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A.S.

2018/2019

Appunti di

Istituzioni
di
Astrofisica

Tratti dalle lezioni del docente Valerio Pirronello


A cura di Martina Crupi e Marco Sortino
08/10/2018, Lezione 1

Tutto l’universo è il laboratorio più grande che abbiamo: qualunque cosa non sia proibita dalle leggi fisiche
nell’universo, da qualche parte o in qualche istante, accadrà o è accaduta o avviene ora.

Introduzione:

Per certe stelle o anche nelle regioni interne di stelle come il sole (quando sarà evoluta fuori dalla
cosiddetta sequenza principale), le condizioni di compressione saranno tali che la reazione al peso
sovrastanti verrà data da una pressione detta di gas degenere. Il gas degenere è detto così perché non si
comporta come i gas normali, in cui la pressione cresce all’aumentare della temperatura, ma al contrario la
pressione reagisce come una reazione ed esso sostiene il peso degli strati sovrastanti senza avere alcuna
dipendenza con la temperatura. È quello che succede, ad esempio, nei metalli: se si ha un gas degenere si
ha anche un’alta conducibilità.

Il termine atmosfera per una stella normale (concetto che verrà chiarito più avanti) come può essere il Sole,
è puramente convenzionale e tende a rappresentare quella luce esterna da cui ci proviene direttamente la
radiazione, senza che questi fotoni vengano assorbiti e riemessi. L’atmosfera stellare è l’unica parte della
stella che può essere assoggettata ad una vera investigazione osservativa. Tutto il resto che deduciamo
sulla struttura interna, sui meccanismi di produzione dell’energia è dovuto a dei modelli.

Parleremo poi nel dettaglio:

• del Sole, in particolare degli strati esterni, dei fenomeni che avvengono nell’atmosfera (macchie,
protuberanze, brillamenti) e del perché essi avvengono;
• del mezzo interstellare, cioè del fatto che tra le stelle non vi è il vuoto assoluto ma le osservazioni
mostrano che ci sono gas e polveri; qui si formano le stelle
• dei nuclei galattici attivi: radiogalassie, quasar e così via, che pur avendo fino a non molto tempo fa
si ritenevano essere fenomeni diversi si capì che alla base del fenomeno che ci appare con
manifestazioni diverse in realtà sono dei nuclei di galassie in cui vi è sempre un buco nero
supermassiccio (di miliardi di masse solari, che si è accresciuto mangiando materia che stava
intorno) e in rapidissima rotazione;
• di cosmologia, ovvero dello studio dell’universo nel suo insieme.
Tutto lo studio del programma è in qualche modo racchiuso nell’immagine precedente. In essa è
rappresentata l’evoluzione dell’Universo a partire dal Big Bang, successivamente c’è un periodo di
espansione che è detto inflazionario (esponenziale nel tempo); in una direzione (orizzontale) quindi scorre il
tempo strato per strato e nell’altra (verticale) c’è il fattore di scala: non sono le dimensioni dell’Universo ma
quello che ci dice è che esso al passare del tempo è diventato più grande di come era all’inizio. C’è una
rapidissima espansione e poi una evoluzione (un’espansione secondo una legge, quella di Hubble che
osservativamente ha mostrato che le galassie più lontane si allontanano a velocità maggiori). Se il tasso
fosse rimasto costante la figura avrebbe avuto una forma pressoché cilindrica, invece si sta allargando. Alla
fine degli anni ’90 infatti, due gruppi di persone (i cui capi Perlmutter e Schmidt hanno ottenuto il premio
Nobel) osservando delle particolari supernove (di tipo Ia (uno a)) la cui luminosità massima è sempre allo
stesso livello sono riusciti a capire che l’universo si sta in realtà espandendo e non in maniera costante
(negli ultimi pochi miliardi di anni sembra che stia accelerando); l’importanza di questo tipo di supernove
deriva dal fatto che si possono prendere come delle candele standard. Siccome in generale per le sorgenti
astrofisiche non si sa qual è la luminosità intrinseca, è difficile capire se quella sorgente è più o meno
lontana o più o meno debole. Diversamente accade se invece consideriamo degli oggetti che hanno una
luminosità intrinseca nota, sempre uguale.

