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Le origini del sistema solare

La teoria ormai accettata circa l’origine e l’evoluzione del Sistema Solare è sostanzialmente (come
idea di partenza) quella di Kant (1755) e Laplace (1796): una nube di gas e polveri che, sotto
l’azione della gravità, tende a condensarsi. E’ importante sottolineare il duplice aspetto della teoria
che deve spiegare la nascita del Sistema Solare: da una parte vi è un problema astrofisico (correlato
alla formazione della stella Sole, da risolvere alla luce delle teorie e dei modelli stellari) e dall’altra
parte un problema planetologico (da risolvere alla luce dello studio dei meteoriti, delle superfici e
degli interni dei pianeti).
E’ significativo anche porre in evidenza due difficoltà di fondo, vale a dire il fatto di avere a
disposizione solamente il nostro Sistema Solare quale fonte di informazioni ed il fatto che ci è quasi
del tutto sconosciuto il suo stato iniziale. Queste due difficoltà ci pongono in una situazione
profondamente diversa e più complicata di quella che si incontra nell’analisi dell’evoluzione
stellare. Lo studio dell’evoluzione stellare ha la possibilità di guardare sia nel passato sia nel futuro:
si possono, cioè, osservare stelle in diverse fasi della loro evoluzione ed in tal modo verificare le
ipotesi formulate. Nel caso dell’analisi dell’evoluzione planetaria, invece, si ha a disposizione
soltanto il nostro sistema planetario, ed in esso, inoltre, è possibile individuare pochi relitti delle
epoche passate.
Ma vi sono anche due importanti evidenze relative all’origine comune del Sole e dei pianeti:
1) il Sistema Solare è sostanzialmente isolato, dato che la distanza della stella più vicina è maggiore
di un fattore 5x104 rispetto alle dimensioni della zona planetaria.
2) la maggioranza dei corpi maggiori che compongono il Sistema Solare ha orbite che giacciono su
un piano comune e le percorre nello stesso senso.

