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l testo si propone di esaminare

I in modo sintetico, ma organi-


co, le questioni più importan-
ti emergenti in ambito teologico
morale sulla sessualità umana, il
matrimonio e la famiglia. La con-
sapevolezza della relatività del-
le forme concrete che assume
l'esperienza morale nei diversi
contesti storico-culturali sugge-
risce di sottolineare gli elemen-
ti specifici che caratterizzano la
comprensione cristiana del feno-
meno sessuale nella sua relazio-
ne con la persona e con la sua
nativa capacità di amare.
Ai giorni nostri stiamo assi-
stendo al passaggio da una vi-
sione della sessualità in cui ave-
vano rilievo prevalente la natu-
ra, gli atti della procreazione, i
ruoli sessuali funzionali alla sta-
bilità sociale, a una visione cen-
trata sulla persona, sulla perva-
sività della dimensione sessuale,
sui vissuti e i significati, sui valori
relazionali e intersoggettivi della
sessualità e, in ultima analisi, sul
rapporto fra amore e sessualità.

Segue in IV di copertina
MAURIZIO PIETRO FAGGIONI
Sessualità matrimonio famiglia
Maurizio Pietro Faggioni

Sessualità
matrimonio
famiglia
Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze

@
2010 Centro editoriale dehoniano
via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
www.dehoniane.it
EDB®

ISBN 978-88-10-50550-2

Stampa: Italiaftpolitografia, Ferrara 2010


miei genitori
INTRODUZIONE

Il testo che presentiamo si propone di esaminare in modo sintetico ma


organico le questioni più importanti emergenti in ambito teologico morale
sulla sessualità umana, il matrimonio e la famiglia. Sotto la spinta delle pro-
spettive aperte dalle scienze umane e biomediche, in campo secolare, e dalle
scienze bibliche, patristiche, dogmatiche e pastorali, in campo teologico, que-
sto ambito della morale ha subito negli ultimi cinquantanni una grande meta-
morfosi. Basta sfogliare e confrontare le pagine dei manuali preconciliari di
morale e quelle delle trattazioni uscite dopo il Concilio per rendersi conto di
un clima nuovo e di un ampliamento degli orizzonti con un'accentuazione
delle dimensioni antropologiche, bibliche e pastorali della riflessione. La con-
sapevolezza della relatività delle forme concrete che assume l'esperienza
morale nei diversi contesti storico-culturali ci ha reso attenti a sottolineare gli
elementi specifici e costanti che caratterizzano la comprensione cristiana del
fenomeno sessuale nella sua relazione con la persona e con la sua nativa capa-
cità di amare.
Nella prima sezione del volume, dedicata agli aspetti storico-fondativi,
esamineremo le forme che ha assunto il paradigma teologico di antropologia e
di etica sessuale nel contesto delle diverse realtà culturali in cui il popolo di
Dio si è trovato a vivere, e lo svolgimento della complessa vicenda storica di
questo paradigma nel Vecchio Testamento, nel Nuovo Testamento e nella tra-
dizione, fino a oggi.
Nel Vecchio Testamento emerge lentamente, sotto la guida della peda-
gogia divina e dell'esperienza dell'alleanza, una visione della sessualità e del
matrimonio che, pur muovendosi all'interno dei condizionamenti socio-cultu-
rali, veniva illuminata dall'intuizione che la sessualità è una realtà personale
intimamente connessa con la vocazione alla comunione radicata nella persona
8 INTRODUZIONE

umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. La trascendenza assoluta di


Dio impediva di comprendere la categoria di immagine come evocatrice di
qualunque dualità sessuale in Dio e imponeva un'esplicita demitizzazione
della sessualità umana, ma permise - allo stesso tempo - una lettura originale
della sessualità in prospettiva simbolica. La comunione di vita tra gli sposi
rimanda alla pienezza di vita di Dio e la fecondità, strettamente legata all'e-
sercizio della sessualità matrimoniale, è considerata il segno della partecipa-
zione umana alla stessa potenza creatrice di Dio. Nella letteratura profetica la
reciprocità dell'alleanza fra Dio e Israele divenne la matrice interpretativa per
comprendere il senso della sessualità: la dualità sessuale attesta l'apertura del-
l'essere umano alla relazione e al dono di se.
Se i primi capitoli di Genesi, di genere squisitamente sapienziale, danno
un'espressione narrativa alla personalizzazione della sessualità in quanto rive-
lazione della verità intima dell'essere umano e della sua vocazione alla vita e
all'amore.
Il duplice processo di simbolizzazione e di personalizzazione della ses-
sualità prosegue nel Nuovo Testamento toccando il vertice con la dottrina pao-
lina del mysterion che instaura un parallelo fra la relazione coniugale e l'al-
leanza fra Cristo e la Chiesa. L'enfasi è tutta sul rapporto d'amore e di reci-
proco servizio, nella più perfetta logica evangelica, mentre la dualità dei sessi
viene ricondotta alla possibilità dell'uomo e della donna di essere «una carne»
impegnandosi, cioè, in una comunione totalizzante e perenne. In questo conte-
sto ideale le regole sessuali, che già nell'Antico Testamento erano comprese
come segno della chiamata a partecipare alla vita di Dio, il Santo che dice
«Siate santi, come io sono Santo» (Lv 11,45; 19,2), sono percepite come un invi-
to esigente alla purezza autentica, quella del cuore e delle intenzioni, inclusa la
fedeltà all'amore coniugale, e come fedeltà alla logica interna dell'amore e
della comunione.
La tradizione teologica ha tematizzato queste intuizioni fondamentali e
costanti attraverso un processo di autocomprensione che è avvenuto median-
te l'impiego di codici linguistici molto eterogenei operanti in diversi tempi e
culture. Non è possibile separare in modo netto un contenuto in sé invariabile
dai suoi cangianti moduli espressivi, ma è possibile - a nostro avviso - indica-
re alcune costanti o linee di tendenza proprie dell 'ethos cristiano. L'elemento
più costante, nel mutare degli accenti e delle prospettive, emerge dalla Scrittu-
ra stessa ed è, in sostanza, il nesso tra la sessualità e il mistero della persona
umana: la sessualità è una dimensione costitutiva e strutturante della persona
e rivela il suo significato più autentico solo nella relazione con l'altro e, in
modo particolare, nella relazione coniugale. La dualità sessuale diventa così
cifra della possibilità della persona di autotrascendersi verso l'alterità, in una
9 INTRODUZIONE

continua definizione del proprio sé in una relazione con un altro-da-sé che si


compie nella vita del figlio, come attuazione di sé e come altro-da-sé da parte
del noi coniugale.
Per molti secoli tutto questo è stato espresso utilizzando un modello pre-
valentemente naturalista in consonanza con l'antropologia sessuale antica.
L'accento era posto sulla naturalità della sessualità e sull'ordinamento della
sessualità alla procreazione, ma - e questa è la novità cristiana - sempre nel
contesto della relazione coniugale. La declinazione tradizionale del modello di
antropologia ed etica sessuale cristiana trovò una prima sistemazione in
sant'Agostino in cui opera un'antropologia sessuale con note di pessimismo,
influenzata dallo stoicismo e dal neoplatonismo, legatoa alla dottrina della tra-
smissione del peccato di origine per via di generazione e alla nozione di con-
cupiscenza carnale. Lo stesso Agostino, d'altra parte, tematizzò la persuasione
cristiana sul valore del matrimonio, attraverso la fortunata categoria dei bona
matrimonii, ed elaborò una luminosa dottrina sulla bontà del matrimonio con-
siderato nella prospettiva dell'orde* amoris. In san Tommaso d'Aquino l'arti-
colazione delle due dimensioni coessenziali della sessualità umana, quella del-
l'apertura relazionale e quella della fecondità, pervenne a una sistemazione
definitiva attraverso la geniale dottrina dei fini del matrimonio, mentre l'as-
sunzione della visione antropologica ed etica di Aristotele apportava note di
maggior ottimismo, soprattutto riguardo alla bontà dell'atto sessuale e del pia-
cere che vi è annesso. Nel periodo che va dalla fine del XVI secolo sino al XIX
secolo, il modello tradizionale si irrigidì in forme legalistiche e giuridiche, con
l'accento sul tema dei doveri matrimoniali e dell'osservanza delle norme, a sca-
pito dei valori personali della sessualità, dell'amore coniugale e delle dinami-
che della relazione coniugale. La nascita della scienza sessuale ottocentesca,
con le sue grandi conquiste in campo medico e psicologico, codificò con esat-
tezza i confini della sessualità normale e patologica, attraverso una sofisticata
tassonomia delle diverse personalità sessuali, e portò a compimento il proces-
so del controllo biopolitico della vita sessuale dei cittadini, iniziato almeno dal
XVI secolo. Parallelamente, in campo teologico, la neoscolastica si sforzava di
fondare tutta l'antropologia e l'etica sessuale sulla categoria di natura umana.
I limiti di questa impostazione erano fondamentalmente due: prima di tutto
Vintellettualismo insito in una comprensione della ragione astratta e disincar-
nata, più vicina al cogito cartesiano che alla recta ratio della Scolastica; in
secondo luogo una visione della natura umana tendente al biologismo, con il
rischio di ribaltare senza mediazioni l'ordine fenomenico nell'ordine morale.
Oggi, dopo un sofferto processo di ripensamento della tradizione teolo-
gica e in seguito a un rinnovato dialogo con alcune delle voci più suggestive
della cultura contemporanea, ha preso consistenza una declinazione spiccata-
10 INTRODUZIONE

mente personalista dell'antropologia e dell'etica sessuale. Nella realtà il dialo-


go della teologia con il mondo moderno si è rivelato arduo e il timore di poter
tradire le linee irrinunciabili della tradizione o - meno nobilmente - di mette-
re in crisi uno status quo socioculturale, al quale si era per vari motivi affezio-
nati, ha fatto talvolta prevalere la conservazione sulle spinte di apertura e rin-
novamento. Le stesse importantissime e rivoluzionarie acquisizioni della cul-
tura contemporanea sulla sessualità furono dapprima guardate con una certa
diffidenza. Esse, infatti, si presentavano per lo più inquadrate in sistemi di pen-
siero viziati di materialismo e di riduzionismo scientista e mettevano in discus-
sione tutto un edificio dottrinale che, sanzionato dalla tradizione e dal magi-
stero, era ritenuto pressoché perfetto in ogni sua parte.
Dopo un delicato dibattito intraecclesiale, il magistero contemporaneo, a
partire dal Vaticano II, ha verificato, con autorevole discernimento, l'intima
consonanza fra le attitudini antropologiche costanti della teologia cristiana e
alcuni spunti di novità, impliciti o espliciti, presenti in nuove prospettive svi-
luppatesi nell'ambito del pensiero moderno e tese a sottolineare la qualità per-
sonale e relazionale della sessualità umana. Pensiamo, a questo proposito, al
tema dell'amore nei suoi molteplici significati e dimensioni, posto al centro
dell'etica coniugale in Gaudium et spes e in Humanae vitae, o a quello della
dignità della sessualità e del matrimonio come momento di comunione inter-
personale che ispira la dottrina sul matrimonio di Familiaris consortio; pensia-
mo alla teologia del corpo e del corpo sessuato così cara a papa Giovanni
Paolo II nei suoi insegnamenti o al ruolo cardine che la corporeità assume, nel-
l'inverarsi storico della legge naturale, secondo Veritatis splendor.
Ai nostri giorni stiamo, pertanto, assistendo alla transizione da una visio-
ne della sessualità in cui avevano rilievo prevalente la natura, gli atti sessuali i
ruoli sessuali funzionali alla stabilità sociale, a una visione centrata sulla per-
sona, sulla pervasività della dimensione sessuale, sui vissuti e i significati, sui
valori relazionali e intersoggettivi della sessualità sull'apertura alla vita del
figlio e, in ultima analisi, sul rapporto fra amore e sessualità. La nostra idea è
che il nuovo modello personalista si collochi lungo una linea di continuità idea-
le con il modello tradizionale; ma che, allo stesso tempo, esso permetta di
tematizzare meglio l'intuizione etica fondamentale.
La Comunità cristiana, attraverso un processo di continua riappropria-
zione della verità, percepisce il legame tra esercizio della sessualità, amore
coniugale e fecondità come la sostanza normativa irrinunciabile e l'espressio-
ne comportamentale delle proprie persuasioni sul significato antropologico
della sessualità. L'esercizio integrale della sessualità deve, pertanto, essere
sempre connesso con quella istituzione che, nelle diverse culture, esprime la
realtà coniugale e l'atto sessuale è stato considerato un atto moralmente cor-
11 INTRODUZIONE

retto solo all'interno di questo contesto matrimoniale. La tradizione teologica


ha oggettivato e tematizzato l'esperienza morale collettiva nel linguaggio pro-
prio e con le motivazioni culturali e linguistiche tipiche dei vari tempi. Lo ha
fatto difendendosi contro ogni tentazione anomista e contro ogni pretesa di
vedere la sessualità separata dalla condivisione coniugale dell'esistenza; lo ha
fatto resistendo a ogni pretesa delle culture particolari di imporre modelli
diversi di vita sessuale che separassero il rapporto sessuale dalla comunione
totale di vita tra l'uomo e la donna, in una parola che separassero l'esercizio
della sessualità dal contesto dell'amore coniugale. In ultima analisi, le norme
morali hanno lo scopo di conservare nella bellezza e nell'autenticità il singola-
re incontro di persone che si attua nel segno della sessualità.
Nella seconda sezione del testo, divisa in due parti, abbiamo approfondi-
to alcune questioni etico-pastorali alla luce della comprensione della sessualità,
del matrimonio, così com'è annunciata e vissuta dalla Chiesa oggi.
Vedremo la famiglia cristiana immersa nel contesto socioculturale odier-
no, minacciata dal relativismo, dall'edonismo, dall'instabilità, assumere un
ruolo profetico e impegnarsi in un ridisegno che le permetta di rispondere
sempre meglio alla sua vocazione di essere comunità di vita e d'amore. I gran-
di mutamenti che caratterizzano il nostro tempo, tanto nei paesi occidentali,
quanto nei paesi emergenti o in via di sviluppo, nel contesto di problematiche
tendenzialmente globali, hanno messo in discussione gli stili procreativi delle
famiglie e hanno chiesto alla teologia di mettersi in ascolto del vissuto delle
coppie cristiane non di rado in difficoltà quando si tratta di comporre concre-
tamente il valore della generatività con altri valori basilari, come la salute o
l'armonia coniugale. Le attuali difficoltà e il disorientamento, interni ed ester-
ni alla coppia, si traducono nel moltiplicarsi di convivenze irregolari, nel dila-
gare della pratica del divorzio, nell'imporsi della consuetudine della conviven-
za prematrimoniale, situazioni che chiedono di essere comprese e affrontate
con un'analisi attenta e verità misericordiosa.
Uno spazio piuttosto ampio sarà dato, infine, a una serie di questioni ete-
rogenee che possono essere, tuttavia, accomunate sotto il titolo di disordini ses-
suali. L'espressione ha una valenza esplicitamente etica e vuole indicare tutta
una serie di atteggiamenti e comportamenti che si trovano in più o meno mar-
cata distonia rispetto all'esercizio autentico della sessualità e, in generale,
rispetto al modello cristiano di antropologia ed etica sessuale. Nel nostro stu-
dio vedremo il diffuso e variamente motivato comportamento masturbatorio,
passeremo poi all'universo inafferrabile e polimorfo dell'omosessualità, al
fenomeno inquietante e dilagante della pedofilia per giungere alle terre di con-
fine costituite dai disordini dello sviluppo sessuale e dal transessualismo nei
quali l'armonia personale tipica della sessualità normalmente definita lascia
12 INTRODUZIONE

posto all'ambiguità dello sviluppo corporeo o alla drammatica opposizione fra


le dimensioni psichiche e quelle fisiche della sessualità. Anche muovendosi
nell'ambito dei disordini, abbiamo tenuto sempre presente il modello di ses-
sualità ideale che emerge dalla rivelazione e dalla tradizione come logos o
verità dell'uomo in quanto creatura sessuata, ma abbiamo anche cercato di
comprendere in se stessi, non solo in relazione con un ideale astratto, il senso
di vissuti e comportamenti sessuali non sintonici con questo modello.
Nella prospettiva teleologica e vocazionale tipica dell'antropologia cri-
stiana, ogni essere umano tende, a partire dalla sua situazione concreta, a rea-
lizzare i valori di questo ideale attraverso un'interiore tensione alla pienezza
che conosce fatiche, ostacoli e gradualità di percorso, che è impegno di ciascu-
no, ma che è anche ricerca comune di autenticità.
L'ideale cristiano di vita buona è affidato alle nostre forze e al nostro
impegno e, con l'aiuto della grazia, esso viene attuato secondo ritmi di cammi-
no che, nella fondamentale fedeltà a un modello condiviso, sono propri di cia-
scuna persona e di ciascuna coppia. La virtù evangelica della castità consiste
proprio in un'attitudine a vivere la fedeltà al proprio amore nei desideri, nei
progetti, nei comportamenti. Compito della teologia morale è anche quello di
indicare mete e di suggerire percorsi di autenticità, senza temere di affrontare
le contraddizioni e le fragilità che il cuore umano sempre sperimenta.

Il testo che presentiamo è frutto dell'esperienza della scuola e del con-


tatto diretto con i problemi quotidiani della gente e - come è normale in que-
sti casi - ha contratto molti debiti con numerosi studiosi e ricercatori.1
Un ringraziamento del tutto speciale va a mons. Basilio Petrà, mio anti-
co professore di morale sessuale nella Facoltà di Teologia fiorentina, che mi ha
concesso di usufruire liberamente del suo ricco materiale didattico in gran
parte inedito.

p . M A U R I Z I O P. F A G G I O N I

Roma 31 maggio 2010

1
Negli ultimi anni sono uscite in italiano molte opere di diversa sensibilità e di ottima qualità
che offrono un quadro sintetico della materia. Segnaliamo come referenze di base: L. CICCONE, Etica
sessuale. Persona, matrimonio, vita verginale, Milano 2004; G. DIANIN, Matrimonio, sessualità, fecon-
dità. Corso di morale familiare, Padova 2008; R. FRATTALLONE, Sessualità umana. Modelli antropologi-
ci e problematiche morali, Messina 2008; J. NORIEGA, Il destino dell'eros. Prospettive di morale sessua-
le, Bologna 2006; L. PADOVESE, Uomo e donna a immagine di Dio. Lineamenti di morale sessuale e
familiare, Padova 2008; C. ZUCCARO, Morale sessuale. Nuovo manuale di teologia morale, Bologna
1997.
SEZIONE PRIMA

QUESTIONI
STORICO-FONDATIVE
La sessualità è una realtà complessa e articolata che attraversa tutta la
condizione umana e non può essere ridotta alle strutture e alle funzioni geni-
tali, anche se la genitalità costituisce un'espressione significativa della sessua-
lità. La persona, nella sua interezza, è sessuata: a livello biologico, a livello psi-
cologico, a livello relazionale. Dal momento che la persona si autocomprende
attraverso l'esperienza fondamentale e irriducibile della corporeità che è una
corporeità sessuata, la persona non può comprendere compiutamente se stes-
sa prescindendo dalle connotazioni sessuali del suo esistere. Questa autocom-
prensione è un processo altamente soggettivo che non si compie, tuttavia, in un
vuoto assoluto, fuori da uno spazio e da un tempo, ma sempre in precisi con-
testi storici e culturali, all'interno di un'interpretazione generale del mondo
umano e attraverso i codici linguistici e simbolici propri di un dato gruppo e di
un dato tempo. L'autocomprensione del proprio esistere in quanto creatura
sessuata si configura, così, come un processo di mediazione e di unificazione
compiuto dal soggetto fra molteplici elementi di diversa provenienza, naturali
e culturali, fisici e psichici, consci e inconsci, necessitati e liberi.
Il vissuto della sessualità, passando attraverso un processo di mediazio-
ne, ne riflette e ne subisce le vicende, le difficoltà, i fallimenti, derivandone
un'inevitabile componente di relatività. Le regole che le diverse società
hanno elaborato per dare ordine all'esercizio della sessualità sono diverse e
riflettono sensibilità difficilmente riducibili a norme universalmente condivi-
se. Il legame naturale fra sessualità e generazione rappresenta un'evidenza
antropologica che le diverse culture hanno valorizzato e normato, data l'im-
portanza della generazione per la vita sociale e individuale, ma il tratto tipico
dell'intuizione morale originaria sulla sessualità umana prima di qualsiasi
specificazione normativa è il legame fra l'esercizio della sessualità e una rela-
zione interpersonale tendenzialmente stabile fra uomo e donna che possiamo
definire coniugale:
16 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

La comprensione cristiana della sessualità, partendo da queste intuizioni


morali universali, si apre a orizzonti di ancora maggiore vastità perché il cri-
stiano sa che, incontrando il Signore Gesù, ha fatto una singolare esperienza di
vita e ha trovato una verità che illumina l'uomo e lo conduce al suo compi-
mento autentico. Il soggetto credente si autocomprende, quindi, attraverso e in
rapporto con la cultura del suo spazio storico e questo attribuisce alla forma
concreta del suo comprendere un'inevitabile nota di relatività, ma nello stesso
tempo l'autocoscienza della propria umanità viene illuminata dal suo incontro
con il Dio di Gesù Cristo nella Chiesa e questo conferisce alla sua autocom-
prensione una nota di certezza.
La scelta incondizionata per il Vangelo, suscitata e sostenuta dallo Spirito
del Signore, plasma Vethos del popolo di Dio, cioè il suo peculiare carattere
morale. Come la fede dei cristiani si oggettiva in parole, gesti, simboli, così il suo
ethos si esprime attraverso le strategie decisionali e i modi operativi che il popo-
lo di Dio ha messo in atto per incarnare e testimoniare nella vita quotidiana la
sua vocazione.1 Le norme morali, in questa prospettiva, sono come il cristalliz-
zarsi in linee guida generali delle strategie operative elaborate dal popolo di
Dio per realizzare e sempre ridefinire, nel tempo e nello svolgersi dell'esisten-
za, la propria fisionomia morale. Se le norme morali possono essere intese come
il coagularsi di valutazioni e scelte operative prodotte da una certa comunità
umana per realizzare la propria concezione di vita buona, allora - come scrive
K. Demmer - «la validità di una norma dipende dalla sua capacità di trasporre
adeguatamente una determinata intelligenza di valori morali compresi, che arti-
colano il bene morale, nella corrispondente realizzazione di beni».2
La teologia morale, in particolare, è quella parte della teologia che stu-
dia come l'esperienza di fede ha plasmato Vethos del popolo cristiano e come
questo popolo, mosso dall'interiore sensus fidei e sotto la guida dei suoi Pasto-
ri, ha risposto alle sfide della storia testimoniando il Regno che viene attra-
verso stili di vita coerenti con il Vangelo. La teologia riflette sulle modalità -
sempre storicamente condizionate - con cui il popolo cristiano si è autocom-
preso e verifica la coerenza con l'ideale evangelico delle progettualità, delle

1
La parola ethos rimanda a due termini greci diversi, ma correlati: éthos che significa «costu-
me», «modo di vivere», ed ethos che significa «dimora» e indica il carattere morale di un soggetto e di
un gruppo, tradotti entrambi in latino con mos, da cui «morale». La ricchezza semantica del termine
ethos rimanda alla nozione di «tradizione» così com'è intesa da Maclntyre, e M. Foucault, in un arti-
colo del 1984, lo rende con «attitude», definendolo «un modo di pensare e di sentire; un modo, anche,
di agire e comportarsi che, allo stesso tempo, produce una relazione di appartenenza e si presenta come
un compito» (M. FOUCAULT, «Qu'est-ce que les Lumières?», in ID., Dits et Ecrits, 1954-1988, par D.
DEFERT - F. EWALD, 4 voll., Paris 1994, IV, 575); cf. J.P. WILS - D. MIETH (edd.), I concetti fondamenta-
li dell'etica cristiana, Brescia 1994,86-88.
2
Cf. K. DEMMER, Interpretare e agire. Fondamenti della morale cristiana, Cinisello Balsamo
1989,58.
17 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

scelte e delle strategie operative. Compito della teologia è anche avvertire cri-
ticamente che l'uso di uno strumento linguistico non è mai neutrale, ma esso
in qualche misura condiziona l'intelligenza della verità così che lo strumento
linguistico, se da una parte permette alla verità di incarnarsi, d'altra parte vela
la verità con la mondana relatività e mutabilità.
In tale contesto epistemologico si colloca la persuasione di molti morali-
sti che nel secolo XX si sia avuta una trasformazione del modello etico catto-
lico, passando da una prospettiva naturalistica, centrata sulla procreazione, a
quella personalistica, centrata sull'amore. La mia opinione - che cercherò di
argomentare nel testo - è che esiste una continuità reale nell'ethos cristiano,
anche se stiamo assistendo a un superamento del modello antropologico tra-
dizionale a vantaggio di un nuovo modello antropologico, generalmente detto
personalista.
Il nucleo etico permanente costituisce lo specifico dell'autocoscienza
etica cristiana nell'ambito della sessualità da quando il Signore Gesù ricon-
dusse la sessualità umana al principio genesiaco: il Redentore ristabilì l'inten-
zione originaria del progetto divino sull'uomo e sulla donna (la una caro) e
gettò una luce di verità sulla sessualità umana. Esiste un rapporto originario
fra la sessualità con la sua apertura alla vita e l'apertura della persona alla
comunione. La creatura umana, creata a immagine del Dio amore, è capace di
un'autodonazione intenzionalmente così piena che fa di due realtà umane
diverse una nuova realtà coniugale la quale, a sua volta, è capace di autotra-
scendersi in una donazione intenzionalmente piena e potenzialmente feconda.
Esiste un legame intimo fra sessualità, comunione interpersonale e fecondità:
è un legame misterioso fra la sessualità e la vita che rimanda, ultimamente, al
misterioso legame di Cristo e della Chiesa. Da questa intuizione etica origina-
ria sono derivate le norme a protezione della verità della sessualità, le norme
morali, pensate ed elaborate dalla comunità cristiana attraverso diverse
mediazioni linguistico-culturali. La radice permanente di valore delle norme
non si trova, quindi, nella loro forma storica, ma nel loro rapporto con l'espe-
rienza della verità morale. Talvolta si sono usati a sostegno delle norme argo-
menti molto contingenti, rivelatisi successivamente fragili e inaccettabili. Il
venir meno di alcune argomentazioni non significa affatto la caduta del valo-
re, giacché il fondamento primo del valore sta nell'esperienza cristiana della
salvezza in Cristo. Egli, liberando il cuore dell'uomo dalla durezza, ha rinno-
vato in ciascuno le sorgenti stesse dell'amore.
In questa prima sezione del testo, definita storico-fondativa, ripercorre-
remo, perciò, alcuni itinerari della storia del popolo di Dio, antico e nuovo, per
comprendere come sia emerso a poco a poco, attraverso la tortuosa genealo-
gia delle idee e lo svolgersi a volte contraddittorio delle narrazioni, quel logos
18 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

della sessualità che il Creatore aveva voluto fin dal principio e che rappresen-
ta il paradigma di autenticità della sessualità umana.
1
SESSUALITÀ E MATRIMONIO
NELLA SCRITTURA

In questo primo capitolo tracceremo alcune linee molto schematiche


riguardo ai fondamenti biblici dell'etica sessuale.1 La questione della forza nor-
mativa di alcuni precetti in materia sessuale, anche in rapporto con i modelli
antropologici presupposti, è molto dibattuta, per la difficoltà di distinguere il
contingente, legato al contesto socio-culturale degli agiografi, dal permanente,
riflesso dell'esperienza di fede verità salutare ispirata da Dio. Non solo il per-
manente si intreccia con il contingente, ma la storicità della Rivelazione fa sì
che il permanente sia esperito e compreso progressivamente secondo leggi di
gradualità che portano dall'Antico al Nuovo.
Vedremo svolgersi due movimenti: la demitizzazione della sessualità e
del matrimonio e la loro simbolizzazione. La sessualità e il matrimonio sono
realtà mondane, ma riflettono il mistero stesso di Dio che si rivela compiuta-
mente in Cristo. Questo porterà il popolo di Dio a leggere la sessualità e il
matrimonio attraverso le categorie teologiche di alleanza e di amore e a ela-
borare norme che orientino i credenti a costruire, attraverso il linguaggio della
sessualità, relazioni interpersonali nella luce di quella dedizione e fedeltà che
Dio stesso ha mostrato con il suo popolo.2

1
Si vedano: M. ALIOTTA, Il matrimonio, Brescia 2002,9-66; P. CAPELLI (ed.), Eros e Bibbia, Bre-
scia 2003; P. DEBERGÉ, Amore e sessualità nella Bibbia, Cinisello Balsamo 2002; S. GUETTA SADUN - A.
MANNUCCI, I tuoi seni son grappoli d'uva. La sessualità nella Bibbia, Pisa 1998; A. MATTIOLI, Le realtà
sessuali nella Bibbia. Storia e dottrina, Casale Monferrato 1987; R. VIRGILI, Le stanze dell'amore.
Amore, coppia, matrimonio nella Bibbia, Assisi 2008. Tranne indicazione contraria, le citazioni della
Scrittura in questo capitolo e nei successivi sono fatte secondo la nuova versione CEI 2008.
2
Sull'uso dei simboli sponsali nella Scrittura: L. ALONSO SCHÖKEL, I nomi dell'amore. Simboli
matrimoniali nella Bibbia, Casale Monferrato 1997.
20 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

1 • COSTUMI SESSUALI E MATRIMONIALI DI ISRAELE

La ricerca sul messaggio biblico intorno a sessualità e matrimonio parte,


naturalmente, dal Vecchio Testamento che ci trasmette l'esperienza del Dio del-
l'alleanza e della santità. Nell'accostarci a questi testi paradigmatici per la fede,
non dobbiamo tuttavia dimenticare che il popolo ebraico, pur essendo stato
raggiunto da una particolare vocazione di Dio, restò immerso nella storia, con-
dividendo con altri popoli atteggiamenti mentali, modelli normativi, strutture
organizzative intorno alle realtà sessuali, al matrimonio e alla famiglia.3
La schematicità della nostra presentazione ci impedisce di seguire l'evo-
luzione dei costumi sessuali e matrimoniali in Israele nei diversi periodi della
sua storia, ma si intuisce che il passaggio dalla vita nomadica a quella sedenta-
ria e cittadina non restò senza conseguenze.

1.1. Il patriarcato e la condizione della donna


Un primo elemento di continuità con molti popoli coevi è il carattere
patriarcale della famiglia e della società: la casa è la casa del padre, le genea-
logie sono patrilineari, la famiglia ha un carattere esteso comprendendo tutti
coloro che, consanguinei e non, vivono nella casa paterna sotto l'autorità del
capofamiglia. Dal carattere patriarcale della famiglia ebraica deriva il fatto che
il matrimonio fosse essenzialmente un patto tra due gruppi familiari. Di per sé
il matrimonio ebraico non era l'istituzione dell'amore coniugale, fondata sul-
l'incontro anche sentimentale di due persone, ma l'accordo tra due gruppi
familiari attraverso la decisione dei padri.
Non mancano dati che testimoniano la posizione di prestigio di alcune
donne,4 tuttavia, nel contesto della famiglia patriarcale, la donna occupava un
ruolo subalterno e veniva tenuta in scarsa considerazione: l'attitudine misogi-
na della mentalità ebraica si riflette in molti testi scritturistici, specialmente del
genere sapienziale (ad esempio Sir 25,12-26).

3
G. CROCETTI, La famiglia secondo la Bibbia. I fondamenti biblici della vita familiare, Milano
1983; E. DE LA SERNA, «La famìlia en la Biblia», in Revista Biblica 57(1995), 93-119; A. TOSATO, Il
matrimonio nel giudaismo antico e nel Nuovo Testamento, Roma 1976; ID., Il matrimonio israelitico.
Una teoria generale, Roma 1982; R. DE VAUX, Le Istituzioni dell'Antico Testamento, Torino 1964,27-70.
4
Per esempio Maria, sorella di Mosè e di Aronne (Es 15,20-21), Debora, annoverata fra i giu-
dici (Gdc 4,4), la profetessa Culda (2Re 22,14) e le eroine nazionali Giuditta ed Ester protagoniste
degli omonimi libri; cf. S. ACKERMAN, Warrior, Dancer, Seductress, Queen: Women in Judges and Bibli-
cal Israel, New York 1998.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 21

Un altro aspetto che accomuna Israele con i paesi limitrofi sono la forma
poligamica del matrimonio e l'istituzionalizzazione del concubinato, conse-
guenze dirette della supremazia maschile. In età patriarcale la poligamia era
piuttosto moderata: Giacobbe aveva due mogli principali (Gen 29,21-30) ed
Esaù tre (Gen 26,34; 28,9). Molto diffusa era la monogamia relativa: alla
moglie principale venivano associate una o talvolta più concubine o mogli
secondarie, secondo un uso normale in Mesopotamia attestato anche nel Codi-
ce di Hammurabi (§§ 144-146.163): questa era la situazione matrimoniale di
Abramo che, accanto a Sara, moglie principale, aveva Agar come moglie
secondaria (Gen 6,1-3), e di Giacobbe che genera i suoi dodici figli da due
mogli principali, Lia e Rachele, e da due mogli secondarie, Zilpa e Bila (Gen
29,15-30).
Poligamia e concubinato si ampliarono progressivamente fino a raggiun-
gere l'acme al tempo dei giudici e dei re: la Bibbia ci ha tramandato la figura
di Davide circondato da mogli e concubine (2Sam 3,2-5.15; 11,2-27; 15,16) e di
Salomone che, a imitazione dei grandi monarchi del tempo, possedeva un
harem di 700 mogli e 300 concubine (IRe 11,3).
I motivi alla base della diffusione della poligamia sono da ricercarsi nella
struttura economica e sociale dell'antico Israele: molte mogli significavano
molti più figli e quindi maggiori risorse umane per i lavori agricoli e la pasto-
rizia, maggiore forza verso l'esterno, maggiore garanzia per il futuro della
famiglia. Avere molte mogli significava avere rapporti con un maggior nume-
ro di gruppi familiari ed era inoltre ritenuto un indice di benessere economico
e di prestigio sociale.
La pratica della poligamia incontrò in seguito crescenti opposizioni,
soprattutto in ambiente profetico.5 Dopo il ritorno dall'esilio babilonese la
poligamia declinò rapidamente: oltre ai motivi ideali e alla maturazione della
consapevolezza nei riguardi del matrimonio e della dignità della donna, con-
tribuì non poco alla sua scomparsa la disastrosa situazione economica del post-
esilio che non permetteva certo alla popolazione di avvalersi di un istituto
oggettivamente costoso come quello poligamico. Ai tempi di Gesù la poliga-
mia non era più accettata dal costume: ne è prova Erode il Grande che, aven-
do diverse mogli, era costretto a giustificarsi dalle accuse richiamandosi all'e-
sempio dei patriarchi.
II ruolo subordinato della donna si rifletteva anche nel modo di conside-
rare l'adulterio. L'adulterio è percepito come un delitto contro la giustizia o, per

5
La nuova mentalità si riflette in diversi testi che tramandano la storia patriarcale: Gen 2,21-
24 (uomo e donna diventano una caro); Gen 4,19 (la poligamia è introdotta da Lamech, il violento
discendente di Caino), Gen 7,3-7 (gli animali entrano nell'arca due a due).
22 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

meglio dire, contro il diritto del marito (o fidanzato o tutore) al quale la donna
appartiene. Non si configura invece tale delitto se si tratta di una donna libera
da vincoli matrimoniali o priva di tutela, proprio perché lei non appartiene a nes-
suno e quindi non si fa torto a nessuno nell'avere un rapporto sessuale con lei.

1.2. Il ripudio
Un altro elemento che accomuna Israele alle culture limitrofe è l'istitu-
to del ripudio. La parola "ripudio" è più corretta di divorzio, perché in Israele
questo diritto era riconosciuto soltanto al marito nei confronti della moglie e,
anche in questo caso, vediamo come la legislazione ebraica fosse largamente
sbilanciata a favore dell'uomo.
L'uso del ripudio è supposto dalla legislazione mosaica (Lv 21,7.14;
22,13; Nm 30,10) e viene regolato dal codice deuteronomico (Dt 22,13-19.28-
29 e soprattutto 24,1-4). Contrariamente alle apparenze, l'intenzione del legi-
slatore era di mettere un limite all'arbitrio del marito e di tutelare i diritti della
donna ripudiata attraverso l'obbligo del libello di ripudio, una dichiarazione
del marito che rendeva alla moglie la sua libertà e la possibilità di risposarsi. Si
legge in Dt 24,1:

Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avvie-
ne che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche
cosa di vergognoso ['erwat dabar], scriva per lei un libello di ripudio e glielo con-
segni in mano e la mandi via di casa.

L'uomo può, dunque, ripudiare la moglie se trova in essa 'erwat dabar,


«qualcosa di vergognoso» (letteralmente «la nudità di una cosa»). Data la
genericità dell'indicazione circa la causa che legittima il ripudio, è facile imma-
ginare che ne venissero date interpretazioni e applicazioni diverse, più o meno
restrittive.
Benché la donna non avesse il diritto di ripudiare il marito, poteva però
fare richiesta del libello di ripudio in alcune circostanze (ad esempio, se il mari-
to si ammalava, se esercitava un mestiere disonorevole, se scompariva, se
abbandonava la fede israelitica). Non mancarono voci di condanna del ripudio.
Su tutte si eleva quella del profeta Malachia che ritiene il ripudio un compor-
tamento iniquo e detestato da Dio (MI 2,14-16).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 23

1.3. Il valore della procreazione


Un tratto comune della mentalità antica è la valutazione molto positiva
della fecondità: «La funzione del matrimonio è quella di consentire all'uomo di
conseguire una propria discendenza legittima».6 In Israele una grande discen-
denza è considerata una benedizione di Dio, soprattutto se si tratta di figli
maschi che perpetuano il nome del padre: basti pensare alla promessa fatta ad
Abramo (Gen 13,14-17) o all'ideale familiare descritto nel Sai 127.
Accanto al significato sociale della procreazione, garanzia di continuità
ed espansione del gruppo e immissione di braccia da lavoro nelle strutture pro-
duttive agricole, pastorali e artigianali, Israele collegava la procreazione con la
continuità della benedizione. Non essendosi ancora sviluppata la fede nell'im-
mortalità dell'anima, la trasmissione della benedizione ai figli era l'unica
garanzia della propria continuità.
La legge tutelava la continuità della discendenza maschile anche attra-
verso alcuni peculiari istituti come quello del levirato (in ebraico yibbum). In
base alla legge del levirato (dal latino levir, «cognato»), il fratello di un uomo
sposato e morto senza figli doveva prenderne il posto accanto alla vedova per
dare al fratello una discendenza. Il primogenito avrebbe preso infatti il patro-
nimico del defunto e avrebbe avuto tutti i diritti connessi con la primogeni-
tura. 7
All'opposto, la mancanza di figli era ritenuta un grande disonore e una
disgrazia.8 La sterilità era attribuita alla donna. Una donna esisteva per fare
figli ed essere tramite della benedizione di Dio: una donna senza figli si senti-
va, perciò, un inutile ramo secco.

1.4. Culto e sessualità


Come in altre culture antiche, anche in Israele esistevano molti tabù con-
nessi con attività e fenomeni sessuali: la perdita di seme nell'uomo (polluzio-
ne sia volontaria sia involontaria), la mestruazione, il rapporto coniugale, il
parto. Questi eventi rendevano inidonei a celebrare il culto.9

6
TOSATO, Il matrimonio israelitico. Una teoria generale, 216.
7
Cf. Dt 25,6-10.
8
Cf. il dolore per la sterilità di Rachele in Gen 30,1 e di Anna madre di Samuele in ISam 1,28,
o il pianto della figlia di Iefte in Gdc 11,37-38 che piange non per il morire, ma per il morire vergine e,
quindi, senza figli.
9
S.P. TARJA, Menstruation and childbirth in the Bible. Fertility and impurity, New York-London
2005.
24 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

Non è facile per noi comprendere i motivi di queste prescrizioni conte-


nute principalmente nel Levitico e sviluppate nella tradizione giudaica.10 Alla
base di alcuni di questi tabù possono esserci state motivazioni igienico-sanita-
rie11 o la connessione di certe realtà naturali e comportamenti sessuali con i
culti idolatrici. Un'interpretazione seducente è che queste leggi di purità riflet-
tano il senso di rispetto timoroso con cui Israele ha sempre circondato il miste-
ro della vita e quindi gli atti e i fenomeni che sono legati alla vita e alla sua tra-
smissione. La vita umana è sacra perché è creata da Dio e appartiene a Dio:12
chi ha toccato le sorgenti della vita deve purificarsi, così come il pio israelita,
dopo aver scritto o letto il sacro testo e soprattutto il sacro tetragramma, puri-
ficava le mani e gli occhi.
In linea con queste incompatibilità fra fatti sessuali e culto, è l'assenza
di elementi sessuali nel culto. Presso i popoli pagani, mediante i riti di fecon-
dità, l'uomo celebrava e riviveva, nello spazio del culto, l'azione divina origi-
naria e cosmogonica, traendone forza e vigore per la propria fecondità e per
quella degli animali e della terra. Questi riti prevedevano spesso le celebra-
zioni ierogamiche, unione del re o del sacerdote con una sacerdotessa, o l'u-
nione sessuale degli uomini con ierodule o prostitute sacre o anche con pro-
stituti sacri, ieroduli di solito evirati, o anche unioni con animali e altri atti di
natura sessuale.
L'assoluta trascendenza di YHWH e la conseguente negazione di ogni
caratterizzazione sessuale in Dio portano Israele a rifiutare con decisione la
presenza di elementi sessuali nel culto. Scompaiono i riti ierogamici e vengono
puniti gravemente dalla Legge la prostituzione sacra sia maschile sia femmini-
le, l'omosessualità e la bestialità (Es 22,18; Lv 18,23; Dt 23,18; 27,21), compor-
tamenti identificati con l'idolatria. In particolare, nel libro del Levitico, nel-
l'ambito del cosiddetto codice di santità, si proibisce l'omosessualità, qualifi-
cando i rapporti fra maschi come to'ebah, abominio: «Non ti coricherai con un
uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole» (Lv 18,22). L'atto omo-
sessuale maschile viene punito con la morte: «Se uno ha rapporti con un uomo
come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno

10
II codice di purità del Levitico comprende i cc. 11-15, cui corrisponde la sezione Tohorot
(Purità) del Talmud. In particolare: Lv 12 (parto e puerperio) e Lv 15 (flussi sessuali maschili e fem-
minili, fisiologici e patologici); cf. M. ADAM (ed.), Souillure et Purété, Toulouse 1972; E. CORTESE (ed.),
La Sacra Bibbia. Levitico, Casale Monferrato 1982,151-159; E.S. GERSTENBERGER, Teologia nell'Anti-
co Testamento. Pluralità e sincretismo della fede veterotestamentaria, Brescia 2002,268-269.
11
Per esempio la segregazione della puerpera potrebbe essere motivata da una giusta cautela
di fronte a un periodo così delicato e pericoloso per la salute della madre e del figlio, vista la situazio-
ne sanitaria del tempo.
12
Cf. M. ADINOLFI - P. GERACI, Bibbia e ginecologia a confronto, Casale Monferrato 1989, 81:
«Anche l'Antico Testamento conosce dei tabù, concernenti tra l'altro la vita sessuale e la fecondità,
funzioni misteriose che permettono alla creatura umana di partecipare alla potenza creatrice di Dio».
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 25

essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro» (Lv 20,13). Il termine
ebraico to'ebah definisce ciò che è esecrabile. Esso è usato per indicare quei
peccati che implicano contaminazioni pagane e spesso compare nell'espressio-
ne to'ebah ha-goyim, «l'impurità dei gentili» (cf. 2Re 16,3). Talvolta to'ebah
indica l'idolo stesso. Nella mentalità ebraica, il disordine sessuale fa sempre
tutt'uno con l'infedeltà a Dio.13
La rimozione della sessualità dalla sfera del culto in nome della trascen-
denza dell'unico Dio ha un aspetto fondamentalmente positivo perché sottoli-
nea che la sessualità è una realtà creata da Dio e che, in quanto tale, è buona,
ma legata alla dimensione mondana e profana dell'esistenza. Secondo E. Schil-
lebeeckx, «la fede in YHWH ha desacralizzato o secolarizzato il matrimonio,
strappandolo da un piano puramente religioso per riportarlo sul suo piano
umano e profano».14
D'altra parte il sistema dei tabù rituali legati al sesso e la rimozione dal
culto di ogni riferimento alla sessualità introducono una sorta di inconciliabilità
fra sesso e culto. Questa diffidenza si perpetuerà ben oltre l'Antico Testamento.15

2- L A SESSUALITÀ IDEALE NELL'ANTICO TESTAMENTO

Pur presentando molti elementi in comune con le culture coeve, Israele,


nella luce della fede jahvista e dell'alleanza, sviluppò una comprensione origi-
nale del senso della sessualità e del matrimonio che non restò senza effetti
anche dal punto di vista delle strutture normative e istituzionali. Si tratta di
una conquista lenta e progressiva della quale studieremo, dai testi genesiaci e
profetici sino agli ultimi sapienziali, i momenti salienti. «Nell'ottica dell'Anti-
co Testamento», sintetizza opportunamente Zuccaro, «la comprensione auten-
tica della sessualità avviene soltanto dentro un quadro di riferimento inter-

13
Parlando dell'omosessualità nella seconda parte del corso, approfondiremo i testi e ne discu-
teremo il valore. L'accostamento dell'omosessualità all'idolatria si perpetua nell'idea - tuttora presen-
te nell'inconscio cattolico - che l'atto omosessuale sia una colpa non solo sessuale, ma anche, in qual-
che modo, sacrilega.
14
E. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, Cinisello Balsamo
4
1986,39-40.
15
Nonostante gli insegnamenti di Gesù sulla vera purezza, per secoli nel costume cristiano si per-
petuò la convinzione che non fosse conveniente per la donna accedere agli spazi sacri della chiesa o che
fosse più rispettoso astenersi dagli atti coniugali prima di fare la comunione. L'influsso di queste leggi
cultuali è evidente in Paolo: J.C. POIRIER - J. FRANKOVICH, «Celibacy and Charism in 1 Cor. 7:5-7», in
Harvard Theological Review 89(1996), 1-18. Secondo altri le leggi di purità non influirono sul costume
cristiano: J. MAIER, «La Torah di purità nel Levitico e la sua trattazione nella letteratura giudaica del
periodo del Secondo tempio e dei primi secoli cristiani», in Annali di storia dell'esegesi 13(1996), 39-66.
26 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

personale, tra uomo e donna, dentro una legge di amore, che salvaguarda il
sesso da una considerazione puramente istintuale».16
Un rilievo particolare rivestono i racconti di creazione in Genesi. Quan-
do il Signore fu interrogato dai farisei intorno al divorzio, egli, fondando la sua
risposta sulla parola di Dio, si riportò al principio, al progetto originario del
Creatore sull'uomo e sulla donna. Anche noi dobbiamo sempre tornare a quel
principio che illumina il mistero umano della sessualità e del matrimonio, «dob-
biamo collocarci», come ci avverte Mulieris dignitatem, «nel contesto di quel
principio biblico, in cui la verità rivelata sull'uomo come "immagine e somi-
glianza" di Dio costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana».17

2.1. La creazione dell'uomo e della donna in Gen 2


Esistono, com'è noto, due racconti della creazione dell'uomo e della
donna: uno, più recente (VI secolo a.C.), si trova in Gen 1 ed è rappresentati-
vo della tradizione sacerdotale; l'altro, più antico (X secolo a.C.), è contenuto
in Gen 2 e viene fatto risalire alla tradizione jahvista, così chiamata per l'uso
di indicare Dio con il tetragramma sacro e impronunciabile YHWH, Jahweh.18
Incominciamo il nostro studio dalla narrazione che fa riferimento alla
tradizione jahvista, cercando di mettere in evidenza alcuni aspetti più signifi-
cativi ai nostri scopi. Si tratta di una profonda riflessione sul significato della
sessualità e sulla misteriosa forza di attrazione fra l'uomo e la donna espressa
in forma narrativa con linguaggio immaginifico e potentemente evocativo. L'a-
giografo, dopo aver descritto la creazione di Adamo dalla polvere della terra
(Gen 2,7) e la sua collocazione nel giardino per custodirlo e coltivarlo (Gen
2,15), ce ne rivela la nativa vocazione alla comunione e insieme la sconfinata
solitudine: «Il Signore Iddio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: voglio far-
gli un aiuto che gli corrisponda"» (Gen 2,18).19
La creazione della donna viene vista nella luce del superamento della
solitudine originaria: come risposta al bisogno insopprimibile dell'uomo di

16
C. ZUCCARO, Morale sessuale. Nuovo manuale di teologia morale, Bologna 2002,27.
17
GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988, n. 6 (EV 11/1206-
1345).
18
Cf. G. RAVASI, «Genesi», in P. ROSSANO - G. RAVASI - A . GHIRLANDA (edd.), Nuovo diziona-
rio di teologia biblica, Cinisello Balsamo 8 2005,567.
19
La parola che indica aiuto ('ezer) è usata solo in pochi testi dell'Antico Testamento e indica
un aiuto talmente speciale che solo Dio può offrirlo. Tale aiuto per Adamo è detto, con rara espres-
sione che ricorre solo in questo luogo, ke-neged-o (A;e=come; «eged=davanti; ó=lui), il suo faccia-a-fac-
cia. I L X X traducono «boethon kat'auton», mentre la Vulgata ha un più debole «adiutorium simile sibi»
(cf. CEI 1974 «un aiuto che gli sia simile»).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 27

vivere entro una relazione interpersonale ed essere pienamente se stesso nella


comunione con una creatura che partecipi della sua stessa realtà umana. L'uo-
mo ha bisogno di un essere che gli corrisponda, che sia degno di lui, che possa
entrare con lui in una relazione di aiuto e di sostegno, un essere che il mondo
subumano non può dare perché l'uomo è radicalmente diverso e superiore a
ogni creatura della terra.
Il Signore infatti crea tutti gli animali conducendoli dinanzi ad Adamo
perché ricevano da lui il nome (dare il nome è segno di superiorità e dominio),
quasi in una sfilata davanti al sovrano della terra che è Adamo, ma le creature
non umane non sono un aiuto degno di lui (Gen 2,19-20).20 Allora Iddio fa cade-
re Adamo in un sonno profondo (tardemah), una sorta di estasi, come traduco-
no i LXX, e gli prende una costola, richiudendo al posto di essa la carne. Dalla
costa di Adamo il Signore forma la donna e la conduce dall'uomo. Adamo
vedendola «prorompe in un grido gioioso di stupore riconoscendo finalmente in
lei l'attesa anima gemella che sola può riempire il vuoto che egli sente dentro»:21

Questa volta
è osso delle mie ossa,
carne della mia carne.
La si chiamerà 'ishsha [donna],
perché da 'ish [uomo] è stata tolta. 22

La donna appartiene al mondo dell'uomo, la donna è un altro io nella


comune umanità. L'etimologia popolare che riconnette 'ishsha (donna) a 'ish
(uomo) permette all'agiografo di affermare l'uguaglianza naturale della donna
con l'uomo. Ciò non significa che per lo Jahwista vi sia assoluta parità tra l'uo-
mo e la donna perché, anche se è vero che l'uomo non impone il nome alla
donna come aveva fatto con gli animali, tuttavia è lui a riconoscerla e a indi-
care quale sarà il suo nome, donna?3.
La narrazione si chiude spiegando, in stile sapienziale, non solo il fatto
della mutua attrazione dell'uomo e della donna, ma il senso di tale attrazione.
Abbiamo già notato l'esclamazione di Adamo di fronte alla donna, quando

20
«La comunione degli animali con l'uomo primitivo è un tema assai noto nelle saghe orienta-
li (cf. Enkidu), le quali considerano la presenza della donna come una vera seduzione alla vita di impu-
rità e di abbandono della bontà primitiva. Completamente diverso è il piano di Dio: gli animali sono
solo un aiuto esterno dell'uomo, la vera compagna della sua vita sarà la donna» (E. TESTA, Genesi,
Roma 1983,78, nota 19).
21
ADINOLFI, Donna, 420.
22
Gen 2,23.
23
Cf. N.M. Loss, «Il tema biblico della donna e del matrimonio orizzonte della lettera aposto-
lica», in M. T o s o (ed.), Essere donna. Studi sulla lettera apostolica «Mulieris dignitatem» di Giovanni
Paolo II, Leumann 1989,19. L'imposizione del nome di Eva si trova, nel testo biblico, in Gen 3,20.
28 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

scopre la sua intima affinità con lei e si rende conto di trovarsi finalmente
davanti a un tu. Questo grido di gioia introduce al movimento dell'unione e
dell'integrazione di vita e ne costituisce il presupposto: l'uomo va verso la
donna e viceversa perché solo insieme essi non sono più soli: «Per questo l'uo-
mo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno
un'unica carne» (Gen 2,24).24 L'uomo e la donna sono progettati per essere
una caro, per unirsi sessualmente, ma soprattutto per unirsi nella vita e diven-
tare, attraverso il dono del reciproco amore, una persona coniugatisi5
L'ultimo versetto richiama la nudità della coppia primitiva. Questa
nudità originaria, reciproca e insieme non turbata dalla vergogna, esprime la
libertà della relazione coniugale e rivela il significato sponsale del corpo
umano, che è sessuato e quindi capace di esprimere l'amore. «Si può dire»,
commenta Giovanni Paolo II nelle Catechesi sull'amore umano, «che, creati
dall'Amore, cioè dotati nel loro essere di mascolinità e femminilità, entrambi
sono nudi perché sono liberi della stessa libertà del dono».26

2-2, La creazione dell'uomo e della donna in Gen 1


La narrazione di Gen 1 offre il testo appartenente alla tradizione più
recente, quella sacerdotale: in essa, attraverso il tema dell'immagine, vengono
espresse in maniera solenne l'unità dell'uomo e della donna e la finalità pro-
creativa della sessualità. Create tutte le cose in sei giorni, venne infine il
momento della creazione dell'uomo e della donna, come al culmine di un cre-
scendo, perché la creatura umana è la più importante e la più significativa del-
l'intero creato:

Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza:


domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali
selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
Dio creò l'uomo a sua immagine,
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò. 27

24
Si noti che secondo il v. 24 è l'uomo a lasciare la propria casa, prassi inusuale in una società
patriarcale. C'è chi ha pensato a una fase matriarcale della società israelitica, c'è chi vi ha visto un'allusio-
ne all'iniziativa sessuale dell'uomo verso la donna. Noi crediamo che voglia sottolineare la forza dell'a-
more che strappa l'uomo dalle sue radici e lo introduce in un nuovo stato di vita con la sua donna.
25
Qui possiamo ravvisare, come abbiamo notato in precedenza, un'implicita ma radicale criti-
ca alla poligamia.
26
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Roma 2 1987,77.
27
Gen 1,26-27.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 29

In forza di un unico atto creativo, l'uomo e la donna emergono all'esi-


stenza insieme: ambedue sono esseri umani, ambedue creati a immagine di Dio
come due realizzazioni diverse, ma complementari dell'unica immagine divina.

