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il secondo dei tre regni dell'Oltretomba cristiano visitato da Dante nel corso del viaggio, con la guida di
Virgilio. Dante lo descrive come una montagna altissima che si erge su un'isola al centro dell'emisfero
australe totalmente invaso dalle acque, agli antipodi di Gerusalemme che si trova al centro dell'emisfero
boreale. Secondo la spiegazione di Virgilio (Inf., XXXIV, 121-126), quando Lucifero venne precipitato
dal cielo in seguito alla sua ribellione, cadde al centro della Terra dalla parte dell'emisfero australe e tutte
le terre emerse si ritirarono in quello boreale, per timore del contatto col maligno; si cre cos la voragine
infernale e la terra che la lasci and a formare la montagna del Purgatorio, che sorge in posizione
opposta all'Inferno. L'isola collegata al centro della Terra da una natural burella, una sorta di cunicolo
sotterraneo che si estende in tutto l'emisfero meridionale e dove scorre un fiumiciattolo, probabilmente lo
scarico del Lete.
Ai tempi di Dante il secondo regno era creazione recente della dottrina, essendo stato ufficialmente
definito solo nel 1274: secondo alcuni storici della Chiesa tale invenzione era dovuta al fine di lucrare
sul pagamento da parte dei fedeli delle preghiere, destinate ad attenuare le pene cui i penitenti erano
sottoposti (e in effetti Dante sottolinea a pi riprese nella Cantica che i fedeli possono abbreviare la
permanenza delle anime nel Purgatorio, ma ci indipendentemente dal denaro versato o meno alle
istituzioni ecclesiastiche).
Secondo Dante, le anime destinate al Purgatorio dopo la morte si raccolgono alla foce del Tevere e
attendono che un angelo nocchiero le raccolga su una barchetta e le porti all'isola dove sorge la montagna.
Qui arrivano su una spiaggia e sono probabilmente accolte da Catone l'Uticense che del secondo regno
il custode; quindi alcune attendono nell'Antipurgatorio un tempo che varia a seconda della categoria di
penitenti cui appartengono (contumaci, pigri a pentirsi, morti per forza, principi negligenti). L'attesa pu
protrarsi a lungo, ma non oltrepassare il Giorno del Giudizio in cui queste anime, comunque salve,
accederanno al Paradiso. Terminato il periodo di attesa, i penitenti attraversano la porta del Purgatorio che
presidiata da un angelo, quindi accedono alle sette Cornici in cui suddiviso il monte. In ogni Cornice
punito uno dei sette peccati capitali, in ordine decrescente di gravit e dunque con un criterio opposto
rispetto all'Inferno: essi sono la superbia, l'invidia, l'ira, l'accidia, l'avarizia e prodigalit, la gola, la
lussuria. All'ingresso di ogni Cornice ci sono esempi della virt opposta (il primo dei quali sempre
Maria Vergine), mentre all'uscita ci sono esempi del peccato che si sconta; gli esempi possono essere
raffigurati visivamente, dichiarati da delle voci o dai penitenti, rappresentati con delle visioni. Il
passaggio da una Cornice all'altra assicurato da delle scale, talvolta ripide e difficili da salire.
Le anime dei penitenti soffrono delle pene fisiche, analoghe per molti versi a quelle infernali e con un
contrappasso, ma con la differenza che i penitenti non sono relegati per l'eternit in una Cornice ma
procedono verso l'alto: quando un'anima ha scontato un peccato e si sente pronta a proseguire, passa alla
Cornice successiva. Dante rappresenta nelle varie Cornici i peccatori pi rappresentativi del peccato che
vi si sconta, anche se ovvio che queste anime stanno compiendo un percorso; il criterio analogo a
quello del Paradiso, in cui i beati si mostrano a Dante nel Cielo di cui hanno subto l'influsso in vita,
mentre normalmente risiedono nella candida rosa nell'Empireo. Le anime si trattengono nelle varie
Cornici un tempo che varia a seconda del peccato commesso, che in certi casi pu essere nullo (Stazio, ad
esempio, non si sottopone alle pene delle ultime due Cornici) o protrarsi per anni o secoli. In ogni caso la
pena non pu andare oltre il Giudizio Universale, dopo il quale i penitenti accedono al Paradiso.
Ovviamente le anime di personaggi particolarmente santi o meritevoli vanno direttamente in Cielo senza
passare dal Purgatorio, come afferma ad esempio l'avo Cacciaguida.
Quando l'anima di un penitente ha scontato per intero la sua pena, il monte scosso da un tremendo
terremoto e tutte le anime intonano il Gloria: a quel punto l'anima accede al Paradiso Terrestre, che si
trova in cima alla montagna dopo il fuoco dell'ultima Cornice. Qui accolta da Matelda, che
probabilmente rappresenta lo stato di purezza dell'uomo prima del peccato originale e che fa immergere il
penitente nelle acque dei due fiumi che scorrono nell'Eden: il Lete, che cancella il ricordo dei peccati
commessi in vita, e l'Euno, che rafforza il ricordo del bene compiuto. A questo punto l'anima pronta a
salire in Cielo, pura e disposta a salire a le stelle come Dante dir di se stesso.
Struttura morale del Purgatorio
Come detto, il secondo regno comprende l'Antipurgatorio e le sette Cornici in cui si scontano i peccati
capitali; eccone uno schema riassuntivo, che indica anche la pena subta dai vari penitenti:
Antipurgatorio
Ospita le anime che devono attendere un certo tempo prima di accedere alle Cornici. Si dividono in
queste categorie:
Contumaci: coloro che sono morti dopo essere stati scomunicati dalla Chiesa (attendono un tempo trenta
volte superiore a quello trascorso come ribelli alla Chiesa)
Pigri a pentirsi: coloro che si sono pentiti troppo tardivamente, per pigrizia (attendono tutto il tempo della
loro vita)
Morti per forza: coloro che sono morti violentemente e sono stati peccatori fino all'ultima ora (attendono
un tempo indefinito)
Principi negligenti: re e governanti che non hanno avuto cura della propria anima in vita (attendono in una
amena valletta, piena di fiori ed erba, per un tempo indefinito).
I Cornice (Superbi)
Camminano curvi sotto un enorme macigno, che li costringe a guardare verso il basso (mentre essi, in
vita, guardarono verso l'alto con presunzione)
II Cornice (Invidiosi)
Hanno gli occhi cuciti da del filo di ferro e non possono quindi guardare in malo modo, come fecero in
vita
III Cornice (iracondi)
Camminano in una spessa e fitta oscurit, che provoca irritazione agli occhi (simboleggia il fumo della
collera)
IV Cornice (accidiosi)
Corrono a perdifiato lungo la Cornice, contrariamente alla loro pigrizia in vita
V Cornice (avari e prodighi)
Sono stesi proni sul pavimento della Cornice, col volto a terra, proprio come in vita hanno badato solo ai
beni materiali (tra loro Dante include papa Adriano V)
VI Cornice (golosi)
Sono consumati dalla fame e dalla sete, provocate da due alberi che producono frutti invitanti e da una
fonte d'acqua; essi presentano una spaventosa magrezza
VII Cornice (lussuriosi)
Camminano in un muro di fiamme che li separa dall'Eden, e che simboleggia il fuoco della passione
amorosa che ebbero in vita (Dante include sia i peccatori secondo natura sia i sodomiti, divisi in due
schiere diverse che si rinfacciano reciprocamente il peccato)
L'ascesa di Dante nel Purgatorio
Il poeta compie l'intero percorso accompagnato da Virgilio, che non esperto di questo luogo non
essendovi mai stato prima. Prima di attraversare la porta del Purgatorio, l'angelo guardiano incide con una
spada sulla fronte di Dante sette P, che rappresentano i sette peccati capitali che dovranno essere da lui
scontati moralmente (ogni P verr cancellata all'uscita da ciascuna Cornice). L'ascesa di Dante lungo il
monte, quindi, si presenta come un percorso di purificazione morale analogo per certi aspetti alla discesa
all'Inferno, che ricorda anche (specie nei Canti iniziali) il colle del Canto I dell'Inferno che rappresentava
la felicit terrena e che il poeta non aveva potuto scalare a causa delle tre fiere. La salita faticosa e dura
assai pi della discesa all'Inferno, dal momento che la legge del secondo regno vieta di salire di notte
(secondo quanto Sordello spiega nel Canto VII, 43 ss.) e Dante deve compiere tre soste in altrettante notti
durante l'ascesa (Canti IX, XIX, XXVII, episodi nei quali il poeta fa dei sogni di significato allegorico).
Quasi alla fine del viaggio ai due poeti si unisce l'anima di Stazio, che ha scontato la sua pena nella V
Cornice e pu quindi terminare il suo percorso nel Purgatorio. Stazio fornisce a Dante alcune preziose
indicazioni circa la struttura morale del regno, quindi accompagna lui e Virgilio nell'Eden. Una volta
arrivato qui, il poeta incontra Beatrice alla fine della processione simbolica che rappresenta la vicenda
storica della Chiesa e all'apparire della donna scompare Virgilio, cosa che provoca la disperazione e il
pianto di Dante. Beatrice rimprovera aspramente Dante per i peccati che l'hanno fatto smarrire nella selva,
quindi lei e Matelda immergono Dante nelle acque dei due fiumi, operazione che permette la successiva
ascesa al Paradiso Celeste.
Lingua e stile nel Purgatorio
Rispetto alla I Cantica, il Purgatorio presenta un'atmosfera decisamente meno cupa, pi rilassata e serena
che si manifesta fin dal Canto I, all'arrivo di Dante e Virgilio sulla spiaggia nei minuti che precedono
l'alba, la mattina della domenica di Pasqua. Se lo stile dell'Inferno era spesso aspro e duro, adeguato alla
rappresentazione del regno del dolore, quello della II Cantica di tono pi leggero ed elegiaco, senza
neppure l'elevatezza tragica che sar propria del Paradiso: questo evidente gi nell'incontro con
Casella del Canto II, sulla spiaggia del Purgatorio, quando il musico che fu amico di Dante scende dalla
barca dell'angelo nocchiero e inizia col poeta una conversazione dai toni pacati e amichevoli, che sarebbe
stata impensabile nella I Cantica.
Questa leggerezza si riflette ovviamente anche nella rappresentazione dei penitenti e delle loro pene, che
per quanto plastica e fisica come quella dei dannati non presenta l'asprezza che era propria delle anime
infernali. I penitenti sono color che son contenti / nel foco, perch salvi e ben felici di sottoporsi alla
giusta punizione per i loro peccati terreni: non hanno l'animosit e l'astio che caratterizzava molti dannati,
che rivolgevano invettive o predizioni malevole a Dante, e il poeta pu avere con loro delle serene
conversazioni che spaziano sui pi vari temi (religiosi e politici, artistici e letterari). soprattutto la
riflessione intorno al fine dell'arte e della letteratura che acquista rilievo in questa Cantica, specie
nell'incontro con personaggi quali Oderisi da Gubbio, Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizelli: Dante si
permette anche un virtuosismo linguistico alla fine del Canto XXVI, nell'incontro col trovatore
provenzale Arnaut Daniel cui fa pronunciare alcune parole in perfetto volgare occitanico (e in questo
ambito molto significativo anche l'incontro col poeta latino Stazio, che contrariamente alla realt storica
Dante presenta come cristiano grazie all'inconsapevole aiuto di Virgilio).
Una parentesi a s stante poi la rappresentazione dell'Eden, che si ricollega al mito classico dell'et
dell'oro e consente a Dante di introdurre il personaggio di Beatrice al centro della processione simbolica
delle vicende della Chiesa. questo forse il momento pi elevato e lirico dell'intera Cantica, che prelude
al passaggio del poeta nel terzo regno: anche il momento del commiato da Virgilio, che abbandona il
discepolo dopo averlo guidato attraverso tanti ostacoli e asprezze e al quale Dante rivolge un appassionato
e patetico omaggio chiamandolo dolcissimo patre (XXX, 50). il passaggio all'ultima fase del viaggio
allegorico, quella che porter Dante alle altezze sovrumane del Paradiso: qui lo stile si innalza
improvvisamente, anticipando il proemio della III Cantica in cui il poeta invocher l'assistenza di Apollo
oltre che delle Muse (come si conviene alla rappresentazione di un luogo ben al di l delle capacit di
comprensione dell'intelletto umano: sar il motivo dominante della poesia del Paradiso, il cui stile sar
molto diverso da quello medio del Purgatorio, il regno dove lo spirito umano di salire al ciel diventa
degno).
Purgatorio, Canto I
Argomento del Canto
Proemio della Cantica; Dante e Virgilio arrivano sulla spiaggia del Purgatorio. Dante vede le quattro
stelle. Apparizione di Catone Uticense. Virgilio prega Catone di ammettere Dante al Purgatorio, poi cinge
il discepolo col giunco.
la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, all'alba.
Proemio della Cantica (1-12)
La nave dell'ingegno di Dante si appresta a lasciare il mare crudele dell'Inferno e a percorrere acque
migliori, poich il poeta sta per cantare del secondo regno dell'Oltretomba (il Purgatorio) in cui l'anima
umana si purifica e diventa degna di salire al cielo. La poesia morta deve quindi risorgere e Dante invoca
le Muse, in particolare Calliope, perch lo assistano con lo stesso canto con cui vinsero sulle figlie di
Pierio trasformandole in gazze.
Dante osserva le quattro stelle. Catone (13-39)
L'aria, pura fino all'orizzonte, ha un bel colore di zaffiro orientale e restituisce a Dante la gioia di
osservarlo, non appena lui e Virgilio sono usciti fuori dall'Inferno che ha rattristato lo sguardo e il cuore
del poeta. La stella Venere illumina tutto l'oriente, offuscando con la sua luce la costellazione dei Pesci
che la segue. Dante si volta alla sua destra osservando il cielo australe, e vede quattro stelle che nessuno
ha mai visto eccetto i primi progenitori. Il cielo sembra gioire della loro luce e l'emisfero settentrionale
dovrebbe dolersi dell'esserne privato.
Non appena Dante distoglie lo sguardo dalle stelle, rivolgendosi al cielo boreale da cui ormai tramontato
il Carro dell'Orsa Maggiore, vede accanto a s un vecchio (Catone) dall'aspetto molto autorevole. Ha la
barba lunga e brizzolata, come i suoi capelli dei quali due lunghe trecce ricadono sul petto. La luce delle
quattro stelle illumina il suo volto, tanto che Dante lo vede come se fosse di fronte al sole.
Rimprovero di Catone e risposta di Virgilio (40-84)
Il vecchio si rivolge subito ai due poeti chiedendo chi essi siano, scambiandoli per due dannati che
risalendo il corso del fiume sotterraneo sono fuggiti dall'Inferno. Chiede chi li abbia guidati fin l,
facendoli uscire dalle profondit della Terra, domandandosi se le leggi infernali siano prive di valore o se
in Cielo sia stato deciso che i dannati possono accedere al Purgatorio. A questo punto Virgilio afferra
Dante e lo induce a inchinarsi di fronte a Catone, abbassando lo sguardo in segno di deferenza. Quindi il
poeta latino risponde di non essere venuto l di sua iniziativa, ma di esserne stato incaricato da una beata
(Beatrice) che gli aveva chiesto di soccorrere Dante e fargli da guida. In ogni caso, poich Catone vuole
maggiori spiegazioni, Virgilio sar ben lieto di dargliele: dichiara che Dante non ancora morto, anche se
per i suoi peccati ha rischiato seriamente la dannazione; Virgilio fu inviato a lui per salvarlo e non c'era
altro modo se non percorrere questa strada. Gli ha mostrato tutti i dannati e adesso intende mostrargli le
anime dei penitenti che si purificano sotto il controllo di Catone. Sarebbe lungo spiegare tutte le
vicissitudini passate all'Inferno: il viaggio dantesco voluto da Dio e Catone dovrebbe gradire la sua
venuta, dal momento che Dante cerca la libert che preziosa, come sa chi per essa rinuncia alla vita.
Catone, che in nome di essa si suicid a Utica pur essendo destinato al Paradiso, dovrebbe saperlo bene.
Virgilio ribadisce che le leggi di Dio non sono state infrante, poich Dante non morto e lui proviene dal
Limbo dove si trova la moglie di Catone, Marzia, che ancora innamorata di lui. Virgilio prega Catone di
lasciarli andare in nome dell'amore per la moglie, promettendo di parlare di lui alla donna una volta che
sar tornato nel Limbo.
Replica di Catone a Virgilio (85-111)
Catone risponde di aver molto amato Marzia in vita, tanto che la donna ottenne sempre da lui ci che
voleva, ma adesso che confinata al di l dell'Acheronte non pu pi commuoverlo, in forza di una legge
che fu stabilita quando lui fu tratto fuori dal Limbo. Tuttavia, poich Virgilio afferma di essere guidato da
una donna del Paradiso, sufficiente invocare quest'ultima e non c' bisogno di ricorrere a lusinghe.
Catone invita dunque i due poeti a proseguire, ma raccomanda Virgilio di cingere i fianchi di Dante con
un giunco liscio e di lavargli il viso, togliendo da esso ogni segno dell'Inferno, poich non sarebbe
opportuno presentarsi in quello stato davanti all'angelo guardiano alla porta del Purgatorio. L'isola su cui
sorge la montagna, nelle sue parti pi basse dov' battuta dalle onde, piena di giunchi che crescono nel
fango, in quanto tale pianta l'unica che pu crescere l col suo fusto flessibile. Dopo che i due avranno
compiuto tale rito non dovranno tornare in questa direzione, ma seguire il corso del sole che sta sorgendo
e trovare cos un facile accesso al monte. Alla fine delle sue parole Catone svanisce e Dante si alza senza
parlare, accostandosi a Virgilio.