Dalle considerazioni fatte, appare evidente il


fatto che la genesi di un sistema planetario e
la sua evoluzione dipendano in modo
sostanziale dalle fasi evolutive della stella ad
esso associato.
Un dato ormai condiviso da tutti è che il
processo di formazione stellare avvenga
all’interno delle nubi molecolari giganti
(prevalentemente composte da H2 per decine
di migliaia o anche milioni di masse solari a
temperature di pochi Kelvin): le parti più
dense di queste strutture si suddividono in
nubi più ridotte, di massa compresa tra 0.01
e 100 masse solari, che cominciano a
contrarsi per autogravitazione . Non è ancora stato identificato con certezza, a questo proposito, il
meccanismo che rompe il sostanziale equilibrio della nube e innesca il processo di collasso, anche
se è ormai unanimemente accettata l’ipotesi di Lin delle “onde di densità” associate alla struttura a
spirale della Galassia ed è riconosciuto il ruolo determinante delle esplosioni di supernova.
In ogni caso, con il sopravvento della gravità (fisicamente garantito solo se la massa coinvolta
supera il valore critico dato dalla massa di Jeans), la materia “cade” verso il centro della nube in un
tempo dell’ordine di 105 anni.
Si origina così una protostella: un corpo dotato di luminosità decine di volte superiore a quella
solare, la cui presenza può, però, essere rilevata solamente da osservazioni IR. La radiazione
emessa, infatti, viene rapidamente assorbita dall’involucro di polveri che ancora circonda la
protostella e riemessa nella zona IR dello spettro. Stando ad un recente lavoro di Mannings ed
Emerson (1994), le osservazioni nel dominio millimetrico, oltre che rivelarci stelle nelle fasi
iniziali, potrebbero anche darci la prova dell’esistenza di strutture a disco attorno a queste
protostelle, possibili sedi del meccanismo di formazione di un sistema planetario. Associata alla
fase di protostella, infatti, se la materia in caduta è dotata di un moto di rotazione vi è la formazione
di un disco nel quale gli attriti facilitano lo smaltimento del momento angolare in eccesso e si attiva
un processo di aggregazione tra le polveri.
Alcuni attribuiscono proprio all’interazione tra un disco di accrescimento ed il campo magnetico di
una protostella tutti i fenomeni tipicamente collegati alle T-Tauri, fenomeni che precedenti teorie
non erano riusciti a spiegare in modo completo .
Il primo riscontro osservativo della teoria del disco di polvere attorno ad una stella quale primo
passo di una possibile formazione planetaria è la scoperta (nel 1984) del disco di polvere attorno a b
-Pictoris, stella di sequenza principale distante da noi circa 50 anni luce. Il disco si estende per oltre
200 U.A. dalla stella centrale e le sue parti più interne contengono poca polvere, che,
probabilmente, si è già aggregata sotto forma di pianeti.
La più recente evidenza osservativa della presenza di un disco di polvere attorno ad una stella si è
avuta per HL Tauri ed il diametro della struttura è stato stimato in circa 150 U.A. La stella centrale
dovrebbe avere un’età di circa 300 mila anni ed una massa di 0,7 Masse solari: i ricercatori
responsabili della scoperta suggeriscono che il disco di HL Tauri sia un ottimo esempio di ciò che
fu il nostro Sistema Solare in formazione.
Attualmente, comunque, la presenza di dischi
protoplanetari attorno a giovani stelle è ormai un dato di
fatto, confermato da diverse osservazioni tra cui, ad
esempio, quattro giovani stelle della Nebulosa di Orione.
Il processo di formazione di un disco sfocerebbe
gradualmente nella formazione di varie masse sferiche
(planetesimali): si ipotizza che per giungere a formare
oggetti con dimensioni dell’ordine di 1 km sia necessario
un tempo di circa 104 anni . Il gradiente termico
giocherebbe in questa fase un ruolo importantissimo
concentrando nei corpi più prossimi alla stella i materiali
con densità più elevata e relegando in quelli più lontani i materiali volatili.
Il passo successivo può essere identificato con alcuni dei fenomeni osservati nelle stelle di tipo T-
Tauri: per cause ancora ignote si arresta l’accrescimento di materia sulla protostella e si sviluppa un
potente “vento stellare” (con velocità dell’ordine di alcune centinaia di km/sec e portata di miliardi
di tonnellate/sec) in grado di spazzare le polveri residue della nebulosa iniziale. L’origine di questo
vento stellare è probabilmente da ricercarsi nella accensione del deuterio: si attivano, cioè, le
reazioni nucleari tipiche delle stelle.
Si devono associare a questa fase dell’evoluzione stellare anche gli oggetti di
Herbig-Haro, caratterizzati dall’emissione di intensi getti di gas dalle regioni
polari, e le stelle di tipo FU-Orionis, che presentano in modo molto più
accentuato i violenti fenomeni eruttivi tipici delle stelle T-Tauri.
Lo scenario finale, dunque, è quello di una stella all’inizio della sua
evoluzione (fase zero del diagramma H-R o, se si preferisce, stadio finale dell’evoluzione di pre-
sequenza principale) attorno alla quale gravitano dei corpi celesti di dimensioni diverse: tra questi
planetesimali inizia un complesso processo di accrezione e collisione nel quale giocano un ruolo
fondamentale le perturbazioni gravitazionali generate dai corpi con massa maggiore.
Sempre tenendo ben presenti le precauzioni già evidenziate allorché si operino delle
schematizzazioni, il processo di formazione del Sistema Solare può essere riassunto nelle seguenti
fasi:
Fase “zero”
Inizio dell’addensamento gravitazionale: si parte da una nube interstellare
(composta per il 70% di H, il 27% di He e per il restante 3% di elementi più
pesanti) la cui situazione di equilibrio viene perturbata da un fattore esterno.
Non è certamente azzardato affermare che la nebulosa primordiale non doveva
essere di grande massa e neppure essere dotata di moto rotazionale elevato;
queste due caratteristiche, infatti, resero possibile il fenomeno di addensamento
centrale, impedendo, cioè, quel frazionamento della nebulosa che sarebbe
sfociato nella nascita di un sistema stellare binario.
A proposito della causa perturbatrice responsabile dell’innesco del meccanismo di autogravitazione,
già si è avuto modo di dire che, oltre l’onda di densità di Lin, si può ragionevolmente ipotizzare una
vicina esplosione di supernova: con tale ipotesi si potrebbe giustificare la presenza di alcuni isotopi
la cui sintesi difficilmente si potrebbe spiegare in altro modo.
Ad ogni buon conto ha inizio il collasso gravitazionale, assicurato dalla presenza di materia in
quantità sufficiente a garantire la massa di Jeans.