L'uomo è immagine di Dio nella dualità di maschio e femmina: né il maschio né


la femmina sono, presi isolatamente, immagine di Dio. La dialogicità dei sessi
diversi già si apre al dono, all'amore, alla fecondità, riproducendo così Ximmagi-
ne di Dio, che è essenzialmente amore che si dona. 28

L'agiografo, utilizzando abilmente i pronomi personali, passa dal singo-


lare «lo creò» al plurale «li creò» e sottolinea da un lato l'unità di origine e
quindi la comune dignità dell'uomo e della donna, dall'altro la distinzione dei
sessi e delle persone.29
All'uomo e alla donna, come coppia, è affidata la creazione di cui la crea-
tura umana è il coronamento e il punto di arrivo. A essi si rivolge la benedi-
zione della fecondità mediante la quale trasmetteranno Vimmagine di Dio di
uomo in uomo e sottometteranno a sé e ai loro discendenti tutto il cosmo:

Dio li benedisse e disse loro:


«Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela,
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». 30

In conclusione, secondo Gen 1-2, la coppia umana è creata nell'ugua-


glianza della dignità e nella distinzione dei ruoli per un progetto di comunio-
ne e di fecondità: sin dal principio il matrimonio è segnato dalle due dimen-
sioni inscindibili dell'amore, unione e procreazione.

2.3. Il peccato dei progenitori


Il progetto di Dio sulla coppia umana viene tragicamente sconvolto dal-
l'irrompere del peccato nell'esistenza dell'umanità. Il peccato incrina profon-

28
S. CIPRIANI, « M a t r i m o n i o » , in ROSSANO - RAVASI - GHIRLANDA ( e d d . ) , Nuovo dizionario di
teologia biblica, 924.
29
Non sono mancati commentatori antichi, a partire da Filone, che hanno pensato a una crea-
zione dell'Adamo androgino, soltanto in un secondo momento diviso in due soggetti distinti (alla divi-
sione alluderebbe Gen 2 con il racconto della donna tratta da Adamo). Non pare che la Bibbia pre-
senti questo mito di origine, peraltro molto diffuso nelle religioni e narrato, fra gli altri, da Platone
(.Simposio 189C-193D); cf. A. FAIVRE - F. TRISTAN, L'Androgyne, Paris 1986 (trad. Androgino, Genova
1991).
30
Gen 1,28.
30 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

d a m e n t e l'unità originale: la divisione e la diffidenza inquinano la vita comune


dell'uomo e della donna e si ripercuotono su tutta la loro discendenza, a par-
tire dal fratricidio del quale si r e n d e colpevole Caino.
Molti commentatori antichi, come Clemente Alessandrino e Ambrogio,
p e n s a r o n o a una colpa sessuale, forse l'uso del matrimonio senza il permesso
di Dio, e anche fra i moderni n o n sono mancati coloro che h a n n o voluto coglie-
re nel racconto allusioni sessuali. Scrive il Grelot:

In effetti alcuni esegeti hanno creduto di poter riconoscere dei richiami sessuali
nei simboli o nelle espressioni usati a presentarla. Il serpente sarebbe in relazione
con i culti di fecondità; la manducazione del frutto proibito sembrerebbe un atto
magico destinato a risvegliare la sessualità; l'uso di questa, ottenuto senza il con-
senso di Dio, si nasconderebbe dietro alla conoscenza del bene e del male, come
indicherebbe il sorgere della vergogna e del sentimento del pudore (Gen 3,7).
Questa indagine sul retroterra possibile dei simboli non è priva d'interesse; ma
essa non deve coprire i legami del racconto con la letteratura sapienziale. Que-
sto peccato-tipo, di fatto, è la trasgressione di un ordine - o piuttosto di una proi-
bizione - posto da Dio, esattamente come ogni trasgressione di comandamenti. 31

La maggioranza degli interpreti p r o p e n d e per una interpretazione non


sessuale del peccato originale, anche se vi sono simboli e allusioni ai riti di
fecondità pagani. 3 2 Il peccato consisterebbe più propriamente nella trasgres-
sione, generata dal sospetto su D i o e dal desiderio magico di sostituirsi a Dio.
Si legge a questo proposito in Mulieris dignitatem:

Nel suo significato essenziale [...] il peccato è negazione di ciò che Dio è - come
creatore - in relazione all'uomo e di ciò che Dio vuole, sin dall'inizio e per sem-
pre, per l'uomo. Creando l'uomo a sua immagine e somiglianza, Dio vuole per
loro la pienezza del bene, ossia la felicità soprannaturale che scaturisce dalla par-
tecipazione alla sua stessa vita. Commettendo il peccato l'uomo respinge questo
dono e contemporaneamente vuole diventare egli stesso «come Dio conoscendo
il bene e il male» (Gen 3,5), cioè decidendo del bene e del male indipendente-
mente da Dio suo creatore. 33

31
P. GRELOT, La coppia umana nella sacra Scrittura, Milano 3 1987,41.
32
Sembra che l'atto di mangiare l'uva, le mele, i melograni in Ct 1,14; 2,3.5; 4,13; 7,9 alluda all'u-
nione sessuale. Alle focacce d'uva, ricordate in Ct 2,5 (cf. Os 3,1), si annetteva una potenza afrodisia-
ca; cf. D. COLOMBO, Cantico dei Cantici, Roma 7 1999,61, nota.
33
GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem 9. L'interpretazione data da san Francesco è molto
suggestiva e si colloca su questa linea: il peccato consiste nell'appropriarsi dei doni di Dio, primo fra
tutti la libertà, e nel non voler accettare di ricevere come dono quel che Dio offre, in pratica nel non
voler accettare di essere creature davanti al Creatore (cf. Ammonizione 2).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 31

La descrizione biblica del peccato originale nel drammatizzare una


riflessione sapienziale distribuisce i ruoli della tragedia fra i personaggi. La
precedenza della donna nel dare ascolto al serpente e nel notare la forza
attrattiva del frutto, spesso letta come segno di responsabilità primaria (cf.
lTm 2,13-14), non deve far dimenticare che nessun segno di dissenso appare
nell'uomo così che, in un certo senso, la donna sembra più servire che non cor-
rompere o sedurre l'uomo. «Non c'è dubbio che, indipendentemente da questa
distribuzione delle parti nella descrizione biblica, quel primo peccato è il pec-
cato dell'uomo, creato da Dio maschio e femmina». 34 Esso fu un peccato della
coppia: sono entrambi, uomo e donna, a peccare, perché essi mangiano insie-
me del frutto.
Subito dopo il peccato originale l'uomo e la donna si scoprono nudi e si
coprono (Gen 3,7). Secondo alcuni è il primo segno del pudore, allorché, in
seguito al peccato, l'uomo e la donna fanno la scoperta di essere diventati ogget-
ti l'uno per l'altro. Il coprirsi diventa un modo attraverso il quale poter dire: non
sono solo oggetto, sono più del mio corpo, il mio corpo nasconde un mistero più
grande. Secondo altri, forse più biblicamente, la scoperta della nudità è la sco-
perta dell'essere privi di protezione, ormai fragili ed esposti agli eventi e alle
aggressioni. In ogni caso il primo effetto del peccato è deludente: l'uomo non
solo non diventa Dio, ma diventa più cosciente del suo limite animale.
Le conseguenze del peccato sulla coppia furono disastrose, ferendo
profondamente il senso originario della relazione fra uomo e donna: la coppia,
creata per la comunione e per l'unità più grande, diventa luogo di conflitto e
di divisione. La coppia si dissocia: l'uomo accusa la donna (e implicitamente
Dio stesso che gliel'ha data come aiuto) addossandole ogni responsabilità.
Invece dell'incontro, del sostegno e dell'unione, ci sono la guerra, la lotta, la
competizione (Gen 3,11-12).
L'agiografo riporta poi le parole divine che lanciano la maledizione sul ser-
pente e annunciano dolori, sofferenze e fatica all'uomo e alla donna come puni-
zione del peccato. In realtà non si tratta di punizioni: l'agiografo spiega attra-
verso queste parole che la dura condizione dell'uomo e della donna così come
la lotta fra i sessi non fanno parte del progetto di Dio, ma sono una conseguen-
za del peccato, perché è stata infranta l'armonia nell'individuo, nei rapporti tra
individui e nei rapporti con il cosmo. L'uomo, più forte fisicamente e più aggres-
sivo sessualmente, è destinato a essere il dominatore: la donna solo attraverso la
seduzione potrà tentare di compensare il potere dell'uomo (Gen 3,16-17).35

34
GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem 9.
35
Per tutta questa parte si vedano le riflessioni molto illuminanti di Mulieris dignitatem 10.
32 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

Nei capitoli seguenti, la Genesi richiamerà l'attenzione sul dilagare del


male nei discendenti della coppia primitiva e sugli effetti del peccato nella vita
sessuale e matrimoniale dell'umanità, simboleggiati dalla poligamia che inizia
con Lamech (cf. Gen 4,19) e dalle perversioni sessuali (lo si vede nel rapporto
di Lot in Gen 19 e nei vizi di Sodoma in Gen 18).
C'è tuttavia una speranza di riscatto e di ristabilire il progetto originario
perché Dio non abbandona le sue creature e nella lotta tra la donna e il ser-
pente Dio si schiera dalla parte della donna e della sua discendenza (Gen 3,15).
Nonostante il peccato, Dio non ritira la sua benedizione di fecondità ed Eva
genera un figlio (Gen 4,1). La benedizione sulla prima coppia verrà poi rinno-
vata nell'alleanza noachica: «Dio benedisse Noè ed i suoi figli e disse loro:
"Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra"» (Gen 9,1). Il peccato origi-
nale non ha distrutto l'immagine e la somiglianza di Dio nell'essere umano, sia
donna sia uomo, ma le ha offuscate e deformate; il peccato non ha frustrato
completamente il disegno divino, ma esso dovrà essere recuperato lentamente
e faticosamente attraverso un cammino di guarigione e di redenzione.

2-4, I profeti e il matrimonio


I profeti ebbero il compito di leggere e interpretare, alla luce dell'alleanza
con YHWH, la storia travagliata del popolo di Israele. Essi non parlano diretta-
mente del matrimonio, tuttavia più volte per esprimere il rapporto di amore e di
fedeltà fra Dio e il suo popolo ricorrono a immagini e temi tratti dalla vita matri-
moniale: Dio è lo sposo o il fidanzato fedele al patto d'amore, mentre Israele è
la sposa o la fidanzata spesso infedele.36 L'accostamento fra il matrimonio
umano e il rapporto privilegiato fra Dio e Israele serve ai profeti per superare
una lettura legale dell'alleanza e sottolinearne le dimensioni intime e personali.
II profeta Osea è il primo che applica l'allegoria nuziale alla storia di
Israele. Il Signore gli chiede di sposare una prostituta perché la prostituzione
della moglie diventi un segno dell'infedeltà del popolo che si è dato a divinità
straniere. Dio però non si arrende e progetta un nuovo fidanzamento che rin-
novi la fedeltà e l'amore come nei tempi del deserto e che sia un fidanzamen-
to eterno: «Ti fidanzerò a me per l'eternità, ti fidanzerò a me nella giustizia e
nel diritto, nella tenerezza e nell'amore» (Os 2,21-22).

36
Cf. S. AUSIN, La sexualidad en los libros proféticos. Aportación de los profetas alconcepto
biblico del hombre varón mujer, in PJ. VILADRICH - J. ESCRIVÀ-IVARS (edd.), Teologia del cuerpo y de
la sexualidad. Estudios exegéticos para una teologia biblica del cuerpo y de la sexualidad fiumana,
Madrid 1991,51-106.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 33

Nel profeta Geremia il tema di YHWH sposo trova accenti teneri e


appassionati: l'alleanza sinaitica è presentata come l'amore della giovinezza
(Ger 2,2), ma poi Israele ha abbandonato YHWH e ha commesso adulterio,
tanto più grave quanto più forte è l'amore dello sposo (Ger 2,32). La nuova
alleanza sarà un ritorno all'amore della giovinezza da parte della vergine di
Israele (Ger 31,22).
Il profeta Ezechiele nel c. 16 ripercorre tutta la storia del popolo ebraico
come un rapporto di attenzione e d'amore di YHWH per Israele, presentata
attraverso l'immagine di una fanciulla abbandonata di cui Dio si invaghisce
fino a farla sua: «Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l'età dell'amo-
re. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un
giuramento e strinsi alleanza con te - oracolo del Signore Dio - e divenisti
mia» (Ez 16,8). Di nuovo l'allegoria nuziale torna nel c. 23 dove la storia di
Gerusalemme e della Samaria viene descritta in termini matrimoniali.
Il Deutero-Isaia, riflettendo sul dramma dell'esilio, paragona Israele a
una donna infedele, ripudiata dal suo sposo offeso e sdegnato (Is 50-51). Il
Signore, però, non mantiene per sempre la sua collera e ci sarà una nuova
alleanza nella quale Israele, come vergine splendente e bella, potrà unirsi al
suo Sposo (Is 54).
Nell'ultima fase del movimento profetico (V secolo a.C.) si colloca la
profezia di Malachia nella quale è contenuto un testo molto importante per
noi. Rimproverando infatti il popolo che si lamenta di non essere ascoltato, pur
offrendo sacrifici irreprensibili, Dio lo accusa di aver sposato donne pagane e
di infedeltà verso le proprie spose: «E chiedete: "Perché?". Perché il Signore è
testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai tradito, mentre era la
tua compagna, la donna legata a te da un patto [berti]» (MI 2,14-15). In questo
testo, secondo E. Schillebeeckx, si avrebbe la chiara identificazione del matri-
monio con la categoria di alleanza: mentre fino a quel momento i profeti ave-
vano presentato l'alleanza in termini matrimoniali, Malachia presenterebbe il
matrimonio in termini di alleanza.37 Anche se non tutti gli autori concordano
con questa interpretazione, 38 è indubbio che l'uso della metafora matrimonia-
le in riferimento all'alleanza apre la strada per comprendere il matrimonio

37
Cf. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, 86 ss. La traduzione
CEI qui proposta («la donna legata a te da un patto») appoggia questa interpretazione, ma l'espres-
sione ebraica è più sfumata (letteralmente, «la donna della tua alleanza») e potrebbe riferirsi alle
donne ebree in quanto parte del popolo dell'alleanza: si accuserebbe, quindi, l'israelita di abbandona-
re le donne ebree per sposare donne straniere (cf. C. MARUCCI, Parole di Gesù sul divorzio. Ricerche
scritturistiche previe ad un ripensamento teologico, canonistico e pastorale della dottrina cattolica del-
l'indissolubilità del matrimonio, Brescia 1982,76ss).
38
Alcuni pensano che la novità portata dal profetismo sia sopravvalutata da Schillebeeckx; cf.
P. DACQUINO, Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia, 2 voli., Leumann 1984,1, 47.631-
34 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

come un'alleanza. Nel costume ebraico antico il matrimonio era concepito


come uno strumento per stringere alleanze fra clan, ma ora l'alleanza fra Dio
e il suo popolo diventa il modello per l'alleanza matrimoniale: il matrimonio è
un'alleanza tra persone.
YHWH è uno sposo innamorato e fedele, capace di gioie intense e di tra-
sporti d'affetto, ma anche capace di provare gelosia e delusione, capace di sof-
frire, di attendere, di perdonare: il modello sponsale offerto da Dio mostra
all'uomo a quali valori debba ispirarsi anche la sua vita matrimoniale. In con-
clusione, per i profeti, «alleanza e matrimonio si illuminano reciprocamente e
si incontrano nell'esperienza di un amore fedele e totale».39

2.5. La letteratura sapienziale


La letteratura sapienziale esalta e propone, con riferimento alla vita quo-
tidiana, i valori del matrimonio adombrati dal grande messaggio profetico e
conferma la persuasione che la sessualità è finalizzata a essere vissuta nella
vita matrimoniale. Si descrivono spesso le gioie del matrimonio e della fami-
glia e, in particolare, il dono dei figli, si esorta a evitare la sregolatezza, si mette
in guardia dal matrimonio con le straniere, si danno consigli ai giovani perché
facciano una buona scelta matrimoniale, si insegna ai figli a rispettare l'auto-
rità paterna e ad apprendere dai genitori la saggezza e il timor di Dio. Nono-
stante molti spunti di sapore misogino - riflesso di una mentalità diffusa nel
mondo antico - i Sapienziali presentano modelli positivi di donna, dalla donna
saggia e perfetta, capace di gestire la propria casa e di adempiere tutti i dove-
ri della vita familiare, alla sposa compagna della vita.40
Un'espressione significativa e poetica della visione veterotestamentaria
del matrimonio è offerta dal libro di Tobia. Si tratta, secondo gli esegeti, di un
racconto edificante del genere midrashico sulla base di Gen 2,1: «Non è bene che
l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (cf. Tb 8,6). Nel libro
di Tobia il matrimonio è un fatto eminentemente religioso: l'incontro dell'uomo
e della donna è disposto dall'eternità, perché è la provvidenza che li conduce al
matrimonio. La monogamia è assoluta e l'idea dell'indissolubilità del vincolo è
espressa nel c. 8,7-17 dove si ricorda che l'amore coniugale è un amore che si
distende nel tempo e che impegna totalmente la vita sino alla fine dei giorni.
Questo libro è capace di gettare luce sul mistero nascosto in ogni incontro nuzia-

632:
39
G. DIANIN, Matrimonio, sessualità, fecondità. Corso di morale familiare, Padova 2008, 63.
40
V. D'ALARIO, «Le donne nei Libri Sapienziali», in A. BONORA - M. PRIOTTO (edd.), Libri
sapienziali e altri scritti, Leumann 1997,413-422.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 35

le dell'uomo e della donna: il matrimonio risponde a un progetto di Dio e la cop-


pia deve avvicinarvisi con un senso di rispetto e con profonda riconoscenza nei
confronti del Signore, benedicendo Dio che benedice benigno i suoi fedeli.41
Un posto a parte occupa il Cantico dei cantici.42 L'opera ha origine con-
troversa e datazione incerta. Gli esegeti la attribuiscono al V-IV secolo a.C.,
anche se è probabile che il redattore post-esilico rielabori testi precedenti. Il
Cantico contiene un'esaltazione dell'amore fra uomo e donna. L'audacia delle
immagini e del linguaggio, tipici della poesia erotica, l'assenza di tematiche
espressamente religiose e perfino del nome di Dio condussero alcuni, in
ambiente giudaico, a ritenerlo inadatto a essere inserito nel canone. Nella tra-
dizione esegetica ebraica e cristiana prevalse una lettura allegorica del Canti-
co in riferimento all'amore di YHWH per Israele o di Cristo per la Chiesa
ovvero di Dio per l'anima. Senza escludere la ricchezza dei sensi spirituali, il
messaggio del Cantico riguarda primariamente il valore dell'amore umano in
sé. Mentre i profeti sviluppano il concetto della somiglianza tra alleanza e
matrimonio, il Cantico ci porta a scorgere la misteriosa capacità dell'amore
umano a significare l'amore trascendente di Dio anche senza riferirsi esplici-
tamente a Dio. Il Cantico «è a un tempo corpo e anima, sensuale e spirituale,
tenero e trascendente, umanissimo e divino. Il Cantico è un libro profonda-
mente biblico. L'amore in esso corrisponde alla logica della incarnazione».43
Quando un uomo e una donna si amano di amore autentico si manifesta
in loro l'amore stesso di Dio come in un sacramento primordiale, come ebbe a
dire Giovanni Paolo II nella prima catechesi dedicata al Cantico:

Non è possibile separare [il Cantico] dalla realtà del sacramento primordiale.
Non è possibile rileggerlo se non sulla linea di ciò che è scritto nei primi capi-
toli della Genesi, come testimonianza del «principio», di quel «principio» al
quale Cristo si riferì nel decisivo colloquio con i farisei (cf. Mt 19,4). Il Cantico
dei cantici si trova certamente sulla scia di questo sacramento in cui, attraver-
so il linguaggio del corpo, è costituito il segno visibile della partecipazione del-
l'uomo e della donna all'Alleanza della grazia e dell'amore, offerta da Dio
all'uomo 44

41
L. MAZZINGHI, Tobia: il cammino di una coppia, Bose 2004.
42
G. BARBIERO, Cantico dei cantici. Nuova versione, introduzione, commento, Milano 2004; E.
BOSETTI, Cantico dei cantici. «Tu che il mio cuore ama». Estasi e ricerca, Cinisello Balsamo 2001; A.
CHOURAQUI, Il Cantico dei cantici e introduzione ai Salmi, Roma 1980; V. COTTINI, «Linguaggio eroti-
co nel Cantico dei cantici e in Proverbi», in Liber Annuus 40(1990), 25-45; V. MANNUCCI, Sinfonia del-
l'amore sponsale. Il Cantico dei cantici, Leumann 1982; G. RAVASI, Cantico dei cantici, Bologna 2008.
43
BARBIERO, Cantico dei cantici. Nuova versione, introduzione, commento, 16.
44
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 413, n. 3. Il santo
padre ha dedicato al Cantico le catechesi 108-113, alle pp. 411-433.
36 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

3. SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEI VANGELI

Parlando un giorno con i discepoli di Giovanni, Gesù accennò a un invito a nozze


e alla presenza dello sposo tra gli invitati: «Lo sposo è con loro» (Mt 9,15). Addi-
tava così il compimento nella sua persona dell'immagine di Dio-sposo utilizzata
già nel Vecchio Testamento, per rivelare il mistero di Dio come mistero di amore.
Qualificandosi come sposo, Gesù svela dunque l'essenza di Dio e conferma il suo
amore immenso per l'uomo. Ma la scelta di questa immagine getta indiretta-
mente luce anche sulla verità profonda dell'amore sponsale: usandola infatti per
parlare di Dio, Gesù mostra quanta paternità e quanto amore di Dio si rifletta-
no nell'amore di un uomo e di una donna che si uniscono in matrimonio. 45

Nel Verbo fatto uomo tutta la realtà umana nelle sue molteplici dimensio-
ni è redenta e messa in condizione di esprimere la sua intima verità. Egli, attra-
verso i misteri della sua carne, restituisce all'uomo l'immagine divina oscurata
dal peccato e rivela le profondità inattese della corporeità umana come simbolo
e sorgente di un amore sino alla fine. Questo è il vangelo sulla sessualità e il
matrimonio che il Signore Gesù ha annunciato con la vita e la parola, e che la
Chiesa apostolica ha cercato di attuare nel suo tempo consegnandoci, negli scrit-
ti del Nuovo Testamento, la sua esperienza paradigmatica e fondante.46

3.1. Un'attitudine positiva


Il Signore Gesù ha un atteggiamento positivo nei confronti del matrimo-
nio e della sessualità: egli non dimostra in nessuna circostanza di essere inibi-
to o di disprezzare la corporeità e tutto ciò a essa connesso; al contrario, egli
rivela un'attitudine matura e serena nei confronti del matrimonio e della ses-
sualità e una sovrana libertà nei confronti dei pregiudizi del suo tempo.
Ciò emerge in particolare nel suo comportamento verso la donna. Gesù,
contrariamente alla mentalità del suo tempo, condivisa anche dai maestri e
dottori della Legge, non mostra alcun tipo di disprezzo verso la donna.47

45
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, 2 febbraio 1994, n. 18 (EV 14/158-344). Su questo
punto: G. MAZZANTI, Teologia sponsale e sacramento delle nozze. Simbolo e simbolismo nuziale, Bolo-
gna 2004.
46
Per approfondire: B. OGNIBENI,// matrimonio alla luce del Nuovo Testamento, Città del Vati-
cano 2007; R. SCHNACKENBURG, Il messaggio morale del Nuovo Testamento, I: Da Gesù alla Chiesa pri-
mitiva, 2 voli., Brescia 1989-1990,181-195,299-318.
47
Merita una lettura attenta la parte quinta di Mulieris dignitatem (nn. 12-16), dedicata al ruolo
delle donne nella vita e nel messaggio di Gesù.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 37

Durante la sua vita egli ha intrattenuto molti rapporti con il mondo femmini-
le. Parla pubblicamente con donne, anche con donne di dubbia reputazione,
come nel caso della prostituta che incontra nella casa di Simone (Le 7,37-47) o
della samaritana (Gv 4,7ss). Ha donne tra i suoi seguaci, giungendo con alcu-
ne all'intimità dell'amicizia come nel caso di Marta e Maria (Le 10,38-42; Gv
11,1-40; 12,1-3), e ci sono donne tra coloro che lo seguono più da vicino; sap-
piamo anzi dal Vangelo di Luca che alcune di esse aiutavano, con i loro mezzi,
la piccola comunità apostolica (Le 8,1-3; cf. Mt 27,55). Ha avuto donne fra i
discepoli - cosa davvero inaudita per un rabbi - , come dimostra il tipico atteg-
giamento di Maria, sorella di Lazzaro, che «sedutasi ai piedi del Signore, ascol-
tava la sua parola» (Le 10,39). Una donna, la Maddalena, vede per prima il
Risorto e lo annuncia ai discepoli increduli (Gv 20,11-18). Ma soprattutto non
dobbiamo dimenticare che il Signore ha voluto nascere da donna (cf. Gal 4,4)
e ha associato nella sua opera redentiva la madre.
Agli occhi di Gesù la donna ha valore e questa sua attitudine verso la
donna è rivelata dal fatto che l'incontro con Gesù ha per loro un effetto libe-
ratorio: siano prostitute (Le 7,37-47) o adultere (Gv 8,3-11), malate nell'anima
o nel corpo (Le 13,11; Me 1,30), siano vedove (Le 7,13; 21,1-4) o straniere (Mt
15,28), esse ritrovano nell'incontro con lui il senso della loro dignità, della loro
pienezza, della loro autonomia. 48
L'impurità rituale delle donne è superata anch'essa: la donna colpita
dalla metrorragia e quindi non solo malata, ma anche perpetuamente immon-
da, viene risanata per la sua fede nel Cristo (Me 5,25-34). Ogni tabù che lega-
va uomini e donne alla legge del puro e dell'impuro viene superato dalla
purezza superiore chiesta dal Cristo, quella del cuore (cf. Mt 5,8):

Non ciò che entra nella bocca rende impuro l'uomo; ciò che esce dalla bocca
rende impuro l'uomo [...] Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo
rende impuro l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi,
adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che
rendono impuro l'uomo. 49

Gli evangelisti attestano anche la partecipazione del Signore alla gioia


nuziale, basti pensare alla presenza di Gesù alla festa di nozze a Cana (Gv
2,lss). Ma c'è qualcosa di più, perché il Signore Gesù presenta la sua esistenza
come nuziale: egli è lo Sposo (Mt 9,15; 25,1) e l'annuncio del Regno è presen-
tato come l'invito a un banchetto nuziale (Mt 22,2ss).

48
Cf. E. MOLTMANN WENDEL, Le donne che Gesù incontrò, Brescia 1989.
49
Mt 15,10.18-20a.
38 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

Gesù introduce certamente un valore nuovo, quello della verginità, ed


esalta il celibato quale segno di totale dedizione al Regno, come in Mt 19,10-
12, ove si parla degli «eunuchi» per il regno dei cieli.50 Egli, però, non dice mai
che il matrimonio è incompatibile con l'accoglienza del vangelo. A nessuno è
chiesto l'abbandono o la rinuncia al matrimonio come condizione inderogabi-
le per entrare nel Regno. E vero che si chiede agli apostoli di lasciare la fami-
glia per mettersi alla sequela del Signore e che in Luca troviamo passi nei quali
sembra porsi una difficile compatibilità tra l'aver moglie e il rispondere all'in-
vito del Regno, tanto per gli apostoli (Le 18,28-30) quanto per i cristiani in
generale (Le 14,26); tuttavia l'insieme della testimonianza evangelica conver-
ge nel confermare che la vita matrimoniale e familiare non contrasta con l'ap-
partenenza al Regno. Gesù stesso ha voluto avere un padre e una madre e ha
vissuto per trent'anni nella sua famiglia a Nazaret (Le 2,51).
L'attitudine di Gesù verso il corpo, la sessualità, il matrimonio è dunque
serena e positiva: egli non disprezza né svilisce queste realtà create, ma le libe-
ra dalle deformazioni del peccato e le riporta alla loro verità fontale, al pro-
getto originario di Dio creatore.

3.2. L'abolizione del ripudio e il ritorno al «principio»


Nell'insegnamento di Gesù, un aspetto di discontinuità rispetto alla pras-
si e alla mentalità giudaica, vero segno dei tempi nuovi, è l'abolizione del ripu-
dio. La condanna del ripudio e la proibizione delle seconde nozze tornano
varie volte nei Sinottici appoggiandosi su un logion del Signore che viene pre-
sentato in contesti diversi e in forme leggermente diverse: in Mt 5,31-32 nel
contesto del discorso della montagna; in Mt 19,9 e in Me 10,llb-12 in un con-
testo di polemica; in Le 16,18 incastonato fra due parabole che trattano della
ricchezza, agganciato a un detto sulla legge di Dio; in ICor 7,10-11 nel conte-
sto di insegnamenti su sessualità, matrimonio e verginità.
In Me 10,llb-12 si dichiara la proibizione assoluta del divorzio tanto per
il marito come per la moglie: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'al-
tra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un
altro, commette adulterio». La situazione prospettata in Marco presuppone
che tanto il marito quanto la moglie abbiano il diritto di divorziare: questa

50
L. BARNI, «Il recente dibattito sul logion degli eunuchi (Mt 19,10-12)», in Studia Patavina
34(1987), 129-151; J. KODEL, «The Celibacy Logion in Matthew 19:12», in Biblical Theology Bulletin
8(1978), 19-23; D. MARZOTTO, Celibato sacerdotale e celibato di Gesù, Casale Monferrato 1987.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 39

situazione non è comprensibile per la mentalità e per la legge giudaica, ma si


comprende alla luce del costume de facto vigente nel mondo greco-romano e
rappresenta un'attualizzazione per i cristiani provenienti dal mondo pagano
per cui scriveva Marco.
In Le 16,18, invece, troviamo due regole, entrambe rivolte all'uomo, e
questo riflette più da vicino l'ambiente e la prassi giudaica: «Chiunque ripudia
la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna
ripudiata dal marito, commette adulterio». Mt 19,3-9 e Me 10,1-16 collocano il
logion del ripudio al termine di una disputa con i farisei e questo permette agli
evangelisti di offrirci un messaggio di grandissimo valore sul matrimonio e, più
in generale, sul senso della dualità sessuale.
In Me 10 si chiede a Gesù di prendere posizione sul ripudio in se stesso
domandandogli «se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie» (Me 10,2).
Si tratta, in questo caso, di una vera e propria trappola: i farisei prevedono,
infatti, che Gesù prenderà posizione contro il ripudio e quindi, ancora una
volta, si metterà contro il costume giudaico e la legge di Mosè.
In Mt 19 la domanda posta dai farisei è meno diretta. Si chiede, infatti, a
Gesù: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo
[katà pàsari aitìan]?». Per comprendere il senso esatto della domanda dobbia-
mo rifarci all'ambiente giudaico e alle dispute fra le scuole giuridiche. La legge
di Mosè aveva regolato l'istituto del ripudio, come si è visto, ordinando al mari-
to che volesse ripudiare la moglie di darle un atto o libello di ripudio (Dt 24,1-
4). La motivazione che giustificava il ripudio era espressa in modo molto gene-
rico: 'erwat dabar, «qualcosa di vergognoso». La tradizione giuridica ebraica,
nel tentativo di specificare il senso del generico 'erwat dabar, aveva sviluppato
due tendenze, una rigorista e una lassista. La tendenza rigorista, rappresentata
da rabbi Shammai, ammetteva il ripudio solo per gravi disordini morali della
moglie, come per esempio l'adulterio. La tendenza lassista è rappresentata da
rabbi Hillel che riteneva motivo di divorzio qualsiasi cosa nella moglie che
risultasse spiacevole per il marito (ad esempio, essere una cattiva donna di
casa) e da rabbi Aqiba che pensava fosse sufficiente l'aver trovato una moglie
più bella.51 I farisei seguivano la tendenza rigorista e ammettevano il ripudio
solo per motivi gravi, come l'immoralità o l'adulterio della moglie: mentre,
dunque, i farisei ritenevano che potesse esserci non «qualsiasi motivo», ma
almeno «qualche motivo» per il ripudio, Gesù oltrepassando la Legge, rispon-
de che non c'è «nessun motivo».

51
Cf. STRACK - BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, I,
3 0 3 - 3 2 0 ; TOSATO, Il matrimonio israelitico. Una teoria generale, 28-39.
40 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

In Mt 19 - così come nel parallelo marciano - Gesù volge lo sguardo al


progetto di Dio sul matrimonio e, nella prospettiva di una giustizia superiore e
della perfezione evangelica, dichiara superata la concessione mosaica del ripu-
dio. Egli fonda il suo insegnamento sulla indissolubilità del matrimonio richia-
mandosi ad altri due testi della Torah, dal libro della Genesi, dal cui accosta-
mento emerge sia il significato sponsale della sessualità umana, sia l'indissolu-
bilità naturale dal patto coniugale: «Non avete letto che il Creatore da princi-
pio "li fece maschio e femmina" [Gen 1,27] e disse: "Per questo l'uomo lascerà
suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola
carne" [Gen 2,24]? Così non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,4-6).
Gesù conclude la sua halahkah in modo perentorio: «Dunque l'uomo non divi-
da quello che Dio ha congiunto».
La dualità sessuale è, dunque, finalizzata all'instaurarsi di una comunità
di vita e questa comunità di vita è naturalmente indissolubile. Gesù, infine,
spiega la norma mosaica sul ripudio come una semplice concessione e non
come un ordine.52 La concessione è motivata dall'amara constatazione della
durezza di cuore, della sklerokardìa di Israele: il ripudio non fa parte del dise-
gno di Dio sul matrimonio, ma Israele, ostinatamente chiuso alle esigenze del-
l'autentica volontà divina, non poteva comprenderlo. L'ordine riguardava,
semmai, l'obbligo del marito di restituire alla donna la sua libertà attraverso
un regolare atto di ripudio. Il Signore - si legge in Familiaris consortio - «rive-
la la verità originaria del matrimonio, la verità del principio e, liberando l'uo-
mo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente». 53

3-3- Le eccezioni matteane


Confrontando i testi di Marco, Luca e Paolo con i corrispondenti di Mat-
teo, salta agli occhi una differenza: mentre Marco, Luca e Paolo proclamano l'il-
liceità del ripudio in modo incondizionato, Matteo introduce, invece, nel logion
quelle che sono convenzionalmente chiamate le eccezioni o clausole matteane,
ovvero degli incisi che sembrano contenere eccezioni al rifiuto del ripudio o,
per dirla con linguaggio successivo, eccezioni al principio dell'indissolubilità.
In Mt 5,31-32, si trova questa antitesi fra la legge del Regno e la legge

52
Notare la dialettica fra Yenetéilato, «ordinò», dei farisei e Vepètrepsen, «concesse», di Gesù in
Mt 19,7-8.
53
GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981,13 (EV
7/1522-1810).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 41

antica:

Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie le dia l'atto del ripudio» [Dt 24,1].
Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di immoralità
[parektòs lògou pornèias; Vulgata: «excepta fornicationis causa»), la espone all'a-
dulterio e chiunque sposa una ripudiata commette adulterio.54

In Mt 19,9, a suggello della disputa con i farisei, si legge:

Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di immoralità


[mé epì pornèias\ Vulgata: «nisi ob fornicationem») e ne sposa un'altra commet-
te adulterio e chi sposa una ripudiata commette adulterio.

La presenza di questi incisi fa sorgere il dubbio che Matteo, pur inse-


gnando l'indissolubilità del matrimonio, introduca eccezioni alla legge dell'in-
dissolubilità. Sono stati versati fiumi di inchiostro su questa crux esegetica,
senza trovare una soluzione soddisfacente e al di sopra di ogni contestazione.55

3.3.1. Analisi dei termini

Prima di passare all'interpretazione globale degli incisi, è opportuno stu-


diare il significato di ciascuna espressione: apolyèin, pornèia,parektòs e mé epì.
Il verbo apolyèin può significare sia la «rescissione definitiva» del vincolo
(ripudio/divorzio), sia la semplice «separatio a mensa et toro».
Pornèia è un termine molto generico che ha ricevuto diversi significati.56
Nei LXX pornèia traduce spesso l'ebraico zenüt, termine che designa diverse
situazioni di disordine sessuale e in particolare la prostituzione e la fornica-
zione, anche in riferimento all'infedeltà religiosa e, più raramente, all'adulterio
(cf. Sir 23,23), alle unioni proibite e ai matrimoni misti (cf. Tb 4,12). Nella let-
teratura intertestamentaria, come nel Documento di Damasco, zenüt indica le
nozze poligame, le nozze dopo il ripudio della moglie legittima e le unioni ille-

54
Nel presente testo e nel seguente ci discostiamo dalla Bibbia CEI e traduciamo «pornèia»
con «immoralità» (come fa, d'altra parte, la stessa Bibbia CEI altrove, ad esempio in ICor 5,1; 7,2). Le
ragioni della scelta diventeranno chiare più avanti.
55
Indichiamo qualche studio più generale: DACQUINO, Storia del matrimonio cristiano alla luce
della Bibbia; L. LIGIER, Il matrimonio. Questioni teologiche e pastorali, Roma 1988,161-183; MARUCCI,
Parole di Gesù sul divorzio; T. STRAMARE, Matteo divorzista? Studio su Mt 5,32 e 19,9, Brescia 1986;
ID., «Il "Supplément au Dictionnaire de la Bible" e le clausole matteane sul divorzio», in Divinitas
39(1995), 269-273.
56
Cf. H. CROUZEL, «Le sens de "pornèia" dans les incises matthéennes», in Nouvelle Revue
Théologique 110(1988), 903-910; B. MALINA, «Does Pornèia Mean Fornication?», in Novum Testamen-
tum 14(1972), 10-17; MARUCCI, Parole di Gesù sul divorzio, 274-275.
42 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

cite per affinità. Analogamente anche nel Nuovo Testamento pornèia può indi-
care unioni incestuose per affinità (ICor 5,1; cf. ITs 4,3) o altre unioni proibi-
te in base alla legislazione giudaica (At 15,20-29; 21,25).
Negli incisi matteani la pornèia potrebbe quindi indicare una qualsiasi
impudicizia o fornicazione della moglie, o più precisamente la prostituzione
(Sand, Schneider) o l'adulterio da parte della moglie (anche se ci si aspette-
rebbe il greco moicheia), o, addirittura, un'immoralità prematrimoniale che
risulta in mancanza di verginità della sposa (Friedrichsen); altri, infine, pensa-
no a un'unione illegittima per un qualche motivo.
Il senso ovvio delle particelle parektòs/mé epì è quello esclusivo o eccet-
tuativo, ma è possibile grammaticalmente, almeno per mé epì, un senso inclu-
sivo («anche», «persino»)57 o anche preteritivo («a prescindere da»).58 Le solu-
zioni preteritive e inclusive, però, benché sostenute da autorevoli teologi ed
esegeti sia antichi che moderni, non sono mai state prevalenti e stanno per-
dendo sempre più terreno.

33.2. Le soluzioni tradizionali delle Chiese

Le Chiese cristiane hanno inteso tradizionalmente gli incisi come vere


eccezioni e hanno dato a pornèia il senso di un grave disordine morale di un
coniuge. Mentre, però, ortodossi e protestanti hanno pensato che la pornèia
fosse un motivo per divorziare e poter passare a seconde nozze, i cattolici
hanno pensato che la pornèia fosse un motivo per separarsi, ma senza rispo-
sarsi.
In base all'interpretazione ortodossa si riconosce che l'indissolubilità del
matrimonio rappresenta la norma generale del cristiano, ma si ammette l'esi-
stenza di casi particolari che la Chiesa può risolvere con indulgenza legitti-
mando il passaggio a seconde nozze.59 Se Gesù avesse insegnato questo, non si
vede, però, dove stia il motivo della disputa e la prova con i farisei, visto che
questa era, in ultima analisi, l'opinione rigorista sui motivi del ripudio soste-
nuta anche dai farisei: l'uomo può divorziare dalla moglie solo per motivi

57
Se si intendono le particelle mé epì e parektòs come inclusive, Gesù proibirebbe il divorzio
anche nel caso di pornèia. Tra gli autori che sono riconducibili a questa tesi: Ott, Fisher, Vogt, Zerwick,
ma anche Brunec e Holzmeister.
58
Gesù tralascerebbe volontariamente di prendere in esame il caso di pornèia, come se dices-
se: «della pornèia parlerò in altra circostanza». Fu sostenuta da Agostino (in un primo tempo), Gaeta-
no, Bellarmino, Zahn, Staab (solo per Mt 5,32), Lagrange (solo per Mt 5,32), Vawter, Lohmeyer, Benoit
(solo per Mt 19,9).
59
Non mancano esegeti cattolici che ammettono l'esistenza di una vera eccezione all'indisso-
lubilità: Moingt, Sand, Hoffmann, Schierse, Gnilka, Pesch, Schneider, Wijngaards, Vattioni, Descamps,
Bauer, Marucci; cf. MARUCCI, Parole di Gesù sul divorzio, 400ss.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 43

molto gravi.
I cattolici danno ad apolyèin il senso più generico di «separazione» e
ammettono il valore eccettuativo delle particelle, ma l'eccezione viene riferita,
appunto, alla separazione: «Chi si separa - cosa che è proibita se non in caso di
pornèia - espone la donna all'adulterio». Non si tratta dunque di un'eccezione
all'indissolubilità, ma si concede la separazione, senza la facoltà di accedere a
seconde nozze, in certi casi di grave disordine morale del coniuge.
La concessione della separazione senza la possibilità di risposarsi è chia-
ramente insegnata in ICor 7,10-11 e da essa dipende la prassi latina della sepa-
ratio a mensa et toro. Il fondamento di questa prassi viene visto da Paolo nel-
l'insegnamento del Signore stesso: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signo-
re: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza spo-
sarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie». Si tratta di
una lettura molto antica, sostenuta da san Girolamo e, nel corso del tempo, da
altri autori fra i quali san Tommaso d'Aquino, Maldonado, Cornelio a Lapide
e poi da Innitzer, Knabenbauer, Lagrange (solo per Mt 19,9) e, in tempi più
recenti, da J. Dupont. 60

3.3.3. La soluzione esegetica moderna

Alcuni esegeti moderni hanno inteso l'inciso in senso eccettuativo, ma


hanno svigorito la forza dell'eccezione sostenendo che la pornèia sarebbe
un'unione illegittima o un concubinato e, ovviamente, unioni illegittime e con-
cubinati non sono indissolubili.
Questa tesi è stata difesa nel 1954 dal cattolico J. Bonsirven, per il quale
pornèia indicherebbe un matrimonio in qualche modo irregolare, cioè uno
pseudomatrimonio. 61 Nel 1967 questa tesi è stata ripresa e precisata dal prote-
stante H. Baltensweiler, il quale sostiene che le clausole siano dei ritocchi mat-
teani per escludere dalla comunità cristiana alcuni matrimoni proibiti per
«affinità» secondo Lv 18,6ss e ammessi, invece, dal diritto romano.62 In tal
modo la Chiesa avrebbe dettato regole più severe di quelle previste dai rabbi-
ni per i proseliti che si convertivano dal paganesimo, analogamente alle dispo-
sizioni del concilio di Gerusalemme promulgate per evitare turbamento in
seno alle comunità giudeo-cristiane (At 15,20-29; 21,25).
Questa soluzione che dà a pornèia il senso di «unione illegittima» e, quin-

60
J. DUPONT, Mariage et divorce dans VEvangile. Matthieu 19, 3-12 et parallèles, Bruges 1959.
61
J. BONSIRVEN, Le divorce dans le Nouveau Testament, Paris 1948.
62
Cf. H. BALTENSWEILER, Il matrimonio nel Nuovo Testamento. Ricerche esegetiche su matri-
monio, celibato e divorzio, Brescia 1981.
44 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

di, non veramente matrimoniale, è oggi accolta da un buon numero di studio-


si, cattolici e non. A questa ipotesi interpretativa, per il suo carattere conci-
liante, si rifanno molte traduzioni sia ecumeniche sia confessionali, compresa
la versione ufficiale della CEI. 63 È strano, però, che i Padri e soprattutto i Padri
greci abbiano ignorato tale interpretazione.

3.3-4- Bilancio della questione

Le nuove proposte interpretative non hanno tolto valore alle interpreta-


zioni tradizionali, quella latina della liceità della semplice separazione senza
nuove nozze e quella orientale della possibilità di vere eccezioni al divieto di
seconde nozze in determinati casi. Le due letture tradizionali conservano il
loro valore, anche per il loro collegamento con la disciplina delle diverse Chie-
se e «non è senza vantaggio», annotava L. Ligier, «che le ricerche esegetiche ci
costringano a stare attenti all'importanza delle posizioni ecclesiastiche».64
Comunque si risolva il problema del significato delle clausole matteane,
bisogna ricordare che, se si collocano le parole del Signore nel contesto del
richiamo (implicito in Mt 5,31-32 ed esplicito in Mt 19,3ss) al progetto origina-
rio di Dio sull'uomo e sulla donna, appare chiaro che il Signore pensa a un'u-
nione definitiva e, secondo il piano divino, indissolubile. Nel tempo della Chie-
sa, ferma restando la misericordia per la fragilità umana, non può mancare una
tensione costante di fedeltà alla volontà vera e originaria di Dio.
Prima di concludere queste considerazioni sulle eccezioni matteane, si
deve aggiungere qualcosa sulla questione generale posta da questi ritocchi
matteani. Molti autori affermano infatti che queste eccezioni sono interventi
del redattore in risposta a particolari situazioni delle comunità alle quali rivol-
geva il suo vangelo, per cui le parole del Signore sarebbero state interpretate
alla luce di tali situazioni. Tale operazione è del tutto possibile e non deve
suscitare reazioni di scandalo: si tratta dello sforzo dell'evangelizzatore di
comunicare le parole del Signore in modo che il loro senso sia adeguatamente
compreso, anche all'interno di contesti molto diversi da quelli per i quali esse
furono all'inizio pronunciate. 65

63
Nella Bibbia CEI 2008 Mt 5,32 è tradotto: «Chi ripudia la propria moglie, eccetto il caso di
unione illegittima», mentre Mt 19,9 è tradotto: «Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di
unione illegittima». La versione CEI 1974 traduceva invece «concubinato». Sono sfumature che si
muovono nella stessa linea ermeneutica.
64
LIGIER, Il matrimonio. Questioni teologiche e pastorali, 164.
65
In generale, sul problema delle interpretazioni e reinterpretazioni delle norme all'interno del
Nuovo Testamento, si veda: G. SEGALLA, Introduzione all'etica biblica del Nuovo Testamento. Proble-
mi e storia, Brescia 1989,231-238 (soprattutto 232).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 45

4. SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEL CORPUS PAULINUM

L'importanza della letteratura paolina per i temi sui quali stiamo riflet-
tendo è grandissima. È in Paolo che si trovano alcune delle fondamentali idee
sulla sessualità e sul matrimonio, idee nelle quali giungono a pienezza anche
alcuni temi del Vecchio Testamento, e soprattutto quello del matrimonio come
alleanza. Paolo non offre un'esposizione sistematica sulla sessualità e sul
matrimonio perché le sue lettere sono legate a circostanze e a destinatari par-
ticolari, ma da quello che leggiamo più o meno sparsamente in esse è possibi-
le trarre preziose indicazioni su ciò che Paolo pensava di questi argomenti.

4-1 • Sessualità e matrimonio in 1Cor 5-7


I cc. 5-7 della Prima lettera ai Corinzi contengono alcuni dei testi più
importanti per delineare la teologia paolina intorno ai nostri temi.66 È ben
nota la situazione di Corinto nell'antichità: città dai due porti, centro com-
merciale attivissimo, la corruzione e la dissolutezza erano comunemente
associate alla città, al punto che il verbo korinthiazesthai applicato a una
donna era ritenuto offensivo. Era celebre in tutto il Mediterraneo il tempio di
Corinto dedicato ad Afrodite Pàndemos, che fu servito, a un certo momento,
da mille ierodule o prostitute sacre.67 Questo ambiente immorale continuava
a influire sullo stile della comunità, mentre dottrine devianti serpeggiavano
tra i fedeli. Paolo deve intervenire per chiarire punti delicati e correggere
storture e disordini.

AAA. Dignità eristica del corpo

La prima parte della lettera (cc. 1-6) è centrata su un tema molto senti-
to nel contesto culturale ellenistico, quello della sapienza. I corinzi pretendo-
no di possedere una conoscenza profonda del mistero di Dio che li porrebbe
su un piano di superiore perfezione spirituale. Essi invece - dice Paolo - non
possiedono la vera sapienza perché la vera sapienza è quella della croce e si

66
G. CLAUDEL, «1 K o r 6 , 1 2 - 7 , 4 0 n e u e g e l e s e n » , i n Triere Theologische Zeitschrift 94(1985), 20-
36; H. HÜBNER, Teologia biblica del Nuovo Testamento, 2: La teologia di Paolo, 2 voli., Brescia 1999,
162-178; B. PRETE, Matrimonio e continenza nel cristianesimo delle origini. Studio su ICor 7,1-40, Bre-
scia 1979.
67
Cf. STRABONE, Geografia 8,6,20c.
46 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

illudono di essere perfetti, mentre la loro comunità rivela con segni inequivo-
cabili di essere ancora immatura nella vita cristiana (cf. 1,17-3,4).
In seno alla Chiesa di Corinto ci sono fazioni e divisioni, ingiustizie cla-
morose e casi di scandalosa immoralità, tra cui un'inaudita pornèia che «non si
riscontra neanche tra i pagani»: uno che ha preso in moglie la propria matri-
gna (5,1). Paolo sembra meravigliato non solo del fatto in sé, ma anche del-
l'indifferenza della comunità cristiana e ordina, pertanto, con molta severità, di
prendere provvedimenti drastici contro l'incestuoso (5,3-5). I cristiani di
Corinto devono vivere coerentemente la novità di vita nella quale sono stati
introdotti accogliendo Cristo (5,6-8) e non possono mescolarsi con gli impudi-
chi, i pòrnoi (5,9). Non si tratta degli immorali della città, altrimenti i cristiani
avrebbero dovuto lasciare Corinto, ma dei cristiani immorali (5,9-13). I pòrnoi
- si dirà nel capitolo seguente - così come idolatri, adulteri e altri peccatori non
erediteranno il Regno (6,9-10).
Nella seconda parte del c. 6 Paolo affronta alcune questioni di principio
rifiutando opinioni inaccettabili in tema di morale sessuale che si sentivano
nella comunità di Corinto. Qualcuno insegna: «Tutto mi è lecito» (pùnta moi
exèstin) (6,12) e qualcun altro: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi»
(6,13). Sono veri e propri slogan etici ben collocabili nel variegato mondo cul-
turale greco-romano. Il primo sembra un'affermazione di anomia gnosticheg-
giante che proclama la libertà del perfetto da ogni legge: «Il cristiano maturo è
libero da ogni legge, anche dalle leggi morali sulla sessualità». Il secondo, di
tipo naturalistico, instaura un parallelismo implicito fra cibi-ventre e sesso-
corpo e insinua che la soddisfazione del desiderio sessuale è paragonabile alla
soddisfazione del bisogno alimentare: «Il bisogno sessuale è un fatto naturale
e non c'è niente di male a soddisfarlo».
La risposta dell'apostolo è decisa. In riferimento ai primi egli osserva che
se è vero che «tutto mi è lecito», «non tutto, però, è utile» e «io non mi lascerò
dominare da nulla»: è quindi necessario un discernimento, giacché non ogni
impulso symphèrei, è conveniente con il bene e, soprattutto, non può dirsi dav-
vero libero chi è schiavo delle sue pulsioni (6,12).
Ai secondi, egli ricorda che il corpo dei cristiani non è per la fornicazio-
ne, bensì per il Signore (6,13b): il contesto suggerisce che qui pornèia abbia il
significato più comune nella lingua greca, quello di frequentazione di prostitu-
te ovvero fornicazione.68 Chi si unisce a una prostituta - afferma Paolo -
diventa con lei una sola carne. Attraverso il richiamo sorprendente a Gen 2,24,

68
Dal latino fornicano. La parola è allusiva e deriva dall'uso delle prostitute di ricevere i clien-
ti in giacigli sotto archi (fornices) ricavati nello spessore dei muri.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 47

siamo così introdotti nella percezione paolina del corpo e della sessualità: nel-
l'atto sessuale l'incontro non è mai puramente fisico, ma comporta sempre, in
un modo o in un altro, una relazione interpersonale: «Chi si unisce alla prosti-
tuta forma con essa un corpo solo» (6,16). Il corpo non può essere considera-
to un semplice strumento per soddisfare l'istinto sessuale, né un'unione ses-
suale può essere giudicata indifferente: l'immorale pecca gravemente, perché
pecca contro la dignità del corpo (6,18). Il corpo del fedele è, infatti, un tem-
pio abitato dallo Spirito, è possesso del Signore, è membro di Cristo (6,19-
20).69 Ogni fedele è unito al Signore e forma con lui un solo spirito e perciò,
quando si unisce con una prostituta, l'immorale fa sì che «le membra di Cristo»
diventino «membra di una prostituta».
Riaffermata la dignità eristica del corpo, Paolo affronta, nel c. 7, diverse
questioni che si raccolgono fondamentalmente intorno a due nuclei tematici,
quello del matrimonio e quello della verginità, e che sembrano suscitate da
un'espressione che non si capisce bene se sia sua o di fautori di tendenze enfa-
tiche in seno alla comunità di Corinto: «È cosa buona per l'uomo non toccare
donna» (7,1).

