Sei sulla pagina 1di 6

FORMAZIONE ALLA CASTITÀ E ABUSI.

NON SOLO UNA QUESTIONE DI SESSUALITÀ

CARLA CORBELLA

Vita Consacrata 1 gennaio/marzo 2020 39-49

Negli ultimi anni è sempre più emersa la realtà degli abusi sessuali sui minori ed adulti vulnerabili come
fatto reale, diffuso, molto grave (graviora dice il motu proprio del 2001 di Giovanni Paolo II) sia a livello
etico-spirituale (“colpa morale” e “peccato” come si esprime il Codice di diritto canonico del 1983) sia
giuridico-legale (è un “crimine” come ha detto Benedetto XVI e, dunque, un reato punibile dalle legge
penale civile1). Si esprime con molta forza a questo riguardo anche papa Francesco con il motu proprio del 9
maggio 2019 Voi siete luce del mondo che rappresenta un documento legislativo molto importante in quanto,
pur non adducendo nuovi argomenti, promulga una legge universale, che impone sia obblighi giuridici
tradizionali ma espressi in modo incontrovertibile sia obblighi aggiuntivi 2.
È evidente che la questione degli abusi sia un vulnus molto triste e doloroso per la Chiesa che ha coinvolto e
coinvolge un po’ tutti: da cardinali e fondatori di nuovi movimenti all’ultimo educatore d’oratorio. E i
numerosi rapporti delle autorità civili e religiose hanno fatto emergere una situazione endemica che, finora,
non è stata arginata anche per la mancanza di una strategia generale che tenesse insieme visione ecclesiale,
riordino canonistico, denuncia delle responsabilità e provvedimenti legali 3.
È vero che gli abusi avvengono dappertutto non solo nella Chiesa. La più parte, infatti, accade in famiglia e
nelle squadre sportive. Questo tuttavia non esonera dalla vergogna che siano proprio uomini e donne di
Chiesa a fare anch’essi gesti, ma forse, addirittura ad avere uno stile di questo tipo cioè abusante.
Questa situazione interroga molto a livello di accoglienza di nuovi candidati e della loro formazione.
In concreto non è così facile diagnosticare chiaramente la presenza di fragilità e patologie in questo settore e
neppure è sensato dividere draconianamente i candidati in buoni e cattivi. In realtà la linea non è così netta
perché ogni persona umana, anche se consacrata, è a rischio ambiguità e ambivalenze che, se non sono
affrontate e chiamate col loro nome, possono portare a vite scadenti ed infelici. E siccome nessuno vuole
vivere in modo infelice si rischia di cercare dei surrogati di gratificazioni e briciole di affetti i quali, se non
arrivano subito o necessariamente alla perversione, comunque abbruttiscono e allontanano dalla relazione
con Gesù.
La proposta del presente contributo è di accostarsi alla questione della formazione alla castità in un tempo in
cui la sessualità è così liquida e cangiante da aprire nuovi scenari di cui i cosiddetti “abusi” sono solo una
parte. Per far ciò è necessario partire da una visione ampia che comprenda la prospettiva antropologica,
teologica e spirituale della persona consacrata. Detto diversamente la questione sessualità e castità va
inserita in una comprensione della persona - reale e concreta - che oggi desidera realmente “assomigliare a
Cristo”4.

La personalità dell’abusatore
Molti abusatori, soprattutto pedofili, sono stati a loro volta abusati da piccoli anche se non tutte le persone
abusate diventano a loro volta abusatori. Certamente il trauma che si subisce è indelebile nel corpo e nella
mente e se non viene seriamente rielaborato resterà una ferita che condizionerà anche pesantemente la vita
dell’adulto. Più comunemente, tuttavia, la persona che sviluppa uno stile di abusi sessuali ha iniziato facendo
un uso sempre più frequente di pedopornografia soprattutto attraverso il web. Questa abitudine diviene via
sempre più radicata e compulsiva fino a sfociare, con il tempo, nell’esercizio.
Nel pedofilo il problema centrale è un problema di personalità e identità che si manifesta attraverso il canale
della sessualità. Detto diversamente, il punto focale non è la sessualità distorta ma più facilmente un senso di
inadeguatezza profondo che il soggetto cerca di “curare” mettendo in atto dinamiche di potere e dominio che,