Il fattore di scala, per rendere meglio l’idea, può essere pensato come il raggio dell’universo ma è
comunque un’affermazione sbagliata.

Metodologia dell’investigazione in astronomia e astrofisica


La metodologia più potente e conosciuta è il cosiddetto metodo galileiano, che consiste nel fare degli
esperimenti riproducendo un fenomeno e facendo variare soltanto un parametro per volta, in maniera da
capire qual è l’effetto della variazione di quel determinato parametro. Una volta che si è descritto questo,
se ne fa variare un altro e così via.

La metodologia dell’astrofisica non funziona allo stesso modo ma è soprattutto basata sulle osservazioni. È
difficilissimo in generale riuscire ad individuare il parametro fondamentale, che può essere in qualche
modo enucleato dagli altri per capire che succede. Ad esempio, per l’evoluzione stellare si osservano le
stelle nelle varie fasi evolutive, riconoscendo la fisica che può stare sotto questo fenomeno e ricostruire il
tutto. Nel caso delle stelle si è capito, individuando soltanto gruppi di stelle ben precise, come le stelle degli
ammassi globulari, che ciò che regola la loro evoluzione è soltanto la sua massa. Stelle di massa diverse
hanno evoluzioni diverse. Tramite osservazioni di questo tipo si riesce quindi a fare ciò che i fisici riescono a
fare in laboratorio.

Strumenti di osservazione
Nella figura vediamo qual è la trasparenza della nostra atmosfera, o anche l’opacità che è l’opposto della
trasparenza.

La nostra atmosfera non è trasparente allo stesso modo a tutte le lunghezze d’onda: alle lunghezze d’onda
più piccole, quindi γ, x, la nostra atmosfera non è trasparente praticamente per nulla, perché i gas che
sono presenti nella nostra atmosfera, azoto, ossigeno, ozono, assorbono gran parte della radiazione
di piccola lunghezza d’onda, dei raggi γ, dei raggi x e dell’ultravioletto. Dopodiché c’è una finestra,
la finestra del visibile. Fino a qualche decina di anni fa le osservazioni venivano fatte
esclusivamente da terra, ora invece si fanno osservazioni nello spazio e quindi si possono osservare
queste bande che prima non erano osservabili. Dopo la finestra del visibile permane sempre una
opacità relativamente elevata dovuta ad alcune molecole, tra cui il vapor d’acqua. Si procede quindi
con un’altra finestra molto importante che è quella del radio. Nel radio abbiamo soltanto una finestra,
non sono tutte le onde radio, perché la ionosfera, la regione della alta atmosfera che è ionizzata,
impedisce alle onde radio di propagarsi sia in entrata che in uscita (lunghezze d’onda al di sopra
della decina di metri). Per questo motivo quando si è cercato di osservare in bande come
l’infrarosso, dove il vapor d’acqua e tutte le altre molecole assorbono molto, si sono costruiti dei
telescopi, da sempre, nelle zone più alte. Ad esempio dei telescopi nel visibile molto importanti
sono quelli che ci sono alla Hawaii su un vulcano spento, dove vengono fatte delle osservazioni
nell’infrarosso.

Dal punto di vista fisico, l’assorbimento è causato dall’interazione delle radiazioni con gli elettroni atomici,
e molecolari.

È di fondamentale importanza riuscire ad osservare nelle varie bande, perché osservando nelle varie
bande si coglie lo stesso fenomeno nei suoi aspetti diversi.

Un esempio è la Nebulosa a Granchio (si chiama così perché nell’800 ai telescopi apparve come un
granchio), che è il residuo di un’esplosione di supernova osservata dai cinesi nel 1054. Si chiamano Nove o
Supernove perché prima si pensava che le stelle giovani fossero tutte calde e via via si andassero
raffreddando. Supernova è solo più energetica della Nova.

