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LA DIVINA COMMEDIA

IL PRIMO CANTO DELL’INFERNO


Il I canto dell’Inferno di Dante Alighieri ha una doppia funzione: - apre la prima cantica della Commedia;
-assume il ruolo di prologo dell’intero
poema;
È qui che Dante presenta la situazione iniziale e illustra le motivazioni del suo viaggio nei tre regni
ultraterreni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso: smarritosi, all’età di trentacinque anni in una foresta
buia e impervia, Dante racconta di esserne uscito solo dopo un lungo viaggio, in un percorso di purificazione
e redenzione spirituale.
Ad accompagnare il Sommo Poeta per due terzi di questo percorso troviamo il poeta latino Virgilio, che fa la
sua prima comparsa nel poema proprio in questo canto. Dopo Virgilio, a guidare Dante, sarà un’anima più
degna che sappiamo essere Beatrice.

Tempo
Siamo nel 1300, probabilmente nella notte tra il 7 aprile (giovedì santo) e l’8 aprile (venerdì santo), o,
secondo altre interpretazioni potrebbe trattarsi della notte tra giovedì 24 e venerdì 25 marzo.
Luogo
La «selva oscura», una foresta impervia e desolata allegoria del peccato, al di fuori della quale si può
scorgere un monte, la cui cima è illuminata dal sole.
Personaggi
- Dante, protagonista e autore dell’intera vicenda;
- Virgilio, allegoria della ragione e guida di Dante nei regni ultraterreni dell’Inferno e del Purgatorio;
- le tre fiere: una lonza, un leone e una lupa, probabilmente allegorie dei tre peggiori vizi dell’epoca di
Dante. Sono le tre belve feroci a sbarrare il cammino al poeta verso il colle e a costringerlo a seguire un
altro itinerario;

NEL PRIMO CANTO DELL’INFERNO DANTE ILLUSTRA:


- la situazione iniziale: la perdita della «diritta via», con il conseguente smarrimento nella selva del
peccato, e l’inizio del viaggio redentore in compagnia di una guida, Virgilio,
emblema della ragione, anche se la via è smarrita, quindi non perduta
definitivamente.
Infatti, alla fine della Divina Commedia, ovvero del suo percorso di redenzione,
Dante riacquista la grazia divina. Il bosco buio, fitto e tenebroso rappresenta i mali
della società: il cattivo governo, la corruzione della Chiesa, la decadenza
dell'umanità;
- le motivazioni del viaggio: la purificazione dell’anima di Dante, ma non solo.
Il percorso di redenzione intrapreso dal poeta deve, infatti, rappresentare un
modello per l’intera umanità. Il pellegrinaggio di Dante, dunque, rappresenta
il cammino dell'intera umanità;
- la struttura dell’intero poema: Dante, per bocca di Virgilio, illustra per sommi capi l’itinerario del suo
viaggio attraverso i regni ultraterreni dell’Inferno, del Purgatorio e del
Paradiso.
Il I Canto dell’Inferno, in quanto canto proemiale dell’intera opera, come prima cosa ci presenta il
protagonista della Commedia, Dante, accompagnato da colui che costituirà la sua guida per due terzi del
viaggio, il poeta latino Virgilio.
Altri personaggi di fondamentale importanza, per la comprensione non solo del Canto in questione ma del
poema intero, sono le tre fiere, le belve che precludono a Dante il cammino.
VIRGILIO
Dal verso 61 fa il suo ingresso, all’interno del I Canto dell’Inferno e dell’intera Commedia, Virgilio, che sarà la
guida di Dante nei regni ultraterreni dell’Inferno e del Purgatorio.
Nato nel 70 a.C. ad Andes, nei pressi di Mantova, Virgilio fu il più grande poeta dell’antica Roma.
Autore delle Bucoliche, divenne celebre in particolar modo per la composizione dell’Eneide.
Entrò nel circolo di Mecenate e fu protetto dallo stesso imperatore Augusto. Morì a BrIndisi nel 19 a.C.,
quindi prima della venuta di Gesù: per questo motivo si trova nel limbo infernale, dove risiedono le anime
dei morti non battezzati e degli uomini virtuosi vissuti prima di Cristo.
Perché la scelta di guida ricade proprio su Virgilio?
Diverse sono le motivazioni. La prima è Dante stesso a suggerircela quando, ai versi 85-87 del Canto I
dell’Inferno, elogia il poeta latino come suo «maestro» e suo «autore», colui dal quale ha appreso «lo bello
stilo» che lo ha reso celebre.
Virgilio viene quindi scelto innanzitutto in quanto poeta ideale, indicato come più alto esempio di stile
sublime e di perfezione formale. Egli era, inoltre, il modello latino da seguire per i poemi epici, e tanto più
per un poema che raccontasse l’oltretomba in quanto, nel VI libro dell’Eneide, aveva raccontato proprio
della discesa di Enea agli Inferi.