1
La legge n 66 del 15/2/1966 impone che il reato di violenza sessuale non sia più reato contro la moralità pubblica ma
contro la persona.
2
LOMBARDI F., «Ora niente scuse. Sulla concretezza del motu proprio Voi siete luce del mondo» in Il Regno-Attualità
10(2019) 270-272, 270.
3
«Chiesa cattolica. Crisi della pedofilia. È urgente per sé e per tutti» in Il Regno-Attualità 16(2018) 449-450, 449.
4
GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n 5.
1
avendo difficoltà o incapacità ad incanalare nei rapporti tra pari, esprime nel dominio sulle persone più
fragili e deboli. Aspetti, questi, non sempre immediatamente evidenti in fase di formazione.
Anche l’aggressività è un elemento molto presente in queste situazioni di cui però il soggetto che abusa non
ha coscienza e normalmente neppure sente la colpa. Egli è mosso della sua gratificazione ma, a causa della
difficoltà di relazione con i pari, usa un soggetto debole e inferiore considerandolo alla stregua di un oggetto
erotico. Le forze intrapsichiche in atto sono di strumentalizzazione, potere, narcisismo 5. Queste sono presenti
in ogni essere umano ma in questo contesto non solo sono esagerate ma soprattutto si esprimono in modo
distorto e autocentrato.

Cosa significano queste dimensioni intrapsichiche di strumentalizzazione, potere, narcisismo?


Il problema del potere è legato alla padronanza sulla propria vita. Il potenziale abusatore o pedofilo è una
persona che sente di non avere tale padronanza (si sente fragile, non regge lo stress, ha poca resistenza
quando è sotto pressione) per cui la cerca tentando di dominare chi è inferiore. Anche il bisogno di successo
deve essere gratificato senza fatica, senza prove da superare e dunque senza rischio di fallimento. In questa
prospettiva l’uso dei bambini o degli adolescenti facilita di molto il percorso.
È chiaro, allora, che alla base degli abusi ed in particolare della pedofilia si nasconde un problema
narcisistico. Non tutti i narcisisti rischiano di diventare pedofili ma lo stile relazionale e di rapporto con gli
impegni e le diverse circostanze della vita del narcisista possono di fatto favorire uno stile di abusi fino alla
pedofilia6.
Tutto questo avviene in modo molto astuto attraverso la manipolazione, la doppiezza, la non chiarezza.
Queste modalità non insorgono in modo magico nell’azione perversa ma sono modalità che la persona, anche
se non diventa pedofilo, usa già nella sua vita. E l’obbiettivo è apparire credibile senza dovere dimostrare di
essere tale. La dimensione della sessualità, essendo plastica, permette di far uscire tutto questo pur
esprimendo a parole giudizi puritani e mostrando costumi apparentemente integerrimi.
È chiaro, dunque, che il punto della pedofilia non è in modo esclusivo l’atto di abuso sessuale. Questo è
l’apice, tremendo e criminale, di uno stile, di un modo di approcciarsi a se stessi, agli altri non integrato e
guidato da prospettive ben diverse da quelle proposte dal Vangelo.

Prime ricadute concrete per il formatore


Dalla comprensione del fenomeno degli abusi in riferimento alla personalità dell’abusante, consegue che già
nella primissima formazione occorre avere un’attenzione globale alla personalità e allo stile di vita del
candidato/a, alle sue modalità di relazione con i pari e con i superiori, al rapporto con i mezzi informatici,
all’uso del tempo libero e delle cose. Occorre un approccio integrato che sappia cogliere i diversi aspetti e
sfumature della personalità che si presenta complessa. Prima di educare esplicitamente alla castità diventa
fondamentale, dunque, verificare se il candidato abbia le condizioni umane per poterla vivere.
Per fare qualche esempio, si può dire che nella formazione occorre vigilare:
 sulle relazioni affettive/amicali che il candidato instaura o meno con i coetanei cioè la capacità di
connettersi affettivamente ed in modo soddisfacente con gli adulti (normalmente non c’è empatia,
tenerezza, condivisione, vero interesse per l’altro);
 sul come egli si relaziona con la sessualità nel modo di parlare (troppo piccante e a doppio senso,
oppure troppo puritano), nel modo di atteggiarsi, di toccare chi gli sta vicino;
 sul come vive le relazioni con i superiori che, spesso, sono troppo ossequiose ma senza empatia, allo
scopo di apparire ineccepibile;
 sull’uso di internet, chat specialmente con argomenti sessuali, siti pornografici che tendono ad essere
usati in modo sempre più compulsivo.

