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DAL LATINO AL VOLGARE

È difficile stabilire con certezza quando ha origine una lingua, perché la formazione di una lingua richiede un
processo lungo e complesso, in quanto una lingua è l’insieme di elementi tradizionali che via via vengono
innovati. È difficile stabilire quando sono diventate lingue autonome e indipendenti quelle che vengono
conosciute come lingue neolatine:

 Italiano
 Francese
 Provenzale (lingua parlata nella Francia del sud)
 Portoghese
 Spagnolo
 Catalano
 Rumeno
 Ladino

La lingua dei romani è il latino, che essi hanno diffuso in tutto il loro vastissimo impero, dalle coste del
mediterraneo fino all’Europa centrale e all’Asia minore. Il latino dei romani nel vasto impero romano non è
parlato allo stesso modo, ciò è avvenuto perché nei territori conquistati da Roma il latino dei vincitori
romani si è sovrapposto agli idiomi locali già parlati dai popoli vinti. A Roma il latino delle classi dominanti è
differente e superiore al latino parlato dai plebei e dai popoli sottomessi a Roma. A partire dal III a.C. il
latino diventa una lingua con precise norme grammaticali e stilistiche, diventando il latino classico degli
scrittori, dei uomini politici e dei giuristi.

La lingua latina conserva la sua coesione interna quando l’impero romano è unito dal punto di vista politico
e territoriale, quindi la lingua latina perde l’importanza culturale quando nel IV d.C. termina l’unità
dell’impero romano causata da una crisi sociale e economica, dalle invasioni barbariche, scompaiono le
istituzioni scolastiche e predominano espressioni di uso quotidiano. Inizia quindi a diffondersi una lingua
volgare (cioè parlata dal popolo, deriva da vulgus=popolo), che sostituisce il latino classico. Esso non ha
regole e varia da regione a regione. Però il latino classico non muore e viene ancora usato dalla chiesa, ha
delle strutture grammaticali e sintattiche tradizionali, ma modifica il lessico con neologismi (nuovi termini)
acquisiti da altri popoli incontrati nella diffusione del cristianesimo.

Nel VI secolo nelle terre dominate dai romani abbiamo una netta separazione linguistica, che aumenta nei
secoli successivi:

 Da una parte troviamo i volgari, lingue di uso comune parlate dal popolo
 Dall’altra troviamo il latino, usato solo dai chierici e dalla chiesa, il quale non veniva capito dal
popolo.

Nel IX dopo la disgregazione dell’impero, c’è il problema della separazione di questi due codici, cioè volgare
e latino. La chiesa interviene per prima per risolvere il problema: con il concilio di Tous nel 831, il quale
stabilisce che gli ecclesiastici devono usare quella che veniva chiamata la rustica romana lingua, cioè il
volgare, quando predicavano e confessavano i fedeli, perché il popolo non capiva più il latino. Potevano
usare il latino nella preghiera e nei riti. Questo concilio stabilisce di scegliere una lingua comprensibile ai
fedeli e di non usare i volgari parlati dal popolo, questo processo è lungo e parte dal clero e consiste nel
definire le aree territoriali stabili e usare varianti specifiche della lingua volgare. Questa selezione linguistica
avviene oralmente, perciò non si hanno testimonianze scritte di questo processo. Ci sono reperti che
testimoniano che in quel periodo vi sono due lingue diverse tra di loro, usate dai mercanti nei loro traffici
commerciali nel mediterraneo:

 La lingua di Spagna
 La lingua di Francia

Queste due lingue possono essere considerate lingue autonome utilizzate nelle tratte commerciali. Dal IX
secolo si individuano le radici delle lingue romanze (o neolatine), derivate dal parlare come i romani
(romanice loqui). Queste lingue romanze usate all’inizio per comunicare oralmente si sviluppano poi in
Italia, in Francia, in Spagna e in Dacia. Il volgare quando compare in moti testi scritti inizia la sua
“rivoluzione culturale”.

I PRIMI DOCUMENTI IN VOLGARE

In Italia il volgare si afferma in ritardo, sia come lingua parlata sia come lingua scritta, ciò avviene perché
Roma e la chiesa prediligono il latino e perché il potere politico dell’Italia non diffonde il volgare.

Indovinello veronese

«se pareba boves «Teneva davanti a sé i buoi


alba pratalia araba arava bianchi prati
et albo versorio teneba e aveva un bianco aratro
et negro semen seminaba» e un nero seme seminava»

Il primo testo è l’indovinello veronese. Esso risale alla fine dell’VIII secolo e all’inizio del IX secolo. Primo
documento scritto in una forma che sta in mezzo tra il latino e il volgare (è un latino corrotto con il volgare).
È inserito in un codice liturgico, fatto nella Spagna araba. È stato rinvenuto nel 1924 nella biblioteca
capitolare di Verona.

È formato da una dozzina di parola seguite da una formula liturgica di ringraziamento, scritte sul retto del
foglio, di un libro di preghiere, trascritte e tradotte da studiosi.

È un indovinello popolare, diffuso in Italia fino al XIX, è un documento che crea un parallelismo tra l’atto di
arare e l’atto dello scrivere, perciò tra il contadino e lo scrivano. Il copista si è divertito a fare uno scambio
tra i livelli linguistici e tematici:

 I buoi con le dita dello scrivano


 Dei bianchi campi per indicare i fogli di pergamena
 Il bianco aratro per la penna d’oca
 Del nero seme per l’inchiostro

Questo indovinello non è una nuova lingua, ma testimonia che il volgare si sta allontanando dalla lingua
madre, cioè il latino, infatti ha termini in latino (boves=buoi e et=e) e altri che formeranno il volgare
italiano.

I giuramenti di Strasburgo

Testo originale Traduzione

(Antico francese:) “Pro Deo amur et pro christian “Per l'amore di Dio e per la salvezza del popolo
poblo et nostro commun saluament, d'ist di in cristiano e nostra comune, da oggi in avanti, in
auant, in quant Deus sauir et podir me dunat, si quanto Dio sapere e potere mi concede, così
saluarai eo cist meon fradre Karlo, et in adiudha et salverò io questo mio fratello Carlo e col (mio) aiuto
in cadhuna cosa si cum om per dreit son fradra e in ciascuna cosa, così come si deve giustamente
saluar dist, in o quid il mi altresi fazet. Et ab Ludher salvare il proprio fratello, a patto ch'egli faccia
nul plaid nunquam prindrai qui meon uol cist meon altrettanto nei miei confronti; e con Lotario non
fradre Karle in damno sit.” prenderò mai alcun accordo che, per mia volontà,
rechi danno a questo mio fratello Carlo.”

