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CARLA CORBELLA
Negli ultimi anni è sempre più emersa la realtà degli abusi sessuali sui minori ed adulti vulnerabili come
fatto reale, diffuso, molto grave (graviora dice il motu proprio del 2001 di Giovanni Paolo II) sia a livello
etico-spirituale (“colpa morale” e “peccato” come si esprime il Codice di diritto canonico del 1983) sia
giuridico-legale (è un “crimine” come ha detto Benedetto XVI e, dunque, un reato punibile dalle legge
penale civile1). Si esprime con molta forza a questo riguardo anche papa Francesco con il motu proprio del 9
maggio 2019 Voi siete luce del mondo che rappresenta un documento legislativo molto importante in quanto,
pur non adducendo nuovi argomenti, promulga una legge universale, che impone sia obblighi giuridici
tradizionali ma espressi in modo incontrovertibile sia obblighi aggiuntivi 2.
È evidente che la questione degli abusi sia un vulnus molto triste e doloroso per la Chiesa che ha coinvolto e
coinvolge un po’ tutti: da cardinali e fondatori di nuovi movimenti all’ultimo educatore d’oratorio. E i
numerosi rapporti delle autorità civili e religiose hanno fatto emergere una situazione endemica che, finora,
non è stata arginata anche per la mancanza di una strategia generale che tenesse insieme visione ecclesiale,
riordino canonistico, denuncia delle responsabilità e provvedimenti legali 3.
È vero che gli abusi avvengono dappertutto non solo nella Chiesa. La più parte, infatti, accade in famiglia e
nelle squadre sportive. Questo tuttavia non esonera dalla vergogna che siano proprio uomini e donne di
Chiesa a fare anch’essi gesti, ma forse, addirittura ad avere uno stile di questo tipo cioè abusante.
Questa situazione interroga molto a livello di accoglienza di nuovi candidati e della loro formazione.
In concreto non è così facile diagnosticare chiaramente la presenza di fragilità e patologie in questo settore e
neppure è sensato dividere draconianamente i candidati in buoni e cattivi. In realtà la linea non è così netta
perché ogni persona umana, anche se consacrata, è a rischio ambiguità e ambivalenze che, se non sono
affrontate e chiamate col loro nome, possono portare a vite scadenti ed infelici. E siccome nessuno vuole
vivere in modo infelice si rischia di cercare dei surrogati di gratificazioni e briciole di affetti i quali, se non
arrivano subito o necessariamente alla perversione, comunque abbruttiscono e allontanano dalla relazione
con Gesù.
La proposta del presente contributo è di accostarsi alla questione della formazione alla castità in un tempo in
cui la sessualità è così liquida e cangiante da aprire nuovi scenari di cui i cosiddetti “abusi” sono solo una
parte. Per far ciò è necessario partire da una visione ampia che comprenda la prospettiva antropologica,
teologica e spirituale della persona consacrata. Detto diversamente la questione sessualità e castità va
inserita in una comprensione della persona - reale e concreta - che oggi desidera realmente “assomigliare a
Cristo”4.
La personalità dell’abusatore
Molti abusatori, soprattutto pedofili, sono stati a loro volta abusati da piccoli anche se non tutte le persone
abusate diventano a loro volta abusatori. Certamente il trauma che si subisce è indelebile nel corpo e nella
mente e se non viene seriamente rielaborato resterà una ferita che condizionerà anche pesantemente la vita
dell’adulto. Più comunemente, tuttavia, la persona che sviluppa uno stile di abusi sessuali ha iniziato facendo
un uso sempre più frequente di pedopornografia soprattutto attraverso il web. Questa abitudine diviene via
sempre più radicata e compulsiva fino a sfociare, con il tempo, nell’esercizio.
Nel pedofilo il problema centrale è un problema di personalità e identità che si manifesta attraverso il canale
della sessualità. Detto diversamente, il punto focale non è la sessualità distorta ma più facilmente un senso di
inadeguatezza profondo che il soggetto cerca di “curare” mettendo in atto dinamiche di potere e dominio che,
1
La legge n 66 del 15/2/1966 impone che il reato di violenza sessuale non sia più reato contro la moralità pubblica ma
contro la persona.