Fase 1
Collasso della materia della primordiale nebulosa solare (gas e polvere) in
un disco rotante (dissipazione di momento angolare) e conseguente
condensazione di piccole particelle (formazione dei granuli). Ripetuti episodi
di condensazione ed evaporazione possono spiegare le inclusioni refrattarie di
CAI (calcio-alluminio intrusion) rilevate in alcune meteoriti. Sono queste
inclusioni gli oggetti più antichi dei quali è stato possibile stabilire una datazione (meteorite
Allende), stimata in circa 4560 milioni di anni; ed è a tale epoca cui, solitamente, ci si riferisce
quale istante To per il Sistema Solare.
Considerando la composizione attuale del Sistema Solare interno, sembra che gli elementi
condensatisi per primi siano Ferro, Nickel e silicati di Ferro e Magnesio; nelle regioni più esterne
della nebulosa, a temperature inferiori, il nocciolo della condensazione era costituito da ghiaccio
d’acqua e ghiacci di acqua/ammoniaca.
Il ritmo di crescita è quantificato nell’ordine di centimetri per anno per i minerali più abbondanti;
considerando la condensazione del Ferro nella regione terrestre viene suggerita la condensazione di
granuli con raggio di alcuni centimetri in tempi di una decina d’anni.

Fase 2
Contemporaneamente alla fase di condensazione in granuli inizia la caduta delle particelle verso il
piano mediano della nebulosa con la conseguente formazione di un sottile e denso disco di
polveri. E’ in questo disco di materia formatosi nel piano centrale durante la fase di condensazione
che si sviluppano le instabilità gravitazionali responsabili dei fenomeni successivi; i valori dei
parametri fisici caratteristici sono, indicativamente, di 700 °K per la temperatura e 7.5x10-10 g/cm3
per la densità del gas .
Si verificano episodi di fusioni che coinvolgono metalli e silicati e che
possono spiegare la formazione di condruli; con questo termine si indicano
le inclusioni sferoidali, tipicamente di circa 0.5-1.5 mm, presenti nei
meteoriti condritici e composti in genere di olivina (silicato di Fe e Mg). Il
modello ritenuto più plausibile per la formazione di tali strutture prevede
la presenza di flares nebulari, analoghi alle protuberanze normalmente
osservate sul Sole. Questi eventi altamente energetici avrebbero caratterizzato le zone situate al di
fuori del piano mediano della nebulosa con rilascio praticamente istantaneo di enormi quantitativi di
energia (circa 1032 erg) immagazzinata nelle linee di campo magnetico sottoposte a distorsione. La
rapidità del fenomeno (i tempi ipotizzati sono dell’ordine di 0.1 sec) e le alte temperature associate
sarebbero in grado di spiegare efficacemente sia la formazione dei condruli sia le loro ridotte
dimensioni.
Il fatto che i condruli siano così comuni è una prova che in quel periodo la nebulosa solare era
caratterizzata da rimescolamenti violenti, riconducibili alla necessità di dissipare considerevoli
quantità di energia.

Fase 3
Aggregazione delle polveri in planetesimali per mezzo di collisioni a bassa velocità.
Inizia in questa fase il bruciamento dell’H ed il proto-Sole inizia la fase T-Tauri e FU-Orionis che
ha una durata di circa 106 anni.
Ad una distanza di circa 4 U.A. si può situare la snow-line, la linea
immaginaria in corrispondenza della quale avviene la condensazione del
ghiaccio d’acqua, fenomeno in grado di accrescere la densità locale della
nebulosa planetaria incrementando notevolmente il ritmo di accrezione. Non
è ancora certo se il meccanismo della snow-line sia stato attivo solamente
per la formazione planetaria nella regione di Giove oppure se vi siano stati
altri siti in cui meccanismi analoghi abbiano fatto da catalizzatore della fase di accrezione. Certo è,
invece, che tale meccanismo operante nella regione posta a circa 4 U.A. dal Sole e che porterà alla
formazione di Giove ha influenzato pesantemente (e lo vedremo in seguito) l’evoluzione successiva
di tutto il Sistema Solare.
Un secondo dato certo è che questi primi stadi della formazione dei pianeti si sono svolti sullo
sfondo di una luminosità molto più elevata di quella attuale.
Tutto il gas presente (H, He ed altri) viene rimosso dalla regione interna (vento T-Tauri) lasciando
solamente i planetesimali di una certa massa già formati. La massa originaria della nebulosa è
stimabile (Hoyle, 1979) in almeno 1750 masse terrestri, delle quali circa 1300 costituite da H ed He
sono in qualche modo andate perdute.