(Alto tedesco antico:) “In Godes minna ind in thes “Per l'amore di Dio e del popolo cristiano e per la
christiānes folches ind unsēr bēdhero gehaltnissī, salvezza di entrambi, da oggi in poi, in quanto Dio
fon thesemo dage frammordes, sō fram sō mir Got mi concede sapere e potere, così aiuterò io questo
gewizci indi mahd furgibit, sō haldih thesan mīnan mio fratello, così come è giusto, per diritto, che si
bruodher, sōso man mit rehtu sīnan bruodher scal, aiuti il proprio fratello, a patto ch'egli faccia
in thiu thaz er mig sō sama duo, indi mit Ludheren altrettanto nei miei confronti, e con Lotario non
in nohheiniu thing ne gegango, the mīnan willon prenderò mai alcun accordo che, per mia volontà,
imo ce scadhen werdhēn.” possa recargli danno [a Ludovico].”

(Antico francese:) “Si Lodhuuigs sagrament quæ “Se Ludovico mantiene il giuramento che giurò a suo
son fradre Karlo iurat, conseruat, et Carlus meos fratello Carlo, e Carlo, mio signore, da parte sua non
sendra, de suo part, non lostanit, si io returnar non lo mantiene, se io non lo posso distogliere da ciò, né
l'int pois, ne io, ne neuls cui eo returnar int pois, in io né alcuno che io possa distogliere da ciò gli
nulla aiudha contra Lodhuuuig nun li iu er.” saremo di aiuto contro Ludovico.”

(Alto tedesco antico:) "Oba Karl then eid, then er “Se Carlo mantiene il giuramento che giurò a suo
sīnemo bruodher Ludhuwīge gesuor, geleistit, indi fratello Ludovico, e Ludovico, mio signore, da parte
Ludhuwīg mīn hērro then er imo gesuor forbrihchit, sua rompe il giuramento che ha prestato, se io non
ob ih inan es irwenden ne mag: noh ih noh thero lo posso distoglierlo da ciò, né io né alcuno che io
nohhein, then ih es irwenden mag, widhar Karlo possa distogliere da ciò, non lo seguiremo contro
imo ce follusti ne wirdhit." Carlo.”

Questi sono il primo documento ufficiale che dimostra di usare di proposito la lingua volgare, sono il primo
documento del volgare romanzo.

Siamo nel IX secolo, muore Ludovico il Pio, erede di Carlo Magno, il titolo di imperatore dell’impero
carolingio viene dato al suo primo genito Lotario, i fratelli minori di Lotario, cioè Ludovico il germanico
(sovrano parte orientale) e Carlo il calvo (sovrano pare occidentale) si alleano contro Lotario, il quale vinto è
costretto alla pace di Verdun nel 843. I due fratelli per documentare la loro alleanza pronunciano questi
giuramenti di Strasburgo nel 842, e sono riportati da Nitardo, in una sua opera intitolata “storia dei figli di
Ludovico il pio”. Per farsi capire dai soldati Ludovico giura in romana lingua, nonché in francese, Carlo
invece giura in lingua teudisca, cioè in tedesco. Il loro giuramento viene scritto in due lingue diverse,
dimostrando che due territori limitrofi non utilizzano più il latino come lingua comune.

Le due lingue usate da Ludovico e Carlo non sono i volgari parlati ma sono lingue vere e proprie, sono lingue
nuove, con un canone embrionale, e dimostrano di aver raggiunto l’autonomia espressiva di alcuni idiomi
territoriali. Queste due lingue sono frutto di un’esigenza e di una funzione pratica, per permettere al popolo
di comprendere il pensiero dei ceti dirigenti colti.

Placidi cassinesi

«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.»
(Capua, marzo 960 d.C.)
«Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta
anni le possette.»
(Sessa, marzo 963 d.C)
«Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte
Marie.»
(Teano, luglio 963 d. C)
«Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.»
(Teano, ottobre 963 d. C.)

In Italia i primi documenti in volgare italiano si hanno un secolo dopo, rispetto a quelli francesi (giuramenti
di Strasburgo), poiché l’Italia ha diversi dominatori, per cui non è in condizione di formare una lingua
autonoma e distinta dal latino. I placidi cassinesi sono i primi documenti scritti che testimoniano un uno
ufficiale del volgare italiano. Essi risalgono al 960, sono 4 giuramenti con forma simile, registrati in un
documento durante una lite legale.

 Il primo di questi quattro documenti è il Placito Capuano, a Capua, dominata dai longobardi, un abate
Don Aligerno e un uomo di Acquino, Rodelgrimo si contendono la proprietà di un terreno agricolo
davanti al giudice, Arechisi. L’abate porta con sé tre testimoni, per contestare che il terreno è del
monastero, le dichiarazioni dei tre testimoni sonno in volgare. Gli atti giudiziari invece sono in latino. Il
giudice registra le dichiarazioni in vogare dei tre testimoni, per far si che i contenuti fossero capiti da
persone che non parlano e non capiscono il latino.
Nei due secoli successivi la forma dei placiti (cioè l’uso del vogare) viene applicata nei documenti notarili,
negli inventari dei beni e nei ricordi personali. Il volgare è usato anche nella predicazione religiosa, nel XIII si
ha una letteratura in volgare, quando alla lingua degli umili e degli incolti si dà dignità espressiva.
LA POESIA RELIGIOSA

LA NUOVA SPIRITUALITÀ

Nel Medioevo l’Europa feudale è frammentata, invece la chiesa cattolica è l’unica organizzazione unitaria, e
da punto di vista culturale ha un’importanza fondamentale. Finito l’impero romano, la chiesa trasmette la
cultura nelle scuole delle sedi vescovili o delle cattedrali. Inoltre nei monasteri benedettini i frati amanuensi
trascrivono i manoscritti. Talvolta la chiesa adotta dei comportamenti non conformi ai principi evangelici.
Questo fatto dell’XI secolo sviluppa movimenti di protesta popolare contro la simonia (pratica di vendere e
comprare cariche religiose) e contro la corruzione del clero. Questi movimenti di protesta si diffondono in
tutta Europa e danno valore fondamentale al rapporto con Dio. Tra il XII e il XIII secolo questa tensione
spirituale genera abbondante produzione letteraria religiosa, ciò avviene per vari motivi:
 C’è esigenza di un rinnovamento profondo della fede
 Perché il popolo partecipa in modo fervido alla vita religiosa
 Perché crescono in movimenti religiosi, cioè
1. Movimenti evangelici (si rifanno allo spirito e alla lettera dei vangeli)
2. I movimenti pauperistici (si rifanno al modello di vita povera e umile di Cristo e degli
apostoli)

