave
a di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto
altrui per ogne calle".
Quindi in questo buio, siamo all' alba,
Dante scorge dietro ad una Montagna:
(e abbiamo sentito come la descrive),
il Sole che sta nascendo.
Quindi, simbolicamente, si sente un po' meglio vedendo la Luce del Sole che illumina il lu
ogo dove lui si trova.
E ci descrive il Sole come:
"vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle".
Quindi il Sole è quel "pianeta" secondo la visione medievale
che con la sua Luce indica il Cammino ad ogni essere mortale.
"Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’ era durata la notte ch’ i’ p
assai con tanta pieta".
Quindi, Dante ci sta dicendo che:
la visione del Sole, lo raccuora
e gli fà un pochino, in toscano diremo:
quetare, tranquillizzare, la paura che aveva nel suo Cuore.
"E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’ a
cqua perigliosa e guata,
così l’ animo mio, ch’ ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non las
ciò già mai persona viva".
Quindi dice:
come colui che si salva da una tempesta
e esce "fuor dal pelago", esce dal mare
e si volge a retro a vedere
la difficoltà che ha scampato
e per la quale sarebbe potuto morire
la mia anima che ancora fuggiva
"si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva".
Mi sono tranquillizzato e ancora ero affannato a vedere
il luogo dove mi trovavo poco fa e rischiavo proprio di morire,
in riferimento alla selva oscura.
Poi ch’ èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che ’l
piè fermo sempre era ’l più basso".
Quindi dopo essersi riposato il Poeta ci dice
che riprende ad andare, per uscire dalla selva oscura
e mentre cerca di salire
questa Montagna con il Sole
dietro che sta nascendo,
dice il piede fermo era quello piú basso, perchè stava salendo.
"Ed ecco, quasi al cominciar de l' erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel
macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’ i’ fui per ritorna
r più volte vòlto".
Quindi, il Poeta cerca di salire questa Montagna
e subito gli si presenta davanti una lonza.
E come noi sappiamo che
nella Divina Commedia occorre
cercare, andare, più a fondo nel racconto, nei simboli che il Poeta ci propone.
Vediamo che questa lonza appunto rappresenta la lussuria,
un felino che sinuoso si muove;
e praticamente noi seguiamo visivamente, come appunto è la lussuria.
E dice:
" 'mpediva tanto il mio cammino, ch’ i’ fui per ritornar più volte vòlto".
Quindi, non permetteva il passaggio di Dante
e lui già pensava di volgersi nuovamente e tornare nella selva oscura.
Però vediamo che la situazione dell' Alba, come ci descriverà magnificamente è un buon
auspicio:
Dice il Poeta:
"Temp’ era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’era
n con lui quando l’ amor divino
mosse di prima quelle cose belle; sì ch’ a bene sperar m’ era cagione di quella fier
a a la gaetta pelle
l’ ora del tempo e la dolce stagione;"
Questi versi, queste terzine da leggere congiuntamente;
vediamo che il Poeta ci dice che
si trova all' Alba
e il fatto che si trovasse all' Alba
è un segno positivo
che il Poeta fa coincidere con il momento della Creazione, quando Dio creò tutto ciò che
ha creato;
e si trovava nella costellazione dell' Ariete.
Quindi di buon auspicio al momento della Creazione.
Dice:
"ma non sì che paura non mi desse la vista che m' apparve d' un leone".
Quindi dopo la lonza che Dante riesce a superare, gli si pone davanti al Cammino un leo
ne.
Sentite come lo descrive:
(e da come lo descrive, comprenderemo qual' è il vizio che esso rappresenta).
"Questi parea che contra me venisse con la test’ alta e con rabbiosa fame, sì che p
area che l’ aere ne tremesse".
Il leone rappresenta la superbia.
Si presenta a Dante maestuoso con la testa alta;
e quindi giá noi vediamo in questi due simboli,
due dei vizi che il Poeta ha dentro di sè che dovrà superare.
