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LA TETTONICA DELLE PLACCHE: UN MODELLO GLOBALE

LA DINAMICA INTERNA DELLA TERRA


La dinamica intera della terra è l’insieme dei movimenti che avvengono in profondità a spese dell’energia del pianeta
e di cui le strutture della crosta sono il riflesso visibile in superficie; essa comprende il ciclo litogenetico
(trasformazione minerali e rocce), il ciclo geologico (scandisce l’evoluzione della crosta attraverso lunghe fasi di
formazione di rocce, deformazione ed erosione), il vulcanismo e la sismicità (i quali segnano la continua attività del
pianeta). Lo studio del vulcanismo mostra un continuo trasferimento di materiale caldissimo dall’interno della Terra in
superficie. La sismicità sottolinea la posizione di fasce di crosta “irrequiete”. Dagli anni ’60 del XX secolo è stata
elaborata una teoria globale detta “Tettonica delle placche” che sembra spiegare il significato dei cicli geologici e
l’origine dell’energia che li “tiene in moto”.
ALLA RICERCA DI UN “MODELLO”
LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA
La densità media della Terra è ricavata dal rapporto tra massa e volume terrestri. Il nostro pianta presente
(dall’esterno verso l’interno): crosta, discontinuità di Moho, mantello, discontinuità di Gutenberg, nucleo esterno,
discontinuità di Lehmann, nucleo interno. Vi è inoltre la divisione tra litosfera (primi 100km circa, crosta + mantello
superiore) ed astenosfera (da 100 a 250km circa, mantello inferiore, non presente ovunque).
LA CROSTA
La crosta è la parte più esterna del pianeta, è rigida e spessa circa 35km. La natura complessiva della crosta è ben
nota grazie allo studio degli affioramenti di materiali formati in superficie e di porzioni di materiali formatisi a varie
profondità nella crosta e trasportati poi verso l’alto dai movimenti che caratterizzano il ciclo geologico. Si distinguono
una crosta continentale ed una crosta oceanica. La base della crosta è indicata da una brusca discontinuità sismica,
la superficie di Mohorovičić o Moho.
IL MANTELLO
Il mantello rappresenta l’82% in volume della Terra e si estende dalla Moho fino a circa 2900km di profondità, dove è
presente la discontinuità sismica di Gutenberg. Le rocce del mantello presentano nel complesso notevole rigidezza.
L’astenosfera (“debole”) è una zona in cui le rocce del mantello sono parzialmente fuse. Una zona a maggiore
plasticità, la cui presenza nel mantello è continua sotto le aree oceaniche, mentre sotto quelle continentali è incerta o
spostata più in profondità. L’insieme della crosta e del mantello viene definito litosfera. Per risalire alla composizione
media dei materiali del mantello si è dovuto ricorrere a metodi di indagine indiretti come l’analisi di onde sismiche e
dei meteoriti (infatti essi si sono formati insieme al pianeta a seguito del Big Bang, di conseguenza sono composti allo
stesso modo della Terra). A profondità maggiori la velocità delle onde nel mantello aumenta gradualmente, senza più
segni di particolari variazioni fino alla prossimità del nucleo. Questa regione con spessori di oltre 2000km, viene
indicata come mantello inferiore.
IL NUCLEO
La discontinuità sismica di Gutenberg segna il passaggio al nucleo. Il materiale della parte più esterna del nucleo (fino
alla discontinuità di Lehmann) ha le caratteristiche di un fluido, mentre poi si passa a un nucleo solido, che rimane tale
fino al centro della Terra. Sulla natura del nucleo ci sono varie ipotesi e la più probabile suggerisce la presenza di ferro
e nichel basandosi sullo studio dei meteoriti. La composizione esatta è ancora oggetto di ricerche e dibattiti. Il nucleo
interno è allo stato solido a causa delle fortissime pressioni che prevalgono sull’effetto delle temperature molto elevate
che caratterizzano il centro della Terra. (La densità aumenta all’aumentare della profondità).
UN SEGNO DELL’ENERGIA INTERNA DELLA TERRA: IL FLUSSO DI CALORE
IL FLUSSO DI CALORE
Il flusso termico terrestre è molto basso, ma nonostante questo resta il principale fenomeno energetico terrestre (50 x
sismi+vulcani). Tra i materiali che costituiscono la Terra sono presenti vari isotopi radioattivi che emettono dell’energia
cinetica, la quale si trasforma in calore che fluisce continuamente dalla superficie della Terra. Esistono zone della
superficie terrestre con flusso termico più elevato della media (dorsali oceaniche per esempio): si ritiene che tali
situazioni siano dovute all’esistenza di correnti convettive nel mantello, cioè a reali spostamenti di materiale più caldo
che risale da zone profonde verso la superficie, dove parte del calore si libera e fa aumentare il flusso termico locale,
mentre altro materiale, raffreddatosi in vicinanza della superficie, ridiscende.