4.1.2, Matrimonio e bisogno sessuale

Secondo Paolo il matrimonio è connesso con la forza del bisogno sessua-


le: per lui, in continuità con la visione giudaica, il matrimonio è l'unico luogo in
cui l'uomo e la donna possono soddisfare in modo legittimo il loro bisogno ses-
suale. Perciò scrive: «A motivo dei casi di immoralità [dià tàs pornèias] ciascu-
no abbia la propria moglie e ogni donna abbia il proprio marito» (7,2).
Rispetto al soddisfacimento del bisogno sessuale nel matrimonio, l'uomo
e la donna si trovano su un piano di piena reciprocità: l'uno ha un dovere da
rendere fisicamente all'altro, un dovere reciproco, un debitum espresso in lin-
guaggio giuridico (7,4: opheilèn apodidòto, Vulgata: «debitum reddat») e quin-
di ciascuno ha una vera e propria autorità (exousiàzei) sul corpo e, quindi, sulla
persona dell'altro in ordine al bisogno sessuale (7,4).
Per quanto riguarda l'astinenza coniugale raccomandata - a quanto pare -
da predicatori rigoristi, essa è dichiarata possibile per motivo di preghiera, ma
deve essere temporanea, per evitare di dare spazio alla tentazione di Satana
(7,5). Vale in generale il comando di «non astenersi l'uno dall'altro» (7,5) e l'i-
dea che l'astinenza temporanea per la preghiera non sia un obbligo è raffor-
zata dal fatto che egli dice di accettarla katà syngnòmen, non katà epitagèn,

69
Cf. Le corps et le Corps du Christ dans la première épìtre aux Corinthiens, Paris 1983.
48 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

«per condiscendenza e non per comando» (7,6).70 Paolo sostiene senza dubbio
l'eccellenza del celibato e della verginità, ma è consapevole che questo dono
(ichàrisma) non è per tutti e che alcuni hanno un dono, altri un altro (7,7; cf. Mt
19,11).71 Egli, perciò, consiglia come scelta preferibile per i cristiani non spo-
sati e per quelli rimasti vedovi di restare senza sposarsi o risposarsi, ma affer-
ma anche, molto saggiamente, che se i non sposati e le vedove non riescono a
vivere in continenza (enkratèuontai), è meglio che si sposino, in quanto «è
meglio sposarsi che bruciare» (7,9; cf. 7,39).

4.13. Indissolubilità e unità del matrimonio

Per Paolo le nozze sono indissolubili. È comando del Signore - dice


esplicitamente Paolo - che la donna non possa separarsi dal marito e che, qua-
lora si separi, debba rimanere sola o riunirsi a suo marito e inoltre che il mari-
to non possa ripudiare la moglie (7,10-11).
All'inizio della Chiesa si presentava però la delicata situazione di una
coppia già sposata in cui uno solo dei coniugi è diventato cristiano. Per risol-
vere questi casi, Paolo offre un'indicazione di cui si assume la responsabilità
premettendo l'avvertimento «agli altri dico io, non il Signore» (7,12): se il
coniuge non cristiano consente di vivere insieme, anche dopo il passaggio alla
fede da parte del partner, allora non ci deve essere separazione. Rimanendo
uniti, in qualche modo tanto il coniuge non credente quanto i figli sono resi
partecipi della condizione di santità del coniuge battezzato (7,14).72 Se, invece,
il non credente non accetta la convivenza con il cristiano e vuole separarsi,
allora, secondo Paolo, il credente, tanto uomo quanto donna, non deve più rite-
nersi «soggetto alla schiavitù» (7,15).
La prassi suggerita da Paolo in questo secondo caso non è del tutto chia-
ra: non si capisce se, una volta abbandonato dal partner rimasto pagano, il cre-
dente sia anche libero di risposarsi. Ci sono stati dall'antichità fino a oggi auto-
ri nell'uno e nell'altro senso. Se però Paolo si limitasse ad affermare che il cre-

70
Si seguono qui gli autori che riferiscono la condiscendenza o concessione al fatto dell'asti-
nenza coniugale (v. 6) e non al matrimonio, che sarebbe - secondo altri - una concessione rispetto al
bene superiore della verginità (cf. v. 7).
71
Varie sono le interpretazioni date a questo versetto: alcuni negano la parità di doni tra celi-
bato e matrimonio; altri la sostengono; cf. PRETE, Matrimonio e continenza nel cristianesimo delle ori-
gini, 113ss.
72
II v. 14 è difficile: sembra alludere al fatto che il coniuge non credente o i figli non credenti
non contaminino (in senso cultuale) il partner cristiano, giacché sono come inclusi «nella sfera di san-
tità di Cristo».
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 49

dente non è più tenuto alla convivenza, non si capirebbe il senso del «non esse-
re più soggetti alla schiavitù».73
Riguardo alle seconde nozze di persone vedove (questione che interes-
serà molto le prime generazioni cristiane), abbiamo già visto che Paolo consi-
glia di non risposarsi (7,8-9.39-40) ma, contro alcune tendenze rigoriste emer-
genti, afferma chiaramente che possono risposarsi (7,9) giacché, dopo la morte
del coniuge, non sono più legate al vincolo matrimoniale. 74 Le vedove sono tut-
tavia tenute a risposarsi «nel Signore», cioè con un cristiano (7,39).

4-1 .4. Matrimonio e verginità nei tempi ultimi


Paolo presenta un atteggiamento complesso a proposito di matrimonio e
di continenza: se da una parte insegna il valore del matrimonio, dall'altra pro-
clama l'eccellenza della verginità. In ICor 7,28 si afferma che le vergini che si
sposano non peccano, ma che esse con i loro mariti avranno thlipsin tè sarkì,
«tribolazione nella carne» (7,28b):75

Con queste parole Paolo caratterizza quella tensione religiosa che sperimentano
i coniugi cristiani, i quali si sentono divisi tra le esigenze della vita di famiglia e
le istanze della fede, particolarmente l'istanza escatologica. Con il termine carne
l'apostolo indica per così dire l'uomo esterno, l'uomo cioè che, vivendo a con-
tatto con le realtà terrene perché sposato e vincolato ad una famiglia, avverte
come cristiano la tensione interna tra i doveri imposti dal suo stato e le istanze
escatologiche della fede. 76

Perciò nelle risposte sulle vergini (7,25ss), sui fidanzati77 (7,36-38) e sulle
vedove (7,39-40), senza proibire il matrimonio egli consiglia che «ognuno
rimanga nella condizione nella quale è stato chiamato» (7,24).

73
La prassi tradizionale della Chiesa si è strutturata nel cosiddetto privilegio paolino, secondo il
quale è ammesso il passaggio a nuove nozze di un convertito sposato in precedenza il cui coniuge non
accetti più la convivenza dopo la conversione (cf. C/C, can. 1143). L'evoluzione della prassi e della dot-
trina del Privilegium paulinum è stata faticosa: nel medioevo Innocenzo III e ancora nel 1886 una dichia-
razione del S. Uffizio collegavano il privilegio con ICor 7,2-16; non così farà Pio XI nella Casti connu-
bii; cf. L. SABBARESE, LO scioglimento del matrimonio non sacramentale in favor em Fidei, Roma 2005.
74
L'idea di Paolo è che solo una vedova è tornata libera (elèuthera) di contrarre nuove nozze.
Sulla questione della casta viduitas e delle seconde nozze vedovili, cf. B. PETRÀ, Il matrimonio può
morire? Studi sulla pastorale dei divorziati risposati, Bologna 1996,207-222 (con bibliografia).
75
La versione CEI ha: «tribolazioni nella loro vita».
76
PRETE, Matrimonio e continenza nel cristianesimo delle origini, 228.
77
Secondo alcuni le persone cui Paolo consiglia come comportarsi nei confronti «della propria
vergine» sono dei fidanzati (Kümmel, Schnackenburg); altri hanno pensato a padri che devono mari-
tare le figlie (Huby, Spicq, Osty, Allo) o a matrimoni spirituali, come sarà più tardi con le virgines subin-
troductae (Thurian, Von Allmen, Häring, Schillebeeckx). Dacquino pensa che si tratti di sposi che
hanno celebrato la prima fase del matrimonio ebraico senza essere ancora passati alla coabitazione
(DACQUINO, Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia, 56); cf. D. TETTAMANZI, Il matrimo-
nio cristiano. Studio storico teologico, Venegono Inf. (Milano) 1979, 63ss.
50 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

Paolo dà per verginità e celibato motivazioni cristologiche. Il primo


motivo è quello della totale e indivisa dedizione al Signore: «Chi non è sposa-
to si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è spo-
sato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie,
e si trova diviso [kaì meméristai]» (7,32-34).
Il secondo motivo è quello dell'imitazione di Cristo. In ICor 7,7 e 11,1
Paolo chiede ai corinzi di imitarlo, perché egli stesso sta imitando Cristo:
«Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo» (11,1). Non sappiamo
quale fosse la sua condizione, se celibe o vedovo o separato dalla moglie rima-
sta ebrea, 78 ma è chiaro che Paolo non è vincolato di fatto da un legame coniu-
gale e desidera che tutti possano vivere come lui: il non sposato è nella condi-
zione di imitare più pienamente e più radicalmente l'esistenza terrena di Cri-
sto, proprio come sta facendo Paolo. La vita celibataria viene giudicata prefe-
ribile, non per una valutazione negativa del matrimonio o per una disistima
ascetica ed encratica della sessualità, ma per il riconoscimento del suo valore
evangelico.79 La vita celibataria rappresenta una condizione migliore rispetto
al matrimonio perché l'imminente ritorno del Signore e l'afflizione che lo pre-
para - «le presenti difficoltà» (7,26) - rendono preferibile uno stile di vita che
preservi dalle preoccupazioni mondane (7,29-34) e che conservi l'intimità con
il Signore (7,35).
La vita matrimoniale per Paolo è buona, ma è difficile. Il matrimonio
per sua natura porta a dedicare attenzione al mondo, alle cose della vita quo-
tidiana, ai bisogni del coniuge, e sono proprio queste caratteristiche della vita
matrimoniale a far sì che essa non sia la condizione più favorevole all'attesa
del Signore. Il matrimonio non è un male, ma i tempi spingono a concentrar-
si «senza deviazioni» nelle cose del Signore (7,35). Il matrimonio appartiene
all'economia di questo mondo (eone) transitorio e ne condivide in qualche
modo la provvisorietà: di qui l'invito agli sposati di vivere come se non fos-
sero sposati, cioè distaccati dalle preoccupazioni della vita matrimoniale,
giacché «passa la figura di questo mondo» 80 e «il tempo si è fatto breve»
(ICor 7,29-31).

78
Questa tesi illuminerebbe il cosiddetto privilegio paolino con la vicenda personale dell'apo-
stolo (ICor 7,12-16); cf. J.B. BAUER, Alle origini dell'ascetismo cristiano, Brescia 1984,104.
79
Cf. W. DEMING, Paul on Marriage & Celibacy. The Hellenistic Background of 1 Corinthians 7,
Grand Rapids (Ml)-Cambridge (UK) 2 2004,207: «Paul's understanding of marriage is predicated on a
positive evaluation of celibacy rather than a negative evaluation of sexuality or a theology of sexual ascet-
icism». Non condividiamo l'idea di chi sostiene il permanere in Paolo della categoria veterotestamen-
taria di puro e di impuro in relazione al culto, applicata alle persone: A. DESTRO - M. PESCE, «La nor-
mativa del Levitico: interpretazioni ebraiche e protocristiane», in Annali di storia dell'esegesi 13(1996),
15-37.
80
La traduzione CEI ricalca la Vulgata {«transit enim figura huius mundi»), ma il greco schema
poteva essere reso più fedelmente con «struttura».
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 51

La percezione dell'urgenza dei tempi spiega, infine, perché Paolo, nelle


lettere a lui direttamente ascrivibili, non si soffermi sulla generazione dei figli:
egli, pur mostrando di considerare i figli parte integrante della famiglia cristia-
na (cf. Ef 6,1-4; Col 3,20-21), non mette mai in relazione l'atto sessuale e il
matrimonio con la procreazione: proprio perché l'imminenza deWèschaton
indebolisce il senso del procreare. Nelle lettere pastorali invece, anche a moti-
vo della polemica antignostica, si insiste sul dovere di procreare, come mostra-
no lTm 2,15 (la donna si salva attraverso la teknogonìa) e lTm 5,14 (in cui si
chiede che le giovani vedove si sposino e abbiano figli).

4-2, Il «grande mistero» nella Lettera agli Efesini


Il c. 5 della Lettera agli Efesini è una pietra miliare nella comprensione
del senso della dualità sessuale e del matrimonio, stabilendo un rapporto tra il
matrimonio e il mistero di Cristo e della Chiesa.81 L'epistolario paolino anche
altrove aveva presentato il rapporto dei fedeli con Cristo in forma nuziale (cf.
2Cor 11,2) e aveva instaurato un'analogia tra il ruolo di capo dell'uomo verso
la donna e il ruolo di Cristo verso l'uomo (cf. ICor 11,2), ma qui la dottrina
giunge a maturazione.
La lettera si apre con la proclamazione del grande mistero della volontà
del Padre (1,9) e della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo (1,10). Questa
ricapitolazione si attua con l'unità degli uomini nella Chiesa, nella quale viene
sanata e superata ogni divisione (cc. 2-3). I cristiani, costituiti nell'unità in Cri-
sto, sono chiamati a vivere secondo tale unità, nell'amore reciproco (4,1-6).
L'esistenza cristiana è un'imitazione di Dio e un camminare nella carità al
modo di Cristo (5,1-2) e la forma concreta di questa esistenza è la sottomis-
sione reciproca «nel timore di Cristo» (5,21).
Il concetto di sottomissione reciproca viene quindi esemplificato in tre
aree della vita ordinaria dei cristiani del tempo: la relazione marito-moglie
(5,22-33); il rapporto genitori-figli (6,1-4) e quello padroni-schiavi (6,5-9). In
Ef 5,22-33 si ha, quindi, l'applicazione di un principio generale al caso specifi-
co della vita matrimoniale. In essa la sottomissione reciproca si realizza come
sottomissione della donna all'uomo («come al Signore»: l'uomo simboleggia il

81
La letteratura su questo tema è davvero vasta perché, oltre alle questioni immediatamente
esegetiche, il brano ha importanza per la dogmatica, l'etica e la comprensione della visione del matri-
monio alle origini della Chiesa. Abbiamo trovato molto stimolanti per il nostro discorso alcune pagi-
ne volte a mostrare il valore «politico» del matrimonio e del rapporto fra i sessi nella visione cristiana
in controtendenza con i costumi greco-romani: C. OSIEK - M.Y. MACDONAL, Il ruolo delle donne nel
cristianesimo delle origini. Indagine sulle chiese domestiche, Cinisello Balsamo 2007,169-202.
52 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

Signore) e come amore dell'uomo verso la donna («come Cristo ha amato la


Chiesa e ha dato la sua vita per lei»: la donna simboleggia la Chiesa).
Sottomissione e amore indicano qui la modalità reciproca del donarsi in
Cristo tra marito e moglie. Non è dunque intenzione di Paolo dare norme sulla
gerarchia intrafamiliare, egli vuole - più radicalmente - rileggere la relazione
coniugale «in Cristo». Di fatto questa prospettiva scardina la struttura coniu-
gale improntata alla subordinazione femminile e la supera attraverso il princi-
pio cristiano della sottomissione reciproca.
Una questione rilevante è quella della sacramentalità del matrimonio. Si
è a lungo pensato, infatti, che Efesini attestasse la sacramentalità 82 o, almeno,
vi si alludesse, come dice il Tridentino.83 La Scolastica, nell'elaborare la sua
sacramentaria, fece ricorso a tale testo anche perché il greco mystèrion era
stato tradotto dalla Vulgata con sacramentum. Al v. 31 si cita Gen 2,24: «Per
questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due
formeranno una sola carne». La lettera quindi aggiunge, al v. 32: «Questo
mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa», «Tò mystè-
rion toùto mèga estin, ego de légo eis Christòn kài [eis] ten Ekklesìan».
Il testo può ricevere diverse spiegazioni.84 Prima di tutto si può inten-
dere mystèrion come il senso occulto del passo citato di Gen 2,24: l'unione di
Adamo ed Eva narrata nella Genesi è come un'anticipazione, una figura del-
l'unione di Cristo e della Chiesa. Una seconda spiegazione ritiene che il
matrimonio, già sul piano creaturale, abbia un senso nascosto corrispondente
al progetto divino (mystèrion starebbe per l'ebraico oz e indica qualcosa di
arcano che rimane sconosciuto se non viene manifestato da qualcuno). Paolo
vi aggiungerebbe una connotazione cristiana, affermando che tale densità di
senso appare ancora più vera se vista nella luce non solo della coppia arche-
tipa (Adamo ed Eva) ma anche in quella della coppia escatologica (Cristo-
Chiesa). 85 Un'ultima possibilità riconosce il mystèrion nel legame di Cristo e
della Chiesa: l'unione uomo-donna viene qui considerata in Cristo e nella

82
Così fa intendere un testo di grande autorità del concilio di Firenze (22 novembre 1439):
Decretum pro Armenis (DS 1327): «Septimum est sacramentum matrimonii, quod est signum coniunc-
tionis Christi et Ecclesiae secundum Apostolum dicentem: Sacramentum hoc magnum est ego autem
dico in Christo et in Ecclesia».
83
La Sessio XXIV, 11-11-1563, Doctrina de sacramento matrimonii (DS 1799), dice «innuit»
cioè «allude».
84
Cf. W. KASPER, Teologia del matrimonio cristiano, Brescia 1979, 32. Si vedano anche: J.M.
CAMBIER, «Doctrine paulinienne du mariage chrétien. Etude critique de 1 Cor 7 et d'Eph 5, 21-33 et
essai de leur traduction actuelle»,in Eglise et Théologie 10(1979), 13-59; S.F. MILETIC," One flesh" : Eph.
5,22-24; 5,31. Marriage and the New Creation (Analecta biblica 115), Roma 1988.
85
Cf. DACQUINO, Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia, 1,578-579. Egli propone
questa traduzione del v. 32: «Questo mistero [lett.: il mistero questo] grande è, io però [dé avversativo]
dico [guardando] a Cristo e alla Chiesa». Alla misteriosità del matrimonio naturale si contrappone
quella del matrimonio cristiano.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 53

Chiesa, all'interno cioè del grande mistero della salvezza. In questa prospet-
tiva il matrimonio cristiano viene a porsi come realtà misterica: il matrimonio
è una rivelazione, un segno visibile dell'invisibile mistero che si attua in Cri-
sto e nella Chiesa. Questa interpretazione orienterebbe il testo a una più
diretta preparazione della dottrina cattolica sulla sacramentalità del matri-
monio cristiano.86
Tutte le ipotesi convergono nell'idea che per Paolo l'unione uomo-donna
di Gen 2,24 abbia un rapporto con l'unione Cristo-Chiesa: il progetto genesia-
co acquista nuova profondità e rivela un'intima connessione con il mistero di
Cristo. Il mystèrion fondante, mistero nascosto nei secoli, è l'unità fra Dio e il
mondo in Cristo. Ogni matrimonio nell'ordine creaturale è un mystèrion natu-
rale che si radica nel mystèrion fondante e ne diventa symbolon o sacramento
primordiale; ma solo il matrimonio dei cristiani è mystèrion salvifico, parteci-
pazione piena al mystèrion fondante. Queste riflessioni saranno importanti per
elaborare una teologia della sessualità e per argomentare la qualitas hetero-
sexualis del matrimonio.
Bisogna certamente evitare di imporre al testo sacro categorie teologi-
che che non gli appartengono: Paolo non poteva pensare con le categorie ela-
borate dalla Scolastica, né quindi poteva affermare che il matrimonio fosse
«un segno efficace di grazia». D'altra parte, gli studi esegetici hanno confer-
mato quanto sia appropriata l'asserzione del Tridentino che Ef 5,31-32
«innuit», «fa pensare» alla sacramentalità.87 Secondo Efesini il matrimonio è
una realtà umana che rivela la pienezza del suo significato guardando a Cristo
e alla Chiesa. Gli sposi cristiani non solo partecipano del mistero naturale del
matrimonio, ma essendo «membra del corpo di Cristo» (Ef 5,29) sono la con-
creta realizzazione della relazione fra Cristo e la Chiesa.88
Non possiamo, infine, trascurare il messaggio di Ef 5 per quanto concer-
ne la visione cristiana della vocazione coniugale. Gli sposi cristiani devono
sapere che sono non solo chiamati, ma costituiti ontologicamente come visibi-
lità del rapporto Cristo-Chiesa; la loro verità è dunque in una vita che sia pie-
namente attraversata dall'agàpe dell'unità e della riconciliazione, dalla dona-
zione di Cristo e della Chiesa.89

86
Cf. TETTAMANZI, Il matrimonio cristiano. Studio storico teologico, 74-75.
87
Cf. CONC. TRIDENTINUM, Doctrina de sacramento matrimonii, 1 1 - 1 1 - 1 5 6 3 ( D S 1 7 9 9 ) . Si n o t i
che riguardo alla indissolubilità si afferma che il Creatore «pronuntiavit» (DS 1797) e che Cristo «aper-
tius docuit» (DS 1798), riguardo alla sacramentalità si dice, invece, Paolo «innuit».
88
Si veda uno studio suggestivo: G. MAZZANTI, Teologia sponsale e sacramento delle nozze,
Bologna 20044.
89
Sul valore "politico" del matrimonio e del rapporto fra i sessi nella visione cristiana in con-
trotendenza con i costumi greco-romani: C. OSIEK - M.Y. MACDONAL, Il ruolo delle donne nella Chie-
sa delle origini. Indagine sulle chiese domestiche, Cinisello Balsamo 2007,169-202.
54 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

4.3. La parità fra uomo e donna


La misoginia di Paolo è un luogo comune e, in effetti, ci sono testi che
- a una prima lettura - sembrano confermare questa idea. In ICor 11,2-16 si
dice che la donna deve pregare e profetare a capo coperto, contrariamente
all'uomo. Il testo è complesso, anche perché Paolo ricorre ad argomenti legati
sia alla situazione dei destinatari, sia alla cultura giudaica; tuttavia il testo è
suscettibile di interpretazioni che ne eliminano o ne riducono grandemente
l'apparenza sessista.90
In particolare l'espressione che «il capo [kephalè] della donna è l'uomo»
(11,3) andrebbe letta alla luce del simbolismo di Ef 5,2 (uomo-donna / Cristo-
Chiesa) e nel senso di kephalè come «colui che è all'origine di»: l'uomo è capo
della donna nel senso che se ne prende cura. L'affermazione che la donna è la
dòxa dell'uomo (11,8) non va intesa come se la donna fosse un'immagine divi-
na di secondo grado, bensì nel senso che essa è un onore per l'uomo. Il signifi-
cato del brano viene così sintetizzato da S. Zedda:

Il costume dell'epoca esigeva il velo per le donne. Portarlo era dignità e deco-
ro per la donna, rispetto a sé e all'uomo; non portarlo per qualsiasi motivo
(nel caso delle cristiane di Corinto, per volersi mettere alla pari con l'uomo
anche nel modo di vestire) era dimenticare di essere donna, con scapito della
propria dignità e del rispetto dovuto a sé e all'uomo, quindi, nel caso concre-
to delle assemblee liturgiche, era offendere la santità e le convenienze che
esse esigono. 91

Il velo o, meglio, una particolare acconciatura non sarebbe quindi segno


del potere (exousìa) dell'uomo sulla donna, ma segno della dignità della donna
cristiana e della sua capacità di partecipare attivamente all'assemblea del
culto. In questo senso va la nuova traduzione CEI: «La donna deve avere sul
capo un segno di autorità» (11,10).
Vi sono poi i passi di ICor 14,33-36 e lTm 2,11-12 sul silenzio delle
donne durante le assemblee liturgiche («mulieres in ecclesiis taceant»). La tra-
dizione ha usato questi testi per interdire alla donna il munus docendi e per
provare la sua inabilità al sacerdozio, ma sono probabilmente da mettersi in
rapporto con disordini che turbavano il decoro delle liturgie.

90
M. ADINOLFI, «Il velo della donna e la rilettura paolina di ICor 11,2-16», in Rivista Biblica
23(1975), 147-173; J. MURPHY-O'CONNOR, «1 Corinthians 11:2-16, Once Again», in Catholic Biblical
Quarterly 50(1988), 265-274.
91
S. ZEDDA, Relativo e assoluto nella morale di san Paolo, Brescia 1984,157.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 55

In direzione del tutto opposta a questa misoginia vera o apparente


vanno, in ogni caso, altri luoghi dell'epistolario paolino in cui si afferma chia-
ramente e in contesti di una certa solennità dottrinale la pari dignità fra uomo
e donna in Cristo, a partire dal grido trionfante di Gal 3,28: «In Cristo non c'è
più né maschio né femmina». Sono affermazioni di enorme portata ideale,
soprattutto se collocate nell'ambiente del tempo.
A questo proposito, bisogna mettere in evidenza un'importante applica-
zione della pari dignità dei sessi nei rapporti fra coniugi come sono prospetta-
ti nei codici familiari del Nuovo Testamento (Col 3,18-19; Ef 5,21-33; cf. lPt 3,1-
7): le relazioni intraconiugali sono infatti improntate alla piena reciprocità,
superando la subordinazione unilaterale della moglie al marito che caratteriz-
zava la vita familiare del tempo.92
Per dare un quadro più corretto dell'attitudine di Paolo verso le donne,
dobbiamo ricordare che l'apostolo, soprattutto nella Lettera ai Romani, dimo-
stra di intrattenere rapporti di fraternità e stima con molte donne. Fra queste
ci sono Febe, la diaconessa della Chiesa di Cenere (Rm 16,1-3),93 Prisca o Pri-
scilla che, insieme al marito Aquila, viene detta «collaboratrice in Cristo» (Rm
16,3-5; cf. At 18,1-3.26), Maria «che ha faticato molto» per la comunità (Rm
16,6),Trifena,Trifosa e Perside che «hanno faticato per il Signore» (Rm 16,12),
cioè che hanno svolto un servizio nella comunità (cf. ICor 16,16), e infine Giu-
nia indicata addirittura come «insigne fra gli apostoli» (Rm 16,7).

5. I PECCATI SESSUALI NEL NUOVO TESTAMENTO

Non troviamo nel Nuovo Testamento una trattazione esaustiva dei disor-
dini in campo sessuale, ma alcuni disordini nell'ambito dell'esercizio della ses-
sualità - come l'adulterio - sono condannati con notevole costanza e con sor-
prendente fermezza. 94

92
E. BOSETTI, «Codici familiari: storia della ricerca e prospettive», in Rivista Biblica 35(1987),
129-179.
93
Nel testo originale si trova il termine tecnico e, per giunta, al maschile «diàkonos». La tradu-
zione CEI 1974 aveva «diaconessa». La nuova traduzione CEI occulta l'esplicito e - evidentemente -
imbarazzante «diàkonos» con una vaga perifrasi: «che presta servizio».
94
Si veda un saggio che conserva nel tempo la sua validità: A. HUMBERT, «Les péchés de sexua-
lité dans le Nouveau Testament», in Studia moralia 8(1970), 140-183.
56 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

5.1. L'adulterio
Nella mentalità semitica l'adulterio (in greco moichèia) era la frequenta-
zione di donne sposate con altri, ma nell'insieme del Nuovo Testamento il ter-
mine «adultero» (moichòs) tende a riferirsi tanto agli uomini quanto alle
donne che hanno rapporti extraconiugali.95 L'adulterio è sempre ricordato
negli elenchi dei vizi insieme alle pornèiai (Me 7,21-22; Mt 15,19; ICor 6,9; cf.
Eb 13,4). Nei Sinottici si dice che l'adulterio escluda dalla vita eterna (Me
10,19; Mt 19,18; Le 18,20) e anche Paolo afferma che gli adulteri sono esclusi
dal regno di Dio (ICor 6,9; cf. Eb 13,4).
Tra i testi sull'adulterio particolare importanza riveste Mt 5,27-32, nel
discorso della montagna. Il Signore chiede ai suoi discepoli una «giustizia supe-
riore», cioè un'osservanza più radicale della volontà di Dio, e questa radicalità
chiede di passare dall'esterno all'interno dell'uomo. Non solo non si devono
compiere atti sessuali con la donna di altri, ma non si deve neppure coltivare
nel cuore questo desiderio. La parola evangelica suona esigente: «Avete inte-
so che fu detto: "non commetterai adulterio" [Es 20,14]. Ma io vi dico: chiun-
que guarda una donna per desiderarla [ ( o blèpon gynàika pròs to epithymèsai]
ha già commesso adulterio con lei [ède emòicheusen autèn] nel proprio cuore»
(Mt 5,28). Su questo testo si è soffermato Giovanni Paolo II nelle Catechesi
sull'amore umano. Il papa individua nello sguardo uno straordinario indicato-
re antropologico che consente di penetrare la realtà della concupiscenza e del-
l'adulterio. Un passo tra i più significativi dell'interpretazione del papa lo leg-
giamo nella Catechesi 39:

Lo sguardo esprime ciò che è nel cuore. Lo sguardo esprime, direi, l'uomo inte-
ro. Se in generale si ritiene che l'uomo agisce conformemente a ciò che è (ope-
rati sequitur esse), Cristo in questo caso vuol mettere in evidenza che l'uomo
guarda conformemente a ciò che è: intueri sequitur esse. In un certo senso, l'uo-
mo attraverso lo sguardo si rivela all'esterno e agli altri, soprattutto rivela ciò
che percepisce all'interno. Cristo insegna, dunque, a considerare lo sguardo
come soglia della verità interiore.
Già nello sguardo, nel modo in cui si guarda, è possibile individuare pienamen-
te che cosa sia la concupiscenza. [...] L'uomo, in fondo, commette adulterio ogni
qualvolta avvicina - anche interiormente - la donna come puro oggetto del desi-
derio indipendentemente dalla comunione delle persone, come corpo spogliato

95
Addirittura nei Sinottici e in Paolo le seconde nozze dopo un divorzio vengono equiparate a
un adulterio, a motivo del permanere del precedente vincolo coniugale (cf. Mt 19,9; Me 10,1 lss; Le
16,18).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 57

del suo significato sponsale e non come corpo personale che esiste per significa-
re e compiere la comunione vitale delle persone. 96

Questa ermeneutica fenomenologica del vangelo va certamente oltre la


lettera del testo, ma corrisponde bene alla persuasione cristiana che l'attrazio-
ne erotica e l'unione sessuale siano umanamente significative quando i due
partner si riconoscono e si accolgono come persone.

5.2. La pornèia
La parola greca pornèia indicava in genere la relazione sessuale con una
donna non sposata, in particolar modo la frequentazione delle prostitute,97 ma
poteva indicare in modo più generale l'«impudicizia» o l'«immoralità».98 La
pornèia implica un giudizio severo e gravido di conseguenze per un cristiano
che continui a indulgervi, come mostrano ICor 6,9 ed Ef 5,5 (cf. lTm 1,10; Eb
13,4), dove si dice che i pòrnoi non entreranno nel Regno. Abbiamo già visto i
problemi esegetici con i riflessi dogmatico-disciplinari posti dal termine
pornèia nelle eccezioni matteane (Mt 5,31-32 e Mt 19,9).

5.3. L'omosessualità
Sull'omosessualità abbiamo tre testi in Paolo (Rm 1,26-27; ICor 6,9; lTm
1,10), ma sono di significato controverso, anche perché - come vedremo a suo
tempo - la comprensione dell'omosessualità che avevano gli antichi non corri-
sponde del tutto alla nostra.
In ICor 6,10 si parla di malakòi e di arsenokòitai e si dice che questi,
come i pòrnoi, come gli idolatri, gli adulteri, i ladri, gli avidi, non erediteranno
il regno di Dio. Il senso di tali termini - tradotti rispettivamente dalla Vulgata
con molles e masculorum concubitores - è incerto. Il termine malakòi, almeno
in questo contesto, dovrebbe indicare le persone che servono come partner
passivo in un atto omosessuale, ruolo che, nel mondo greco-romano, era spes-

96
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 167; cf. M. ADINOL-
FI, «Il desiderio della donna in Mt 5,28», in Fondamenti biblici della teologia morale, Brescia 1973,279.
97
F. HAUCK - S. SCHULZ, «Pornèia», in G. KITTEL (ed.), Grande lessico del Nuovo Testamento,
Brescia 1975, X, 1447-1488.
98
In latino di solito tradotta fornicatio. Fornicano viene da fornix che significa «arco» e, quindi,
«luogo sotto una volta» e, per estensione, luogo dove si va con le prostitute.
58 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

so imposto dal padrone a uno schiavo; sembra che arsenokòitai si riferisca a


uomini che, giacendo con altri uomini, svolgano un ruolo attivo."
In Rm 1,26-27 Paolo fa riferimento a «rapporti contro natura» tanto tra
donne quanto tra uomini e, in continuità con la tradizione veterotestamentaria
(Lv 18,22; 20,13), li considera come un male morale grave. In generale, il disor-
dine sessuale, così diffuso nel mondo pagano, è visto da Paolo come segno ed
effetto della lontananza da Dio e della violazione dell'ordine naturale voluto
dal Creatore. In questa prospettiva Paolo indica nell'omosessualità la sintesi di
ogni disordine morale. Il cristiano, rinnovato dall'incontro con il Signore, è
chiamato a vivere anche nel corpo una vita redenta, in piena armonia con la
dignità del suo essere in Cristo.

5.4. La pedofilia
Il mondo antico, biblico ed extrabiblico, non riservava attenzione ai bam-
bini e ai loro diritti. Come vedremo meglio parlando della pedofilia nella
sezione etico-pastorale, era addirittura diffusa nel mondo greco la consuetudi-
ne che ragazzi prepuberi fossero iniziati alla vita sociale attraverso una rela-
zione con un giovane adulto dalla quale non erano esclusi elementi erotico-
sessuali.
Gesù, contrariamente alla mentalità allora dominante, mostra grande
considerazione per i bambini (Mt 19,13-15; Me 10,13-16; Le 18,15-17), li porta
come esempio per coloro che vogliono entrare nel Regno (Mt 18,2-4; Me 9,33-
37; Le 9,46-48) e ha parole dure sullo scandalo contro «uno di questi piccoli»
(Mt 18,6; Me 9,42; Le 17,2). Riguardo alla condanna di chi scandalizza, gli ese-
geti non sono concordi se ci si riferisca a scandali sui bambini (ad esempio, per
abusi sessuali) o non piuttosto se ci si riferisca a chi è occasione di male per
coloro che si sono fatti semplici come bambini.100

99
W.L. PETERSON, «Can ARSENOKOITAI be translated by "Homosexuals" (ICo 6,9, lTm
1,10)», in Vigiliae Christianae 40(1986), 187-191; J. WRIGHT, «Homosexuals or Prostitutes: The meaning
of ARSENOKOITAI (ICo 6,9, lTm 1,10)», in Vigiliae Christianae 38(1984), 125-153. La traduzione
CEI 2008 ha - inspiegabilmente - «depravati» e «sodomiti».
100
Propende per questa seconda ipotesi J. DUPONT, Il discorso della montagna, vol. 1, Cinisello
Balsamo 1972.
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 59

5.5. La masturbazione
Non sembra che nel Nuovo Testamento si parli mai della masturbazio-
101
ne. L'interpretazione del malakòi di ICor 6,9 come riferito alla masturba-
zione o - in latino - mollities oggi in genere non è più accettata dagli esegeti.102

101
II riferimento alla masturbazione viene ripreso in: J. BOSWELL, Christianity, Social Tolerance
and Homosexuality, University of Chicago, Chicago 1980,106-107. Si badi, però, che l'opera è destina-
ta a dimostrare la tesi che i primi secoli cristiani furono tolleranti verso l'omosessualità e, quindi, tende
a eliminare tutto ciò che può suonare condanna verso l'orientamento omosessuale.
102 N e l Vecchio Testamento l'unico testo che può far pensare alla masturbazione è Sir 23,16b
dove si parla di «un uomo impudico nel suo corpo». L'episodio di Onan in Gen 38 si riferisce al coitus
reservatus e Onan, inoltre, non è punito per questo, ma per la sua trasgressione alla legge del levirato.
2
IL MODELLO TRADIZIONALE
DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE

L'attitudine ideale verso la sessualità contenuta nelle Scritture, accolta e


interiorizzata dalla comunità cristiana, plasmava Vethos cristiano che, attraver-
so gli strumenti linguistici messi a disposizione dalla cultura umana, si andava
strutturando in una peculiare forma etica. L'incontro dei credenti con il van-
gelo e la traduzione dello spirito evangelico in uno stile di vita nuovo non
avvennero, infatti, in un vuoto assoluto, ma si realizzarono all'interno di un
preciso contesto storico-culturale, quello dell'area mediterranea unificata poli-
ticamente dall'autorità imperiale romana e culturalmente dalla civiltà greco-
romana.
La Chiesa dei primi secoli dovette confrontarsi con la cultura ellenistica,
con la legislazione romana e con la realtà articolata e composita della società
imperiale. La comunità cristiana, a partire dal suo ethos, dovette elaborare con-
crete strategie di azione e darsi orientamenti normativi generali in risposta alle
sfide del suo tempo. È attestato largamente da fonti pagane, letterarie e giuri-
diche che, nell'età imperiale, ci fu una caduta generale del livello morale della
società con la disgregazione dell'istituto familiare, con l'esaltazione ossessiva
del sesso sia omo sia eterosessuale, con la diffusione incontrollabile di pratiche
immorali. Anche all'interno del mondo greco-romano si opponevano alla men-
talità e al costume dominante movimenti di segno contrario, connotati da un
senso etico nobile e austero. Filosofie come lo stoicismo, il neopitagorismo, il
medio e più tardi il neoplatonismo aprivano prospettive di stupefacente rigo-
re morale, fin quasi all'ascetismo, e con esse il cristianesimo non mancò di
avvertire intime consonanze, dimostrando un notevole spirito di discernimen-
to e un'incredibile capacità di assimilazione.
Di fatto il cristianesimo, nella sua diffusione, disegnò una trama dinami-
ca di alleanze e di opposizioni, culturali e morali, inserendosi tra le contraddi-
zioni e i contrasti del suo tempo con una proposta etica esigente e spesso scon-
62 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

volgente.1 Se, quindi, il costume cristiano si pose in cosciente ed esplicita anti-


tesi con la mentalità e gli usi pagani, d'altra parte il nascente pensiero cristia-
no cercò nel mondo pagano i moduli linguistici e gli strumenti interpretativi
che meglio si prestassero a pensare le sue persuasioni e a dare forma all'ethos
cristiano.
Come già avevano fatto gli ebrei rispetto all'universo religioso e cultura-
le circostante, i cristiani rifiutarono in blocco la religione pagana, le sue favole
e le sue mitologie, così come avvertirono una profonda antitesi tra l'edonismo
pagano e il loro ascetismo, tra l'uso naturalistico dei piaceri e la dimensione
vocazionale che attribuivano alla sessualità matrimoniale e procreativa. Essi
presero, pertanto, le distanze dalle interpretazioni misteriche della sessualità
tipiche della religiosità pagana e trovarono maggiori sintonie con le interpre-
tazioni elaborate dall'antropologia sessuale di ascendenze medico-filosofiche,
soprattutto quella stoica e aristotelica, confluite in quella filosofia popolare
che costituiva un sottofondo comune della cultura prevalente.
Può sembrare paradossale, ma il rivoluzionario messaggio cristiano, pro-
prio per essere comprensibile nella sua stessa carica rivoluzionaria dal mondo
greco-romano, dovette essere pensato attraverso il filtro dell'antropologia
classica: da questa interazione prese forma - con inevitabili incoerenze, adat-
tamenti e frizioni - quello che chiameremo il modello tradizionale di antropo-
logia ed etica sessuale cristiana.

1 • L'ANTROPOLOGIA SESSUALE CLASSICA

Il pensiero antico sulla sessualità mantiene nel suo sottofondo una forte
caratterizzazione cosmonaturalistica che permette al mondo classico un
approccio non colpevolizzante e, alla fine, non problematico agli aphrodisia,
ma che non riesce a mettere in risalto le valenze personalistiche della sessua-
lità umana.
L'antropologia cristiana assumerà i motivi conduttori dell'antropologia
sessuale classica (il sesso finalizzato alla procreazione, il sesso come realtà cor-

1
Per approfondire: R. CANTALAMESSA (ed.), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini, Milano 1976; C. MOUNIER, Mariage et virginità dans VEglise ancienne (Ier-IIIe siècles), Berne
1987; L. PADOVESE, Cercatori di Dio. Sulle tracce dell'ascetismo pagano, ebraico e cristiano dei primi
secoli, Milano 2002; S. PANIMOLLE (ed.), Dizionario di spiritualità biblico-patristica, 43: Matrimonio-
famiglia nei Padri, Roma 2006; B. PRETE, Matrimonio e continenza nel cristianesimo delle origini. Stu-
dio su ICor 7,1-40, Brescia 1979; C. SFAMEMI GASPARRO et al., La coppia nei Padri, Milano 1991.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 63

porea, la superiorità naturale del maschio sulla femmina), ma avvertirà un


forte disagio per i limiti intrinseci di questa concezione. La frizione fra i due
mondi si renderà drammaticamente evidente in sant'Agostino.

1.1. L'interpretazione mitica della sessualità


Nell'immaginario collettivo del mondo pagano, quale sfondo remoto
delle interpretazioni della sessualità proprie della filosofia e della medicina,
troviamo spiegazioni mitiche che attribuiscono alla sessualità significati di tipo
cosmico-religioso. Dai culti di fecondità dell'isola di Creta, centrati su divinità
femminili ctonie in dialettica con la potenza virile simboleggiata dal toro, attra-
verso le avventure sessuali degli dèi dell'Olimpo sino ai riti orgiastici che
accompagnavano i misteri di Dioniso, Attis e Cibele, la religiosità classica
appare segnata profondamente dalla presenza dell'elemento sessuale. La dua-
lità sessuale maschio-femmina evoca il limite e l'antitesi fondamentale dell'es-
sere, la dialettica della vita e della morte, ed è essa stessa intimamente legata
alla danza cosmica della vita e della morte.
In contesto cosmico-religioso si colloca uno dei più suggestivi tentativi di
spiegare il significato ultimo della sessualità umana: il mito dell'androgino. 2 Il
mito è sviluppato ampiamente nell'orfismo, un complesso movimento religio-
so le cui testimonianze letterarie più antiche risalgono al VI secolo a.C. e che
ebbe l'apogeo in età tardoellenistica. Il mito ricevette una veste letteraria pre-
stigiosa da Platone nel contesto del Simposio, il dialogo sull'amore. 3
L'androgino (dal greco anèr, «maschio», e gynè, «femmina») è un essere,
come dice il nome, contemporaneamente maschile e femminile: egli rappre-
senta la totalità indifferenziata, Vuno-tutto preesistente che, attraverso un dive-
nire dialettico, si riverbera nei diversi aspetti del mondo. All'inizio di tutto il
reale sta appunto la frantumazione dell "unità primordiale bisessuata in molte-
plici coppie di contrari, delle quali cielo-terra, a livello cosmico, e maschio-fem-
mina, a livello umano, sono i prototipi. Da queste scaturiscono tutte le polarità
che intessono e costruiscono l'universo: caldo-freddo, secco-umido, sinistra-

2
Si veda: D. DI MEGLIO, L'invisibile confine. Ermafroditismo e omosessualità, Roma 1990; M.
ELIADE, Mitul Reintegrarli, Bucuresti 1942 (trad. it. Il mito della reintegrazione, Milano 31989); A. MAR-
CHETTI (ed.), In forma di parole - L'androgino. Invenzioni sul mito, 1995; E. ZOLLA, The Androgyne.
Fusion of the Sexes, London 1980 (trad. it. L'androgino. L'umana nostalgia dell'interezza, Como 1989).
3
PLATONE, Simposio, 189c-193d. Sul tema dell'androgino in Platone: K.J. DOVER, «Aristopha-
nes' Speech in Plato's Symposium», in Journal of Hellenic Studies 86(1966), 41-50; G.L. KOUTROUM-
BOUSSIS, «Interpretation der Aristophanesrede in Symposion Piatons», in Platon 20(1968), 194-211; C.
SALMAN, «Anthropogony and theogony in Plato's Symposium», in Classical Journal 86(1990), 214-225.
64 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

destra, retto-curvo, sopra-sotto, notte-giorno. 4 Non solo quindi viene spiegato


il senso ultimo del dimorfismo e dell'unione sessuale, che rinnova l'indivisa
unità primordiale, ma la stessa dualità sessuale, densa di significati arcani, può
diventare l'archetipo di ogni alterità, la chiave di comprensione della natura
della diversità, la matrice interpretativa del mutevole dispiegarsi dell'universo.
Di conseguenza, l'esercizio della sessualità e le norme che regolano i
comportamenti sessuali venivano direttamente collegati con la conservazione
del cosmo e del suo ordine. C'è una

sintassi dell'amore come esiste una sintassi del linguaggio, proprio perché la ses-
sualità è il linguaggio del corpo così come la parola è il linguaggio della voce. Se
essa si regola secondo il lògos del mito e della liturgia, è fattore di equilibrio e di
ordine cosmico, altrimenti scoppiano gli uragani, si scatenano le tempeste, il
disordine del caos iniziale si impadronisce ancora delle cose.5

1 I l sesso per la generazione


Una concezione comune a tutta l'antropologia classica, ma che fu teoriz-
zata in modo rigoroso dallo stoicismo, è che il sesso umano, similmente al sesso
animale, è finalizzato primariamente alla generazione: secondo le fonti stoiche
il legame fra gàmos e paidopoiìa deve essere ritenuto naturale e inscindibile.6
È vero che gli antichi vedevano nel sesso anche una fonte di piacere di
cui fruire senza curarsi delle finalità procreative, ma, di fronte alla lettura posi-
tiva del piacere sessuale fatta, per esempio, da Aristotele, gli stoici insegnavano
che il piacere sensibile, incluso quello connesso all'esercizio della genitalità,
rappresenta un momento di irrazionalità emotiva e un abbandono alla passi-
vità/passionalità (pathos). Il vero sapiente, invece, deve cercare di sradicare da
sé l'eccesso disordinato delle passioni, raggiungendo la apàtheia, per vivere la
sua esistenza secondo il lògos ed essere coerente con la natura dell'uomo. 7
Esclusa, quindi, la ricerca del piacere, l'unico uso naturale e ragionevole del
sesso è la conservazione della specie: il sesso è res speciei. Perciò gli stoici
soprattutto i più recenti, come Musonio Rufo (30-100 d.C.) insegnano che l'e-

4
L'idea che l'universo derivi da coppie di contrari fu ripresa ed elaborata con rigore filosofico
dai pitagorici; cf. ARISTOTELE, Metafisica l,5,986a 22-986b 2.
5
R. BASTIDE, «Comportamento sessuale e religione», in R. VOLCHER (ed.), Dizionario di ses-
suologia, Assisi 1975,618.
6
EPITTETO DI IERAPOLI, Diatribe, 3 , 7 , 2 ; 3 , 1 2 , 7 ; A . M . LUCANO, Bellum civile, 2 , 3 8 7 - 3 9 1 ; MUSO-
NIO RUFO, Reliquiae, 67,6; L.A. SENECA, Consolatio ad Elviam matrem, 13,3.
7
Cf. testi in: H. VON ARNIM (ed.), Stoicorum Veterum Fragmenta, Stuttgart 1905 (rist. 1964), III,
nn. 404,406; cf. A. LAMBERTINO, Valore e piacere. Itinerari teoretici, Milano 2001,44-54.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 65

sercizio della sessualità risponde alla sua logica naturale quando è destinato
alla procreazione e non giustificano pertanto l'attività sessuale degli sterili o
dopo la menopausa femminile, né quella con una donna già incinta perché, essi
dicono, sarebbe come seminare in una terra già seminata. Per lo stesso motivo
condannano le pratiche contraccettive.
Questa impostazione esercitò un sensibile influsso sull'elaborazione
dell'etica sessuale cristiana:8 in occidente, dall'inizio dell'era cristiana sino
all'inizio del XX secolo, fu prevalente una concezione della sessua-
lità/genitalità come realtà finalizzata alla procreazione nel contesto dell'u-
nione monogamica dell'uomo e della donna. È solo dal XX secolo che «l'A-
more diventa la base del sacramento del matrimonio e del modello cristiano
di vita coniugale». 9

1.3. Il sesso nel corpo


La destinazione procreativa della sessualità, così come anche la riduzio-
ne della sessualità a genitalità portavano a ritenere il dimorfismo sessuale del
tutto accidentale ed estrinseco alla realtà intima della persona, comunque que-
sta idea venisse declinata all'interno dei diversi paradigmi antropologici. Per i
platonici, fortemente dualisti in antropologia, l'uomo è la sua anima, mentre il
sesso è confinato nel soma, ma anche per gli stoici, che propugnavano un'an-
tropologia monista, esiste un'opposizione etica nell'uomo, quella fra sesso e
lògos.
Per gli antichi esiste una dicotomia radicale fra valori personali e sessua-
lità biologica, come mette acutamente in evidenza Virgilio Melchiorre:

Il dualismo presupposto ad una fondazione fisiologica della questione sessuale


sta nel considerare la sessualità come un in sé già compiuto nel suo eidos, nel suo
disegno essenziale. Che qui si tratti della sessualità umana è quindi del tutto acci-
dentale: l'umanità dell'uomo non sta nel sesso, semmai solo nel suo prodotto. E
la natura del sesso sta appunto nella finalità che gli è immanente, quella di pro-
durre l'uomo: le sue regole non possono essere che quelle della sua produttività.

8
Per il rapporto fra stoicismo ed etica patristica: C. NARDI, L'eros nei Padri della Chiesa. Sto-
ria delle idee, rilievi antropologici, Firenze 2000,41-62; J.T. NOONAN JR., Contraception. A History of Its
Treatment by the Catholic Theologians and Canonists, Cambridge (Mass.) 1966, 46-85; M. SPANNEUT,
«Le stoi'cisme des Pères de l'Église, de Clément de Rome à Clément d'Alexandrie», in Patristica Sor-
boniensia, Paris 2 1969,1; ID., «Les normes morales du stoi'cisme chez les Pères de L'Église», in Studia
Moralia 19(1981), 153-175.
9
J.E FLANDRIN, Il sesso e l'occidente. L'evoluzione del comportamento e degli atteggiamenti,
Milano 1983,102.
66 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Il carattere naturalistico e quindi dualistico di questa prospettiva non si trova, a


ben vedere, nell'uso del concetto di natura, bensì in quello di una natura in sé del
sesso, rispetto alla quale il predicato dell'umano sarebbe irrilevante.10

Attraverso la filosofia tardo-antica queste idee giunsero ai Padri della


Chiesa che le utilizzarono come strumento interpretativo della sessualità
all'interno del discorso teologico.
Origene, influenzato dall'esegesi di Filone Alessandrino, insegnò che
l'homo imago Dei creato nel sesto giorno non presentava le distinzioni ses-
suali, che furono aggiunte in seguito, dopo il peccato e la cacciata dal paradiso
terrestre. Se l'uomo non avesse peccato, si sarebbe moltiplicato mediante una
modalità asessuata, del tutto spirituale.11
Secondo il Nisseno, la creatura umana è situata a metà strada fra la natu-
ra divina, che è incorporea, e la natura animale, legata alla corporeità; il dimor-
fismo sessuale viene dalla natura animale ed è confinata nel corpo, mentre la
ragione e l'intelletto sono indipendenti da ogni distinzione sessuale:

Dalla natura divina vengono la ragione [tò logikòn] e l'intelletto [tò dianoetikòn]
in cui non c'è nessuna distinzione sessuale; dalla natura irrazionale [alògou] ven-
gono questa struttura e questo aspetto corporeo segnato dalla differenza ses-
suale.12

Anche per lui, come più tardi per Giovanni Crisostomo, se l'uomo non
avesse peccato, il genere umano si sarebbe moltiplicato senza l'unione carna-
le, in un modo spirituale. Ma allora perché Dio creò sin dall'inizio i due sessi?
Gregorio risponde sottolineando che, secondo Gen 1,26-27, dapprima fu crea-
to l'homo imago, che non ha distinzione di sesso (autòn al singolare) e in un
secondo momento l'homo somaticus distinto nei due sessi (autòus al plurale):
la distinzione sessuale fu aggiunta dal Creatore all'uomo perché, nell'eventua-
lità che questi fosse decaduto dalla sua condizione paradisiaca e spirituale, non
gli venisse a mancare uno strumento di propagazione della sua specie: l'uomo
«si abbrutì, dopo che cominciò a moltiplicarsi al modo dei bruti, venendo meno
la sua altezza e lasciandosi cadere verso la condizione di una natura più gros-
solana».13 La sessualità umana, non è dunque, per questi autori, una realtà ori-
ginaria ed essenziale, ma secondaria e accidentale.