Come interpretare gli abusi per poter educare alla castità


Per interpretare la questione della formazione alla castità in un tempo di sessualità liquida occorre riuscire a
comporre un’ermeneutica olistica. Punto di partenza è la visione di Chiesa in cui ogni singolo membro, con

5
REDAZIONE, «Pedofili e seminari: un vademecum per il formatore» in Tredimensioni 7(2010) 297-305, 299.
6
Infatti lo stile narcisista proprio per le sue caratteristiche rende più difficile l’internalizzazione vera dei valori
evangelici come richiesto dalla vita sacerdotale e religiosa pur in una comprensione intellettuale molte alta degli stessi.
2
ruolo di spicco o semplice, esercita la sua funzione in un quadro della realtà ecclesiologica che, in ogni
modo, lo definisce ministro del Mistero7.
Se si afferma che la Chiesa è res et sacramentum si dice che il regno di Dio (sacramentum) e l’incarnazione
sociale (res) non sono due cose distinte ma un’unica realtà che vive una tensione res et sacramentum. Ciò
significa che quando la Chiesa si occupa delle cose della terra (funzioni burocratiche, politiche, economiche)
sta comunque realizzando o meno il Regno cioè sta vivendo comunque l’annuncio attraverso la comunione
con il suo Signore.
Dunque la questione pedofilia e abusi in generale non è solo una questione morale o psicologica ma
ecclesiale e teologica. Per questo la formazione deve tenere in conto tutti questi ambiti. I consacrati pedofili e
abusatori pur nel grave peccato e crimine che vivono restano comunque sacerdoti, religiosi, religiose.
Che rapporto c’è tra queste due realtà?
Il fenomeno pedofilia è qualcosa che riguarda solo alcuni – malati – oppure dice in modo drammatico che
anche la vocazione è esposta a rischi? Forse non proprio in modo diretto di pedofilia ma di abusi vari e
derive che con il sacerdozio e la vita consacrata non hanno molto a che fare.
Detto diversamente: queste aberrazioni non posso essere il sintomo eclatante della povertà e delle banalità
interpretative del rapporto con il Signore e di un contesto che favorisce dinamiche in cui le aberrazioni
possono nascere e proliferare?
Sia la lettera di Benedetto XVI ai cattolici dì Irlanda del 2010 sia quella di Francesco a tutto il popolo di Dio
del 2018 pongono la domanda sulle ragioni della pedofilia e, più in generale, sul degrado della Chiesa. Esse
sottolineano da una parte un bisogno di conversione serio e dall’altro una ripresa dell’evangelizzazione
adatta al nuovo contesto. Il punto focale è rimandato alla necessità di approfondire, come Chiesa, la fede.
Non solo nella sua presentazione al mondo ma nel suo contenuto.
Non si tratta di riprendere ciò che è già noto o semplicemente di conoscere meglio i contenuti della fede.
Si tratta piuttosto di scoprire oggi l’evento relazionale con Gesù: “scoprire oggi” e non semplicemente
recuperare o rinnovare quello passato (cf. Luca 4,16: Gesù entrava come di solito nella sinagoga ed invece
succede qualcosa di nuovo, un kairos). Se il centro della religione non si esaurisce in semplici verità
formulate dogmaticamente da conoscere e ricordare ma consiste nella relazione viva con Gesù, allora questa
relazione chiede di progredire e approfondirsi continuamente con una comprensione mai esauribile. Come
ogni relazione umana nel tempo deve crescere in modo graduale ma costante altrimenti si atrofizza ed
esaurisce, allo stesso modo l’autocomunicazione di Dio è di per sè inesauribile e la Chiesa è chiamata a
immergersi sempre e di nuovo in questa relazione per approfondirla e scoprirne la novità contenuta.
In Isaia Dio invita a non ricordare solo le cose di ieri ma piuttosto a scorgere il nuovo germoglio (Cf. Is
43,19). Nel rapporto con il Signore, la relazione di ieri andava bene ieri. Oggi occorre fare un passo oltre
nella qualità di questo rapporto perché se la relazione con Gesù non è oggetto di sviluppo allora è oggetto di
decrescita e morte.
Ciò si impara pian piano attraverso le diverse tappe della formazione che, in questa prospettiva, devono
essere attente non solo ai contenuti ma ai processi. Detto diversamente, il candidato va aiutato non solo a
crescere nel conoscere Gesù ma ad attivare i processi interiori per imparare, di volta in volta, cosa significhi
concretamente essere suo discepolo. È evidente che il punto di partenza è il desiderio profondo ed esclusivo
di essere realmente suo discepolo.