Funzionamento delle correnti convettive: all’interno del mantello, masse di rocce profonde, divenute più calde del
materiale circostante a causa del decadimento degli isotopi radioattivi, tendono a risalire verso la crosta, sia pure con
movimenti lentissimi, mentre masse di rocce vicine, alla crosta, divenute più fredde, scendono verso il basso, dove
tornano a riscaldarsi e possono risalire nuovamente verso la crosta.
LA TEMPERATURA INTERNA DELLA TERRA
La temperatura all’interno della crosta terrestre aumenta di circa 3° ogni 100m (gradiente geotermico). Questa
crescita però non è costante: la curva dell’andamento della temperatura con la profondità (geoterma), costruita
basandosi sul modello della struttura interna della Terra, ci indica che al centro della Terra la temperatura non supera i
5000°C. Questo andamento è dovuto alle diverse caratteristiche dei vari strati terrestri ed alle pressioni alle diverse
profondità. Lo studio del flusso termico e della temperatura della crosta a deboli profondità è della massima
importanza per lo sfruttamento dell’energia geotermica.
IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE
La Terra, come il Sole e i pianeti, possiede un campo magnetico. Questo è un campo dipolare con linee di forza che
escono dal polo sud ed entrano nel polo nord. Il campo è leggermente schiacciato nella parte rivolta verso il sole a
causa del vento solare (quando le particelle cariche giungono a una certa distanza dalla Terra, il campo magnetico
deflette le loro traiettorie, mentre il vento solare comprime le linee di forza del campo magnetico e forma la
magnetosfera). Prima ipotesi: all’inizio si pensava che il campo magnetico fosse provocato dalla presenza di Fe nel
nucleo: ipotesi scartata perché il Fe perde la sua magnetizzazione a 770° (punto di Curie) e nel nucleo la temperatura
è più alta. Seconda ipotesi: le rocce superficiali contengono materiali ferromagnetici: ipotesi scartata perché la
quantità dei minerali era insufficiente a giustificare l’entità del campo magnetico. Ipotesi accreditata: è quella della
dinamo secondo la quale il campo magnetico sarebbe provocato da piccole correnti elettriche all’interno del nucleo o
al confine tra mantello e nucleo. Le condizioni per il funzionamento della Terra come dinamo sono che il nucleo
contenga materiali conduttori, sia in parte liquido e che questo liquido sia in movimento.
Componenti del campo magnetico:
- campo magnetico dipolare: paragonabile ad una barra magnetica con linee di forza simmetriche attorno ad un
asse inclinato di circa 11° rispetto all’asse terrestre.
- campo irregolare o non dipolare di breve intensità che varia da zona a zona della superficie terrestre Queste
componenti variano nel tempo.
LA STRUTTURA DELLA CROSTA
Gli elementi raccolti sulla struttura interna della Terra, sul paleomagnetismo e sullo stato termico del pianeta, e i dati
esposti sulla litogenesi, ci consentono di affrontare il problema dei meccanismi di evoluzione della Terra.
Esistono due tipi di crosta:
- la crosta oceanica: costituisce il fondo degli oceani ed è interamente coperta delle acque;
- la crosta continentale: corrisponde ai continenti e alla loro prosecuzione sotto il livello del mare; comprende la
piattaforma continentale e buona parte dall’adiacente scarpata continentale.
I due tipi di crosta sono molto diversi tra loro per vari aspetti: spessore, quote medie della superficie (emersa o
sommersa), età delle rocce che vi compaiono, natura delle rocce e loro giacitura.
CROSTA OCEANICA E CROSTA CONTINENTALE
SPESSORE
La crosta continentale (circa 35km) è più spessa di quella oceanica (6km).
QUOTE MEDIE DELLA SUPERFICIE
La curva ipsografica della superficie terrestre mostra come il livello medio della superficie della crosta continentale è
di oltre 4km maggiore di quella oceanica. La crosta continentale sovrasta ovunque quella oceanica e, dato il maggiore
spessore, affonda anche maggiormente nel sottostante mantello.
ETÀ DELLE ROCCE
Nella crosta continentale compaiono rocce di ogni età (vecchie anche di 4 miliardi di anni). Tutti i bacini oceanici sono
strutture giovani del pianeta, mentre le aree continentali sono strutture più antiche.