Virgilio lava il viso di Dante e lo cinge con un giunco (112-136)
Virgilio dice a Dante di seguire i suoi passi e lo invita a tornare indietro, lungo il pendio che da l conduce
alla parte bassa della spiaggia. ormai quasi l'alba e sta facendo giorno, cos che Dante pu guardare in
lontananza il tremolio della superficie del mare. Lui e Virgilio proseguono sulla spiaggia deserta, come
qualcuno che finalmente torna alla strada che aveva perso: giungono in un punto in cui la rugiada
all'ombra e ancora non evapora. Virgilio pone entrambe le mani sull'erba bagnata e Dante, che ha capito
cosa vuol fare il maestro, gli porge le guance bagnate ancora di lacrime. Virgilio gli lava il viso e lo fa
tornare del colore che l'Inferno aveva coperto, quindi i due raggiungono il bagnasciuga e il maestro estrae
dal suolo un giunco, col quale cinge i fianchi di Dante proprio come Catone gli aveva chiesto di fare. Con
grande meraviglia di Dante, l dove Virgilio ha strappato il giunco ne rinasce subito un altro.
Interpretazione complessiva
Il Canto si apre col proemio della II Cantica, in modo analogo al Canto II dell'Inferno in cui Dante aveva
invocato genericamente le Muse: qui il poeta chiede l'assistenza di Calliope, la Musa della poesia epica
che dovr guidare la navicella del suo ingegno in un mare meno crudele di quello dell'Inferno che si
lasciato alle spalle (la metafora della poesia come di una nave che solca il mare era un tpos gi della
letteratura classica e torner nell'esordio del Canto II del Paradiso). Rispetto al proemio dell'Inferno,
quello del Purgatorio pi ampio e si arricchisce del mito delle figlie del re della Tessaglia Pierio, che
osarono sfidare le Muse nel canto e furono vinte proprio da Calliope, venendo poi trasformate in uccelli
dal verso sgraziato (le piche, cio le gazze); Dante avvisa il lettore dell'innalzamento della materia
rispetto alla I Cantica, ma ribadisce ulteriormente che il suo canto dovr essere assistito dall'ispirazione
divina, di cui le Muse sono personificazione, e che la sua poesia non avr certo l'ardire di gareggiare
follemente con Dio nel descrivere la dimensione dell'Oltretomba, troppo elevata per essere pianemente
compresa dall'intelletto umano ( la concezione dell'arte del Medioevo che torner a pi riprese nel corso
della Cantica, nonch un preannuncio della poetica dell'inesprimibile che sar al centro del Paradiso).
Il primo dato che si offre al poeta visivo, in quanto lui e Virgilio sono tornati all'aperto dopo la terribile
discesa all'Inferno e Dante pu respirare di nuovo aria pura, ammirando il cielo prima dell'alba che di un
bell'azzurro intenso; la mattina di Pasqua, il giorno della liturgia che segna la Resurrezione di Cristo e la
vittoria sul peccato, mentre Dante sta per intraprendere l'ascesa del Purgatorio che avr per lui lo stesso
effetto. Nel cielo non ancora illuminato dal sole brillano quattro stelle, la cui luce intensa colpisce Dante e
gli fa compiangere l'emisfero settentrionale che non ha mai visto quella costellazione: nonostante vari
tentativi di identificarla (alcuni hanno pensato alla Croce del Sud, forse nota a Dante attraverso cronache
di viaggio), probabile che le stelle simboleggino le quattro virt cadinali, ovvero fortezza, prudenza,
temperanza e giustizia, il cui pieno possesso condizione indispensabile per il conseguimento della grazia
e, quindi, della salvezza eterna. Possedere le virt cardinali permette di raggiungere la felicit terrena, a
sua volta rappresentata dal colle che Dante aveva invano tentato di scalare nel Canto I dell'Inferno, mentre
ora c' un altro monte che dovr ascendere con la guida di Virgilio, allegoria della ragione che alla felicit
terrena deve condurre; il paesaggio di questo episodio ricorda volutamente quello del Canto iniziale
dell'Inferno, fatto che lo stesso Dante ribadisce nei versi finali dicendo che gli sembra di tornare a la
perduta strada, che altro non se non la diritta via che aveva smarrito e che lo aveva fatto perdere nella
selva oscura.
La luce delle stelle illumina del resto anche il volto di Catone l'Uticense, il custode del Purgatorio che
accoglie i due poeti accusandoli di essere dannati appena fuggiti dall'Inferno: la sua presenza in questo
luogo e con il ruolo di custode del secondo regno ha creato molti dubbi fra i commentatori, in quanto
sembra assai strano che un pagano, per giunta nemico di Cesare e morto suicida, possa trovarsi tra le
anime salve ( Virgilio a dichiarare che la vesta, il corpo lasciato da Catone ad Utica risplender il Giorno
del Giudizio, quando sar ammesso in Paradiso). In realt Dante riserva a lui questo ruolo sulla scorta di
una lunga tradizione antica, che riconosceva in Catone un altissimo esempio di vita morale e dignitosa,
anche fra gli scrittori cristiani che addirittura interpretavano allegoricamente la vicenda personale sua e
della moglie Marzia. Dante, pi semplicemente, vede in lui il simbolo di chi lotta tenacemente per la
libert politica e ne fa il simbolo della lotta per la libert dal peccato, che il motivo essenziale nella
rappresentazione del Purgatorio; Catone anche un esempio di salvezza clamorosa e inattesa dovuta al
giudizio divino imperscrutabile, come si visto in alcuni casi nell'Inferno (Brunetto Latini, Guido da
Montefeltro) e come si vedr nel caso ancor pi scandaloso rappresentato da Manfredi, protagonista del
Canto III. Del resto Dante afferma chiamaramente che Catone stato nel Limbo fino a quando Cristo
trionfante non lo ha tratto fuori insieme ai patriarchi biblici, quindi nonostante la sua condotta
peccaminosa era gi collocato fra gli antichi spiriti che si erano distinti per il possesso delle virt terrene,
come Virgilio; e la sua descrizione lo accosta proprio a un patriarca, con i suoi lunghi capelli e la barba
che Dante trovava peraltro nella rappresentazione che di lui offre Lucano nel Bellum Civile (II, 373-374).
I rimproveri di Catone ai due poeti danno modo a Virgilio di riepilogare le vicende della I Cantica in una
sorta di breve flashback, forse a beneficio dei lettori che non avevano letto tutto l'Inferno, e il suo discorso
un'abile suasoria con tanto di captatio benevolentiae in cui il poeta latino ricorda a Catone il suo sucidio
come atto di suprema protesta per la libert politica, gli rammenta che lui comunque salvo e cita la
moglie Marzia che lui ha conosciuto nel Limbo, promettendo di parlarle di lui se Catone li ammetter nel
Purgatorio. Il discorso di Virgilio sostanzialmente inutile, dal momento che il viaggio di Dante voluto
da Dio e non pu certo essere ostacolato da Catone, il quale infatti si affretta a dire che Marzia non ha pi
alcun potere su di lui e che la sola donna a legittimare il viaggio di Dante Beatrice, che dal cielo guida i
suoi passi verso la grazia. Dante pu quindi procedere, ma non prima di aver compiuto un duplice atto
rituale: prima di presentarsi all'angelo guardiano dovr lavare il viso, sporco del fumo dell'Inferno e delle
lacrime che l'hanno segnato in pi di un'occasione, e dovr anche cingere i fianchi di un giunco liscio, in
segno di umilt e sottomissione alla volont divina. Il giunco la sola pianta a crescere sul bagnasciuga
della spiaggia del Purgatorio, in quanto col suo fusto flessibile asseconda il battere delle onde (segno
anch'esso di sottomissione, come dimostra il fatto che il giunco poi definito umile pianta); Dante se ne
deve cingere i fianchi dopo essersi gi liberato da un'altra corda, che era servita a Virgilio per richiamare
Gerione alla cine del Canto XVI dell'Inferno. Non sappiamo se la cosa sia casuale o abbia un preciso
significato allegorico, ma il rito conclude il Canto preannunciando ci che avverr negli episodi
successivi e segnando il passaggio ad un luogo retto da leggi del tutto diverse rispetto a quelle del
doloroso regno: la pianta strappata da Virgilio rinasce immediatamente tale qual era, il che riempie Dante
di meraviglia e ci fa capire che gli orrori dell'Inferno sono definitivamente alle spalle (giova ricordare in
quale ben diversa atmosfera Dante aveva strappato un altro ramoscello, quello di un albero della selva dei
suicidi nel Canto XIII dell'Inferno, episodio dal quale siamo evidentemente lontanissimi).
Purgatorio, Canto II
Argomento del Canto
Ancora sulla spiaggia del Purgatorio. Apparizione dell'angelo nocchiero. Incontro con le anime dei
penitenti, tra i quali c' il musico Casella. Canto di Casella e rimprovero di Catone. Fuga di Dante e
Virgilio.
la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, all'alba.
Descrizione dell'alba. Apparizione dell'angelo (1-36)
Il sole sta ormai tramontando all'orizzonte di Gerusalemme, il cui cerchio meridiano sovrasta la citt col
suo punto pi alto, e la notte, che gira opposta al sole, sorge dal Gange nella costellazione della Bilancia,
in cui non si trova pi quando essa supera per durata il giorno; cos sulla spiaggia del Purgatorio l'aurora
diventa da rossa progressivamente arancione. Dante e Virgilio sono ancora sul bagnasciuga, pensando al
cammino che devono intraprendere, quando al poeta pare di vedere sul mare una luce simile a quella di
Marte quando velato dai vapori che lo avvolgono, che si muove rapidissima verso la riva. Dante
distoglie un attimo lo sguardo per parlare a Virgilio, e quando torna a guardare la luce la vede pi
splendente e pi grande. In seguito ai lati di essa compare qualcosa di bianco e un altro biancore al di
sotto: il maestro resta in silenzio, fino a quando capisce che il primo biancore sono delle ali e allora grida
a Dante di inginocchiarsi e di unire le mani in preghiera, perch si avvicina un angelo del Paradiso.
Virgilio spiega a Dante che l'angelo non usa remi n vele o altri strumenti umani, ma tiene le ali aperte e
dritte verso il cielo, fendendo l'aria con penne eterne che non cadono mai.
Incontro con le anime dei penitenti (37-75)
Man mano che l'angelo si avvicina e diventa pi visibile a Dante, questi non riesce a sostenerne lo
sguardo e deve volgere gli occhi a terra. Poi il nocchiero celeste viene a riva spingendo una barchetta cos
leggera che non affonda minimamente nell'acqua; l'angelo sta a poppa e nella barca di sono pi di cento
anime, che intonano a una voce il Salmo In exitu Israel de Aegytpo. L'angelo fa loro il segno della croce,
quindi le anime si gettano sulla spiaggia e il nocchiero riparte con la stessa velocit con cui giunto. La
folla delle anime si guarda intorno, come qualcuno inesperto di un luogo, mentre il sole ormai alto e la
costellazione di Capricorno sta gi declinando dalla met del cielo. I nuovi arrivati si rivolgono ai due
poeti chiedendo di mostrargli la via per il monte, ma Virgilio li informa che anch'essi sono appena arrivati
in quel luogo, attraverso una via talmente aspra che l'ascesa del monte sembrer uno scherzo. Le anime si
accorgono che Dante respira ed vivo, impallidendo per lo stupore: esse si accalcano intorno a lui per la
curiosit, come fa la gente attorno al messaggero che porta notizie di pace, quasi dimenticandosi di
accedere al monte per purificarsi dai loro peccati.
Incontro con Casella (76-111)
Dante vede una della anime farsi avanti per abbracciarlo, il che spinge il poeta a fare altrettanto, ma i suoi
tre tentativi vanno a vuoto in quanto le braccia attraversano lo spirito, inconsistente, e tornano al suo
petto. Dante stupito e l'anima sorride, invitandolo a separarsi dagli altri penitenti. Il poeta lo segue e i
due si appartano, finch Dante lo riconosce come l'amico Casella e lo prega di fermarsi un poco a
parlargli: il penitente risponde dicendo che gli vuole bene da morto come da vivo, e gli chiede perch si
trova in quel luogo. Dante risponde che fa questo viaggio per salvarsi l'anima e chiede a sua volta a
Casella perch giunga solo ora in Purgatorio dopo la sua morte. Il penitente spiega che non gli stato
fatto alcun torto se l'angelo nocchiero gli ha negato pi volte di condurlo l, poich la sua volont
conforme a quella di Dio. In realt, spiega, da tre mesi l'angelo ha raccolto tutti quelli che hanno voluto
salire sulla barca: stato allora che Casella stato preso alla foce del Tevere, dove si raccolgono tutte le
anime non destinate all'Inferno e dove l'angelo si diretto dopo aver lasciato la spiaggia del Purgatorio. A
questo punto Dante prega Casella, se una nuova legge non glielo vieta, di confortarlo col suo canto come
faceva quand'era in vita, poich il poeta giunto l con tutto il corpo ed quindi particolarmente
affaticato.
Il canto di Casella. Rimprovero di Catone (112-133)
Casella inizia a intonare la canzone Amor che ne la mente mi ragiona, cantando con tale dolcezza che essa
ancora presente nell'animo di Dante. Non solo lui, ma anche Virgilio e tutte le anime stanno ad ascoltare
il canto di Casella, contenti e appagati come se non avessero altri pensieri. Sono tutti attenti alle note,
quando ricompare all'improvviso Catone che rimprovera aspramente le anime, accusandole di lentezza e
negligenza e spronandole a correre al monte per purificarsi dai peccati che impediscono loro di vedere
Dio. Le anime fuggono disordinatamente verso il monte, come quando i colombi, che stanno beccando
tranquillamente il loro pasto, sono spaventati da qualcosa e volano via d'improvviso, e anche i due poeti
scappano allo stesso modo.
Interpretazione complessiva
Il Canto strutturalmente diviso in due parti, che corrispondono all'arrivo dell'angelo nocchiero con la
barca dei penitenti e all'incontro col musico Casella, che si conclude col rimprovero di Catone che, come
si vedr, non privo di significato allegorico. L'episodio aperto dall'ampia e complessa descrizione
astronomica dell'alba, che rappresenta un piccolo proemio dopo quello della Cantica del Canto I: Dante
descrive il sole e la notte come due figure astronomiche che percorrono la stessa strada ai punti opposti
del cielo, per cui il sole sta tramontando sull'orizzonte di Gerusalemme e la notte spunta sul Gange, il
punto estremo dell'Occidente; essa in congiunzione con la costellazione della Bilancia che,
metaforicamente, tiene in mano, mentre le cade di mano quando supera in durata il giorno (vuol dire che
dopo l'equinozio di autunno il sole ad essere in congiunzione con la Bilancia). L'immagine si completa
con quella dell'Aurora, personificata come la dea classica, che rossastra quando il sole sta per sorgere e
diventa giallo-arancione ora che sull'orizzonte del Purgatorio l'alba. La metafora astronomica proseguir
a met circa del Canto, quando Dante spiegher che il sole salito nel cielo tanto da aver cacciato il
Capricorno dallo zenit, dardeggiando con le sue saette ogni punto della spiaggia.
A questo inizio stilisticamente sostenuto segue poi l'apparizione dell'angelo nocchiero, non a caso
introdotta anch'essa da un'immagine astronomica (quella di Marte che rosseggia talvolta nel cielo del
mattino, temperato dai vapori che lo avvolgono). il primo incontro con un ministro celeste e la sua
apparizione avviene per gradi, con la descrizione della luce che si muove rapidissima, del biancore che
appare ai suoi lati (le ali) e al di sotto (la veste), infine con Virgilio che invita Dante a inginocchiarsi in
segno di riverenza poich ormai vedr di s fatti officiali. Quasi tutti i commentatori hanno sottolineato
l'enorme differenza tra questo traghettatore e il nocchiero infernale Caronte, che trasportava le anime
dannate al di l dell'Acheronte: l'angelo non usa strumenti umani, non ha remi n vele, si limita a spingere
da poppa la barca che non affonda nell'acqua e dentro la quale pi di cento anime intonano il Salmo che
rievoca la fuga degli Ebrei dall'Egitto (il fatto era interpretato come allegoria della liberazione dal
peccato). Il vasello snelletto leggiero il lieve legno che dovr portare Dante in Purgatorio, come lo
stesso Caronte gli aveva predetto in Inf., III, 91-93 e da esso le anime si accalcano sulla riva, inesperte del
luogo e incerte sulla direzione da prendere; si stupiscono nel vedere che Dante vivo e gli si accalcano
intorno come un messaggero che porta buone notizie ( uno schema che si ripeter pi volte nei primi
Canti del Purgatorio, in totale difformit dagli incontri con i dannati che erano dominati da sentimenti ben
diversi).
L'incontro con l'amico e musico fiorentino Casella il primo colloquio con l'anima di un penitente nel
secondo regno, e l'episodio costituisce una pausa narrativa caratterizzata da grande serenit e pace dopo
l'asprezza della discesa attraverso l'Inferno. Al di l della difficile identificazione del personaggio, su cui
si sono fatte varie congetture, il dato significativo il grande affetto che egli ancora dimostra a Dante (che
tenta inutilmente tre volte di abbracciarlo, con evidente imitazione di due passi virgiliani), mentre
l'incontro d modo a Dante di puntualizzare alcune cose fondamentali circa il destino delle anime non
dirette all'Inferno: Casella a spiegare che le anime salve si raccolgono alla foce del Tevere, dove l'angelo
raccoglie chi lui vuole e quando vuole, secondo la imperscrutabile volont divina, il che giustifica il fatto
che lui giunga solo ora in Purgatorio (la cosa aveva stupito Dante, che lo sapeva morto da qualche mese).