10
V. MELCHIORRE, Corpo e persona, Genova 2 1991,95.
11
Cf. ORIGENE, In genesim homiliae 1,15: PG 12,158.
12
GREGORIO DI NISSA, De opificio hominis 1 6 - 1 7 : PG 44,188-192.
13
GREGORIO DI NISSA, De opificio hominis 17.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 67

1A• Il monosessismo
Era acquisizione pacifica per la mentalità ellenistica che l'espressione
piena e perfetta della persona umana si ritrovasse nel maschio adulto e libero,
e gli stessi filosofi, con l'eccezione forse di Platone, non solo registravano la
situazione politica, sociale e culturale vigente, caratterizzata da spiccato
maschilismo e da forti limitazioni nei diritti della donna, ma spesso cercavano
anche di giustificarla razionalmente.14 Questa impostazione androcentrica del
problema delle differenze fra i sessi, per la quale il maschio è in qualche modo
preminente, compiuto, originario, mentre la donna è subordinata, imperfetta,
derivata (monosessismo maschilista), trovò autorevoli conferme nella medici-
na e nella filosofia naturale. 15
L'antropologia sessuale di Aristotele è, a questo proposito, davvero
esemplare. 16 Lo stagirita insegna nella Metafisica che uomo e donna, pur rap-
presentando una coppia di contrari, non sono diversi per specie (eidos). «Le
contrarietà che riguardano la forma», egli scrive, «producono differenza di spe-
cie, mentre quelle che esistono solo nel composto concreto non le produco-
no».17 Uomo e donna, pur appartenendo alla stessa specie (eidos) umana, sono
diversi e contrari perché devono svolgere funzioni diverse e complementari in
vista dell'unico tèlos della riproduzione. Non hanno un eidos diverso, ma
hanno un diverso lògos, una diversa realizzazione concreta, del medesimo
eidos: «Maschio e femmina si distinguono rispetto al lògos, per il fatto di avere
ciascuno due facoltà diverse».18

14
L. MALONEY, «Le argomentazioni a favore della differenza delle donne nella filosofia classi-
ca e nel cristianesimo primitivo», in Concilium 27(1991), 819-829.
15
T. LAQUEUR, Making Sex. Body and Gender from Greeks to Freud, Harvard 1990 (trad. it. L'i-
dentità sessuale dai Greci a Freud, Bari 1992, 33-81).
16
Aristotele affronta questi temi nel De generatione animalium e nella Historia animalium', cf.
S . R . L . CLARK, « A r i s t o t l e ' s W o m a n » , i n History of Political Thought 3 ( 1 9 8 2 ) , 1 7 7 - 1 9 1 ; M . K . HOROWITZ,
«Aristotle and Women», in Journal of History of Biology 9(1976), 186-213; J. MORSINK, «Was Aristo-
tle's Biology Sexist?», in Journal of History of Biology 12(1979), 83-112; S. SAID, «Féminin, femme et
femelle dans les grands traités biologiques d'Aristote», in E. LÉVY (ed.), La femme dans les sociétés
antiques. Actes des colloques de Strasbourg (mai 1980 et mars 1981), Strasbourg 1983,93-123; J. SIHVO-
LA, Aristotle on Sex and Love, in M.C. NUSSBAUM - J. SIHVOLA (eds.) The Sleep of Reason. Erotic Expe-
rience and Sexual Ethics in Ancient Greece, Chicago 2002,200-221.
17
ARISTOTELE, Metafisica, 10,9,1058b 3; M. DESLAURIERS, Sex and Essence in Aristotle's
Metaphysics and Biology, in C.A. FREELAN (ed.), Feminist Interpretations of Aristotle, University Park
(Pennsylvania) 1998, 138-167; cf. B.M. GARETH, «Gender and Essence in Aristotle», in Australasian
Journal of Philosophy 64(1986), suppl., 16-25.
18
ARISTOTELE, De generatione animalium, 1,2,716a 47-49. L'espressione «katà mèn tòn logon»
è controversa. Nella versione italiana curata da Vegetti e Lanza essa è tradotta con l'avverbio «con-
c e t t u a l m e n t e » (cf. ARISTOTELE, Opere, a c u r a di M . VEGETTI - D . LANZA, R o m a - B a r i 1 9 9 0 , V, 1 5 5 ) .
Matthew Gareth spiega: «Essence, to ti en einai, and eidos, form or species, are inextricably linked;
either it is only the species or form itself, the eidos, that has an essence, and its essence is given in the
logos of that eidos, or else individuals do have essences and their essence is given exhaustively in the
logos of their eidos» (GARETH, «Gender and Essence in Aristotle», 20-21).
68 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

La differenza fra maschio e femmina è, dunque, legata a una loro


diversa funzione e destinazione in vista del processo generativo. Si tratta
però - come sottolinea la Metafisica - di una differenza essenziale e non acci-
dentale perché è un proprium degli animali essere maschio o femmina. 19 La
differenza funzionale tende, perciò, a sfumare in una distinzione ontologica
anche se non giunge a costituire una vera e propria differenza ontologica.20
Nella generazione del nuovo individuo la diversità di funzioni del
maschio e della femmina si dimostra davvero grande: usando, infatti, una delle
coppie fondamentali della sua metafisica, Aristotele descrive la relazione fem-
mina-maschio rispetto alla generazione in stretta analogia a quella di materia-
forma, in cui l'uomo è forma, principio di attività, e la donna materia, passività,
semplice potenzialità.21 Nella generazione del nuovo individuo concorrono un
elemento attivo, che è contenuto nel seme maschile, e un elemento passivo,
materiale, che è fornito dal sangue mestruale della femmina. Infatti, a causa del
maggiore calore naturale, solo il maschio è in grado di elaborare il sangue e di
cuocerlo sino a farlo diventare il fluido seminale, mentre la donna, più fredda,
non ne è capace: per questa sua incapacità di produrre seme, «una donna asso-
miglia ad un uomo sterile».22 La donna, pur appartenendo alla stessa specie
(eidos) dell'uomo, non realizza concretamente, in quanto individuo, la perfe-
zione dell 'eidos.23 Essa è come un maschio mutilato, come un maschio man-
chevole della sua perfezione, secondo la celebre definizione «femina est mas
laesus»: «In effetti la femmina è come un maschio mutilato [Tò gàr thèlu
hòsper arren estin peperòmenon], e i mestrui sono un seme, ma che non è puro;
una sola cosa gli manca, il principio dell'anima». 24
Resta però ancora da spiegare come mai dall'unione di un uomo e di una
donna nascano ora soggetti di sesso maschile ora soggetti di sesso femminile.
Infatti ci si aspetterebbe che la virtus generativa del maschio plasmasse e infor-
masse la materia inerte della femmina per riprodurre un essere simile al padre,
secondo l'assioma che «omne agens agit sibi simile». Aristotele, nell'ambito
della sua filosofia della natura, poteva trovare una spiegazione plausibile
anche per questo. Mentre infatti il singolo individuo tenderebbe a essere sem-
pre di sesso maschile, la natura prevede anche la possibilità che, per motivi

19
ARISTOTELE, Metafisica 10,9,1058a 29.
20
Cf. S. VEGETTI FINZI, «Topologia della sessualità e cancellazione del femminile», in Aut-Aut
177-178(1980), 35ss.
21
ARISTOTELE, De generatione animalium l,21,729b 12-18.
22
ARISTOTELE, De generatione animalium L,20,728a 17-18.
23
Cf. L.A. DEAN JONES, Women's Bodies in Classical Greek Science, Oxford 1994, 182: «Ari-
stotles [...] could not allow the difference in sexual logos to set woman apart from man in a separate
eidos [...] He resolved the impasse by saying that although woman belong to the species anthropos,
she did not achieve the perfect eidos as a man did».
24
ARISTOTELE, De generatione animalium 2,3,737a 27-29.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 69

accidentali sia intrinseci sia estrinseci al seme (ad esempio maggiore o minor
vigore del seme, tempo, luogo, clima), nascano femmine perché sono indispen-
sabili alla riproduzione. La generazione di una femmina è una deviazione, ma
una deviazione necessaria: «La prima deviazione è nascere femmina e non
maschio, ma questo è necessario alla natura, perché si deve conservare il gene-
re degli animali in cui la femmina ed il maschio sono individui distinti».25 La
donna, sotto questo riguardo, è da ritenersi una produzione imperfetta della
natura. La natura, infatti, tende a produrre sempre ciò che è perfetto e, di fatto,
lo produrrebbe sempre se non intervenissero elementi interferenti.
La tradizione medievale, inclusa quella tomista, rimase fedele alla dot-
trina aristotelica e ripeterà che la femmina è un maschio mancato, un maschio
deficitario, un «mas laesus».26 La scuola francescana privilegerà, invece, le opi-
nioni della medicina e, segnatamente, quelle di Ippocrate e Galeno che ammet-
tevano un seme femminile, ancorché più debole, e sarà portata a una valuta-
zione più positiva della femminilità.27

2- CARATTERI SALIENTI DELL'ETICA SESSUALE PATRISTICA

I cristiani avvertirono fin dall'inizio che la loro esperienza di fede si tra-


duceva in uno stile di vita sessuale e familiare controcorrente rispetto alla
società pagana e, anzi, la purezza dei loro costumi diventava un argomento
apologetico e di testimonianza di grande rilievo. Si legge, a tal proposito, nella
Lettera a Diogneto, risalente alla metà del II secolo:

I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli
altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differen-
zia, né conducono un genere di vita speciale [...]. Si sposano come tutti e gene-
rano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il
letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. 28

25
ARISTOTELE, De generatione animalium 4,3,767b 8-10.
26
Cf. M. NOLAN, «The aristotelian background to Aquinas's denial that "Woman is a defective
male"», in The Thomist 64(2000), 21-69.
27
Si vedano E.T. HEALY, Woman according to St.Bonaventure, Erie (Penn.) 1965; L. SILEO,
«Filosofia, medicina e teologia. Il concepimento di Maria nella svolta teoretica di Duns Scoto», in M.
CARBAJO NÜNEZ (ed.), Giovanni Duns Scoto. Studi e ricerche nel VII centenario della morte, Roma
2007, II, 39-89.
28
Lettera a Diogneto 5,1-2.6-8 (cf. A. QUACQUARELLI [ed.], I Padri apostolici, Roma 2001,356).
70 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Non potendo soffermarci su singoli autori o momenti del pensiero patri-


stico, ci limiteremo a mettere in luce alcuni tratti, a nostro avviso, più significa-
tivi dell 'ethos cristiano dei primi secoli riguardo alla sessualità e al matrimonio.29

2.1. Rifiuto di rigorismo e di lassismo


I Padri combattono i movimenti settari che rifiutano o disprezzano la
sessualità e il matrimonio. Essi condannano perciò ogni deviazione encratica e
il rigorismo del montanismo, del novazianismo, del priscillianesimo ecc. D'al-
tra parte mostrano una decisa avversione per ogni posizione anomica e lassi-
sta, che consideri il cristiano come sottratto alla legge e quindi eticamente
indifferenti le realtà connesse con la sessualità e il matrimonio.

2.2. Matrimonio e verginità


I Padri esaltano spesso i valori del matrimonio cristiano. L'integrità
morale degli sposi cristiani soprattutto nell'impegno del mutuo amore, della
fedeltà, dell'accoglienza dei figli viene sottolineata dagli apologisti in funzione
polemica contro la decadenza dell'istituto familiare presso i pagani e verrà poi
sempre riproposta come ideale di vita e di santificazione per i coniugati. Il rico-
noscimento del valore del matrimonio si accompagna all'affermazione della
superiorità della verginità,30 come risulta chiaramente da questo bel testo di
san Giovanni Crisostomo:

Chi condanna il matrimonio, priva anche la verginità della sua gloria; chi invece
lo loda, rende la verginità più ammirabile e splendente. Ciò che appare un bene
soltanto a paragone di un male, non è poi un gran bene; ma ciò che è ancora
migliore di beni universalmente riconosciuti tali, è certamente un bene al massi-
mo grado.31

29
Per approfondire: CANTALAMESSA (ed.), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini; MOUNIER, Mariage et virginità dans l'Eglise ancienne (Ier-IIIe siècles); PRETE, Matrimonio e con-
tinenza nel cristianesimo delle origini, Brescia 1979; SFAMEMI GASPARRO et al., La coppia nei Padri, 151-
170.
30
Fa eccezione Clemente Alessandrino che, nel presentare l'immagine del cristiano come vero
gnostico, sembra porre sullo stesso piano la vita matrimoniale e la enkràteia (Stromata, 3,102,1-4 in
GCS 52,243,8-20); cf. J.-P. BROUDÉHOUX, Mariage et famille chez Clément d'Alexandrie, Paris 1970.
31
GIOVANNI CRISOSTOMO, De virginitate 10: PG 45,540; citato in Familiaris consortio 16.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 71

2.3. Considerazione della donna


L'attitudine dei Padri verso la donna risente molto della misoginia tipica
del mondo antico, sia semitico sia greco-romano, 32 anche se i Padri non man-
cano di riportare esempi di donne che si sono distinte come madri e spose, e
soprattutto come martiri della fede e come consacrate a Dio nella verginità e
nella penitenza ascetica.33

2.4. Matrimonio e procreazione


La legittimazione dell'atto coniugale e del matrimonio è data dalla pro-
creazione. Questa idea, presente già nell'apologista Giustino e accolta all'una-
nimità dai Padri, pur essendo radicata nella Scrittura, viene però tematizzata
ispirandosi alle categorie naturalistiche del pensiero stoico, come meglio
vedremo nel prossimo paragrafo trattando di sant'Agostino. Connesso con
questa idea c'è il rifiuto delle pratiche contraccettive, che solo parzialmente
erano distinte da quelle abortive.34

2.5. Concezione dell'adulterio


L'adulterio è severamente condannato ed è da qualcuno considerato
come la morte del matrimonio (cf. ad esempio Asterio di Amasea). Il marito
offeso deve separarsi; diverso è il caso della moglie offesa giacché l'influenza
della legge romana conduceva a concepire asimmetricamente l'adulterio del-
l'uomo e quello della donna. Di questa situazione è teste autorevole san Basi-
lio che nel canone 21 scrive: «Non abbiamo alcun canone che classifichi [un
uomo sposato] come adultero se il peccato viene commesso con una donna
non sposata». Non manca però una corrente, in cui spiccano Gregorio Nazian-
zeno e Ambrogio, che tende ad affermare la parità di trattamento fra uomo e
donna anche in questo campo.

32
L. MALONEY, «Le argomentazioni a favore della differenza delle donne nella filosofia classi-
ca e nel cristianesimo primitivo», in Concilium 27(1991), 819-829.
33
E.A. CLARK, Women in the Early Church (-Message of the Father of the Church 13), Wil-
mington (Del.) 1983; U. MATTIOLI (ed.), La donna nel pensiero cristiano antico, Torino 1992; C. MAZ-
z u c c o , E fui fatta maschio. La donna nel cristianesimo primitivo (secoli I-III), Firenze 1989; C. OSIEK -
M.Y. MACDONAL, Il ruolo delle donne nella Chiesa delle origini. Indagine sulle chiese domestiche, Cini-
sello Balsamo 2007; F. QUÉRE-JAULMES, La femme. Les grandes textes des Peres de VÈglise, Paris 1968.
34
NOONAN, Contraception. A History of Its Treatment by the Catholic Theologians and Cano-
nists', J.M. RIDDLE, Contraception and Abortion fron the Ancient World to the Renaissance, Cambridge
(Mass.) 1994.
72 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

2,6- Seconde nozze dei vedovi


Sono considerate con sufficienza o addirittura con ostilità le seconde
nozze dei vedovi. Numerosi sono i testi che rivelano questa difficile accetta-
zione.35 In particolare va ricordato il famoso testo di Gregorio Nazianzeno che
ha condizionato fino a oggi la prassi orientale. Esso suona così: «Il primo matri-
monio è regola, il secondo concessione, il terzo trasgressione, oltre il terzo da
maiali» (Oratio 37,8).

2-7- Divorzio e nuove nozze


Riguardo alla possibilità di nuove nozze per i divorziati la testimonianza
dei Padri, latini e greci, non è unanime. A partire dagli anni '70 la controversia
su tale punto si è sviluppata con notevole virulenza.36 Alcuni, in particolare H.
Crouzel, sostengono che i testi che sembrano permettere le seconde nozze dei
divorziati (Ambrosiaster, Basilio, Epifanio) in realtà attestano solo una forma di
tolleranza di tali unioni, ma non il loro riconoscimento da parte della Chiesa.
Soppesando le ragioni contrarie a questa tesi più rigorista, pare si possa
concludere con una certa sicurezza che per i Padri le seconde nozze non
dovrebbero esserci, anche se, allo stato attuale degli studi, non si può afferma-
re con altrettanta sicurezza che essi e le loro Chiese di fatto non riconoscesse-
ro mai tali nozze.

3. SANT'AGOSTINO
ALLE ORIGINI DEL MODELLO TRADIZIONALE

Tra i Padri, Agostino (354-430) emerge in modo particolare: è legittimo


considerarlo non solo il più grande tra i padri latini, ma uno dei padri della cul-
tura occidentale. Il suo genio teologico ha influenzato in misura incalcolabile
tutta la storia successiva della tradizione latina anche per quanto riguarda i

35
Cf. M. VIDAL, Morale dell'amore e della sessualità, Assisi 1973,72.
36
Per approfondire: G. CERETI, Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, Bolo-
gna 1977; H. CROUZEL, L'Église primitive face au divorce. Du premier au cinquième siede, Paris 1971;
ID., «Le remariage apres divorce selon les Pères de l'Église», in Anthropotes 11(1995), 11-17; E.
HAMEL, «Tensione comandamento-possibilità in materia di divorzio e di nuovo matrimonio nella Chie-
sa primitiva», in Rassegna di Teologia 20(1979), 19-25.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 73

temi della sessualità e del matrimonio.37 Chi vuole attaccare o denigrare l'eti-
ca sessuale cristiana, nella forma che ha assunto storicamente, trova in Agosti-
no il bersaglio privilegiato, com'è ben dimostrato dall'esordio del capitolo su
Agostino di un libro molto corrosivo su Chiesa cattolica e sessualità:

Colui che unì l'avversione al piacere e alla sessualità con il cristianesimo facen-
done un'unità sistematica fu il più grande padre della chiesa, sant'Agostino
(morto nel 430). La sua importanza per la morale sessuale del cristianesimo è
indiscussa ed è stata decisiva per la condanna della pillola da parte di Paolo VI
(1968) e di Giovanni Paolo II (1981). Pertanto, per parlare dell'avversione alla
sessualità, si deve parlare di Agostino. 38

Noi cercheremo di accostarci al pensiero di Agostino su sessualità e matri-


monio con un atteggiamento il più possibile oggettivo, mostrandone l'indubbia
grandezza, anche se non potremo nascondere alcuni aspetti conturbanti e meno
convincenti delle sue posizioni. È evidente in lui il bisogno di dare forma con-
creta alla relazione vigente fra sessualità e chiamata umana alla comunione e
all'amore, ma avvertiamo anche gli ostacoli a questo progetto provenienti, alme-
no in parte, dall'antropologia sessuale classica. Dopo aver dato uno sguardo al
contesto polemico in cui opera Agostino, vedremo la sua concezione della ses-
sualità, le sue idee sul matrimonio e l'etica sessuale conseguente.

3.1. Il contesto polemico


Per mettere nella giusta prospettiva le riflessioni agostiniane su sessua-
lità e matrimonio dobbiamo ricordare che esse sono spesso occasionali e,
soprattutto, si collocano prevalentemente in contesti polemici che non sono i
più idonei per esprimere compiutamente il proprio pensiero. In particolare, le
coordinate delimitanti le riflessioni agostiniane su sessualità e matrimonio
sono tre: i manichei, Gioviniano e i pelagiani.

37
1 principali testi agostiniani in: AGOSTINO, Sessualità e amore, il dono reciproco nel matrimonio,
a cura di A. PIERETTI, Roma 1996 (buona introduzione generale e bibliografia); A. TRAPÈ, Sant'Agosti-
no. Matrimonio e verginità (= Opere di Sant'Agostino VII/1), Roma 1978, pp. IX-CIV (l'introduzione
contiene uno status quaestionis sulle principali problematiche connesse a sessualità e matrimonio). Studi
d'insieme: C. BURKE, «Sant'Agostino e la sessualità coniugale», in Annales Theologici 5(1991), 185-206;
E. CLARK (ed.), S. Augustine on Marriage and Sexuality, Washington 1996; P. LANGA, San Agustin y el
progreso de la teologia matrimonial, Toledo 1984; L. DATTRINO, Il matrimonio secondo Agostino, Milano
1996; É. SCHMITT, Le mariage chrétien dans l'oeuvre de saint Augustin, Paris 1983; E-J. THONNARD, «La
morale conjugale selon saint Augustin», in Revue des Etudes Augustiniennes 15(1969), 113-131.
38
U. RANKE-HEINEMANN, Eunuchi per il regno dei cieli. La Chiesa cattolica e la sessualità, Mila-
no 1995 (originale tedesco 1988), 74.
74 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Il manicheismo giudicava negativamente il matrimonio e la sessualità


perché attraverso la procreazione si perpetua la corporeità che a sua volta
deriva dal principio cattivo del cosmo. Perciò i manichei o rifiutavano il matri-
monio o accettavano il matrimonio cercando di evitare la procreazione, pare
ricorrendo al metodo dell'astinenza nei supposti tempi fecondi della donna. 39
Contro le loro idee Agostino compose diverse opere teologiche ed esegetiche
nelle quali riafferma la bontà originaria del corpo e della sessualità, e tempera
alcune posizioni spiritualiste che aveva inizialmente sostenuto:

È la vostra una vera pazzia. Come fate a dire che Cristo apparve fra gli uomini
con una carne falsa e che la Chiesa appartiene a Cristo mentre, quanto ai corpi,
appartiene al diavolo? E che il sesso maschile e femminile sono opera del dia-
volo e non di Dio, e che la carne è unita allo spirito come una sostanza cattiva a
una sostanza buona? 40

Gioviniano invece metteva sullo stesso piano «il merito delle vergini
consacrate e la pudicizia coniugale» e accusava la Chiesa cattolica di avere una
visione negativa del matrimonio e della sessualità. La sua predicazione era
molto persuasiva e a Roma era riuscito a far sposare alcune donne che aveva-
no professato la verginità. Per questo motivo fu condannato da papa Siricio nel
392 e fu attaccato da Girolamo e Agostino. Nelle opere contro Gioviniano,
soprattutto nel De sancta virginitate (400-401) e nel De bono viduitatis (414),
Agostino difese la superiorità della verginità, evitando però di disprezzare il
matrimonio e mostrandone il significato nel progetto di Dio sull'uomo. Nel De
bono coniugali (400), anzi, giunge a ridimensionare alcune affermazioni un po'
forti contenute nelVAdversus lovinianum di Girolamo e spiega in che cosa
consista il bene del matrimonio. 41
I pelagiani, in sintonia con la loro attitudine ottimista sulla natura
umana, sostenevano che non si possono dare vere nozze senza l'esercizio della
genitalità e inoltre che l'istinto o desiderio sessuale non ha in sé alcun male, ma
che anzi, proprio perché naturale, è in sé buono. Polemizzando con loro e
soprattutto con Giuliano di Eclano, nel De nuptiis et concupiscentia (419) e nel
Contra Julianum (421), Agostino sarà portato a sottolineare gli effetti deva-

39
Cf. AGOSTINO, De moribus ecclesiae catholicae 2,28,65. Qualcuno ha pensato che Agostino
volesse fare una condanna ante litteram dei metodi naturali ma, in effetti, egli stigmatizzava l'intenzio-
ne antiprocreativa dei manichei, non il metodo in quanto tale. Si veda: D. Covi, «El fin de la actividad
sexual segün san Agustin», in Augustinus 17(1972), 47-65 (soprattutto 59); D. FAUL, «St. Augustine on
the marriage», in Augustinus 12(1967), 165-180 (soprattutto p. 170).
40
AGOSTINO, De continentia 9,23.
41
D.G. HUNTER, «Augustinian Pessimism? A New Look at Augustine's Teaching on Sex, Mar-
riage and Celibacy», in Augustinian Studies 25(1994), 153-177.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 75

stanti del peccato originale sulla sessualità e la procreazione, elaborando infi-


ne due concetti fondamentali per delineare il suo modello di etica sessuale.42 Il
primo consiste nell'evidenziare che l'elemento essenziale del matrimonio cri-
stiano sta nel legame d'amore degli sposi. Il secondo è la distinzione tra l'i-
stinto sessuale orientato alla procreazione, che è buono, e la concupiscenza
della carne orientata al piacere, che è cattiva.

3.2, Il naturalismo sessuale


Agostino condivide con il mondo classico e con la teologia patristica la
convinzione che la sessualità umana e, quindi, i due sessi esistono per la pro-
creazione. In questo la sessualità umana non è diversa dalla sessualità anima-
le: entrambe sono, infatti, finalizzate al bene della specie, la salus generis. Scri-
ve nel De bono coniugali: «Ciò che è il cibo per la conservazione dell'indivi-
duo, questo è l'unione sessuale per la conservazione della specie».43
Egli dapprima abbracciò la concezione spiritualistica del matrimonio
paradisiaco, che abbiamo visto presente in Origene, nel Nisseno e persino nel
Crisostomo.44 Nelle opere più mature egli insegnò che le nozze fisiche e la pro-
creazione corporea fanno parte sin dall'origine dello statuto ontologico del-
l'uomo e che, di conseguenza, la creazione del maschio e della femmina rispon-
de alla volontà del Creatore ed è ordinata alla procreazione. Se in alcuni con-
testi - come vedremo - Agostino insiste sulla relazione interpersonale degli
sposi, altrove egli insegna esplicitamente che la dualità dei sessi, maschile e
femminile, è funzionale alla procreazione.
Dovendo spiegare la nota espressione «adiutorium simile sibi» di Gen
2,18, afferma che il ruolo di aiuto della donna rispetto all'uomo deve riferirsi
soltanto alla procreazione: «Non in aiuto per un'opera qualunque, dal momen-
to che in qualsiasi altra opera un uomo è aiutato più convenientemente da un
altro uomo piuttosto che da una donna, ma in aiuto alla generazione».45
Coerentemente con la sua visione della sessualità e fondandosi sull'au-
torità della Rivelazione, specialmente su lTm 2,15 e sulla sua lettura di Gen

42
P. BROWN, «Sexuality and Society in the Fifth Century a.D.: Augustine and Julian of Eclanum»,
in E. GABBA (ed.), Tria corda. Scritti in onore di Arnaldo Momigliano, Como 1983, 49-70; M. MESLIN,
«Sainteté et mariage au cours de la second querelle pélagienne», in Mystique et Continence, 293-307.
43
AGOSTINO, De bono coniugali 16,18: «Quod enim est cibus ad salutem hominis, hoc est con-
cubitus ad salutem generis».
44
D. Covi, «L'etica sessuale paradisiaca agostiniana», in Laurentianum 13(1972), 340-364; J.
DOIGNON, «Une définition oubliée de l'amour conjugal édénique chez Augustin: piae caritatis adfectus
(Gen. ad litt. 3 , 2 1 , 3 3 ) » , i n Vetera Christianorum 19(1982), 25-36.
45
AGOSTINO, De Genesi ad litteram 9,5,8; cf. TOMMASO D'AQUINO, STh I, q. 92, a. 1.
76 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

2,18, Agostino insegna che «la procreazione dei figli è la ragione prima e legit-
tima delle nozze».46 Essa viene anche corroborata - com'era l'uso dell'orato-
ria latina - con il richiamo al consenso dei popoli e in particolare con la tradi-
zione giuridica romana delle tabulae nuptiales. Agostino non manca a questo
proposito di far notare che la stessa etimologia di «matrimonio», derivante da
matris munus («dovere della madre»), richiama il dovere di procreare: «il
matrimonio è così chiamato perché per nessun altro motivo si deve sposare
una donna se non per diventare madre». 47

3.3. Il matrimonio nella luce della Caritas


Il naturalismo non esaurisce la dottrina agostiniana e sarebbe riduttivo
affermare che il modello agostiniano di etica sessuale e matrimoniale sia natu-
ralista simpliciter. Secondo Agostino, l'elemento costitutivo ed essenziale del
matrimonio è il legame coniugale, il quale pone la vita coniugale cristiana nella
prospettiva dell'ordo amoris. La procreazione in effetti può anche non attuar-
si, come accade in un matrimonio fra persone anziane o per sterilità o nel caso
di un voto di astinenza perpetua da parte della coppia, ma non per questo il
matrimonio cessa di esistere, purché si realizzi il bene essenziale della «amica-
lis quaedam et germana coniunctio e della naturalis in diverso sexu societas».48
Scrive nel De bono coniugali:

Mi pare che [il valore del matrimonio] non sia legato solo alla procreazione dei
figli, ma alla stessa società naturale fra i due sessi. Altrimenti non si potrebbe
parlare di matrimonio tra i vecchi, soprattutto nel caso che avessero perduto i
figli o non ne avessero avuti del tutto.
In un buon matrimonio, anche se gli sposi sono avanti negli anni, quantunque sia
venuto meno il giovanile ardore passionale tra il maschio e la femmina, tuttavia
persiste vigoroso l'affetto reciproco tra marito e moglie.49

Per lo stesso motivo devono essere ritenute vere, anzi esemplari per gli
sposi cristiani le nozze fra Maria e Giuseppe, benché vissute nell'assoluta con-
tinenza. Si legge nel De consensu evangelistarum:

46
AGOSTINO, De coniugiis adulterinis 12,12.
47
AGOSTINO, Contra Faustum 19,26.
48
Le due espressioni si trovano nel De bono coniugali (rispettivamente 1,1 e 3,3); cf. AGOSTI-
NO, De sermone montano 1,15,42.
49
AGOSTINO, De bono coniugali 3,3.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 77

Con questo esempio [delle nozze fra Maria e Giuseppe] si mostra ai fedeli spo-
sati che, anche conservando di comune accordo la continenza, si possa restare ed
essere chiamati coniugi, non a motivo dell'unione del sesso corporeo, ma per la
custodia dell'affetto spirituale.50

La Caritas coniugalis, che è l'amore cristiano fra gli sposi, per attuarsi ed
esprimersi non ha bisogno assoluto della fecondità fisica e neppure dell'eser-
cizio della sessualità. Tuttavia, anche per Agostino, l'ideale della continenza nel
matrimonio deve restare subordinato al debitum coniugale. Perciò, nella lette-
ra A Ecdicia egli rimprovera la moglie di aver imposto al marito una scelta di
astinenza che dovrebbe, invece, nascere dalla volontà concorde dei coniugi.51

3.4. I bona matrimonii


La considerazione della comunione interpersonale che caratterizza il
matrimonio cristiano porta Agostino a indicare nel matrimonio, oltre al bonum
prolis, altri beni o - con termine moderno - altri valori.52 Accanto al bonum
prolis, egli individua, pertanto, il bonum fidei e il bonum sacramentiP
Confides si intende infedeltà coniugale che si esprime a vari livelli: come
fedeltà sessuale (la carnalis debiti fides o fides thori), ovvero come fedeltà in
ordine agli atti propri della generazione; come assistenza mutua nella soppor-
tazione della fragilità umana;54 come fides honoris ovvero come rinuncia ai
rapporti carnali per sviluppare la comunione dei cuori.
Riguardo a sacramentum si hanno due significati fondamentali. Il primo
significato è quello di simbolo: come la poligamia al tempo dei patriarchi era
segno della pluralità delle genti che dovevano credere in Dio, così il sacra-
mentum delle nozze monogamiche del nostro tempo indica l'unità futura della
città celeste. Perciò nelle nozze cristiane, anche senza la fecondità fisica (fecun-
ditas uteri), non si perde la sanctitas sacramenti e resta doveroso il debitum a
motivo del bonum fidei.

50
AGOSTINO, De consensu evangelìstarum 2,1,2; cf. DOIGNON, «Une définition oubliée de l'a-
mour conjugal édénique chez Augustin: piae caritatis adfectus (Gen. ad litt. 3,21,33)», 25-36.
51
AGOSTINO, epistola 262 Ad Ecdiciam (traduzione e breve commento in SFAMEMI GASPARRO
et al., La coppia nei Padri, 134-135; 335-340).
52
Agostino considera la procreazione nella prospettiva della bontà o valore morale e non,
come farà più tardi san Tommaso, nella prospettiva della finalità; cf. TETTAMANZI, Il matrimonio cri-
stiano. Studio storico teologico, 109.
53
Su questo punto: F. GIL HELLIN, Il matrimonio e la vita coniugale, Città del Vaticano 1996,15-
37; A. REGAN, «The perennial value of Augustine's theology of the goods of marriage», in Studia Mora-
lia 21(1983), 351-377.
54
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 6,6.
78 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Il secondo significato è quello di legame indissolubile. La dottrina ago-


stiniana dell'indissolubilità, già chiara nel De bono coniugali, si definì nei suoi
scritti più tardi, in modo particolare nel De adulterinis coniugiis. Agostino sot-
tolinea il radicamento biblico della proibizione del divorzio e di un secondo
matrimonio e adduce le pericopi sinottiche (Mt 19,9; Me 10,11-12; Le 16,18) e
ICor 7,10.12 per dimostrare che risposarsi dopo il divorzio è proibito fino alla
morte di uno dei due coniugi.55
Agostino vede un'analogia tra matrimonio, battesimo e ordine, analogia
che viene così sintetizzata da A. Trapè:

Come resta il carattere battesimale nello scomunicato o nell'apostata, e resta


sempre perché Dio non muore; così resta il vincolo coniugale nei coniugi sepa-
rati o adulteri, ma non sempre, bensì fino a quando non intervenga la morte di
uno dei due, come nell'ordinato resta il sacramentum ordinationis anche se
rimosso dall'ufficio o se non abbia dietro a sé la comunità dei fedeli, così rima-
ne la sanctitas sacramenti negli sposati, né si scioglie il vinculum nuptiale se non
con la morte del coniuge.56

Come battesimo e ordine, pertanto, anche il matrimonio cristiano costi-


tuisce un vincolo sacro indissolubile e la sanctitas matrimonii sembra coincide-
re, in qualche modo, con la sua indissolubilità.
I due significati di sacramentum che Agostino riferisce al matrimonio
sembrano, a prima vista, lontani dal senso che attribuirà la Scolastica al termi-
ne sacramentum e cioè quello di segno visibile di una realtà invisibile o, più
rigorosamente, di segno efficace della grazia. Dobbiamo però osservare che
nel pensiero di Agostino

ciò che nel matrimonio diventa simbolo non è tanto l'unione dell'uomo e della
donna, quanto l'indissolubilità di quest'unione. Così la realtà partecipata non è
tanto l'unione di Cristo e della Chiesa, quanto l'indissolubilità assoluta di questa
unione. 57

55
Gli autori concordano che Agostino è per l'indissolubilità dei matrimoni cristiani, e alcuni
passi nei quali egli allude a un'oscurità della Scrittura riguardo al caso di fornicatio non inficiano que-
sta posizione. Se per Agostino anche il matrimonio naturale sia sempre indissolubile è controverso:
mentre Joyce sostiene di no, padre A. Trapè propende per il sì; cf. G.H. JOYCE, Matrimonio cristiano.
Studio storico-dottrinale, Alba 1964,163; TRAPÈ, Sant'Agostino. Matrimonio e verginità, XLIV-XLV.
56
TRAPÈ, Sant'Agostino. Matrimonio e verginità, XLIII.
57
M. ALIOTTA, Il matrimonio, Brescia 2002, 76-77.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 79

Il vincolo coniugale cristiano è - secondo Agostino - «sigillo di un valo-


re più alto»58 e partecipazione del modello divino di unione tra Cristo e la
Chiesa. Riferendosi al rapporto tra Gen 2,24 ed Ef 5,32, il santo dottore scri-
ve: «[quel sacramentum] che dunque è "grande" in Cristo e nella Chiesa, è
assai piccolo nelle singole coppie di sposi, ma è pur sempre il sacramento di
una unione inseparabile».59 Giustamente, quindi, E. Schillebeeckx conclude la
sua presentazione del tema affermando che Agostino è condotto proprio dalla
indissolubilità a sostenere la natura sacramentale del matrimonio cristiano.60

3.5. Istinto sessuale e concupiscenza


Durante la controversia pelagiana, Agostino fu portato a sottolineare il
legame fra generazione e trasmissione del peccato originale e l'effetto inqui-
nante del peccato originale sulla natura umana, in generale, e sul desiderio ses-
suale, in particolare.
Nel De Genesi ad litteram, composto tra il 401 e il 415, egli esplicito il nesso
tra il primo peccato e il desiderio sessuale: dopo aver trasgredito il comando divi-
no, Adamo ed Eva, «dirigendo lo sguardo sui propri corpi, sentirono un moto di
concupiscenza che non avevano precedentemente conosciuto», così che, non
solo i loro corpi divennero soggetti alla malattia e alla morte, ma divennero «sog-
getti a quello stesso impulso [motum] che dà agli animali il desiderio di accop-
piarsi».61 In conseguenza del primo peccato, tutti gli esseri umani nascono con la
medesima «inclinazione bestiale» nelle proprie membra, che opera indipenden-
temente dal controllo razionale della ragione e della volontà. Tale desiderio
disordinato è detto da Agostino «concupiscentia carnis».62
Questa posizione gettava discredito sul matrimonio stesso e suscitò viva-
ci reazioni. Agostino rispose dapprima ai critici nel libro 1 del De nuptiis et con-
cupiscentia, dove distingue tra il bene del matrimonio e il male della concupi-
scenza: «La castità coniugale fa buon uso del male della concupiscenza nella

58
AGOSTINO, De bono coniugali 7,7.
59
AGOSTINO, De nuptiis et concupiscentia 21,23.
60
E. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, Cinisello Balsamo
4
1986,263.
61
AGOSTINO, De Genesi ad litteram 11,32,42.
62
Sulla complessa concezione agostiniana della concupiscenza in rapporto alla sessualità: G.I.
BONNER, «Libido and Concupiscentia in St. Augustine», in F.L. CROSS (ed.), Studia Patristica VI (TU
81), Berlin 1962, 303-314; D.F. KELLY, «Sexuality and Concupiscence in Augustine», in Annual of the
Society of Christian Ethics, Dallas 1983,81-116; E. SAMEK LODOVICI, «Sessualità, matrimonio e concu-
piscenza in sant'Agostino», in CANTALAMESSA (ed.), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini, 212-272.
80 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

procreazione dei figli».63 Giuliano da Eclano lo accusò, allora, di trasformare il


matrimonio stesso in qualcosa di cattivo e asserì - contro Agostino - che la con-
cupiscenza è un desiderio umano naturale, creato da Dio per la procreazione.
Nel corso della controversia, Agostino chiarì le sue vedute e accolse, in
parte, la critica di Giuliano. Nel Contra Pelagium Agostino aveva già ammes-
so la possibilità che il desiderio sessuale e, persino, la concupiscenza carnale
potessero essere esistiti in una forma innocente in paradiso, prima che Adamo
ed Eva peccassero.64 Nello stato paradisiaco gli atti coniugali sarebbero stati
guidati interamente dalla ragione e non dalla passione, e sarebbero stati ordi-
nati alla loro destinazione naturale, che è la procreazione, senza essere accom-
pagnati da quel desiderio di piacere disordinato ed egoistico che è propria-
mente la concupiscenza. Più tardi, in una lettera al vescovo Attico di Costanti-
nopoli, egli riconobbe la possibilità di un desiderio senza peccato anche in que-
sta condizione infralapsaria: è la «concupiscenza matrimoniale» (<concupiscen-
tia nuptiarum), ossia il desiderio di figli, che si distingue dalla «concupiscenza
carnale» (concupiscientia carnis), ossia i «desideri tempestosi, disordinati, che
sperimentiamo contro la nostra volontà».65

3.6. Elementi di etica sessuale


Raccogliamo alcuni elementi normativi che discendono immediatamen-
te dall'articolato modello di antropologia sessuale fin qui delineato.

3.6.1, Qualificazione morale dell'atto sessuale

La qualificazione morale dell'unione sessuale è strettamente connessa


con l'idea agostiniana del fine naturale della sessualità e con il modo di inten-
dere l'articolazione fra atto coniugale, istinto sessuale e concupiscenza. L'atto
coniugale in sé non è male, come non lo sarebbe per natura l'istinto sessuale,
perché entrambi corrispondenti alla volontà del Creatore, mentre invece è
male la concupiscenza della carne. Gli sposi cristiani, per usare rettamente le
loro capacità generative, devono quindi evitare di aderire alla concupiscenza
connessa con la sessualità umana ferita dal peccato, e usare la sessualità in
vista del fine per cui Dio l'ha creata, che è la procreazione.

63
AGOSTINO, Retractationes 2,53.
64
AGOSTINO, Contra Pelagium 1,17,35.
65
AGOSTINO, Epistola 6*.7.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 81

Nella vita umana - spiega Agostino - alcune cose sono buone in sé, come
la salute, e altre sono buone in quanto mezzo per ottenere le prime, come l'a-
limentazione e il riposo lo sono in vista della salute. Se il mezzo è usato per il
fine buono si agisce bene, se il mezzo è invece usato dissociandolo dal fine
buono si pecca. L'atto coniugale è un mezzo per un fine buono che è la salus
generis, cioè la perpetuazione della specie umana, ed è lecito se è usato come
mezzo per un fine buono, la procreazione.66
In sostanza, l'atto coniugale è senza colpa se è finalizzato alla procrea-
zione; se, invece, è finalizzato a soddisfare la concupiscenza è peccato, un pec-
cato veniale se l'atto è compiuto con la moglie, un peccato mortale se compiu-
to con un'altra donna. 67 La condizione più meritoria è quella degli sposi che
rinunciano liberamente e di comune accordo agli aspetti genitali del matrimo-
nio, non esponendosi alla trappola della concupiscenza carnale.

3.6.2. Atto sessuale e remedium concupiscentiae

In secondo luogo, non possiamo dimenticare che, dopo il peccato origi-


nale, l'atto sessuale posto nel contesto matrimoniale ha la funzione di essere
remedium concupiscentiae, una medicina per il desiderio disordinato. Tale idea
è presente - come abbiamo visto - nel corpus paulinum, ma assume grande
rilevanza nella prospettiva agostiniana della concupiscenza come conseguenza
del peccato originale.68
Leggiamo ancora dal De bono coniugali:

Il matrimonio ha anche questo bene, che l'incontinenza carnale e tipica dell'età


giovanile, per quanto sia colpevole [vitiosa], viene indirizzata all'onestà della
procreazione, affinché dal male della libidine la copula coniugale produca qual-
cosa di buono. Inoltre, la concupiscenza della carne viene repressa e brucia in
certo modo più pudico, perché la attenua l'affetto paterno. Infatti interviene una

66
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 16,18: «Quod enim est cibus ad salutem hominis, hoc est
concubitus ad salutem generis, et utrumque non est sine delectatione carnali, quae tarnen modificata
et temperantia refrenante in usum naturalem redacta libido esse non potest; quod est autem in susten-
tanda vita illicitus cibus, hoc est in quaerenda prole fornicarius vel adulterinus concubitus; et quod est
in luxuria ventris et gutturis illicitus cibus, hoc est in libidine nullam prolem quaerente illicitus concu-
bitus».
67
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 6,6: «Coniugalis enim concubitus generandi gratia non
habet culpam; concupiscentiae vero satiandae, sed tarnen cum coniuge, propter tori fidem, venialem
habet culpam; adulterium vero sive fornicatio letalem habet culpam». La purezza dell'atto coniugale
in queste condizioni non appare facile, cosicché è comprensibile la conclusione che ne trarrà Gregorio
Magno che l'atto coniugale, pure buono in sé, di fatto non è mai del tutto esente da colpa; cf. S. GRE-
GORIO MAGNO, Responsio ad interrogationes: «Voluptas ilia sine culpa esse nullatenus potest».
68
C. BURKE, «A postscript to the "remedium concupiscentiae"», in The Thomist 70(2006),
481-536.
82 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

specie di austerità nel fervore del godimento poiché, nell'atto di unirsi sessual-
mente, uomo e donna si figurano di diventare padre e madre. 69

Nella prospettiva del remedium concupiscentiae e tenendo conto dell'u-


mana fragilità, Agostino giustifica gli atti sessuali nel matrimonio anche quan-
do la procreazione non è possibile, come può accadere tra coniugi anziani o in
una coppia sterile, se l'unione sessuale è necessaria per conservare la fedeltà
ed evitare disordini extramatrimoniali. 70

3.6.3. Contraccezione

A partire dai suoi presupposti, Agostino non poteva non condannare la


contraccezione, sia quella ottenuta mediante venena, sia i tentativi di evitare la
prole messi in atto dai manichei con metodi naturali.71 Egli, insieme a Cirillo
di Alessandria e a Cesario di Arles, offre alcuni dei testi patristici più chiari
sulla illiceità della contraccezione. Un primo testo, noto dalle prime parole
come Si aliquis, si trova nel De coniugiis adulterinis:

Se dunque è capace di continenza non si sposi né generi figli: se però non ne è


capace, si sposi, come è lecito, affinché non generi figli vergognosamente, o, cosa
più vergognosa, abbia rapporti senza generarne. Per quanto, quest'ultima turpi-
tudine che ho nominato la commetta più d'uno anche fra coloro che sono rego-
larmente sposati. Questo rapporto in cui si evita il concepimento della prole è
illecito e vergognoso anche con la consorte legittima: così faceva Onan, figlio di
Giuda, e per questo il Signore lo fece morire. 72

Un secondo testo, contenuto nel De nuptiis et concupiscentia, è noto


come Aliquando:

Talvolta, questa voluttuosa crudeltà o se vuoi questa crudele voluttà si spinge


fino al punto di procurarsi sostanze contraccettive [sterilitatis venena] e, in caso
di insuccesso, fino ad uccidere in qualche modo nell'utero i feti concepiti e ad
espellerli, volendo che il proprio figlio perisca prima di vivere oppure, nel caso
che già vivesse nell'utero, che egli sia ucciso prima di nascere. Non c'è dubbio: se
sono tutti e due di tale pasta, essi non sono sposi; e se si comportarono così fin

69
AGOSTINO, De bono coniugali 3,3. Sull'idea del remedium, cf. EPIFANIO, Panarion 51,30.
70
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 15,17; Contra Iulianum 5,16,62. Questa, almeno, è l'inter-
pretazione difesa da padre Trapè: TRAPÈ, Sant'Agostino. Matrimonio e verginità, XXXIV-XXXV.
71
Cf. NOONAN, Contraception. A History of Its Treatment by the Catholic Theologians and
Canonists; RIDDLE, Contraception and Abortion fron the Ancient World to the Renaissance.
72
AGOSTINO, De coniugiis adulterinis 2,12.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 83

dal principio, non si unirono in matrimonio ma nella lussuria. Se poi non sono
tutti e due a comportarsi così, io oserei dire che o lei è in un certo senso la pro-
stituta del marito o lui è l'adultero della moglie.73

3,6.4. Omosessualità

Infine, la sua visione sulla sessualità porta Agostino a prendere una posi-
zione molto dura sull'omosessualità in quanto profanazione della natura crea-
ta da Dio.

I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devo-
no essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand'anche tutti gli uomini li
commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio
infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stes-
si. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio
ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata.74

3.7. Conclusioni sul modello agostiniano


II modello di etica sessuale elaborato da Agostino si presenta ricco e
complesso, ma non del tutto armonioso per il coesistere di tensioni opposte
non sempre ben contemperate. Rispetto al mondo antico, sia veterotestamen-
tario sia pagano, si registra un netto progresso nella linea della personalizza-
zione del matrimonio, ma non in quella della personalizzazione della sessua-
lità. Il matrimonio dei cristiani viene esaltato come forma sublime di societas
amicalis e se ne indicano i bona caratterizzanti nella prospettiva della Caritas
coniugale, ma l'espressione fisica di questo amore coniugale non è ritenuta
essenziale alla vita matrimoniale.
L'esercizio della sessualità deve essere giustificato, anzi scusato dai bona
matrimonii e, tenuto conto della fragilità della natura, dal remedium concupi-
scentiae (teoria dei bona exscusantia). La concezione prevalentemente natura-
listica della sessualità, ereditata dall'etica stoica, unita a un certo pessimismo
antropologico, induce Agostino a gettare un'ombra di sospetto sugli atti ses-
suali anche all'interno del matrimonio. Ricondurre a unità le molteplici dimen-
sioni della vita coniugale, mostrando il significato autenticamente umano della
sessualità, la sua piena aderenza al progetto originario del Creatore e il suo

73
AGOSTINO, De nuptiis et concupiscentia 1,15,17.
74
AGOSTINO, Confessionum libri III, 8.
84 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

valore in relazione alla comunione, senza perdere nello stesso tempo la ric-
chezza delle intuizioni agostiniane sulla novità del matrimonio cristiano, sarà
uno dei compiti più ardui - e non del tutto adempiuti - della teologia morale
post-agostiniana.

4, G L I SVILUPPI DEL MODELLO TRADIZIONALE

Dopo la fine del mondo antico, si ebbe in Europa un tempo di ristagno e


di abbassamento generale del tono culturale, mentre il popolo viveva larga-
mente in condizioni di ignoranza e talora di semipaganesimo. L'impegno della
Chiesa si volse soprattutto alla purificazione e all'ingentilimento dei costumi
sessuali e matrimoniali, al controllo dell'istituto matrimoniale sottraendolo
alla giurisdizione civile sia in occidente sia, più tardi, in oriente, nonché alla
tutela dei soggetti socialmente deboli come le donne e i bambini.75
A partire dall'XI secolo si assistette a una marcata ripresa economica e
culturale e questo si tradusse in un nuovo slancio di vitalità ecclesiale in campo
teologico, canonico e pastorale. Si precisò la dottrina della sacramentalità del
matrimonio nel quadro dell'elaborazione della sacramentaria da parte della
Scolastica e si chiarì il rapporto fra patto coniugale e atti sessuali nel costituire
la realtà matrimoniale. In questo contesto fortemente creativo fu possibile
compiere una rielaborazione originale del modello tradizionale di antropolo-
gia ed etica sessuale.