LE TRE FIERE
A partire dal v. 31 del primo Canto dell’Inferno, il cammino di Dante e, nello specifico, la sua salita al colle è
ostacolato dall’apparizione in sequenza delle tre fiere, tre belve che non permettono a Dante di proseguire
e, anzi lo spingono a tornare indietro, verso la terribile selva.
Si tratta, nel dettaglio, di: - una lonza;
- un leone;
- una lupa;
Le tre fiere hanno, senza ombra di dubbio, un significato allegorico.
Diverse però sono state nei secoli le interpretazioni e le teorie. Secondo la più accreditata, supportata dalla
maggior parte dei primi commentatori di Dante, esse rappresenterebbero lussuria (lonza), superbia (leone)
e cupidigia/avarizia (lupa), le tre colpe più diffuse nel Medioevo, nonché le più biasimate dalla letteratura
religiosa del Duecento.

IL PRIMO CANTO
Versi 1-27. All’età di trentacinque anni, Dante si ritrova smarrito in una foresta oscura e intricata, il cui
pensiero ancora lo turba. Non è in grado di dire come vi sia entrato. Al mattino, però, riesce ad
uscire da essa, ritrovandosi ai piedi di un colle la cui sommità è illuminata dai primi raggi
dell’alba. È un’immagine che riesce un poco ad acquietare la sua paura e a ridonargli speranza.
Versi 28-60. Dopo essersi riposato, Dante riprende il cammino su un pendio che conduce al colle ma, non
appena iniziata la salita, gli si presenta davanti una minacciosa lonza dal manto maculato. La
luce del sole e la stagione primaverile gli donano la speranza di riuscire ad oltrepassare quel
primo ostacolo, ma ecco comparire di fronte a lui un leone affamato che gli sbarra il cammino.
Dopodiché compare anche una lupa, magra e vorace, che lo spinge a indietreggiare verso la
foresta.
Versi 61-90. Mentre torna sui suoi passi, Dante vede una figura umana nella penombra e chiede aiuto.
Questa si presenta. Dice di essere un’anima e fornisce ulteriori dettagli sulla sua persona, come
di aver avuto genitori lombardi, di aver vissuto all’epoca di Giulio Cesare e sotto l’imperatore
Augusto e di aver cantato le gesta di Enea. Dopodiché chiede a Dante perché non stia
proseguendo il suo cammino verso la vetta del colle. Dante, a questo punto, lo riconosce. Si
tratta di Virgilio, poeta latino che definisce suo maestro di alto stile poetico e a cui dichiara tutta
la sua devozione artistica. Infine, spiega a Virgilio il motivo del suo indietreggiare indicandogli la
lupa.
Versi 91-136. Virgilio suggerisce a Dante di prendere un altro percorso dal momento che la lupa costituisce,
per ora, un ostacolo insormontabile. Contro di essa però, spiega ancora il poeta latino, si
batterà un giorno un Veltro (modello di sapienza, amore e virtù), che la sconfiggerà e la
ricaccerà all’Inferno, luogo da cui era uscita. Virgilio, a questo punto, si offre come guida.
FIGURE RETORICHE NEL PRIMO CANTO DELL’INFERNO
2. «selva oscura»: allegoria del peccato
5. «selva selvaggia»: paronomasia
13. «colle»: allegoria della virtù
17-18. «pianeta che mena dritto altrui per ogne calle»: perifrasi per indicare il sole
22-27. «E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e
guata, così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai
persona viva.»: similitudine
32. «lonza»: allegoria della lussuria
36. «volte vòlto»: paronomasia
45. «leone»: allegoria della superbia
49. «lupa»: allegoria della cupidigia/avarizia
60. «dove ’l sol tace»: sinestesia
67. «Non omo, omo già fui»: anadiplosi
73-75. «quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ’l superbo Ilïón fu combusto»: perifrasi per
indicare Enea
81. «fronte»: sineddoche per indicare la testa
97. «malvagia e ria»: dittologia
118-119. «color che son contenti nel foco»: perifrasi per indicare le anime del purgatorio
IL SECONDO CANTO DELL’INFERNO
Il secondo Canto dell’inferno ha un'importante funzione, quella proemiale, ovvero introduttiva, nei
confronti però solo della prima cantica, cosìcome il primo canto costituiva l’introduzione dell’intero poema
della Commedia.
La tematica infernale qui viene sottolineata dall’invocazione delle Muse e dall’enunciazione del tema.
In linea generale, potremmo dividere il Canto in tre macro-sezioni:
1. Il proemio (v. 1-9);
2. L’esposizione dei dubbi da parte di Dante circa la sua predisposizione a compiere un viaggio di simile
importanza (v. 10-42);
3. La risposta di Virgilio, che spiega al poeta la natura divina dell’itinerario che i due stanno per compiere e il
conseguente convincimento di Dante (v. 43-142);
Il secondo canto dell’Inferno si prefigura come un canto quasi prettamente informativo e, proprio in virtù di
questa sua caratteristica, fondamentale
In esso vengono date indicazioni che sono indispensabili all’architettura stessa della Commedia. Vi troviamo,
infatti, le premesse di natura storico-teologica della missione di Dante nell’aldilà.