NATURA DELLE ROCCE E LA LORO GIACITURA
- La crosta oceanica mostra una struttura a strati molto regolare. A partire dall’alto abbiamo:
• Un modesto spessore di sedimenti poco o per niente litificati (non ancora compatti e induriti);
• Un considerevole spessore di basalto;
• Uno strato di gabbro, la roccia magmatica che è il corrispondente intrusivo del basalto;
- La crosta continentale presenta invece una composizione estremamente eterogenea, nella quale si affiancano in
superficie rocce sedimentarie. Essa ha avuto una complessa evoluzione, dominata dal processo dell’orogenesi,
quello che ha portato alla formazione di grandi catene montuose. La ricostruzione della storia della Terra mostra
che, quando una fascia di crosta ha subito un’orogenesi, con il tempo è diventata un lembo di crosta continentale
stabile. Le vaste aree continentali ci appaiono oggi come un mosaico di aree cratoniche e di fasce orogeniche.
Le aree cratoniche (o cratoni) sono le parti più antiche: esse sono pianure leggermente bombate verso l’alto, costituite
da ammassi di rocce ignee e metamorfiche (scudi), in parte ricoperte da rocce sedimentarie di età più recente
(tavolati). I cratoni sono formati dai resti di catene montuose molto antiche, spianate dall’erosione, e sono stabili, cioè
non sono stati più deformati almeno nell’ultimo mezzo miliardo di anni.
Le fasce orogeniche (orogeni) sono quelle in cui l’orogenesi si è verificata in tempi meno antichi (montagne): esse
sono ancora in evoluzione grazie all’erosione degli eventi atmosferici.
Cratoni e orogeni sono strutture diverse, ma strettamente collegate: gli scudi presentano tracce di orogenesi
antichissime e inoltre, anche se sono stabiliti da lungo tempo, non sono inerti, al contrario essi rappresentano il
prodotto del continuo “riciclaggio” della crosta continentale.
L’ISOSTASIA
L’andamento della Moho suggerisce che la crosta possa galleggiare sul mantello a causa della minore densità. La
crosta tende a raggiungere una posizione di equilibrio attraverso il fenomeno dell’isostasia (condizione di uguale
equilibrio) nei confronti della forza di gravità di settori della crosta terrestre posti a quote diverse. I movimenti verticali
con cui la crosta reagisce a ogni modifica di tale equilibrio sono detti “aggiustamenti isostatici”. Quando un settore di
crosta si deforma a causa di movimenti profondi, finisce per inarcarsi e sollevarsi lentamente, fino al doppio del valore
medio, e diviene, perciò, sempre più pesante. Come conseguenza, sprofonda via via nel sottostante mantello, finché
la spinta di galleggiamento (principio di Archimede) non ne compensa il maggior peso. In superficie, a quel settore di
crosta ispessito corrisponde una catena montuosa, che, nonostante il suo grande peso, può restare sollevata, rispetto
alla quota media della crosta continentale, proprio perché è sostenuta dal grosso ispessimento di materiale crostale
relativamente leggero, che “sporge verso il basso” e costituisce le radici dell’orogeno. A mano a mano che l’erosione
demolisce la nuova catena montuosa, le radici si riducono di volume, continuando a tenere sollevati rilievi sempre
meno imponenti. Quando la catena montuosa sarà totalmente spianata, la sporgenza delle sue radici sarà sparita e lo
spessore locale della crosta avrà raggiunto il valore medio che si osserva sotto gli scudi e i tavolati. Comportamento
simile mostra anche la crosta oceanica. La Moho sta a indicare la posizione di equilibrio raggiunta dai due tipi di
crosta nel loro galleggiare sul mantello. Nel mantello la sollecitazione dovuta a un terremoto è molto brusca e i suoi
materiali “reagiscono” in modo rigido, ma lo sforzo esercitato dalla crosta ispessita si prolunga per milioni di anni e il
mantello reagisce come un materiale molto viscoso e può scorrere, sia pure con estrema lentezza. L’immenso carico
del ghiaccio ha fatto lentamente incurvante verso il basso la crosta continentale, che è sprofondata nel mantello, ma
che, alla fine dell’evento glaciale, ha cominciato a sollevarsi.
L’ESPANSIONE DEI FONDI OCEANICI
Ad inizio ‘900 Wegner propose l’ipotesi della deriva dei continenti.
LA DERIVA DEI CONTINENTI
Secondo Wegener in origine c’era un unico grande continente (Pangea) circondato da un solo oceano (Pantalassa); a
partire da quell’epoca il Pangea si sarebbe smembrato in più parti, che si sarebbero sempre più allontanate tra loro
secondo un meccanismo noto come “deriva dei continenti”. Essa partiva da premesse valide e i dati oggi disponibili.
La teoria di Wegener risultava poco sostenibile nelle cause e nelle modalità della deriva. Come conseguenza, tutta la
teoria venne contrastata. Negli anni ’60 l’impiego di mezzi adeguati e di tecniche d’avanguardia permise di scoprire
che il “pavimento” degli oceani non è stabile, ma in continua evoluzione.