Le coordinate della prospettiva formativa: attenzione alla mediocrità!

Se il problema degli abusi non è circoscrivibile ad un fenomeno in sé ma rimanda ad una comprensione delle
fede ciò significa che quest’ultima deve essere migliorata proprio per il suo carattere processuale e dinamico.
Le domande di partenza si trasformano: come è il rapporto con il Signore? Lo serviamo tanto anche con un
eccesso di zelo a volte ma siamo sicuri di non aver perso il suo volto?
Le risposte scontate e spiritualizzate in questo caso sono dannose.
Qui c’è una questione molto seria che riguarda la vivacità della passione per Gesù a livello di Chiesa e a
livello di singolo.

7
Per questa parte si fa riferimento a MANENTI A., Le ambiguità della formazione vocazionale, in H. ZOLLNER – A.
ADEODATO – A. MANENTI – G. UGOLINI – G. BERNARDINI, Abusi sessuali nella Chiesa? Meglio prevenire, Ancora
2017, 51-62. Vedi anche CIOTTI C. GNANI E., «Educare alla vita affettiva e celibato. Prospettiva dell’educatore e del
seminarista» in Tredimensioni 14(2017), 41-48.
3
Uno stile contrario alla passione e all’entusiasmo è quello comune, e tutto sommato accettato, della
mediocrità8. Da quest’ultima il passo verso il comportamento trasgressivo non è difficile.
La mediocrità appare innocente, sembra non fare male ma semplicemente aiutare a vivere senza troppi
scossoni, facendo il proprio dovere ma in una vita bianco e nero. Si sta sul filo gratificando le inconsistenze e
giustificando il candidato giocando su un’accettazione di lui pericolosa e falsa: è fatto così ma non è
cattivo… In effetti quella singola cosa non è cattiva in sé ma, all’interno della vita di consacrazione a Dio,
siamo sicuri che sia un bene?
Se nel processo educativo ci si adatta ad uno stile che non ha entusiasmo né passione alla lunga, non subito,
il candidato si chiede per chi o per che cosa sta usando il tempo della vita e pian piano i più vulnerabili sono
ormai molto, troppo invischiati in compensazioni negative. Il moralismo qui non serve come neppure serve
demonizzare la società, più promettente è ridefinire nell’oggi la novità della relazione viva col Risorto per la
quale vale la pensa vivere e morire. Credere e vivere le beatitudini di Gesù le quali, proprio perché proposte
e vissute da Gesù, infiammano il cuore e non solo impegnano la mente.