Il trattato “il disprezzo del mondo” (de contemptu mundi), di Giovanni Lotario di Semi, futuro papa
Innocenzo III, testimonia la produzione letteraria religiosa e disprezza i beni terreni e la rinuncia alle
lusinghe del mondo per condurre una vita cristiana. Questo diffuso desiderio di rinnovamento religioso
genera eresie che accusano la corruzione e l’eccessiva ricchezza del clero, ma mettono in discussione i
principi fondanti della teologia cattolica e l’organizzazione della chiesa. Una di queste eresie è quella dei
Catari (deriva dal greco, e significa puro), i quali hanno una visione dualistica dell’esistenza, da un lato c’è il
male (che governa i beni terreni e tutte le creazioni dell’uomo, tra cui la Chiesa) e dall’altro c’è il bene (la
prerogativa di “pochi eletti”). La chiesa dunque reagisce contro questi Catari situati in Provenza,
organizzando la crociata degli Albigesi (la crociata contro i Catari di Albi, in Provenza) tra il 1209 e il 1229,
terminata con l’eccidio di tutti gli abitanti del territorio e con la creazione del tribunale dell’inquisizione
(1233), per condannare gli eretici con l’aiuto delle autorità politiche.

I NUOVI ORDINI MENDICANTI

La chiesa inizia un processo di rinnovamento interno, perché occorre una vita ecclesiastica più sobria, e
perché sente la necessità di disporre di predicatori per diffondere correttamente la dottrina cattolica. Qui
nascono due nuovi ordini religiosi mendicanti:

 Quello domenicano: fondato da Domenico di Guzmàn, e nel 1216 viene riconosciuto da papa
Onorio III. I domenicani sono frati predicatori, hanno l’obbiettivo di eliminare le eresie. Il maggior
teorico domenicano è Tommaso da Acquino
 Quello francescano: fondato da Francesco d’Assisi e nel 1223 viene riconosciuto dal papa Onorio III.
I francescani svolgono le loro attività a contatto con il popolo, seguendo ideali di povertà e umiltà.
Essi per primi avvertono la necessità di usare un linguaggio semplice e adeguato alla cultura del
popolo.

IL MOVIMENTO DEI FLAGELLANTI

Nel XIII secolo, dopo la morte di San Francesco i francescani si dividono in spirituali e conventuali. Gli
spirituali sono influenzati dal pensiero di Gioachino da Fiore, sono fedeli alla regola francescana originaria e
ne conservano il rigore francescano. I conventuali accettano i cambiamenti e le trasformazioni. In questo
secolo, siccome gli ordini dei francescani e dei domenicani non soddisfanno le esigenze spirituali dei fedeli,
nascono nuove eresie. In questo periodo prende forma il pensiero escatologico, riguardo al destino ultimo
del mondo e dell’uomo. Secondo Gioachino di Fiore, o meglio secondo la sua profezia, sta per inizia re un
“nuovo millennio”, con una nuova chiesa, più spirituale nella quale l’umanità potrà vivere nella purezza e
nella libertà. Nel 1260 un certo Ramiero Fasani, un eremita francescano, incuriositi dalla profezia di
Gioachino di Fiore, fonda la “compagnia dei disciplinati di Cristo”, secondo la quale i peccati vanno purificati
con una penitenza corporea. Raniero stesso si flagella in pubblico per mostrare la sofferenza di Cristo sulla
croce, ida suo esempio nasce il movimento popolare die flagellati (detti anche disciplinati o battuti). Sono
gruppi di fedeli riuniti in processioni o in adunanze e si flagellano per penitenza, cantando in volgare le
Laude. Sono diffusi a Perugia, a Assisi e altre città dell’Italia centro-se

ttentrionale, queste prime adunanze compaiono già nel XI secolo con Saint Pierre Damini e sostenute anche
nel 1230 da San Antonio da Padova. I flagellanti sono vestiti di bianco, pregano e si percuotono a sangue
per espiare i peccati, recitano inni liturgici in latino e cantano laude in volgare mentre vanno in processione
(movimento proibito a Milano, Venezia, Cremona, Ancona e nel Regno di Sicilia).

COS’È LA LAUDA

La lauda è il primo tipo di poesia religiosa in volgare. Sono trasmesse dalle confraternite (riunioni di
religiosi) prima oralmente nell’XI secolo, poi siccome il movimento dei flagellati si diffonde, vengono
trascritte e codificate nel XII-XIII secolo. Passando da una confraternita all’altra queste laude subiscono
modificazioni, adattandole alle tradizioni locali. Grazie ai disciplinati la lauda diventa un genere letterario,
prende regole formali e tematiche, ma conserva la funzione di diffondere il messaggio evangelico e di
stimolare a liberarsi dal peccato. ‘uso del volgare nella lauda è dovuto a necessità di comunicazione più che
a motivi stilistici. Il motivo che spiega i perché il volgare prende forma letteraria nell’Itali centrale, in
particolare in Umbria, è il fatto che quell’area geografica è la terra d’origine delle prime comunità
francescane e delle confraternite dei disciplinati. La lauda religiosa è un adattamento della “ballata
profana”, cioè assume la struttura della ballata con contenuti religiosi, per cui la lauda è definita anche
“ballata sacra”.

Le caratteristiche della lauda

La lauda è un componimento poetico popolare, nato in Italia centrale nel 1200, composto per festeggiare
eventi della comunità, con musica, canti e balli. La struttura è caratterizzata da un numero variabile di
stanze, cantate da un solista, alternando un ritornello o ripresa, cantato da un coro dopo ogni strofa. La
ballata popolare ha temi di carattere profano (ad esempio l’amore). Le laude hanno temi religiosi,
richiamano i salmi, invocano Gesù, Maria per allontanare il demonio del peccato; ricordano la passione e la
morte di Gesù ed esaltano l’amore per Gesù Cristo. Come le ballate anche le laude sono costruite secondo
la tecnica del contrasto, il quale consiste nel contrapporre le parole del solista, delle stanze a quelle del
coro del ritornello. L’alternanza della voce del solista e il coro dei fedeli, favorisce il passaggio dalla lauda
lirica a quella drammatica, in cui vengono recitati episodi della Bibbia su un palcoscenico.