L'indizione per l'anno 1300 del Giubileo da parte di Bonifacio VIII ha permesso a tutte le anime di salire
sulla barca ed per questo che Casella ha potuto fare il suo arrivo in Purgatorio: Dante gli chiede di
cantare per lui, per confortarlo della fatica del viaggio che sta compiendo, e l'amico esaudisce la sua
preghiera intonando la canzone Amor che ne la mente mi ragiona (quella commentata nel III Trattato del
Convivio), che probabilmente lui stesso aveva musicato. La canzone, forse dedicata inizialmente a
Beatrice e rientrante nei canoni dello Stilnovo, nel Convivio era stata reinterpretata allegoricamente alla
luce della donna gentile e della Filosofia, quindi rimanda al periodo del cosiddetto traviamento di
Dante e del peccato che la stessa Beatrice gli rifaccer nei Canti finali del Purgatorio; il canto di Casella
cos melodioso che tutti, incluso Virgilio, si attardano ad ascoltarne le note, come se nessun altro pensiero
toccasse loro la mente, avvinti dal potere della musica che Dante, proprio nel Convivio, descriveva come
irresistibile.
a questo punto che si inserisce il duro rimprovero di Catone, che riappare all'improvviso e mette fine al
canto esortando gli spiriti a non essere lenti, a non peccare di negligenza indugiando ad ascoltare la bella
musica invece di correre al monte per iniziare il percorso di purificazione. Il richiamo non casuale e si
comprende alla luce del significato che alla musica e all'arte in genere era assegnato nel Medioevo: fine
dell'arte non quello di dare piacere o quetar tutte le voglie dando appagamento all'anima, come per lo
pi ritiene la concezione moderna, bens quello di fornire un utile ammaestramento e insegnamento di
carattere morale per raggiungere la salvezza. Ogni manifestazione artistica che distolga l'animo umano
dai suoi doveri e lo appaghi inducendo a dimenticarsi dei propri obblighi non solo disdicevole, ma
addirittura pericolosa sul piano religioso: in questo senso va interpretato il rimprovero di Catone, cos
come la reazione delle anime che scappano disordinatamente verso il monte (inclusi Dante e Virgilio); il
fatto che la canzone scelta da Dante fosse dedicata alla Filosofia e sia tratta dal Convivio non forse del
tutto casuale, poich probabile che quell'opera costituisse un tentativo pericoloso sul piano dottrinale di
arrivare alla verit non attraverso la grazia e la teologia, ma esclusivamente con l'uso della ragione
umana. Dante respinge quindi qualsiasi concezione dell'arte, inclusa la poesia, di carattere puramente
edonistico e non finalizzata alla salvezza spirituale, come del resto gi aveva fatto nell'episodio di Paolo e
Francesca che stavano leggendo per diletto la storia di Lancillotto e Ginevra ed erano caduti nel peccato:
il canto solitario di Casella si contrappone a quello del Salmo che tutte le anime avevano intonato a una
voce, il cui scopo non era per quello di consolare l'anima afflitta ma celebrare la liberazione dal peccato
e dai vincoli terreni (e un analogo discorso sull'arte, soprattutto su quella figurativa e sulla poesia, verr
affrontato anche nei Canti X, XI e XII dedicati ai ai superbi della I Cornice, per comprendere il quale sar
indispensabile tener presente proprio la natura morale del richiamo di Catone).
Purgatorio, Canto IV
Argomento del Canto
Dante e Virgilio raggiungono il punto in cui si accede al monte. Faticosa salita dei due fino al primo balzo
dell'Antipurgatorio; spiegazione di Virgilio sul corso del sole. Incontro con le anime dei pigri a pentirsi e
con Belacqua.
la mattina di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, tra le nove e mezzo e mezzogiorno.
Osservazioni di Dante sul trascorrere del tempo (1-18)
Quando l'anima umana, spiega Dante, si concentra tutta su qualcosa per una forte impressione di piacere o
di dolore, questo annulla tutte le altre facolt e ci contraddice chi crede che in noi vi siano pi anime.
Quindi l'uomo non si avvede del passare del tempo, se la sua attenzione tutta rivolta verso qualcosa, e di
ci Dante ha avuto esperienza in questa occasione perch mentre parlava con Manfredi non si accorto
che il sole salito ben alto nel cielo. Lui, Virgilio e le anime dei contumaci sono intanto arrivati al punto
dove possibile iniziare l'ascesa del monte.
Dante e Virgilio salgono verso il primo balzo (19-54)
Virgilio si incammina subito lungo un erto sentiero, pi stretto di un'apertura nella siepe che il contadino
talvolta chiude con delle spine per proteggere l'uva matura, e Dante lo segue. Presso i sentieri montani pi
ripidi e impervi d'Italia si procede solo coi piedi, ma qui necessario aiutarsi con le ali del desiderio,
come fa Dante che si sforza di star dietro alla sua guida. I due salgono con estrema difficolt, aiutandosi
con piedi e mani, finch raggiungono l'orlo superiore del fianco della montagna, da dove si procede in
uno spazio maggiore. Dante chiede a Virgilio che via faranno e il maestro lo invita a seguirlo, finch
qualcuno dar loro nuove indicazioni. I due si rimettono in marcia, inerpicandosi lungo un pendio assai
ripido, tanto che a un certo punto Dante chiede al maestro di attenderlo perch non riesce a stargli dietro.
Virgilio lo esorta a raggiungere un ripiano roccioso (il primo balzo) che cinge orizzontalmente tutto il
monte. Spronato dalle sue parole, Dante fa un ultimo sforzo e raggiunge carponi il punto indicato, quindi i
due si siedono e si rivolgono a oriente.
Virgilio spiega a Dante il corso del sole (55-84)
Dante rivolge lo sguardo dapprima verso il basso, poi verso il sole e resta stupito del fatto di vederlo alla
sua sinistra, cio verso nord. Virgilio capisce che il discepolo osserva stupito il fenomeno, per cui gli
spiega che se fosse il solstizio d'estate lui vedrebbe il sole ancora pi a settentrione. Per spiegargli bene
come ci sia possibile, il maestro invita Dante a pensare che Gerusalemme e il Purgatorio sono agli
antipodi e hanno lo stesso orizzonte, essendo al centro degli opposti emisferi; per cui il corso del sole per
chi sta al Purgatorio procede da destra a sinistra, verso nord, mentre per chi sta a Gerusalemme compie il
percorso opposto (verso sud). Dante risponde di aver compreso la spiegazione e di capire che l'Equatore
celeste dista dal Purgatorio esattamente quanto dista da Gerusalemme.
Caratteristiche del monte del Purgatorio (85-96)
Dante chiede a Virgilio quanto durer l'ascesa, poich il monte sembra salire al di l di dove arriva il suo
sguardo. Virgilio risponde che la montagna tale che l'ascesa all'inizio sempre molto faticosa, per man
mano che si procede essa diventa pi agevole; perci, quando la salita sembrer a Dante tanto facile
quanto lo scendere la corrente con una nave, allora sar giunto alla fine del cammino. Solo allora potr
riposare e con questo il maestro pone fine alla sua spiegazione.
Incontro con Belacqua. I pigri a pentirsi (97-139)
Appena Virgilio ha finito di parlare, Dante sente una voce che lo apostrofa e osserva ironicamente che,
forse, prima di arrivare avr bisogno di sedersi. I due poeti si voltano e vedono alla loro sinistra una gran
roccia, che prima non avevano notato, verso la quale procedono e dove trovano delle anime che stanno
all'ombra dietro al sasso con fare negligente. Uno degli spiriti, che a Dante sembra affaticato, sta seduto
con le braccia attorno alle ginocchia, tenendo la testa rivolta in basso. Dante lo indica al maestro come
qualcuno che si mostra tanto negligente che la pigrizia sembra sua sorella. Allora il penitente si volta
verso di loro, muovendo solo lo sguardo lungo la coscia, e invita Dante a salire se capace di tanto. Solo
allora Dante lo riconosce ( Belacqua) e anche se il poeta ancora affannato per l'ascesa va verso il
penitente, il quale alza la testa e gli chiede se ha capito bene la dotta spiegazione sul corso del sole. Dante
ride un poco, poi si rivolge a lui rallegrandosi per la sua salvezza e chiedendogli perch se ne sta l
seduto, invece di salire la montagna. Belacqua ribatte che salire non servirebbe a nulla, in quanto l'angelo
guardiano sulla porta del Purgatorio gli sbarrerebbe il passo: poich stato pigro a pentirsi, ora deve
attendere tutto il tempo della sua vita per accedere alle Cornici, a meno che una preghiera che giunga da
un cuore in grazia di Dio non abbrevi l'attesa. Dante deve poi interrompere il colloquio, perch Virgilio lo
invita a procedere essendo ormai mezzogiorno.
Interpretazione complessiva
Il Canto si apre con una sottile dissertazione di Dante sulla natura dell'anima umana, che egli (seguendo
Aristotele e san Tommaso) ritiene una sola, anche se possiede tre distinte potenze o virt fondamentali,
quella vegetativa, quella sensitiva e quella intellettiva. Di ci, spiega, ha avuto un'esperienza diretta nel
corso del colloquio con Manfredi, che ha assorbito totalmente la sua attenzione e non gli ha permesso di
accorgersi del tempo trascorso: il sole, infatti, gi salito di cinquanta gradi sull'orizzonte e sono dunque
circa le 9.20 del mattino, mentre il gruppo di anime ha ormai guidato i due poeti al varco d'accesso al
monte. La teoria esposta da Dante, che controbatte quella platonica e averroistica della triplice anima
umana (concupiscibile, irascibile, razionale), pu sembrare solo un'arida divagazione filosofica, ma si
inserisce in un complesso discorso sul trascorrere del tempo che centrale nel Canto e che avr il suo
momento culminante nell'incontro col protagonista Belacqua: il tempo dimensione fondamentale nel
Purgatorio, che un luogo eterno come Inferno e Paradiso ma in cui le anime devono compiere un
percorso di espiazione e sono quindi ansiose di poter accedere alle pene, per abbreviare il pi possibile la
loro permanenza l prima di essere ammesse in Paradiso (e il passare del tempo rappresentato
visivamente dal corso del sole, citato da Dante in apertura di episodio, nell'ampia e complessa spiegazione
astronomica posta al centro del Canto e alla fine, con l'avvertenza che gi mezzogiorno e che la notte
giunta all'estremo occidente dell'emisfero boreale).
Dopo essersi separati dai contumaci, i due poeti iniziano quindi ad ascendere verso la parte alta del monte
e la salita inizialmente molto faticosa: devono inerpicarsi lungo uno stretto sentiero scavato nella roccia,
dal quale poi escono in un pendio pi ampio ma sempre molto erto, con Virgilio che fa ovviamente da
guida e Dante che fatica a stargli dietro, aiutandosi con mani e piedi. La salita allegoria del percorso
morale dell'anima umana verso la virt e la salvezza, che naturalmente un percorso difficile, anche se
poi Virgilio spiegher che l'ascesa ardua solo all'inizio e diviene poco alla volta pi agevole, fino ad
essere semplice come seguire la corrente di un fiume. La scena ricorda molto quella di Inf., XXIV, 22 ss.,
quando i due poeti avevano dovuto arrampicarsi lungo la parete della VI Bolgia per raggiungere quella
seguente e una volta arrivati in cima il maestro aveva spronato Dante a proseguire, avvertendolo che
seggendo in piuma, / in fama non si vien, n sotto coltre (47-48): qui l'avvertimento di natura morale,
significa che solo a fatica e a prezzo di sacrificio si raggiunge la sperata salvezza, senza farsi scoraggiare
dalle difficolt. il senso della risposta di Virgilio a Dante, che dopo la dotta spiegazione sul corso del
sole (Dante era stupito di vederlo a nord anzich a sud) chiede al maestro quanto durer ancora la salita,
dal momento che la cima del monte neppure si vede: il maestro lo esorta ad andare al fin d'esto sentiero, /
quivi di riposar l'affanno aspetta, che un invito a seguire la ragione finch questa lo condurr alla meta
agognata, quel Paradiso Terrestre dove lo attende la felicit terrena e, soprattutto, Beatrice.
A questa prima parte del Canto dominata dall'ansia del tempo che scorre, dalla necessit di salire per
raggiungere la virt e dallo sprone di Virgilio a vincere le difficolt con la sollecitudine, fa da
contrappunto ironico la figura di Belacqua, che i due poeti incontrano tra le anime dei pigri a pentirsi che
devono attendere tutto il tempo della loro vita prima di entrare in Purgatorio. L'incontro con l'amico
fiorentino una parentesi affettuosa che ha molte analogie con l'episodio di Casella, anche se qui i toni
sono decisamente ironici (e corrispondono probabilmente al carattere del personaggio e ai suoi rapporti
col poeta): Belacqua ad apostrofare Dante, osservando sarcastico che prima di arrivare in cima al monte
avr bisogno di sedersi, mentre il poeta ribatte indicando a Virgilio quell'anima che siede con aspetto
tanto negligente che la pigrizia sembra sua sorella. Belacqua li guarda senza neppure muovere la testa,
invitando Dante a proseguire visto che pu farlo e chiedendogli con molta ironia se ha ben compreso la
spiegazione del maestro sul corso del sole. L'ironia del penitente doppia, essendo rivolta contro Dante
ma anche contro se stesso, per il quale lo scorrere del tempo ha ben diverso peso dal momento che lunga
sar l'attesa prima di iniziare la purificazione. Ritorna poi il motivo fondamentale soprattutto nei Canti
iniziali del Purgatorio, ovvero la possibilit che le preghiere dei congiunti accorcino la permanenza delle
anime nell'Antipurgatorio e nelle varie Cornici: lo stesso Belacqua, a dispetto dalla sua inerzia e del suo
apparente disinteresse per il sole che compie il suo corso nel cielo, si mostra in fondo ansioso di iniziare a
scontare la propria pena e si augura che una orazione... / che surga s di cuor che in grazia viva lo aiuti ad
abbreviare la sua permamenza l prima di poter attraversare la porta del Purgatorio. la stessa richiesta
che gi Manfredi aveva fatto a Dante alla fine del Canto precedente, sia pure in ben diverso contesto, e
che gli rivolgeranno anche le anime dei morti per forza nei due successivi, anche se in quel caso con ben
maggiore sollecitudine (Dante sar addirittura assediato dalla folla di anime che lo pregano di ricordarli ai
vivi, in una scena concitata che sar antitetica alla immobilit della descrizione di Belacqua).
Purgatorio, Canto V
Argomento del Canto
Dante e Virgilio lasciano le anime dei pigri e raggiungono il secondo balzo dell'Antipurgatorio. Incontro
con i morti per forza. Colloquio con Iacopo del Cassero, Bonconte da Montefeltro, Pia de' Tolomei.
mezzogiorno di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300.
Dante e Virgilio lasciano i pigri. Rimprovero di Virgilio (1-21)
Dante e Virgilio hanno appena lasciato le anime dei pigri nel primo balzo dell'Antipurgatorio, quando una
di esse si accorge che Dante proietta un'ombra e lo addita agli altri, come un uomo vivo. Dante si volta e
vede le anime che continuano a indicarlo, finch il maestro gli chiede perch si attardi nell'ascesa badando
alle chiacchiere di quelle anime; lo esorta a seguirlo senza ascoltare nessuno, come una torre che resta
salda nonostante i venti, perch l'uomo che si perde in troppi pensieri non raggiunge l'obiettivo che si
proposto. Dante accetta il rimprovero e segue Virgilio, col viso cosparso di rossore.
Incontro con le anime dei morti per forza (22-63)
Intanto, lungo un ripiano roccioso trasversale alla montagna, delle anime che cantano il Miserere vengono
incontro ai due poeti: quando si accorgono che Dante proietta un'ombra, emettono una esclamazione di
stupore e due loro corrono incontro ai due chiedendo loro di spiegare la propria condizione. Virgilio
risponde dicendo che Dante vivo ed in carne e ossa, e li invita a riferire il messaggio ai loro compagni
in quanto ci potr essergli utile. Le anime corrono su per il balzo rapidissime, come stelle cadenti nel
cielo notturno o lampi al calar del sole, quindi insieme agli altri penitenti raggiungono velocemente i due
poeti. Virgilio raccomanda a Dante di essere breve, dato il gran numero di anime, e di limitarsi ascoltare
le loro preghiere senza arrestarsi.
I penitenti seguono Dante e lo esortano a rallentare un poco, invitandolo a guardarli e dire se in vita ha
mai visto qualcuno di loro. Essi, spiegano, furono tutti morti per forza e peccatori fino all'ultima ora,
quando si pentirono delle loro colpe e morirono in grazia di Dio. Dante li osserva uno a uno, ma non ne
riconosce nessuno; tuttavia li invita a parlare e, se potr fare qualcosa per loro, sar ben lieto di esaudire
ogni loro richiesta in nome di quella pace di cui egli stesso in cerca.
Colloquio con Iacopo del Cassero (64-84)
Uno degli spiriti (Iacopo del Cassero) dice che essi si fidano di Dante senza bisogno di giuramenti, quindi
lo prega, se mai andr nel paese posto tra la Romagna e il regno di Napoli (la Marca Anconetana), di
pregare a sua volta i suoi conoscenti a Fano affinch essi preghino per abbreviare la sua permanenza
nell'Antipurgatorio. Lui originario di Fano, ma le ferite che lo hanno ucciso gli furono inferte in
territorio padovano, dove credeva di essere al sicuro: il colpevole fu Azzo d'Este, adirato con lui ben al di
l del lecito. Se lui fosse fuggito verso la Mira, sul Brenta, quando fu raggiunto dai suoi assassini ad
Oriago, sarebbe ancora vivo; invece rimase impigliato nella palude e cadde a terra vedendo spargersi il
suo sangue.