4,1. Amore e sessualità


Nel XII secolo emerge la dottrina matrimoniale di Ugo di San Vittore
(1096-1141) che, con il suo De sacramentis, offrì il primo studio monografico
sulla sacramentaria e propose una lettura globale della fede cristiana in cui il
«sacramentum» come «signum rei sacrae» è la chiave interpretativa. Nella pro-
spettiva platonica a lui cara, tutto l'esistente sensibile, dalla creazione in poi,
rimanda a realtà soprasensibili e questo si attua, in modo particolare, nel matri-

75
Si vedano: C.N.L. BROOKER, Il matrimonio nel Medioevo, Bologna 1992; P.S. REYNOLDS, Mar-
riage in the Western Church: The Christianization of Marriage during the Patristic and Early Medieval
Periods, Leiden 1994.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 85

monio. Sia il patto fra uomo e donna, sia l'unione carnale tra gli sposi conten-
gono un profondo significato simbolico perché rimandano, rispettivamente,
all'unione di Dio e dell'anima e all'unione ipostatica del Verbo con la natura
umana in virtù della quale la Chiesa può diventare veramente sposa del Verbo
incarnato. Tanto il matrimonio in sé, quanto l'unione sessuale - che è compito
e dovere ( o f f i c i u m ) degli sposi - sono portatori di una sacramentalità.76
Nel De beatae Mariae virginitate egli mostra di attribuire grande valore
all'amore coniugale e alla societas coniugalis: al centro del matrimonio sta il
reciproco adhaerère degli sposi per la mutua dilectio e l'unione sessuale ne è il
compagno (comes) e il compito (officium).11 Anch'egli ritiene però - in sinto-
nia con l'ideale dell 'amor cortese cantato dai trovatori del suo tempo e in con-
tinuità con l'ideale agostiniano - che un amore tutto spirituale sarebbe più
santo e più desiderabile.
Nel secolo seguente, san Bonaventura (1217-1274) offre in questo senso
una dottrina originale, anche se non sistematica. Dopo aver ricordato i due
scopi tradizionali del matrimonio e cioè la procreazione e il remedium concu-
piscentiae, aggiunge, nel solco di Ugo, un terzo scopo che è l'unione degli sposi,
simbolo di realtà spirituali.78 Il dottore serafico fa l'elogio dell'amore coniuga-
le con termini squisiti e spiega il simbolismo dell'unione sessuale con parole
audaci:

Il matrimonio si dice consumato nella susseguente unione dei corpi, perché allo-
ra divengono una sola carne e un corpo solo, significando pienamente l'unione
che passa tra noi e Cristo.79

Sviluppando alcuni spunti del De bono coniugali di Agostino nella luce


dell'Etica Nicomachea di Aristotele, san Tommaso d'Aquino (1221-1274) parla
dell'amore coniugale in termini di amicitia, anzi - come si legge nella Summa
contra gentiles - di «maxima amicitia». Egli scrive:

76
UGO DI SAN VITTORE, De sacramentis 1,8,13: «Coniugium constabat in consensu foederis
socialis, officium coniugii constabat in copula carnis. Coniugium sacramentum fuit cuiusdam societatis
spiritualis quae per dilectionem erat inter Deum et animam, in qua societate anima sponsa erat et
sponsus Deus. Officium coniugii sacramentum fuit cuiusdam societatis quae futura erat per carnem
assumptam inter Christum et Ecclesiam, in qua societate Christus sponsus futurus erat et sponsa Eccle-
sia»; cf. G. SALMERI, «Simboli e natura. La sacramentalità del matrimonio nel Medioevo», in Anthro-
potes 20(2004), 23-41.
77
U G O DI SAN VITTORE, De beatae Mariae virginitate: PL 1 7 6 , 8 6 0 ; cf. C. GNEO, « L a d o t t r i n a d e l
matrimonio nel "De B. Mariae Virginitate" di Ugo di S. Vittore», in Divinitas 17(1973), 374-394; J.
LECLERCQ, I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XIIsecolo, Torino 1984,62-63.
78
S. BONAVENTURA, Breviloquium 6,13,1; cf. E TARGONSKI, «Il matrimonio nel pensiero di san
Bonaventura», in Miscellanea Francescana 90(1990).
79
S. BONAVENTURA, Breviloquium 6,13,3.
86 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

L'amicizia quanto è più grande, tanto più è stabile e duratura. Sembra che fra
l'uomo e la donna ci sia l'amicizia più grande: si uniscono infatti non solo nel-
l'atto dell'unione fisica, che anche tra gli animali produce una certa dolce
società, ma anche in vista della condivisione di tutta quanta la vita. Perciò, come
segno di questo, l'uomo a motivo della moglie lascia anche il padre e la madre,
come si legge in Gen 2,24.80

Per comprendere il significato della nozione di amicitia in san Tommaso,


bisogna ricordare che nella Summa theologiae egli insegna che l'amore è dupli-
ce e cioè «amor concupiscentiae» e «amor amicitiae».81 In ciascuna delle due
forme c'è una diversa e specifica apprehensio dell'unità dell'amato con l'aman-
te: nel caso dell 'amor concupiscentiae l'amante «coglie l'oggetto amato in fun-
zione del proprio benessere», mentre nell'amor amicitiae l'amante «vuole il bene
dell'amato [gli vuole bene], come vorrebbe il bene per sé; perciò coglie l'altro
come un altro se stesso, dal momento che gli vuole bene come lo vuole a sé».82
L'amore di concupiscenza è un amore egocentrico nel quale l'amante
ruota intorno a se stesso e l'altro è amato in quanto è un bene per colui che
ama. Noi parleremmo, a questo proposito, di amore erotico. Al contrario, l'a-
more di benevolenza guarda all'altro come un bene in sé, promuove e cerca il
bene dell'altro senza pensare a se stesso. Spiega Tommaso:

Ciò che è amato con amor amicitiae, è amato semplicemente e per se stesso; ciò
che è amato con amor concupiscentiae, non è amato semplicemente e di per sé,
ma è amato per l'altro [...]. Di conseguenza l'amore con cui si ama un oggetto
per il suo stesso bene è amore nel senso più vero, mentre l'amore con cui si ama
un oggetto per il bene di un altro, è amore in senso relativo.83

Rispetto alle affermazioni di san Bonaventura sul simbolismo dell'unio-


ne sessuale, in san Tommaso notiamo maggiore prudenza. Sotto l'influsso della
lettura naturalistica della sessualità umana fatta da Aristotele, resta nel sot-
tofondo l'idea che l'unione sessuale umana sia assimilabile a quella animale,

80
TOMMASO D'AQUINO, Contra gentiles 3,123,6. Il tema ée\Yamicitia coniugalis è approfondito
in: TOMMASO D'AQUINO, Sententia in ethicorum libros 8,12,18-24.
81
In particolare: TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 26, a. 4; STh I-II, q. 28, a. 1, in corp.
82
TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 28, a. 1, in corp.: «Cum enim aliquis amat aliquid quasi con-
cupiscens illud, apprehendit illud quasi pertinens ad suum bene esse. Similiter cum aliquis amat ali-
quem amore amicitiae, vult ei bonum sicut et sibi vult bonum: unde apprehendit eum alterum se,
inquantum scilicet vult ei bonum sicut et sibi ipsi. Et inde est quod amicus dicitur esse alter ipse [ARI-
STOTELE, Etica Nicomachea, 9,4,1166a 31; 9,9,1169b 6]; et Augustinus dicit in IV Confessionum: «Bene
quidam dixit de amico suo, dimidium animae suae» [4,6: PL 32,698]».
83
TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 26, a. 4: «Id quod amatur amore amicitiae, simpliciter et per
se amatur; quod autem amatur amore concupiscentiae, non simpliciter et secundum se amatur, sed
amatur alteri [...]. Et per consequens amor quo amatur aliquid ut ei sit bonum, est amor simpliciter;
amor autem quo amatur aliquid ut sit bonum alterius, est amor secundum quid».
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 87

mentre egli individua la dimensione tipicamente «umana» della communicatio


fra maschio e femmina nella condivisione di tutto ciò che è necessario per una
vita umana. 84 Senza dubbio, però, indicare nel rapporto fra i coniugi una rela-
zione di massima amicizia e collegare questo amor amicitiae sia con l'unione
sessuale sia con la comunione vitale del matrimonio apre feconde prospettive
per una comprensione personalistica della sessualità.

4-2, La spiritualità coniugale


La sollecitudine pastorale per la vita matrimoniale, così viva nel periodo
patristico, non si eclissò mai del tutto, neppure nell'Alto Medioevo: oltre ai
numerosi richiami dei sinodi locali per la cristianizzazione della vita familiare,
bisogna aggiungere il tentativo di sviluppare una riflessione sulla spiritualità
laicale.85 Già nel IX secolo Giona d'Orléans, riprendendo Agostino, offre nel
suo De institutione laicali una serie di indicazioni per l'educazione spirituale
dei coniugi ed espone il tema dei tres ordines di cui consta la Chiesa: dottori,
continenti, coniugati.86
Un decisivo approfondimento degli aspetti spirituali della vita laicale e
coniugale si avrà a partire dal XII secolo in connessione con la nascita di
numerosi gruppi evangelici laicali, talvolta con venature eterodosse e tenta-
zioni encratiche, e all'impegno dei predicatori mendicanti.
Un'espressione significativa di questa crescita spirituale è la ripresa del-
l'idea dell'ordo coniugalis, che conobbe una grande diffusione in Francia e in
Germania nei secoli XIII-XV. Tra gli autori che ne hanno trattato si ricordano
Jacques de Vitry, Guglielmo Perauld, Bertoldo di Ratisbona, Jean Herold, Jean
Gritisch, Herard Gross, Marco di Weida. Secondo Jacques de Vitry, i coniugi
formerebbero un ordo parallelo a quello dei chierici e dei religiosi nella Chie-
sa, un ordo istituito direttamente dal Signore a Cana, nel quale si deve entra-
re per motivi onesti e ben preparati perché non c'è noviziato prima di entrar-
vi né dispensa una volta entrati.
Saremmo portati a vedere in queste esperienze un riflesso positivo del
ruolo che la cultura medievale matura attribuiva all'amore in generale e all'a-
more coniugale in particolare. D'altra parte non possiamo neppure sopravva-

84
Cf. TOMMASO D'AQUINO, Sententia in ethicorum libros 8 , 1 2 , 2 0 : « I n aliis a n i m a l i b u s e s t c o m -
municatio inter marem et feminam in tantum sicut dictum est, idest solum ad procreationem filiorum;
sed in hominibus mas et femina cohabitant non solum causa procreationis filiorum, sed etiam propter
ea quae sunt necessaria ad humanam vitam».
85
D. TETTAMANZI, I due saranno una carne sola, Leumann 1986,25-26; 29-30.
86
GIONA D'ORLÉANS, De institutione laicali 2,1: PL 106,169.
88 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

lutare in modo anacronistico la portata di questa promozione della vita coniu-


gale. «Ci si deve domandare», annota giustamente mons. Tettamanzi,

se il discorso suìYordo coniugatorum, pur rappresentando una valorizzazione


ecclesiale, soprattutto in senso spirituale, dello stato coniugale, abbia salvato e
promosso una presenza propriamente «laicale» e, quindi, attenta anche agli
aspetti del matrimonio, oppure non abbia costituito uno sforzo di «monacalizza-
zione» della vita coniugale, secondo una tendenza che pervade tutta la spiritua-
lità medievale.87

Forse sono veri l'uno e l'altro aspetto: si cerca di valorizzare l'aspetto


personale e vocazionale della vita matrimoniale, ma ciò viene fatto usando
come paradigma di vita cristiana perfetta la vita consacrata.

4.3. La dottrina dei fini del matrimonio


Nell'Alto Medioevo la posizione dominante intorno alle finalità del
matrimonio era sostanzialmente una riproposta della concezione agostiniana:
- ante peccatum (prima del peccato originale) il matrimonio aveva sol-
tanto scopo procreativo (in officium), era cioè compito affidato dal Creatore
all'uomo;
- post peccatum (dopo il peccato originale) il matrimonio oltre alla fina-
lità procreativa assume anche la finalità di remedium concupiscentiae.88
Merito di san Tommaso fu di elaborare, nel contesto della sua concezione
teleologica della vita morale, un'articolata dottrina dei fini del matrimonio che
tenesse insieme il fine della procreazione e il fine della comunione sponsale.89
Abbiamo visto che il pensiero antico aveva trasmesso alla tradizione una
concezione piuttosto naturalista o biologista della sessualità umana, con il
rischio di ridurre il matrimonio a semplice luogo della procreazione. Giusta-
mente, allora, Tommaso si chiede se il matrimonio sia naturale e risponde che
una cosa si può dire naturale sotto due punti di vista: in quanto necessaria-
mente causata ex principiis naturae, cioè legata ai dinamismi biologici, e in
quanto è qualcosa ad quod natura inclinat, sed mediante libero arbitrio com-

87
TETTAMANZI, I due saranno una carne sola, 30.
88
Nel secolo XII, secondo quanto afferma il cancelliere parigino Prepositino (t 1210), c'è chi
sostiene che, essendo la Terra già molto abitata, non c'è più il dovere della procreazione e il matrimo-
nio è dunque solo ad remedium. Per la terminologia officium e remedium, si veda AGOSTINO, De Gene-
si ad litteram 9,7,12.
89
Ricordiamo uno studio classico e completo sul tema: C. SCHAHL, La doctrine des fins du
mariage dans la théologie scolastique, Paris 1948.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 89

pletur, cioè iscritto nella natura, ma si compie attraverso una libera scelta della
persona. Ebbene, il matrimonio è naturale non in senso fisico-biologico, ma in
senso metafisico: esso è naturale perché risponde alla natura della persona
umana e si compie attraverso la sua libertà. La natura dell'uomo lo orienta al
fine primario del matrimonio, il bonum prolis, che per l'uomo non può ridursi
alla semplice generazione, ma consiste nell'accogliere e nell'educare il figlio
fino a renderlo un uomo degno di questo nome. La stessa natura umana lo
orienta anche verso il fine secondario del matrimonio, che è Vossequio vicen-
devole che i coniugi si danno nella vita familiare e questo corrisponde al biso-
gno dell'uomo, naturalmente socievole (politicus), di stringere società con i
suoi simili.90
La geniale teoria della gerarchia dei fini, comprensibile soltanto all'inter-
no della visione antropologica tomista, non si fonda su una gerarchia assiologi-
ca, ma su una successione ne\Yordine dell'essere e dipendente dal modo con cui
ogni ente partecipa all'essere stesso. L'uomo passa dall'ambito della legge natu-
rale generica, che lo interessa in quanto ente animato (animai), alla legge natu-
rale specifica, che interessa gli enti dotati di libero arbitrio e chiamati a vivere
in società. Nell'irato multiplex del composto umano anche la procreazione -
che l'uomo ha in comune con gli animali non umani - è come attratta nella sfera
dell'umanità, così che l'uomo vive, mediante il libero arbitrio e in modo tipica-
mente umano, l'istinto procreativo che avverte operare in sé.91
Il modello tomasiano cerca così di superare il naturalismo sessuale e di
integrare in una visione sintetica le dimensioni o fini essenziali del matrimo-
nio. Sarebbe, perciò, un errore di prospettiva pensare che il fine primario rap-
presenti il polo biologico del matrimonio e il fine secondario il polo antropo-
logico, così come sarebbe erroneo ritenere che il fine primario sia da conside-
rarsi preminente in senso assiologico sul secondario.92

90
TOMMASO D'AQUINO, STh, Supplementum, q. 41, a. 1, resp.: «Et hoc modo matrimonium est
naturale: quia ratio naturalis ad ipsum inclinat dupliciter. Primo, quantum ad principalem eius finem,
qui est bonum prolis. Non enim intendit natura solum generationem prolis, sed et traduCtionem et pro-
mo tionem usque ad perfectum statum hominis in quantum homo est, qui est status virtutis [...] Secun-
do, quantum ad secundarium finem matrimonii, qui est mutuum obsequium sibi a coniugibus in rebus
domesticis impensum. Sicut enim naturali ratio dictat ut homines simul cohabitent, quia unus non suf-
ficit sibi in omnibus quae ad vitam pertinent, ratione cuius dicitur homo naturaliter politicus, ita etiam
eorum quibus indigetur ad humanam vitam, quaedam opera sunt competentia viris, quaedam mulieri-
bus. Unde natura monet ut sit quaedam associatio viri ad mulierem, in qua est matrimonium».
91
Si vedano: G. PERINI, «Il confronto tra l'uomo e gli animali nell'antropologia sessuale di S.
Tommaso e nei moderni», in San Tommaso e il pensiero moderno. Saggi (Studi tomistici 3), Roma 1974;
L. SILEO, «Natura e norma. Dalla "Summa Halensis" a Bonaventura», in Etica e politica: le teorie dei
frati mendicanti nel Due e Trecento, Spoleto 1999,29-58.
92
Cf. L. JANSSENS, «Le grandi tappe della morale cristiana del matrimonio», in Alle sorgenti
della morale coniugale, Perugia 1968,109-110: «Nelle innumerevoli discussioni che queste tematiche
hanno suscitato (speriamo che appartengano definitivamente al passato dopo che la Gaudium et spes
90 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

4A. La moralità dell'atto coniugale


Nel Medioevo la visione complessiva della vita sessuale era segnata da
una profonda diffidenza, radicata nell'idea agostiniana di concupiscenza e nel
fatto che ben difficilmente un atto sessuale, anche tra coniugi, potesse essere
del tutto esente da colpa. Tale diffidenza aveva portato, fra l'altro, a proibire gli
atti coniugali in alcuni giorni e tempi dell'anno, di solito le domeniche, le feste,
la Quaresima, l'Avvento e ogniqualvolta ci si volesse accostare alla comunio-
ne. I Libri poenitentiales dell'Alto Medioevo stabilivano minutamente la nor-
mativa e le pene per le trasgressioni. Queste posizioni tabuistiche, legate a una
visione materiale della purezza cultuale, furono abbandonate dalla teologia
ufficiale sin dall'XI secolo, ma resistettero più a lungo nella mentalità popola-
re e nella prassi pastorale.
Pietro Lombardo nel libro quarto delle Sentenze, alle distinzioni 26-42,
raccoglie l'opinione comune sull'uso onesto del matrimonio che, a partire dalle
tesi agostiniane, si è venuta imponendo tra teologi e canonisti medievali. Di
grande interesse, da tal punto di vista, è la Distinctio XXXI nella quale si riaf-
ferma sostanzialmente la dottrina tradizionale, con qualche sottolineatura che
fa pensare a una volontà di superamento di posizioni estreme. In particolare si
afferma che il coniugalis affectus, accompagnato da una ferma volontà di
fedeltà, è motivo sufficiente per celebrare validamente le nozze, anche se non
c'è il desiderio esplicito di figli, purché la procreazione non venga esclusa ed
evitata dolosamente. Riguardo all'atto sessuale, dopo la caduta, essendo l'unio-
ne sessuale sempre accompagnata dalla concupiscenza, essa è colpevole se non
è scusata dai bona matrimonii e in primo luogo dalla procreazione. L'unione
sessuale compiuta causa incontinentiae, senza intenzione diretta di procreare,
ma prole servata, senza escludere la procreazione, è solo peccato veniale.
Sul tema controverso del piacere sessuale (delectatio, voluptas) il Lombar-
do, riflettendo le oscillazioni di sant'Agostino, insegna che «la concupiscenza è
sempre cattiva, perché è sporca \foeda] e pena del peccato, ma non è sempre pec-
cato». Anche un uomo santo - egli dice - può godere di gioie materiali, come il
riposarsi dopo la fatica o il mangiare quando ha fame, e questi piaceri non sono
peccato a meno che non siano smodati. «Così anche il piacere che si ha nel rap-
porto coniugale, in cui siano presenti quei tre beni, è difeso dal peccato». La sin-

ha accuratamente evitato l'espressione: fine primario e fine secondario) non si è sempre tenuto conto
della portata della concezione di S. Tommaso. Per lui non si tratta affatto di gerarchia di valori. Tutta
la sua opera testimonia che egli riconosce il valore superiore di ciò che e specificamente umano su ciò
che abbiamo in comune con gli animali [...]. Ecco cosa vuole sottolineare: nello sviluppo della loro col-
laborazione a servizio della famiglia, i coniugi devono rispettare assolutamente l'ordine naturale che
Dio stesso ha creato nella loro struttura biologica».
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 91

tesi del Lombardo è equilibrata e realistica, ma risente di un permanente sospet-


to nei confronti dell'atto coniugale e del piacere che lo accompagna.93
Un'autentica novità si ritrova in Alberto Magno il quale, sulla base di
Aristotele, pone in rilievo il carattere naturale e onesto della relazione sessua-
le nel matrimonio e del piacere che accompagna ogni funzione naturale nor-
male. Anche Tommaso abbraccia l'idea aristotelica della naturalità del piace-
re.94 Nel commentare VEtica a Nicomaco là dove Aristotele afferma che nel-
l'amicizia coniugale si trovano utilità e piacere, egli dice che essa comporta un
piacere nell'atto sessuale, così come negli altri esseri viventi.95 Nell'uomo i pia-
ceri sono da giudicarsi buoni o cattivi a seconda della bontà o della malizia
delle operazioni alle quali ineriscono e, quindi, è buono il piacere connesso con
l'esercizio ordinato della facoltà sessuale.96 Non solo il piacere sessuale è natu-
rale e non è da considerarsi in sé negativo, ma addirittura esso sarebbe stato
maggiore prima del peccato, essendo stata allora più pura la natura e il corpo
più integro.97 L'Angelico giunge infine ad affermare che un atto coniugale che
rispetta i bona matrimonii è buono e meritorio per virtù di religione, se com-
piuto in vista della procreazione e perciò in ossequio alla volontà del Creato-
re, e per virtù di giustizia, se viene reso in ragione del debitum coniugale.98
Nonostante queste notevoli aperture, anche la versione tomista del
modello tradizionale risente inevitabilmente di una mentalità diffidente nei
confronti della sessualità. In particolare, muovendosi ancora nel solco agosti-
niano dei beni scusanti, è indubbio, per Tommaso, che un'unione coniugale
ricercata per piacere sia colpevole, almeno di colpa veniale.99

93
Sul tema del piacere sessuale nella Scrittura e nella tradizione morale, si veda: S.G.
KOCHUTHARA, The Concept of Sexual Pleasure in the Catholic Moral Tradition, Roma 2007.
94
M.G. COTTIER, «"Libido" de Freud et "appetitus" de saint Thomas», in L'Anthropologie de
saint Thomas, Fribourg (Suisse) 1974,91-123; A. LAMBERTINO, Valore e piacere. Itinerari teoretici, Mila-
no 2001,35-75; L. MASSARA, «La "delectatio" dans la psychologie de Saint Thomas d'Aquin», in Archi-
ves de philosophie 3 1 ( 1 9 6 4 ) , 1 8 6 - 2 0 5 ; 3 6 ( 1 9 6 9 ) , 6 3 9 - 6 6 3 ; C. REUTEMANN, The thomistic concept of Plea-
sure, as compared with the Hedonistic and Rigoristic Philosophies, Washington 1953; S. TUMBAS, «La
moralità del piacere secondo san Tommaso d'Aquino», in Educare 4(1953), 158-170.
95
TOMMASO D'AQUINO, Sententia in ethicorum libros 8,12,22: «[Amicitia coniugalis] habet
etiam delectationem in actu generationis, sicut et in ceteris animalibus».
96
TOMMASO D'AQUINO, De malo q. 15, a. 2, a d 17; STh M I , q. 3 4 , a. 1, c o r p .
97
TOMMASO D'AQUINO, STh I, q. 98, a. 2.
98
TOMMASO D'AQUINO, STh, Supplementum, q. 41, a. 4 («Utrum actus matrimonialis sit meri-
torius»). Secondo Tommaso non esistono atti indifferenti, per cui anche l'atto coniugale o è buono o è
cattivo, a seconda che persegua o no i bona matrimonii, ma se è buono, allora è anche meritorio.
99
Questa posizione viene ripetuta fedelmente dalla teologia dei secoli seguenti, come risulta
chiaramente in questo testo di sant'Antonino da Firenze (1389-1459): «In secondo luogo chiedere il
debito coniugale per piacere, ma entro i limiti del matrimonio, è sempre peccato veniale, come il fatto
di mangiare per piacere. Infatti ciò che è il cibo per la salute dell'uomo, cioè quanto è necessario all'in-
dividuo, lo è il coito per la salute della specie, dice sant'Agostino» (S. ANTONINO, Summa theologica, p.
3, c. 20, § 1,3).
92 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

4.5 La tassonomia dei peccati sessuali


Si trovavano già nei Padri della Chiesa, come per esempio nei Moralia
di san Gregorio Magno, trattazioni di stampo moraleggiante e ascetico-spiri-
tuale intorno ai vizi e alle virtù, incluse la impudicizia e la castità. Una precisa
catalogazione dei disordini sessuali si delineerà, a poco a poco, a partire dal VI
secolo, in collegamento con la prassi penitenziale individuale e la composizio-
ne di manuali pratici per il confessore, detti appunto Penitenziali. Nei Peniten-
ziali si evidenziano con precisione le diverse tipologie di colpe legate all'eser-
cizio della sessualità sia intra sia extraconiugale. 100 1 criteri di valutazione delle
singole colpe, significati dalla diversa gravità delle penitenze inflitte, non sono
costanti, ma ci permettono di farci un quadro piuttosto preciso: molto gravi
sono ritenuti l'adulterio, l'incesto, la bestialità - fatto non raro in ambiente
agricolo - l'omosessualità sia maschile sia femminile. Proprio a partire dal VI
secolo, si individua, inoltre, all'interno della impudicizia o pornèia, la colpa
"nuova" della polluzione volontaria o malakia, dapprima legata alle preoccu-
pazioni di purezza rituale e morale dei monaci e poi al retto uso delle facoltà
sessuali intra ed extramatrimoniali. 101
In Incmaro di Reims nel IX secolo e, in modo più maturo, nel XI secolo
in san Pier Damiani con il suo Liber Gomorrhianus prende forma definitiva la
categoria dei cosiddetti peccati contro natura fra i quali, oltre ai rapporti omo-
genitali - dichiarati contro natura già dalla lettera ai Romani ed ora denomi-
nati con il neologismo di sodomia - si includono anche la masturbazione e ogni
rapporto sessuale non procreativo.102 Dall'idea della finalità naturale degli
organi sessuali e della destinazione della genitalità alla procreazione deriva
che ogni frustrazione volontaria della facoltà procreativa è contro natura.
La tassonomia dei peccati sessuali e la sua giustificazione etico-antropo-
logica sarà completata dalla Scolastica ed in modo particolare da san Tomma-
so nell'ambito del vizio della lussuria. Quello che ci colpisce è che, nella valu-
tazione della gravità delle colpe sessuali, il criterio di base è quello della fina-

100
Una presentazione sintetica della sessualità nell'Alto Medioevo e nella letteratura peniten-
ziale: J.A. BRUNDAGE, Law, Sex, and Christian Society in Medieval Europe, Chicago 1987,124-175.
101
Si veda, soprattutto: G. CAPPELLI, Autoerotismo. Un problema morale nei primi secoli cri-
stiani?, Bologna 1986; D. ELLIOTT, Fallen Bodies: Pollution, Sexuality, and Demonology in the Middle
Ages, Philadelphia (Penn) 1998.
102
Sullo sviluppo della categoria di contra naturam nell'Alto Medioevo: V.L. BOLLOUGH, The
Sin against Nature and Homosexuality, in V.L. BULLOUGH - J. BRUNDAGE, Sexual Practices and the
Medieval Church, Buffalo 1982,55-71; J. CHIFFOLEAU, Contra naturam. Pour une approche casuistique
et procédurale de la nature médiévale, Micrologus 4(1996) 265-312. Su san Pier Damiani e il LIber
Gomorrhianus: K. SKWIERCZY SKI, L'apologia della Chiesa, della società o di se stesso? Il Liber
Gomorrhianus di s. Pier Damiani, in M. TAGLIAFERRI (ed.), Pier Damiani. L'eremita, il teologo, il rifor-
matore (1007-2007), Bologna 2009, 259-279.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 93

lità procreativa e dell'uso naturale degli organi sessuali e, solo in subordine,


quello del rispetto della persona umana e della relazione interpersonale. San
Tommaso insegna, pertanto, che fra i peccati contro natura il peggiore è la
bestialità, poi viene la sodomia e il meno grave è la masturbazione,103 ma
aggiunge che, configurandosi come violazioni delYordo naturae stabilito dal
Creatore, qualunque peccato contro natura, inclusa la masturbazione, è da giu-
dicarsi più grave di qualsiasi altro peccato di lussuria.104 Ne segue che un atto
masturbatorio è moralmente più grave di uno stupro o di un incesto se, in que-
sti atti sessuali, non viene frustrata la potenza procreativa insita nell'esercizio
della genitalità. Solo dopo aver fatto questa distinzione preliminare, l'Angeli-
co insegna che, tra i peccati che non sono contro natura, i più gravi sono quel-
li che comportano una ingiustizia verso l'altra persona, per cui un rapporto ses-
suale non coniugale fra due persone libere (la fornicatio simplex) è meno grave
di un atto sessuale compiuto con violenza su una donna.105
Questa impostazione, per quanto coerente con le sue premesse antro-
pologiche, ci sconcerta: è vero, infatti, che, per volontà di Dio creatore, la ses-
sualità è aperta alla procreazione, ma è altrettanto vero che la naturale socia-
lità dell'uomo lo spinge all'amore coniugale e alla famiglia, così che solo nel
contesto dell'amore la sessualità viene ad essere esercitata in modo veramen-
te umano. Per la nostra sensibilità personalista una violenza su una donna o un
incesto rappresentano violazioni del logos della sessualità umana molto più
gravi, per esempio, di un atto masturbatorio.

5. L A MORALE SESSUALE
NELLA TEOLOGIA POST-TRIDENTINA

Dopo la grande sintesi scolastica e il fervore di autenticità evangelica che


aveva scosso la cristianità medievale nel XII e XIII secolo, il declino del

103
S. TOMMASO D'AQUINO, S Th Il-IIae, q. 154, art. 12, ad 4: «Gravissimum autem est peccatum
bestialitatis, ubi non servatur debita species... Post hoc autem est vitium sodomiticum, ubi non servatur
debitus sexus. Post hoc autem est peccatum ex eo quod non servatur debitus modus concumbendi».
104
S. TOMMASO D'AQUINO, S Th II-IIae q. 154, art. 12. Utrum vitium contra naturam sit maxi-
mum peccatum inter species luxuriae. Nella risposta alla prima obiezione egli spiega che nei peccati
sessuali, in generale, c'è una lesione dell'orbo rationis che è "ab homine", mentre nei peccati contro
natura si aggiunge una lesone dell'orde? naturae che è "ab ipso Deo" e ne conclude che «in peccatis con-
tra naturam, in quibus ipse ordo naturae violatur, fit iniuria ipsi Deo».
105
S. TOMMASO D'AQUINO, S Th II-IIae q. 154, art. 12, resp.: "Magis autem repugnat rationi
quod aliquis venereis utatur non solum contra id quod convenit proli generandae, sed etiam cum
iniuria alterius".
94 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

mondo medievale è segnato da una crisi spirituale che, all'inizio dell'evo


moderno, porterà ben presto alla Riforma.

5.1. La Riforma e il concilio


Il primato della soggettività e dell'interiorità tipico del tempo moderno,
la crisi nominalistica del pensiero scolastico, la messa in discussione della
christianitas come unità politica e religiosa, la volontà degli Stati di sottrarre
alla Chiesa il controllo biopolitico delle persone sono alcuni dei fattori etero-
genei che conducono a questa crisi lacerante.
La risposta cattolica alla sfida del protestantesimo ebbe come fulcro il
concilio di Trento (1548-1563), i cui scopi erano anzitutto di riaffermare il
ruolo della Chiesa, di chiarire i principi della fede cattolica in riferimento alle
posizioni dei riformatori così da elaborare criteri di identità cattolica e pro-
muovere la consapevolezza di appartenenza alla Chiesa dei fedeli attraverso
una dottrina, una prassi e una spiritualità condivise.
Nell'ambito matrimoniale si riaffermò la sacramentalità del matrimonio
e, quindi, la legittimità della giurisdizione della Chiesa in questo campo. I temi
attinenti all'etica sessuale e matrimoniale non furono trattati, ma dopo Trento
si ebbe un gran fiorire di studi e di opere sull'argomento in risposta al proget-
to conciliare di rinnovamento della vita ecclesiale e di riqualificazione della
formazione teologica del clero. L'attenzione per la prassi confessionale faceva
parte della strategia generale di riaffermazione dell'appartenenza cattolica e
condusse, nel contesto di un'investigazione capillare sulla vita privata dei fede-
li, a porre un'enfasi non piccola sulla vita sessuale.
In vista della riforma della vita ecclesiale e come sussidio per l'istruzio-
ne dei fedeli, i padri conciliari avevano chiesto al papa la pubblicazione di un
catechismo che proponesse un compendio della dottrina cattolica. Nel 1566, a
tre anni dalla fine del concilio, fu pubblicato «ad uso dei parroci» il Catechismo
romano, composto a Roma sotto l'autorità di san Pio V. La trattazione del
matrimonio è molto interessante: si recupera la dottrina paolina del matrimo-
nio come dono (n. 289), si inserisce il matrimonio nell'orizzonte della storia
della salvezza per mostrarne il significato religioso (nn. 291-293), si valorizza,
attraverso una ripresa di Agostino, il tema dell'amore sponsale e si indica come
prima ragione del matrimonio la società coniugale:

Bisogna spiegare per quali motivi l'uomo e la donna debbano unirsi. La prima
ragione è questa stessa società di sesso diverso, ricercata per istinto di natura,
[haec ipsa diversi sexus naturae instinctu expetita societas] che, cementata dalla
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 95

speranza del reciproco sostegno ed appoggio, rende più agevole affrontare le


asprezze della vita e gli incomodi della vecchiaia [...]. La seconda sta nel desi-
derio della procreazione, non tanto per lasciare eredi dei beni materiali, ma per-
ché possano allevarsi buoni cultori della vera fede religiosa [...]. Del resto fu
questo l'unico motivo per cui Dio istituì agli inizi il matrimonio [...]. La terza
causa del matrimonio sopravvenne dopo il peccato originale che fece perdere la
giustizia in cui l'uomo era stato creato e suscitò il conflitto fra l'appetito sessua-
le e la ragione.106

Lo sforzo del Catechismo di riproporre la dottrina cattolica in una pro-


spettiva più pastorale e più rispondente alla sensibilità degli uomini del suo
tempo non ebbe successo e il suo influsso sulla riflessione teologica, almeno su
questo, fu praticamente nullo.

5.2. Le Institutiones e la casistica


La creazione dei seminari per la formazione dei sacerdoti voluta dal con-
cilio di Trento con il decreto del 14 luglio 1563 e la dottrina tridentina sulla
integrità dell'accusa dei peccati nel sacramento della penitenza 107 portano alla
necessità di predisporre testi di morale adatti alle esigenze dell'insegnamento
e orientati prevalentemente alla prassi confessionale.108 Questi nuovi testi,
detti Institutiones theologiae moralis, abbandonata l'impostazione scolastica
della morale articolata intorno alle virtù e tralasciati i trattati speculativi sulla
beatitudine e il fine ultimo, presentavano la morale speciale seguendo i pre-
cetti del Decalogo e quindi con un orientamento tendenzialmente negativo e
con un interesse particolare al corretto riconoscimento delle trasgressioni. Le
questioni di etica sessuale vengono trattate nel contesto del sesto e nono
comandamento, nell'ambito della legge che proibisce esplicitamente l'adulte-
rio, ma implicitamente condanna ogni lussuria esterna e interna (pensieri e
desideri).
Il Tridentino aveva anche incoraggiato lo studio dei casi di coscienza per
aiutare i pastori ad affrontare e risolvere tutti i problemi concreti che pote-
vano incontrare nel ministero e questo portò alla compilazione di opere di

106
Catechismus romanus, p. 2, c. 8, q. 13 (cf. L. ADRIANOPOLI, Il catechismo romano commenta-
to, Milano 1983, § 291).
107
II concilio aveva affermato la necessità «di diritto divino di confessare tutti e singoli i pec-
cati mortali, anche quelli occulti e che violano i due ultimi comandamenti del Decalogo, come pure le
circostanze che cambiano la specie». Sessio, XIV, c. 7 (DS 1707); cf. J.A. D o COUTO, De integritate con-
fessionis apud Patres Concilii Tridentini, Roma 1969.
108
Cf. Sessio, XXIII, Decretum de reformatione, c. 18.
96 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

pura casistica, che si prefiggevano di esaminare caso per caso le varie situa-
zioni umane attraverso l'applicazione di regole e di principi generali. Per indi-
viduare gli spazi di libertà che si aprivano alla coscienza nei confronti delle
leggi e dei precetti, con particolare riferimento all'uso di opinioni morali di
maggiore o minore probabilità, si elaborarono diversi sistemi morali in con-
correnza fra loro.
Nel XVI e XVII secolo le problematiche sessuali si trovarono largamen-
te coinvolte nelle polemiche tra i vari sistemi morali, soprattutto quelle tra
rigoristi e lassisti.109 Se il rigorismo fu coinvolto nella condanna del gianseni-
smo, diverse proposizioni di etica sessuale ispirate al lassismo furono condan-
nate dal Sant'Uffizio sotto i pontefici Alessandro VII (1655-1667), Innocenzo
XI (1676-1689), Alessandro Vili (1689-1691). Tra le altre, Alessandro VII nel
1666 condannò alcune proposizioni tratte da opere di Giovanni Caramuel
(1606-1682), detto il principe dei lassisti: secondo una di esse la fornicazione è
cattiva solo perché proibita, ma non in sé;110 secondo un'altra la masturbazio-
ne non sarebbe proibita per legge di natura, ma solo per legge divina positiva,
e se non fosse stata proibita avrebbe potuto essere buona e talvolta obbligato-
ria sub mortali.m
In questo contesto, un tema molto dibattuto fu quello della «parvitas
materiae in re venerea» (materia lieve in ambito sessuale).112 San Tommaso
aveva insegnato che nell'ambito della sessualità non si dà mai parvità di mate-
ria per cui tutti i peccati contro la castità, essendo la materia in ogni caso grave,
devono considerarsi mortali.113 Il motivo di questa severità era comprensibile
per quanto riguardava l'uso della facoltà generativa fuori del matrimonio, ma
era più difficile spiegare come semplici sguardi o toccamenti, se compiuti con
piena avvertenza e deliberato consenso, fossero sempre peccati mortali. Il
motivo - piuttosto discutibile - è che il consenso al piacere illecito connesso
con i peccati di lussuria (come la fornicazione) è peccato mortale, e questo non
vale solo per il consenso in atto, ma anche per il consenso ordinato a tale pia-
cere che si esprime negli sguardi e nei toccamenti.114

109
L. VEREECKE, «L'etica sessuale dei moralisti post-tridentini», in ID., Da Guglielmo
d'Ockham a sant'Alfonso de Liguori, Cinisello Balsamo 1990,657-678.
110
Propositiones LXV damnatae, 2 mart. 1679, n. 48 (DS 2148).
111
Propositiones LXV damnatae, 2 mart. 1679, n. 49 (DS 2149).
112
Secondo l'impostazione classica, il peccato mortale è un atto umano deordinato rispetto al
fine ultimo dell'uomo. In esso intelletto e volontà abbracciano con piena avvertenza e consiglio inte-
gro un oggetto che è materia grave. L'oggetto, considerato in sé e nelle circostanze, è materia grave,
quando priva l'anima della sua ordinazione al fine ultimo, che è la carità; cf. O. LOTTIN, Principes de
Morale, Louvain 1947,297-299.
113
TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 1 5 4 , a. 2.
114
TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 1 5 4 , a. 4.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 97

Tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII si fece strada un'opinione
diversa che ammetteva anche in re venerea la possibilità della parvità di mate-
ria, almeno per alcuni oggetti ritenuti non gravemente disordinati, come un
pensiero o un bacio.115
Papa Clemente Vili (1592-1605) e papa Paolo V (1605-1621) avevano
ordinato di denunciare all'Inquisizione coloro che sostenevano che baci,
abbracci e toccamenti in vista della delectatio carnalis non erano peccati mor-
tali.116 Nel 1612 Claudio Aquaviva, generale dei gesuiti, era intervenuto con un
decreto che proibiva d'insegnare l'opinione della parvità di materia. È signifi-
cativo il fatto che nell'edizione del 1607 del De sancto matrimonii sacramento
del gesuita T. Sanchez venisse dichiarata «veracissima sententia» l'opinione
della parvità di materia nel piacere sessuale, quando questo provenga esclusi-
vamente dal tatto e dal pensiero. Secondo lui, infatti, non c'erano ragioni con-
vincenti per ammettere la parvità di materia negli altri comandamenti ed
escluderla, invece, nel sesto comandamento. 117 A partire, però, dall'edizione
successiva, pubblicata nel 1614, morto l'autore, questa opinione possibilista
sulla parvità di materia scomparve.118
Al tempo di Alessandro VII, il Sant'Uffizio, rispondendo a un dubium
sulla sollicitatio, ribadiva nel 1661 che «in rebus venereis non datur parvitas
materiae»119 e nel 1666 condannò una proposizione che considerava probabi-
le l'opinione che era un peccato soltanto veniale il bacio desiderato per il pia-
cere carnale che ne nasce, escluso il pericolo di consenso ulteriore e di pol-
luzione.120

5-3- Morale matrimoniale


Nell'immediato dopo concilio si notano segni di notevole interesse nelle
opere di tre teologi spagnoli: il domenicano Pedro de Ledesma (t 1604), l'a-

115
Ampio studio sull'argomento in: J.M. DIAZ-MORENO, «La doctrina moral sobre la parvedad
de materia "in re venerea" desde Cayetano hasta San Alfonso», in Archivio Teològico Granadino
23(1960), 5-138.
116
Cf. F. GIUNCHEDI, Eros e norma. Saggi di sessualità e bioetica, Roma 1994,49, nota 5.
117
T. SÀNCHEZ, De sancto matrimonii sacramento, IX, disp. 47, nn. 7.9.16.
118
Si discute se la rettifica sia stata introdotta dall'autore stesso o da un correttore (come fareb-
be pensare l'avvertenza del frontespizio: «Superiorum auctoritate correcta»).
119
Responsum S. Officii, 11 febr. 1661 (DS 2013).
120 propositiones LXV damnatae, 18 mar. 1666, n. 40 (DS 2060). Fino a oggi la questione è rima-
sta sostanzialmente a questo punto, anche se la stessa nozione di materia è stata recentemente messa
in discussione da alcuni moralisti tacciandola di fisicalismo. Nella prassi pastorale attuale si mantiene
l'idea della materia oggettivamente grave, ma - forti dei progressi delle scienze psicologiche - si ten-
dono ad attenuare avvertenza e consenso. Cf.: J.P. BOYLE, Parvitas Materiae in Sexto in Contemporary
Catholic Thought, Washington D C 1987; K.H. KLEBER, De parvitate materiae in sexto. Ein Bietrag zur
Geschichte der katholischen Moraltheologie, Regensburg 1971; E. ORSENIGO, «La parvità di materia
nella lussuria: riflessioni storico-dottrinali», in La Scuola Cattolica 92(1964), 425-442.
98 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

gostiniano Basilio Ponce de Leon (1570-1629) e particolarmente il già ricorda-


to Tomas Sanchez (1550-1610), il principe del matrimonio, la cui opera mono-
grafica De sancto matrimonii sacramento ebbe numerosissime edizioni e com-
pendi.121
T. Sanchez è testimone di un grande cambiamento avvenuto nella consi-
derazione del piacere sessuale: ispirandosi alla filosofia aristotelica sulla bontà
della natura, molti teologi, dall'inizio del XVI secolo, andavano sostenendo la
bontà dell'atto coniugale e quindi del piacere a esso connesso anche senza una
esplicita intenzione procreativa; essendo la finalità procreativa intrinseca
all'atto, era sufficiente non escluderla positivamente.122 Sanchez insegnava
appunto che «lo sposo che usasse del matrimonio senza intenzione di procrea-
re, ma senza neppure escluderla, volendo semplicemente unirsi a sua moglie
senza pensare alla procreazione, non fa peccato». Se invece «l'atto coniugale è
compiuto solo per piacere, ma senza violare i fini del matrimonio, è una colpa
veniale». Si specificava infine, con mentalità tipicamente casistica, che colui
che esige il debito solo per il piacere fa peccato, l'altro però, a motivo del debi-
tum e del pericolo di incontinenza del coniuge, è obbligato ad acconsentire.
I teologi lassisti, come A. Escobar (1589-1669), A. Diana (1585-1663), G.
Sanchez (t 1624), andranno molto più avanti di T. Sanchez, dichiarando che
«non c'è peccato, neppure veniale, in un atto coniugale compiuto solo per pia-
cere». Questa proposizione, tolta dalle opere di G. Sanchez, fu condannata da
Innocenzo IX nel 1679 sotto la spinta di una deputazione di teologi rigoristi
provenienti dall'Università di Lovanio.123 Mentre infatti una parte della teolo-
gia morale enfatizzava le componenti, per così dire, fisiologiche della sessua-
lità, si ingrossavano le fila dei rigoristi che, tornando ad Agostino attraverso la
lettura fattane da Giansenio, sottolineavano la finalità procreativa del matri-
monio e la subordinazione a essa di ogni altro fine.
Una posizione prudente e moderata fra i due estremi del lassismo insi-
gnificante e del rigorismo invivibile fu quella tenuta da sant'Alfonso Maria
de' Liguori (1696-1787). «Sant'Alfonso si colloca tra gli autori benigni del
suo tempo. Riguardo al corpo in genere e alla sessualità in specie egli è seve-
ro ed esigente, ma evita il rigorismo che caratterizzò molti suoi contempora-

121
Cf. R. BROUILLARD, «Sanchez Th.», in Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris 1939,
XIV/1,1078-1079.
122
L. VEREECKE, «Matrimonio e piacere sessuale nei teologi dell'epoca moderna (1300-1789)»,
in ID., Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso de Liguori, 679-701.
123 propositiones LXV damnatae, 2 mart. 1679, n. 9: «Opus coniugii ob solam voluptatem exer-
citum omni penitus caret culpa ac defectu veniali» (DS 2109). La proposizione condannata è in: G.
SÀNCHEZ, Selectae et practicae disputationes, disp. 23, n. 14; cf. VEREECKE, «Matrimonio e piacere ses-
suale nei teologi dell'epoca moderna (1300-1789)», 696-700.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 99

nei».124 Per sant'Alfonso l'atto coniugale è di per sé onesto e non ha bisogno


di essere scusato; può diventare illecito per accidens, quando per esempio il
rapporto reca danno al coniuge o quando sia compiuto in tempi o luoghi
indebiti. 125 Con questa posizione supera decisamente la dottrina tradiziona-
le dei bona excusantia,126 Nella controversia sul piacere nel matrimonio,
segue l'opinione moderata, già espressa da T. Sanchez, e disapprova quella
lassista, condannata da Innocenzo XI, sulla liceità della copula posta solo per
piacere, anche se sottolinea che si tratta di peccato solo veniale.127
Enumerando quindi le ragioni per cui si può compiere lecitamente un
atto coniugale, che si identificano con i fini che è lecito perseguire nel contrar-
re matrimonio,128 egli ricorda per primo l'impegno della traditio mutua (dono
reciproco) degli sposi, quindi la procreazione (anche se non è necessario che
questa intenzione sia sempre esplicita, basta che non la si escluda e per motivi
adeguati, come l'indigenza, è lecito anche sperare che non avvenga); il pericolo
di incontinenza in sé o nel partner; la salute o altri fini estrinseci «perché - com-
menta sant'Alfonso - ciò che è per sua natura onesto e ordinato ad un fine,
viene riferito lecitamente ad un altro fine che non si opponga a questo».129
La proposta alfonsiana dimostra concretezza, equilibrio e larghezza pasto-
rale, ma non possiamo non osservare che qui, come del resto in tutte le discus-
sioni fra lassisti e rigoristi, si tiene conto di tanti elementi (piacere, procreazione,
bisogni sessuali, debito coniugale, salute...), ma il grande assente è Vamore
coniugale nelle sue componenti emotive e personali. Al di là di ogni altra consi-
derazione, è tale assenza che rende irrimediabilmente insufficiente, per la nostra
mentalità, questo modo di guardare al matrimonio e alla sessualità.

124
M. BEVILACQUA, La realtà corporea dell'uomo nel pensiero di Sant'Alfonso e degli autori
redentoristi del XIX secolo, Roma 1991,198.
125
ALFONSO M. DE' LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2, dub. 2, a. 1, n. 900ss (a cura di L.
GAUDÉ, Roma 1912, t. 4,82ss).
126
Alla fine degli anni '60 B. Häring e M. Zalba polemizzarono sul presunto anti-agostinismo
di sant'Alfonso in morale matrimoniale, sostenuto dal primo e negato dal secondo; cf. M. ZALBA, «S.
Alfonso in contrasto con la tradizione e con S. Agostino? (sfogliando B. Häring)», in Rassegna di Teo-
logia 10(1969), 369-388.
127
ALFONSO M . DE' LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2 , d u b . 2, a. 1, n . 9 1 2 ( a c u r a di L. GAUDÉ,
Roma 1912, t. 4,95).: «Certum est esse illicitum habere copulam propter solam voluptatem; ut patet ex
propositione 9 damnata ab Innocentio XI. Commune est tamen, apud omnes id non esse mortale [...]
sed tantum veniale peccatum [...] ita ex D.Thoma».
128
ALFONSO M. DE' LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2, dub. 2, a. 1, nn. 882-883 (a cura di L.
GAUDÉ, Roma 1912, t. 4, 59-65). Egli distingue fini intrinseci essenziali («traditio mutua cum obliga-
tione reddendi debitum et vinculum indissolubile»), fini intrinseci accidentali («procreatio prolis et
remedium concupiscentiae») e fini estrinseci accidentali («plurimi esse possunt ut pax concilianda,
voluptas captanda» ecc.). Chi esclude i fini intrinseci essenziali contrae invalidamente il matrimonio,
mentre chi (come un vecchio) non potesse perseguire i fini intrinseci accidentali non lo contrae né
invalidamente né illecitamente; cf. L. VELA, «La doctrina de S. Alfonso M.a de Ligorio sobre los fines
del matrimonio», in Sai Terrae 61(1973), 599-621.
129
ALFONSO M. DE' LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2, dub. 2, a. 1, n. 927,3 (a cura di L.
GAUDÉ, Roma 1912, t. 4,109).
100 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

6. L A MANUALISTICA

La nascita della scienza sessuale ottocentesca, con le sue grandi conquiste


in campo medico, sociologico e psicologico, codificò con esattezza i confini della
sessualità normale e patologica ed elaborò, come rovescio dei comportamenti
sessuali ritenuti normali ovvero naturali e paradigmatici, una sofisticata tasso-
nomia delle deviazioni o perversioni sessuali. Sullo sfondo operava un pregiu-
dizio condiviso che il modello sessuale e familiare dell'occidente corrispondes-
se a uno stile di vita ragionevole ed evoluto e l'unico pienamente umano.
Parallelamente, in campo teologico, la neoscolastica si sforzava di fonda-
re tutta l'antropologia e l'etica sessuale sulla categoria di natura umana. I limi-
ti di questa impostazione erano fondamentalmente tre: prima di tutto Yintel-
lettualismo insito in una comprensione della ragione astratta e disincarnata, più
vicina al cogito cartesiano che alla recta ratio scolastica; in secondo luogo una
visione della natura umana piuttosto biologista, in sintonia con la scientia
sexualis elaborata dalla medicina ottocentesca, con il rischio di ribaltare senza
mediazioni l'ordine fenomenico nell'ordine morale; infine, la tendenza a crede-
re che i costumi sessuali e familiari dell'occidente siano un'espressione com-
piuta della legge naturale e un paradigma etico sul quale valutare ogni altro
costume e comportamento.
La teologia morale ottocentesca si espresse tipicamente nei manuali,
destinati a trasmettere ai futuri pastori con chiarezza e uniformità la dottrina
cattolica.

Scritti in latino, utilizzati nei seminari di tutto il mondo, riprendono con maggior
logica e con gli adattamenti canonici la dottrina delle Institutiones morales
secondo l'ordine del Decalogo. Gli autori si ispirano in primo luogo al sistema
alfonsiano o al probabilismo, ma di fatto queste opzioni di principio hanno
poche conseguenze pratiche. 130

La manualistica sino alle soglie del Vaticano II continua a presentare la


morale sessuale nell'ambito della trattazione del sesto e nono comandamento,
e questa collocazione contribuisce a perpetuare una visione negativa della ses-
sualità che viene presentata nella prospettiva della proibizione e della tra-
sgressione. È ovviamente prevista una trattazione anche nell'ambito della
virtù della castità, cioè in prospettiva positiva. Tuttavia l'idea dominante che la

130
L. VEREECKE, « S t o r i a d e l l a t e o l o g i a m o r a l e » , i n P. ROSSANO - G. RAVASI - A . GHIRLANDA
(edd.), Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 8 2005,1333.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 101

sessualità sia una realtà prevalentemente corporea ordinata alla procreazione


porta a ridurre la sessualità alla genitalità, così che la castità viene letta con la
quasi esclusiva preoccupazione di stabilire l'uso lecito della facoltà generativa
e del piacere connesso. Basti vedere la definizione che ne dà il famoso morali-
sta spagnolo M. Zalba: «Virtù morale speciale, parte della virtù della tempe-
ranza, che porta a regolare l'uso della facoltà generativa secondo la retta ragio-
ne illuminata dalla fede».131
Le condizioni per il lecito uso della facoltà generativa sono così enume-
rate nel manuale di Mausbach:
1) la sottomissione dell'istinto sessuale allo spirito e ai suoi fini morali;
2) l'ordinamento della potenza sessuale allo scopo della procreazione;
3) il suo soddisfacimento esclusivo nel matrimonio.132
Ogni violazione di tali condizioni configura un uso disordinato della
facoltà generativa e un soddisfacimento disordinato del piacere sessuale, cioè
una qualche forma del peccato della lussuria. A questo proposito, può essere
utile ricordare lo schema dei peccati sessuali o di lussuria, offerto da M. Zalba.133
I peccati di lussuria si distinguono prima di tutto in peccati completi {pec-
cata consummata) se gli atti peccaminosi pervengono alla piena soddisfazione
dell'istinto sessuale cioè all'orgasmo, e in peccati incompleti {peccata non con-
summata) in caso contrario.

I. Peccati completi di lussuria:


1. Lussuria consumata secondo il fine naturale: fornicazione, stupro, ratto,
adulterio, incesto, sacrilegio carnale.
2. Lussuria consumata contro il fine naturale: polluzione, sodomia, bestialità.
II. Peccati incompleti di lussuria:
1. Atti incompleti esterni di lussuria.
2. Atti incompleti interni di lussuria: cattivi pensieri, delectatio morosa, desi-
deri impuri, godimento impuro.
3. Atti impudichi (atti che provocano lussuria o moti carnali).
III. Anomalie sessuali (ad esempio feticismo, masochismo...).