Tempo
Siamo nel 1300, probabilmente al tramonto dell’8 aprile (venerdì santo); secondo altre interpretazioni
potrebbe trattarsi della sera di venerdì 25 marzo.
Luogo
La «diserta piaggia», il leggero pendìo che precede l’inizio del colle, poco fuori la «selva oscura».
Personaggi
- Dante;
- Virgilio;
- Le «tre donne benedette»: si tratta di Beatrice, la donna amata da Dante, Santa Lucia e la Vergine
Maria; sono qui allegoria della grazia divina. Sono nominati anche San Paolo ed Enea;

I PERSONAGGI
Oltre a Dante e Virgilio, già protagonisti del Canto I dell’Inferno, fanno qui la loro comparsa all’interno della
Commedia «tre donne benedette»:
Beatrice, la donna amata da Dante, Santa Lucia e la Vergine Maria. Vengono inoltre nominati, all’interno del
secondo Canto dell’Inferno, Enea e San Paolo per i cui approfondimenti rimandiamo però alle note presenti
nel testo.

LE TRE DONNE
Preoccupato di non essere all’altezza del cammino che sta per intraprendere Dante viene confortato dalle
parole di Virgilio. A desiderare che egli si avvsecondo sulla via della redenzione che, attraversando i tre regni
dell’Oltretomba, conduce alla visione di Dio, sono nientemeno che Beatrice, Santa Lucia e la Vergine Maria.
Le «tre donne benedette», nella struttura allegorica della Commedia dantesca, rappresentano le tre forme
della Grazia divina: - Maria è la Grazia preveniente, dono gratuito di Dio a tutti gli uomini,
indipendentemente dai loro meriti;
- Santa Lucia è la Grazia illuminante, concessa da Dio agli uomini per aiutarli a discernere
il bene dal male;
- Beatrice è la Grazia cooperante o santificante, ovvero quella che, con la cooperazione
dell’uomo, lo aiuta ad operare il bene;
Così, nello stesso modo in cui, nell’ascesa iniziale, il cammino di Dante era stato ostacolato da tre fiere,
allegoria dei tre vizi che ostacolano la redenzione dell’uomo, così esso è supportato e quindi reso possibile
dalle tre donne benedette, allegoria di tre diverse declinazioni della Grazia.
DIVINA COMMEDIA: CHI È BEATRICE?
Un paragrafo a parte merita la sola Beatrice, la donna cantata da Dante nella Vita Nova e che fa la sua prima
apparizione nella Commedia nel secondo Canto dell’Inferno, per poi tornare come co-protagonista negli
ultimi canti del Purgatorio e nell’intera cantica del Paradiso.
Poché le notizie storiche sul suo conto, quasi interamente provenienti dagli scritti di Dante o di Giovanni
Boccaccio.
Si tratterebbe della figlia del banchiere Folco Portinari e probabile sposa di Simone de’ Bardi. Nata nel 1266
a Firenze, la donna sarebbe morta l’8 giugno 1290, a soli ventiquattro anni.
Descritta con i tipici attributi della donna-angelo, figura tipica della corrente ha anche il ruolo della Grazia
cooperante.

IL SECONDO CANTO
Versi 1-9. Sta calando la notte e Dante-personaggio è tormentato e angosciato dal pensiero del cammino
che dovrà intraprendere. Dante-autore invoca l’aiuto delle Muse, del proprio ingegno e della
propria memoria, affinché riesca nell’arduo compito di descrivere l’aldilà.
Versi 10-42. Dante manifesta a Virgilio tutti i suoi dubbi sul viaggio che sta per intraprendere. Confronta sé
stesso con Enea e con San Paolo, che – ancora in vita – avevano compiuto un viaggio nell’aldilà
grazie ai loro meriti e con la consapevolezza del bene che ne sarebbe derivato: nel caso di Enea,
la fondazione di Roma, sede dell’Impero e della Chiesa; nel caso di San Paolo il rafforzamento
del Cristianesimo. Dante, invece, non crede di essere degno di una simile impresa, non avendo
gli stessi meriti di Enea e di San Paolo; anzi, crede che il suo viaggio nell’aldilà possa risultare
addirittura empio.
Versi 43-74. Virgilio, accusando Dante di viltà, gli spiega le ragioni della sua missione. È stata Beatrice,
preoccupata per le sorti di Dante stesso, smarrito nella selva del peccato, a scendere nel Limbo,
sede eterna del poeta latino, e ad indurlo a correre in suo soccorso.
Versi 75-114. Virgilio racconta di aver promesso a Beatrice di obbedirle e di averle chiesto come mai non
avesse timore a scendere in mezzo alle anime dannate. La donna aveva quindi spiegato come
la sua natura divina le impedisse di essere sfiorata dalle fiamme dell’Inferno. Inoltre, aveva
aggiunto che il viaggio di Dante era voluto dalla Vergine Maria la quale, per mezzo di Santa
Lucia, aveva chiesto a Beatrice di prestargli soccorso.
Versi 115-142. Terminato il suo racconto, Virgilio esorta quindi Dante a mettere da parte i propri timori e le
proprie incertezze, dal momento che può contare sul sostegno di «tre donne benedette».
Dante, ritrovato l’ardore e la voglia di intraprendere questo viaggio, si affida a Virgilio e lo
segue per il difficile sentiero.