SAN FRANCESCO D’ASSISI

Nasce ad Assisi nel 1182 e muore sempre ad Assisi nel 1226. Il suo nome è Giovanni, ma il padre lo chiama
Francesco per ricordare l’origine della moglie nata in Provenza. Francesco ha una giovinezza allegra e
spensierata, viene fatto prigioniero dopo la sconfitta di Assisi, a Ponte San Giovanni nella guerra Assisi
contro Perugia del 1202. Durate la prigionia ha una crisi spirituale, quindi ha una vocazione religiosa e si
converte nel 1206. Dopo la prigionia trascorre del tempo in un eremo in assoluta povertà, rinuncia a ogni
bene materiale, ha molti seguaci, e si dedica a predicare e a curare gli ammalati, fonda anche l’ordine
francescano, la cui regola è approvata dal papa Innocenzo III nel 1210, e in via definitiva da Onorio III nel
1223. Nell’ultimo periodo di vita ha sofferenze, vive esperienze mistiche, tra cui quella delle stigmate, nel
1224, con le ferite sul suo corpo della passione di Gesù.

Il cantico di frate sole

«Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le A te solo, o Altissimo, si addicono e nessun uomo è
laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. degno di menzionarti.
Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène Lodato sii, mio Signore, insieme a tutte le creature,
dignu te mentovare. specialmente per il signor fratello sole, il quale è la
luce del giorno, e tu tramite lui ci dai la luce. E lui è
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature,
bello e raggiante con grande splendore: te, o
spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et
Altissimo, simboleggia.
allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum
grande splendore, de te, Altissimo, porta Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle:
significatione. in cielo le hai create, chiare preziose e belle.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, in Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per
celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. l'aria e per il cielo; per quello nuvoloso e per quello
sereno, per ogni stagione tramite la quale alle
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere
creature dai vita.
et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le
tue creature dài sustentamento. Lodato sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è
molto utile e umile, preziosa e pura.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è
multo utile et humile et pretiosa et casta. Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, attraverso
il quale illumini la notte. Egli è bello, giocondo,
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale
robusto e forte.
ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et
robustoso et forte. Lodato sii mio Signore, per nostra sorella madre
terra, la quale ci dà nutrimento e ci mantiene:
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
produce diversi frutti, con fiori variopinti ed erba.
la quale ne sustenta et governa, et produce diversi
fructi con coloriti flori et herba. Lodato sii mio Signore, per quelli che perdonano in
nome del tuo amore, e sopportano malattie e
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per
sofferenze.
lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che le sopporteranno serenamente,
Beati quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te,
perché dall'Altissimo saranno premiati.
Altissimo, sirano incoronati.
Lodato sii mio Signore per la nostra sorella morte
Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte
corporale, dalla quale nessun essere umano può
corporale, da la quale nullu homo vivente pò
scappare, guai a quelli che moriranno mentre sono
scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata
in peccato mortale.
mortali;
Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno
beati quelli che trovarà ne le tue santissime
rispettando le tue volontà. In questo caso la morte
voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
spirituale non procurerà loro alcun male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate et
Lodate e benedite il mio Signore, ringraziatelo e
serviateli cum grande humilitate»
servitelo con grande umiltà.»
«Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le
lodi, la gloria, l'onore e ogni benedizione.

Francesco prima di morire compone una lauda in volgare umbro “laudes creaturarum”, che ha anche il
nome di “cantico di frate sole”. Questo cantico viene considerato come primo testo artistico della
letteratura italiana, cioè il primo testo letterario della nostra poesia. Questo testo rappresenta la continuità
tra la tradizione cristiana-latina e la nascente cultura volgare, ed è un esempio della profonda spiritualità
dell’epoca (1200) di Francesco, ed è uno strumento di propaganda religiosa rivolta alle masse. In questo
cantico rappresenta l’universo, la vita dell’uomo e della natura in modo sereno, lieto, pacifico e ottimistico,
nel quale c’è armonia tra uomo e natura e nel quale ogni elemento simboleggia la grandezza di Dio
creatore. Questo cantico ha una funzione ideologica:

1. Mostrare l’aspetto sereno della natura, del creato, della morte e del rapporto con Dio
2. Vuole sottolineare che tra la realtà terrestre e il Dio del cielo c’è armonia

Con questo cantico Francesco offre ai francescani e al popolo dei devoti, un testo per cantare le lodi del
signore. Questo cantico era destinato a essere recitato in pubblico, accompagnato da musica, composta
dallo stesso Francesco, però non è rimasta alcuna testimonianza. Egli scrive anche testi in latino, compose
anche delle brevi admonitiones (ammonizioni per i frati) e delle lettere ai fedeli sul tema della povertà,
della carità, dell’umiltà e della penitenza.

Il cantico ha 12 strofe, ognuna che va da 2 a 5 versi, ha una struttura come quella degli inni, simili ai salmi
biblici, recitati durante la liturgia, non ha uno schema metrico. Ha una prosa ritmata, con versetti di varia
misura e in assonanza tra loro.

È scritto in volgare umbro, caratterizzato dalla U per nomi e aggettivi e i verbi che terminano in “-ano”, e
con le sillabe “hanno”. Ha un registro medio, diversa dal latino ma non modellata sul dialetto. Nel testo ci
sono elementi di grafia latina.

Titolatura sequenze

(1-2) Francesco esalta la grandezza e l’Onnipotenza di Dio e attribuisce a Dio ogni lode, gloria, onore e
benedizione.

(3-4) Dio è l’unico essere degno di lode e l’uomo non è degno di nominare Dio.

(5-9) Qui sono lodate le creature di Dio, e nel contempo è lodato Dio stesso. Viene lodato il fratello sole,
che è a luce del giorno, splendore raggiante e manifestazione della luce di Dio.

(10-14) Vengono lodate la luna e le stelle, e il loro creatore, cioè Dio. Viene dunque lodato Dio per aver
creato il fratello vento, l’aria e le nuvole.