LA TERRA MOBILE DI WEGENER
Wegner considerava le aree continentali come zattere di sial (crosta) galleggianti sul sima (mantello), indicando la
crosta (meno densa), e con sima il materiale sottostante, più denso, che affiorava sul fondo degli oceani e costituiva
un involucro continuo. Nella teoria, i grossi frammenti di crosta sialica, immersi nel sima molto viscoso, sarevvero
andati pian piano alla deriva verso Ovest per essere rimasti in ritardo rispetto alla rotazione della Terra verso Est.
Risulta fondamentale, nella teoria, il concetto di un sial rigido che galleggia sul sima ed è in grado di muoversi rispetto
a quest’ultimo, che, in tempi molto lunghi, si comporterebbe in modo plastico.
PROVE GEOGRAFICHE E GEOLOGICHE DELLA DERIVA DEI CONTINENTI
Vedendo sulla carta la concordanza delle coste atlantiche, Wegner pensò che questa somiglianza non fosse casuale,
ma derivasse dal fatto che i due continenti fossero stati in precedenza uniti. A provarlo c’era la corrispondenza tra gli
elementi geologici e paleontologici messi in luce dallo studio delle rocce oggi affioranti lungo le coste dei due
continenti. Con un paziente lavoro, Wegener ricostruì la configurazione delle terre emerse così come dovevano
presentarsi Alla fine dell’Era paleozoica, qquando si era formato un “supercontinente” che egli chiamò Pangèa,
circondato da un unico oceano, il Pantàlassa, e delineò anche le tappe della deriva dei continenti che, a partire dalla
progressiva frammentazione del Pangèa, in meno di 200MLN di anni ha portato la superficie del pianeta al suo
aspetto attuale.
PROVE PALEONTOLOGICHE
Fino a circa metà dell’Era mesozoica le faune fossili nei due continenti, Sud America e Africa, continuano a essere
identiche. Dall’ultima parte dell’Era mesozoica i depositi e le faune fossili appaiono, invece, radicalmente diverse nei
due continenti: da quel momento, l’evoluzione della fauna e della flora in Sud America deve aver seguito strade molto
diverse da quelle seguite in Africa, a mano a mano che i due continenti si separavano e un nuovo oceano, in
progressivo allargamento, creava un ostacolo alla libera comunicazione tra gli organismi continentali.
PROVE PALEOCLIMATICHE
Rocce elaborate da ghiacciai continentali affiorano in Africa occidentale, in Brasile e in India, luoghi dove oggi il clima
è tutt’altro che glaciale; viceversa, grandi giacimenti di carbone si trovano in Antartide e in Australia. Solo riunendo i
continenti nel Pangèa e spostandoli più a Sud, le fasce paleoclimatiche riacquistano una disposizione coerente.
Attraverso queste e numerose altre prove Wegener aveva riconosciuto una disposizione coerente. Attraverso queste
e numerose altre prove Wegener aveva riconosciuto chiaramente la mobilità della crosta continentale. Quello che
mancava alla teoria di Wegener era invece un “motore” abbastanza potente da far muovere i continenti (fornite
successivamente dalla Tettonica delle placche)
LE DORSALI OCEANICHE
Le dorsali oceaniche corrispondono a una lunghissima fascia di crosta oceanica inarcata verso l’alto tanto che la sua
sommità è più alta degli adiacenti fondi oceanici. La cresta del sistema di dorsali è quasi ovunque segnata da un solco
longitudinale largo qualche decina di kilometri e profondo 1500-3000 metri, chiamato Rift Valley. Tali lacerazioni sono
state chiamate fagli trasformi. Lungo il tratto di faglia compreso tra due segmenti successivi di Rift Valley il fondo
oceanico si muove in due direzioni opposte, provocando violenti terremoti per il forte attrito. Lungo le faglie che
delimitano la rift valley risale continuamente punti sul fondo del mare e solidifica come roccia basaltica con la
caratteristica forma di “lava a cuscini”. Numerosi terremoti si verificano lungo tutta la rift valley e lungo le faglie
trasformi. L’acqua fredda del mare penetra nelle fratture lungo le dorsali, scende per parecchi kilometri e si riscalda a
contatto. Divenuta meno densa, l’acqua risale fino a sgorgare con violenza dal fondo marino, con un “getto”
caldissimo, ricco di gas e di minerali portati via in soluzione dei basalti. Tali sorgenti sono chiamate fumaioli neri. A
contatto con l’acqua fredda del mare, dalla soluzione calda precipitano chimicamente i minerali, che formano
“ciminiere” alte alcuni metri. Intorno ai fumaioli c’è un’oasi di vita: sono presenti molti solfobatteri che ricavano
l’energia necessaria alla produzione di sostanze organiche dall’ossidazione dei solfuri. Gli ecosistemi complessi che
non si basano sulla fotosintesi, ma su una forma di chemiosintesi.