L’INVOCAZIONE ALLE MUSE


Il secondo Canto dell’Inferno si apre con un’invocazione alle Muse che, insieme all’enunciazione
dell’argomento, ovvero il cammino tra le anime dannate, donando al Canto un carattere proemiale.
Infatti, se il I Canto dell’Inferno aveva assunto il ruolo di prologo dell’intera Commedia, il successivo può
essere considerato il vero proemio della cantica dell’Inferno. Per questo motivo, in linea con la tradizione
classica, Dante apre con un’invocazione alle Muse.
Figlie di Zeus e di Mnemosine, le Muse erano divinità minori. Giovani e belle, la tradizione vuole che si
trattasse di nove sorelle, ognuna delle quali era protettrice di una ben specifica arte:
- Calliope, colei che ha una bella bella voce, protettrice della poesia epica;
- Clio, colei che rende celebri, protettrice della storia;
- Erato, colei che provoca desiderio, protettrice della poesia d’amore;
- Euterpe, colei che rallegra, protettrice della poesia lirica;
- Melpomene, colei che canta, protettrice della tragedia;
- Polimnia, colei che ha molti inni, protettrice della danza rituale e del canto sacro;
- Tersicore, colei che si diletta nella danza, protettrice della danza;
- Talia, colei che è festiva, protettrice della poesia comico-satirica;
- Urania, colei che è celeste, protettrice dell’Astronomia;
Interessante, però, sottolineare che mentre i poeti epici come Omero e Virgilio si limitavano a invocare una
sola Musa, quasi sicuramente Calliope in quanto protettrice della poesia epica, Dante invece invoca la
totalità di esse, quasi sottolineando la necessità di ricevere l’aiuto di tutte le arti per apprestarsi a scrivere la
Commedia.
Il poeta invoca anche l’aiuto del suo «alto ingegno» (v.7), sottolineando come l’atto poetico sia una sintesi
delle doti innate del poeta (l’ingenium) e dell’attento studio delle tecniche retorico-formali indispensabili
per elaborare un componimento in perfetto stile.

LA MISSIONE DI DANTE
Se nel Canto proemiale della Commedia Dante aveva trovato, come ostacoli al proprio cammino, tre belve
feroci, che, seppur allegoria del peccato, erano presenti in tutta la loro concretezza.
Nel secondo canto dell’Inferno l’impedimento è interiore: si tratta, nello specifico, del timore nutrito da
Dante di non essere pronto ad intraprendere un simile viaggio, di non essere all’altezza della missione di cui
è investito.
È il confronto con due nomi straordinari, stavolta non più allegorizzati ma figure concrete e storicizzate, a
spaventarlo: Enea e San Paolo, entrambi protagonisti di un viaggio nell’oltretomba.
Si tratta di due personaggi straordinari della tradizione classico-cristiana, le cui missioni nell’aldilà hanno
assunto un valore inestimabile per l’intera umanità, in quanto fondamentali per la nascita dell’Impero e
della Chiesa.
La discesa di Enea agli inferi è legata alla successiva fondazione di Roma, futuro centro dell’Impero romano
e futura sede del Papato. Il viaggio di San Paolo nell’aldilà è invece volto alla diffusione del cristianesimo e
della parola di Dio.
In quest’ottica, diventa particolarmente significativo il famosissimo verso 32 del secondo Canto dell’Inferno,
in cui Dante dice a Virgilio: «Io non Enea, io non Paulo sono»: egli si sente inadeguato, al cospetto di queste
due grandi figure, a compiere l’impresa che è stata pensata per lui.
Dante, però, il cui viaggio è permesso dalla grazia divina, diventa il terzo nella triade dei personaggi illustri
che hanno potuto visitare l’aldilà e, come i due precedenti, anch’egli ha un importantissimo compito che
porterà beneficio all’umanità intera: riferire agli uomini quel che ha visto e sentito in modo che anch’essi
possano ritrovare la «diritta via» smarrita, in un percorso di redenzione
universale.
Il suo essere eroe non ha nulla a che vedere con la spada, com’era stato per Enea, o con la militanza
religiosa, com’era stato per San Paolo.
Egli viene scelto in quanto uomo che, grazie al proprio ingegno, è stato in grado di uscire «de la volgare
schiera» (v.105) costituendo un modello per gli altri uomini.