(15-19) Viene lodato Dio per aver creato:

1. La sorella acqua, utile, umile, preziosa e pura


2. Il fratello fuoco che illumina la notte

(20-27) Viene lodato Dio per aver creato

3. La sorella e madre terra, che nutre e dà frutti, fiori e erba


4. Coloro che perdonano in virtù dell’amore di Dio
5. Gli ammalati e i sofferenti che sopportano serenamente e saranno incoronati da dio

(29-31) viene lodato Dio per:

6. La nostra sorella morte fisica, dalla quale nessun vivente sfugge e si troverà nei guai se morirà in
peccato mortale; saranno beati coloro che la morte coglie nel rispetto delle leggi cristiane perché la
morte secunda (la morte dell’anima) darà a loro la beatitudine.

(32-33) Francesco invita a lodare, a benedire, a ringraziare e a servire Dio onnipotente


Parole importanti

 Altissimo onnipotente bon= parole principali. Imita il modello dei salmi biblici, i quali usano questi
appellativi per definire il creatore.
 Frate e sora: indicano fratellanza tra tutti gli elementi del creato, sole, luna, vento, acqua. Sora è
perfino la morte del corpo, per ravvicinare l’anima a Dio. Sora e matre son termini che vengono
attribuiti alla terra, la quale è sora perché creata da Dio, come tutti gli altri elementi del creato, e
che è matre, perché fonte di sostentamento per i viventi. Questi termini appartengono al campo
semantico della famiglia.
Troviamo una ricca aggettivazione, ogni elemento del creato è accompagnato da molti aggettivi che lo
rendono maggiormente naturalistico
Temi
 Lode al creatore: nel cantico troviamo il fine laudativo di Francesco, che esalta in modo gioioso gli
elementi della natura, perché manifestano bellezza e bontà, e perché celebrano la grandezza,
l’onnipotenza, l’amore e la volontà creatrice di Dio. Esaltando il creatore Francesco elimina ogni
tentativo di scissione tra il cielo e la terra (come sostenevano molti teologi medioevali). Francesco
evidenzia che Dio non è distante dall’uomo ma è presente in ogni creatura e si manifesta nella
perfezione delle sue opere. La malattia, la sofferenza e la morte, secondo la religiosità di Francesco
devono essere accettate da l’uomo e hanno funzione salvifica, se accettate e sopportate per amore di
Dio.
 L’uomo nel mondo: Francesco nella lode a Dio, dà all’uomo una posizione centrale (antropocentrica),
nell’opera creatrice di Dio. La natura è invece creata come utilità per l’uomo, in quanto dà all’uomo la
possibilità di vivere sulla terra (verso 7).
 Intertestualità: il cantico a livello stilistico, lessicale e semantico si rifà al Vecchio testamento, in questo
cantico intitolato “i tre giovani nella fornace”, contenuto nel libro di Daniele, c’è il motivo della
benedizione al Signore, da parte delle sue creature. La formula “laudate sie”, iniziale di ogni strofa è
riconducibile al salmo 148 dell’Antico testamento. Quindi il cantico è un modello della poesia religiosa,
perché dà inizio all’uso del volgare nelle cerimonie non sacramentali per istruire i fedeli e nei decenni
successivi darà origine alla lauda drammatica.
 Extratestualità: il cantico viene composto nella chiesetta di San Damiano al termine di una notte da lui
trascorsa tra forti dolori agli occhi ed assalti di topi, conclusasi con una visione celeste, la qual gli
avrebbe promesso la beatitudine eterna. i versi sul perdono (dal 23 al 26) sono stati composti nel 1225,
in occasione di un grave dissidio tra il vescovo e il podestà di Assisi che Francesco si è impegnato a
mediare. I versi sulla morte (dal 27 al 31) sono stati composti nel 1226, quasi come segno e
presentimento della sua morte vicina.
(N.b. la ricostruzione delle varie parti del cantico non si sa se sia attendibile, forse è frutto di una
tendenza medioevale di stabilire un legame tra i componimenti e le fasi della biografia dell’autore.)

JACOPONE DA TODI

È forse il poeta più originale, poiché in lui si fondano la religiosità e l’impegno mondano. Nasce a Todi tra il
1230 e il 1240, forse 1236, da una nobile famiglia, esercita la professione di notaio e vive una fervida vita
mondana, fino al momento della morte della moglie, avvenuta per il crollo della sala in cui lei sta ballando
durante una festa. La morte tragica della moglie la scoperta che la moglie indossa un cilicio (strumento di
penitenza corporale), lo spingono nel 1268 alla conversione. Dopo 10 anni di vagabondaggi in abito di
mendicante e di penitenza entra nell’ordine dei francescani, come frate laico nel 1278. Per le sue posizioni
polemiche contro la corruzione della chiesa, nel 1298 il papa Bonifacio VIII lo scomunica, lo fa processare e
imprigionare. Per l’indulgenza di Benedetto XI, nel 1303 riottiene la libertà e la revoca della scomunica.
Muore la notte di Natale del 1306, nel paesino di Collazzane, non lontano da Todi. Come opera abbiamo un
laudario, cioè una serie di laude raccolte dai frati francescani a partire dal XIV secolo in poi. Questo laudario
testimonia il percorso mistico e spirituale del frate, inoltre celebra l’amore per Dio, gli ideali di carità e di
povertà, e critica l’aspetto vano e caduco della realtà mondana.

Donna de paradiso
«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso «O figlio, figlio, figlio,40
Iesù Cristo beato.
figlio, amoroso giglio!
Accurre, donna e vide Figlio, chi dà consiglio
che la gente l’allide;5 al cor me’ angustïato?
credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato» Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?45
«Como essere porria, Figlio, perché t’ascundi
che non fece follia, al petto o’ sì lattato?».
Cristo, la spene mia,10
om l’avesse pigliato?». «Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
«Madonna, ello è traduto, ove la vera luce50
Iuda sì ll’à venduto; déi essere levato».
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».15 «O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
«Soccurri, Madalena, E que ci aponerai,
ionta m’è adosso piena! che no n’à en sé peccato?».55
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato». «Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
«Soccurre, donna, adiuta,20 la gente par che voglia
cà ’l tuo figlio se sputa che sia martirizzato».
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato». «Se i tollit’el vestire,60
lassatelme vedere,
«O Pilato, non fare com’en crudel firire
el figlio meo tormentare,25 tutto l’ò ensanguenato».
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato». «Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;65
«Crucifige, crucifige! con un bollon l’ò fesa,
Omo che se fa rege, tanto lo ’n cci ò ficcato.
secondo la nostra lege30
contradice al senato». L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
«Prego che mm’entennate, e lo dolor s’accende,70
nel meo dolor pensate! ch’è plu multiplicato.
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».35 Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
«Traiàn for li latruni, onne iontur’ aprenno,
che sian soi compagnuni; tutto l’ò sdenodato».75
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!». «Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato? sia to figlio appellato.