Colloquio con Bonconte da Montefeltro (85-129)
Un altro spirito prende la parola, augurando a Dante di raggiungere la sommit del monte e pregandolo di
aiutarlo. Si presenta com Bonconte da Montefeltro, la cui vedova non si cura di lui sulla Terra, per cui il
penitente va con la fronte bassa. Dante gli chiede quale circostanza fece s che il suo corpo non fosse mai
ritrovato dopo la sua morte nella battaglia di Campaldino: il penitente risponde che ai piedi del Casentino
scorre un fiume di nome Archiano, che nasce in Appennino e sfocia in Arno. Qui Bonconte arriv con la
gola squarciata, a piedi e sanguinante, e prima di morire si pent nominando Maria: una volta morto, la
sua anima fu presa da un angelo, mentre un diavolo protestava perch, a causa del suo tardivo pentimento,
non poteva portarlo all' Inferno. Il demone infier per sul suo corpo: Bonconte spiega che nell'atmosfera
si raccoglie l'umidit che si trasforma in pioggia a causa del freddo, per cui il diavolo us il suo potere per
scatenare una terribile tempesta che copr di nebbia tutta la pianura e rivers una gran quantit d'acqua a
terra. Il suolo non la pot assorbire tutta ed essa riemp i fossati confluendo poi nei fiumi, fino all'Arno; le
acque dell'Archiano, con la sua corrente rapinosa, trascinarono via il corpo di Bonconte nell'Arno,
sciogliendo il segno della croce che lui aveva fatto in punto di morte, quindi il suo cadavere fu seppellito
sul fondale del fiume.
Colloquio con Pia de' Tolomei (130-136)
Appena Bonconte ha terminato di parlare, prende la parola l'anima di una penitente: costei chiede a
Dante, quando sar tornato nel mondo e si sar riposato del suo lungo cammino, di ricordarsi di lei, Pia
de' Tolomei: era nata a Siena e poi mor violentemente in Maremma, come ben sa l'uomo che l'aveva
chiesta in sposa e le aveva dato l'anello nuziale.
Interpretazione complessiva
Il Canto inizia coi due poeti che si allontanano dal primo balzo dell'Antipurgatorio, mentre le anime dei
pigri si accorgono che Dante vivo e iniziano a indicarlo con insistenza, inducendolo a fermarsi e a
guardarli. La cosa suscita il rimprovero di Virgilio al discepolo, accusato di perdere tempo ascoltando ci
che quivi si pispiglia, invece di affrettarsi a seguirlo per raggiungere la sommit del monte: il richiamo del
maestro sembrato eccessivo ad alcuni commentatori, ma esso si inserisce nel discorso sul tempo che ha
occupato buona parte del Canto IV e che fondamentale nel secondo regno, dove le anime, incluso
Dante, devono compiere un percorso che richiede impegno e fatica, per cui attardarsi oziosamente
inutile e contrario al loro dovere (si anche pensato a un riferimento alle critiche che il poeta ricevette per
la sua condotta politica, in particolare per il suo rifiuto a rientrare a Firenze nel 1315, per cui
l'ammonimento di Virgilio a non badare alle chiacchiere di gente inferiore, di mantenersi saldo nei suoi
propositi sapendo di essere dalla parte della ragione). Fatto sta che Dante prova vergogna per il
rimprovero, in modo simile a Inf., XXX, 130-148, e si affretta a seguire il maestro fino al secondo balzo,
dove incontrano la schiera delle anime dei morti per forza.
Qui la reazione dei penitenti di stupore come quella delle altre anime gi incontrate, anche se il loro
atteggiamento del tutto opposto a quello dei pigri: questi penitenti mandano subito dei messaggeri per
chiedere notizie dei due viaggiatori, quindi tornano dai loro compagni con la notizia che Dante vivo
correndo velocissimi, come stelle cadenti che fendono il cielo notturno o lampi che squarciano il cielo
estivo al tramonto. La loro concitazione segna tutto l'episodio e l'inizio del successivo, creando un forte
contrasto con l'inerzia e l'immobilit di pigri: queste anime rincorrono letteralmente Dante (cui Virgilio ha
raccomandato di non fermarsi e di ascoltare camminando), lo assediano, lo esortano a rallentare il passo
in modo insistente (deh, perch vai? deh, perch non t'arresti?). La loro preoccupazione, come per tutte le
anime dell'Antipurgatorio, di essere ricordati ai vivi perch questi, con le loro preghiere, possono
abbreviare la loro attesa, cosa che vale soprattutto per loro che essendo morti violentemente e avendo
peccato fino all'ultima ora potevano essere creduti all'Inferno. Dante presenta tre di queste anime, la cui
rapida successione scandisce i vari momenti della seconda parte del Canto: sono tre episodi molto diversi,
per il tono e la funzione narrativa che ciascuno di essi assolve e anche per estensione, dal momento che
quello di Bonconte decisamente pi ampio degli altri due che gli fanno, per cos dire, da cornice.
Il primo a parlare Iacopo del Cassero, che non dice il proprio nome (la sua storia era talmente nota che
l'identificazione non lasciava dubbi) e dopo aver pregato Dante di sollecitare le preghiere dei congiunti
racconta la vicenda della sua uccisione. Le sue parole sono un duro atto d'accusa contro il mandante dei
suoi sicari, quell'Azzo VIII d'Este gi citato da Dante come uccisore del proprio padre in Inf., XII, 112 e
spesso da lui esecrato come spietato tiranno; Iacopo descrive la crudezza della sua morte, che avvenne l
dove credeva di essere al sicuro (in grembo a li Antenori, nel padovano), ed esprime un certo rimpianto
per il fatto di essere rimasto impacciato nella palude di Oriago dove fu ferito a morte, cosa che gli imped
di essere soccorso e, forse, di sopravvivere.
Molto diverso il discorso di Bonconte da Montefeltro, che si presenta e suscita la curiosit di Dante,
poich il suo corpo non era mai stato trovato sul campo di Campaldino dove egli era caduto, nella stessa
battaglia cui il poeta aveva preso parte. Il racconto di Bonconte delinea uno scenario grandioso e solenne,
che riprende per contrasto (anche di toni) il racconto simile che il padre Guido aveva fatto a Dante nel
Canto XXVII dell'Inferno, in quel caso credendo che le sue parole non sarebbero arrivate nel mondo.
Bonconte invita invece Dante a riferire a' vivi la verit di quanto accadde a Campaldino: la sua anima
venne contesa tra un angelo e un diavolo, ma l'esito di questo contrasto era stato opposto a quello narrato
da Guido, in quanto Bonconte si era pentito sinceramente e dunque la sua anima era destinata al
Purgatorio. A quel punto il diavolo aveva scatenato una terribile tempesta che trascin via il cadavere di
Bonconte, seppellendolo sul fondale dell'Arno e non facendolo pi ritrovare: il racconto del penitente
importante e crea un voluto contrasto con l'episodio del padre Guido, poich quello era da tutti creduto
salvo per la sua monacazione e invece finito dannato per la non sincerit del suo pentimento, mentre
Bonconte si realmente pentito e ora salvo, anche se la sua morte violenta e la scomparsa dal cadavere
potevano far credere alla sua dannazione. La salvezza di Bonconte l'ennesimo caso di una rivelazione
inattesa che sconfessa la credenza popolare su un personaggio, meno clamoroso di quello di Manfredi o di
altri, ma egualmente significativo del fatto che solo Dio pu leggere la bont del pentimento nel cuore
dell'uomo e nessuno, quindi, pu sapere con certezza quale sar il destino ultraterreno di un personaggio.
L'episodio si chiude con la parentesi delicatissima di Pia de' Tolomei, che prende la parola dopo la
grandiosa descrizione delle potenze infernali con pochi versi di straordinaria dolcezza: la penitente
meno insistente degli altri, prega Dante di ricordarsi di lei quando sar tornato sulla Terra ed essersi
riposato de la lunga via (l'accento torna sulla fatica del cammino, che il poeta compie per purificarsi e con
tutto il corpo). Gli ultimi tre versi del Canto sono come un'epigrafe funeraria, con l'indicazione del luogo
di nascita e di morte della fanciulla (Siena mi f, disfecemi Maremma, che anche un chiasmo) e
l'accusa, molto velata e in tono col personaggio, rivolta al marito di averla uccisa, senza alcuna parvenza
di rancore o di biasimo. Non conosciamo la causa esatta di questo omicidio, che forse non era nota
neppure a Dante, quindi impossibile dire se Pia con le sue parole voglia protestare la sua innocenza, o
scusare il marito per averla assassinata, o ancora esprimere il perdurare del suo amore per lui nonostante
quel che ha fatto: non escluso che qui, come in altri casi nel poema (Ugolino, ad es., sia pure in un
contesto lontanissimo da questo) Dante voglia lasciare le cose nell'indeterminatezza, chiudendo il Canto
con questa figura fragile e delicata che costituisce quasi una pausa al tono concitato dell'intero episodio (e
che riprender all'inizio del seguente, con Dante che faticher a liberarsi delle anime che lo assillano con
una certa petulanza, rispetto alle quali Pia rappresenta una notevole eccezione).
Note e passi controversi
Alcuni mss. al v. 14 leggono fermo, riferito a Dante e non alla torre, ma lezione poco probabile.
Il verbo insolla (v. 18) significa indebolisce e deriva dall'aggettivo sollo, debole.
In forma di messaggi (v. 28) vuol dire in qualit di messaggeri.
L'espressione vapori accesi (v. 37) significa sia stelle cadenti sia lampi: fa da soggetto al verbo
fender che ha come compl. ogg. rispettivamente sereno e nuvole d'agosto; sol calando ha valore di un
ablativo assoluto latino e vuol dire al calare del sole.
Il v. 66 significa purch l'impossibilit non impedisca la tua buona volont; nonpossa parola
composta come noncuranza.
Il paese (v. 68) che sta tra la Romagna e il regno di Napoli, governato da Carlo II d'Angi, la Marca
Anconetana dove sorgeva Fano.
L'espressione in sul quale io sedea (v. 74) vuol dire sul quale (sangue) io, anima, avevo la mia sede (era
opinione diffusa, nella fisiologia medievale, che l'anima umana risiedesse nel sangue.
Il territorio di Padova detto in grembo a li Antenri (v. 75) perch secondo un'antica leggenda Antenore
aveva fondato la citt veneta.
Il braco citato al v. 82 il fango (cfr. Inf., VIII, 50: come porci in brago).
Al v. 88 Bonconte si presenta e usa due diversi tempi (fui... son), a indicare ci che fu in vita, cio
membro della casata di Guido da Montefeltro, e ci che continua a essere come individuo.
L'Archiano (v. 95) un affluente di sinistra dell'Arno, che vi sfocia dopo aver attraversato la pianura del
Casentino e che nasce presso l'Eremo (Ermo) di Camaldoli, in un luogo boscoso presso il Falterona,
sull'Appennino. Il suo nome diventa vano (v. 97) nel punto in cui sfocia nell'Arno.
Ai vv. 100-102 alcuni editori moderni mettono una virgola dopo vista e legano la parola al verbo fin
(prima persona singolare); in tal caso si dovrebbe leggere: Qui persi la vista e le mie parole finirono col
nome di Maria.... L'interpretazione convincente, anche se il verbo finire nel senso di morire
ampiamente attestato nella lingua del Trecento.
L'etterno (v. 106) l'anima di Bonconte, mentre l'altro (v. 108) il corpo; da notare la replicazione de
l'altro altro governo.
I vv. 112-113 sono stati variamente interpretati, ma il senso pi probabile sembra essere questo: quello
(il demonio) un la volont malvagia (mal voler), che ricerca solo il male, all'intelletto.... Era opinione
dei teologi che il diavolo avesse il potere di agire sugli elementi atmosferici.
Il gran giogo (v. 116) non indica forse una cima in particolare, ma l'ultimo tratto dell'Alpe di Serra (detto
anche giogana).
Il fiume real (v. 122) l'Arno, che nel Trecento era detto cos come tutti i fiumi che sfociavano in mare.
Il v. 129 che chiude il racconto di Bonconte (poi di sua preda mi coperse e cinse) sembrato a molti
commentatori particolarmente lapidario, tanto da essere accostato alla chiusa del racconto di Ulisse (Inf.,
XXVI, 142): infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.
Il verbo salsi (v. 135) forma contratta di sallosi e significa lo sa.
Alcuni mss. leggono al v. 136 disposata, che darebbe alla frase questo senso: colui che mi aveva sposata
dopo che ero stata gi inanellata, quindi in seconde nozze (di un primo matrimonio di Pia non abbiamo
alcuna notizia certa); pi probabile la lezione a testo, poich il disposare e l'inanellare erano i due atti
della cerimonia religiosa, in quanto col primo si dichiarava la volont di sposare, col secondo si poneva
l'anello come segno di tale volont.
Purgatorio, Canto VI
Argomento del Canto
Ancora fra i morti per forza del secondo balzo dell'Antipurgatorio. Incontro con l'anima di Sordello da
Goito. Invettiva contro l'Italia. Apostrofe contro Firenze.
il pomeriggio di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300, alle tre.
I morti per forza si affollano intorno a Dante (1-24)
Dante spiega che quando finisce il gioco della zara, il perdente resta solo e impara a sue spese come
comportarsi nella prossima partita, mentre tutti si affollano intorno al vincitore, attirando la sua
attenzione; quello non si ferma, ma si difende dalla calca dando retta a tutti e porgendo la mano all'uno e
all'altro. Lo stesso fa il poeta attorniato dalle anime dei morti per forza, rivolgendosi ora a questo ora a
quello, e si allontana promettendo. Tra le anime c' quella dell'Aretino che fu ucciso da Ghino di Tacco e
Guccio de' Tarlati che mor annegato; ci sono Federico Novello e il pisano che fece sembrare forte il
padre Marzucco; ci sono il conte Orso degli Alberti e l'anima di Pierre de la Brosse, che dice di essere
stato ucciso per invidia e non per colpa, per cui Maria di Brabante dovrebbe pentirsi per evitare di finire
tra i dannati.
Virgilio spiega l'efficacia della preghiera (25-57)
Non appena Dante riesce a liberarsi dalle anime che lo pressano, si rivolge a Virgilio e gli ricorda come in
alcuni suoi versi egli nega alla preghiera il potere di piegare un decreto divino. Queste anime si augurano
proprio questo, quindi Dante non sa se la loro speranza vana, oppure se non ha capito bene ci che
Virgilio ha scritto. Il maestro risponde che i suoi versi sono chiari e la speranza di tali anime ben riposta,
a patto di giudicare con mente sana: infatti il giudizio divino non si piega solo perch l'ardore di carit
della preghiera compie in un istante ci che devono scontare queste anime. Nei versi dell'Eneide in cui
Virgilio parlava di questo, inoltre, la colpa non veniva lavata dalla preghiera, poich questa era disgiunta
da Dio. Virgilio esorta Dante a non tenersi il dubbio e ad attendere pi profonde spiegazioni da parte di
Beatrice, che illuminer la sua mente e lo aspetta sorridente sulla cima del monte. A questo punto Dante
invita il maestro ad affrettare il passo, essendo molto meno stanco di prima e osservando che il monte
proietta gi la sua ombra ( pomeriggio). Virgilio dice che procederanno sino alla fine del giorno, quanto
pi potranno, ma le cose stanno diversamente da come lui pensa. Prima di arrivare in cima, infatti, Dante
vedr il sole tramontare e poi risorgere.
Incontro con Sordello da Goito (58-75)
Virgilio indica a Dante un'anima che se ne sta in disparte e guarda verso di loro, che potr indicare la via
pi rapida per salire. Raggiungono quell'anima che, come si sapr, lombarda, e sta con atteggiamento
altero e muove gli occhi in modo assai dignitoso. Lo spirito non dice nulla e lascia che i due poeti si
avvicinino, guardandoli come un leone in attesa. Virgilio si avvicina a lui e lo prega di indicargli il
cammino migliore, ma quello non risponde alla domanda e gli chiede a sua volta chi essi siano e da dove
vengano. Virgilio non fa in tempo a dire Mantova... che subito l'anima va ad abbracciarlo e si presenta
come Sordello, originario della sua stessa terra.
Invettiva contro l'Italia (76-126)
Dante a questo punto prorompe in una violenta invettiva contro l'Italia, definita sede del dolore e nave
senza timoniere in una tempesta, non pi signora delle province dell'Impero romano ma bordello: l'anima
di Sordello stata prontissima a salutare Virgilio solo perch ha saputo che della sua stessa terra, mentre
i cittadini italiani in vita si fanno guerra, anche quelli che abitano nello stesso Comune. L'Italia dovrebbe
guardare bene entro i suoi confini e vedrebbe che non c' parte di essa che gode la pace. A che servito
che Giustiniano ordinasse le leggi se poi non c' nessuno a metterle in pratica? Gli Italiani dovrebbero
permettere all'imperatore di governarli, invece di lasciare che il paese vada in rovina, affidato a gente
incapace. Dante accusa l'imperatore Alberto I d'Asburgo di abbandonare l'Italia, diventata una bestia
sfrenata, mentre dovrebbe essere lui a cavalcarla: si augura che il giudizio divino colpisca duramente lui e
i discendenti, perch il successore ne abbia timore. Infatti Alberto e il padre (Rodolfo d'Asburgo) hanno
lasciato che il giardino dell'Impero sia abbandonato: Alberto dovrebbe venire a vedere le lotte tra famiglie
rivali, gli abusi subti dai suoi feudatari, la rovina della contea di Santa Fiora. Dovrebbe vedere Roma che
piange e si lamenta di essere abbandonata dal suo sovrano, la gente che si odia, e se non gli sta a cuore la
sorte del paese dovrebbe almeno vergognarsi della sua reputazione. Dante si rivolge poi a Giove (Cristo),
crocifisso in Terra per noi, e gli chiede se rivolge altrove lo sguardo oppure se prepara per l'Italia un
destino migliore di cui non si sa ancora nulla. Le citt d'Italia, infatti, sono piene di tiranni e ogni
contadino che sostenga una parte politica viene esaltato come un Marcello.