FIGURE RETORICHE NEL CANTO II DELL’INFERNO


13. «di Silvio il parente»: perifrasi per indicare Enea e anastrofe
14-15. «ad immortale secolo»: enjambement
16. «l’avversario d’ogne male»: perifrasi per indicare Dio
53. «beata e bella»: allitterazione
56. «soave e piana»: endiadi
123. «ardire e franchezza»: endiadi
IL TERZO CANTO DELL’INFERNO
I primi due canti della Divina Commedia fungono da introduzione, rispettivamente, al poema il primo, e alla
cantica il secondo.
Nel terzo canto dell’inferno di Dante, ci troviamo invece finalmente nell’Oltretomba, e a darci il benvenuto è
nientemeno che la porta infernale, che reca sulla sua sommità una minacciosa scritta.
Il luogo di ambientazione del canto, nello specifico, è quello dell’ Antinferno (=Vestibolo), connotato
dall’oscurità e dal terribile riecheggiare di lamenti, urla e pianti. A popolarlo sono gli ignavi, coloro cioè che
nella vita non sono stati in grado di prendere posizione, macchiandosi così irrimediabilmente di viltà.
Pur non essendo propriamente dannati. Il Vestibolo, infatti, è il luogo che precede l’Inferno, dove le anime
sono condannate ad una severa pena.
Non si tratta, però, delle uniche anime che incontriamo all’interno del terzo canto dell’Inferno. Vi sono,
infatti, anche i dannati che attendono sulla riva dell’Acheronte di essere trasportati verso l’Inferno vero e
proprio. A traghettarli è Caronte, figura demoniaca di reminiscenza virgiliana.

Tempo
Siamo nel 1300, probabilmente nella sera dell’8 aprile (venerdì santo); secondo altre interpretazioni
potrebbe trattarsi della sera di venerdì 25 marzo.
Luogo
L’Antinferno. Si tratta di un luogo eternamente buio dove si odono «sospiri, pianti e alti guai». A delimitare
l’Antinferno vi è il fiume Acheronte, dalle acque scure e melmose; alla sponda opposta si trova l’Inferno.
Personaggi
- Dante;
- Virgilio;
- Le anime degli ignavi, tra le quali Dante riconosce «colui che fece per viltade il gran rifiuto» (Papa
Celestino V);
- Caronte, il nocchiero che traghetta le anime dannate oltre il fiume dell’Acheronte, per accompagnarle
all’Inferno vero e proprio. Si tratta di un demonio;
- Le anime dannate che attendono di essere trasportate dalla riva dell’Antinferno a quella dell’Inferno;
Colpa
La colpa qui punita è l’ignavia. Gli ignavi solo coloro che non hanno saputo prendere posizione in vita, né
verso il bene né verso il male, agendo in maniera vile.
Pena
Due pene spettano agli ignavi: - dal momento che in vita non hanno seguito alcun ideale, ora sono
costretti a correre incessantemente nudi dietro a un’insegna priva di
significato, punti senza sosta da vespe e mosconi;
- così come la loro esistenza è stata ripugnante, a raccogliere il loro
sangue e le loro lacrime ci sono dei vermi ripugnanti;