Meglio aviriano fatto80 Ioanni, èsto mea mate:


tollila en caritate,
ch’el cor m’avesser tratto, àginne pietate,110
ch’ennella croce è tratto, cà ’l core sì à furato».
stace descilïato!».
«Figlio, l’alma t’è ’scita,
«O mamma, o’ n’èi venuta? figlio de la smarrita,
Mortal me dà’ feruta,85 figlio de la sparita,
cà ’l tuo plagner me stuta figlio attossecato!115
ché ’l veio sì afferato».
Figlio bianco e vermiglio,
«Figlio, ch’eo m’aio anvito, figlio senza simiglio,
figlio, pat’e mmarito! figlio e a ccui m’apiglio?
Figlio, chi tt’à firito?90 Figlio, pur m’ài lassato!
Figlio, chi tt’à spogliato?».
Figlio bianco e biondo,120
«Mamma, perché te lagni? figlio volto iocondo,
Voglio che tu remagni, figlio, perché t’à el mondo,
che serve mei compagni, figlio, cusì sprezzato?
ch’êl mondo aio aquistato».95
Figlio dolc’e piacente,
«Figlio, questo non dire! figlio de la dolente,125
Voglio teco morire, figlio àte la gente
non me voglio partire mala mente trattato.
fin che mo ’n m’esc’el fiato.
Ioanni, figlio novello,
C’una aiàn sepultura,100 morto s’è ’l tuo fratello.
figlio de mamma scura, Ora sento ’l coltello130
trovarse en afrantura che fo profitizzato.
mat’e figlio affocato!».
Che moga figlio e mate
«Mamma col core afflitto, d’una morte afferrate,
entro ’n le man’ te metto105 trovarse abraccecate
de Ioanni, meo eletto; mat’e figlio impiccato!».

Lauda più celebre, e prima lauda drammatica, cioè recitata. Conosciuta anche come “pinto della madonna”,
questa lauda evidenzia la passione e la morte di Gesù (episodio centrale della religiosità cristiana) e li
riporta su un piano umano. Questa lauda è un dialogo a 4 voci:

 Un fedele, Nunzio
 Maria
 Gesù

Divisione in sequenze

(1-75) La voce di un fedele, forse san Giovanni evangelista che racconta le fasi della passione di Gesù, dal
momento della cattura a quello della crocifissione.

(76-111) Contiene il dialogo tra la madre (la Madonna): la madonna desidera morire assieme al figlio Gesù,
il quale la prega di restare viva per assistere i suoi compagni acquistati nel mondo, e la affida a Giovanni, il
suo prediletto.
(112-135) è il monologo con il lamento della madonna per il figlio morto, la madonna si dispera e ammira le
bellezze del figlio, cioè il volto che dà gioia.

Dal punto di vista del significante il testo ha dei versi settenari, con qualche ottonario. La struttura strofica si
rifà a quella zaggialesca, antica ballata arabo-ispanica.

Lo schema nelle stanze è aaax, mentre nelle sale è mmmx.

Attraverso le parole dei dialoganti ricostruiamo le fasi della passione e della morte di Gesù Cristo. Ci sono
una forma narrativa e una sintassi paratattica. La lingua utilizzata è il volgare umbro. I versi hanno un ritmo
rapido e concitato. Il lessico è diretto, talvolta crudo e violento (nella parte della crocifissione).

Il linguaggio coinvolge i fedeli, il campo semantico che prevale è quello del dolore il quale sottolinea il
dolore della Madonna. Ci sono altre espressioni che risaltano la bellezza, altre che esaltano la gioiosa
giovinezza, altri la purezza

Temi principali

 Umanizzazione di Gesù e di Maria : il tema fondamentale è la sofferenza della Madonna e il suo dolore
umano di madre difronte alla crocifissione di suo figlio Gesù. Iacopone fonde nella figura della madonna i
misteri della passione e dell’incarnazione di Gesù.
 Il compianto funebre: avviene nel modo con il quale Maria esprime il proprio dolore quando inizi il
compianto funebre, caratteristica dei rituali ai tempi dell’autore.
 Ipertestualità: crocifissione e morte di Gesù cristo la troviamo raccontata dai quattro evangelisti, ma solo in
quello di Giovanni troviamo Maria ai piedi della croce che si lamenta e dispera per la morte del figlio.
Iacopone nella lauda riprende alcune immagini presenti nella sacra scrittura, sottolineando la disperazione
della Madonna, e dando un valore umano al testo.
IL VOLGARE LETTERALE IN FRANCIA
Le lingue romanze usate all’inizio per comunicare oralmente si sviluppano in Francia, poi in Spagna e in
Italia, dando origine alle letterature romanze o neolatine:

 Quella francese nell’XI secolo


 Quella spagnola nel XII secolo
 Quella italiana nel XIII secolo

La supremazia del provenzale (lingua d’oc) e del francese (lingua d’oil) è dovuta alla maggiore ricchezza e
vitalità della società feudale e borghese, che in Francia raggiunge già nell’XI e XII secolo il massimo del suo
splendore. Questa letteratura in lingua d’oc e in lingua d’oil, hanno a partire dalla seconda metà dell’XI
secolo una funzione egemone-europea, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo unitario della civiltà
europea. Dall’epicentro francese si diffuse la cultura cortese, detta così perché si sviluppava nelle corti dei
signori feudali. Quindi la cultura cortese era espressione dell’aristocrazia feudale. In Italia non ci fu uno
sviluppo economico e politico del sistema feudale come in Francia, Germani, Inghilterra e nella stessa
Spagna del Nord, quindi anche per questo motivo nel nostro paese mancò una grande cultura cortese con
caratteri originari. In Italia la cultura si formò dall’ambiente cittadino, per impulso non delle corti o dei
castelli ma delle istituzioni comunali e dei nuovi ceti borghesi urbani, che formano la nuova classe
dominante, fondendo spessi con i vecchi gruppi feudali.

In Francia le due lingue diedero vita a due letterature parallele, che convissero per due secoli, ciascuno
nella propria autonomia, ma con fitte relazioni reciproche, con intrecci e zone di interscambio. Quella in
lingua d’oil fu prevalentemente di carattere epico, invece quella in lingua d’oc fu soprattutto lirica.