2
LOMBARDI F., «Ora niente scuse. Sulla concretezza del motu proprio Voi siete luce del mondo» in Il Regno-Attualità
10(2019) 270-272, 270.
3
«Chiesa cattolica. Crisi della pedofilia. È urgente per sé e per tutti» in Il Regno-Attualità 16(2018) 449-450, 449.
4
GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n 5.
1
avendo difficoltà o incapacità ad incanalare nei rapporti tra pari, esprime nel dominio sulle persone più
fragili e deboli. Aspetti, questi, non sempre immediatamente evidenti in fase di formazione.
Anche l’aggressività è un elemento molto presente in queste situazioni di cui però il soggetto che abusa non
ha coscienza e normalmente neppure sente la colpa. Egli è mosso della sua gratificazione ma, a causa della
difficoltà di relazione con i pari, usa un soggetto debole e inferiore considerandolo alla stregua di un oggetto
erotico. Le forze intrapsichiche in atto sono di strumentalizzazione, potere, narcisismo 5. Queste sono presenti
in ogni essere umano ma in questo contesto non solo sono esagerate ma soprattutto si esprimono in modo
distorto e autocentrato.
5
REDAZIONE, «Pedofili e seminari: un vademecum per il formatore» in Tredimensioni 7(2010) 297-305, 299.
6
Infatti lo stile narcisista proprio per le sue caratteristiche rende più difficile l’internalizzazione vera dei valori
evangelici come richiesto dalla vita sacerdotale e religiosa pur in una comprensione intellettuale molte alta degli stessi.
2
ruolo di spicco o semplice, esercita la sua funzione in un quadro della realtà ecclesiologica che, in ogni
modo, lo definisce ministro del Mistero7.
Se si afferma che la Chiesa è res et sacramentum si dice che il regno di Dio (sacramentum) e l’incarnazione
sociale (res) non sono due cose distinte ma un’unica realtà che vive una tensione res et sacramentum. Ciò
significa che quando la Chiesa si occupa delle cose della terra (funzioni burocratiche, politiche, economiche)
sta comunque realizzando o meno il Regno cioè sta vivendo comunque l’annuncio attraverso la comunione
con il suo Signore.
Dunque la questione pedofilia e abusi in generale non è solo una questione morale o psicologica ma
ecclesiale e teologica. Per questo la formazione deve tenere in conto tutti questi ambiti. I consacrati pedofili e
abusatori pur nel grave peccato e crimine che vivono restano comunque sacerdoti, religiosi, religiose.
Che rapporto c’è tra queste due realtà?
Il fenomeno pedofilia è qualcosa che riguarda solo alcuni – malati – oppure dice in modo drammatico che
anche la vocazione è esposta a rischi? Forse non proprio in modo diretto di pedofilia ma di abusi vari e
derive che con il sacerdozio e la vita consacrata non hanno molto a che fare.
Detto diversamente: queste aberrazioni non posso essere il sintomo eclatante della povertà e delle banalità
interpretative del rapporto con il Signore e di un contesto che favorisce dinamiche in cui le aberrazioni
possono nascere e proliferare?
Sia la lettera di Benedetto XVI ai cattolici dì Irlanda del 2010 sia quella di Francesco a tutto il popolo di Dio
del 2018 pongono la domanda sulle ragioni della pedofilia e, più in generale, sul degrado della Chiesa. Esse
sottolineano da una parte un bisogno di conversione serio e dall’altro una ripresa dell’evangelizzazione
adatta al nuovo contesto. Il punto focale è rimandato alla necessità di approfondire, come Chiesa, la fede.
Non solo nella sua presentazione al mondo ma nel suo contenuto.
Non si tratta di riprendere ciò che è già noto o semplicemente di conoscere meglio i contenuti della fede.