La manualistica preconciliare è in genere concorde riguardo al fatto che


ogni peccato sessuale, se direttamente e in sé voluto, è sempre peccato morta-
le (ex toto genere suo) giacché non si ammette in tale ambito la parvitas mate-

131
M. ZALBA, Theologiae moralis compendium, Madrid 1958,1, 734: «Virtus morali specialis,
pars subiectiva temperantiae, quae inclinat ad moderandum usum facultatis generativae secundum
rectam rationem fide illustratam».
132
G. MAUSBACH, Teologia morale, Alba 1959, 948-949.
133
ZALBA, Theologiae moralis compendium, 761-802.
102 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

riae, sulla base dell'idea che da Agostino, attraverso Tommaso, giunge fino a
oggi sull'intrinseca gravità delle colpe in questo ambito. L'ordine e il disordine
sessuale vengono, ancora una volta e molto rigorosamente, compresi in rela-
zione alla fecondità, almeno virtuale, degli atti sessuali.
La morale manualistica mostra nel campo dell'etica sessuale la sua insuf-
ficienza: molto più angusta e povera antropologicamente rispetto ai vasti oriz-
zonti della sintesi agostiniana e scolastica, molto meno vivace e creativa, per il
suo desiderio di uniformità e certezza, rispetto alla morale post-tridentina,
sempre più lontana dalla vita concreta dei cristiani e spiritualmente arida
rispetto alla grande tradizione.
Il paradigma che interpreta la sessualità in prospettiva naturalista e pro-
creazionista, con l'accento posto sulle dimensioni fisico-biologiche della ses-
sualità, l'enfasi unilaterale sul legame tra sessualità e procreazione, l'appiat-
timento della vita coniugale sul tema dell'istituzione e dei doveri coniugali, si
mostrava, perciò, sempre più inadeguato a rispondere ai bisogni dei cristiani e
a orientare la loro vita nel delicato ambito della sessualità.

7- L A CRISI DEL MODELLO TRADIZIONALE


*

Nella prima metà del XX secolo, sotto la spinta dei progressi della medi-
cina e delle scienze umane, di grandi rivolgimenti sociali e culturali e di un rin-
novamento negli studi teologici, il dibattito sul matrimonio e sulla sessualità si
fece intenso. Uno dei temi più vivacemente dibattuti fu la dottrina dei fini del
matrimonio, preparato, alla fine dell'Ottocento, da suggestioni del Durier e del
Ballerini i quali, per primi, avevano introdotto Xaffetto tra i fini del matrimo-
nio e quindi dell'unione sessuale.134
Nel 1928 Dietrich von Hildebrand pubblicò il suo Die Ehe nel quale
distingue tra Zweck o scopo primario del matrimonio e Sinn o senso di esso: lo
scopo è la procreazione, il senso è l'amore, la fusione d'amore. Tale struttura è
applicata alla comprensione dell'atto coniugale il cui senso è appunto l'amore,
e lo scopo la procreazione.

Come il matrimonio - egli scrive - , nel suo significato, è anzitutto fusione d'a-
more, così anche l'unione fisica non ha semplicemente il significato di procrea-

134
Si vedano: C. BURKE, «Fini del Matrimonio: visione istituzionale o personalistica?», in Anna-
tes Theologici 6(1992), 227-254; S.D. KOZUL, Evoluzione della dottrina circa l'essenza del matrimonio
dal C.I.C. al Vaticano II, Vicenza 1980.
CAP. 2 - IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE 103

zione. Certo non vi è maggior mistero, nell'ordine naturale, che la nascita di una
nuova creatura dotata d'anima immortale, appunto attraverso questa intima
unione [...]. Ma tale scopo primario non è l'unico senso dell'unione corporea e,
soggettivamente, non ne è mai il senso primo. 135

Sulla scia di von Hildebrand si colloca Herbert Doms che, nel 1935, pub-
blicò il celebre e controverso Significato e scopo del matrimonio.136 Doms insi-
ste sull'idea del Sinn del matrimonio come «unità dei due» a livello fisico e spi-
rituale; la rappresentazione e l'attuazione concreta di esso sono costituite dal-
l'atto coniugale.137 Non è escluso il fine procreativo o biologico (come egli lo
chiama) né quello personale o di compimento dei coniugi, ma tali fini sono
parte del connaturale orientamento dell'unità dei due che si attua.
Su una linea non dissimile si colloca più tardi B. Krempel che sostiene la
comunità di vita come essenza del matrimonio e che riconosce il fine proprio
di esso nel perfezionamento delle persone.138 Per lui «l'atto coniugale è la
parola del matrimonio».
Di fronte ai tentativi di revisione della dottrina dei fini, il magistero
interviene in vario modo. Le tesi estreme, che alcuni avevano dedotto este-
nuando le posizioni di von Hildebrand e Doms, furono condannate, ma gli ele-
menti più vitali della discussione cominciarono a entrare, sia pure timidamen-
te, nello stesso magistero.
Nel 1930 l'enciclica Casti connubii mostra di essere al corrente della
disputa intorno ai fini del matrimonio e si muove in una linea di cauta revisio-
ne del dettato tradizionale. Era l'ultimo giorno del 1930. In quell'anno per la
prima volta una Chiesa cristiana, quella anglicana, aveva accettato, sia pure
come male minore, la contraccezione e in quello stesso anno Pio XI volle far
uscire la sua enciclica sul matrimonio cristiano.139 In essa giungono a matura-
zione gli interventi magisteriali dei pontefici di fine Ottocento, tra i quali l'en-
ciclica Arcanum divinae sapientiae di Leone XIII (1880). Domina in Casti con-
nubii la preoccupazione per lo sfaldarsi dell'istituto matrimoniale nel contesto

135
D. VON HILDEBRAND, Il matrimonio, Brescia 1959,28 (originale tedesco Die Ehe, 1928).
136
H. DOMS, Vom Simm und Zweck der Ehe, Breslau 1935 (trad. it. Significato e scopo del matri-
monio, Roma 1946). Gli interventi polemici furono molti, segnaliamo: E. BOISSARD, Questions théologi-
que sur le mariage, Paris 1948; A. LANZA, «De fine primario matrimonii», in Apollinaris 13(1940), 57-83.
137
Cf. H. DOMS, «Conception personnaliste du mariage d'après S.Thomas», in Revue Thomiste
45(1939), 76: «L'acte conjugal est plein de sens et se justifie dejà en soi-mème, abstraction faite de son
orientation vers l'enfant».
138
B. KREMPEL, Die Zweckfrage der Ehe in neuer Beleuchtung, begriffen aus dem Wesen der bei-
den Geschlechter im Lichte der Beziehungslehre des hl Thomas, Einsiedeln-Köln 1941.
139
P i o X I , Casti connubii: AAS 2 2 ( 1 9 3 0 ) , 5 3 9 - 5 9 2 . T e s t o i t a l i a n o in P. BARBERI - D . TETTAMAN-
ZI, Matrimonio e famiglia nel magistero della Chiesa. I documenti dal concilio di Firenze a Giovanni
Paolo II, Milano 1986,107-154; cf. D. TETTAMANZI, «L'attualità del magistero di Pio XI sulla pastorale
del matrimonio e della famiglia», in La Famiglia 17(1983), 49-71.
104 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

della società industriale e della cultura secolarizzata con l'affermarsi di «errori e


vizi del matrimonio», come le libere convivenze, i matrimoni civili, l'aborto e la
contraccezione. Si avverte l'urgenza di riproporre alla Chiesa l'ideale matrimo-
niale cristiano, e lo si fa cercando di superare le angustie della visione giuridico-
canonistica del matrimonio, così come era delineata nel Codice del '17, attraver-
so una ripresa della dottrina agostiniana dei bona matrimonii.
Per Pio XI, «da Dio derivano l'istituzione del matrimonio, le sue leggi, i
suoi fini, i suoi beni».140 Fra i beni un notevole risalto viene attribuito al bonum
fidei: esso viene messo in rapporto con l'amore coniugale «che pervade tutti i
compiti [officia] della vita coniugale e che nel matrimonio cristiano ha come un
primato». Si resta sorpresi nel vedere il rilievo che il tema dell 'amore coniugale
occupa nell'enciclica e il ruolo che esso svolge nello strutturare l'ordine intrafa-
miliare, presentato come un ordo amoris. La valutazione dell'amore coniugale
conduce a un tentativo di ripresentazione della dottrina dei fini, ispirata alla dot-
trina tradizionale, nella sua articolazione di fine primario e secondario fra loro
subordinati, che non viene certo superata, ma viene letta in luce nuova, recupe-
rando esplicitamente, fra l'altro, gli spunti offerti dal Catechismo tridentino:

Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l'assiduo impegno di
perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come insegna il Catechismo
romano, si può anche dire «primaria ragione e motivo del matrimonio», purché
s'intenda per matrimonio, non già, nel senso più stretto, l'istituzione ordinata alla
retta procreazione ed educazione della prole, ma, in senso più largo, la comu-
nione, la consuetudine e la società di tutta quanta la vita.
Consolidata infine con il vincolo di questa carità la società domestica, fiorirà in essa
necessariamente quello che è chiamato da sant'Agostino «ordine dell'amore».141

Pio XII - teologo molto creativo - cercherà di riformulare la dottrina dei


fini, tenendo conto degli elementi più vitali delle nuove proposte, ma critican-
done gli aspetti incompatibili con la tradizione. Parlando alla Sacra Rota, il 3
ottobre 1941, si espresse in questi termini:

Due tendenze sono da evitarsi: quella che nell'esaminare gli elementi costitutivi
dell'atto della generazione dà peso unicamente al fine primario del matrimonio,

140
Pio XI, Casti connubii 10.
141
Pio XI, Casti connubii 25.27: «Haec mutua coniugum interior conformatio, hoc assiduum
sese invicem perficiendi Studium, verissima quadam ratione, ut docet Catechismus Romanus, etiam pri-
maria matrimonii causa et ratio dici potest, si tamen matrimonium non pressius ut institutum ad pro-
lem rite procreandam educandamque, sed latius ut totius vitae communio, consuetudo, societas acci-
piatur [...] Firmata denique huius caritatis vinculo domestica societate, floreat in ea necesse est ille, qui
ab Augustino vocatur ordo amoris» (DS 3707-3708).
CAP. 1 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA 105

come se il fine secondario non esistesse o almeno non fosse finis operis stabilito
dall'Ordinatore stesso della natura; e quella che considera il fine secondario
come ugualmente principale, svincolandolo dall'essenziale sua subordinazione al
fine primario, il che per logica necessità condurrebbe a funeste conseguenze.142

Su questa dichiarazione di Pio XII, evidentemente preoccupato dall'af-


fermazione di un'indipendenza dei fini che condurrebbe alla dissociabilità fra
amore coniugale e procreazione, si basa il decreto del Sant'Uffizio del 1° apri-
le 1944 che si chiude così:

[Si chiede] se si possa ammettere la dottrina di alcuni [autori] moderni che nega-
no che il fine primario del matrimonio sia la generazione ed educazione della
prole e insegnano che i fini secondari non sono essenzialmente subordinati al
fine primario, ma sono parimenti principali e indipendenti. Risposta: No. 143

Ancora nel 1951, nel famoso Discorso alle ostetriche italiane, Pio XII
ribadisce la stessa tesi che la funzione primaria del matrimonio è «il servizio
per la vita nuova» e mette in rapporto interno Vamore coniugale con la pro-
creazione nel tentativo di riproporre la dottrina tradizionale in un contesto più
personalista:

Non soltanto l'opera comune della vita esterna, ma anche tutto l'arricchimento
personale, lo stesso arricchimento intellettuale e spirituale, persino tutto ciò che
vi è di più spirituale e profondo nell'amore coniugale come tale, è stato messo
per volontà della natura e del Creatore al servizio della discendenza.144

Sarà compito del Concilio Vaticano II e della teologia post-conciliare


operare una profonda rilettura della dottrina tradizionale, ponendo al centro
della riflessione morale il tema dell'amore in quanto generatore di una comu-
nità di persone.

142
Pio XII, «Allocuzione ai giudici della Rota Romana»: AAS 33(1941), 423. Merita sottoli-
neare la novità di questo insegnamento che inserisce anche i fini non procreativi tra quelli intesi dalla
natura come parte, quindi, del finis operis e non solo del finis operands.
143
«Decretum S. Officii, 1-4-1944»: AAS 36(1944), 103 (cf. DS 3838): «An admitti possit quo-
rundam recentiorum doctrina, qui vel negant finem primarium matrimonii esse prolis generationem et
educationem, vel docent fines secundarios fini primario non esse essentialiter subordinatos sed esse
aeque principales et independentes. Resp. Negative»; cf. F. HUERTH, «De finibus matrimonii. Adnota-
tiones ad Decretum S. Officii, die 1 apr. 1944», in Periodica 33(1944), 207-234.
144
Pio XII, «Allocuzione alle congressiste dell'Unione cattolica italiana ostetriche, 29-10-
1951»: AAS 43(1951), 849-850; cf. B. PETRÀ, «Principi fondamentali di morale coniugale», in Vivens
Homo 1(1990), 45-47.
3
ANTROPOLOGIA SESSUALE
CONTEMPORANEA

Il popolo di Dio raggiunge la sua autocomprensione in precisi contesti sto-


rici e culturali, in una fitta serie di rimandi e di confronti attraverso i quali le atti-
tudini costanti che caratterizzano il suo ethos o carattere morale si esprimono e
si incarnano. Dalla fine del XIX secolo va in crisi il modello di antropologia ses-
suale sedimentato nella cultura occidentale che, pur variamente declinato, aveva
dominato il mondo occidentale dai tempi degli antichi greci e che era stato adot-
tato dalla tradizione cristiana per tematizzare la propria esperienza morale. Tra
la fine del secolo XIX e l'inizio del XX, per una serie di fattori convergenti di
natura diversa, è finita l'unità culturale dell'occidente e la nostra concezione di
sessualità ha subito un'autentica rivoluzione per cause molteplici e variamente
interconnesse, non ultime i progressi delle scienze biologiche che hanno svelato
alcuni aspetti fondamentali della sessualità umana e gli apporti preziosi, anche se
spesso contraddittori, delle scienze umane (soprattutto psicologia, antropologia
culturale e sociologia) che hanno aperto orizzonti prima non immaginati.
Sono tramontate le grandi ideologie che, con le loro narrazioni onni-
esplicative, determinavano l'orizzonte di senso della vita delle persone e con
esse le grandi ideologie del sesso. I ruoli sociali e i rapporti tra i sessi, il lega-
me fra sessualità, procreazione e matrimonio, la stessa naturalità dei sessi veni-
vano profondamente criticati e, risalendone la genealogia storica, si metteva a
nudo il loro radicarsi in logiche di potere e di repressione. Il superamento dei
sistemi normativi tradizionali imposti per convenzione e autorità, l'esaltazione
della libertà dell'eros, l'emancipazione sessuale della donna, la destrutturazio-
ne dei legami familiari tradizionali, lo scollamento fra genitalità e procreazio-
ne permesso e facilitato, fra l'altro, dalla disponibilità dei nuovi metodi con-
traccettivi,1 sono alcuni dei tratti tipici della cosiddetta rivoluzione sessuale.

1
«Divenuta facilmente disponibile negli anni Sessanta, la pillola si rivelò proprio ciò che le
donne stavano aspettando [...]. Finalmente si poteva ricorrere ad un contraccettivo sicuro al cento per
108 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Queste idee hanno avuto un influsso incalcolabile sulla mentalità oggi


prevalente nel mondo occidentale, subendo tra l'altro singolari trasformazioni
nell'incontro con quella filosofia marxista che ha indiscutibilmente dominato
la scena della cultura europea per gran parte del XX secolo: pensiamo a W.
Reich (1897-1957), alle suggestioni marxiste presenti, anche se elaborate in
modo critico, in E. Fromm (1900-1980), all'inquietante produzione di H. Mar-
cuse (1898-1979), in cui la ragione hegeliana pare ricondotta alla pulsione freu-
diana, e rivoluzione politica e liberazione dell'eros sembrano coincidere.2
Secondo Marcuse dopo la conquista delle libertà civili, ideale della rivoluzione
francese, e dopo la libertà dal bisogno, meta della rivoluzione russa, gli ulterio-
ri traguardi della libertà saranno la libertà dal lavoro, la libertà dalla famiglia,
la libertà dalla morale. Il compito della modernità matura sarà dunque svinco-
lare la sessualità umana dall'istituto familiare, legato alle convenzioni, al san-
gue, al controllo sociale, e dare piena libertà al dispiegarsi dell'eros, infranti
tutti i tabù e i divieti.
Oggi si nota la tendenza a leggere la sessualità staccandola dalla funzio-
ne procreativa e collegandola a diverse direzioni di senso, enfatizzandone le
qualità ludiche, erotiche, espressive, creative, affettive rispetto alle statiche e
ripetitive determinazioni del sesso corporeo. Benché non si trascurino le valen-
ze sociali e persino politiche della sessualità, l'orientamento di gran lunga
dominante tende a privilegiarne le dimensioni soggettive e private, ponendo la
vita sessuale in stretta relazione con la realizzazione del benessere individuale
sul piano del vissuto personale. La sessualità non avrebbe perciò un solo senso,
dato con la natura, ma più sensi, fra loro difficilmente gerarchizzabili ovvero
gerarchizzabili soltanto dall'individuo all'interno di alcune norme basilari e
minimali, poste a protezione del vivere comune. E nata una nuova visione della
sessualità e il presente capitolo è dedicato a un esame, rapsodico e sintetico, di
alcuni aspetti biologici, psicologici e filosofici dell'antropologia sessuale con-
temporanea più rilevanti nel dialogo con la teologia.

cento, il cui uso era completamente controllato dalla donna e la cui assunzione, parte della routine quo-
tidiana, non possedeva la detestabile prerogativa di inibire la passione come accadeva con la spugna o
col diaframma» (R. TANNAHILL, Storia dei costumi sessuali. L'uomo, la donna, l'evoluzione delle società
di fronte al sesso, Milano 2 1994,358); cf. M.P. FAGGIONI, «La famiglia e le sfide del progresso biomedi-
co», in Studia Moralia 35(1997), 111-119.
2
Ricordiamo alcuni testi fondamentali: H. MARCUSE, Reason and revolution. Hegel and the rise
of social theory, New York 1941 (trad. it. Ragione e rivoluzione. Hegel ed il sorgere della teoria sociale,
Bologna 1966); ID., Eros and civilisation. A philosophical inquiry into Freud, Boston 1955 (trad. it. Eros
e civiltà, Torino 51969); W. REICH, The Sexual Revolution, London 1945 (trad. it. La rivoluzione sessua-
le, Milano 7 1971).
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 109

1• ASPETTI BIOMEDICI

La sessualità umana è una realtà complessa e pluristratificata che carat-


terizza l'essere umano a tutti i livelli. In questo primo paragrafo esamineremo
le strutture fisiche in cui si articola la sessualità.

1.1. Significato biologico della sessualità


In natura la sessualità si presenta strettamente connessa con i processi
riproduttivi, anche se la riproduzione sessuata, comportante la fusione di due
cellule germinali parentali per dare origine a un nuovo individuo, non è l'unica
forma possibile di riproduzione: gli organismi più semplici e filogeneticamente
più antichi si moltiplicano attraverso meccanismi asessuati, come la scissione o
la gemmazione, che non prevedono la fusione di cellule parentali diverse.

Non sarebbe esatto [...] affermare che la sessualità è comparsa in natura come
strumento a servizio della pura crescita numerica. In origine la sua funzione bio-
logica era quella di stabilire differenze fra gli individui, e ancor oggi la situazio-
ne non è cambiata. Se l'unico problema degli esseri viventi fosse quello di mol-
tiplicarsi, potrebbero trovare metodi più pratici, rinunciando a quel complicato
accessorio che è la sessualità.3

Dal punto di vista evolutivo, la riproduzione sessuata presenta un enor-


me vantaggio rispetto a quella asessuata perché permette un continuo rime-
scolamento genetico all'interno della stessa specie.

In tal modo - scrive E.O. Wilson - il genitore si garantisce contro un ambien-


te che cambia in modo imprevedibile [...]. Le popolazioni che si riproducono
sessualmente hanno una maggiore probabilità, rispetto a quelle asessuali, di
creare nuove combinazioni genetiche, meglio adatte a condizioni ambientali
mutate. 4

3
W. WICKLER - U. SEIBT, Maschile Femminile. Il significato della differenziazione sessuale, Tori-
no 1986, 28. Su tutto il tema, cf. T.R. BIRKHEAD - A.P. MOLLER (edd.), Sperm competition and sexual
selection, San Diego-London 1998.
4
E.O. WILSON, Sociobiologia. La nuova sintesi, Bologna 1979, 327; cf. N.H. BARTON - B.
CHARLESWORTH, «Why Sex and Recombination?», in Science 281(1998), 1986-1989.
110 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

1.2. Componenti del sesso fisico


Le scienze biomediche hanno dimostrato che la sessualità, anche a un
livello puramente fisico, non è la caratteristica di un solo organo o apparato, né
si può ridurre a un certo assetto cromosomico o alla capacità di produrre
gameti di un certo tipo, ma comprende un insieme articolato di caratteri isto-
logici, anatomici, fisiologici in stretta interdipendenza. Dal punto di vista fisi-
co possiamo distinguere i seguenti livelli di caratterizzazione della sessualità.
- Sesso genetico: stabilito al concepimento, corrisponde all'assetto cro-
mosomico 46,XY per il maschio e 46,XX per la femmina. 5
- Sesso gonadico: dipende dalla struttura anatomo-istologica delle
ghiandole sessuali, testicolo nel maschio e ovaio nella femmina; esso condizio-
na il sesso germinale, cioè il tipo di gameti maturi (spermatozoi o uova) che
saranno prodotti nell'età fertile.
- Sesso ormonale: dipende dal profilo endocrino del maschio e della
femmina (che si assesta dopo la pubertà) e dai relativi imprinting cerebrali,
prodotti nel periodo fetale e perinatale.
- Sesso gonoforico o genitale interno o duttale: dipende dalla conforma-
zione anatomica delle strutture annesse alle gonadi; nel maschio epididimo,
dotti deferenti e vescichette seminali; nella femmina utero e tube.
- Sesso fenotipico o genitale esterno: è dato dalla presenza del pene e
dello scroto nel maschio e da quella della vulva e della vagina nella femmina.
Viene detto anche sesso legale perché condiziona il sesso anagrafico (assegna-
to alla nascita) e il sesso di allevamento.
- Sesso somatico o corporeo o morfologico: dipende dal tipico struttu-
rarsi del corpo maschile e femminile dopo la pubertà (statura definitiva, masse
muscolari, sviluppo della ghiandola mammaria, distribuzione del grasso, quan-
tità, disposizione e sedi del pilizio, tonalità della voce...). Qualcuno parla anche
di sesso endocrino, perché si tratta di manifestazioni somatiche largamente
influenzate dall'assetto endocrino.
Risalta da quanto detto l'estrema complessità delle componenti fisiche
della sessualità umana che, già nella sua dimensione corporea, si presenta plu-
ristratificata e non riducibile a un unico fattore.

5
Viene detto anche sesso cromatinico perché in alcune cellule somatiche della femmina un cro-
mosoma X presenta al microscopio ottico l'aspetto di un corpicciolo cromosomico detto cromatina di
Barr, essendo stato osservato per la prima volta da M.L. Barr nel 1949.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 111

1 S v i l u p p o del sesso fisico

La realizzazione del sesso fisico è un processo graduale: essa si attua


attraverso una serie concatenata di eventi che inizia al momento del concepi-
mento con lo stabilimento del sesso cromosomico il quale dirige a sua volta lo
sviluppo del sesso gonadico. In dipendenza del sesso gonadico, si ha quindi la
differenziazione dei genitali interni ed esterni; il completamento del processo
si ha infine alla pubertà con il raggiungimento della maturità sessuale e l'inizio
dell'attività gametogenetica.
Bisogna poi sottolineare che lo svolgimento del duplice progetto,
maschile e femminile, non avviene in modo del tutto separato, come se i due
sessi fossero realtà estranee e incomunicabili, ma al contrario percorrendo un
itinerario differenziativo che prevede tappe comuni e numerose interrelazioni.
Vediamo sinteticamente le principali tappe di questo delicato e affascinante
processo.
- Stabilimento del sesso cromosomico: ogni specie possiede un numero
definito di cromosomi riuniti in coppie (uno di origine paterna e uno di origi-
ne materna), che sono i depositari dell'informazione genetica del nuovo indi-
viduo, cioè di tutti quei dati che ne dirigeranno, dal primo all'ultimo istante
dell'esistenza, lo sviluppo e le funzioni.
Il corredo cromosomico completo di ognuno si stabilisce al momento del
concepimento, quando si fondono il gamete maschile con il gamete femminile
per dare lo zigote. Nella specie umana l'assetto cromosomico (cariotipo) di un
maschio è 46,XY mentre quello di una femmina è 46,XX. Ciò significa che ogni
soggetto della specie umana possiede 46 cromosomi, dei quali 44 sono cromo-
somi somatici o autosomi e 2 sono cromosomi sessuali o gonosomi: la coppia
XY caratterizza il maschio e quella XX la femmina. I cromosomi sessuali
caratterizzano il sesso genetico dello zigote e ne segnano il destino sessuale.
- Differenziazione delle gonadi: il primo abbozzo della gonade compare
verso la quarta settimana di vita fetale ed è da principio indifferenziato; sol-
tanto più tardi la gonade indifferente comincia a evolvere verso un testicolo o
verso un ovaio. Questi processi differenziativi sono regolati da una trentina di
geni situati sia sugli autosomi sia sui gonosomi tra i quali svolgono un ruolo
essenziale, per la differenziazione in senso maschile, il gene SRY e il gene
SOX9 sul cromosoma Y.
- Differenziazione dei genitali interni: i genitali interni cominciano a dif-
ferenziarsi verso la settima settimana a partire da particolari strutture embrio-
nali denominate dotti del Wolff e dotti del Müller. Entrambe le strutture sono
presenti sia nel maschio sia nella femmina, ma poi subiscono una diversa evo-
112 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

luzione nei due sessi.6 Dalle strutture wolffiane derivano i genitali interni
maschili: epididimi, deferenti, vescichette seminali e dotti eiaculatori. Dalle
strutture mülleriane derivano i genitali interni femminili: utero e tube, e inol-
tre la porzione superiore della vagina.
- Differenziazione dei genitali esterni: mentre i genitali interni derivano
da strutture diverse nei due sessi, i genitali esterni hanno un'origine comune.
La loro differenziazione in senso maschile avviene soltanto in presenza di de-
idrotestosterone o DHT (un derivato del testosterone), mentre in assenza di fat-
tori mascolinizzanti si osserva un'intrinseca tendenza alla differenziazione in
senso femminile. Esiste una struttura embrionale comune, il tubercolo genita-
le, da cui derivano sia la clitoride della femmina sia i corpi cavernosi del pene
maschile. Le pieghe labioscrotali danno origine alle grandi labbra nella donna
e allo scroto nell'uomo.
- Maturazione puberale: la differenziazione sessuale in senso maschile o
femminile si perfeziona nella pubertà (tra gli 11-14 anni per la femmina e i 13-
16 anni per il maschio) con l'attivazione della funzione gonadica ormonale e
gametogenetica e con le relative modificazioni fenotipiche, somatiche, neu-
roendocrine e comportamentali.

1 A. Basi biologiche del comportamento sessuale


La natura, oltre alle complesse strutture anatomiche e fisiologiche desti-
nate alle dinamiche riproduttive, ha sviluppato negli animali tutta una serie di
comportamenti legati alla sessualità e al suo esercizio che sono tipici per cia-
scuna specie. Si tratta di moduli comportamentali stereotipati e largamente
dipendenti dal patrimonio genetico e dall'azione ciclica degli ormoni sessuali.
Dalla fine degli anni '70 del secolo scorso si sono moltiplicate le segnalazioni
di differenze morfologiche e fisiologiche del sistema nervoso centrale degli
uccelli e dei mammiferi legate all'azione ormonale, prenatale e postnatale, sui
nuclei ipotalamici, il cervelletto, l'amigdala, la corteccia cerebrale, e connesse
con particolari comportamenti sessuali. Anche nella specie umana - come
vedremo meglio più avanti - esistono caratterizzazioni in senso maschile o
femminile delle strutture del sistema nervoso centrale anche se il loro signifi-

6
Se non intervengono agenti mascolinizzanti, questi abbozzi tendono a femminilizzarsi sotto
l'influsso di determinanti embrionali prodotti da geni del cromosoma X, per cui si svilupperanno le
strutture mülleriane, mentre quelle wolffiane tenderanno a regredire. I fattori mascolinizzanti prodot-
ti dal testicolo sono il testosterone, che stimola lo sviluppo del Wolff, e Yormone antimülleriano, che fa
regredire il dotto di Müller dallo stesso lato del corpo in cui si trova il testicolo che lo ha prodotto.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 113

cato non è ancora del tutto chiaro, soprattutto per quanto riguarda l'identità e
l'orientamento sessuale.
Esiste, infatti, una tipicità della sessualità umana rispetto a ogni altra
forma di sessualità animale - esclusi, per certi aspetti, alcuni primati superiori -
e questo è riconosciuto anche dagli autori che tendono a una visione tenden-
zialmente biologista dell'uomo. Prima di tutto, lo sviluppo della capacità cere-
brale e, quindi, dell'intelligenza e dell'autocoscienza influenza ogni attività
umana, incluso l'esercizio della sessualità: l'uomo collega l'attività sessuale con
forme di relazione interpersonale stabile di cui la coppia eterosessuale e la
famiglia nucleare, composta da genitori e figli, sono le strutture elementari. Si
considerino due circostanze tipiche della nostra specie e le loro conseguenze
sulle dinamiche dei comportamenti umani. Il bipedismo - che ci distingue dai
primati non umani - ha mutato la struttura del bacino umano e ha cambiato la
direzione della vagina femminile, così che il rapporto sessuale, che negli ani-
mali avviene con il maschio alle spalle della femmina, nella specie umana com-
porta l'affrontarsi dei visi e degli sguardi: questo fatto spinge l'uomo ad attri-
buire un significato relazionale e interpersonale all'esercizio della sessualità.
L'immaturità dei neonati umani e il lungo periodo di accudimento spiegano la
tendenza della specie umana a stabilire legami stabili fra adulti a vantaggio
della loro discendenza: le caratteristiche della nostra specie richiedono che,
assieme alla trasmissione della vita biologica, ci sia una socializzazione cultu-
rale dei nuovi nati la quale deve protrarsi per un lungo periodo, con cure assi-
due da parte di un numero stabile e solidale di persone con cui il bambino
possa sviluppare relazioni di intimità e di identificazione.
Ciò che appare veramente originale nella specie umana è l'attribuzione
alla sessualità di significati e finalità non immediatamente ricollegabili alla
riproduzione. Qualcosa di questo tipo si osserva - a livello aurorale - tra le
scimmie bonobo in cui toccare i genitali serve a rafforzare i legami all'interno
del gruppo, retto da regime matriarcale, e ad allentare situazioni di conflitto
che potrebbero minare la coesione dal gruppo stesso.7 Dal punto di vista eto-
logico, un fatto davvero unico nella specie umana è la grande indipendenza esi-
stente fra estro, fecondità e comportamenti copulatori: l'estrema corticalizza-
zione dei comportamenti sessuali ha fatto sì che, nella nostra specie, le femmi-
ne si lascino avvicinare dai maschi anche al di fuori delle fasi estrali e i maschi
cerchino le femmine anche al di fuori e indipendentemente dai periodi fecon-
di per ricercare piacere, per rafforzare i legami interpersonali, per esercitare
rapporti di potere e di forza.

7
F.B.M. DE WAAL - F. LANTING, Bonobo. The Forgotten Ape, Berkeley-Los Angeles-London
1997.
114 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Se, dunque, per comprendere la sessualità umana non possiamo prescin-


dere dall'esistenza di determinismi genetici e neuroendocrini, tuttavia la carat-
teristica saliente della sessualità umana va ricercata altrove, nell'elaborazione
psichica dei comportamenti sessuali, nell'integrazione dei comportamenti ses-
suali e procreativi all'interno di vissuti personali e interpersonali, nello svilup-
po dei significati sociali, ludici, comunicativi della sessualità.

2. ASPETTI PSICOLOGICI

La valutazione delle dimensioni interiori della sessualità non è certo una


novità nella storia del pensiero, ma l'apporto dato dalla psicologia moderna
alla comprensione della sessualità umana è davvero straordinario. Al di là
degli istinti, delle inclinazioni e dei comportamenti esiste un mondo misterio-
so in cui affondano le radici stesse del nostro essere personale e che continua-
mente interagisce con il mondo della realtà e delle relazioni.

2.1. Sessualità e sviluppo della persona


È grande merito delle scienze umane, sviluppatesi dalla metà del secolo
scorso, e soprattutto della psicologia analitica di S. Freud (1856-1939) aver
messo in luce gli aspetti psichici della sessualità umana e la sua rilevanza come
dimensione non accessoria e accidentale, ma strutturante ed essenziale nello
sviluppo della persona. Nel dare questi cenni sulle dottrine freudiane non si
vuole canonizzarle o assumerle come unico strumento ermeneutico, ma sem-
bra giusto farne una pur breve menzione perché l'opera del grande analista ha
segnato in modo irreversibile la nostra visione dell'uomo e della sessualità.8
La fondamentale scoperta di Freud, contenuta nei celebri Tre saggi sulla
teoria sessuale del 1905,9 è che evoluzione della sessualità ed evoluzione della
persona sono intimamente collegate. Anche se la tendenza freudiana a inter-
pretare l'evoluzione della persona in termini esclusivamente sessuali è stata cri-

8
Un bilancio dell'apporto della psicoanalisi alla Chiesa nell'opera di un grande studioso cat-
tolico: L. ANCONA, Il debito della Chiesa alla psicoanalisi, Milano 2007.
9
S. FREUD, Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, Leipzig-Wien 1905 (trad. it. Tre saggi sulla
teoria sessuale, in ID., Opere, Torino 1967-1980, V, 441-546). Si trova anche in varie edizioni economi-
che, come i Tascabili Economici Newton, n. 25, Milano 1992.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 115

ticata e ridimensionata all'interno dello stesso movimento psicoanalitico, tutta-


via il valore di questa sconcertante e fondamentale scoperta resta immutato.
G. Abraham così sintetizza i contenuti essenziali della teoria:
a) l'impulso sessuale nelle sue componenti elementari svolge un ruolo
determinante nello sviluppo psico-affettivo di ogni individuo;
b) l'impulso sessuale è, di conseguenza, già attivo nell'infanzia (e questo
elimina la sovrapposizione tradizionale fra sessualità e attività riproduttiva);
c) la sessualità, nel quadro dello sviluppo psicoaffettivo dell'individuo,
integra progressivamente alcuni elementi parziali, la cui armonizzazione glo-
bale permetterà l'espressione di un comportamento sessuale maturo e soddi-
sfacente;
d) sempre nel quadro dello sviluppo psico-affettivo dell'individuo, la ses-
sualità determina dei conflitti inerenti a questo stesso sviluppo e vi partecipa.
Da ciò risulta una potenzialità conflittuale permanente collegata all'impulso
sessuale e l'importanza eziologica preponderante che la sessualità acquisisce
nella comparsa e nel mantenimento delle nevrosi o di altre manifestazioni psi-
copatologiche.10
Sono celebri le fasi che Freud riconobbe nell'evoluzione della sessualità
infantile: fase orale, fase anale, fase fallica, fase edipica, cui segue il periodo di
latenza. Queste fasi sono il risultato del nomadismo della libido, energia psi-
cofisica originaria di natura sessuale. La libido infatti si fissa su zone erogene
differenti lungo un cammino che inizialmente, durate l'infanzia, è caratterizza-
to dall' autoerotismo e à&Wanarchia delle singole pulsioni parziali, ma il cui
esito maturo è la genitalità procreativa che si realizza alla fine della pubertà. Il
nome delle fasi deriva da quello delle diverse zone erogene sulle quali la libi-
do sembra di volta in volta concentrarsi.
Questa successione di fasi maturative della sessualità è strettamente con-
nessa con l'evoluzione dei processi intellettuali e della percezione di sé (iden-
tità). Ogni fase presenta elementi di ambiguità e di conflittualità per cui può
essere superata oppure no, incidendo più o meno pesantemente sulla vita suc-
cessiva. Particolare rilievo ha la cosiddetta fase edipica, che andrebbe dal terzo
al sesto anno di vita. In questa fase la pulsione genitale del bambino si orienta
verso un oggetto, normalmente il genitore che dal punto di vista emotivo è più
vicino, cioè la madre. La relazione figlio-madre viene però a scontrarsi con la
presenza del padre e si configura così la situazione edipica, VEdipo semplice,
come dicono gli psicanalisti: nel bimbo si scontrano la fantasia di uccidere il
padre e la paura della castrazione connessa con la proibizione dell'incesto. Il

10
Cf. G. ABRAHAM - W. PASINI, Introduzione alla sessuologia clinica, Milano 3 1982,29.
116 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

conflitto edipico viene superato mediante meccanismi di identificazione: il


bambino introietta la figura paterna e ne assimila l'autorità con il suo sistema
di valori e divieti (super-io).
Per la bambina è diverso, giacché nella fase fallica essa sentirebbe l'invi-
dia del pene. Di tale mancanza addosserebbe la responsabilità alla madre, avvi-
cinandosi al padre chiedendogli un figlio che compensi l'inferiorità. Secondo
Freud (che in questo rivela un atteggiamento profondamente maschilista) la
donna non si libera mai completamente dei legami edipici perché in lei non
opera la paura della castrazione e questo spiegherebbe la disposizione di
dipendenza dall'autorità e masochistica tipica della donna.
Lo schema freudiano ha subito grandi contestazioni e smentite, ma resta
un punto di partenza imprescindibile ed è stato stimolo di innumerevoli studi.
L'elemento più vitale per un discorso teologico morale va ritrovato - a mio
avviso - nell'idea di una sessualità/personalità in cammino verso la maturazio-
ne e quindi verso l'integrazione delle energie libidiche nell'io aperto al partner
e alla società.
C'è infatti nella visione psicoanalitica un tèlos della sessualità che coincide
con il tèlos della maturazione della personalità, integrata in tutte le sue compo-
nenti psichiche e relazionali. Fin dal primo aprirsi dell'uomo a se stesso e agli
oggetti del suo mondo, siamo in presenza di un dischiudersi intriso di energie-
pulsioni sessuali, anche se mai puramente determinato e guidato da tali pulsioni.
Al di là delle valutazioni che si possono dare della psicoanalisi, pare di
poter dire che oggi la concezione dinamica ed evolutiva della personalità e
della sessualità è un patrimonio a qualche livello da tutti condiviso e su questa
base molti teologi moralisti hanno cominciato a parlare della sessualità come
funzione della crescita personale, come fattore di socializzazione, come forza
di autotrascendimento. 11

2-2, Identità e ruolo di genere


Un grande contributo alla comprensione dello sviluppo dell'identità ses-
suale è venuto dagli studi di J. Money e degli Hampsons che, negli anni '50,
portarono alla formulazione di una teoria sui fattori che determinano lo svi-
luppo di alcune componenti essenziali del sesso psicologico.12 La teoria di

11
Una visione di questo tipo nel discusso volume: A. VALSECCHI, Nuove vie dell'etica sessuale.
Discorso ai cristiani, Milano 3 1973,38-87.
12
Trent'anni di esperienze sono condensati in opere famose: J. MONEY, Sex Errors of the Body,
Baltimore 1968; J. MONEY - A.A. EHRHARDT, Man & Woman, Boy & Girl. The Differentiation and
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 117

Money si basa sulla premessa che il sesso di una persona sia il risultato di mol-
teplici variabili e non di una o alcune, e che fra queste variabili devono essere
inclusi il sesso psicologico e quello sociale, i quali sono legati in modo stretto
al benessere della persona. Accanto all'orientamento sessuale, che si riferisce
all'oggetto del desiderio erotico, egli introdusse perciò le categorie di identità
di genere, cioè l'autopercezione di se stessi come maschi o come femmine, e di
ruolo di genere, cioè tutto quello che una persona fa o dice per indicare a se
stessa o agli altri la sua appartenenza a un sesso: esso include ma non si restrin-
ge alla sessualità nel senso erotico.13 La percezione di sé come sessuato prece-
de lo sviluppo de\Yorientamento sessuale e l'assunzione di un qualsiasi ruolo
sociale. Essa sta al centro del nostro essere,

è l'ancora della nostra salute emozionale, presente nell'amore e nel gioco, nei
rapporti con gli altri. La nostra identità di genere informa di sé tutto quanto fac-
ciamo e diciamo. La nostra comprensione di noi medesimi e degli altri è limita-
ta dall'intendimento del significato che ha - per noi e per loro - essere uomo o
essere donna.14

L'uso della categoria di genere invece che quella di sesso non è casuale,
ma vuole sottolineare l'origine e la valenza psicosociale di questi aspetti della
persona, svincolandoli dall'ambito della biologia: genere evoca cultura, mentre
sesso suggerisce natura. Money ha dimostrato che, dal punto di vista psicologi-
co, la sessualità alla nascita è indifferenziata e diventa differenziata in senso
maschile o femminile nel corso di varie esperienze della crescita, configuran-
dosi come una sorta di imprinting psichico che si completa entro due anni e
mezzo dalla nascita e che può essere mutato più tardi solo a prezzo di gravi
rischi per l'equilibrio psichico. Un aspetto originale (e oggi messo, almeno in
parte, in discussione) sta nell'affermazione che l'identità di genere si sviluppa
conformemente al sesso di allevamento e che tale sviluppo può avvenire anche
in contrasto con il sesso genetico, gonadico, genitale interno e persino fenoti-
pico, presi singolarmente o in combinazione, per cui il sesso di allevamento
dovrà essere considerato il miglior indice prognostico dell'identità di genere.15

Dimorphism of Gender Identity from Conception to Maturity, Baltimore-London 1972 (trad. it. Uomo
Donna Ragazzo Ragazza, Milano 1976); J. MONEY - P. TUCKER, Sexual Signatures: On Being a Man or a
Woman, Boston 1975 (trad. it. Essere uomo, essere donna. Uno studio sull'identità di genere, Milano 31989).
13
Cf. MONEY, « H e r m a p h r o d i t i s m » , in E . ELLIS - A . ABARBANEL ( e d d . ) , The Encyclopedia of
Sexual Behaviour, New York 2 1967,476: «Gender role is definied as all those things that a person says
or does to disclose himself or herself as having the status of boy or man, girl or woman, respectively. It
includes, but it is not restricted, to sexuality in the sense of eroticism».
14
MONEY - TUCKER, Sexual Signatures: On Being a Man or a Woman, 6-7.
15
Money aveva condotto molte ricerche su bambini dal sesso fisico ambiguo, perciò enfatizza
molto la possibile discordanza fra il sesso di allevamento e il sesso fisico quando vi sia stato un errore
di assegnazione alla nascita o una deliberata scelta terapeutica per motivi seri.
118 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Ai fattori fisici del sesso precedentemente enunciati (sesso genetico, gonadico


ecc.) possiamo ora aggiungere i fattori psico-sociali, non meno rilevanti nel
configurare la dimensione sessuale di una persona: sesso di assegnazione, sesso
di allevamento, identità di genere, ruolo di genere.
Le teorie di Money furono accolte con molto favore e - come vedremo -
condussero a precise strategie terapeutiche e pedagogiche nel caso di sog-
getti con alterazioni dello sviluppo sessuale e rafforzarono l'interpretazione
psicogenetica di alcune alterazioni del comportamento sessuale, come l'o-
mosessualità.
Già dall'inizio degli anni '70, tuttavia, cominciarono a essere pubblicate
osservazioni che mettevano in luce, accanto all'educazione e all'ambiente, il
ruolo svolto dagli ormoni sessuali sul sistema nervoso centrale dell'uomo nel-
l'influenzare lo sviluppo psicosessuale.16 Oggi dati ormai consolidati inducono
a pensare che il cervello umano sia un organo sessualmente caratterizzato e che
anzi il cervello maschile e quello femminile possano essere considerati in un
certo senso due varianti biologiche dello stesso organo. Il prof. Federman, sot-
tolineando che nelle cellule nervose ci sono recettori per androgeni ed estroge-
ni e sistemi enzimatici per il metabolismo degli ormoni sessuali, proprio come
nei genitali, sin dagli anni '80 aveva affermato provocatoriamente che «il cer-
vello ha lo stesso potenziale dei genitali per rispondere agli steroidi sessuali».17
Ci sono evidenze su differenze attitudinali nel maschio e nella femmina
in ambito extrasessuale. La diversa struttura di alcune aree cerebrali fa sì, per
esempio, che in genere i maschi abbiano capacità viso-spaziali migliori delle
donne, le quali presentano però mediamente un eloquio più fluente, mentre a
livello comportamentale il dato più saliente è la maggiore aggressività del
maschio in dipendenza dell'azione degli ormoni maschili sul sistema nervoso
centrale, soprattutto nella vita prenatale. Le tecniche di brain-imaging, come la
risonanza magnetica funzionale e la tomografia a emissione di positroni, hanno
permesso di visualizzare la diversa modalità di funzionamento del cervello
maschile e femminile rispetto a stress ed emozioni, risposta al piacere, tono
dell'umore, capacità decisionali.18
L'influsso degli steroidi sul sistema nervoso centrale nella vita prenatale
riguarda in modo speciale l'area della sessualità, sia a livello fisico, come Yim-

16
Soprattutto a partire dalle osservazioni di J. IMPERATO-MCGINLEY et ai, «Androgens and the
evolution of male gender identity among male pseudohermaphrodites with 5a-reductase deficiency»,
in New England Journal of Medicine 300(1979), 1233-1237.
17
D. FEDERMAN, «Psychosexual Adjustment in Congenital Adrenal Hyperplasia», in New En-
gland Journal of Medicine 316(1987), 210.
18
A. OLIVERIO, «Sesso e cervello», in Psicologia contemporanea 33(2006)198,6-15; D.F. SWAAB,
«Sexual differentiation of the human brain: relevance for gender identity, transsexualism and sexual
orientation», in Gynecological Endocrinology 19(2004), 301-312.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 119

printing ipotalamico che caratterizza la dinamica degli assetti ormonali adulti,


sia a livello psichico concorrendo, con l'educazione, a definire l'identità sessua-
le e l'orientamento sessuale adulto.19 Come vedremo nel prossimo paragrafo e
ancor più dettagliatamente quando parleremo di omosessualità, transessuali-
smo e disturbi della differenziazione sessuale, la questione è molto controversa
e le evidenze disponibili non permettono ancora di delineare un quadro univo-
co. Per non cadere nell'errore di ridurre il comportamento sessuale umano a un
determinismo neuroendocrino, non bisogna mai dimenticare che, nell'uomo, le
disposizioni morfofunzionali si compongono con la plasmabilità e la versatilità
della sessualità umana e che le predisposizioni biopsichiche interagiscono
profondamente con le sollecitazioni provenienti dall'educazione e dall'ambien-
te. Anche a questo livello, come già abbiamo visto parlando del comportamen-
to sessuale, natura e cultura si presentano sempre inestricabilmente connesse e
bisogna evitare prese di posizione unilaterali e ingannevoli. In particolare, nella
genesi dell'identità sessuale, interagiscono due fattori: l'ambiente educativo e le
strutture biologiche (a vari livelli, dal programma genetico al sistema nervoso
centrale, con l'intervento decisivo degli ormoni sessuali, sino al fenotipo) la cui
importanza relativa è tuttora oggetto di discussioni.
Contrapporre in modo drastico biologia e apprendimento non corri-
sponde alla complessità dei dati che stanno via via emergendo e si rivela uno
pseudodibattito, come si esprimeva M.F. Schwartz, perché nessun ricercatore
serio può pensare di opporre la biologia all'apprendimento. Infatti anche nella
specie umana «l'apprendimento implica la biologia [...]. La preferenza sessua-
le e l'identità di genere si stabiliscono mediante il reciproco determinismo di
multideterminanti bio-sociali sequenziali».20

3. L A TEORIA DEL GENERE

La distinzione fra sesso e genere ci introduce nella controversa questio-


ne delle differenze sessuali fra maschio e femmina e nella domanda se il siste-
ma binario dei sessi sia frutto di una necessità naturale o di una costruzione
sociale. Si discute, prima di tutto, se esistono polarità psicologiche naturali nel

19
R.C. FRIEDMAN - J.I. DOWNEY, «Sexual differentiation of behavior: The foundation of devel-
opmental psychosexuality», in Journal of the American Psychoanalytic Society 56(2008), 147-175.
20
M.F. SCHWARTZ, «Intersexuality and Conceptual Implications for the Biosocial Development
o f G e n d e r I d e n t i t y » , i n M.F. SCHWARTZ - S . A . MORACZEWSKI - J . A . MONTELEONE ( e d d . ) , Sex and Gen-
der: A Theological and Scientific Inquiry, St. Louis (Mass.) 1983,312-313.
120 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

maschio e nella femmina che configurino un dimorfismo psicologico dei sessi


parallelo all'evidente dimorfismo fisico. Secondo alcuni, le caratteristiche psi-
cologiche dell'uomo e della donna sono da considerarsi un dato di natura. P.
Lersch, per esempio, partendo dall'anatomo-fisiologia dei due sessi e dalla
dinamica dell'atto sessuale, riconosce la polarità primaria nell'attività (maschi-
le) e nella passività (femminile), per cui maschile è «produrre», femminile
«lasciare che avvenga in sé»; maschile è «estrinsecarsi», femminile «ricevere»;
maschile è «cercare», femminile «lasciarsi cogliere»... 21
Non si può negare l'impressione che queste presunte polarità psicologi-
che riflettano, almeno in parte, i ruoli sociali reciproci dell'uomo e della donna
e che, nella radice, rimandano a questioni di potere. La naturalezza delle diffe-
renze tra l'uomo e la donna è oggi molto osteggiata da alcuni settori dell'an-
tropologia culturale e dagli ambienti femministi che tendono a considerare il
sistema tradizionale dei sessi come un prodotto esclusivo della cultura: la rigi-
da dicotomia dei ruoli nella società e nella famiglia, così come i modelli com-
portamentali del maschio e della femmina e i rispettivi, cosiddetti, tipici profi-
li psicologici non sarebbero altro che la risposta a un sistema di attese sociali e
quindi frutto di costruzione.72
Gli studi antropologici di M. Mead su alcune società primitive - studi
peraltro attualmente molto criticati - misero in luce, sin dagli anni '30, che la
tradizionale immagine dell'uomo e della donna riscontrata nelle culture occi-
dentali è relativa a queste culture e non esprime strutture psicologiche eterne,
ma è largamente condizionata dall'educazione e dalla struttura socio-cultura-
le in cui è elaborata. 23
Simone de Beauvoir ha approfondito la tesi dell'origine culturale delle
differenze esistenti tra uomini e donne, con lo scopo precipuo di mostrare la
radicale parità della donna, contro la mentalità del suo tempo, fortemente
impregnata di pregiudizi maschilisti:

Una società non è una specie: in essa la specie si realizza come esistenza, si tra-
scende verso il mondo e ve.rso l'avvenire. I suoi costumi non si inferiscono dalla
biologia: gli individui non sono mai abbandonati alla loro natura, obbediscono a

21
P. LERSCH, Vom Wesen der Geschlecthter, München 2 1950 (citato in GEVAERT,// problema del-
l'uomo, 83).
22
Rappresentante di spicco della concezione costruttivista della sessualità è Judith Butler; di
lei in italiano: J. BUTLER, Corpi che contano, Milano 1996 (or.: Bodies that Matter: On the Discursive
Limits of «Sex», London 1993).
23
M. MEAD, Sex and Temperament in Three Primitive Societies, New York 1935; ID., Male and
Female: A Study of the Sexes in a Changing World, New York 1949 (trad. it. Maschio e femmina, Mila-
no 9 1979). L'attendibilità delle ricerche della Mead è stata contestata: D. FREEMAN, The Fateful
Hoaxing of Margaret Mead. A Historical Analysis of Her Samoan Research, Boulder (Col.) 1998; M.
ORANS, Not Even Wrong: Margaret Mead, Derek Freeman, and the Samoans, Novato (Cai.) 1996.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 121

quella seconda natura che è l'abitudine, nella quale si riflettono desideri e timo-
ri che rivelano il loro atteggiamento ontologico. Il soggetto non prende coscien-
za di se stesso e non si realizza in quanto corpo, ma in quanto corpo sottoposto
a leggi e tabù: prende coscienza in nome di certi valori.
Ancora una volta non è la fisiologia che può stabilire dei valori, piuttosto i dati
biologici assumono quei valori che l'esistenza dà ad essi [...] Così noi dovremo
chiarire i dati della biologia alla luce di un contesto ontologico, economico, socia-
le, psicologico.24

Secondo i principi di J.-P. Sartre, cui Simone de Beauvoir era personal-


mente legata, l'uomo non ha una natura, ma è libertà. Non esiste dunque né
una natura biologica né una natura psicologica dell'uomo e della donna, nel
senso che la loro diversa struttura anatomo-fisiologica diversa avrebbe in se
stessa un significato umano. È vero che esistono differenze su basi naturali, ma
esse non costituiscono una condizione ineluttabile:

La sessualità presenterà un volto umano soltanto quando essa sarà assunta in


relazioni libere tra persone umane. Prima di essere sesso diverso, la donna è per-
sona libera che progetta se stessa nel mondo. In questo essa è radicalmente
uguale all'uomo 25

Uno degli apporti più significativi e fecondi delle scienze umane moderne
è l'avere rivelato le connessioni intime e quasi inestricabili fra sessualità e
società.26 La sessualità fa la società: essa infatti, connotando profondamente l'i-
dentità individuale e tessendo legami privilegiati fra gli individui, si configura
come la matrice genetica delle strutture relazionali e sociali e, attraverso la tra-
smissione della vita, assicura al gruppo un avvenire e gli offre possibilità di
espansione e di rinnovamento. D'altra parte la società fa la sessualità se si pensa
che la sessualità non può sottrarsi all'influenza della cultura di modo che l'in-
sieme delle determinazioni culturali concorre a modellare la sessualità vissuta
dai soggetti.
Queste prospettive, se spogliate da una sopravvalutazione unilaterale
dell'elemento culturale, possono essere integrate con cautela nel modello di
antropologia sessuale che abbiamo proposto sin dall'inizio: l'essere umano è
un essere eminentemente culturale per cui la sua condizione sessuata è sem-

24
S. DE BEAUVOIR, Il secondo sesso, Milano 1984, 62-63 (or.: Le deuxième sexe, 2 voli., Paris
1949).
25
J. GEVAERT, Il problema dell'uomo, Leumann 41981,85.
26
E . GIUS - A . SALVINI, « S e s s u a l i t à » , in F. DEMARCHI - A . ELLENA - B. CATTARINUSSI ( e d d . ) ,
Nuovo dizionario di sociologia, 1859-1875 (articolo chiaro ed equilibrato).
122 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

pre vissuta-interpretata-progettata alla luce di un senso le cui radici sono cul-


turalmente condizionate, anche se non semplicemente determinate. Se dunque
esistono davvero aspetti psicologici propri del maschio e della femmina, tutta-
via il loro sviluppo e la loro espressione sono orientati in modo decisivo dal
contesto sociale e culturale. La sessualità investe integralmente l'uomo nella
sua complessa articolazione ontologica che, se da un lato lo radica saldamente
nel mondo della natura, dall'altra lo sospinge verso il mondo della cultura.