L’IDEALE CAVALLERESCO

La cultura francese nata dall’XI secolo è prevalentemente cavalleresca, in origine i cavalieri erano solo una
corporazione di guerrieri professionali che combattevano a cavallo e si potevano permettere di possederne
uno. Quindi a partire dall’XI secolo si sviluppa un nuovo ceto di cavalieri: sono dei figli cadetti dell’antica
classe nobiliare, non i primogeniti, quindi gli esclusi dall’eredità del feudo, ma vi erano anche individui non
nobili, al servizio dei signori feudali (amministratori, membri della guardia, scudieri), dai quali ricevono in
cambio delle terre. Dopo qualche decennio il rango di cavaliere diventa ereditario, quindi gli appartenenti a
questo ceto, pur avendo una nobiltà minore iniziano a condividere alcuni privilegi dei grandi signori nobili.
Questi cavalieri hanno un’evoluzione sociale ed elaborano l’ideologia della cavalleria, basata su principi,
valori e virtù, che li distinguono dai villani. Arrivano a elaborare un codice di vita preciso, con valori
cavallereschi:

 La prodezza nell’esercizio delle armi


 Il senso dell’onore e la lealtà nel combattimento
 La fedeltà nel servizio al loro signore

Questi valori e virtù sono di tipo esclusivamente militare, ma successivamente vengono ispirati alla
religiosità cristiana, grazie all’intervento della Chiesa. Così il valore dei cavalieri viene posto al servizio dei
deboli, degli oppressi e della vera fede, senza trascurare mai il culto della forza e del valore guerresco.

Quando le corti dei signori di Francia diventano più raffinate e eleganti, dove la vita ha un codice definito, i
cavalieri non dimostrano solo virtù militari, ma anche virtù civili, adatte a tempi di pace

 Liberalità: disprezzo del denaro e dei beni materiali


 la magnaminità: capacità di compiere atti generosi, disinteressati
 la misura: capacità di tenere a freno le proprie passioni
LA CHANSON DE GESTE

Gli ideali cavallereschi sono espressi per la prima volta in Francia nei poemi epici chiamati “chanson de
geste”. Sono poemi epici in versi, interpretati da un cantore con accompagnamento musicale. Quel canzoni
di gesta deriva dal participio passato del verbo latino “gerere”, che significa imprese realizzate. In francese
significa impresa, ma anche cronaca delle imprese.

Queste canzoni di gesta hanno una funzione ideologica, cioè sottolineano e legittimano il potere feudale a
livello sociale. Quindi queste chanson de geste sono lunghi poemi epici in lingua d’oil, cioè nel volgare
parlato nella zona nord della Francia, e sono organizzati in cicli.

Il ciclo più antico e importante è quello di Carlo Magno, dove si narrano le imprese di Carlo Magno e dei
suoi paladini contro i Saraceni, e di questo ciclo fa parte la “chanson de Roland”, il capolavoro del genere.

La chanson de Roland

La canzone ha 4.000 decasillabi, composta nella seconda metà dell’XI secolo, attorno al 1080, ma il
manoscritto più antico che la conserva risale alla metà del XII secolo.

La composizione della canzone risale a un periodo successivo di tre secoli rispetto alle vicende che narra: è
una spedizione di Carlo Magno contro i Saraceni nel 778.

Il testo narra la morte di Orlando, il cavaliere di Carlo Magno, il quale si sacrifica per difendere la fedeltà
feudale verso il suo signore e la fedeltà cristiana verso Dio. Orlando è un modello perfetto di guerriero di
martire cristiano, unendo gli ideali guerrieri e religiosi nel suo sacrificio finale. Il sacrificio di Orando avviene
a Roncisvalle, nelle gole dei Pirenei, dove Orlando e i compagni cadono in un’imboscata, mentre con la
retroguardia (parte finale dell’esercito francese di Carlo Magno), stanno rientrando in patria. Orlando e i
compagni potevano salvarsi, se Orlando avesse suonato il suo magico corno, l’olifante, per richiamare
indietro l’esercito di Carlo Magno, ma egli lo suona solamente solo quando sta per morire, assieme al resto
della retroguardia. Allora Carlo Magno torna indietro, ma trova Orlando e i compagni orai morti, decidendo
così di fare strage tra i nemici.

Orlando nel testo oltre alla fede per il re, troviamo anche quella religiosa, dove si rivolge a Dio, chiedendo
perdono per i peccati commessi, poiché sente la morte vicina, la quale lo coglie serenamente, la sua anima
viene accolta da tutti gli angeli, che lo portano in paradiso.

L’AMOR CORTESE

Nella corte feudale la donna di condizione aristocratica e spesso moglie del signore feudale è centro della
corte. Il culto della donna è l’elemento principale nel sistema cavalleresco, e origina una specifica
concezione dell’amore: l’amor cortese, che caratterizza le opere letterarie del tempo.
Gli elementi che caratterizzano l’amor cortese sono:
1. il culto della donna: essa viene vista dall’amante come un essere sublime, impareggiabile e
irraggiungibile, in ceri casi vista come un essere divino, tale da produrre effetti miracolosi, e quindi
di essere degno di venerazione.
2. L’inferiorità dell’amante rispetto alla donna amata : l’amante è come un umile servitore della donna
amata, le esprime dedizione assoluta, si sottomette e obbedisce alla volontà della donna in modo
totale. Questo tipo di rapporto tra donna e amante viene definito “servizio d’amore”, l’amante
presta il suo omaggio alla donna amata e resta in umile adorazione difronte a lei.
3. L’amore dell’amante è inappagato : nella sua totale devozione, l’amante non chiede nulla alla
donna, in cambio dei servigi che egli le presta. Non si tratta di ammore spirituale, platonico ma è un
amore non corrisposto o di lontano. Infatti talora l’uomo si innamora di una donna senza averla mai
vista, ma solo per fama e la adora da lontano.
4. L’amore impossibile genera sofferenza e tormento interiore : ciò avviene perché lamante non può
raggiungere il suo obbiettivo. Ciò genera anche gioia, perché l’amante prova una forma di ebrezza,
di esaltazione, di pienezza vitale.
5. L’esercizio di devozione alla donna amata ingentilisce l’animo dell’amante, lo nobilita, lo purifica di
ogni viltà e di ogni rozzezza. Amare diventa un esercizio di perfezionamento interiore. L’amore
secondo il principale teorico Andrea Cappellano, l’amore è “fonte e origine di ogni cosa buona”;
L’amore si identifica con la cortesia: solo chi è cortese (chi appartiene ad una corte) può amare
“finamente”, ma a sua volta il “fin amor” rende cortesi. Il termine di cortesie indica gentilezza,
nobiltà e raffinatezza nell’educazione e nei costumi. Indica una predisposizione alla liberalità e alla
generosità.
6. Si tratta di un amore adultero, che si svolge al di fuori del vincolo coniugale : esso è un amore non
lecito, il carattere adultero dell’amore esige il segreto, che tuteli l’onore della donna amata, per
questo motivo il nome della donna amata non viene mai pronunciato dai poeti, dagli amanti, dai
cavalieri. L’amante allude alla donna solamente attraverso uno pseudonimo (in provenzale senhal),
riconoscibile solo dalla donna stessa. Viene fatto per timore malparmieri, coloro che spargevano
dicerie maligne.
7. L’amor cortese essendo una passione esclusiva e totale crea un conflitto tra amore e religione, tra il
culto per la donna e il culto per Dio. L’amante preso da grande interesse per l’amata si allontana da
Dio, per questo motivo la chiesa condanna l’amor cortese, perché fonte di peccato. Nel contempo
l’amante cortese prova un senso di colpa.