Nella sua materia narrativa, il terzo Canto dell'Inferno è quindi suddivisibile in tre sezioni:
1. La porta dell’Inferno, che segna l’ingresso vero e proprio all’interno della tematica infernale. Voluta e
creata dalla Trinità, la porta sancisce l’immutabilità della condanna divina, non permettendo ad alcuna
anima di tornare indietro una volta varcata la sua soglia;
2. L’incontro con le anime degli ignavi, per cui Dante nutre profondissimo disprezzo, al punto tale che, oltre
alla descrizione della loro colpa e della loro pena, non è dato loro alcuno spazio di intervento e di
interazione;
3. La figura di Caronte, vero protagonista del terzo Canto, dalla duplice funzione didattica e profetica;
Il canto è, inoltre, il più fitto di echi virgiliani di tutta la Commedia.
I PERSONAGGI
Oltre a Dante e Virgilio, l’unico personaggio a cui, nel terzo Canto dell’Inferno, l’autore ritaglia uno spazio
considerevole è Caronte, il traghettatore delle anime dannate.
È una figura appartenente alla mitologia pagana: figlio di Erebo di Notte egli è tradizionalmente lo
psicopompo dell’Ade, colui cioè che sulla sua imbarcazione
trasporta i defunti attraverso l’Acheronte, il fiume che
divide il mondo dei vivi da quello dei morti.
Dante lo sceglie facendo riferimento al più illustre precedente in tal senso, quasi ad omaggiarlo.
Stiamo parlando di Virgilio, il quale inserisce la figura di Caronte nel VI libro dell’Eneide, in occasione della
discesa agli inferi di Enea.
La sua raffigurazione all’interno della Commedia è largamente attinta alla descrizione virgiliana del
nocchiero: vecchio canuto e con gli occhi di fuoco.
Dante, però, ne accentua i tratti demoniaci, lo rende più aggressivo nel suo rivolgersi alle anime, donandogli
una connotazione molto meno neutrale. La demonizzazione di Caronte è in linea con le interpretazioni che i
Padri della Chiesa davano delle figure del mito classico. Egli diventa così una figura diabolica, un essere
furioso il cui carattere principale è l’odio che nutre verso sé stesso e verso le anime.
Caronte assume anche un’importantissima funzione didattica e profetica. Egli, infatti, da una parte è utile in
chiave narrativa, in quanto ribadisce alle anime, e al lettore, ciò in cui si imbatteranno una volta arrivati nel
regno infernale. Dall’altra egli profetizza a Dante il suo futuro approdo al Purgatorio e, di conseguenza, la
salvezza della sua anima.

IL TERZO CANTO
Versi 1-21. Dante e Virgilio arrivano davanti la porta dell’Inferno che, sulla sommità reca un’iscrizione
minacciosa in caratteri scuri: viene messo in guardia chi la varca, spiegando che sul luogo in cui
sta per entrare regna l’eterna sofferenza e che non vi è speranza di uscirvi.
Dante, tentennante, viene condotto da Virgilio attraverso la porta.
Versi 22-69. Varcata la soglia, Dante è travolto da un terribile mescolarsi di pianti, voci, lamenti, urla. Virgilio
gli spiega che ad emettere quei suoni sono gli ignavi, le anime di coloro che in vita hanno
peccato di viltà, non schierandosi mai né dalla parte del bene né da quella del male. La loro
punizione è quella di correre continuamente dietro a un’insegna senza significato ed essere
punzecchiati senza sosta da vespe e mosconi: il sangue che esce dai loro volti viene raccolto da
orripilanti vermi. Tra queste anime, Dante scorge quella di «colui che fece per viltade il gran
rifiuto».
Versi 70-120. Dante scorge poi altre anime, ammassate sulla riva di un fiume: si tratta delle anime dannate
che, disposte lungo l’Acheronte, aspettano di essere portate verso l’altra sponda, laddove
comincia l’Inferno. A traghettarle c’è Caronte, il nocchiero che appare a Dante in tutta la sua
vecchiaia e che intima il poeta di andar via, rivolgendogli parole ingiuriose. È Virgilio a zittire il
demone, ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio; tanto basta a calmare Caronte.
Le anime, accalcate lungo la sponda, si gettano dalla riva alla barca e, quando il nocchiero
ancora non è arrivato alla meta opposta, sulla riva si è formata una nuova schiera.
Versi 121-136. Virgilio spiega a Dante che non deve prendersela per le parole di Caronte. Nessuna anima in
grazia di Dio può essere traghettata all’altra riva, e quindi la rabbia del nocchiero significa che
l’anima del poeta è salva. Improvvisamente, il suolo infernale è scosso da uno spaventoso
terremoto accompagnato da un lampo rossastro. Dante perde i sensi e sviene a terra.

LA PORTA DELL’INFERNO
Il primo “personaggio” a fare realmente ingresso all’interno del terzo Canto dell’Inferno è la porta d’accesso
al primo dei regni dell’Oltretomba.
Quasi personificato, è l’oggetto stesso a “parlare”, avvisando, attraverso una scritta posta sopra di esso, che
si sta per accedere al luogo dell’«etterno dolore» e che, una volta entrati, non vi è alcuna speranza di
tornare indietro.
Nell’incisione viene inoltre specificato che, a creare la porta, è stato Dio stesso, nelle sue tre manifestazioni:
Padre (suprema Potenza), Figlio (suprema Sapienza) e Spirito Santo (supremo Amore).
Dante recupera l’idea della porta di ingresso agli inferi da una lunga tradizione classica e religiosa. Due, nello
specifico, sono i precedenti più palesi:
- il profeta Isaia: «A metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi»;
- l’evangelista Matteo: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla
perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa»;
- Virgilio (Eneide);
La scritta sulla porta, invece, ha una doppia derivazione:
- l’uso, attestato nell’antichità, di porre iscrizioni sui manufatti che indicassero l’artigiano artefice degli stessi;
- le epigrafi poste alle porte di alcune città medievali che contenevano messaggi di augurio o di
avvertimento;