Invettiva contro Firenze (127-151)
Dante osserva ironicamente che Firenze pu essere lieta del fatto di non essere toccata da questa
digressione, visto che i suoi cittadini contribuiscono alla sua pace. Molti sono giusti e tuttavia sono restii a
emettere giudizi, mentre i fiorentini non hanno alcun timore e si riempiono la bocca di giustizia; molti
rifiutano gli uffici pubblici, mentre i fiorentini sono fin troppo solleciti ad assumersi le cariche politiche.
Firenze dev'essere lieta, perch ricca, pacifica e assennata: Atene e Sparta, citt ricordate per le prime
leggi scritte, diedero un piccolo contributo al vivere civile rispetto a Firenze, che emette deliberazioni cos
sottili (cio esili) che quelle di ottobre non arrivano a met novembre. Quante volte la citt, a memoria
d'uomo, ha mutato le sue usanze! E se Firenze bada bene e ha ancora capacit di giudizio, ammetter di
essere simile a un'ammalata che non trova riposo nel letto e cerca di lenire le sue sofferenze rigirandosi di
continuo.
Interpretazione complessiva
Il Canto di argomento politico ed dedicato all'Italia, simmetricamente al VI dell'Inferno in cui si
parlava di Firenze e al VI del Paradiso in cui si parler dell'Impero (secondo un crescendo che allarga
progressivamente il campo, dalla citt di Dante all'Europa cristiana). In realt il Canto VI del Purgatorio
strettamente legato al VII con cui forma una sorta di dittico, in quanto nell'episodio successivo Sordello
mostrer ai due poeti i principi negligenti della valletta e biasimer i loro successori che rappresentano
una degenerazione rispetto a loro e si sono macchiati di gravi colpe politiche, di cui i sovrani passati in
rassegna si rammaricano. La scelta di Sordello quale protagonista dei due Canti non casuale, in quanto il
trovatore lombardo aveva scritto un famoso Compianto in morte di Ser Blacatz in cui biasimava i principi
suoi contemporanei per la loro codardia e li invitava a cibarsi del cuore del nobile defunto per acquistarne
la virt, per cui non sorprende che sia lui a passare in rassegna le anime confinate nella valletta e, in
questo Canto, a consentire a Dante di lanciare la sua violenta invettiva all'Italia (del resto anche i suoi
versi avevano il tono di una satira e di un'apostrofe ai potenti del sec. XIII).
Anche l'inizio dell'episodio in linea con la sua conclusione, in quanto la rassegna dei morti per forza che
assillano Dante perch li ricordi ai congiunti ci porta nel vivo delle lotte politiche che dilaniavano i
Comuni dell'Italia del tempo: tranne Pierre de la Brosse, vittima degli intrighi alla corte di re Filippo III,
gli altri sono tutti italiani protagonisti delle lotte tra Guelfi e Ghibellini o vittime di vendette ed odi
familiari, tra i quali figura anche il figlio di uno dei conti di Mangona gi visti coi traditori dei parenti
nella Caina (Inf., XXXII) e il figlio di Marzucco degli Scornigiani, ucciso dal conte Ugolino (Inf.,
XXXIII) nell'ambito delle lotte interne al Comune di Pisa. Tra questo esordio e l'incontro con Sordello si
inserisce la parentesi dedicata a chiarire il passo dell'Eneide (VI, 376) in cui la Sibilla diceva a Palinuro
che le sue preghiere non avrebbero piegato i decreti degli dei (egli chiedeva con insistenza di essere
traghettato di l dell'Acheronte pur essendo insepolto). Dante espone il suo dubbio a Virgilio, in quanto
l'insistenza delle anime che si lasciato alle spalle sembra contraddire con quanto detto dal poeta latino, il
quale spiega che i suffragi dei vivi per i penitenti non annullano l'espiazione delle loro colpe, ma fanno
soltanto in modo che questa avvenga pi rapidamente; nel caso di Palinuro, poi, la preghiera non era
rivolta al Dio cristiano e dunque era priva di valore. La chiosa di Virgilio importante perch sottolinea
una volta di pi il valore delle preghiere dei vivi per i penitenti, nel che si avverte la polemica di Dante
contro la Chiesa corrotta che lucrava sui suffragi sfruttando il dolore dei congiunti per i loro defunti in
Purgatorio; il maestro rimanda il discepolo alle pi dettagliate spiegazioni di Beatrice, che in quanto
allegoria della teologia arriver l dove la ragione umana non pu giungere (e basta che Dante senta il suo
nome perch metta fretta alla sua guida, mentre Virgilio lo avvertir del fatto che l'ascesa del monte
durer pi di quanto pensa).
Segue poi l'incontro con Sordello, mostrato da Dante in tutto il suo aspetto regale e dignitoso mentre
osserva in silenzio e con fare altezzoso i due poeti che si avvicinano, a guisa di leon quando si posa:
stato osservato che ci sono molte analogie tra la presentazione di Sordello e quella di Farinata Degli
Uberti, con la differenza fondamentale che il dannato non mutava atteggiamento in tutto il colloquio con
Dante e si mostrava ancora prigioniero della logica delle lotte politiche, mentre a Sordello sufficiente
sentire che Virgilio viene da Mantova per perdere ogni alterigia e gettarsi ad abbracciarlo affettuosamente
(nel Canto seguente, dopo averne appreso l'identit, si inchiner di fronte a lui per rispetto). E infatti
proprio l'affetto di Sordello verso un suo concittadino di cui non sa ancora il nome a far scattare la
violenta invettiva di Dante contro l'Italia, che parte dal fatto che nell'Italia del suo tempo i cittadini sono
in lotta l'uno contro l'altro e addirittura entro la stessa citt, come dimostra l'elenco delle anime all'inizio
del Canto e come dichiara lo stesso esempio di Firenze che torner alla fine. Dante riconduce la causa
principale di tali lotte all'assenza di un potere centrale, che nella sua visione universalistica doveva essere
garantito dall'Impero: l'imperatore che dovrebbe regnare a Roma e assicurare pace e giustizia agli
Italiani, invece il paese ridotto a una bestia selvaggia che nessuno cavalca n governa (e a poco serve
che Giustiniano le avesse sistemato il freno, cio avesse emanato il Corpus iuris civilis visto che nessuno
fa rispettare le leggi). L'immagine del paese come un cavallo che dev'essere domato la stessa usata nella
Monarchia (III, 15) e nel Convivio (IV, 9), dove si dice che il potere temporale ha soprattutto il compito di
assicurare il rispetto delle leggi: la polemica rivolta contro i Comuni italiani ribelli, che come Firenze
non si sottomettono all'autorit imperiale, ma anche contro il sovrano stesso che rinuncia a esercitare i
suoi diritti, come Alberto I d'Asburgo che lascia la sella vta e preferisce occuparsi delle cose tedesche,
seguendo il cattivo esempio del padre Rodolfo I. Dante augura a lui e alla sua casata un duro castigo
divino, in modo da indurre il successore Arrigo VII a comportarsi diversamente; nella visione
anacronistica di Dante l'imperatore detiene un potere che deriva da quello dell'Impero romano di Cesare e
Augusto, quindi il suo compito quello di ristabilire la sua autorit su tutta Italia stroncando con la forza
ogni resistenza, specie quella dei Comuni guelfi alleati col papa ( quanto Arrigo VII tenter invano di
fare nel 1310-1313 e i toni usati da Dante in questi versi ricordano molto quelli dell'Epistola VII a lui
indirizzata: molto discusso se, al momento della composizione del Canto, Arrigo fosse gi sul trono
oppure no).
L'ultima parte dell'invettiva si rivolge a Firenze, che come Dante afferma con amara ironia non toccata
da questa sua apostrofe, essendo i suoi cittadini impegnati ad assicurarle pace e prosperit (l'antifrasi
l'artificio usato in questi versi finali, con un sarcasmo quanto mai tagliente). I fiorentini si riempiono la
bocca della parola giustizia, mentre Dante stesso un esempio degli abusi compiuti dai Neri contro i
loro nemici; essi sono fin troppo solleciti ad assumersi l'onere di cariche politiche, al fine di arricchirsi e
di colpire i nemici (da notare l'insistenza delle accuse, con l'anafora Molti... ai vv. 130, 133 e tu
nell'allocuzione al v. 137, come gi c'era la quadruplice anafora di Vieni... ai vv. 106-115 nell'allocuzione
ad Alberto I). Atene e Sparta fecero ben poco rispetto a Firenze, i cui provvedimenti di legge sono cos
sottili (l'aggettivo ambiguo, potendo significare elaborati o fragili) che durano solo poche
settimane, mentre la citt cambia nel breve volgere di tempo tutti i suoi costumi, simile a un'ammalata che
si rigira nel letto senza trovare pace. L'ultima immagine molto efficace, in quanto riassume la triste
condizione di tante citt italiane piene... di tiranni, come stato detto prima, e in cui anche i cittadini di
pi umile condizione diventano capi-fazione e sono pronti a commettere ogni sorta di abuso; un tema
gi affrontato varie volte da Dante nel poema e che torner soprattutto nei Canti in cui si affronter ancora
la spinosa questione dell'autorit imperiale (ad es. il XVI del Purg., ma anche il VI e i XIX-XX del Par., al
centro dei quali sar il tema della giustizia terrena). Del resto il poema nel suo complesso un duro atto di
accusa contro il disordine politico e morale dell'Italia del Trecento, che trovava la sua radice prima nella
cupidigia nonch nelle lotte tra citt che insanguinavano il giardin de lo 'mperio, unitamente alla
corruzione ecclesiastica che sovvertiva ogni giustizia calcando i buoni e sollevando i pravi ( chiaro che
in questa visione Firenze non poteva che essere l'esempio negativo per eccellenza, quindi non stupisce
che l'invettiva all'Italia si chiuda proprio con la dura apostrofe dedicata alla citt che aveva ingiustamente
esiliato Dante per il suo ben far).
Purgatorio, Canto IX
Argomento del Canto
Dante si addormenta nella valletta. Sogno dell'aquila (santa Lucia porta dante alla porta del Purgatorio).
Incontro con l'angelo guardiano, che incide sette P sulla fronte di Dante. Ingresso in Purgatorio.
la notte tra domenica 10 aprile (o 27 marzo) e luned 11 aprile (o 28 marzo) del 1300.
Dante si addormenta e sogna (1-33)
L'aurora sta ormai imbiancando il cielo a oriente, nell'emisfero boreale, con la costellazione dello
Scorpione di fronte ad essa, mentre nel Purgatorio sono gi trascorse circa tre ore dall'inizio della notte.
Dante, affaticato per il viaggio e per il fatto di avere un corpo in carne e ossa, si sdraia sull'erba nella
valletta e si addormenta. Verso l'alba, quando la rondine emette i suoi stridi e la mente umana fa dei sogni
rivelatori della realt, il poeta sogna di vedere sopra di s un'aquila dalle penne d'oro, che volteggia e
sembra sul punto di scendere a terra. Dante nel sogno pensa di essere sul monte Ida, l dove Ganimede fu
rapito da Giove tramutatosi in aquila, e pensa fra s che forse il rapace solito colpire in quel luogo le sue
prede. Poi sogna che l'aquila piombi su di lui e lo ghermisca, portandolo in alto sino alla sfera del fuoco
dove gli sembra di bruciare: nel sogno prova dolore, il che lo induce a svegliarsi improvvisamente.
Risveglio di Dante e spiegazione di Virgilio (34-69)
Dante si scuote non diversamente da Achille, quando si risvegli a Sciro non sapendo dove si trovasse
poich la madre Teti lo aveva rapito a Chirone mentre dormiva. Dante si sveglia d'improvviso e
impallidisce, raggelando: accanto c' solo Virgilio, mentre il sole gi alto nel cielo e lo sguardo del poeta
rivolto al mare. Virgilio si affretta a spiegargli che non ha nulla da temere e deve anzi confortarsi,
poich il viaggio procede bene ed egli giunto alla porta del Purgatorio, scavata nella parete rocciosa del
monte l dove il maestro gli indica. Virgilio spiega inoltre che poco prima, sul fare dell'alba quando Dante
dormiva, una donna era giunta nella valletta dicendo di essere santa Lucia e prendendo il poeta
addormentato, per condurlo in alto. Sordello e gli altri principi della valletta erano rimasti l e Dante era
stato trasportato alla porta del Purgatorio quando fu giorno fatto, seguito dallo stesso Virgilio. Lucia aveva
deposto Dante in quel punto, ma prima i suoi occhi avevano indicato al maestro l'accesso al monte, quindi
la santa se ne era andata proprio nel momento del risveglio di Dante. Il poeta riconfortato dalle parole di
Virgilio e appena il maestro lo vede privo di dubbi e di paure procede verso la porta, seguito da Dante
stesso.
La porta del Purgatorio. L'angelo guardiano (70-93)
Dante avverte il lettore che la materia del suo poema si innalza, perci il suo stile diventer d'ora in avanti
pi elevato. I due poeti si avvicinano al punto in cui la parete rocciosa del monte spaccata e dove c' una
porta alla quale si sale lungo tre gradini, di colore diverso, e sulla soglia c' un angelo che fa la guardia e
non dice nulla. Dante fissa lo sguardo e vede che l'angelo siede sul gradino pi alto e il suo volto cos
luminoso che non riesce a vederlo; egli tiene in mano una spada, che riflette i raggi del sole e impedisce a
Dante di vederla bene. L'angelo chiede ai due che cosa vogliono e chi li ha condotti l, avvertendoli che
l'accesso alla porta potrebbe recare danno. Virgilio risponde che santa Lucia poco prima ha loro indicato
la porta, quindi l'angelo d ai due il permesso di salire i gradini.
Le sette P sulla fronte di Dante. Accesso al Purgatorio (94-145)
Dante inizia salire i tre gradini: il primo di marmo bianco e candido, talmente chiaro che il poeta ci si
pu specchiare; il secondo molto scuro, formato da una pietra ruvida che presenta una spaccatura nella
lunghezza e nella larghezza; il terzo sembra di porfido, rosso come il sangue che sgorga da una vena.
L'angelo tiene i piedi su quest'ultimo e siede sulla soglia, simile al diamante. Virgilio conduce Dante
lungo i tre gradini e lo invita a chiedere umilmente di aprire la porta. Il poeta si getta devotamente ai piedi
dell'angelo, chiedendo misericordia dopo essersi battuto per tre volte il petto. L'angelo incide sette P sulla
fronte di Dante con la punta della spada, raccomandandogli di lavare queste piaghe una volta avuto
accesso alle Cornici. L'angelo estrae dalla sua veste, del colore grigio della cenere, due chiavi, una d'oro e
l'altra d'argento, con le quali apre la porta usando prima quella argentea. L'angelo avverte che se una delle
due chiavi non funziona la porta non pu aprirsi, aggiungendo che quella d'oro pi preziosa, ma quella
d'argento richiede molta scienza e acutezza in quanto quella che permette al penitente di entrare. Spiega
inoltre che le chiavi gli sono state date da san Pietro, il quale gli ha raccomandato di sbagliare nell'aprire
piuttosto che nel tenere chiusa la porta, purch i penitenti mostrino una sincera contrizione. Poi l'angelo
spinge la porta per aprirla, dicendo di entrare e avvertendo i due poeti che chi guarda indietro torna fuori.
Gli spigoli della porta, fatti di metallo massiccio, ruotano intorno ai cardini ed emettono un forte stridore,
mostrando che la porta restia ad aprirsi pi di quanto lo fu la rupe Tarpea dopo la rimozione di Metello.
Dante ascolta con attenzione e gli pare di udire una voce che canta l'inno Te Deum laudamus, in modo
simile ai canti alternati al suono dell'organo, per cui le parole ora si sentono e ora no.
Interpretazione complessiva
Il Canto funge da passaggio tra la prima parte della Cantica, dedicata per lo pi all'Antipurgatorio, e la
seconda dedicata alle Cornici e al luogo del secondo regno dove le anime si purificano dai peccati, il che
corrisponde a un innalzamento della materia e di conseguenza a un affinamento dello stile poetico nei
Canti successivi ( Dante ad avvertire i lettori con l'appello ai vv. 70-72, che anticipa quelli simili che
saranno assai frequenti nel Paradiso). Questa sorta di piccolo proemio cade a met circa del Canto, dopo
che Dante si addormentato nella valletta all'inizio della notte e ha sognato un'aquila che lo ha ghermito
sul monte Ida e trasportato in alto, che come poi Virgilio spiegher non era altri che santa Lucia che
portava il poeta alla porta del Purgatorio. L'episodio si apre con la famosa descrizione dell'aurora, assai
problematica e variamente interpretata, anche se probabilmente Dante allude al sorgere dell'aurora solare
nell'emisfero boreale cui corrisponde, nel Purgatorio, l'inizio della notte; il poeta si addormenta vinto
dalla stanchezza e verso l'alba, quando si credeva che i sogni fossero veritieri, fa il sogno dell'aquila,
anch'esso variamente interpretato e che forse solo la traduzione in termini visivi dell'aiuto di Lucia che
agevola Dante per la sua via. Del resto l'aquila era l'uccello sacro a Giove e simbolo dell'autorit
imperiale, il che ha poco a che fare con il significato allegorico di Lucia (che qui, come gi nel Canto II
dell'Inferno, la grazia illuminante che assiste l'uomo per consentirgli di salvarsi). Il risveglio di Dante
traumatico in quanto non sa dove si trova, per cui Virgilio deve rassicurarlo e indicargli la porta del
Purgatorio dicendogli che ormai il viaggio a buon punto; Dante si scuote anche perch nel sogno gli
sembrava di attraversare la sfera del fuoco e il calore lo ha svegliato, e secondo alcuni commentatori
probabile che egli abbia in realt sentito il calore del sole che gi alto sull'orizzonte e lo colpisce una
volta che Lucia lo ha deposto di fronte alla porta. Il sogno di Dante anticipa gli altri due che far negli
altri pernottamenti in Purgatorio (nei Canti XIX e XXVII), anch'essi allegorici e analogamente
interpretati.