Fase 4
Nella zona dove il ghiaccio d’acqua diventa stabile, a circa 5 U.A. dal Sole, si colloca l’accrezione
di Giove che raccoglie anche parte dei gas espulsi dalla zona interna. L’accrezione del nucleo
del proto-Giove deve essere avvenuta in un tempo di 105-106 anni ed altrettanto tempo è servito per
la sua formazione definitiva: l’intero processo, comunque, si deve essere svolto prima che il gas
venisse completamente dissipato. Accezione. Dunque Giove è un vero e proprio pianeta e non una
stella mancata: la sua origine è da ricercarsi in meccanismi di accrezione e non direttamente dal
frazionamento della nebulosa originaria. E’ importante ancora una volta
evidenziare che la formazione rapida di Giove è certamente stato l’evento più
importante per il Sistema Solare in formazione, un evento in grado di
condizionare pesantemente le successive fasi evolutive.
E’ riconducibile a questa fase anche la formazione dei nuclei di Saturno,
Urano e Nettuno, la cui formazione, però, avviene molto più lentamente.
Saturno impiega un tempo due volte più lungo di Giove: a differenza di Giove, inoltre, ha un asse di
rotazione inclinato rispetto al piano dell’orbita, chiara indicazione che si deve essere condensato da
più di un corpo di grandezza considerevole.
Urano completa l’accrezione in circa 107 anni e Nettuno nel doppio di questo
tempo; la formazione di questi due pianeti deve certamente essere avvenuta quando
ormai buona parte di H ed He erano sfuggiti dal Sistema Solare.
La formazione di Urano e Nettuno assomiglia a quella dei pianeti di tipo terrestre,
dunque è profondamente differente da quella di Giove e Saturno, formatisi in
presenza di un grande quantitativo di H ed He.
Fernandez e Ip (1983) collocano in questa fase l’origine di planetesimali che, immessi in orbite
molto eccentriche dall’azione dei nuclei iniziali di Nettuno e Urano, avrebbero poi costituito sia la
Nube di Oort sia una fascia cometaria trans-nettuniana (seguendo in ciò le
teorie avanzate negli anni ‘50 da Edgeworth e Kuiper).
L’analisi numerica dei processi di accrezione dei planetesimali associati
alla formazione di Urano e Nettuno porta Fernandez e Ip a concludere che:
1. Il principale responsabile dell’immissione di oggetti nel serbatoio
cometario è con molta probabilità Nettuno, in quanto l’influenza di Urano è
largamente inibita dall’azione gravitazionale di Giove e Saturno. Questi
ultimi, inoltre, sono caratterizzati da scarsa efficienza nel lanciare corpi
nella regione di Oort, mentre sono più efficienti nell’immissione di “cometesimali” in orbite
iperboliche.
2. Un significativo numero di corpi (per una massa complessiva dell’ordine di alcune masse
terrestri) potrebbe essere stato immesso in questa fase nella regione dei pianeti interni.
Le comete così come le osserviamo sono pertanto una caratteristica di un sistema planetario già
formato, chiaro indizio che già si sono verificati due fatti significativi, vale a dire la condensazione
dei ghiacci all’interno della nebulosa e la presenza di corpi in grado di lanciare questi oggetti su
vaste orbite intorno alla stella centrale.
A proposito ancora della formazione di Giove è significativo riportare un recente studio di F.
Marzari e S. J. Weidenschilling che intende spiegare l’evidenza osservativa di pianeti di massa
elevata posti a piccola distanza dalla rispettiva stella, situazione difficilmente comprensibile
ricorrendo allo scenario delle snow-lines non solo per le temperature elevate (circa 1000 °K ad 1
U.A.), ma anche per la carenza di materiale a disposizione (si tenga conto, a questo proposito, che i
cosiddetti giganti gassosi sono costituiti per l’80-90% da H ed He).
Nella tabella seguente sono riportate le scoperte di pianeti extrasolari le cui
strutture e composizioni chimiche dovrebbero essere molto simili a quelle di
Giove e Saturno, sono associati a stelle di tipo spettrale molto simile al
nostro Sole ma hanno un’orbita molto vicina alla loro stella:
L’ipotesi avanzata è che tali pianeti si siano formati nelle regioni più esterne
delle nebulose di origine e siano poi stati dirottati in orbite più interne da
meccanismi dinamici estremamente efficienti riconducibili alle interazioni tra più oggetti massicci.
Ipotizzando la formazione contemporanea di più planetesimali giganti collocati a distanze
reciproche di 2-3 U.A. si avrebbe come immediata conseguenza lo scatenarsi nel sistema di forti
perturbazioni gravitazionali, operanti su tempi dell’ordine del milione di anni, che renderebbero
veramente caotica l’evoluzione orbitale rendendo possibile sia la collocazione di pianeti giganti in
orbite prossime alla stella centrale sia fenomeni di espulsione su orbite iperboliche.
Un aspetto da non sottovalutare è che una evoluzione dinamica di questo tipo porterebbe con se
quale inevitabile conseguenza uno “svuotamento” del sistema planetario in formazione con
l’inibizione alla formazione di pianeti dotati di massa terrestre.
Fase 5
Formazione dei pianeti di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra e
Marte) in tempi di 107-108 anni.
E’ ragionevole ipotizzare, tra questi, la situazione “disagiata” di Mercurio e
Marte: il primo risente della vicinanza del Sole ed il suo accrescimento si
sviluppa in una zona molto povera di materiale; il secondo risente dell’azione di svuotamento
esercitata da Giove nella zona della Fascia Principale degli asteroidi.
Tale azione di svuotamento era duplice: da un lato l’acquisizione e l’inglobamento di planetesimali
qui sviluppatisi, dall’altro lato la loro espulsione dalla suddetta zona.