Sotto la crosta oceanica c’è un flusso ascendente continuo di materiale molto caldo. Il materiale risale da livelli
profondi entro il mantello, dove forti equilibri termici attiverebbero ampi movimenti convettivi. In vicinanza della
superficie, per la diminuita pressione litostatica, risalirebbe fino a traboccare sul fondo del mare e a dare origine ai
grandi accumuli di lave a cuscini. Dividendosi in due rami che si allontanano in direzioni opposte rispetto alla
posizione della dorsale di qualche cm/anno, i due fianchi delle dorsali si allontanano l’uno dall’altro a partire dalla rift
valley. In definitiva i fondi oceanici si accrescono e si espandono a partire dalla rift valley con un movimento continuo
e le dorsali sono, perciò, la “fucina” che genera nuova crosta oceanica. Questo processo coinvolge anche la parte alta
del mantello. Oltre alla formazione di nuova litosfera, l’attività delle dorsali ha un importante riflesso, indiretto, nei
confronti di quanto avviene lungo il contatto tra la crosta oceanica e quella dei continenti che si allontanano per la
progressiva espansione. Man mano che la litosfera oceanica si allontana dalla dorsale, si raffredda, quindi aumenta di
densità e subisce un processo di subsidenza, cioè comincia a sprofondare sotto il livello del mare, verso un nuovo
equilibrio isostatico rispetto al mantello sottostante, finché entra in una condizione di stabilità e continua a espandersi
senza subsidenza. Nascono così le vaste piane abissali. In questo modo anche tutta la fascia lungo la quale sono
saldate crosta oceanica e continentale scende sotto il livello del mare e comincia ad accolgiere i sedimenti portati dai
fiumi. Queste concavità allungate sono chiamate bacini di subsidenza termica e vengono colmati dai sedimenti, dando
origine alla piattaforma continentale e alla contigua scarpata continentale, che scende verso le piane abissali. Questi
volumi di sedimenti vengono chiamati sedimentari. I margini continentali lungo i quali avviene questa evoluzione sono
distinti come margini passivi.
LE FOSSE ABISSALI
Le fosse abissali sono depressioni del fondo lunghe migliaia di km e relativamente strette che scendono in profondità.
Il fondo oceanico scende di più rispetto alla quota media delle piane abissali. L’attività vulcanica è sistematicamente
presente, ma è localizzata a una certa distanza dalla fossa, dove si individua un arco vulcanico o arco magmatico. Se
la fossa fiancheggia il margine di un continente, lungo quest’ultimo si innalza una catena di vulcani. Se invece la fossa
è pieno oceano, parallelamente ad essa si osserva un arco di isole vulcaniche. Nelle dorsali si verificano effusioni di
lave fluide, nelle fosse invece il vulcanismo è di tipo esplosivo. I sistemi arco-fossa sono accompagnati anche da forte
sismicità: gli ipocentri sono localizzati lungo la superficie di Benioff (fino a 700km di profondità).
ESPANSIONE E SUBDUZIONE
Oltre alla formazione della litosfera, deve esistere anche un fenomeno di consunzione di essa. Il collegamento tra
dorsali e fosse è al centro dell’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici: le dorsali, in rilievo rispetto alle piane abissali,
sono sostenute dalla risalita di materiale caldo in movimento nel mantello. Tale materiale alimenta il vulcanismo della
dorsale, i cui prodotti, una volta divenuti solidi, contribuiscono alla formazione di nuova crosta oceanica, mentre sotto
la crosta si accresce nello stesso tempo nuovo mantello litosferico. A sua volta la litosfera oceanica, trascinata dai
movimenti profondi del mantello, si allontana da un lato e dall’altro della rift valley, formando così il pavimento delle
piane abissali. Contemporaneamente, a una certa distanza dalle dorsali la litosfera, da tempo in movimento, ormai
fredda, comincia ad affondare secondo un movimento di subduzione. Nella sua discesa entro zone a temperature
sempre maggiori, la litosfera si riscalda e comincia a fondere, finchè in profondità risulta ampiamente riassimilata dal
mantello. La fusione graduale della crosta oceanica e dei sedimenti che la ricoprono produce grandi volumi di magma
che risale verso la superficie e alimenta il vulcanismo degli archi vulcanici (detti archi magmatici). La discesa della
litosfera avviene con violenti attriti, che si manifestano come terremoti.