Inoltre la parola superbia, se noi la dividiamo viene: "super" - "bios"; ovvero:
oltrepassare il corretto limite della vita umana.
Sentirci superiori o inferiori rispetto al giusto.
"sì che parea che l’ aere ne tremesse".
Quindi immaginate la paura che aveva il Poeta.
Terzo animale che trova Dante nel suo Cammino:
"Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti
fé già viver grame,
quindi il terzo animale che Dante incontra
che realmente non lo farà proseguire nel suo viaggio è questa lupa.
Dice:
"carca ne la sua magrezza".
Cioè:
faceva talmente tanta paura ed era famelica, magra.
Dice:
"e molte genti fé già viver grame".
Prosegue il Poeta:
"questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’ uscia di sua vista, ch’ io perdei
la speranza de l’ altezza".
Il fatto di vedere questa lupa famelica
che vedremo rappresenterà l' avariza, l' avidità;
pone ancora piú peso al corpo del Poeta;
dice:
"ch’ io perdei la speranza de l’ altezza".
Il Poeta aveva intenzione di scalare questa Montagna andando verso il Sole
e questa lupa, gli impedisce il Cammino e lo fà sentire tanto pesante da non proseguir
e.
E sentite che descrizione ci fà di cosa sente Dante, con una delle sue meravigliose sim
ilitudini:
"E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’
n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripig
neva là dove ’l sol tace".
Il Poeta ci sta dicendo:
che come il mercante avaro che è contento quando acquista
e arriva il momento che deve vendere e non riesce ad avere i profitti
e si rattrista, si sente male.
Dice:
la stessa sensazione mi fece la lupa:
"la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace".
(Lo) stava rimandando nella selva oscura, dove vi è il silenzio della luce
"dove ’l sol tace".
Quì, il Poeta (in Poesia), giá si vede che utilizza tutte le armi a suo favore.
"Mentre ch’ i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lun
go silenzio parea fioco".
Quindi c' è un' altra, diremo persona, un altro soggetto presente mentre Dante è dinna
nzi a questi tre animali.
Il quale
per molto tempo
"e per lungo silenzio parea fioco".
Magari questo soggetto ha parlato a Dante, ma Dante intriso nel peccato, non lo sentiv
a.
Qui riesce a vederlo
e vediamo quali sono le prime parole, che dice Dante personaggio della Commedia, in
questo primo canto:
"Quando vidi costui nel gran diserto, "Miserere di me", gridai a lui, "qual che tu s
"In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l’ alto seggio: oh f
elice colui cu’ ivi elegge !".
Quindi Virgilio ci sta dicendo che l' Altissimo è l' imperatore di tutto il creato
e la sua città, appunto "l' alto seggio", la città celeste, il Paradiso.
"felice colui cu’ ivi elegge !"
In riferimento al fatto che
coloro i quali sono eletti da Dio e possono poi ascendere in Paradiso, saranno fe
lici.
Dante, dopo aver sentito le parole del Maestro
si rivolge a lui così:
"Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch’ io fu
gga questo male e peggio",
quindi Dante si rivolge a Virgilio dicendogli:
Poeta, sono triste del fatto che tu non hai potuto conoscere questo Dio
cristiano che, tramite lui possiamo arrivare alla Salvezza.
E quindi ti seguirò
"acciò ch’ io fugga questo male e peggio",
questa condizione che mi stai dicendo
che è bene superare al fine di arrivare a Nostro Signore.
"che tu mi meni là dov’ or dicesti, sì ch’ io veggia la porta di san Pietro e c
olor cui tu fai cotanto mesti".
Quindi, Dante dice che seguirà Virgilio
fino alla Porta del Paradiso
appunto, di cui San Pietro ha le due chiavi,
che gli sono state affidate da Nostro Signore Gesù.
"e color cui tu fai cotanto mesti".
Ovvero:
portami a vedere le anime dei dannati,