A distanza di mille anni c’è tutta una zona energizzata dalla stella di neutroni (pulsar) che si trova al centro
come residuo dell’esplosione della supernova, c’è tutta una nebulosa in cui viene emessa energia alle varie
lunghezze d’onda e se la si osserva in bande diverse (bande in cui abbiamo trasparenze o bande in cui
dobbiamo andare oltre la terra) si capisce meglio che tipo di fenomeno si sta studiando.

Per le ricevere onde elettromagnetiche si utilizzano due tipi di telescopi: rifrattori e riflettori.

Il prototipo di telescopio ottico che si utilizza oggi non è più un telescopio di tipo rifrattore, in cui ci sono
delle lenti. Dagli anni ’20 in poi si sono sempre più sviluppati telescopi riflettori, più semplici ed efficaci. In
questo tipo di telescopi si ha uno specchio riflettente in fondo alla canna del telescopio, che ha una forma a
paraboloide in maniera da far convergere tutti i raggi che sono paralleli all’asse ottico; a seconda del tipo di
montatura ci può essere o uno specchio piano secondario detto fuoco Newtoniano (nei telescopi più grandi
c’è eventualmente anche il posto per l’osservatore) oppure uno dei più usati è quello con il fuoco
cassegrain, lo specchio è a forma di paraboloide, il fascio di luce viene intercettato da un altro specchio, in
questo caso iperboloide e rinviato al cassegrain, che sta sotto, tramite un foro dello specchio primario. Ci
sono poi altri sistemi.
• I telescopi rifrattori: presentano dei difetti, cioè non sono trasparenti a tutte le frequenze ma
assorbono solo parte della luce. Hanno un peso elevato ed un aberrazione cromatica ed un
eventuale correzione sarebbe fattibile solo in presenza di focali lunghe, cioè tubi lunghi difficili da
gestire con spese elevate.

• I telescopi riflettori: Non c’è presenza di aberrazione cromatica, più è grande lo specchio
secondario, maggiore è il potere risolutivo (Raylegh).

L’ultima tecnologia è quella dell’ottica adattiva, che si applica a causa di problemi dovuti alla turbolenza
atmosferica. Le deformazioni delle immagini causate dall’atmosfera vengono corrette un sensore che
agisce sugli attrattori posti nello specchio primario. In questo modo gli attuatori correggono in tempo reale
le deformazioni dell’immagine.

• CCD
Un CCD è un componente elettronico sensibile alla luce. Quando la luce (composta da singoli
fotoni) ne colpisce la superficie, vengono liberati degli elettroni che si accumulano nei singoli
elementi del CCD, i pixel. Un CCD è composto da migliaia di pixel ed è una matrice con un certo
numero di righe e colonne.
• Fotomoltiplicatori
Quando i fotoni colpiscono il fotocatodo, per effetto fotoelettrico vengono emessi elettroni.
Quando un elettrone colpisce il primo elettrodo del diodo provoca l’emissione secondaria di diversi
elettroni di energia minore e cosi via.
• Radiotelescopi
Sono specializzati nel rilevare onde radio emesse dalle varie radiosorgenti sparse per l’universo,
generalmente grazie ad una grande antenna parabolica, o più antenne collegate.
Sono dei paraboloidi dove, maggiore è il diametro dello strumento, maggiore è il potere risolutivo.
Vi è tuttavia una tecnica nota come interferometro che permette di avere un potere risolutivo
maggiore costruendo diversi radiotelescopi separati, i quali si comportano come un unico
strumento.
Risoluzione spaziale
La diffrazione impone un limite fisico al potere risolutivo. La luce che passa attraverso un’apertura (=>
specchio primario del telescopio) circolare produce delle frange di diffrazione attorno ad una sorgente
brillante centrale.