LE ANOMALIE MAGNETICHE SUI FONDI OCEANICI
Magnetismo fossile registrato nelle rocce magmatiche ed ignee. Studiando rocce coeve si scoprì che esse avevano
registrato il campo magnetico in cui il polo era in posizione diversa dall’attuale. Si pensò ad una migrazione dei poli
magnetici ma si concluse che questa fosse solo apparente e che in realtà non si erano spostati i poli ma i continenti. Il
campo magnetico della Terra ha almeno 3,5 miliardi di anni. Le rocce ricche di Fe ( es. basalti) si comportano come
aghi di una bussola ; quando le rocce magmatiche si raffreddano gli atomi di Fe sono orientati secondo le linee di
forza del campo magnetico terrestre e poi non cambiano più nel tempo. La roccia è magnetizzata e ha un campo
magnetico di bassa intensità. In prossimità di rocce basaltiche ( es fondali oceanici) il campo magnetico degli atomi di
Fe si somma al campo magnetico terrestre e crea un’anomalia magnetica, cioè una debole variazione locale
dell’intensità magnetica. Queste anomalie consentono di Stabilire che la magnetizzazione delle rocce può essere: -
normale: conforme al campo magnetico attuale e c’è anomalia magnetica positiva con un leggero aumento. - inversa:
con polo nord e sud invertiti rispetto all’attuale e c’è un’anomalia magnetica negativa con una leggera diminuzione.
Negli ultimi 4 milioni di anni si sono verificate oltre 20 inversioni del campo magnetico.
LA TETTONICA DELLE PLACCHE
La tettonica delle placche è un modello globale dell’attività del pianeta che prende in esame il comportamento della
litosfera.
LE PLACCE LITOSFERICHE
La litosfera è intersecata da: dorsali di espansione, fosse di subduzione, grandi faglie trasformi. Nel loro insieme
suddividono la litosfera in 20 placche. Le placche possono essere formate da sola litosfera oceanica, sola litosfera
continentale o entrambe. I bordi delle singole placche sono detti margini e vengono distinti in base alla funzione:
- Margini costruttivi/divergenti: dorsali oceaniche (costruiscono nuova litosfera oceanica);
- Margini distruttivi/convergenti: fosse oceaniche (distruggono la litosfera tramite subduzione);
- Margini conservativi/trascorrenti: grandi faglie trasformi che scorrono l’una a fianco dell’altra in direzioni opposte
(o nella stessa direzione con velocità differenti).
Ogni margine è comune a due placche visto il contatto reciproco di queste ultime. Alcune placche sono circondate da
margini costruttivi che ne fanno aumentare la superficie nel tempo, altre hanno invece margini distruttivi o conservativi
che distruggono o conservano la superficie. Si deduce che il bilancio globale di produzione e consumazione di
litosfera deve essere in equilibrio. Le placche sono in continuo movimento (pochi cm all’anno). Il quadro cinematico
dei movimenti delle placche litosferiche ci è fornito dal sistema GPS (che si basa su satelliti geostazionari).
L’OROGENESI
I blocchi continentali vengono infatti trasportati “alla deriva” lungo la superficie terrestre dal movimento delle placche di
cui fanno parte, un movimento che è guidato dall’accrescersi e dal consumarsi della litosfera oceanica. Per i Wegener
i continenti (sial) galleggiavano su un involucro continuo (sima) e si muovevano in esso come iceberg alla deriva nel
mare; oggi sappiamo, invece, che i blocchi di crosta continentale sono solidali con la litosfera, di cui seguono i
movimenti. Questo comportamento passivo può portare ad un’orogenesi, cioè un processo di intensa deformazione
crostale che coinvolge grandi volumi di rocce, con fenomeni di metamorfismo e magmatismo, e che porta al
sollevamento di una nuova catena montuosa. Le situazioni in cui può formarsi un orogeno sono:
- Litosfera oceanica in subduzione sotto litosfera continentale;
- Collisione continentale;
- Accrescimento crostale;
- Litosfera oceanica sotto litosfera oceanica.
LITOSFERA OCEANICA IN SUBDUZIONE SOTTO UN MARGINE DI LITOSFERA CONTINENTALE
Se un continente a ridosso di una fossa oceanica (non in subduzione, perché meno densa). In questo caso, è la
litosfera oceanica, quella che forma il “pavimento” della fossa, a infilarsi sotto il margine continentale, che viene
deformato dal violento attrito che genera numerosi terremoti, la cui profondità ipocentrale segna il percorso della
placca che scende (superficie di Benioff). Dalla crosta oceanica in subduzione vengono strappati i sedimenti oceanici
insieme a lembi dei sottostanti basalti. Spinte da forze enormi, queste masse rocciose finiscono per saldarsi al
margine del continente e per formare una nuova striscia di crosta continentale. In un ambente così mobilizzato la
crosta continentale si accresce di spessore, anche per la risalita di grandi quantità di magmi: si verifica allora il
processo di orogenesi, con il sollevamento di una nuova catena montuosa. Tale processo, contrastato solo dai
processi superficiali che demoliscono i rilievi (erosione). L’evoluzione delle Ande secondo 4 fasi principali:
1. Inizialmente abbiamo un unico continente ed un unico oceano (Gondwana e Pantalassa)
2. Il Pangea si completa: lungo le sue coste si attiva una fossa di subduzione e si forma un arco magmatico.
3. Il Pangea inizia a frammentarsi con l’apertura del futuro Oceano Atlantico, oltre all’allontanamento dell’altra metà
con l’attivazione di un'altra fossa di subduzione e la creazione di un altro arco magmatico.