La seconda parte del Canto ovviamente dedicata alla descrizione della porta custodita dall'angelo,
nonch del complesso rituale cui Dante deve sottoporsi prima di essere ammesso alle Cornici dall'angelo
stesso. La simbologia connessa ovviamente al riconoscimento dei propri peccati e all'assoluzione da
parte dell'angelo, che riguarda Dante come tutti i penitenti che di l devono passare: i tre gradini che
conducono alla porta corrispondono quasi certamente ai tre momenti del sacramento della confessione,
ovvero la contritio cordis (la consapevolezza dei peccati: il primo gradino, di marmo bianco in cui
Dante pu specchiarsi), la confessio oris (la confessione vera e propria: il secondo gradino, di pietra
scura e screpolata, che rappresenta lo spezzarsi della durezza dell'animo) e la satisfactio operis (la
soddisfazione per mezzo di opere: il terzo gradino, rosso come l'ardore di carit necessario a rimediare
ai peccati commessi). Variamente interpretata anche la spada di cui l'angelo guardiano armato, che forse
simbolo della giustizia o dell'ufficio del sacerdote confessore: con essa l'angelo incide sulla fronte di
Dante le sette P che rappresentano ovviamente i sette peccati capitali, che il poeta dovr purificare
moralmente durante l'ascesa del monte (esse saranno cancellate all'uscita da ogni Cornice). L'angelo
ammette Dante in Purgatorio e ne apre la porta con le due chiavi (una d'oro e l'altra d'argento) che tiene
sotto la veste color cenere, simbolo quest'ultima della mortificazione della penitenza o forse dell'umilt
del confessore: la chiave d'oro rappresenta certo l'autorit di dare l'assoluzione che al confessore deriva da
Dio e dalla Chiesa, quella argentea (che secondo l'angelo vuol troppa / d'arte e d'ingegno) invece la
scienza e la sapienza che il confessore stesso deve avere per valutare i peccati commessi. Dante sottolinea
che entrambe sono state date all'angelo da san Pietro e che se una delle due non funziona l'apertura della
porta, ovvero l'ammissione del peccatore al Purgatorio, impossibile: una velata polemica contro le
facili indulgenze di cui la Chiesa faceva mercato nel Trecento, come lo il fatto che la porta si apre a
fatica e producendo un tremendo stridore, nel senso che il perdono di Dio concesso solo a chi
sinceramente si pentito delle proprie colpe e ci avviene assai di rado.
Una volta varcata la soglia del Purgatorio, per Dante e la sua guida inizia un nuovo cammino che li
porter alla tappa successiva, ovvero l'ingresso nell'Eden sulla cima del monte: anche allora ci sar un
innalzamento dello stile, mentre qui Dante colpito dal suono melodioso di alcune voci che intonano il Te
Deum laudamus, in modo tale che egli non ne sente tutte le parole (come quando in chiesa si canta in
alternanza al suono dell'organo). Siamo ormai entrati in una dimensione diversa da quella
dell'Antipurgatorio, dominata dalla serena rassegnazione delle anime che espiano attivamente le loro
pene, come far anche Dante unendosi moralmente a loro: il passaggio in ogni Cornice avverr secondo
un cerimoniale fisso, in cui il canto di Salmi o inni avr una parte importante (ed stato osservato come
ci renda il Purgatorio simile a un enorme monastero, in cui ogni momento scandito da uffici liturgici
precisi: a ci, forse, rimanda la similitudine degli organi, peraltro molto discussa, che chiude questo
Canto).
Purgatorio, Canto X
Argomento del Canto
Ingresso nella I Cornice. Dante osserva gli esempi di umilt (Maria, David, l'imperatore Traiano).
Incontro con le anime dei superbi. Apostrofe contro la superbia dei miseri cristiani.
la mattina di luned 11 aprile (o 28 marzo) del 1300, tra le dieci e le undici.
Ingresso nella I Cornice (1-27)
Dopo che Dante e Virgilio hanno attraversato la porta del Purgatorio, questa si richiude alle loro spalle
con un forte stridore e il poeta si guarda bene dal voltarsi a guardare indietro, secondo le prescrizioni
dell'angelo guardiano. I due iniziano a salire lungo una spaccatura nella roccia, che procede a zig-zag
come un'onda che va e viene, per cui il maestro avverte Dante che occorre avanzare evitando le sporgenze
pi aguzze. Questo li costringe a procedere molto lentamente, cosicch arrivano al fondo del sentiero
quando ormai la luna tocca l'orizzonte con la parte in ombra (circa alle 10 del mattino). I due poeti si
ritrovano nella I Cornice del monte, che si presenta deserta e misura in larghezza tre volte un corpo
umano, dalla parete rocciosa fino al vuoto. Dante guarda a destra e a sinistra, vedendo che la Cornice ha
lo stesso aspetto fin dove arriva il suo sguardo.
Esempi di umilt: Maria (28-45)
Dante e Virgilio non si sono ancora mossi, quando il discepolo si accorge che lo zoccolo della parete del
monte, nel punto in cui essa meno ripida, presenta dei bassorilievi di marmo bianco e intagliato con tale
maestria che non solo Policleto, ma persino la natura ne sarebbe vinta. Uno di essi raffigura l'arcangelo
Gabriele che viene sulla Terra portando l'annuncio della nascita di Ges e la scultura cos realistica che
sembra che dica proprio Ave. rappresentata anche Maria che si sottomette alla volont divina e pare che
dica le parole Ecce ancilla Dei.
Esempi di umilt: re David (46-69)
Virgilio, che ha Dante alla propria sinistra, lo invita a non osservare solo una scultura e cos il discepolo
allarga lo sguardo e vede, oltre l'esempio di Maria, un'altra storia scolpita nel bassorilievo. Dante
oltrepassa Virgilio per osservarla meglio e vede che il marmo raffigura il carro che trasport l'Arca Santa
a Gerusalemme, preceduto dagli Ebrei disposti in sette cori. La scultura cos realistica che l'udito di
Dante gli dice che le figure non cantano, mentre la vista glielo fa credere; anche il fumo dell'incenso
cos veritiero che solo l'olfatto impedisce a Dante di credere che sia reale. L'Arca preceduta dal re
David, che danza con la veste umilmente alzata, mentre da un palazzo lo guarda la moglie Micl,
sprezzante e crucciata.
Esempi di umilt: Traiano e la vedova (70-96)
Dante si muove dal punto in cui si trova e vede scolpita un'altra storia nel bianco marmo, proprio accanto
a Micl. Qui rappresentata la gloria dell'imperatore Traiano, che spinse papa Gregorio a pregare per la
sua salvezza: l'imperatore raffigurato a cavallo, mentre una vedova gli si avvicina in lacrime. Intorno a
lui pieno di cavalieri che levano al cielo le insegne imperiali a forma di aquila d'oro, che sembrano
muoversi al vento. Sembra che la vedova si rivolga a Traiano e gli chieda giustizia per il figlio ucciso,
mentre l'imperatore risponde di attendere il suo ritorno. La vedova ribatte che Traiano potrebbe non
tornare, e lui replica che il suo successore le dar soddisfazione. La vedova ricorda al principe che se un
altro far del bene al suo posto a lui non verr alcun vantaggio e Traiano accetta allora di fare giustizia
prima di partire, poich prova piet per la donna. Solo Dio, osserva Dante, pu aver prodotto tali sculture,
che non si sono mai viste sulla Terra e che sembrano parlare anche se non lo fanno.
Incontro con i superbi (97-139)
Mentre Dante attento a osservare le sculture che raffigurano esempi di umilt, Virgilio gli sussurra che
molte anime (i superbi) si avvicinano a passi lenti e saranno loro a indirizzarli verso la Cornice
successiva. Dante volge subito lo sguardo, curioso di vedere queste anime, ma avverte il lettore che ci
che dir non deve distoglierlo dai buoni propositi, dal momento che la pena assai dura ma, nel peggiore
dei casi, non pu protrarsi oltre il Giorno del Giudizio. Dante chiede spiegazioni a Virgilio, perch le
figure che vede non gli sembrano anime umane, cos non sa che pensare. Il maestro spiega che la loro
pena li obbliga a camminare curvi al suolo e lui stesso stato incerto al primo sguardo. Dante invitato
comunque a guardar meglio e osservare le anime che procedono sotto il peso di enormi massi.
Dante prorompe in una violenta invettiva contro i cristiani superbi, che hanno la mente ottenebrata e
procedono all'indietro, senza capire che noi siamo come vermi destinati a formare una farfalla angelica e a
volare verso la giustizia divina. Perch invece l'animo umano insuperbisce e fa s che l'anima resti una
sorta di insetto non pienamente formato? Le anime dei superbi sono simili a quelle sculture (le cariatidi)
che talvolta, nell'architettura romanica, sostengono con le spalle un soffitto a guisa di mensola, e piegano
le ginocchia cos da far nascere affanno a chi le osserva. I superbi hanno lo stesso aspetto, essendo piegati
sotto il peso del macigno che li fa curvare in maggiore o minor misura, e quello che sembra pi paziente
pare dire: Non ne posso pi.
Interpretazione complessiva
Il Canto descrive l'ingresso dei due poeti nella I Cornice ed dedicato in gran parte agli esempi di umilt
scolpiti nel bassorilievo alla base della parete del monte, mentre nell'ultima parte sono presentati i superbi
e la loro pena (camminano curvi sotto dei pesanti macigni, in modo tale che anche il pi paziente sembra
al limite della sopportazione). L'apertura mostra Dante e Virgilio che accedono alla Cornice salendo lungo
una via scavata nella roccia, che procede a zig-zag e li obbliga a camminare lentamente per evitare gli
spuntoni di roccia; questa l'interpretazione pi probabile, anche se alcuni hanno ipotizzato che la roccia
si muova effettivamente come un'onda, fenomeno che per Dante dovrebbe spiegare in modo pi
dettagliato (il sentiero tortuoso simbolo della via ardua e difficoltosa che conduce alla salvezza, con un
chiaro riferimento all'ascesa al primo balzo del Canto IV, vv. 31 ss.). La salita richiede molto tempo, visto
che i due arrivano nella I Cornice quando sono circa le dieci di mattina, e una volta qui ci sono mostrati
gli esempi di umilt (cio della virt opposta a quella del peccato che si sconta nella Cornice), che si
presentano in forma di sculture su dei bassorilievi di marmo posti sullo zoccolo della parete rocciosa, in
modo che i superbi possano vederli.
Gli esempi sono tre, partendo come sempre da quello di Maria Vergine (l'Annunciazione recatale
dall'arcangelo Gabriele), cui segue quello biblico di David (e al quale fa da contrappunto la moglie Micl,
dispettosa e trista per l'umilt del sovrano) e quello classico di Traiano, la leggenda della vedova che
chiede giustizia divenuta un luogo comune della letteratura medievale e all'origine della presunta salvezza
dell'imperatore pagano (cui Dante d credito, poich includer Traiano tra gli spiriti giusti del VI Cielo).
Dante sottolinea a pi riprese che tali sculture sono frutto dell'arte divina, quindi superano non solo la
maestria del pi grande artista classico (lo scultore greco Policleto), ma addirittura la natura che a sua
volta creazione divina. il preannuncio di un discorso sull'arte che Dante ha gi iniziato col rimprovero
di Catone nel Canto II e riprender nel Canto XI col il discorso di Oderisi da Gubbio, che toccher non
solo le arti figurative come la miniatura o la pittura ma anche la poesia: Dante qui ribadisce che queste
sculture sono estremamente realistiche, come mai potrebbero esserlo opere realizzate da artisti umani,
tanto che esse ingannano la vista e sollecitano altri sensi come l'udito o l'olfatto. L'arcangelo Gabriele e
Maria sembrano davvero parlare, cos come le schiere di Ebrei che accompagnano l'Arca Santa sembrano
cantare e solo l'udito smentisce l'impressione di Dante, mentre la vista lo ingannerebbe; allo stesso modo
il fumo degli incensi raffigurato inganna l'olfatto, mentre l'esempio di Traiano e della vedova si trasforma
agli occhi del poeta in una sorta di sacra rappresentazione, con attori in carne e ossa che si muovono sulla
scena e dialogano, mentre gli stendardi con l'aquila imperiale paiono sventolare al vento. Dante sottolinea
che ci possibile in quanto frutto dell'arte divina, mentre l'arte umana non sarebbe certo in grado di
riprodurre la realt in modo cos fedele; obiettivo dell'arte quello di fornire insegnamenti agli uomini e
non gareggiare follemente con Dio o la natura, per cui da condannare ogni intento edonistico dell'opera
d'arte cos come la superbia degli artisti, oggetto del discorso di Oderisi nel Canto seguente e che tocca lo
stesso Dante molto da vicino.
Una similitudine tratta dalla scultura ancora usata per descrivere la pena dei superbi, che sembrano a
Dante quelle cariatidi che, specie nell'architettura delle chiese romaniche, rappresentavano come capitelli
figure umane o bestiali che sostenevano l'architrave (e facevano nascere con la finzione un autentico
affanno in colui che le osservava). I superbi sono addirittura stravolti sotto il peso degli enormi macigni,
per cui Dante da un lato rassicura il lettore e gli ricorda che tale pena, per quanto dura, cesser il Giorno
del Giudizio, dall'altro accusa duramente i superbi cristian, miseri lassi, che credono presuntuosamente di
saper tutto e finiscono per camminare all'indietro. Gli uomini sono come vermi per la loro imperfetta
fisicit, destinati a formare una angelica farfalla (l'anima libera dal peccato) purch non vengano distolti
dalla loro superbia, che li fa restare antomata in difetto, insetti non pienamente sviluppati. L'insistenza
sulla pericolosit della superbia e sulla durezza della sua punizione in Purgatorio, che si svilupper anche
nel Canto XII con i numerosi esempi del peccato punito, si spiega col fatto che questo il peccato
capitale pi grave e che pi lega l'uomo alla terra, nonch con la considerazione che proprio la superbia
era stata all'origine della ribellione di Lucifero e, quindi, del male nel mondo (ci spiega anche l'ampio
risalto dato da Dante ai risvolti di tale peccato nel campo artistico, in cui lui come si detto si sente
particolarmente coinvolto).
Purgatorio, Canto XI
Argomento del Canto
Ancora nella I Cornice. I superbi recitano il Pater noster. Virgilio chiede dove sia l'accesso alla Cornice
successiva. Incontro con Omberto Aldobrandeschi. Colloquio con Oderisi da Gubbio. Oderisi indica
l'anima di Provenzan Salvani e predice l'esilio a Dante.
la mattina di luned 11 aprile (o 28 marzo) del 1300, alle undici.
I superbi recitano il Pater Noster (1-30)
Dante, appena entrato nella I Cornice, sente i superbi che recitano il Pater noster : essi invocano il Padre
che nei cieli, non limitato da essi ma per il maggior amore che prova per gli angeli; ogni creatura deve
lodare il suo nome, la sua potenza e lo Spirito Santo. I superbi invocano la pace di Dio, che essi non
possono ottenere senza l'aiuto della grazia; gli uomini devono sacrificare la loro volont a Dio, come
fanno gli angeli. Chiedono al Padre la manna quotidiana, senza la quale si torna indietro quanto pi si
cerca di avanzare; e come loro perdonano il male subto, cos Dio perdoni i loro peccati. Chiedono al
Padre di non mettere la loro virt alla prova con la tentazione diabolica, ma di liberarli da essa:
quest'ultima preghiera non per i penitenti, ma per i vivi che sono rimasti sulla Terra. Quelle anime
recitano la preghiera camminando piegate sotto i pesanti massi, mentre procedono pi o meno curve in
tondo lungo la Cornice, purgandosi dei mali del mondo.
Ammonimento ai vivi. Virgilio chiede per dove si possa salire (31-45)
Se le anime del Purgatorio, riflette Dante, sono sempre pronte a pregare per i vivi, anche questi devono
fare qualcosa per i morti, ovvero pregare a loro volta per aiutarli a purificarsi dei peccati e salire in
Paradiso. Virgilio si rivolge poi ai penitenti, augurando loro di riuscire a liberarsi dei peccati prima
possibile, e chiedendo di indicargli da quale parte si trovi la scala che conduce alla Cornice successiva. Se
c' pi di un varco, aggiunge, gli mostrino quello che sale in modo meno ripido, poich Dante ancora in
possesso del corpo mortale e quindi pi lento a salire, bench ci sia in contrasto con la sua volont.