Si tratta piuttosto di scoprire oggi l’evento relazionale con Gesù: “scoprire oggi” e non semplicemente
recuperare o rinnovare quello passato (cf. Luca 4,16: Gesù entrava come di solito nella sinagoga ed invece
succede qualcosa di nuovo, un kairos). Se il centro della religione non si esaurisce in semplici verità
formulate dogmaticamente da conoscere e ricordare ma consiste nella relazione viva con Gesù, allora questa
relazione chiede di progredire e approfondirsi continuamente con una comprensione mai esauribile. Come
ogni relazione umana nel tempo deve crescere in modo graduale ma costante altrimenti si atrofizza ed
esaurisce, allo stesso modo l’autocomunicazione di Dio è di per sè inesauribile e la Chiesa è chiamata a
immergersi sempre e di nuovo in questa relazione per approfondirla e scoprirne la novità contenuta.
In Isaia Dio invita a non ricordare solo le cose di ieri ma piuttosto a scorgere il nuovo germoglio (Cf. Is
43,19). Nel rapporto con il Signore, la relazione di ieri andava bene ieri. Oggi occorre fare un passo oltre
nella qualità di questo rapporto perché se la relazione con Gesù non è oggetto di sviluppo allora è oggetto di
decrescita e morte.
Ciò si impara pian piano attraverso le diverse tappe della formazione che, in questa prospettiva, devono
essere attente non solo ai contenuti ma ai processi. Detto diversamente, il candidato va aiutato non solo a
crescere nel conoscere Gesù ma ad attivare i processi interiori per imparare, di volta in volta, cosa significhi
concretamente essere suo discepolo. È evidente che il punto di partenza è il desiderio profondo ed esclusivo
di essere realmente suo discepolo.
Se il problema degli abusi non è circoscrivibile ad un fenomeno in sé ma rimanda ad una comprensione delle
fede ciò significa che quest’ultima deve essere migliorata proprio per il suo carattere processuale e dinamico.
Le domande di partenza si trasformano: come è il rapporto con il Signore? Lo serviamo tanto anche con un
eccesso di zelo a volte ma siamo sicuri di non aver perso il suo volto?
Le risposte scontate e spiritualizzate in questo caso sono dannose.
Qui c’è una questione molto seria che riguarda la vivacità della passione per Gesù a livello di Chiesa e a
livello di singolo.
7
Per questa parte si fa riferimento a MANENTI A., Le ambiguità della formazione vocazionale, in H. ZOLLNER – A.
ADEODATO – A. MANENTI – G. UGOLINI – G. BERNARDINI, Abusi sessuali nella Chiesa? Meglio prevenire, Ancora
2017, 51-62. Vedi anche CIOTTI C. GNANI E., «Educare alla vita affettiva e celibato. Prospettiva dell’educatore e del
seminarista» in Tredimensioni 14(2017), 41-48.
3
Uno stile contrario alla passione e all’entusiasmo è quello comune, e tutto sommato accettato, della
mediocrità8. Da quest’ultima il passo verso il comportamento trasgressivo non è difficile.
La mediocrità appare innocente, sembra non fare male ma semplicemente aiutare a vivere senza troppi
scossoni, facendo il proprio dovere ma in una vita bianco e nero. Si sta sul filo gratificando le inconsistenze e
giustificando il candidato giocando su un’accettazione di lui pericolosa e falsa: è fatto così ma non è
cattivo… In effetti quella singola cosa non è cattiva in sé ma, all’interno della vita di consacrazione a Dio,
siamo sicuri che sia un bene?
Se nel processo educativo ci si adatta ad uno stile che non ha entusiasmo né passione alla lunga, non subito,
il candidato si chiede per chi o per che cosa sta usando il tempo della vita e pian piano i più vulnerabili sono
ormai molto, troppo invischiati in compensazioni negative. Il moralismo qui non serve come neppure serve
demonizzare la società, più promettente è ridefinire nell’oggi la novità della relazione viva col Risorto per la
quale vale la pensa vivere e morire. Credere e vivere le beatitudini di Gesù le quali, proprio perché proposte
e vissute da Gesù, infiammano il cuore e non solo impegnano la mente.
8
Cf CENCINI A., «Il sistema chiesa e la mediocrità» in Tredimensioni 14(2017), 159-164.
9
Per questa parte si fa riferimento anche a REDAZIONE, «Preti pedofili» in Tredimensioni 7(2010) 228-237.