La risoluzione spaziale è la minima distanza a cui possono trovarsi due sorgenti per poter essere distinte, ciò
che ci fa vedere due sorgenti distinti nella realtà come oggetti distinti, se la risoluzione è sufficientemente
alta. Se invece la risoluzione è bassa, i due oggetti sembrano un’unica macchia. Esiste un criterio, il criterio
di Rayleigh, che convenzionalmente afferma che due oggetti puntiformi si possono considerare risolti,
ovvero visti come oggetti distinti, se il primo massimo dell’uno coincide con il primo minimo dell’altro. O,
ancora, che due oggetti puntiformi sono appena risolti se il primo anello di diffrazione dell’uno cade sulla
macchia brillante centrale del secondo. Perché parliamo di massimi e minimi? Perché un telescopio, ai fine
dell’ottica, si comporta come una fenditura, quindi ogni immagine corrisponde a una centrica di diffrazione,
cioè a una serie di cerchi concentrici in cui c’è un massimo centrale e dei minimi e dei massimi secondari.
Questo è un fatto ineliminabile, è proprio dell’ottica fisica. Il criterio di Reyleigh serve proprio ad avere
un’idea di quando si può dire che due sorgenti sono risolte e facendo i conti (gli integrali) si ottiene che
l’angolo minimo per poter affermare ciò è:

𝜆
𝜗𝑚𝑖𝑛 ≅ 1,22 , dove D è il diametro di apertura del telescopio (ampiezza fenditura).
𝐷

Le dimensioni di un telescopi hanno due funzioni fondamentali: intanto, più grande è il diametro e quindi la
superficie che raccoglie, maggiore è la luminosità dell’oggetto. In secondo luogo, non meno importante, è
che dimensioni maggiori danno, essendo al denominatore, un angolo minimo più piccolo e quindi una
risoluzione più alta: si riescono a vedere come distinte sorgenti molto vicine.

Tutto questo si vede espresso in maniera più chiara nell’immagine seguente:

Nella terza rappresentazione i due massimi non vengono visti come risolti ma confluiscono in un unico
massimo ed è difficile poter dire che sia l’immagine di due oggetti. La seconda è come si vedrebbe in
accordo con il criterio: si capisce che sono due oggetti diversi e il massimo del primo corrisponde al minimo
del secondo.

Mentre ai fini della raccolta della radiazione e quindi del flusso di fotoni è importante avere dei telescopi di
grandi dimensioni perché maggiore è l’area e di conseguenza la raccolta dei fotoni, per quanto riguarda il
potere risolutivo in ciascun telescopio le due parti importanti che danno il principale contributo ad
aumentarlo sono le parti più distanti.
Anziché costruire telescopi di dimensioni enormi si può aumentare il potere risolutivo usando due telescopi
indipendenti e correlando le immagini, prese allo stesso istante in un intervallo di tempo piccolissimo.
Questo si fa già da anni nella radioastronomia, perché le lunghezze d’onda sono grandi. Ciò che in questo
modo si fa è una forma di interferometria e si vede il segnale da una parte e dall’altra (si usano due o più
dischi diversi).

Spettri di emissione e assorbimento


Si fa fisica/astrofisica quando non si prendono solo immagini ma si analizza la radiazione, che porta
numerose informazioni, tramite spettroscopi e spettrografi.

Nell’immagine successiva sono rappresentati i rudimenti più importanti della spettroscopia.

Nell’immagine si vedono dei prismi ma in astrofisica ovviamente al loro posto vengono usate delle
fenditure, che non assorbono o trasformano l’informazione.

Abbiamo un corpo nero brillante, ne andiamo a studiare lo spettro (distribuzione delle varie lunghezze
d’onda); i corpi solidi in generale danno uno spettro continuo, quindi tutte le lunghezze d’onda sono
rappresentate.