Incontro con Omberto Aldobrandeschi (46-72)
Una delle anime risponde a Virgilio, anche se Dante non pu vedere chi stia parlando, e dice che l'accesso
percorribile da una persona viva a destra, per cui i due poeti devono seguirli. Il penitente aggiunge che
se il macigno che porta sulle spalle e punisce la sua superbia non lo costringesse a tenere il viso basso,
alzerebbe gli occhi e guarderebbe Dante per capire se lo conosce e renderlo pietoso verso di s. Egli
stato italiano e figlio di un grande toscano: il padre fu Guglielmo Aldobrandeschi e il suo nobile
lignaggio, unito alle grandi opere dei suoi antenati, lo resero in vita cos superbo da disprezzare tutti gli
uomini e dimenticare che siamo tutti figli della stessa madre. La sua arroganza gli procur la morte, che
avvenne come ben sanno i Senesi e come sanno anche i bambini a Campagnatico. L'anima si presenta
infine come Omberto Aldobrandeschi, la cui superbia danneggia i suoi parenti ancora vivi, e che qui in
Purgatorio dovr scontare la pena per tutto il tempo che piacer a Dio, visto che non lo ha fatto quand'era
sulla Terra.
Incontro con Oderisi da Gubbio (73-117)
Mentre ascolta le parole di Omberto, Dante china la faccia verso il basso e un altro penitente si piega
sotto il peso del masso e lo guarda, riconoscendolo e chiamandolo per nome, tenendo a fatica lo sguardo
fisso sul poeta. Dante lo riconosce a sua volta e gli chiede se sia Oderisi, l'onore di Gubbio e il maestro
dell'arte della miniatura. Il penitente risponde che sono pi apprezzati i codici miniati da Franco
Bolognese, col quale deve condividere la gloria di quell'arte; egli non sarebbe stato cos pronto ad
ammettere la sua inferiorit mentre era in vita, dato il grande desiderio di fama che sempre lo anim. Ora
sconta la pena per la sua superbia e non sarebbe ancora in Purgatorio, se non si fosse pentito quando era
ancora lontano dalla morte. Oderisi critica la gloria effimera degli uomini, che destinata a durare poco
se non seguita da un'et di decadenza: cita l'esempio di Cimabue, superato nella pittura da Giotto, e di
Guido Guinizelli, superato nella poesia da Guido Cavalcanti, mentre forse gi nato chi li vincer
entrambi. La fama mondana solo un alito di vento, che soffia ora da una parte e ora dall'altra, sempre
pronto a cambiare nome. Se uno muore da piccolo, non avr fama pi ampia di uno che muore vecchio,
prima che siano trascorsi mille anni: questo tempo brevissimo se paragonato all'eternit, meno di un
batter di ciglia rispetto al movimento del Cielo delle Stelle Fisse (360 secoli). L'anima che cammina
lentamente davanti a lui ne un esempio: un tempo era noto in tutta la Toscana, ora a malapena si
bisbiglia il suo nome a Siena, di cui pure era signore al tempo della battaglia di Montaperti, quando la
rabbia fiorentina fu distrutta. La fama degli uomini come il colore verde dell'erba, che va e viene ed
cancellato dallo stesso sole che l'ha fatta spuntare dalla terra.
Provenzan Salvani (118-142)
Dante risponde a Oderisi che le sue parole gli ispirano grande umilt e abbassano il suo orgoglio, poi
chiede chi sia l'anima di cui ha parlato prima. Il miniatore spiega che si tratta di Provenzan Salvani,
costretto in questa Cornice perch volle essere il signore e padrone di Siena. Dal giorno in cui morto
cammina sotto il peso del masso, scontando la giusta pena per chi osa troppo mentre in vita. Dante
chiede ancora come sia possibile che Provenzano sia gi in Purgatorio, dal momento che chi attende a
pentirsi in punto di morte deve poi attendere nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto visse, a meno che
qualcuno non preghi per lui. Oderisi spiega che quando era all'apice della potenza, Provenzano volle
riscattare un amico dalla prigionia di Carlo I d'Angi, quindi and a chiedere l'elemosina in piazza del
Campo, a Siena, umiliandosi di fronte ai suoi concittadini. Oderisi non aggiunge altro, pur sapendo di
parlare in modo oscuro, ma fra poco i concittadini di Dante faranno s che lui stesso possa provare la
stessa esperienza. Fu quel gesto ad ammettere Provenzan Salvani in Purgatorio.
Interpretazione complessiva
Il Canto si apre con la preghiera del Pater noster recitata dai superbi, che rappresenta una sorta di
parafrasi e ampliamento rispetto al testo originale (in pratica ogni verso della preghiera diventa una
terzina, per una ampiezza complessiva di ventiquattro versi). Ci ha fatto storcere il naso a molti studiosi
moderni, ma ovvio che Dante non intende in alcun modo correggere la preghiera di Ges n mettersi a
gareggiare col testo evangelico, quanto piuttosto invitare gli uomini ad essere umili e a non cadere nel
peccato di superbia: esso il pi grave, quello che maggiormente rischia di privare l'uomo della salvezza,
il che spiega anche perch il poeta vi insista per ben tre Canti (qualcosa di simile, nel Purgatorio, avverr
solo con il peccato di avarizia). Ogni parola della preghiera infatti un invito perentorio all'umilt: gli
uomini devono lodare la potenza di Dio, invocare la sua pace alla quale non potrebbero mai arrivare con
le loro forze, sacrificare a Dio i loro desideri come fanno gli angeli, chiedere a Lui il cibo quotidiano,
perdonare le offese subte. L'ultima parte della preghiera (il verso Ne nos inducas in tentationem, sed
libera nos a malo) non rivolto dai penitenti a se stessi, visto che essi sono ormai immuni alla tentazione
diabolica, ma ai vivi rimasti sulla Terra, per cui essi si mostrano tanto umili da rivolgere ogni pensiero al
destino altrui e non al proprio, come fecero invece quand'erano in vita.
Dante ci mostra poi i penitenti della I Cornice (dopo aver ammonito i vivi a pregare a loro volta per le
anime del Purgatorio) e ci illustra la loro pena attraverso tre esempi, due dei quali parlano direttamente
(Omberto Aldobrandeschi e Oderisi da Gubbio) e il terzo (Provenzan Salvani) soltanto citato;
quest'ultimo personaggio assai affine a Omberto, dal momento che entrambi morirono violentemente e
furono uomini nobili, peccando di superbia proprio a causa della loro attivit politica. Omberto riconosce
apertamente la propria arroganza in vita, che derivava dall'appartenere a una nobile famiglia e di avere
avuto come padre un gran Tosco, quel Guglielmo Aldobrandeschi che fu aspro nemico dei senesi come lo
fu anche il figlio. Omberto parla della sua cervice... superba, si definisce arrogante e ammette di aver
disprezzato tutti gli uomini non pensando alla comune origine, tanto che fin per morire violentemente per
mano dei senesi (Dante non scioglie i dubbi sulla sua morte, che potrebbe essere avvenuta in battaglia o
per mano di sicari assoldati dai senesi, il che per non cambia la sostanza del suo destino). Anche i suoi
parenti sono superbi come lo fu lui sulla Terra, e poich non ha scontato la pena della sua arroganza in
vita deve farlo da morto, per tutto il tempo che piacer a Dio. Il suo esempio molto simile a quello di
Provenzan Salvani, citato alla fine del Canto da Oderisi per mostrare quanto effimera la fama terrena:
egli stato signore di Siena, proprio la citt rivale di Omberto, e fu tanto presuntuoso da voler essere il
padrone assoluto della citt. A differenza di Omberto, tuttavia, egli seppe in un'occasione umiliarsi di
fronte ai concittadini, chiedendo l'elemosina per riscattare un amico fatto prigioniero da Carlo d'Angi
(forse un Bartolomeo Saracini, catturato dopo la battaglia di Tagliacozzo e per cui fu chiesta l'enorme
somma di 10.000 fiorini); quell'opera buona gli ha permesso di non sostare nell'Antipurgatorio, come
avrebbe dovuto fare tra i morti per forza, ma di accedere subito alla I Cornice.
Tra i due esempi di superbia in campo politico posto quello di superbia artistica, rappresentato dal
miniatore Oderisi da Gubbio che Dante conobbe forse a Bologna, e che infatti riconosce e apostrofa per
primo il poeta (lui, a differenza di Omberto, pu guardare Dante, quindi meno curvo del suo compagno
di pena). Attraverso Oderisi Dante fa un importante discorso relativo all'arte e alla poesia, che si collega a
quello iniziato nel Canto X e che avr un corollario nel Canto XII, con gli esempi di superbia punita: il
miniatore respinge infatti il titolo di onor di quell'arte / che alluminar chiamata in Parisi, riconoscendo
umilmente la superiorit di Franco Bolognese che in vita fu suo concorrente. Oderisi dichiara che la fama
mondana in campo artistico effimera, poich ogni artista destinato ad essere superato da qualcuno che
viene dopo, come successo a lui (sopravanzato da Franco), a Cimabue (superato nella pittura da Giotto)
e a Guinizelli (vinto da Cavalcanti, ed entrambi saranno superati da un terzo poeta che concordemente
interpretato come Dante stesso). Oderisi intende dire che in campo artistico la fama non infinita e chi
oggi viene celebrato come maggiore esponente di una scuola o di una corrente verr presto surclassato da
qualcun altro che far dimenticare il suo nome, e cos via; la vita umana poca cosa rispetto alla
dimensione dell'eterno, quindi meglio farebbero gli uomini a preoccuparsi della loro salvezza spirituale
anzich a come saranno ricordati sulla Terra, perch presto o tardi il loro nome verr dimenticato (e
l'esempio di Provenzan Salvani, che Oderisi indica allusivamente a Dante, dimostra proprio questo: un
tempo era famosissimo, ora a malapena si ricordano di lui a Siena). sembrato strano che nel Canto
dedicato alla superbia Dante citi indirettamente se stesso come colui destinato a vincere poeticamente i
due Guido, ma in realt ci coerente con il discorso di Oderisi: Dante vuol dire probabilmente che anche
lui, come esponente dello Stilnovo, sar a sua volta superato da qualcun altro, senza contare che all'epoca
della Commedia la fase poetica stilnovista era per lui definitivamente chiusa. Dante ora l'autore di un
poema sacro al quale collaborano Cielo e Terra, dal momento che lui mette a disposizione la sua maestria
poetica per dare forma alla visione cui stato ammesso per un eccezionale privilegio, per un'altissima
missione di cui la volont divina lo ha investito. Dante autore ispirato e componendo il poema pu
ben aspettarsi la fama eterna, ma ci non deriva esclusivamente dai suoi meriti di scrittore: nel Paradiso
ribadir a pi riprese di essere incapace di descrivere l'altezza delle cose vedute, ammettendo
continuamente l'inadeguatezza della sua poesia e dei suoi strumenti retorici e invocando l'assistenza
divina, senza la quale la composizione di quest'opera impossibile. Viste le cose in quest'ottica evidente
che l'autocoscienza poetica di Dante si spiega perfettamente nel poema, cos come l'orgoglio di chi
percorre una strada mai compiuta prima di allora, senza che ci contrasti con l'appello all'umilt che
caratterizza il Canto dei superbi; del resto alla fine dell'episodio Oderisi profetizza velatamente a Dante
l'esilio, che lo costringer a sperimentare la stessa umiliazione di Provenzano nel chiedere aiuto ai potenti,
e Dante stesso nel Canto XIII dichiarer a Sapa di temere assai pi la pena della I Cornice, ammettendo
sinceramente la propria suberbia intellettuale e politica.
Note e passi controversi
I primi effetti (v. 3) sono le prime cose create da Dio, quindi i Cieli e gli angeli.
Nei vv. 4-6 i termini nome, valore, vapore sono stati interpretati come le attribuzioni della Trinit, ovvero
Padre, Figlio, Spirito Santo.
L'aspro diserto citato al v. 14 sicuramente la Terra e non il Purgatorio (i superbi dicono questo perch
il monte si trova fisicamente sulla Terra).
L'antico avversaro il demonio, cos definito anche in Purg., VIII, 95.
Il termine ramogna (v. 25), di origine incerta, stato variamente interpretato e pu voler dire augurio,
(buona) sorte.
Al v. 49 riva significa parete del monte.
La comune madre (v. 63) citata da Omberto prob. Eva, ma potrebbe anche essere la Terra.
Alcuni editori pubblicano il v. 65 con questa punteggiatura: ch'io ne mori'; come, i Sanesi sanno
(mettendo in rilievo che i Senesi sanno il modo in cui Omberto morto; il senso generale non cambia con
la punteggiatura a testo).
Agobbio (v. 80) la forma antica di Gubbio, dal lat. Iguvium.
Alluminar (v. 81) deriva dal franc. enluminer, che significa appunto miniare.
Ai vv. 89-90 Oderisi intende dire che, possendo peccar (quindi essendo ancora lontano dalla morte) si
pent, il che gli ha permesso di non sostare nell'Antipurgatorio (era morto forse nel 1299).
I due Guido citati al v. 97 sono certamente Guinizelli e Cavalcanti, anche se non sono mancate altre
interpretazioni, come Guittone d'Arezzo e Guinizelli (tale interpretazione, pur suggestiva, poco
probabile). Il poeta citato allusivamente al v. 99 probabilmente Dante, anche se l'espressione
indeterminata.
Il pappo e il dindi (v. 105) sono parole infantili, che vogliono dire pressappoco cibo e denaro.
Il cerchio che pi tardi in cielo torto (v. 108) il Cielo delle Stelle Fisse, che secondo le cognizioni
astronomiche del tempo compiva una rotazione completa attorno all'eclittica in 360 secoli.
Il v. 109 (colui che del cammin s poco piglia) indica probabilmente che Provenzan Salvani cammina a
passi lenti, quindi si avvantaggia poco rispetto a Oderisi.
I vicini citati al v. 140 sono i concittadini di Dante.
Purgatorio, Canto XV
Argomento del Canto
Incontro con l'angelo della misericordia. Salita dalla II alla III Cornice. Spiegazione di Virgilio circa una
frase di Guido del Duca. Esempi di mansuetudine. Ingresso nel fumo della III Cornice.
il pomeriggio di luned 11 aprile (o 28 marzo) del 1300.
L'angelo della misericordia (1-39)
Il sole deve ancora percorrere fino all'inizio della sera lo stesso tratto che percorre al mattino tra le sei e le
nove, per cui in Purgatorio il vespro, mentre in Italia mezzanotte. I raggi solari colpiscono Dante e
Virgilio di fronte, perch i due hanno girato intorno al monte e procedono ora verso occidente, quando
Dante si accorge che la luce davanti ai suoi occhi molto aumentata e questo lo fa meravigliare, per cui il
poeta si ripara gli occhi con la mano. La luce del sole colpisce Dante come se fosse riflessa, in modo
simile a un raggio di luce che colpisce una superficie d'acqua o uno specchio, per cui il raggio sale
formando un angolo identico a quello del raggio che scende, rispetto alla verticale; la luce che vede Dante
talmente forte che deve distogliere lo sguardo. Egli chiede a Virgilio cosa sia quel fulgore e il maestro lo
invita a non meravigliarsi se la vista degli angeli ancora lo abbaglia, come fa quel messo celeste (l'angelo
della misericordia) che li invita a salire. Ben presto Dante non solo non prover pi disagio a vedere cose
simili, ma addirittura ne sar lieto, per quanto la natura lo ha disposto a questo. I due raggiungono
l'angelo, che con voce lieta li esorta a salire lungo una scala meno ripida delle precedenti; essi salgono, e
dietro di loro sentono intonare il canto Beati i misericordiosi.
Virgilio spiega una frase di Guido del Duca (40-81)
Dante e Virgilio salgono lungo la scala e il discepolo pensa di rivolgere al maestro un'utile domanda, per
cui gli chiede di spiegargli cosa intendesse dire Guido del Duca parlando di beni il cui possesso esclude la
condivisione. Virgilio risponde che il penitente conosceva il proprio peccato di invidia, perci il suo
rimprovero non sorprendente: infatti gli uomini desiderano quei beni materiali il cui godimento tanto
minore quanto maggiori sono i beneficiari, il che suscita invidia. Ma se l'amore di Dio facesse desiderare i
beni celesti, questo non avverrebbe, perch nell'Empireo quanto pi numerosi sono i possessori di un
bene, tanto maggiore ne il godimento e tanto pi si arde di carit. Dante non soddisfatto della risposta
ed in dubbio, poich non capisce come sia possibile che un bene, posseduto da molti, sia goduto in
maggior misura che se goduto da pochi. Virgilio risponde che Dante pensa ai beni terreni, mentre quelli
spirituali si rivolgono subito a chi ama; Dio si concede a seconda della carit che trova nell'anima, per cui
in cielo l'amore maggiore quantio pi numerosi sono coloro che amano, come un raggio di luce riflesso
da uno specchio all'altro. E se la spiegazione di Virgilio non soddisfacente, Dante ricever la chiosa pi
ampia di Beatrice, quindi deve affrettarsi a cancellare le cinque P che rimangono sulla sua fronte.
Esempi di mansuetudine: Maria, Pisistrato, S. Stefano (82-114)
Dante vorrebbe ringraziare il maestro, ma vede che giunto ormai alla III Cornice e volge gli occhi per
vedere cose nuove. Qui rapito in una visione estatica, che gli mostra molte persone radunate in un
Tempio, mentre una donna (Maria) entra e rimprovera dolcemente Ges, che ha fatto preoccupare lei e
suo padre. La visione svanisce e ne compare un'altra in cui una donna piange indispettita, mentre si
rivolge a Pisistrato tiranno di Atene e lo esorta a vendicarsi di colui che ha osato baciare in pubblico la
loro figlia. Il tiranno risponde benigno che, se chi li ama viene condannato, troppo dura sar la punizione
per chi li odia. Poi Dante vede persone accese d'ira che lapidano un giovane (S. Stefano), incitandosi l'un
l'altro, mentre il martire cade a terra morente e volge gli occhi al cielo, chiedendo a Dio di perdonare i
suoi uccisori con aspetto pietoso e mansueto.