Fase 6
Formazione dei sistemi satellitari e dei sistemi di anelli attraverso meccanismi secondari di
accrezione, cattura di planetesimali già formati ed episodi collisionali.
Talvolta, in una concezione quasi frattale del nostro Sistema Solare cara anche allo stesso Galileo,
si può essere indotti a considerare i sistemi satellitari come dei sistemi solari in miniatura, quasi una
sorta di inevitabile conseguenza dei meccanismi evolutivi di un pianeta. E’ certamente vero che la
formazione dei satelliti può essere considerata quasi un sottoprodotto della genesi planetaria, ma è
altrettanto vero ed evidente che le possibili varianti alla formazione satellitare sono davvero
molteplici, paradossalmente una per ogni satellite.
Si colloca in questa fase anche la formazione della
Luna riconducibile ad un impatto con un planetesimo
di dimensioni paragonabili a quelle di Marte, evento
databile 4.4 miliardi di anni fa.
Episodi analoghi hanno coinvolto anche altri pianeti:
a seguito di un impatto Venere potrebbe aver invertito
il senso di rotazione e, sempre per un impatto
violento, Mercurio potrebbe essere stato privato del
mantello di silicati. Le collisioni hanno inoltre
caratterizzato e continuano a caratterizzare
l’evoluzione dei corpi della fascia asteroidale.
A 108 anni dalla separazione iniziale della nebulosa, il
Sistema Solare aveva completato il suo processo
formativo ed iniziava per i corpi che si erano formati la lenta modificazione superficiale ad opera
sia degli episodi impattivi anche estremamente violenti, sia di cause endogene.
Si innescava anche quel processo di formazione-distruzione delle atmosfere planetarie; quelle
attuali, infatti, non sono le atmosfere originarie (almeno nei pianeti di tipo terrestre) ed è molto
probabile che drastiche variazioni della composizione atmosferica siano stati episodi frequenti
nell’evoluzione planetaria, proprio quali conseguenze di eventi impattivi giganti. Il periodo di
queste drastiche modificazioni atmosferiche va collocato circa 3.8 miliardi di anni fa, in
coincidenza con il momento di maggiore bombardamento; in seguito le atmosfere dei pianeti
terrestri sono state sufficientemente stabili e non hanno più risentito di massicci fenomeni di
rimozione, ma hanno, ciascuna per conto suo, seguito percorsi evolutivi indipendenti risultando in
tal modo uniche. Per quanto riguarda la Terra, un aspetto correlato alla costruzione dell’attuale
atmosfera è quello dell’identificazione dell’origine dell’acqua presente sulla superficie del nostro
pianeta, cosa che tratteremo più avanti in questo lungo viaggio nell’universo alla ricerca della vita.

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