LA LEGGE DEL CONTAPPASSO


Alle anime degli Ignavi, pur non trattandosi propriamente di dannati, Dante infligge una dura pena. Quella
di correre incessantemente, nudi, dietro un’insegna priva di significato, tormentati dalle punture di vespe e
mosconi fino a sanguinare. Il loro sangue è, infine, raccolto da vermi raccapriccianti che si muovono ai loro
piedi.
La descrizione della pena risulta sempre molto realistica, ricca di particolari duri, crudi e spesso ripugnanti.
Le condanne scelte da Dante per le anime peccatrici dell’Oltretomba seguono tutte una regola ben precisa,
che il poeta riprende dalla Bibbia e dalla giurisprudenza medievale. Si tratta della cosiddetta legge del
contrappasso, secondo la quale le pene vengono distribuite in rapporto ai peccati commessi in vita.
Due sono le tipologie: - contrappasso per analogia: la pena è simile al peccato (ad esempio: come in vita la
loro esistenza è stata ripugnante, perché priva della
scelta che dà significato all’agire dell’essere umano, così
a raccogliere il loro sangue e le loro lacrime ci sono dei
vermi ripugnanti);
- contrappasso per contrasto: la pena rovescia le caratteristiche del peccato (ad
esempio: come in vita non sono stati in grado di seguire
alcun ideale, così gli ignavi ora sono costretti a correre
incessantemente nudi dietro a un’insegna priva di
significato);

FIGURE RETORICHE NEL CANTO TERZO DELL’INFERNO


1-3. «Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente»:
anafora
5. «divina podestate»: perifrasi per indicare Dio Padre
6. «somma sapienza»: perifrasi per indicare Dio Figlio
6. «primo amore»: perifrasi per indicare Dio Spirito Santo
8. «se non etterne, e io etterno duro»: forma secondaria di anadiplosi
12. «duro»: rima equivoca con «duro»
22. «sospiri, pianti e alti guai»: climax ascendente
59-60. «colui che fece per viltade il gran rifiuto»: perifrasi per indicare probabilmente Papa Celestino V
79. «vergognosi e bassi»: endiadi
93. «legno»: sineddoche per indicare l’imbarcazione
99. «di fiamme rote»: anastrofe
112-117. «Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo vede a la terra tutte le
sue spoglie, similemente il mal seme d’Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come
augel per suo richiamo»: similitudine
IL QUARTO CANTO DELL’INFERNO
Il quarto canto è sereno e malinconico al tempo stesso: è pervaso da un’atmosfera delicata e quasi
purgatoriale. Interrompe la visione drammatica dei primi tre canti e la successiva serie di canti che
proseguono con ritmo e intensità tali che il lettore se ne sente soggiogato.
Qui c’è il tempo per un racconto più disteso e per un omaggio a uno dei dubbi teologici più profondi di
Dante: l’assenza del battesimo, è peccato? No. È solo una colpa punita secondo la Chiesa.
Dante obbedisce alla dottrina, ma almeno toglie il terrore della buia campagna solcata da sinistri bagliori e
rintronata da pianti dolorosi e da grida blasfeme degli ignavi costretti a correre senza scopo e ci immerge in
un’aura in cui sospirano di un desiderio inesaudibile donne, uomini e bambini non battezzati. Poco più
avanti eccoci davanti agli spiriti sapienti. Dove siamo? Siamo in un luogo dove si soffre per un’assenza,
quella di Dio, qui sentita in modo ancora più struggente.

UN GRANDE PROBLEMA TEOLOGICO: LE ANIME NON BATTEZZATE NEL LIMBO


Il Limbo nasce per rispondere a un problema che la gente comune sentiva, esattamente come in fondo
nacque il Purgatorio. Dove vanno le anime di coloro che non hanno potuto liberarsi in tempo, attraverso il
battesimo, del peccato originale? Le scritture parlavano chiaro: «Se uno non sarà rinato nell'acqua e nello
Spirito Santo, non potrà entrare nel Regno di Dio.» «Chi crederà e si battezzerà sarà salvo».
Dunque queste anime non possono accedere al Paradiso e al Purgatorio e pertanto dovevano finire
nell’Inferno, secondo logica, ma ci vollero ben tre Concilii per stabilirlo. Fu così che l’incertezza teologica
generò probabilmente dapprima l’esigenza di battezzarsi il prima possibile e venne ideato il Limbo dei
bambini, che non fa parte della dottrina ufficiale della Chiesa.