Come formare ai valori


I valori della vocazione chiedono di essere integrati nella personalità 9. E la castità come valore in modo
ancora più forte10.
Se sono proclamati ed obbediti e anche praticati ma restando all’esterno della propria identità e senza averne
compreso nel profondo la loro essenza allora, prima o poi, si raffreddano e non riescono più ad alimentare
l’io. Detto diversamente, i valori che non si intrecciano con l’identità prima o poi presentano il conto: noi
abbiamo lasciato tutto e cosa ci viene in cambio (Cf Mt 19,27)? E siccome non viene in cambio nulla se il
Signore Gesù non è la fonte di tutto, allora si cercheranno altre fonti: internet, gli applausi, la costruzione di
case e il possesso di cose, l’uso delle persone.
In altre parole, se i valori sono il vestito solo esterno allora possono crollare ma non per lasciare il posto a
valori migliori. Infatti se i valori forti cadono sopraggiungono quelli più istintuali e spontanei cioè legati ai
bisogni. È importante ricordare che coltivare i valori superiori chiede sempre anche una decisione morale in
quanto non sono spontanei: se amate i vostri amici che merito avete (Mt 5,43-48)? Eppure amare gli amici è
un bene e viene spontaneo. Al contrario, amare i nemici e far loro del bene non è solo un bene umano ma ha
qualcosa a che vedere con la carità che rimanda alla speranza e alla fede cioè è qualcosa di teologale.
Bisogna decidere di mettersi in questa direzione e vigilare sui mezzi che si usano.
In concreto vigilare sull’uso del tempo a partire dal sonno e dal tempo libero, e la fedeltà alla meditazione, la
modalità di partecipazione ai ritiri, ai momenti comunitari. Infatti a volte si rischia che ci sia sempre qualcosa
per non pregare o per non riposare o per non essere presente ai momenti formativi, o per non avere un
accompagnatore spirituale. In fase formativa è decisivo per l’educatore vegliare sul perché il candidato sta
facendo o non facendo una certa cosa e sul come la fa. Si tratta di educare la persona in formazione ad essere
lui il primo a volere controllare in itinere lo stato interiore dei propri valori poiché questo va di pari passo
con lo stato della sua relazione con il Signore Gesù. E di farlo confrontandosi con persone sagge e mature
non necessariamente amiche.
Si potrebbe obiettare che tutto questo lavoro non è sufficiente per educare le richieste della propria sessualità
che prima di tutto è fisica, istintuale, forza di cui è facile perdere il controllo. È vero. Una parte della
sessualità è cosi e resterà sempre così. È una parte che nella vita del celibe va non solo controllata ma anche
mortificata. E questo è complesso e chiede ferma decisione. Ma il mortificarla non vuol dire liquidarla,
eliminarla definitivamente.
Detto diversamente la forza della libido può essere mortificata ma le sue altre ramificazioni un po’ meno per
cui c’è il rischio di vederla riemergere attraverso una certa acidità, nervosismo, permalosità, arroganza,
egoismi ed invidie, ironie e rancori, pettegolezzi. È importante lavorare molto su questi inconvenienti che la
vita porta a tutti ma che in una esistenza celibataria e casta rischiano di essere molto più marcati. E la
possibilità di regressione è sempre presente a qualunque età.