10
Cf CORBELLA C., Resistere o andarsene? Teologia e psicologia di fronte alla fedeltà nelle scelte di vita, EDB,
Bologna 2009.
4
Qualcuno ha messo in relazione castità-pedofilia in termini di causa-effetto.
La realtà mostra che non è così in quanto gli abusi avvengono anche e soprattutto in famiglia.
Tuttavia la castità è un aspetto della consacrazione sacerdotale e religiosa non sottovalutabile e non
liquidabile con una sua interpretazione minimale e formale che, cioè, si attesta sul non uso della genialità
piuttosto che sullo stile delle relazioni11.
Detto diversamente, non basta accontentarsi che non ci siano trasgressioni evidenti sia perché quelle
giudicate meno evidenti (come l’autoerotismo, la pornografia in internet) non sono meno gravi sia perché la
castità ha senso come occasione di un amore più grande e non come semplice astinenza imposta e mal
sopportata.
Se si considera la castità solo un mezzo da sopportare per il sacerdozio e la professione religiosa oppure la si
usa come espediente per coprire altre immaturità (la fatica di relazionarsi con le donne e con i pari ma non
solo) allora la castità, pur osservata esternamente, si snatura e si rischia di accondiscendere facilmente a tante
gratificazioni che dovrebbero ricompensare del sacrificio.
È vero che il prezzo della castità è davvero alto: rinunciare alla sessualità genitale, soprattutto per un uomo, è
molto faticoso. È parte della forma che il dono di sé (che è l’antitesi del narcisismo), centrale nella vita di
ogni cristiano, prende per un consacrato.
La domanda centrale allora diventa: come la castità esprime il dono di me?
Questa non è una domanda astratta. Non si tratta del voto di castità in sé ma del mio modo di internalizzare la
la relazione speciale con Dio, della castità per me. Accettare la castità solo perché imposta è rischioso.
E’ importante essere in grado di riconoscere e transvalorare la castità in modo che si possa viverla, pur nella
rinuncia, come un’opportunità affettiva e relazionale. La castità non è riducibile alla possibilità di essere più
libero ma all’amore per la propria gente, alla paternità e maternità profonda verso di loro, all’aver cura, alla
capacità di ricevere, di gestire con lealtà i beni, il coraggio di rischiare per la giustizia 12. Questa è la
dimensione affettiva che, come tutte le dimensioni affettive (es. la mamma verso il figlio, la moglie verso il
marito) non sempre è gratificante.
Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis ai n 43-44 richiamava con forza alle virtù umane e alla
maturità13 affettiva sessuale sottolineando come le motivazioni autenticamente spirituali mostrino la loro
verità nella vita sia in atteggiamenti profondi sia nella qualità delle relazioni. Infatti le motivazioni e gli
atteggiamenti spirituali che testimoniano la centralità di Gesù Cristo come unico rapporto veramente scelto si
manifestano nella qualità delle relazioni. È decisivo saper vivere buone relazioni con tutti, autorità e poveri,
piccoli e grandi ed anche relazioni equilibrate con le cose. Il troppo è sempre espressione di disequilibrio.
C’è una stretta relazione tra qualità della castità e buone relazioni con chiunque 14. Un buon indicatore della
bontà delle relazioni è che siano trasversali, libere e gratuite. Come quelle che viveva Gesù.
11
GUARUNELLI S., «La formazione umana nel seminario. Prospettive e metodo» in Tredimensioni 14(2017) 280-288.
12
PAROLARI E. – MANENTI A., «Disagio dei preti e coscienza ecclesiale: è ora di voltare pagina» in Tredimensioni
(2016), 54-66, 59.
13
Rispetto alla formulazione di una definizione di maturità ed, ancor meglio, di una comprensione della realtà cui
questa parola rimanda si veda: GUARINELLI S., «La formazione del seminarista con orientamento omosessuale. Verso la
maturità relazionale e affettiva» in La Scuola Cattolica 146(2018) 503-533.
14
PAROLARI E., «Aspetti psicopatologici dei delitti canonici. Il caso della pedofilia» in Tredimensioni 10(2013) 154-
165.
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