LA STRUTTURA DEL LIMBO


Nell'ambito di questa dottrina Dante ha inventato la sua soluzione con una sua avvertita e calcolata libertà:
il Limbo è il primo cerchio dell'Inferno, in quanto l'esclusione dalla vista di Dio è di per se stessa già male
massimo, ma non fa parte dell'Inferno vero e proprio: infatti Minosse, giudice infernale compare
volutamente al canto successivo, ed è quindi sottratto alla giurisdizione di Lucifero.
Da un punto di vista spaziale, Dante rispetta la suddivisione in due sezioni de Limbo:
1. il Limbo degli infanti e della folla anonima di uomini e donne in difetto delle oggettive condizioni
necessarie alla salvazione;
2. il Limbo degli illustri (Limbus famae) suddivisibile a sua volte in due sezioni:
2a. illustri per vari titoli e meriti, elencati quasi alla rinfusa secondo il sincretismo proprio della cultura
medievale, personaggi di varia provenienza e molti già nominati nell’Eneide;
2b. sapienti veri e propri;

I PERSONAGGI
Si tratta di un canto molto affollato: filosofi, poeti, medici, astronomi, comandanti, eroi… Ci sono tutte le
grandi anime del mondo antico i magnanimi, molti dei quali come abbiamo visto sono filosofi: Aristotele,
Socrate, Platone, Seneca, Talete, Anassagora, Democrito, Empedocle…
I personaggi del mondo antico incontrati da Dante nel senso in cui siamo abituati nella Commedia sono i
poeti antichi che lo accolgono nel loro cenacolo: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano che, insieme a Virgilio,
rappresentano un ideale letterario e un modello a cui rifarsi.

LA SIMBOLOGIA DEL CASTELLO NEL CANTO IV DELL’INFERNO


Dopo questo interludio, ci si avvia al Castello dei Sapienti che viene descritto con un numero simbolico
(sette mura, sette porte). I numerosi abitanti sono indicati dal poeta con una lunga elencazione, che
sottolineano l’ampiezza dello scibile umano e il suo modo di porsi a servizio della verità. Perché il castello?
Dante pensa in modo medievale e per lui il segno di forza e di impero si concretizza nel castello. Vediamo
più da vicino la simbologia. Dante nel Convivio affermava: «è nobiltade ovunque è virtude».
Virtù e nobiltà sono il segno distintivo di queste grandi anime e Dante istituisce per loro un castello, bello e
nobile, con sette cerchia di mura e con sette porte, numeri simbolici dai tanti rimandi come le arti del Trivio
e del Quadrivio, oppure la ripartizione della filosofia: Fisica, Metafisica, Etica, Politica, Economia,
Matematica, Dialettica; oppure le sette virtù liberali.
Qui i sapienti riposano e riflettono sul mondo e sulla bellezza. Tra questi Dante colloca anche il suo adorato
maestro. E qui c’è luce, sebbene non sia la luce di Dio, ma la luce della loro stessa sapienza che irradia il suo
bagliore. Per un attimo abbiamo l’impressione di essere in un luogo quasi felice, non più il «Carcere cieco»,
ma piuttosto la distesa dei Campi Elisi, che Dante attualizza nella sua opera. Il limbo è come un purgatorio
che non prelude l’incontro con Dio, un’attesa che è destinata a restare frustrata per l’eternità.

IL QUARTO CANTO
Versi 1-12. Un gran tuono risveglia il poeta. Il quale si guarda intorno e si accorge di essere aldilà
dell’Acheronte, sull’orlo della voragine infernale buia e nebulosa.
Versi 13-45. Virgilio spiega che è il momento di proseguire; è pallido, perché conosce bene il tormento del
luogo in cui si trovano. Il pallore di Virgilio è simbolo di pietà. Lentamente si avverte la presenza
delle anime attraverso i loro sospiri che echeggiano in modo spettrale attraverso la nebbia.
Virgilio spiega a Dante dove si trovano, sorpreso che non sia stato il discepolo per primo a
porgere la domanda.
Versi 46-63. Dante rivolge una domanda particolare a Virgilio: chiede se mai qualcuno sia uscito dal Limbo,
per avere conferma della propria fede; Cristo, infatti, era sceso agli inferi tra la morte e la
resurrezione. Virgilio dà conferma e spiega al discepolo che Cristo era sceso e aveva fatto uscire
i grandi padri dell’Antico Testamento.
Versi 64-105. Entrano in scena i grandi poeti dell’antichità: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano. Virgilio si accosta
a loro e discorre amabilmente. I poeti invitano Dante a intrattenersi con loro e a discorrere.
Dante si avvicina “sesto” poeta del gruppo e dice che non dirà quel che si sono detti.
Versi 106-114. Descrizione del nobile castello.
Versi 114-151. L’ingresso nel Castello dei Sapienti dove vengono mostrate a Dante tutte le grandi personalità
del passato. Tutte sono serene, ma dal volto austero. Qui incontriamo filosofi e politici, ma
anche personaggi della mitologia. Usciti dal Castello, la compagnia di poeti si separa e Dante
e Virgilio proseguono oltre.

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