Tra la concezione dell’amore cortese e la società feudale esiste un nesso: questo rapporto di subalternità
dell’amante rispetto all’amata è una metafora del vincolo di vassallaggio che stringe il vassallo al suo
signore feudale. Quindi nel linguaggio letterario questo rapporto di subalternità si coglie quando il cavaliere
rivolgendosi alla donna la chiama al maschile (in provenzale midons, cioè mio signore). Gli ideali dell’amor
cortese sono espressi:

 Nord della Francia in forma narrativa, in particolare nel romanzo cavalleresco in lingua d’oil
 Nel sud della Francia in forma lirica, in particolare nella poesia dei trovatori in lingua d’oc, da cui
deriva il romanzo cavalleresco, tipico del ciclo bretone, che ha come materia antica le leggende
bretoni delle popolazioni celtiche della Bretagna, cioè della Francia e dell’Inghilterra. Queste
leggende sono centrate sulla figura del mitico re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda. L’autore
più significativo del genere cavalleresco è Chretienne de Troyes, il quale compone una serie di
romanzi dedicati ai cavalieri della tavola rotonda, tra cui il famoso romando “Lancillotto”, in cui il
cavaliere ama Ginevra, moglie del re Artù.
La lingua d’oc raggruppa diversi volgari della Francia meridionale dei quali il più importante è il provenzale.

LA POESIA LIRICA PROVENZALE

Questa poesia lirica dei trovatori fiorisce nella Francia meridionale e in Provenza a partire dal XII secolo,
nelle corti feudali, ed è espressione della vita di corte. Originariamente la poesia lirica viene cantata in
pubblico con accompagnamento musicale, viene cantata dai trovatori (da trobar, cioè comporre musica), i
quali talvolta eseguono personalmente le loro composizioni, oppure le fanno cantare a cantori
professionisti, chiamati giullari. I poeti provenzali sono grandi nobili e feudatari, come Guglielmo IX
d’Aquitania, ma nella maggior parte sono cavalieri poveri, appartenenti alla piccola nobiltà oppure
dipendenti non nobili del signore feudale. Essi in cambio del loro canto di lode e devozione chiedono amore
o protezione alla moglie del signore feudale. Questi poeti hanno due modi di poetare:
 “Chiuso” e difficile (trobar plus), cioè un poetare chiuso e difficile
 Poetare lieve (trobar leu)
All’inizio le poesie vengono trasmesse oralmente, rivolte alla recitazione con accompagnamento musicale,
ma a partire dal XIII secolo vengono trascritte e raccolte in canzonieri. Queste poesie liriche contengono
delle brevi introduzioni (i razzos) con la spiegazione delle poesie, biografie fantasiose e romanzate o “vite
dei trovatori” (le didas). Il primo poeta provenzale è stato il grande signore provenzale Guglielmo IX duca
d’Aquitania, vissuto tra l’XI e il XII secolo a noi sono giunte 2.542 poesie liriche dei trovatori provenzali dei
quali consociamo il nome, perché hanno firmato le loro composizioni. Invece i romanzi cavallereschi sono
tramandati in forma anonima. La poesia lirica esprime sentimenti, pensieri e stati d’animo dei compositori,
con strutture metriche e strofiche codificate:

 La canzone, caratterizzata da 4/5 strofe più un congedo


 La sestina, strofa di 6 versi in rima
 La pastorella, contrasto amoroso in un incontro d’amore tra un cavaliere e una villana

Il tema centrale della poesia lirica provenzale è l’amore, secondo i principi dell’amor cortese, che è inteso
come asservimento dell’amante all’amata, cioè dedizione assoluta dell’amante al volere dell’amata, inoltre
è inappagato, non soddisfa il desiderio d’amore, ma genera gioia. Oltre all’amore troviamo i temi morali e
politici, trattati in particolari forme strofiche:

 Il sirventese che ha lo stesso schema metrico della canzone


 La tenzone una disputa poetica, dove troviamo un dibattito tra poeti, i quali discutono su un
argomento con vivaci botta e risposta

La poesia lirica ha un grande successo e diffusione, quindi la lingua d’oc acquista dignità letteraria e si
impone come lingua canonica della poesia d’amore, fino agli inizi del XIII secolo, quando c’è il tramonto
della letteratura provenzale, e la lingua d’oc è ridotta a un idioma territoriale. Questo tramonto avviene
quando la crociata del 1208-1209 contro gli albigesi, promossa dal papa Innocenzo III colpì a morte la civiltà
cortese di Provenza, distruggendo i grandi signori feudali del sud della Francia, i cui feudi passarono sotto il
diretto controllo della corona francese. Così dopo questa crociata, il trattato di Parigi del 1229 decretò
l’annessione del sud della Francia e il tramonto della letteratura provenzale, favorendo l’espansione
politica, culturale e linguistica del nord della Francia. Nonostante questi fatti la cultura trobadorica non
sparisce del tutto, perché alcuni trovatori provenzali, scampati al massacro della crociata suddetta, fuggono
e si rifugiano nell’Italia settentrionale, presso le corti nelle città del territorio. In alcune aree linguistiche
italiane vengono recuperati alcuni stili tematici della poesia lirica trobadorica provenzale. Ciò accade alla
corte Federico II in Sicilia di dove nasce nel XIII la scuola siciliana.

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