Se si ha una sorgente, ad esempio un corpo nero ad una certa temperatura elevata, e la radiazione la si
osserva direttamente dopo averla analizzata in lunghezza d’onda, si ottiene lo spettro di corpo nero. Esso
assorbe tutta la radiazione ma la riemette a secondo di quella che è la sua temperatura assoluta secondo
una legge ben precisa, quella della planckiana che viene spesso indicata nel modo seguente:
▪ È importantissimo il -1 perché si tratta di
fotoni, quindi particelle con spin intero,
quindi bosoni (se fosse con il +1 sarebbero
fermioni)
▪ T è la temperatura assoluta, k la costante di
Boltzmann, h quella di Planck e ν la
frequenza

La formula, in base a quanto vale la temperatura, ci dice se l’emissione dominante è ad esempio


nell’infrarosso oppure diventa rosso vivo, bianco, ecc. C’è per altro la legge di Wien che afferma che il
prodotto tra la temperatura assoluta e la lunghezza d’onda del massimo è costante: più bassa è la
temperatura maggiore è la lunghezza d’onda del massimo, più si va verso il rosso; viceversa più è alta la
temperatura, più piccola e lunghezza d’onda e più si va verso il violetto.

Se si interpone, tra la sorgente e lo spettrografo, del gas freddo allora si vedrà che il gas assorbe certe
lunghezze d’onda ben precise caratteristiche del particolare gas e non tutte. Le assorbe perché si ha il salto
quantico da un livello d’energia inferiore ad uno superiore, e affinché il salto possa avvenire il sistema deve
assorbire energia. Dopodiché non se la tiene ma con un intervallo di tempo che è probabilisticamente
prestabilito (calcolabile con la meccanica quantistica), il sistema decade e riemette o lo stesso fotone se fa
lo stesso salto quantico o in cascata emette fotoni diversi (da un livello 4 scende a un livello 3, al 2, all’1)
con una simmetria a 4π, in direzioni diverse da quelle da cui provenivano. Anche se il fotone viene
riemesso, viene riemesso in un’altra direzione rispetto all’analizzatore.

Una riga non è altro che la figura di diffrazione della fenditura.

Se lo stesso gas viene osservato senza che abbia dietro una sorgente dietro, allora esso emette esattamente
le stesse lunghezze d’onda (righe) che assorbiva prima (fotoni che provengono dal livello più alto). Ciò ha a
che fare con la struttura dei livelli energetici del gas.

Se si tratta di idrogeno i livelli energetici sono quelli che si vedono nell’immagine:

Lo stato fondamentale (livello energetico più basso, n=1) si trova a 13,6eV più in basso di quello che si
chiama “il continuo”, dove gli elettroni diventano liberi. L’elettronvolt è definito come l’energia che
acquisisce un elettrone che si muove tra due punti di una regione tra i quali vi sia una differenza di
potenziale di 1 volt e vale 1,6*10−19J.

Lo stato per n=2 è 10eV più in alto, cioè ci vuole molta energia per riuscire per passare dallo stato
fondamentale al primo livello eccitato. Se eguagliamo 1eV a kT, corrisponde a una temperatura di circa
11.000 gradi.

Se l’elettrone che si trova in un orbitale ad alta energia passa ad un orbitale ad energia minore rilascia una
certa quantità di energia sotto forma di radiazione avente una determinata lunghezza d’onda e dando
origine ad una riga di emissione. Le transizioni che gli elettroni compiono dagli orbitali periferici a quelli più
interni si possono ordinare secondo valori decrescenti di energia: le variazioni di energia più elevate si
registrano quando un elettrone passa da un’orbitale periferico a quello corrispondente allo stato
fondamentale. L’insieme di tutti i salti che terminano nell’orbitale 1s dà luogo a una serie di righe spettrali
che prendono il nome di serie di Lyman, le prime righe della quale vengono indicate con Lα, Lβ, Lγe
corrispondono alle energie delle righe dell’ultravioletto. A valori di energia immediatamente più bassa
si trovano i salti dell’elettrone dalle orbite periferiche alla seconda orbita stazionaria: si hanno energie
proprie dello spettro del visibile e si ottengono righe della serie di Balmer. Lo stesso discorso si ripete per la
serie di Paschen le cui righe corrispondono all’energia delle righe dell’I.R. (Infrared spectroscopy?).

Le righe si trovano nelle stesse posizioni in lunghezza d’onda o in frequenza perché corrispondono alla
stessa differenza di energia tra i livelli.

(Riga scura: sottrazione di energia)

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