Spiegazione di Virgilio (115-138)
Dante torna in s e capisce di aver avuto delle visioni; Virgilio lo vede camminare lentamente come
qualcuno che si sveglia da un sonno pesante, per cui gli chiede cosa gli successo, visto che per un buon
tratto di strada Dante ha camminato con gli occhi velati e le gambe impacciate, come un uomo vinto dal
vino o dal sonno. Dante si dice pronto a raccontare a Virgilio quello che ha visto in estasi, ma il maestro
dichiara di aver letto ogni cosa nella sua mente e ci che Dante ha visto erano esempi di mansuetudine
che devono distogliere dal peccato di ira. Egli non gli ha chiesto cosa avesse per conoscere la ragione del
suo barcollare, ma per esortarlo a camminare velocemente, come si deve fare per incitare i pigri che sono
restii a muoversi quando si svegliano.
Ingresso nel denso fumo della III Cornice (139-145)
I due poeti continuano a camminare mentre ormai il vespro, attenti a guardare in avanti quanto i raggi
bassi del sole glielo consentono: all'improvviso vedono avvicinarsi un fumo acre e denso, oscuro come la
notte, dal quale risulta impossibile scansarsi. Il fumo li acceca completamente, togliendo loro la
possibilit di respirare aria pura.
Interpretazione complessiva
Il Canto un intermezzo narrativo e dottrinale che introduce al passaggio nella Cornice successiva,
attraverso i tre momenti dell'apparizione dell'angelo, della spiegazione di Virgilio, degli esempi di
mansuetudine. L'incontro con l'angelo della misericordia ricalca quello avvenuto nel Canto XII con
l'angelo dell'umilt, con la variante che qui Dante abbagliato dal suo fulgore: Virgilio spiega che ci
dovuto al fatto che la natura umana del poeta non gli consente di fissare lo sguardo nei messi celesti,
proprio come non pu guardare direttamente il sole che li colpisce di fronte, mentre pi avanti ci gli
procurer piacere ( il carattere del viaggio in Purgatorio come purificazione morale, per cui quanto pi
Dante sale tanto pi si avvicina a Dio e si purga dai peccati: pi avanti Virgilio dir che l'angelo ha
cancellato dalla sua fronte la seconda delle sette P).
La salita alla III Cornice lungo una scala meno ripida delle precedenti d modo a Dante di chiedere
spiegazioni circa una frase di Guido del Duca, che nel Canto XIV aveva parlato dei beni materiali come
quelli il cui possesso esclude che siano condivisi con altri, il che suscita invidia negli uomini. Virgilio
offre una spiegazione dottrinale, distinguendo tra i beni terreni che hanno questa caratteristica e quelli
celesti che sono opposti, in quanto il loro godimento cresce quanto pi numerosi sono coloro che li
possiedono: la chiosa del maestro anticipa quelle che spesso Beatrice far nella III Cantica, tali da
suscitare altri dubbi nel poeta come avviene in questo caso, per cui Virgilio rimanda proprio alle pi
dettagliate spiegazioni di Beatrice una volta che Dante l'avr incontrata. Virgilio sottolinea il carattere dei
beni spirituali che sono concessi in misura maggiore quanto pi forte l'ardore di carit, il che riprende il
suo duro rimprovero agli uomini che si lasciano attrarre dalle lusinghe del male, fatto in chiusura del
Canto XIV: interessante la similitudine della luce che si riflette da uno specchio all'altro, che si collega a
quella proposta da Dante riguardo alla luce dell'angelo che lo abbaglia, ricca di elementi scientifici e
precisazioni geometriche (l'elemento della luce domina largamente questo episodio, evidentemente per
contrasto col buio fitto che avvolge la III Cornice e in cui i due poeti si ritroveranno alla fine del Canto).
L'ingresso nella III Cornice degli iracondi accompagnata dagli esempi di mansuetudine, questa volta
attraverso visioni che Dante osserva in una sorta di rapimento estatico. I tre esempi sono ancora una volta
tratti dalla tradizione bibilica (Maria che rimprovera Ges al Tempio, S. Stefano che perdona coloro che
lo hanno martirizzato in preda all'ira) e da quella classica (Pisistrato che rifiuta di punire il giovane che ha
baciato sua figlia in strada, aneddoto che Dante ricava da Valerio Massimo con una citazione quasi
letterale). La domanda di Virgilio a Dante quando tornato in s puramente didascalica, con la funzione
di sottolineare che gli esempi di mansuetudine devono aprire il cuore alle acque de la pace in grado di
estinguere il foco d'ira punito in questa Cornice, oltre che spingere il discepolo ad affrettare il passo senza
indulgere alla pigrizia (forse ci anticipa il peccato punito nella Cornice successiva, ovvero l'accidia). Il
Canto si chiude con l'ingresso nel buio d'inferno della Cornice che rappresenta il contrappasso degli
iracondi, i quali agirono in vita con la mente ottenebrata e gli occhi chiusi alla luce dell'amore di Dio di
cui il Canto ha celebrato le lodi.
Purgatorio, Canto XX
Argomento del Canto
Ancora nella V Cornice: esempi di povert e liberalit. Incontro con Ugo Capeto, che accusa i suoi
discendenti (tra cui Filippo il Bello). Esempi di avarizia punita. Un terremoto scuote il Purgatorio e le
anime cantano il Gloria.
la mattina di marted 12 aprile (o 29 marzo) del 1300.
Maledizione contro l'avarizia. Esempi di liberalit (1-33)
Dante vorrebbe prolungare il colloquio con papa Adriano V, ma la volont di quest'ultimo ha la meglio e
il poeta si ritrae, pur insoddisfatto. Lui e Virgilio percorrono la V Cornice tenendosi stretti alla parete del
monte, poich le anime sono stese sull'orlo verso il vuoto e piangendo espiano il peccato di avarizia che
causa dei mali del mondo. Dante maledice la lupa, simbolo della cupidigia, chiedendo al Cielo quando
essa sar cacciata dalla Terra.
Mentre i due poeti procedono lentamente, Dante sente le anime degli avari e prodighi che mormorano con
voce lamentosa e citano l'esempio di Maria, che visse cos poveramente da partorire Ges in un'umile
stalla. I penitenti ricordano anche G. Fabrizio Luscinio, il console romano che prefer vivere poveramente
con virt piuttosto che da ricco cedendo al vizio. Queste parole spingono Dante ad avvicinarsi all'anima
che crede le abbia pronunciate, la quale intanto cita ancora l'esempio di san Niccol che don denaro a
delle fanciulle povere per mantenere intatto il loro onore.
Colloquio con Ugo Capeto (34-96)
Dante si rivolge all'anima che ha parlato e le chiede di dire il proprio nome, spiegando perch l'unica a
citare gli esempi di liberalit. Il poeta promette di ricompensarla ricordandola sulla Terra, dove destinato
a tornare alla fine del viaggio. Il penitente risponde che esaudir la richiesta, non in quanto desideroso di
essere nominato nel mondo dei vivi, ma per la grazia divina di cui Dante evidentemente oggetto. Egli
dichiara di essere il capostipite della dinastia francese dei Capetingi, che danneggia tutta la cristianit e
raramente produce buoni frutti, profetizzando la vendetta delle terre fiamminghe contro Filippo il Bello.
Si presenta come Ugo Capeto, da cui sono nati i re francesi chiamati Filippo e Luigi e figlio a sua volta di
un macellaio di Parigi: dopo essere entrato in possesso del regno, circondato da amici, lasci la corona in
successione a suo figlio dal quale ebbe inizio la dinastia capetingia. I suoi discendenti, fino all'annessione
della Provenza, non si segnalarono per grandi imprese ma neppure commisero malefatte; da quel
momento in avanti, invece, la dinastia inizi una lunga serie di ruberie e violenze, di cui fece
ironicamente ammenda Filippo il Bello occupando Normandia e Guascogna. Sempre per ammenda, Carlo
I d'Angi invase il regno di Napoli e mand a morte Corradino e poi san Tommaso d'Aquino; di l a poco
Carlo di Valois lascer la Francia armato solo del tradimento e colpir duramente Firenze, impresa che
non gli procurer una terra ma solo vergogna e disonore. Carlo II d'Angi, invece, arriver al punto di
vendere la propria figlia a Azzo VIII d'Este come fanno i corsari con le schiave, dimostrando che
l'avarizia ha del tutto soggiogato i Capetingi. Il culmine di tali empiet sar raggiunto da Filippo il Bello,
che mander i suoi emissari ad Anagni a oltraggiare papa Bonifacio VIII: Cristo sar catturato e deriso
nella persona del suo vicario, ucciso nuovamente tra due ladroni. Il penitente profetizza ancora che
Filippo, nuovo Pilato, porter le sue vele nel Tempio (scioglier cio l'ordine dei Templari). Ugo Capeto
invoca per tutti costoro la vendetta e l'ira divina.
Esempi di avarizia punita (97-123)
Ugo Capeto spiega poi a Dante che gli esempi di liberalit sono pronunciati dalle anime solo di giorno,
mentre di notte i penitenti citano quelli di avarizia punita. Tra questi vi Pigmalione, che per bramosia
d'oro trad e uccise il cognato Sicheo; il re Mida, che pag la sua avidit con una misera esistenza; Acan,
che rub il bottino di Gerico e fu duramente punito da Giosu; Safira e suo marito; Eliodoro, ucciso a
calci da un cavallo; Polinestore, che uccise a tradimento Polidoro; infine Licinio Crasso, decapitato dopo
la sua morte e nella cui bocca fu versato oro fuso. Tutti i penitenti citano questi esempi, con voce pi o
meno alta a seconda dell'affetto che li stimola: dunque Ugo Capeto non era l'unico a parlare quando Dante
l'ha udito, ma accanto a lui le altre anime mormoravano a voce bassa.
Un terremoto scuote il monte. Le anime intonano il Gloria (124-151)
Dante e Virgilio si sono ormai allontanati dal penitente e tentano di percorrere la strada nella Cornice,
quando il monte inizia a tremare con un tremendo rimbombo e Dante si sente raggelare il cuore. Certo
l'isola di Delo non fu scossa da un terremoto simile, prima che Apollo la rendesse stabile. Subito dopo
inizia un grido emesso da tutte le anime, per cui Virgilio rassicura Dante e gli promette la sua guida: le
anime intonano a una voce Gloria in excelsis Deo e i due poeti stanno immobili e in attesa, come i pastori
che per primi udirono quel grido al momento della nascita di Cristo. Quando il terremoto cessa e il grido
si interrompe, i due poeti riprendono il cammino marciando fra le anime stese a terra, che intanto hanno
ripreso a piangere. Dante assillato dal desiderio di conoscere la ragione di quello strano fenomeno, tanto
quanto non crede di essere stato mai in vita sua: non osa domandare a Virgilio per la fretta che lui
dimostra e non vede nulla o nessuno che possa sciogliere i suoi dubbi.
Interpretazione complessiva
Il Canto completa il discorso di Dante intorno al peccato di avarizia, presentando come exemplum morale
il personaggio di Ugo Capeto che, in quanto re di Francia e capostipite della dinastia capetingia,
speculare rispetto a quello di papa Adriano V protagonista del Canto XIX (il peccato pi grave e fonte
della decadenza morale del tempo condannato attraverso due esponenti delle massime cariche
nell'Europa cristiana, un sovrano e un pontefice). L'incontro con Ugo Capeto preceduto dalla dura
invettiva del poeta contro la lupa, simbolo del peccato di cupidigia come gi nel Canto I dell'Inferno, cui
seguono gli esempi di povert e liberalit recitati dalle anime dei penitenti, che come apprenderemo in
seguito dichiarano di notte quelli di avarizia punita, unico caso nella Cantica in cui essi non sono
presentati direttamente a Dante. L'anima che secondo il poeta ha parlato proprio quella di Ugo Capeto, a
cui Dante si avvicina e attraverso il quale svolge un importante discorso di condanna dell'avarizia e, al
tempo stesso, di dura critica ai discendenti della sua dinastia.
L'esempio di Ugo Capeto gi di per s significativo, in quanto il sovrano (che Dante confonde in parte
col padre Ugo il Grande e indica erroneamente come figlio di un macellaio) giunse al regno nonostante le
sue umili origini e divenne avido di potere, salvo poi pentirsi dei suoi peccati e guadagnare la salvezza
eterna; non cos si pu dire per i suoi discendenti, verso i quali il re lancia un duro atto d'accusa che
colpisce soprattutto Filippo il Bello e i due Carlo d'Angi, ovvero i capetingi verso cui Dante aveva
maggiori motivi di risentimento e di condanna politica. Il penitente individua un momento storico a
partire dal quale la casata inizi il suo declino morale, ovvero l'acquisizione della gran dota provenzale
avvenuta nel 1245 col matrimonio di Beatrice (figlia di Raimondo IV Berlinghieri) con Carlo I d'Angi:
da l in poi inizi la rapina della dinastia francese, sia perch il matrimonio fu concluso con la rottura
fraudolenta del fidanzamento tra Beatrice e Raimondo di Tolosa, sia perch in seguito le truppe francesi
invasero la Provenza con un vero atto di guerra. Ugo Capeto usa la tecnica dell'antifrasi per biasimare le
ulteriori malefatte dei suoi discendenti, in quanto afferma che per fare ammenda di quel torto Carlo I
d'Angi invase il regno di Napoli e fece decapitare Corradino nel 1268, dopo la battaglia di Tagliacozzo, e
in seguito fece avvelenare san Tommaso d'Aquino per timore di ci che avrebbe detto contro di lui al
Concilio di Lione (Dante d credito a questa versione della morte del santo, usando l'espressione ironica
ripinse al ciel). Ugo Capeto profetizza poi l'azione di Carlo di Valois quando sar paciaro a Firenze e
favorir l'ascesa violenta al potere dei Guelfi Neri, causando indirettamente l'esilio di Dante, nonch la
condotta di Carlo II d'Angi il quale, dopo essersi coperto di vergogna nella battaglia del Golfo di Napoli
del 1284 in cui fu fatto prigioniero dagli Aragonesi, arriver nel 1305 a vendere la giovane figlia Beatrice
ad Azzo VIII d'Este come fanno i pirati con le schiave (entrambe le immagini si rifanno all'ambito
marinaresco e ai prigionieri fatti sul mare).
Naturalmente il principale bersaglio polemico del penitente il re di Francia sul trono al momento della
visione dantesca e della composizione del Canto, ovvero Filippo il Bello di cui Ugo Capeto gi all'inizio
biasima la guerra condotta contro i Fiamminghi nel 1297-1299: Filippo aveva consumato l'indegno
tradimento del conte di Fiandra che indusse ad arrendersi e poi fece prigioniero, salvo poi scatenare la
ribellione delle citt fiamminghe che nel 1302 sconfissero i Francesi (il fatto qui profetizzato da Ugo
Capeto come prossima punizione delle malefatte del sovrano). Altri due gravi fatti vengono predetti dal
penitente con un discorso retoricamente elevato e solenne, attraverso l'anafora Veggio... con cui egli
prefigura l'oltraggio di Anagni e lo scioglimento dell'Ordine dei Templari: in entrambi i casi il penitente
usa immagini tratte dal testo evangelico e relative alla vicenda di Cristo, a iniziare dall'offesa subta da
Bonifacio VIII ad opera di Sciarra Colonna e Guglielmo di Nogaret, paragonati ai due ladroni con cui
Ges venne crocifisso e indicando il papa stesso come Cristo oltraggiato e umiliato sulla via crucis.
chiaro che Dante condanna l'offesa perpetrata non alla persona di Bonifacio ma all'abito che egli indossa
come vicario di Cristo in Terra, per cui l'azione compiuta dai due complici di Filippo degna della
massima esecrazione come quella profetizzata subito dopo, ovvero lo scioglimento dell'Ordine dei
Templari allo scopo di impadronirsi delle loro ricchezze: qui Filippo paragonato a Pilato per essersi
proclamato estraneo ai fatti di Anagni e aver lasciato il papa nelle mani dei suoi nemici Colonna (quindi
con un'immagine ancora relativa alla passione di Cristo), mentre poi detto portare le cupide vele nel
tempio come un pirata che va all'arrembaggio dei tesori dei Templari, con una metafora che nuovamente
si collega all'ambito marinaro. L'azione di Filippo condannata anche per il movente dettato dall'avarizia,
per cui in ultima analisi la condanna dei discendenti di Ugo Capeto anche un ulteriore esempio di
cupidigia come causa del malcostume politico del mondo, il che spiega il particolare malanimo sempre
dimostrato da Dante verso il sovrano che fece iniziare la cattivit avignonese (Filippo il Bello non mai
nominato direttamente nel poema e verr sempre colpito con amara irrisione, come nella figura del
gigante di Purg., XXXII e nel preannuncio della sua morte in Par., XIX).
Dopo la chiosa di Ugo Capeto circa gli esempi di avarizia punita, tratti come al solito dalla tradizione
classica e biblica, e il fatto che tutte le anime li dichiarano con voce pi o meno alta a seconda del
sentimento provato, il Canto si chiude col terremoto che scuote il monte del Purgatorio e il canto del
Gloria da parte delle anime, che accende la pi viva curiosit da parte di Dante: il preannuncio
dell'incontro con Stazio che avverr nel Canto successivo, con cui inizier un lungo discorso intorno alla
poesia e che consentir a Dante di spiegare tra l'altro il fatto che nella V Cornice punito anche il peccato
di prodigalit. L'episodio si conclude in un'atmosfera di attesa e di dubbio da parte del poeta, che intende
trasmettere anche al lettore e che sar sciolta nello svolgersi del Canto seguente.