4. Si raggiunge la posizione finale, il processo di subduzione continua e l’arco magmatico ad Ovest del Sud America
provoca l’innalzamento delle Ande.
COLLISIONE CONTINENTALE
I due margini continentali entrano in contatto e vengono deformati, finché si saldano facendo aumentare lo spessore
della crosta. Nasce così una catena montuosa. Nel processo di collisione l’oceano che separa i due continenti viene
progressivamente ridotto in ampiezza fino a estinguersi. I grandi accumuli di sedimenti, presenti lungo le coste dei due
continenti, vengono compressi nella gigantesca “morsa” e deformati in pieghe e falde, spinte ad accavallarsi una
sull’altra per grandi spessori.
ACCREZIONE O ACCRESCIMENTO CROSTALE
Il meccanismo delle placche può portare alla formazione di una catena montuosa anche seguendo un’altra via:
l’orogenesi per accrezione crostale. Questo si verifica quando frammenti di crosta di varia natura, in origine ina ree
anche molto lontane fra loro, si trovano incastonati in una placca oceanica in progressivo movimento verso una fossa
di subduzione. Man mano che arrivano nella fossa, questi frammenti verrebbero strappati via dalla placca che
sprofonda e spinti ad accavallarsi contro il margine del continente lungo cui si trova la fossa.
CROSTA OCEANICA SOTTO CROSTA OCEANICA
Se una placca oceanica si trova a convergere contro un’altra placca oceanica, è la placca più fredda e densa che si
inabissa nel mantello ed entra in subduzione sotto quella più calda e meno densa. I magmi che si formano per la
fusione parziale della placca in subduzione e del mantello sovrastante risalgono fino a traboccare sul fondo
dell’oceano, a lato della fossa abissale. Si forma in questo modo una catena di vulcani sottomarini, che arrivano a
emergere dalla superficie dell’oceano. Il continuo afflusso di magmi e l’accumulo di sedimenti prodotti dall’erosione dei
vulcani allarga e consolida gli edifici e si origina un arco insulare.
CICLO DI WILSON
Fosse e dorsali non sono forme stabili: le fosse sono distrutte da un processo di collisione, le dorsali dal mutamento
dei moti convettivi. Entrambi vengono poi ricostruiti dagli stessi mutamenti in un processo a più stadi. Questo
processo è il ciclo di Wilson, un modello che descrive la formazione e la distruzione ciclica delle catene montuose
sulla Terra. Il ciclo di Wilson comprende i seguenti passaggi:
1. Rift (Rottura): Inizia con la rottura di una litosfera continentale, formando una faglia. Ciò può portare alla
separazione di due placche tettoniche.
2. Margine Passivo: Dopo la rottura, si forma un margine passivo, dove la litosfera si allontana. In questo stadio,
può verificarsi l'accumulo di sedimenti.
3. Oceano in Formazione: La separazione continua e si sviluppa un nuovo fondale oceanico. L'oceano inizia a
crescere tra le due placche.
4. Oceano Maturo: L'oceano cresce nel tempo, e il margine continentale si allontana ancora di più dalla zona
iniziale di rottura.
5. Collisione Continentale: Nel corso di milioni di anni, le placche continentali possono collidere, causando
l'innalzamento di montagne.
6. Catena Montuosa: La collisione porta alla formazione di una catena montuosa. Questa fase può durare a lungo,
ma alla fine, il processo ricomincia con una nuova rottura.
Il ciclo di Wilson rappresenta il continuo rinnovarsi e trasformarsi della crosta terrestre attraverso processi geologici
che si susseguono in una sequenza ciclica. Va notato che questo ciclo avviene su scale temporali molto lunghe,
nell'ordine delle centinaia di milioni di anni.