Educare alla comprensione della castità come dono di sè

8
Cf CENCINI A., «Il sistema chiesa e la mediocrità» in Tredimensioni 14(2017), 159-164.
9
Per questa parte si fa riferimento anche a REDAZIONE, «Preti pedofili» in Tredimensioni 7(2010) 228-237.
10
Cf CORBELLA C., Resistere o andarsene? Teologia e psicologia di fronte alla fedeltà nelle scelte di vita, EDB,
Bologna 2009.
4
Qualcuno ha messo in relazione castità-pedofilia in termini di causa-effetto.
La realtà mostra che non è così in quanto gli abusi avvengono anche e soprattutto in famiglia.
Tuttavia la castità è un aspetto della consacrazione sacerdotale e religiosa non sottovalutabile e non
liquidabile con una sua interpretazione minimale e formale che, cioè, si attesta sul non uso della genialità
piuttosto che sullo stile delle relazioni11.
Detto diversamente, non basta accontentarsi che non ci siano trasgressioni evidenti sia perché quelle
giudicate meno evidenti (come l’autoerotismo, la pornografia in internet) non sono meno gravi sia perché la
castità ha senso come occasione di un amore più grande e non come semplice astinenza imposta e mal
sopportata.
Se si considera la castità solo un mezzo da sopportare per il sacerdozio e la professione religiosa oppure la si
usa come espediente per coprire altre immaturità (la fatica di relazionarsi con le donne e con i pari ma non
solo) allora la castità, pur osservata esternamente, si snatura e si rischia di accondiscendere facilmente a tante
gratificazioni che dovrebbero ricompensare del sacrificio.
È vero che il prezzo della castità è davvero alto: rinunciare alla sessualità genitale, soprattutto per un uomo, è
molto faticoso. È parte della forma che il dono di sé (che è l’antitesi del narcisismo), centrale nella vita di
ogni cristiano, prende per un consacrato.
La domanda centrale allora diventa: come la castità esprime il dono di me?
Questa non è una domanda astratta. Non si tratta del voto di castità in sé ma del mio modo di internalizzare la
la relazione speciale con Dio, della castità per me. Accettare la castità solo perché imposta è rischioso.
E’ importante essere in grado di riconoscere e transvalorare la castità in modo che si possa viverla, pur nella
rinuncia, come un’opportunità affettiva e relazionale. La castità non è riducibile alla possibilità di essere più
libero ma all’amore per la propria gente, alla paternità e maternità profonda verso di loro, all’aver cura, alla
capacità di ricevere, di gestire con lealtà i beni, il coraggio di rischiare per la giustizia 12. Questa è la
dimensione affettiva che, come tutte le dimensioni affettive (es. la mamma verso il figlio, la moglie verso il
marito) non sempre è gratificante.
Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis ai n 43-44 richiamava con forza alle virtù umane e alla
maturità13 affettiva sessuale sottolineando come le motivazioni autenticamente spirituali mostrino la loro
verità nella vita sia in atteggiamenti profondi sia nella qualità delle relazioni. Infatti le motivazioni e gli
atteggiamenti spirituali che testimoniano la centralità di Gesù Cristo come unico rapporto veramente scelto si
manifestano nella qualità delle relazioni. È decisivo saper vivere buone relazioni con tutti, autorità e poveri,
piccoli e grandi ed anche relazioni equilibrate con le cose. Il troppo è sempre espressione di disequilibrio.
C’è una stretta relazione tra qualità della castità e buone relazioni con chiunque 14. Un buon indicatore della
bontà delle relazioni è che siano trasversali, libere e gratuite. Come quelle che viveva Gesù.

Un ultimo passaggio: la credibilità del formatore


La Chiesa oggi ribadisce la necessità di trovare dei canali realmente efficaci per entrare in dialogo
con la cultura attuale dei giovani (Christus vivit n.208) avendo molta cura a non limitare
l’educazione alla castità ad una questione dottrinale o morale perché i giovani non colgono più la
forza di questi argomenti. Piuttosto che avere la preoccupazione di trasmettere una gran quantità di
contenuti dottrinali occorre cercare di suscitare e radicare delle grandi esperienze di fede che siano
in grado di sostenere le scelte significative della vita cristiana (Christus vivit n.212) e della
donazione totale al Cristo in particolare. Solo così la castità ha senso e diviene una reale opportunità
per la propria vita. Ma solo chi testimonia che questo è il senso della sua vita può proporlo anche
agli altri.

11
GUARUNELLI S., «La formazione umana nel seminario. Prospettive e metodo» in Tredimensioni 14(2017) 280-288.
12
PAROLARI E. – MANENTI A., «Disagio dei preti e coscienza ecclesiale: è ora di voltare pagina» in Tredimensioni
(2016), 54-66, 59.
13
Rispetto alla formulazione di una definizione di maturità ed, ancor meglio, di una comprensione della realtà cui
questa parola rimanda si veda: GUARINELLI S., «La formazione del seminarista con orientamento omosessuale. Verso la
maturità relazionale e affettiva» in La Scuola Cattolica 146(2018) 503-533.
14
PAROLARI E., «Aspetti psicopatologici dei delitti canonici. Il caso della pedofilia» in Tredimensioni 10(2013) 154-
165.
5
6

Potrebbero piacerti anche