LA VERIFICA DEL MODELLO
VULCANI: AI MARGINI DELLE PLACCHE O ALL’INTERNO DELLE PLACCHE
Il vulcanismo è essenzialmente effusivo lungo l’asse delle dorsali oceaniche. Al contrario, il vulcanismo è fortemente
esplosivo lungo gli archi insulari vulcanici o lungo il margine dei continenti che fronteggiano le fosse abissali. Tale
vulcanismo è collegato al processo di subduzione. I centri vulcanici all’interno delle placche sono localizzati sia in
pieno oceano, sia sui continenti. In qualche caso si tratta di vulcanismo associato a grandi fratture della crosta che
preludono all’apertura di un continente. Nella maggior parte dei casi siamo invece di fronte alla manifestazione in
superficie di un “punto caldo”: ristrette aree della crosta caratterizzate da elevato flusso termico e continua effusione di
lave basaltiche.
TERREMOTI: AI MARGINI DELLE PLACCHE O ALL’INTERNO DEI CONTINENTI
Lungo le dorsali, le forze che tendono a far allontanare uno dall’altro i due fianchi della rift valley provocano
continuamente l’attivazione di numerose faglie, e tutto questo si traduce in sismi. Anche le numerose faglie trasformi
che interrompono le dorsali sono sorgenti di terremoti superficiali. La forte sismicità associata alle fosse oceaniche è
legata alla subduzione di una placca sotto l’altra. A maggiori profondità, fino ad un massimo di 700km, i terremoti
sarebbero conseguenza delle forti compressioni subite dalla placca di litosfera. La superficie di Benioff, con il suo
allineamento di ipocentri, “segnala” la discesa della placca. Nelle catene montuose di orogenesi recente non si sono
ancora esaurite le spinte. In tali situazioni, grandi masse rocciose vengono continuamente coinvolte negli sforzi in atto
nella crosta e finiscono per dare origine, con il solito meccanismo, a terremoti. Inoltre, il settore di crosta ispessito a
seguito della collisione tende a riacquistare una posizione di equilibrio isostatico e si muove verso l’alto, provocando
altre deformazioni, fonti a loro volta di terremoti. Una piccola percentuale di terremoti cade però lontano dai margini. Si
pensa che alcuni sforzi si possano propagare all’interno di una placca litosferica e possano crescere fino a superare
localmente la resistenza delle rocce stesse, soprattutto in qualche punto di minor resistenza, provocando uno dei rari
terremoti localizzati all’interno di una placca.
MOTI CONVETTIVI E PUNTI CALDI
I moti convettivi terrestri sono un fenomeno geofisico che si verifica nel mantello della Terra, la regione compresa tra
la crosta terrestre e il nucleo. Questi movimenti convettivi sono guidati principalmente da differenze di temperatura e
densità all'interno del mantello e giocano un ruolo fondamentale nella dinamica interna del nostro pianeta. Il
funzionamento dei moti convettivi terrestri può essere riassunto nei seguenti punti:
1. Riscaldamento dall'interno: L'energia termica proveniente dal nucleo terrestre riscalda il materiale del
mantello circostante. Questo riscaldamento è principalmente generato dalla decadimento radioattivo
all'interno del nucleo.
2. Variazioni di densità: A causa del riscaldamento, le rocce del mantello diventano meno dense. La
diminuzione di densità rende queste regioni più suscettibili all'ascesa verso la superficie.
3. Correnti ascendenti: Le regioni riscaldate e meno dense del mantello iniziano a salire verso la superficie in
forma di correnti ascendenti. Questo processo è noto come convezione.
4. Raffreddamento in superficie: Una volta raggiunta la superficie o la base della crosta, il materiale caldo si
raffredda a contatto con l'ambiente esterno. In questo stadio, le rocce si raffreddano, diventano più dense e
perdono la loro capacità di sostenere la loro posizione più elevata.
5. Correnti discendenti: A causa del raffreddamento e del conseguente aumento di densità, il materiale ora più
freddo inizia a scendere di nuovo verso il basso, formando correnti discendenti. Questo processo chiude il
ciclo convettivo.
Questi moti convettivi nel mantello terrestre sono una parte cruciale del ciclo delle rocce e contribuiscono alla
dinamica delle placche tettoniche. Sono responsabili della redistribuzione del calore all'interno del pianeta e hanno un
impatto significativo sulla formazione delle caratteristiche geologiche, come montagne, rift e vulcani. In sintesi, i moti
convettivi terrestri rappresentano un meccanismo essenziale che contribuisce alla complessa e dinamica natura del
nostro pianeta.
Dalle regioni più calde del mantello si innalzano colonne di materiale caldo (pennacchi) che giungono fino in
superficie. Queste sono manifestazioni dei punti caldi, caratterizzati da alto flusso termico e intenso vulcanismo. Tali
punti sono attivi e fissi rispetto al continuo movimento delle placche. I pennacchi caldi hanno un azione prolungata che
è in grado di forare la litosfera e di riversare in superficie enormi volumi di magmi basaltici, per tempi lunghissimi.

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