L'uomo e la donna concreti vivono la loro realtà biologica e organica secondo


forme alla cui determinazione convergono tutti i fattori dell'evoluzione storica,
così che non si dà mai in essi nessun momento concreto che sia puramente natu-
ra e non invece cultura. 27

Nel mondo contemporaneo, però, l'esasperazione della contrapposizione


fra natura e cultura e la negazione della rilevanza dell'elemento biologico-
somatico nel definire la sessualità umana hanno condotto a un rifiuto del sesso
come realtà data, fissa e stabilizzata, a favore del genere inteso come struttura
flessibile e quindi culturalmente e politicamente plasmabile.28

La tarda modernità - scrive G. Hawkes - ha liberato la sessualità dai confini di


una singola egemonia e l'ha sostituita con il pluralismo sessuale. La trasforma-
zione significativa che ha smantellato queste strutture non è stata conseguenza
(diretta) del permissivismo, ma piuttosto di un movimento attraverso il quale la
sessualità intesa come fissità è stata soppiantata dall'identità sessuale in quanto
definita e strutturata dalla scelta individuale, dove la scelta sessuale diventa uno
dei molti elementi della scelta del proprio stile di vita 29

Le osservazioni sempre più numerose sul dimorfismo cerebrale e sul


diverso modo di funzionare del cervello maschile e femminile e lo sviluppo
differenziato di particolari attitudini e reattività, senza dimenticare la diver-
sa strutturazione del corpo maschile e femminile e i diversi ruoli nei con-
fronti della maternità, potrebbero ridimensionare queste posizioni estre-

27
G. BOF, «Uomo», in G. BARBAGLIO - S. DIANICH (edd.), Nuovo dizionario di teologia, Roma
1979,1859. Della sterminata letteratura sul tema segnaliamo un intervento equilibrato: A. SERRA, «Ses-
sualità: natura e cultura», in N. GALLI (ed.), L'educazione sessuale nell'età evolutiva, Milano 1994,23-66.
28
Si vedano: J. BUTLER, La disfatta del genere, Roma 2006; F. HERITIER, Maschile e femminile:
il pensiero della differenza, Roma 2000; D. OLEARY, Maschi o femmine? La guerra del genere, Soveria
Mannelli 2006. Segnaliamo il numero monografico sull'identità di genere de I Quaderni di Scienza e
Vita 2(2007).
29
G. HAWKES, A Sociology of Sex and Sexuality, Buckingham-Philadelphia 1996, 135-136. Si
vedano inoltre, in italiano: G. BOCK, Storia, storia delle donne, storia del genere, Estro 1988; T. DE LAU-
RETIS, Sui generis, Milano 1996; J. LORBER, Paradoxes of Gender, New Haven (CT) 1994 (trad. it. L'in-
venzione dei sessi, Milano 1996).
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 123

me.30 Non mi pare, tuttavia, che le diversità cerebrali e attitudinali finora evi-
denziate abbiano la forza di mettere in crisi gli orientamenti di pensiero con-
temporanei in fatto di genere e, comunque, sarebbe difficile intervenire su con-
cezioni ormai integrate nella coscienza collettiva e ritenute conquiste irrinun-
ciabili.

4- ASPETTI FILOSOFICO-ANTROPOLOGICI

I diversi aspetti della sessualità finora esaminati ci hanno illuminato


sulle molteplici dimensioni, ma non ci hanno ancora portato a coglierne il
senso della sessualità umana e a comprendere che cosa significhi per la per-
sona essere ed esistere sessuata. L'enfasi sulla sessualità nel nostro tempo ha
stimolato anche la ricerca filosofica, così che si può affermare che mai la filo-
sofia si è tanto occupata della sessualità umana, del suo valore e del suo
significato. In questa ultima parte del capitolo noi metteremo in evidenza -
sempre in grandissima sintesi - quegli aspetti del pensiero contemporaneo
che ci sembrano più sintonici con l'ispirazione di fondo ùélYethos cristiano e,
quindi, più idonei a tematizzarlo.

4.1. La scoperta del corpo


Il discorso filosofico sulla sessualità si svolge a partire dall'analisi feno-
menologica del corpo: era infatti inevitabile, investendo riflessivamente l'espe-
rienza del corpo, l'incontro con la sessualità.31
E. Husserl (1859-1938), iniziatore del movimento fenomenologico, ana-
lizza il tema del corpo umano attraverso la distinzione, già presente in A. Scho-
penhauer, di Leib e Körper?2 Il Körper è il corpo qualunque, il corpo oggetto,
suscettibile di essere studiato e descritto dall'anatomia come uno dei tanti

30
L. CAHILL, «Why sex matters for neuroscience», in Nature Reviews Neuroscience 7(2006),
477-484 (con ampia bibliografia). L'articolo è reperibile anche on line.
31
Per il pensiero filosofico sul corpo, si vedano: C. BRUAIRE, Filosofìa del corpo, Milano 1975;
U. GALIMBERTI, Il corpo, Milano 1987; R. LUCAS LUCAS, L'uomo spirito incarnato, Cinisello Balsamo
1993; V. MELCHIORRE, Il corpo, Brescia 1984; ID., Corpo e persona, Genova 1987; R PRINI, Il corpo che
siamo, Torino 1991; C. ROCCHETTA, Per una teologia della corporeità, Torino 1990; W. SCHULTZ, Le
nuove vie della filosofia contemporanea. La corporeità, Genova 1988, III; S. SPINSANTI (ed.), Il corpo
nella cultura contemporanea, Brescia 1983.
32
Sul corpo in prospettiva fenomenologica: A. ALES BELLO, «L'analisi della corporeità nella
fenomenologia», in Studium 96(2000), 481-494; E. BÜCHLI, «Corporeità e conoscenza. Nota sulla posi-
zione della filosofia fenomenologica del Novecento», in II corpo in scena, Milano 1983,69-85.
124 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

oggetti naturali. Il Leib è invece il proprio corpo nel suo presentarsi alla
coscienza, il corpo percepito e vissuto, il corpo sperimentato dal soggetto come
manifestazione della sua identità, come presenza, desiderio, tensione, apertu-
ra. Nella lingua italiana questa comprensione del corpo viene indicata dalla
categoria di corporeità con la quale si vuole esprimere il carattere radicalmen-
te umano e interumano del corpo.
Il corpo come Leib è compresente in qualsiasi percezione, svolgendo la
funzione di un fondamento trascendentale, 33 mentre nei confronti delle cose il
corpo dell'uomo si impone come punto zero (Nullpunkt) dell'orientamento,
ossia come ciò che lo rende possibile e che, per ciò stesso, si sottrae inevitabil-
mente a una visione totale;34 infine, poiché nell'orizzonte in cui Vio vive si
incontrano altre coscienze, la riflessione sul proprio corpo si prolunga inevita-
bilmente sulla sponda dell'intersoggettività.35
In J.-P. Sartre (1905-1980) il tema fenomenologico della corporeità viene
riletto alla luce dell'analisi heideggeriana del Da-sein contenuta in Essere e
tempo. Egli mette in evidenza che il modo umano di essere nel mondo è appun-
to la corporeità, per cui il manifestarsi del mondo viene a darsi mediante il vis-
suto di quell 'io che si apre originariamente al mondo nella corporeità. 36
L'analisi fenomenologica del corpo è guidata dalla celebre distinzione
tra in-sé e per-sé. Uin-sé è l'essere che riposa su se stesso, massiccio, compatto,
immobile, attraversato da un divenire immobile, perché rigido e meccanico. Il
per-sé è diverso, è un altro modo di essere, è l'essere specificamente umano, è
la negazione, il nulla dell 'in-sé, una breccia aperta ne\V in-sé. Il corpo umano è
il crocevia dell'essere e del nulla, è insieme in-sé e superamento dell'in-sé nel
per-sé\ l'uomo, infatti, con il suo trascendimento costitutivo fa sì che ci sia il
mondo, ma questo darsi del mondo refluisce su di lui solo mediante il corpo.
Da questo punto di vista il corpo, come «centro strumentale dei complessi
utensili», rappresenta il passato, il superamento continuo del per-sé?1
In quanto punto permanente di intersezione e dialetticità fra Vin-sé e il
per-sé, di conseguenza il corpo è anche il luogo decisivo della dimensione pro-
pria del per-sé che è Yessere-per-altri. Si legge in L'essere e il nulla:

33
E. HUSSERL, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie,
Den Haag 1952, II,1,3,18a; 11,11,3,38-39 (trad. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia
fenomeno logica, Torino 1965).
34
HUSSERL, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, 1,11,
3,41-42 (cf. MELCHIORRE, Il corpo, 207-209).
35
E. HUSSERL, Zur Phänomenologie der InterSubjektivität, 1932 (cf. MELCHIORRE, Il corpo, 209-
212).
36
F. FERGNANI, Il corpo vissuto, Milano 1979; W. MAIER, Das Problem der Leiblichkeit bei Jean-
Paul Sartre und Maurice Merleau-Ponty, Tübingen 1964; J.A. MERINO, Humanismo existencial en Mer-
leau-Ponty, Madrid 1980.
37
J.-P. SARTRE, L'ètre et le néant, Paris 1943, III,11,1.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 125

10 esisto il mio corpo: questa è la sua prima dimensione d'essere.


11 mio corpo è utilizzato e conosciuto da altri: questa è la sua seconda dimensione.
Ma in quanto io sono per altri, «altri» si manifesta come il soggetto per il quale
10 sono un oggetto [...]. Io quindi esisto per me come conosciuto da altri, ed in
particolare nella mia stessa fatticità. Esisto per me come conosciuto da altri a
titolo di corpo. Questa è la terza dimensione ontologica del mio corpo. 38

Riecheggiano in queste parole non solo la fenomenologia di Husserl, m a


anche la riflessione e il linguaggio dell'esistenzialista cristiano G. Marcel (1889-
1973) che nella celebre espressione «Je suis mon corps»39 ha sintetizzato l'ur-
genza di sfuggire a un'oggettualizzazione del corpo e la volontà di focalizzare,
attraverso la fenomenologia del sentimento fondamentale corporeo (Ur-
ge fühl), il nesso inscindibile fra soggettività e corporeità umana. Nel saggio
Existence et objectivité scrive:

Se ora io mi fermo alla rappresentazione puramente strumentalista di ciò che


chiamo il mio corpo, andrò incontro a degli ostacoli ancora più seri. Notiamo
anzitutto che l'espressione «io mi servo del mio corpo» lascia sussistere tra sé e
l'esperienza confusa e ricca che pretende tradurre un margine molto esteso.
Nella coscienza che io ho del mio corpo, dei miei rapporti col mio corpo, c'è qual-
cosa che questa affermazione non rende, donde questa protesta pressoché
impossibile da reprimere: «Io non mi servo del mio corpo, io sono il mio corpo».
In altri termini, qualcosa nega in me l'esteriorità del mio corpo in rapporto a me
stesso, esteriorità che è implicata nella nozione puramente strumentalista del
corpo; e noi crediamo che il materialismo è uno sforzo - peraltro infelice - per
organizzare questa protesta, per trasformarla in sistema, in dottrina positiva. Esi-
ste a questo riguardo una connessione significativa tra il materialismo e il sen-
sualismo: entrambi traducono una stessa reazione di difesa del pensiero, di cui
ogni filosofia idealista è tenuta a riconoscere l'assoluta legittimità.40

11 corpo non è dunque, per Marcel, né oggetto né strumento dell'/o, m a


la concreta modalità nella quale l'esistenza si dà per ciascuno. Il m o n d o si dà
nel corpo perché nulla esiste per m e se non è in qualche m o d o unito a m e come
mio corpo. L ' u o m o esiste esistendo il suo corpo, cioè nell'incarnazione: la
nozione di incarnazione - annota V. Melchiorre - è qui «assunta come simbo-
lo dell'esistenza». 4 1

38
SARTRE, L'étre et le néant, III,II,3.
39
G. MARCEL, Journal métaphysique, Paris 1935,236 (trad. it. Giornale metafisico, Roma 1966).
40
G. MARCEL, Existence et objectivité, citato da MELCHIORRE, Il corpo, 202-203.
41
MELCHIORRE, Il corpo, 201.
126 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Anche M. Merleau-Ponty (1908-1961) attribuisce al discorso sul corpo,


allargato successivamente a quello sulla carne, una posizione centrale, giacché
esso «rappresenta l'inserzione della coscienza nel mondo e del mondo nella
coscienza».42 Nella Phénoménologie de la perception, pubblicata nel 1945,
giunge ad affermare che il corpo è «potenza del mondo», cioè che esso, ancor
prima della riflessione, struttura il mondo, sorgendo come «un Io naturale e il
soggetto della percezione».43 In Merleau-Ponty - annota X.Tilliette - «il corpo
è un Io rozzo, lo zoccolo di un'esistenza che si vive in cerchi concentrici. È la
pulsione inesauribile di una vita che sbocca sullHpseità. La scolta vigilante che
assume senza posa il turno del mattino». 44 Il cogito che fonda la percezione e,
in generale, ogni sapere è sempre e fin dal principio un tacito cogito corporeo.
Il corpo, infine, sottolinea Merleau-Ponty, è corpo sessuato, così che ogni
percezione trova nel sesso una radice vitale e segreta nella quale prendono
corpo tutte le intenzioni. Questo tema è di grande rilievo: la percezione infat-
ti è il mondo allo stato nascente, non nella sua solitudine, ma nell'unità miste-
riosa e oscura dell'universo percettivo; se la percezione è, per così dire, sessua-
ta, anche il mondo viene a essere segnato da questa radice.

4*2- Due modi di essere-nel-mondo


Sulla linea del pensiero fenomenologico ed esistenzialista che abbiamo
delineato, possiamo collocare quelle riflessioni antropologiche che tentano di
interpretare l'articolazione sessuale della creatura umana in termini di distin-
te modalità di essere nel mondo. Dal momento, infatti, che il mondo si schiude
come mondo umano attraverso la dimensione corporea la quale, a sua volta,
appare segnata dalla dualità sessuale, ne segue che essere maschio ed essere
femmina, mascolinità e femminilità, configurano due modi originariamente
diversi di essere-nel-mondo.45
Alcuni autori si sono provati a specificare in che cosa consistano esatta-
mente queste due modalità distinte di essere-nel-mondo.
Secondo F. Buytendijk, per esempio, uomo e donna rappresentano due
atteggiamenti diversi nei confronti del mondo e della vita, due diversi pro-

42
MELCHIORRE, Il corpo, 221.
43
M. MERLEAU-PONTY, Phénoménologie de la perception, Paris 1945,239; 399.
44
X. TILLIETTE, «Corpo oggettivo, corpo soggettivo», in II corpo perché? Saggi sulla struttura
corporea della persona, Brescia 1979,55.
45
In questa prospettiva: S. PALUMBIERI, Antropologia e sessualità. Presupposti per un'edu-
cazione permanente, Torino 1996. Cf. anche G. Russo (ed.), Bioetica della sessualità, della vita nascen-
te e pediatrica, Leumann 1999,5-183.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 127

getti esistenziali: la donna sarebbe «colei che si prende cura di...»; l'uomo
invece sarebbe «colui che trasforma il mondo e lo domina». La qualità-essen-
za del modo femminile di essere-nel-mondo sarebbe la sollecitudine, mentre
il lavoro sarebbe la qualità-essenza del modo maschile. La donna accentue-
rebbe il valore del mondo e la sua conservazione; essa vivrebbe di gratuità,
un'etica dell'amore; l'uomo al contrario è confrontato con la resistenza del
mondo, agisce calcolando mete da raggiungere e vive l'etica del dovere. 46
Il filosofo italiano Virgilio Melchiorre così sintetizza la sua posizione:

La vita sessuale viene analizzata in questa prospettiva. I modi complementari,


anche se diversamente emergenti nell'uomo e nella donna, della sessualità
come intrusività e della sessualità come ricettività, vengono riportati ai modi
più generali del conoscere che è sempre insieme un essere in situazione e un
trascendere la situazione: uno stare ed un errare, un conservare ed un inventa-
re, un ricordare che trattiene ed un ricordare che si protende, un custodire ed
un donare.
I modi intrusivi e recettivi, maschili e femminili, della sessualità vengono intesi
come una determinazione di questa duplicità del processo conoscitivo: una
determinazione che si sviluppa secondo il simbolismo proprio della corporeità e
della tensione d'amore. La simbolicità propria dell'eros corrisponde infine al
movimento di una reciproca riconoscenza fra i partners: riconoscenza per la
capacità singolare ed irripetibile che ogni persona ha nel comprendere e comu-
nicare un senso alla vita.47

Si tratta - come si vede - di analisi suggestive, ma alquanto opinabili, che


riprendono in sede filosofica la tanto discussa idea delle polarità psicologiche
per cui risultano pesantemente condizionate dal gusto soggettivo e da pre-
comprensioni di tipo culturale.

4.3. Sessualità e intersoggettività


Un contributo interessante viene dai tentativi di illuminare il senso
umano dell'esser maschio e dell'esser femmina dal punto di vista dell'apertura
relazionale della persona. Contribuiscono a delineare il contesto di queste
riflessioni, oltre al tema heideggeriano dell'essere-con-gli altri (il Mit-sein)

46
FJ.J. BUYTENDIJK, La femme, ses modes d'etre, de par altre, d'exister. Essai de psychologie exi-
stentielle, Paris 1961,320ss.
47
V. MELCHIORRE, «Per un'antropologia della sessualità», in CIF, Uomo donna, progetto di vita,
Roma 1985,185.
128 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

come trascendentale dell'esistenza, soprattutto il pensiero di E. Lévinas (1905-


1995) e di M. Buber (1878-1965) sulla dimensione intrinsecamente intersog-
gettiva della persona umana. 48
Dal momento che la dimensione dialogica si trova a fondamento dell'es-
sere personale, allora anche l'esser uomo e l'esser donna non potranno venire
compresi nel loro significato a partire da strutture oggettive (biologiche, socia-
li, psichiche), ma solo all'interno di una relazione di persone, nella reciprocità
dell'incontro di esseri personali incarnati. Il mistero della sessualità umana è in
questo incontro intersoggettivo che, per quanto abbiamo detto finora, non può
essere separato dalle condizioni corporee, ma anzi può avvenire solo in e attra-
verso un corpo.
La sessualità si manifesta nella reciprocità perché si dà reciprocità unica-
mente là dove due esseri esistono pienamente diversi e correlativi, cioè là dove
si dà alterità. Nel contesto dell'incontro interpersonale si rivelano le possibilità
umane della dualità maschile e femminile: differenze anatomo-fisiologiche,
erotismo, caratteri psicologici, elaborazioni culturali, regole sociali sono tutte
possibilità di linguaggio e di riconoscimento dell'altro come altro. Scrive A.
Jeannière:

L'uomo e la donna non divengono ciò che sono se non nella reciprocità di un fac-
cia a faccia corporeo che li impegna l'un l'altro, l'uno all'altro; e parimenti essi
non si esprimono altro che in questa reciprocità. Non si è se stessi che attraver-
so l'altro, questo è ciò che fondamentalmente rivela la sessualità.49

Se la sessualità tende ad aprirsi e ad autotrascendersi nell'alterità, allora


si comprende come l'eterosessualità esprima con verità questa fondamentale e
radicale apertura all'altro in quanto diverso e reciproco. L'uomo maschio si
sente attratto dalla donna in quanto donna ancora prima di scoprire, nel mira-
colo dell'amore umano, di essere attratto da questa donna nella quale la fem-
minilità desiderata si incarna e si esprime e, specularmente, si può dire la stes-
sa cosa della donna verso l'uomo. 50

48
M. BUBER, Werke, München 1962,1 (qui i principali scritti su questo argomento, incluso Ich
und Du, 1922); E. LÉVINAS, Totalità et infini. Essai sur l'extériorité, Den Haag 1961 (trad. it. Totalità e
infinito. Saggio sull'esteriorità, Milano 1980). Si vedano: A. BABOLIN, Essere e alterità in Martin Buber,
Padova 1965; B. BORSATO, L'alterità come etica. Una lettura di Emmanuel Lévinas, Bologna 1995.
49
A. JEANNIÈRE, Anthropologie sexuelle, Paris 1964,130 (trad. it. Antropologia sessuale, Torino
1969).
50
Come vedremo, questa apertura radicale all'altro in quanto altro-da-me non si esprime, se
non in modo parziale e ambiguo, nell'attrazione omosessuale, nella quale prevale una logica di tipo
narcisistico e nella quale opera, quindi, un movimento prevalentemente autoreferenziale. Tale movi-
mento autoreferenziale si pone agli antipodi del movimento virtualmente autotrascendente della ses-
sualità eterosessuale.
CAP. 3 - ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA 129

Nella logica esistenziale del dialogo e del dono è, infine, possibile com-
prendere e recuperare il senso umano del rapporto naturale fra sessualità e
fecondità: annota J. Gevaert che

la fecondità non è soltanto predisposta nella struttura biologica e fisiologica del-


l'uomo e della donna, ma riveste anche, a livello umano, una dimensione inter-
personale: instaurazione di un nuovo dialogo con un nuovo essere, trasmettere
le verità e i valori che conferiscono all'esistenza una ragione d'essere, vivere il
reciproco riconoscimento come uomo e come donna nel lavoro comune per il
figlio.51

La struttura uomo-donna è perciò la struttura che più profondamente


esprime e manifesta nell'essere umano la sua natura interpersonale e la sua
apertura originaria all'alterità e alla trascendenza.

51
GEVAERT, Il problema dell'uomo, 89.
4
IL MODELLO CONTEMPORANEO
DI ANTROPOLOGIA
ED ETICA SESSUALE CATTOLICA

Non credo che ci sia ambito dell'esistenza umana nel quale la frizione tra
la cultura contemporanea e la morale cattolica sia più stridente che nel campo
della morale sessuale e, più a fondo, dell'antropologia sessuale. In effetti, dopo
la crisi protestante, il dialogo della teologia con il mondo si era fatto sempre più
arduo e con molta difficoltà le evoluzioni del pensiero secolare sono penetrate
nella cittadella fortificata della teologia cattolica.
Le rivoluzionarie acquisizioni della cultura contemporanea sulla sessua-
lità furono dapprima guardate con una diffidenza perché si presentavano per lo
più inquadrate in sistemi di pensiero viziati di positivismo, di materialismo e di
irreligiosità e inoltre mettevano in profonda discussione tutto un edificio dot-
trinale sanzionato dalla tradizione e dal magistero antico e ritenuto pressoché
perfetto in ogni sua parte.
Sappiamo, però, che un'attitudine costante del pensiero cattolico è la
ricerca appassionata per la verità integrale della persona e questa passione per
l'uomo ha condotto pian piano ad accogliere criticamente, purificandoli se
necessario dagli aspetti dissonanti rispetto alla sua concezione dell'uomo, que-
sti fecondi apporti che illuminavano il mistero umano in aspetti e prospettive
fino ad allora quasi inesplorati.
In questo capitolo offriremo una sintesi sistematica dell'antropologia ses-
suale dal punto di vista teologico, mentre nel prossimo capitolo tracceremo un
quadro normativo che esprima l'ideale di una sessualità autenticamente
umana così come oggi è percepito dal popolo di Dio.
132 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

1 • L A SESSUALITÀ UMANA IN PROSPETTIVA PERSONALISTA

Nel corso del XX secolo l'apporto di scienze come la medicina, l'antro-


pologia culturale e la psicologia, l'influsso di movimenti filosofici contempora-
nei quali la fenomenologia, l'esistenzialismo e il personalismo, nonché i frutti
del rinnovamento biblico, patristico e liturgico, senza dimenticare il grande
rilievo che hanno avuto i movimenti di spiritualità familiare, hanno portato a
una comprensione nuova della sessualità umana e del matrimonio, con note-
voli ripercussioni sul piano teorico e pastorale. Il processo di rinnovamento
dell'antropologia e della morale sessuale e matrimoniale si è fatto molto viva-
ce negli anni prossimi al Concilio e ancor più negli anni post-conciliari e deve
essere ancora portato a compimento.
A. Valsecchi, in un celebre e discusso lavoro, sintetizza il contributo prin-
cipale che la cultura odierna ha offerto alla teologia cattolica nel campo della
sessualità in questi termini:

L'apporto interpretativo che ci viene dalla cultura sessuale del nostro tempo è il
riconoscimento dei valori personali della sessualità umana: la sua essenziale pre-
senza nello sviluppo dell'intera personalità è il ruolo primario che essa svolge per
la crescita nell'autonomia, nell'oblatività, nell'amore. È il punto di convergenza,
codesto, dei modelli interpretativi creati dalle scienze antropologiche, il cui nuovo
discorso caratterizza in maniera determinante la nostra attuale cultura.1

Non sono mancati, certamente, aspetti più discutibili o decisamente inac-


cettabili. Si sono avute talora adesioni poco critiche ed eccessivamente entu-
siaste agli apporti delle scienze umane, fino a oscurare la specificità del discor-
so teologico e a smorzarne la valenza critica e profetica.2 In altri casi il con-
fronto di alcuni settori del mondo teologico con i pastori è degenerato in aper-
to dissenso con le posizioni magisteriali.
Da parte sua, il magistero post-conciliare ha saputo cogliere l'intima con-
sonanza fra le attitudini antropologiche della teologia cristiana e l'accento per-
sonalista delle nuove impostazioni, tese a sottolineare le peculiari qualità della
sessualità umana.3 Pensiamo al tema della dignità della sessualità e del matri-
monio come momento di comunione interpersonale che ispira la dottrina sul

1
A. VALSECCHI, Nuove vie dell'etica sessuale. Discorso ai cristiani, Brescia 1972, 42.
2
Pensiamo soprattutto a una famosa opera degli anni '70: Human Sexuality. New Directions in
American Catholic Thought, New York-Paramus-Toronto 1977 (trad. it. La sessualità umana. Nuovi
orientamenti del pensiero cattolico americano, Brescia 1978).
3
Cf. J. GALLAGHER, «Magisterial Teaching from 1918 to the Present», in Human Sexuality and
Personhood, Braintree (Mo.) 2 1990,191-210; 253-265.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 133

matrimonio di Gaudium etspes4 e di Familiaris consortio,5 o al tema dell'amo-


re nelle sue molteplici dimensioni e nei suoi molteplici significati, posto al cen-
tro dell'etica coniugale nelVHumanae vitae.6 Pensiamo alla teologia del corpo
e del corpo sessuato su cui ama tornare papa Giovanni Paolo II nei suoi inse-
gnamenti o al ruolo cardine che la corporeità vissuta assume nell'inverarsi sto-
rico della legge naturale secondo Veritatis splendor.1
Dopo che per secoli scienza e filosofia avevano descritto e compreso la
sessualità come puro accidens del corpo e anche la teologia morale aveva ela-
borato la sua riflessione intorno al valore della procreazione in quanto bene
per la specie, veniva ora sempre più in evidenza il rapporto intimo e originario
fra la sessualità e la persona nel suo complesso: la sessualità non è una carat-
teristica solo somatica o solo psichica, ma una dimensione totalizzante e strut-
turante la persona a tutti i livelli. Richiamandosi esplicitamente al pensiero
contemporaneo, Persona humana afferma:

La persona umana, a giudizio degli scienziati del nostro tempo, è così profonda-
mente segnata dalla sessualità, che questa deve essere considerata come uno dei
fattori che danno alla vita di ciascuno i tratti principali che la distinguono. Dal
sesso, infatti, la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico,
psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna, condizionando così grandemen-
te l'iter del suo sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società.8

La sessualità - fa eco la Congregazione per l'educazione cattolica - è una com-


ponente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di
comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l'amore umano [...] La
sessualità caratterizza l'uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche su
quello psicologico e spirituale, improntando ogni loro espressione.9

La sessualità è dunque un modo di essere e quindi forma e struttura del-


l'esistenza: essere maschio oppure femmina coinvolge tutto un modo di auto-
percepirsi, di vivere la propria corporeità, di stare nel mondo, di conoscere e di
volere, di guardare agli altri e di essere accolto da essi. Dicendo che la sessua-
lità tocca la persona sino alle radici più profonde, non è professione di panses-

4
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes 4 7 - 5 2 ( E V 1 / 1 4 6 8 - 1 4 9 1 ) .
5
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 1 1 - 1 6 (EV 7 / 1 5 7 7 - 1 5 7 8 ) .
6
PAOLO V I , Humanae vitae, 2 5 l u g l i o 1 9 8 8 , 7 - 9 (EV 3 / 5 9 5 - 5 9 6 ) .
7
GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor 4 8 - 5 0 (EV 1 3 / 2 5 3 2 - 2 8 2 9 ) .
8
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Dichiarazione su alcune questioni di etica
sessuale. Persona humana, 29 dicembre 1975,1 (EV 5/1717).
9
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano.
Lineamenti di educazione sessuale 4 (EV 9/422).
134 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

sualismo freudiano, per cui ogni realtà della persona sarebbe espressione
occulta del sesso, ma è una constatazione che dal piano dell'esperienza ci intro-
duce in quello dell'ontologia: noi constatiamo che ciascun soggetto concreto
esiste secondo una modalità maschile o femminile e questo dà una tonalità ses-
suale a tutte le manifestazioni del suo essere, pensare, volere, sentire, operare.
Riallacciandosi alla filosofia di G. Marcel, mons. D. Tettamanzi spiega che la
sessualità umana non si colloca nella linea dell'avere, ma in quella dell'essere,
perché,

propriamente parlando, ciascuno di noi non ha una o la sessualità, bensì è ses-


suato, o in senso maschile o in senso femminile. La sessualità è una conforma-
zione strutturale dell'essere umano: essa contraddistingue l'essere umano come
essere-uomo o come essere-donna. 10

La sessualità è una realtà complessa, derivante dal concorso di molti fat-


tori fisici e psichici fra loro interagenti, e nell'unità della persona, la dimensio-
ne psichica della sessualità viene a svolgere una funzione ermeneutica nei con-
fronti del dato somatico: il sesso corporeo è anch'esso specificamente umano
proprio perché entra nella totalità della persona e viene vissuto da un sogget-
to umano.
La concezione unitaria della persona ci permette di cadere qualsiasi
forma di dualismo. Non si può contrapporre o subordinare il sesso al genere o
il sesso del corpo al sesso dell'anima, quasi che quest'ultimo possa essere auto-
nomizzato e privilegiato rispetto al primo. Si tratta in verità di due poli di una
stessa realtà, che non devono essere contrapposti, ma colti, per quanto è pos-
sibile, in armonia: la sessualità di una persona deriva infatti dal reciproco strut-
turarsi e compenetrarsi della dimensione psichica con quella somatica. I dati
corporei sono aperti alle istanze del senso, sono suscettibili di interpretazione,
sono flessibili, ma non lo sono indefinitamente perché portatori, essi stessi, di
un'anticipazione di senso. Così spiega K. Demmer in una pagina limpida:

La natura umana offre sul piano dei dati biologici tratti iniziali per l'elaborazio-
ne dei criteri [normativi]. Tali tratti sono accolti dalla ragione che comprende e
interpreta, sono decifrati nel loro significato ed ulteriormente sviluppati. Ciò si
verifica nell'ambito di condizioni sociali e culturali che consolidano e rafforzano
l'effetto voluto. Ora questo non significa che lo strato biologico sia illimitata-
mente plasmabile. Non è un amorfo materiale grezzo. Anzi dà il suo contributo

10
D. TETTAMANZI, «La sessualità umana: prospettive antropologiche, etiche e pedagogiche», in
Medicina e Morale 34(1984), 133.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 135

alla comprensione globale della natura umana. Sottolineare questo non è natura-
lismo, ma è l'implicazione antropologica di una gnoseologia realistica.11

La teologia cattolica ha dunque recepito la verità contenuta nell'affer-


mazione che la sessualità caratterizza tutta la persona, rileggendola nel suo
orizzonte antropologico. Le scienze e le filosofie spesso hanno costruito delle
antropologie riduzioniste, escludenti alcuni aspetti dell'uomo o riconducendo-
ne alcuni, soprattutto quelli spirituali, ad altri, o delle antropologie regionali, in
cui la parcellizzazione dell'uomo in frammenti autonomi avviene per necessità
di metodo, ma poi si mantiene per generalizzazioni indebite. L'idea teologica
dell'uomo è quella di una totalità unificata: le molte dimensioni dell'essere
segnate tutte in vario modo dalla sessualità devono venire ricondotte a unità
ontologica e assiologica.
Il centro unificante degli strati in cui si articola la concreta natura del-
l'uomo è appunto la persona, in quanto capace di un'autoposizione interpre-
tativa: la persona, libera e responsabile, chiamata da Dio a un compimento sto-
rico e ultrastorico, diventa il fulcro dinamico e il criterio etico per ordinare
ogni singolo bene umano, materiale e spirituale, a un bene complessivo e
conforme alla pienezza del suo progetto di vita buona.

2, IL SIGNIFICATO TEOLOGICO DELLA SESSUALITÀ

Il termine sessualità implica diversi aspetti semantici e d'altra parte ogni


soggetto, in base alle sue esperienze, attribuisce significati peculiari al proprio
vissuto sessuale. Quando parliamo di significato teologico della sessualità
vogliamo affermare che ogni uomo e ogni donna che fanno esperienza auten-
tica del proprio essere sessuato giungono a scoprire un significato fondamen-
tale e direttivo della propria sessualità, un'unità di senso che è connessa all'u-
nità stessa del senso ultimo di ogni esistenza umana. L'esperienza della ses-
sualità, infatti, è coestesa con l'intera realtà dell'essere umano e inerisce in
modo costitutivo a essa.
La fede in Dio creatore ci porta a credere che tale significato, che si svela
nell'esperienza, sia anticipato per la forza progettuale della creazione dell'uo-
mo nella dualità maschile e femminile, secondo quanto si legge in Genesi: «ed

11
K. DEMMER, Deuten und handeln. Grundlagen und Grundfragen der Fundamentalmoral, Frei-
burg 1985 (trad. it. Interpretare e agire. Fondamenti della morale cristiana, Cinisello Balsamo 1989,138).
136 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

era cosa molto buona» (Gen 1,30). Nella Scrittura «buono» è ciò che corri-
sponde al disegno di colui che opera. 12 Il punto di partenza della nostra rifles-
sione è costituito pertanto dal principio, così come la fede lo percepisce e lo
sperimenta.13 Per principio si intende qui Yorigine della sessualità, il suo primo
dispiegarsi, giacché in questo primo darsi si rivela il significato dell'articolazione
maschile/femminile dell'essere umano e dunque il permanente fondamento del
suo senso. Principio, dunque, non vuole dire «primo momento temporale», ma
«manifestazione originaria»: il principio è la trasparenza pura del progetto divi-
no sulla sessualità umana che presiede al suo emergere creativo dal nulla per
volontà di Dio e che può consentire in ogni istante di rintracciare il filo di signi-
ficato di essa. Spiega Giovanni Paolo II nelle sue Catechesi sull'amore umano:

[Il principio] è la prima eredità di ogni essere umano nel mondo, uomo e donna,
prima attestazione dell'identità umana secondo la parola rivelata, prima sorgen-
te della certezza della sua vocazione come persona creata a immagine di Dio. 14

A questo principio lo stesso Gesù rinvia in Mt 19,4-8 per rispondere alla


domanda dei farisei. Ciò facendo dichiara superata la vecchia economia e le
indicazioni mosaiche, e insieme mostra che il principio è permanente criterio
ermeneutico della sessualità umana e quindi criterio morale di essa, unità di
misura della sua verità.
Proprio il rinvio fatto dal Signore consente di individuare i testi rivelativi
del principio: sono i primi capitoli del libro della Genesi, citati in forma com-
pendiosa attraverso il diretto richiamo di Gen 1,27 e 2,24. Qui la fede incontra
il principio, la creazione divina dell'uomo e della donna, il luogo rivelativo che
consente di penetrare il mistero della sessualità umana. Saranno proprio questi
testi a tessere la trama delle nostre riflessioni. Il logos o significato della sessua-
lità si presenterà, alla fine, come un telos, un ideale di vita buona da desiderare
e incarnare. Questo telos viene proiettato miticamente - vale a dire nel modo
della narrazione o mythos - ntìYarché, nel tempo senza tempo delle origini.

12
Cf. I. HÖVER-JOHAG, «Tòb», in Theologisches Wörtebuch zum Alten Testament, Stuttgart-Ber-
lin-Köln 1982, III, coli. 315-339 (soprattutto 324); H.J. STOEBE, «Tòb», in Dizionario Teologico del-
l'Antico Testamento, Torino 1978,1, 565-576. Merita notare che i LXX tradussero i sei tob di Gen 1
(4.12.18.21.25.31) non con «agathòn», ma con «kalòn».
13
In questo capitolo si seguono da vicino gli insegnamenti proposti dal santo Padre sull'amore
umano in sei famosi ciclo di catechesi, soprattutto nei primi due cicli: GIOVANNI PAOLO II, Uomo e
donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Roma 1987. Vederne: C. ANDERSON - J. GRANADOS, Chia-
mati all'amore. La teologia del corpo di Giovanni Paolo II, Casale Monferrato 2010; L. CICCONE,
Uomo-donna. L'amore umano nel piano di Dio. Le grandi catechesi del mercoledì di Giovanni Paolo
II, Leumann (TO) 1986; A. MATTHEEUWS, «De la Bible à «Humanae vitae», Les catéchèses de Jean-
Paul II», in Nouvelle Revue Théologique 111(1989) 228-248; Y. SEMES, La sessualità secondo Giovanni
Paolo II, Cinisello Balsamo 2005.
14
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 105.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 137

2.1. L'essere umano come essere-per-la-comunione


La sessualità è modo di essere della persona e si dà perciò come intima-
mente e costitutivamente connessa con il senso stesso della persona. Essa è
comprensibile solo alla luce della creazione e della vocazione dell'essere
umano fatto «immagine e somiglianza di Dio», vocazione che, come si legge in
Familiaris consortio, è in essa implicata:

Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza [cf. Gen l,26ss]: chiaman-
dolo all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore. Dio è
amore [lGv 4,8] e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore.
Creandola a sua immagine e continuamente conservandola all'essere, Dio iscri-
ve nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la
responsabilità dell'amore e della comunione [cf. Gaudium etspes 12]. L'amore è,
pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. 15

La creatura umana è creata per riprodurre nella propria esistenza il modo


divino di essere, il modo della comunione e dell'amore. È fatta per la vita divi-
na, per attuarsi nella forma della vita divina e per partecipare a essa. La masco-
linità e la femminilità, articolazioni prime e fondamentali dell'umanità, sono
collegate con questa vocazione dell'uomo e della donna e consentono il loro
concreto esistere e attuarsi come creature per la comunione e per l'amore.16
Dio inventa l'uomo e la donna, li pensa e li crea l'uno per e con l'altra,
come la sola possibilità della non-solitudine dell'uno per l'altra e dunque come
posti necessariamente in reciproca relazione e in movimento verso l'unità. Il
primo uomo, secondo la redazione jahvista, nasce all'essere come solo; solitudi-
ne preziosa perché fonda o rende possibile la sua distinzione rispetto al mondo
animale; solitudine, tuttavia, che è insieme una specie di ferita, un'apertura ori-
ginaria e un fermento di attesa per la possibilità, ancora ignota, di uscire dalla
solitudine, che la sfilata delle specie animali (secondo Gen 2) non risolve, ma
anzi, in qualche modo, acuisce. Come sottolinea con forza il papa:

La solitudine dell'uomo, nel racconto jahvista, ci si presenta non soltanto come


la prima scoperta della caratteristica trascendenza propria della persona, ma
anche come scoperta di un'adeguata relazione alla persona, e quindi come aper-
tura e attesa di una «comunione delle persone». 17

15
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 11.
16
Segnaliamo uno studio, di notevole valore speculativo, sulla teologia della sessualità: C. Giu-
LIODORI, Intelligenza teologica del maschile e del femminile, problemi e prospettive nella rilettura di von
Balthasar e P. Evdokimov, Roma 1991.
17
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 59.
138 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

C'è come un'inquietudine esistenziale nell'uomo solo di G e n 2, un'in-


completezza che neppure riesce a rappresentarsi. Lo stesso sonno p r o f o n d o
(itardemah) in cui cade potrebbe indicare, secondo Giovanni Paolo II,

non tanto un passare dalla coscienza alla subcoscienza, quanto uno specifico
ritorno al non-essere (il sonno ha in sé una componente di annientamento del-
l'esistenza cosciente dell'uomo), ossia al momento antecedente alla creazione,
affinché da esso, per iniziativa creatrice di Dio, l'uomo solitario possa riemerge-
re nella sua duplice unità di maschio e di femmina [...]. In questo modo, il cer-
chio della solitudine dell'uomo-persona si rompe, perché il primo uomo si risve-
glia dal suo sonno come maschio e femmina. 18

Risvegliandosi come maschio e femmina, attraverso l'emozione che spe-


rimenta aprendo gli occhi per la prima volta su un essere simile a lui, quasi un
secondo io, verso il quale si sente attratto, A d a m o vive la prima esperienza
«dell'uomo come valore»: nell'accoglienza gioiosa della donna scopre l'alterità
come ricchezza e valore. A d a m o , risvegliandosi come u o m o di fronte alla
donna, entra in un'attuazione più piena della sua qualità iconica, che G e n 1
riferisce esplicitamente ali 'Adam nella sua articolazione duale di u o m o e
donna.
Con queste parole Giovanni Paolo II spiega le dimensioni comunionali
dell'uomo, fatto per la comunione perché creato a immagine di un D i o che è
comunione di persone:

Il racconto della creazione dell'uomo, nel capitolo primo, afferma sin dall'inizio
e direttamente che l'uomo è stato creato a immagine di Dio in quanto maschio
e femmina. Il racconto del capitolo secondo invece non parla dell'immagine di
Dio; ma esso rivela, nel modo che gli è proprio, che la completa e definitiva crea-
zione dell'uomo (sottoposto dapprima all'esperienza della solitudine originaria)
si esprime nel dar vita a quella communio personarum che l'uomo e la donna
formano. In questo modo, il racconto j ah vista si accorda con il contenuto del
primo racconto. Se, viceversa, vogliamo ricavare anche dal racconto del testo
jahvista il concetto di immagine di Dio, possiamo allora dedurre che l'uomo è
divenuto immagine e somiglianza di Dio non soltanto attraverso la propria uma-
nità, ma anche attraverso la comunione delle persone, che l'uomo e la donna for-

18
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 55. La Scrittura
impiega il termine tardemah (torpore) quando l'uomo, di fronte a un mirabile agire di Dio, si sente
oppresso da uno stato simile al sonno: così in Gen 15,12 il torpore cade su Abramo mentre il Dio del-
l'alleanza si rivela, mentre in Le 22,45 i discepoli oppressi dall'angoscia cadono in un sonno misterioso
(cf. ISam 26,12; Is 29,10; Gb 4,13 e 33,15). La traduzione greca dei LXX traduce tardemah con ékstasis.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 139

mano sin dall'inizio. La funzione dell'immagine è quella di rispecchiare colui che


è il modello, riprodurre il proprio prototipo. L'uomo diventa immagine di Dio
non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione.
Egli, infatti, è fin da principio non soltanto immagine in cui si rispecchia la soli-
tudine di una Persona che regge il mondo, ma anche, ed essenzialmente, imma-
gine di una imperscrutabile divina comunione di Persone. 19

In questo passo viene delicatamente assunto dal magistero un orienta-


mento della teologia cattolica contemporanea che, stimolata dalle suggestioni
di K. Barth, si mostra propenso a spiegare il logos ultimo della bipolarità dei
sessi riportandola ali 'imago del Dio trinitario, che in quanto Trinità di persone
in relazione racchiude l'io e il tu. Scrive il grande teologo:

Che cos'è il prototipo o il modello secondo cui fu creato l'uomo? Secondo le


nostre riflessioni precedenti, esso sarebbe la relazione e la distinzione di io e di
tu in Dio stesso. L'uomo è creato da Dio in corrispondenza a questa relazione e
a questa distinzione esistente in Dio stesso, come un tu interpellato da Dio, ma
anche come io responsabile verso Dio, nel rapporto di uomo e donna, nel quale
l'uomo è il tu dell'altro essere umano e, appunto, con ciò e in risposta a questa
chiamata, egli stesso è un io.20

Per timore di cadere nell'antropomorfismo i Padri, dopo alterne fasi, e


soprattutto sant'Agostino, avevano respinto una relazione fra imago Dei e
communio coniugalis e avevano rifiutato un'interpretazione della Trinità basa-
ta sull'analogia dei ruoli familiari (paternità, maternità, filiazione). La teologia
contemporanea si muove in un'altra direzione: l'imago Dei non sta nella ses-
sualità in sé e nei ruoli reciproci dei sessi, ma nella radicale apertura relazio-
nale della persona che si esprime nella sessualità e che tende a compiersi nella
comunione sponsale dell'io-tu umano, dell'uomo e della donna. 21
L'articolazione uomo-donna dell'essere umano nasconde un senso origi-
nariamente sponsale perché la dualità sessuale è in vista della costituzione
della comunione delle persone a immagine della comunione divina, cioè in
vista di una comunione di assoluta, totale e reciproca donazione d'amore. La

19
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 59. Cf. S. GRYGIEL,
Extra communionem personarum nulla philosophia, Roma 2002; M. OUELLET, Divina somiglianza.
Antropologia trinitaria della famiglia, Roma 2004; K. WOJTYLA, La famiglia come "communio perso-
narumin ID., Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi; G. REALE - T . STYC-
ZEN (curr.), Milano 2003,1463-1479.
20
K. BARTH, Die kirchliche Dogmatik, Zürich 1959, bd. 3/1,216; cf. GIULIODORI, Intelligenza teo-
logica del maschile e del femminile, 117ss.
21
Sul tema della comunione interpersonale come analogia trinitaria; F. LADARIA, La Trinità,
mistero di comunione, Milano 2004,143-182.
140 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

radice di quel dinamismo che conduce l'uomo a realizzarsi solo nel dono reci-
proco è da ricercarsi proprio in questo arcano significato sponsale della sua
esistenza, come si legge in un celebre testo di Gaudium et spes:

Quando il Signore Gesù prega il Padre, perché tutti siano una cosa sola, come io
e te siamo una cosa sola (Gv 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi alla
ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle persone
divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine
manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto
per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono since-
ro di sé.22

Si osservi, tuttavia, che non è semplicemente il donarsi a costituire la via


di attuazione dell'essere umano: è piuttosto il donarsi in modo totale e a qual-
cuno. Come Adamo, quando è ancora solo, aspira senza saperlo a donare se
stesso a qualcuno, anche se questo qualcuno rimane senza volto e indistinto
fino a che non apre gli occhi sulla prima donna, così ogni essere umano aspira
intimamente a donarsi a qualcuno e forse per tutta l'esistenza insegue l'imma-
gine indistinta e senza volto di questo qualcuno.
In questo nascosto senso sponsale della creatura umana trova la sua
radice anche l'attesa, riposta nel cuore di ogni uomo, di essere amato da qual-
cuno, di essere trovato degno di donazione, di ricevere il dono di un'altra
umana creatura. In realtà Adamo - ogni Adamo - non esce dalla solitudine
solo perché apre gli occhi sulla prima donna e vede finalmente il volto del
sogno indistinto della sua infanzia, ma egli esce dalla solitudine anche perché
la donna a sua volta lo guarda e gli rivela, attraverso lo sguardo femminile, la
sua umanità diversa e la riveste di valore. «La femminilità», scrive N. Ber-
diaeff, «ritrova, in certo senso, se stessa di fronte alla mascolinità, mentre la
mascolinità si conferma attraverso la femminilità», 23 perché - egli spiega - «è
l'amore che fa dell'Io una persona». L'essere amati innesca un dinamismo di
percezione di sé come valore, conferma l'esistenza nel suo significato. Chi
sperimenta di essere amato è come raggiunto da un messaggio intimo e pene-
trante: tu sei amabile, è bene che tu viva, la vita che tu sei e vivi è importan-
te, è preziosa.
In questa attesa non è contenuta semplicemente l'attesa di un amore
umano totale, ma viene adombrata implicitamente l'attesa dell'amore totale,

22
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes 24.
23
N. BERDIAEFF, Cinque meditazioni sull'esistenza. Solitudine, società e comunità, Leumann
1982,118.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 141

unico e vero, quello di Dio. Non è eccessivo dire che probabilmente ogni uomo
che si sforza di amare con sincerità di cuore cerca, anche senza saperlo, nei suoi
più o meno piccoli amori umani l'orma del grande amore, quello immenso,
assoluto e incondizionato di Dio.

2,2- Il senso sponsale della corporeità


maschile e femminile
La sponsalità, quale apertura alla comunione, non è solo una forma dello
spirito, ma, in forza della stessa natura umana che è spirituale e corporea insie-
me, prende anche figura corporea.

In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo infor-
mato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua tota-
lità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso parteci-
pe dell'amore spirituale.24

La corporeità, non come cosa indistinta, ma nella sua concreta presenza


sessuata, è in qualche modo la concrezione fisica del progetto divino di due esse-
ri fatti per la comunione delle persone. Il corpo dell'uomo reca in sé un'antici-
pazione di senso: esso è fatto, fin da principio, per l'incontro e per l'unità, come
struttura capace secondo il suo proprio linguaggio (in quanto corpo, dunque) di
dire, di esprimere e attuare il movimento di donazione per la comunione.

Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità, visto nel
mistero stesso della creazione [...] racchiude fin dal principio, l'attributo spon-
sale, cioè la capacità di esprimere l'amore: quell'amore appunto nel quale l'uo-
mo-persona diventa dono e, mediante questo dono, attua il senso stesso del suo
essere ed esistere.25

Partendo proprio dalla corporeità umana, Giovanni Paolo II ci apre a


profonde prospettive sulla sacramentalità originaria della creazione, per cui il
visibile della corporeità umana rimanda e, in qualche modo, dipende dall'invi-
sibile dello spirito:

Il sacramento, come segno visibile, si costituisce con l'uomo, in quanto corpo,

24
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 11.
25
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 77.
142 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

mediante la sua visibile mascolinità e femminilità. Il corpo, infatti, e soltanto


esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso
è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto
dall'eternità in Dio, e così esserne segno.26

L ' u o m o e la donna sono corporalmente sponsali perché fin dal principio


sono fatti per la comunione piena delle loro persone, cioè per la sponsalità
della loro esistenza spirituale. Q u e s t o significa che il corpo ha in sé, fin dal
principio, la capacità di essere medium linguistico della prima forma di «comu-
nione delle persone» (cf. Gaudium et spes 12). Questa forma di comunione di
persone è detta «prima» non dal p u n t o di vista della successione temporale, m a
dal p u n t o di vista del telos (perché rivela la direzione di senso dell'esistenza
u m a n a ) e della dignità (perché espressione esemplare della comunione tra le
persone).
Nella luce di questa sponsalità il corpo umano rivela tutto il suo valore e
la sua bellezza, come sottolinea un bel passaggio delle Catechesi:

Il corpo umano, orientato interiormente dal dono sincero della persona, rivela
non soltanto la sua mascolinità o femminilità sul piano fisico, ma rivela anche un
tale valore e una tale bellezza da oltrepassare la dimensione semplicemente fisi-
ca della sessualità. In questo modo si completa in un certo senso la coscienza del
significato sponsale del corpo, collegato alla mascolinità-femminilità dell'uomo.
Da una parte, questo significato indica una particolare capacità di esprimere l'a-
more, in cui l'uomo diventa dono; dall'altra, gli corrisponde la capacità e la
profonda disponibilità all'affermazione della persona, cioè letteralmente, la capa-
cita di vivere il fatto che l'altro - la donna per l'uomo e l'uomo per la donna - è,
per mezzo del corpo, qualcuno voluto dal Creatore per se stesso, cioè unico ed
irripetibile: qualcuno scelto dall'Eterno Amore.
L'affermazione della persona non è nient'altro che accoglienza del dono, la
quale, mediante la reciprocità, crea la comunione delle persone; questa si costrui-
sce dal di dentro, comprendendo pure tutta l'esteriorità dell'uomo, cioè tutto
quello che costituisce la nudità pura e semplice del corpo nella sua mascolinità

26
Sul rapporto fra corpo e spirito nel composto umano si leggano alcune suggestive riflessioni
di P. Evdokimov: «Le strutture più profonde e nascoste del mondo empirico corrispondono alle leggi
dello spirito. Sono i doni e i carismi che determinano e normalizzano lo psichico e il fisiologico. La
donna è materna non perché nel suo corpo sia predisposta a partorire, bisogna invece dire che la
facoltà fisiologica e la corrispondenza anatomica dipendono dal suo spirito materno. Allo stesso modo,
l'uomo è più virile e più forte fisicamente perché, nel suo spirito, c'è qualcosa che corrisponde alla vio-
lenza di cui parla il vangelo. Bisogna ristabilire la vera gerarchia dei principi e capire che, normativa-
mente, il fisiologico e lo psichico dipendono dallo spirito, lo servono e lo esprimono» (P. EVDOKIMOV,
La donna e la salvezza del mondo, Milano 1980,20-21).
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 143

e femminilità. 27

Solo nel quadro di un'antropologia personalistica il significato intersog-


gettivo della distinzione sessuale dell'uomo e della donna può essere colto in
tutte le sue valenze. La persona si costituisce nell'identità maschile e femmini-
le attraverso l'incontro con l'alterità, di modo che un uomo si scopre piena-
mente uomo solo di fronte alla donna e la donna si scopre pienamente donna
solo di fronte all'uomo, secondo la narrazione protologica di Gen 2,18: «Non è
bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile, il suo faccia
a faccia».
La duplicità dei sessi, con le reciprocità psico-fisiche dell'uomo e della
donna, svela la tensione della creatura umana alla comunione. Nell'io-tu, l'uo-
mo e la donna sono originariamente ordinati l'uno all'altro come modalità
reciproche di esistenza: «simili e dissimili nello stesso tempo; non identici,
uguali però nella dignità della persona; sono pari per intendersi, diversi per
completarsi reciprocamente». 28
Il corpo umano, in quanto sessuato, esprime l'apertura sponsale della
persona al tu che realizza l'uomo nell'incontro con l'alterità. Queste recipro-
cità personali tendono a compiersi nella piena comunione delle persone nel
matrimonio dove, nel segno dell'unione dei corpi, viene simboleggiata l'unio-
ne delle persone. Il senso della sessualità in tutte le sue dimensioni è dunque
esprimere e significare la comunione delle persone, una comunione che risul-
ta dall'integrazione reciproca e che è fisica, psichica e spirituale.
Solo nel contesto dell'incontro eterosessuale si rivelano, perciò, tutte le
possibilità umane della dualità maschile e femminile: differenze anatomo-fisio-
logiche, erotismo, caratteri psicologici, elaborazioni culturali, regole sociali
sono tutte possibilità di linguaggio e di riconoscimento dell'altro come altro. Si
comprende, a questo punto, come solo la differenza sessuale uomo-donna
possa costituire il presupposto di una comunione piena e totale nella recipro-
cità. La comunione esige infatti un esodo da sé per incontrare l'altro, che è
cifra del totalmente altro.

27
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, 79.
28
Orientamenti 2 5 (EV 9/443).
144 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

2.3. Lluna caro e la trasmissione della vita


come compito-benedizione
Gen 2,24 dicendo "per questo" indica chiaramente che è proprio la ses-
sualità - la sua tensione dinamica verso la comunione e l'amore - a determi-
nare il movimento per il quale l'uomo abbandona la sua famiglia. È un abban-
dono, infatti, che tende all'unione con la donna diventando psicologicamente
e socialmente un solo basar con lei, cioè una sola persona, d'accordo con la
visione semitica espressa dal termine basar. Questo diventare uno ha certo la
propria forma espressiva, attraverso il linguaggio del corpo, nell'unione ses-
suale, ma impegna tutta l'esistenza, come i testi sinottici mettono in luce.
Nel distaccarsi dalla propria famiglia l'uomo obbedisce a una spinta
non occasionale: è un impulso che risponde al progetto di Dio intorno all'uo-
mo e che è scritto in tutto il suo essere. È una sorta di imperativo che con-
sente all'uomo di entrare in una condizione nuova e di realizzare adeguata-
mente il suo stesso cammino di uomo; è l'ingresso nella maturità, o per
meglio dire - sulla base delle parole di Gesù in Mt 19,5-6 - in una situazione
umanamente compiuta. Il Signore infatti afferma che, in forza di tale abban-
dono e della loro unione, l'uomo e la donna diventano inseparabili, non sem-
plicemente perché sono «una sola carne», ma perché nella loro unione l'uomo
e la donna sono congiunti dal disegno di Dio stesso.
Costituendosi come una caro, l'uomo e la donna si conoscono (cf. Gen
4,1). Attraverso questa conoscenza, dall'unità dell'uomo e della donna scaturi-
sce la vita, in forza della quale la donna può essere detta Eva, cioè «madre di
tutti i viventi» (Gen 3,20) (tradizione jahvista), e l'uomo può trasmettere al
futuro il suo essere immagine (Gen 5,3) (tradizione sacerdotale). C'è così,
attorno a questo punto, una convergenza concettuale dei dati della tradizione
sacerdotale e di quella jahvista che consente di cogliere fin da principio un'in-
terna e costitutiva connessione tra la relazione uomo-donna e la trasmissione
del dono divino della vita in ordine alla sottomissione regale della terra.
È una connessione che emerge lucidamente dalla tradizione sacerdotale
della creazione e nella solenne benedizione alla prima coppia che leggiamo in
Gen 1,28. La benedizione è insieme la prospettazione di un compito e la rive-
lazione di una dimensione costitutiva del significato della sessualità, del ripro-
dursi spaziale e temporale dell'immagine divina attraverso la comunione
uomo-donna. Il futuro è posto dinanzi all'uomo e alla donna insieme come
realtà da costruire da parte della coppia e come atto di bontà generosa, un atto
di grazia e, dunque, di benedizione da parte di Dio: i due aspetti si incontrano
nell'unità feconda della coppia, attraverso la quale Dio moltiplica le sue imma-
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 145

girti e compie il progetto della comunione che lo guida nella creazione. Dio
attua questo progetto attraverso la cooperazione dell'uomo e della donna, la
loro unità totale e la loro capacità generativa. Dice Gaudium et spes 50:

Lo stesso Dio che disse: «non è bene che l'uomo sia solo» (Gen 2,18) e che creò
all'inizio l'uomo maschio e femmina (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo
una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e
la donna, dicendo loro: crescete e moltiplicatevi (Gen 1,28). Di conseguenza il
vero culto dell'amóre coniugale e tutta la struttura familiare (totaque vitae fami-
liaris ratio) che ne nasce, senza posporre (non posthabitis) gli altri fini del matri-
monio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza di animo, siano disposti a
cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro conti-
nuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.

Il movimento di autotrascendenza che anima tutta la dinamica della cop-


pia coniugale diventa potenza di fecondità prolungandosi nel dono della vita al
figlio. La fecondità di cui parliamo è una fecondità personale, è una forza di
creazione che non può essere identificata con la fertilità fisica, ma della quale la
fertilità è espressione e incarnazione.29 La procreazione di una nuova persona
avviene nel contesto di un'intima relazione interpersonale come il frutto e il
segno della mutua donazione degli sposi, come un'incarnazione del noi della
coppia e, quindi, dell'autotrascendenza reciproca dell'uomo e della donna. La
procreazione è affermazione della fecondità personale della relazione coniuga-
le. Nella trasmissione della vita la donna e l'uomo affermano, in modi diversi e
reciproci, la loro potenza in ordine alla vita, ma, proprio perché generano l'uno
attraverso l'altro, la vita trasmessa non è mai completamente posseduta da nes-
suno dei due, né può essere ridotta a proiezione onnipotente del sé.
Il figlio chiede ai genitori un atteggiamento di accoglienza incondiziona-
ta simile a quello con il quale si sono essi stessi reciprocamente accolti. Anch'e-
gli è, infatti, una persona, portatore di una libertà e di una dignità che sono irri-
ducibili a quelle del padre e della madre. Padre e madre accettano che un'esi-
stenza dipenda da loro e, con ciò, accettano di essere parte di quel mistero in
virtù del quale ciascuno di noi esiste come una libertà, pur dipendendo da altri.
La comunione dell'uomo e della donna perciò nasce da un disegno
misterioso: Dio costituisce la sua famiglia, quasi un modo attraverso il quale
la comunione di amore di vita, che è la Trinità, si dilata e si arricchisce di pre-

29
In questo senso, anche quando si presentasse una sterilità fisica, la coppia non perde la sua
fecondità spirituale; cf. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 14; Donum vitae II, 8.
146 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

senze. Per fare ciò, attaverso la creazione, Dio ha pensato la possibilità di un


amore a immagine dell'amore stesso della Trinità, un amore di totale unione
e un amore generativo, fecondo, autoeffusivo. Dio, pensando alla comunione
feconda fra l'uomo e la donna, ha stabilito con l'umanità un'alleanza creatri-
ce di vita in forza della quale egli dona la vita spirituale (una vita propria e
distinta) a ogni individuo umano concepito dall'unione dell'uomo e della
donna. 30 Dio ha congiunto pertanto amore e vita in modo originario e costi-
tutivo: la manifestazione corporea di tale congiunzione è data dal fatto che
solo attraverso l'unità dei corpi può generarsi la vita umana, la pasta umana
animata dal soffio di Dio.

3. L'AMORE CONIUGALE

Nel magistero recente sulla sessualità e il matrimonio è emerso sempre


più chiaramente il ruolo centrale dell'amore coniugale, giacché proprio in que-
sto tipo di amore si svelano il senso, il principio originale, il logos della sessua-
lità. Questo è l'amore umano che più chiaramente di ogni altro genera, costi-
tuisce ed esprime il dinamismo della comunione totale e piena tra l'uomo e la
donna, meta ideale dell'umana sessualità in tutte le sue molteplici dimensioni.
In questo paragrafo ci soffermeremo su questa categoria ricca e feconda, cer-
cando di metterne in luce le caratteristiche e i valori.

3.1 • L'amore umano fra eros e agape


Cercando di delineare l'identità del «vero amore» tra l'uomo e la donna
legati dal vincolo coniugale, Gaudium et spes 49 afferma con forza che un tale
amore è di gran lunga superiore alla «mera inclinazione erotica». Esso è un amore
«eminentemente umano, giacché si dirige da persona a persona con un sentimen-
to che nasce dalla volontà [voluntatis affectu]»; esso perciò «abbraccia il bene di
tutta la persona» e trasforma tutte le espressioni, sia corporee sia spirituali, dell'u-
nione dei coniugi in «elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale».
Tale amore - si dice - abbraccia humana et divina, (beni) umani e divini.

30
In ciò consiste quell'affermazione della fede cattolica per la quale ogni anima umana indivi-
duale è creata da Dio immediatamente e dal nulla.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 147

Si tratta di un rimando implicito alla classica definizione del giurista romano


Modestino, 31 ma il riferimento diretto è all'amore consacrato nel sacramento
del matrimonio che, conducendo alla piena donazione reciproca, affettiva ed
effettiva («il libero e mutuo dono di sé, provato da sentimenti e gesti di tene-
rezza»), pervade la vita intera dei coniugi.
La distinzione tra inclinazione erotica e amicizia coniugale rivela che i
padri conciliari pensano nell'orizzonte della distinzione classica tra amor con-
cupiscentiae e amor amicitiae, tenendo probabilmente conto delle accese pole-
miche sollevatesi a partire dagli anni '30 intorno alle opere di Denis de Rou-
gemont e di Anders Nygren sulla distinzione tra eros e agape. 32 1 padri conci-
liari collocano l'amore coniugale nell'orizzonte dell 'amor amicitiae, come
dimostra anche il fatto che tale amore è spesso chiamato dilectio. L'espressio-
ne dilectio nel linguaggio tomista indica un amore che presuppone lo iudicium
rationis e un atto della volontà e che è, perciò, superiore al semplice movi-
mento concupiscibile, ma non necessariamente contraddittorio con esso.33
Sottolineare la dimensione amichevole dell'amore coniugale non si tra-
duce, infatti, nel rigetto puro e semplice dell 'amore di desiderio o erotico dal
momento che la negatività di quest'ultimo si mostra solo se l'inclinazione ero-
tica è «coltivata in modo egoistico» (Gaudium et spes 49) di modo che l'incli-
nazione passionale rapidamente e miseramente svanisce.34
Abbiamo visto come nella Summa theologiae san Tommaso insegna che
l'amore è duplice, cioè amor concupiscentiae e amor amicitiae.35 Nel caso del-
l'amor concupiscentiae l'amante «coglie l'oggetto amato in funzione del pro-
prio benessere», mentre nell'amor amicitiae l'amante «vuole il bene dell'ama-
to [gli vuole bene], come vorrebbe il bene per sé; perciò coglie l'altro come un
altro se stesso, dal momento che gli vuole bene come lo vuole a sé».36 L'amo-
re di concupiscenza è un amore egocentrico nel quale l'amante ruota sempre
intorno a se stesso e inserisce l'altro all'interno di questo moto autocentrato:
l'altro è amato perché è un bene per il soggetto amante. In questa attitudine

31
Digesto, 1,23,2: «Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini
et humani iuris communicatio».
32
J.D. DE ROUGEMONT, L'amour et l'Occident, Paris 1939 (trad. it. L'amore e l'occidente, Mila-
no 1958); A. NYGREN, Eros und Agape. Gestalwandlungen der Christlichen Liebe, Gütersloh 1937 (trad,
it. Eros e Agape. La nozione cristiana dell'amore e le sue trasformazioni, Bologna 1971). Secondo il teo-
logo protestante Anders Nygren l'eros è l'amore naturale dell'uomo per Dio, segnato dall'egocentri-
smo perché è bramosia, ancorché trascendente; l'agape è l'amore disinteressato e oblativo di Dio per
l'uomo. La tradizione cattolica avrebbe confuso l'eros egoistico con l'agape altruistica, ma Lutero ha
mostrato che l'eros umano deve essere salvato mediante l'agape per opera della fede.
33
TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 2 6 , a. 3.
34
Per una densa riflessione filosofica sull'eros, si veda: V. MELCHIORRE, Metacritica dell'eros,
Milano 1987. Suggestivo e immediato: F. FAROS, La natura dell'eros, Milano 1993.
35
I n p a r t i c o l a r e : TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 2 6 , a. 4; I-II, q. 2 8 , a. 1, in c o r p .
36
TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 2 8 , a. 1, i n corp.
148 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

c'è il rischio permanente di un'esposizione utilitaria al rapporto con l'altro,


anche se è vero che l'altro è pur sempre considerato come bene per il sogget-
to «in quanto altro». Nella relazione interumana connotata sessualmente, que-
sta attitudine di desiderio è indicata con il termine di eros: l'eros è una tensio-
ne verso l'altro determinata dall'indigenza, dal bisogno, dal desiderio, secondo
il mito platonico di Eros.
Socrate, nel Simposio di Platone, racconta l'origine di Eros così come l'ha
ascoltata da Diotima, sacerdotessa di Mantinea: durante la festa degli dèi per
la nascita di Afrodite, Penìa (l'Indigenza), volendo un figlio da Poros (l'Espe-
diente), si coricò accanto a lui, mentre era ebbro di nettare, e così concepì
Eros.37 Eros, essendo figlio dell'Indigenza, «è sempre povero [...] duro, sudicio,
scalzo, senza casa, sempre nudo per terra, dorme sotto il cielo presso le porte
o per le strade». Secondo l'indole del padre, l'Espediente, «sempre insidia chi
è bello e chi è buono; è coraggioso, protervo, caparbio, cacciatore terribile,
sempre dietro a escogitare qualche inganno, desideroso di capire, scaltro, inte-
so a speculare tutta la vita, imbroglione terribile, maliardo e sofista».38 In con-
clusione «è amore [eros] di avere il bene sempre per se stessi».39
Al contrario, l'amore di benevolenza guarda all'altro come un bene in sé,
promuove e cerca il bene dell'altro senza pensare a se stesso. Scrive C. Wojty-
la in Amore e responsabilità:

La benevolenza è il disinteresse in amore; non «Io ti desidero come un bene»,


ma: «Io desidero il tuo bene» e «Io desidero ciò che è un bene per te» [...]. Per
questo l'amore di benevolenza è amore di un senso molto più assoluto dell'a-
more di concupiscenza. È amore più puro. 40

Spiega san Tommaso:

Ciò che è amato con amor amicitiae è amato semplicemente e per se stesso; ciò
che è amato con amor concupiscentiae, non è amato semplicemente e di per sé,
ma è amato per l'altro [...]. Di conseguenza l'amore con cui si ama un oggetto
per il suo stesso bene è amore nel senso più vero, mentre l'amore con cui si ama
un oggetto per il bene di un altro, è amore in senso relativo 41

37
PLATONE, Simposio 203a-204c.
38
PLATONE, Simposio 203c-d.
39
PLATONE, Simposio 206a.
40
C. WOJTYLA, Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale, Torino 2 1979,73.
41
TOMMASO D'AQUINO, STh I-II, q. 26, a. 4: «Id quod amatur amore amicitiae, simpliciter et per
se amatur; quod autem amatur amore concupiscentiae, non simpliciter et secundum se amatur, sed
amatur alteri [...]. Et per consequens amor quo amatur aliquid ut ei sit bonum, est amor simpliciter;
amor autem quo amatur aliquid ut sit bonum alterius, est amor secundum quid».
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 149

Nell'amore di concupiscenza il soggetto cerca il bene proprio, ma il bene


più grande per l'uomo è di incontrare un amore che lo ami di assoluta e piena
gratuità, con l'amicizia più pura e dedicata. L'amore concupiscente, spesso
inconsapevolmente, va in cerca di un amore benevolente, un amore dal quale
egli possa essere accolto senza riserve, senza giudizio; un amore che non debba
essere sempre riconquistato e perciò un amore sicuro, definitivo. Quello che
ogni essere umano cerca è un amore che lo ami per se stesso, non per il fatto
di possedere certe qualità, ma semplicemente perché è lui, perché esiste: in un
certo senso, la spinta profonda dell'amore di concupiscenza è la speranza di un
amore davvero amico.
Soltanto Dio, che è ricchezza sovrabbondante, può amare di amore bene-
volente senza nulla mai desiderare né chiedere, perché «Dio è amore», è
«agape» e, perciò, talvolta ci si riferisce all'amore benevolente chiamandolo
«amore agapico». Nell'esperienza umana - tesa fra povertà e ricchezza - i due
amori sono entrambi compresenti e, pur così diversi, non sono necessariamen-
te contraddittori. 42 Ascoltiamo, a questo proposito, le riflessioni di papa Bene-
detto XVI nell'enciclica inaugurale del pontificato Deus Caritas est che prende
l'avvio proprio dalla dialettica di eros e di agape:

Le due concezioni vengono spesso contrapposte come amore ascendente e amore


discendente [...].Tipicamente cristiano sarebbe l'amore discendente,oblativo, Ya-
gape appunto. La cultura non cristiana, invece, soprattutto quella greca, sarebbe
caratterizzata dall'amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè dall'era?.
Se si volesse portare all'estremo questa antitesi, l'essenza del cristianesimo risul-
terebbe disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell'esistere umano e
costituirebbe un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente
tagliato fuori dal complesso dell'esistenza umana. In realtà eros e agape - amore
ascendente e amore discendente - non si lasciano mai separare completamente
l'uno dall'altro. 43

Il legame fra le due qualità d'amore è così forte che lo stesso amore di
concupiscenza tende a trasformarsi in profonda benevolenza, come si legge
poco più avanti nell'enciclica:

42
La tesi di Nygren che dichiara inconciliabili eros e agape è giudicata da Angelini «molto sche-
matica e rozza» e si prospetta - come in Deus caritas est di papa Benedetto XVI - un superamento del-
l'alternativa: G. ANGELINI, Eros e agape. Oltre l'alternativa, Milano 2006 (citazione: VII); cf. J. NORIE-
GA, Eros e agape nella vita coniugale, Siena 2008.
43
BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 25-12-2005, 7 (EV 23/1538-1605); cf. BENEDETTO XVI,
Deus caritas est 8: «La fede biblica non costruisce un mondo parallelo o un mondo contrapposto rispet-
to a quell'originario fenomeno umano che è l'amore, ma accetta tutto l'uomo intervenendo nella sua
ricerca di amore per purificarla, dischiudendogli al contempo nuove dimensioni»; cf.: S. PALUMBIERI,
«Un binomio costitutivo: "èros" e "agape", tra dono impegno», in Studia Moralia 45(2007), 109-136.
150 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Anche se Yeros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente - fascinazione


per la grande promessa di felicità - nell'avvicinarsi poi all'altro si porrà sempre
meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell'altro, si preoccu-
perà sempre di più di lui, si donerà e desidererà esserci-per-l'altro. Così il
momento dell 'agape si inserisce in esso; altrimenti Yeros decade e perde anche la
sua stessa natura. D'altra parte, l'uomo non può neanche vivere esclusivamente
nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche
ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. 44

In un modo singolare, la reciprocità tipica dell'amore coniugale realizza


l'armonia fra i due amori: nell'amore veramente coniugale non c'è Yasimme-
tria di uno che ama e di un altro che riceve amore, ma la circolarità di chi ama
ed è, allo stesso tempo, amato. Proprio l'amore coniugale mostra come i due
amori non siano in contraddizione, perché, in fondo, Yamore è un'unica realtà,
seppur con diverse dimensioni: amor amicitiae e amor concupiscentiae si
richiamano reciprocamente. 45 Non c'è opposizione fra amore coniugale ed
eros purché l'inclinazione erotica non venga coltivata egoisticamente, ma si
ponga sotto l'egemonia della benevolenza e dell'amicizia.
C.Wojtyla, muovendosi in un ambito di riflessione sostanzialmente tomi-
sta, elabora con finezza logica il legame fra eros e agape osservando che il desi-
derio di possedere l'altro come un bene richiede che questo bene, per essere
davvero appagante e definitivo, sia un bene autentico. Quanto più l'amato
diventa un bene in sé, tanto più può essere un bene per me. In altre parole, per-
ché il mio desiderio di bene possa essere saziato, io devo volere che l'amato
diventi sempre più un bene in sé. «Così appare evidente», egli conclude, «il
legame tra la concupiscenza e la benevolenza».46

3.2. I caratteri dell'amore coniugale


Nell'amore coniugale si riflette quell'originaria chiamata alla comunione
che abbiamo visto essere una dimensione fondamentale ùeìYiconicità umana:
esso si presenta con caratteri peculiari che il magistero conciliare e post-conci-
liare ha messo in grande evidenza. Parlando dell'amicizia coniugale in Gau-
dium et spes (49), i padri conciliari usano spesso l'aggettivo latino totus. Totus

44
BENEDETTO X V I , Deus Caritas est, 8.
45
BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, 7: «Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trova-
no la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere».
46
WOJTYLA, Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale, 73.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 151

viene usato per indicare che l'amore coniugale, sia affettivamente sia effetti-
vamente, tende all'altro in tutti i suoi aspetti, al suo bene totale, fisico e spiri-
tuale, e anche per indicare che tutta la vita coniugale è attraversata da tale
amore, ne è manifestazione e arricchimento.
Un altro aggettivo che viene spesso usato è mutuus, «reciproco». Nell'a-
more coniugale c'e la piena reciprocità della donazione tra l'uomo e la donna.
Essa si fonda sulla «pari dignità» dell'uomo e della donna e implica necessa-
riamente l'unità, giacché una piena donazione reciproca di tutta la persona
non è possibile se non a una persona soltanto. Lo dice con forza Gaudium et
spes (48) parlando dell'unione sponsale fondata nel patto coniugale (foedus
coniugale):

L'intima unione [dell'uomo e della donna], in quanto mutua donazione di due


persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne
reclamano l'indissolubile unità.

Tra tutti i gesti attraverso i quali si esprime l'amore coniugale, uno che lo
manifesta in modo particolare è Yunione coniugale, come afferma limpida-
mente Gaudium et spes 49:

Questo amore si esprime e si compie in modo tutto particolare nell'atto coniu-


gale [opus matrimonii]. Perciò gli atti [actus] con i quali i coniugi si uniscono in
casta intimità, sono onesti e degni e, se compiuti in modo veramente umano [cf.
CIC '83, can. 1061], favoriscono e significano la mutua donazione con la quale
[gli sposi] si arricchiscono vicendevolmente con gioia e gratitudine. 47

Ci sono degli atti che, essendo propri della condizione coniugale, sono
autentici solo nel contesto della vita matrimoniale, giacché sono espressione
fisica di essa (l'intimità fisica esprime l'intimità delle persone e delle vite) e
sono anche Vesperienza fisica e gioiosa dell'unità costituita da tale condizione.
Questi atti non soltanto esprimono l'unione, ma la favoriscono e la intensifica-
no, purché siano posti nella verità, cioè come linguaggio fisico di due persone
pienamente donate l'una all'altra.
I padri conciliari sottolineano anche un'altra caratteristica dell'amore
coniugale, che è in fondo legata al suo essere eminentemente un'amicitia, una
dilectio. È un amore nel quale l'elemento portante è Yaffectus voluntatis, il sen-

47
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes 49: «Haec dilectio proprio matrimonii opere singu-
lariter exprimitur et perficitur. Actus proinde, quibus coniuges intime et caste inter se uniuntur, hone-
sti ac digni sunt et, modo vere humano exerciti, donationem mutuam significant et fovent, qua sese
invicem laeto gratoque animo locupletante
152 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

timento cioè viene radicato nella volontà, diventa donazione libera, con pieno
impegno della persona al bene dell'altro. Perciò esso non può non portare al
patto, all'alleanza coniugale, in continuità con un'ispirazione che abbiamo
visto iniziare già nell'Antico Testamento.
Quanto abbiamo detto finora sulle caratteristiche dell'amore coniugale
emerge specialmente da Gaudium et spes 49, il numero esplicitamente dedica-
to a questo tema, ma c'è un altro fondamentale aspetto che è ben messo in luce
dal n. 50 della stessa Gaudium et spes ed è la relazione interna, profonda, tra
l'amore coniugale e la partecipazione all'amore creativo del Dio amante della
vita. Leggiamo in Gaudium et spes 50:

Di conseguenza il vero culto [cultus = pratica, coltivazione, culto] dell'amore


coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne scaturisce, senza pospor-
re gli altri fini del matrimonio, a questo tendono, che i coniugi siano disposti a
cooperare con coraggio con l'amore del Creatore e del salvatore, che, attraverso
di loro, continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.48

La crescita autentica dell'amore coniugale porta necessariamente ad


aprirsi al dono della vita e alla cooperazione con l'amore creativo di Dio. I
padri non vogliono certo dire che ogni coppia giunga a tale consapevolezza e
agisca nel trasmettere la vita sulla base di essa, quantunque una coppia cristia-
na non può non sapere di essere «come un'interprete» della volontà divina.
Essi intendono dire che esistono «un senso pieno» e «una perfezione vera-
mente umana» dell'amore coniugale, cioè l'apertura alla vita: la procreazione
è intimamente e dinamicamente legata a essi. Un amore coniugale che non si
apra alla vita è ferito nella sua umana verità.
I padri non riaffermano la gerarchia dei fini del matrimonio al modo del
Codice di diritto canonico del 1917: vi fanno riferimento, ma non la riprendo-
no come tale. La procreazione è dimensione di perfezione dell'amore coniuga-
le stesso, ne è sua interna dimensione. L'amore coniugale perciò non sta o cade
con la procreazione, non è un semplice mezzo per la procreazione: anche se i
figli, per motivi indipendenti dai coniugi, non vengono, la «totius vitae consue-
tudo et communio», che è l'amore coniugale nel matrimonio, conserva tutto il
suo valore e la sua permanenza.
Queste linee espositive dell'amore coniugale, che i padri conciliari offro-
no, sono successivamente sistematizzate nell'enciclica forse più nota dell'inte-

48
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes 50: «Unde verus amoris coniugalis cultus totaque
vitae familiaris ratio inde oriens, non posthabitis ceteris matrimonii finibus, eo tendunt ut coniuges forti
animo dispositi sint ad cooperandum cum amore Creatoris atque Salvatoris, qui per eos Suam fami-
liam in dies dilatat et ditat».
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 153

ra storia della Chiesa, De propagatione humanae prolis recte ordinartela, meglio


conosciuta con il titolo Humanae vitae, del 25 luglio 1968. L'enciclica affronta
il complesso tema della paternità responsabile collocando la fecondità del
matrimonio nell'orizzonte dell'amore coniugale: l'essere fecondo è una carat-
teristica propria dell'amore coniugale ed è perciò una dimensione della realtà
matrimoniale, nella quale questo amore si struttura e si incarna nella conti-
nuità dell'esistenza donata e ricevuta.
Nel n. 9 dell'enciclica Paolo VI parla di «caratteristiche e dimensioni
necessarie proprie dell'amore coniugale» («notae et necessitates coniugalis
amoris propriae»), di quell'amore che nel n. 8 è indicato come un movimento
di «reciproca donazione» mediante il quale l'uomo e la donna perseguono la
«comunione delle persone» verso la pienezza della loro umanità e la coopera-
zione creativa con Dio. Queste «caratteristiche e dimensioni dell'amore coniu-
gale» sono condizioni stesse della sua verità come amore coniugale e vengono
indicate da Paolo VI con quattro aggettivi: umano, totale, fedele/esclusivo,
fecondo.

È prima di tutto, dice Paolo VI, «amore pienamente umano, vale a dire sensibi-
le e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma
anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mante-
nersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana;
così che gli sposi diventino un cuor solo e un'anima sola, e raggiungano insieme
la loro perfezione umana. È poi amore totale, vale a dire un forma tutta specia-
le di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa,
senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte,
non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo
arricchire del dono di sé. È ancora amore fedele ed esclusivo fino alla morte. Così
infatti lo concepiscono lo sposo e la sposa nel giorno in cui assumono libera-
mente e in piena consapevolezza l'impegno del vincolo matrimoniale. Fedeltà
che può talvolta essere difficile ma che è, nessuno lo può negare, sempre possi-
bile, sempre nobile e meritoria. L'esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimo-
stra non solo che essa è consentanea alla natura del matrimonio, ma altresì che
da essa, come da una sorgente, scaturisce un'intima e duratura felicità. È infine
amore fecondo, che non si esaurisce tutto nella comunione tra i coniugi, ma è
destinato a continuarsi, suscitando nuove vite. Il matrimonio e l'amore coniuga-
le sono ordinati per loro natura alla procreazione e all'educazione della prole. I
figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono somma-
mente al bene degli stessi genitori» (cf. Gaudium et spes 50).49

49
PAOLO V I , Humanae vitae, 9.
154 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Alla descrizione dell'amore umano nella luce della totalità sono quindi
ricondotte anche la fedeltà, l'unità e l'indissolubilità, cioè le classiche proprietà
del matrimonio, che sono qui presentate come dimensioni di verità dell'amore
coniugale. L'amore coniugale è infatti un amore esclusivo, unico e fedele, per-
ché donandosi con totalità ogni membro della coppia investe nella dinamica
della comunione tutto ciò che è e tutto ciò che ha, e niente resta che non sia
donato e scambiato fra gli sposi. L'amore coniugale è attraversato dalla dimen-
sione della temporalità: esso è totale anche nel tempo, è un amore perenne,
sigillato con patto irrevocabile in un vincolo indissolubile. La perennità dell'a-
more dà all'uomo la sicurezza che egli non sarà ingoiato nel nulla, perché non
solo il suo essere oggi riceve pienezza di senso dalla comunione sponsale, ma
può alimentare anche la certezza che potrà vincere il nulla del futuro, che
ancora non è.
Sviluppando la prospettiva suggerita dall'enciclica si comprende anche il
significato della procreazione nel contesto dell'amore coniugale: i figli sono
simbolo ed espressione dell'unità coniugale, sono un io e un tu che diventano
un noi fatto carne. Il figlio è la definitività del dono fatto carne, una realtà con
due nomi, quello proprio e quello dei genitori. Il figlio emerge come prova che
la mia esistenza ha un valore: un uomo che ha un figlio da una donna accetta
con totalità l'esistenza di quella donna e, valorizzandola, le dice: «anche se tu
non esistessi, io vorrei che tu fossi».
L'enciclica, dato lo scopo della sua pubblicazione, si mostra anche par-
ticolarmente attenta a mettere in chiara luce il rapporto tra atto coniugale e
amore coniugale. L'atto coniugale è un atto particolare: mentre unisce l'uo-
mo e la donna, per ciò stesso li rende idonei a generare la vita. È cioè un atto
che dice l'unione e dicendo l'unione apre alla vita, seppure secondo i ritmi
propri della vita stessa (Humanae vitae 12). Questa realtà non è priva di signi-
ficato ma anzi, a una ragione che si muova nel contesto della fede nel Dio
creatore e provvidente, rivela una ricca significatività: rivela l'intimo legame
tra l'unione personale e il dono della vita, tra amore coniugale e apertura alla
vita. Un legame che va sempre salvaguardato, in modo particolare nella cele-
brazione fisica dell'amore che è l'espressione corporea propria di quella
potenza di vita e di unione che è l'amore coniugale (cf. Humanae vitae 11). La
conservazione di tale legame viene affermata dall'enciclica attraverso il lin-
guaggio della connessione inscindibile che Dio ha voluto tra i due significati
dell'atto coniugale, il significato dell'unità (o unitivo) e il significato della
procreazione (o procreativo). Con questa conservazione ogni atto coniugale
«conserva del tutto il senso del mutuo e vero amore e il suo ordinamento
all'altissima vocazione [munus] alla paternità» (Humanae vitae 12; cf. Gau-
dium et spes 51).
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 155

La Familiaris consortio, esortazione apostolica del 22 novembre 1981,


introduce il tema dell'amore coniugale (n. 11) in modo più sintetico di Huma-
nae vitae, ma con un'analoga sottolineatura del carattere di totalità che in esso
connota la donazione dell'uomo e della donna. Questo amore è descritto come
l'amore «con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'al-
tra sino alla fine» ovvero come «donazione personale totale».
Con Humanae vitae, la Familiaris consortio ha in comune l'idea dell'atto
coniugale come linguaggio, categoria che qui viene declinata secondo l'antro-
pologia di ascendenze fenomenologiche che abbiamo visto operante nelle
Catechesi di Giovanni Paolo II. In questa prospettiva la Familiaris consortio
vede l'atto coniugale come l'espressione fisica della totalità di donazione pro-
pria dell'amore coniugale (cf. Familiaris consortio 11), come un «linguaggio
nativo» (n. 32). Di qui la necessità di una corrispondenza tra l'amore che si
esprime e l'atto che lo esprime: un amore totale di donazione viene detto attra-
verso un gesto totale di donazione e di accoglienza reciproca. Si comprende
allora perché la contraccezione sia intimamente contraria alla verità morale e
un atto contraccettivo possa essere visto, nella sua consistenza oggettiva, come
una menzogna, «una fasificazione dell'interiore verità dell'amore coniugale»
(Familiaris consortio 32).

3.3. La debolezza dell'amore coniugale


L'amore coniugale raccoglie le più nobili aspirazioni dell'uomo e si pre-
figge di attuarle. Sono aspirazioni grandi, nel tempo e nello spazio, che impon-
gono l'uso di termini evocanti una grandezza sublime e inarrivabile come tota-
lità, assolutezza, perennità. Nel dialogo d'amore tra uomo e donna molte paro-
le recano il sigillo o la pretesa di questa grandezza, perché chiunque si doni sin-
ceramente nell'amore pensa al sempre, al solo, al definitivo: la vita si identifica
con l'amato e in tale amore la vita trova senso.
D'altra parte, però, l'amore coniugale è forse il luogo nel quale mag-
giormente appare la difficoltà umana di realizzare un amore così carico di
aspirazioni e di pretese. Una difficoltà che ha due radici molto diverse fra
loro: la prima metafisica, la seconda morale. L'uomo è un essere contingen-
te: la sua esistenza, nella condizione della mondanità, è eminentemente prov-
visoria e incerta. L'eterno non è nelle sue mani, né è da lui dominato; ancor
più, il futuro stesso non è nelle sue mani. Non può garantire nulla del proprio
futuro, né può essere garantito sul futuro altrui; non può neppure padroneg-
giare tutto di sé, avere il possesso pieno di tutte le sue motivazioni: la totalità
della donazione si configura più come un desiderio e una speranza che come
156 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

un fatto; lo diventerà pian piano, forse. E poi stanchezza, malattia, morte,


tutto il divenire della povera umanità rendono fragile e instabile l'amore di
ogni creatura umana: la speranza di un amore assoluto, senza condizioni,
davvero gratuito, sembra così situarsi utopicamente al di là delle forze del-
l'uomo.
C'è una strana sproporzione tra il sogno di una tale qualità di amore e le
possibilità dell'uomo. La stessa sproporzione che si ritrova tra Dio e l'uomo:
solo Dio può amare assolutamente, definitivamente, totalmente. Di conse-
guenza l'amore umano si trova a esistere nel paradosso: solo se l'uomo ama
dell'amore di Dio o se Dio ama attraverso l'amore dell'uomo il sogno di un
amore così totalizzante e assoluto può diventare vero. Il che equivale a dire
che l'uomo nell'amore cerca Dio e che, pur non rendendosene conto, egli ha
sete di quell'amore che solo Dio può dare perché Dio è l'amore.
La radice metafisica della fragilità dell'amore umano si rivela, a un'ana-
lisi più attenta, un'apertura dell'amore stesso all' autotrascendimento e una sua
potenzialità inesauribile di superamento verso l'ulteriorità. L'incompiutezza
invincibile che segna l'amore umano e la perenne nostalgia di assolutezza che
lo accompagnano ne costituiscono una forza, una spinta dinamica al progres-
so, alla crescita, alla perpetuità sempre nuova.
La radice morale della debolezza dell'amore costituisce un reale ostaco-
lo alla sua autenticità e deriva dall'incapacità creaturale di aprirsi al dono, alla
relazione, all'oblatività. L'uomo peccatore è inclinato ad amare se stesso, è,
anzi, incurvato in se stesso, per cui ogni amore che sia vero superamento del-
l'inclinazione verso se stessi incontra resistenze.
Tanti amori sono maschere dell'amore di sé: Yamor concupiscentiae si
riveste dei panni della dilectio, talvolta in forma nobile e attraente, ma presto
o tardi, in un modo o nell'altro, il suo gioco viene alla luce. Talvolta può giun-
gere al punto di mostrarsi come pieno altruismo, salvo poi costringere gli altri
a essere solo oggetti e quindi vittime dell'altruismo e sdegnandosi se l'altro
resiste alle profferte di salvezza e aiuto {pseudo-amore di dilezione). Altre
volte si consuma in un attivismo eroico dell'io che, nell'incapacità si fermarsi a
comprendere le esigenze vere dell'altro, rivela che gira a vuoto o, meglio, che
gira intorno a se stesso. Il peccato è sempre alla porta dell'uomo e il peccato è,
come dice Agostino, un «malus amor»: in radice esso è un amore disordinato
di sé, la nascosta volontà di occupare il luogo di Dio, che deve invece essere il
centro di tutto e di tutti. Solo se l'uomo vince il peccato e nella misura in cui si
fa vincitore del peccato può riuscire a de-centrarsi e dunque a collocare l'altro
al centro della propria cura, del proprio interesse, del proprio movimento. Solo
un amore che vince il peccato può essere vero amore; altrimenti il peccato
vince l'amore. Quando l'uomo affida il suo amore alle sue sole forze in qual-
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 157

che modo ha già decretato il suo destino giacché nessun uomo può vincere il
peccato senza il dono di Dio.

3.4. Amore coniugale e verginità


Si legge in Familiaris consortio 11:

La rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione


della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il matrimonio e la verginità.
Sia l'uno che l'altra, nella forma loro propria, sono una concretizzazione della
verità più profonda dell'uomo, del suo essere a immagine di Dio.

Quest'idea è preziosa giacché coglie l'unità profonda tra vita verginale e


vita coniugale: sono due forme dell'unica vocazione all'amore, vocazione che
costituisce il senso dell'esistenza dell'uomo e della sua stessa condizione ses-
suata. Questo aspetto, che Familiaris consortio offre come spunto di riflessio-
ne, deve essere ben sottolineato perché consente di illuminare conveniente-
mente la realtà dell'amore coniugale e il suo senso ultimo.
La vocazione all'amore coniugale, infatti, non deve essere considerata
una vocazione generica, quasi una semplice via per la trasmissione corretta
della vita umana. Ogni vocazione, anche la vocazione al matrimonio, è sempre
una vocazione personale alla comunione con l'Amore, con il mistero di Dio
Padre, Figlio e Spirito Santo. Ogni persona umana è chiamata all'esistenza nel-
l'amore, per attuare l'amore e per entrare in comunione con l'Amore secondo
la sua propria e distinta vocazione, il suo proprio modo di attuare l'immagine.
In qualche modo ogni essere umano ha una peculiare e nativa vocazione all'a-
more che, pur nella sua somiglianza con le altre vocazioni, conserva sempre
anche una sua irripetibile originalità.
Dall'esperienza della fede, noi sappiamo che Dio chiama la maggioran-
za delle persone ad attuare la vocazione all'amore attraverso l'incontro spon-
sale con un'altra persona, per camminare insieme verso il compimento dell'a-
more, che è per tutti la comunione ultima con il Dio dell'amore, quando Dio
sarà «tutto in tutti» (ICor 15,28). Il rapporto personale con Dio, che è il senso
ultimo di ogni esistenza umana, non viene semplicemente sommerso e risolto
nella realtà di coppia, ma permane e costituisce il fondamento di questo come
di qualsiasi altro rapporto autentico fra persone. Quando un uomo e una
donna sono chiamati da Dio a vivere nell'unità totale, allora l'uno diventa per
l'altra una dimensione, una presenza interna al suo stesso rapporto con Dio:
egli sussiste innanzi a Dio nell'unità della coniugalità, non più nella solitudine.
158 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

La chiamata alla coniugalità è chiamata ad attuare l'immagine di Dio


amante del suo popolo, del Cristo amante della sua Chiesa. L'amore coniuga-
le vissuto con fedeltà è l'immagine del Dio appassionato d'amore ed esprime
la ricchezza inesauribile dell'intensità assoluta con la quale il Signore ama l'u-
manità nella sua unità. Questa chiamata non è una chiamata anonima, ma è
un sentiero originale per ogni individuo, per ogni coppia, un sentiero che,
nella fondamentale somiglianza, è ricco anche di innumerevoli dissomiglian-
ze e di personali peculiarità, riflesso dell'infinita creatività di Dio. Se i sentie-
ri della coniugalità valgono per la maggior parte delle persone, secondo il
misterioso disegno di Dio, ci sono però alcuni che sono chiamati fin dal seno
materno a sperimentare a partire da questa vita l'essere tutto di Dio per l'uo-
mo, a vivere nella loro carne che l'uomo è per Dio e che Dio è tutto per l'uo-
mo, a mostrare che Dio è il senso nascosto di ogni ricerca di amore, a rivela-
re che Dio ama ugualmente e totalmente ogni sua creatura. I consacrati sono
coloro che «vivono per Dio solo» (Perfectae caritatis 5), ponendosi alla seque-
la di Cristo, colui nel quale si rivela il volto dell'amore di Dio per l'uomo e che
manifesta, a chiunque lo guardi, l'attrazione totale e irresistibile esercitata da
Dio sull'uomo. 50
I vergini sono chiamati, fin dal primo momento della loro esistenza, a
realizzare nel mondo l'immagine di Dio che ama assolutamente ogni uomo, a
rendere visibile l'universalità dell'amore di Dio, anzi a farsi segno sensibile
dell'assoluta e pur non esclusiva relazione di amore verso ogni creatura. L'u-
nica chiamata alla comunione, che è il senso ultimo di ogni esistenza umana e
che per tutti avrà compimento solo nella comunione escatologica con Dio, si
attua quindi secondo due modalità fondamentali, quella della coniugalità e
quella della verginità. La coniugalità è, nell'eone presente, il segno dell'amo-
re di Cristo sposo, ma essa - come ogni realtà sacramentale - è destinata a tra-
montare nella nuova e definitiva condizione del Regno venturo. La verginità
anticipa, nel tormento del non ancora, l'estasi d'amore indiviso per l'Amato
nel mondo futuro e proclama nel tempo della Chiesa l'inizio dei tempi ultimi.

50
La stessa rivelazione della chiamata all'amore si attua attraverso quegli uomini e quelle
donne che servono Dio senza conoscere Cristo e che egli si è riservato fin dal seno materno: essi rea-
lizzano una nascosta sequela del Cristo sospinti dallo Spirito Santo che «riempie tutta la terra» (cf.
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes 11).
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 159

4. A M O R E CONIUGALE E MATRIMONIO

L'amore coniugale è un vissuto che abbraccia tutta l'esistenza della per-


sona e ne connota in modo diretto o indiretto ogni aspetto. L'amore coniugale
si incarna in una struttura relazionale stabile centrata sulla coppia e sul loro
reciproco impegno di vita, il matrimonio. Questo paragrafo è dedicato a esami-
nare in modo sistematico la concezione cristiana del matrimonio in quanto isti-
tuzione dell'amore coniugale. Vedremo, in particolare, come la necessità di dare
stabilità e fermezza all'amore coniugale attraverso l'istituto matrimoniale non
si spieghi soltanto con motivi sociali e di giustizia, né coi semplici motivi perso-
nalistici, ma abbia radici ancora più profonde, nel progetto stesso di Dio.

4.1. Origine e beni del matrimonio


in Gaudium et spes
La costituzione conciliare Gaudium et spes, prima di trattare le moltepli-
ce questioni etico-pastorali del matrimonio e della famiglia nella società odier-
na, delinea un quadro teologico a partire dal quale valutare e affrontare le sin-
gole problematiche.
L'origine prima del matrimonio è nel creatore: è Dio stesso che fonda il
matrimonio e lo struttura secondo leggi proprie, dotandolo di vari «beni e
fini», come hanno messo in luce Agostino, Tommaso, il Decretum pro Armenis
e la Casti connubii (richiamati esplicitamente in Gaudium et spes 48, nota 1).
In tal senso il matrimonio, già nella sua origine naturale, è una condizione, uno
status, nel quale l'uomo entra, ma che non crea, giacché il progetto lo precede
come termine di una chiamata: si dice perciò che il vincolo matrimoniale «non
dipende dall'arbitrio dell'uomo». In tale status si entra attraverso un atto nel
quale l'uomo e la donna reciprocamente si danno e si ricevono, liberamente,
consapevolmente, definitivamente: è il consenso, X«irrevocabilis consensus per-
sonalis». Il consenso è paragonato a un patto, un'alleanza tra l'uomo e la
donna, che risponde al progetto divino sui due e dà forma sociale all'amore
coniugale, lo costituisce e lo genera come matrimonio.
Notiamo la differenza di visuale e di tono rispetto all'impostazione
vigente nella teologia e nel diritto canonico che aveva trovato una forma defi-
nitiva - come abbiamo visto - nel Codice del 1917. Mentre, infatti, nel vecchio
Codice di diritto canonico (can. 1081, § 2) il consenso era propriamente un atto
contrattuale mediante il quale ci si scambiava un oggetto ben preciso, lo ius in
160 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

corpus riguardo agli atti propri della procreazione, in Gaudium et spes 48 il


consenso è donazione reciproca delle persone nel patto irrevocabile, un patto
che lascia risuonare tutta la ricchezza biblica dell'idea di alleanza. Questa
visione conciliare, che reinterpreta personalisticamente la visione contrattuali-
sta del consenso, è stata assunta nel nuovo Codice del 1983, can. 1057, § 2.51 Nel
documento dei vescovi italiani Evangelizzazione e sacramento del matrimonio
si insiste esplicitamente sul fatto che

è da superarsi una concezione del consenso che ne faccia esclusivamente un con-


tratto, fonte di un vincolo puramente giuridico. In realtà, il consenso o patto
coniugale, pur comportando necessariamente aspetti giuridici, ha come suo
pieno contenuto l'amore stesso degli sposi, come amore totale, unico, definitivo
e fecondo. 52

L'autentica essenza del matrimonio è espressa in alcune definizioni dello


stato coniugale che il concilio offre: «intima comunità di vita e d'amore [...]
intima unione (coniunctio) di persone e di opere [...] intima unione, in quanto
mutua donazione di due persone» (Gaudium et spes 48); «consuetudine e
comunione di tutta quanta la vita» (Gaudium et spes 50).53
Sono tentativi di indicare linguisticamente la percezione nuova del
matrimonio. Anche se il linguaggio rimanda alla tradizionale descrizione cano-
nistica del matrimonio in facto esse (come segnala la presenza di termini quali
consuetudo, consortium, communication coniunctio ecc.),54 tuttavia c'è qualco-
sa di realmente nuovo: l'idea della donazione delle persone, dell'intimità, della
comunione personale. Il matrimonio non è visto semplicemente come uno
stato nel quale l'uomo e la donna si associano in modo stabile ed esclusivo in
vista di certi fini, soprattutto la procreazione e l'educazione dei figli. Nel matri-
monio, infatti, l'uomo e la donna vivono nell'unità profonda di tutta la loro
vita, fisica e spirituale, diventano come un soggetto unico nella storia, una per-
sona coniugalis, un io in due volti nel totale essere dell'uno per l'altro.
Sappiamo che il matrimonio reca in sé valori che sono fondamentalmen-
te quelli già delineati dalla tradizione patristica e scolastica, ma tali valori o

51
Restano anche nel nuovo Codice - in ossequio all'impostazione tradizionale difficile da supe-
rare - tracce di un'identificazione fra il patto o foedus nuziale con il contratto, come nel can. 1055, § 2,
ove si parla dell'inseparabilità tra contratto matrimoniale e sacramento. Non c'è dubbio che il patto
matrimoniale ha anche aspetti contrattuali e giuridici, ma il patto non si identifica con il contratto.
52
CONGREGAZIONE EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 20
giugno 1975,40-41.
53
II nuovo C/C, can. 1055, richiama indubbiamente tali definizioni quando parla di «totius vitae
consortium», impiegando tuttavia un'espressione che deriva dalla già ricordata definizione del giurista
latino Modestino tramandata nel Digesto («omnis vitae consortium»).
54
Cf. S.D. KOZUL, Evoluzione, 160-164; 299ss.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 161

beni o fini propri del matrimonio vanno compresi all'interno della dinamica
dell'amore coniugale e, dunque, entro il rapporto che sussiste tra amore coniu-
gale e matrimonio. Gli studi di G. Hellin hanno dimostrato che, per i padri con-
ciliari, l'amore coniugale non è un fine o il fine del matrimonio, ma piuttosto
che è «Velemento formale della comunità di persone che è il matrimonio»
ovvero, per dirla sempre con Hellin, che il matrimonio è l'«istituzione dell'a-
more coniugale».55 Esiste una netta corrispondenza tra fini/proprietà del
matrimonio e le dimensioni dell'amore coniugale: in altre parole, il matrimo-
nio è l'amore coniugale fedele alla propria vocazione totale e dunque anche
sociale e procreativa, così come si esprime e si manifesta nell'atto generativo
dello status coniugale che è il consenso. Alla luce di queste riflessioni si com-
prende perché il concilio usi l'espressione endiadica «istituto del matrimonio e
l'amore coniugale» (cf. Gaudium et spes 48; 50).
Vista tale unità, ne consegue che se è vero che tanto l'amore coniugale
quanto il matrimonio trovano nell'educazione e procreazione dei figli il loro
coronamento (Gaudium et spes 48) e sono a essa ordinati (Gaudium et spes
50), è anche vero che amore e matrimonio non sono semplici mezzi per la
procreazione, ma hanno un valore intrinseco per il bene dei coniugi costitui-
to dalla «consuetudine e comunione di tutta quanta la vita» (cf. Gaudium et
spes 50). Da questo punto di vista il can. 1055, § 1 del C/C è abbastanza fede-
le al concilio quando coordina i fini del matrimonio, evitando ogni gerar-
chizzazione e afferma che «il patto matrimoniale [...] per sua indole natura-
le è ordinato al bene dei coniugi e [atque] alla generazione ed educazione
della prole».

4.2. Le proprietà essenziali del matrimonio-


Come dice il C/C, can. 1056, § 1, «le proprietà essenziali del matrimonio
sono l'unità e la indissolubilità, che nel matrimonio cristiano, a motivo del
sacramento, raggiungono una particolare saldezza [firmitatem]». Se tali pro-
prietà vengono formalmente escluse dai nubendi, dal momento che esse sono
essenziali, cioè connesse alla costituzione essenziale del matrimonio, il matri-
monio è mortalmente ferito, non è un vero matrimonio.

55
G. HELLIN, «El lugar propio del amor conyugale en la estructura del matrimonio segun la
"Gaudium et spes"», in Anales Valentinos 6(1980)11,1-35.
162 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

4.2.1, Unità
Per unità si intende che il matrimonio è l'unione di un solo uomo con una
sola donna; sono contraddittorie con la verità creaturale del matrimonio la
poligamia così come la poliandria, cioè ogni forma di poligamia simultanea.
L'unità viene radicalmente lesa anche da ogni infedeltà, che instaura con una
terza persona una relazione fatta di elementi propri del rapporto coniugale.
Con quali argomenti si afferma l'unità del matrimonio? Ci sono argo-
menti di ragione e argomenti derivabili dalla Rivelazione. La Scrittura in Gen
2,18-24, interpretato alla luce di Mt 5,27-28; 19,39, offre un chiaro sostegno
all'unità così è stato sempre interpretato dai padri e dal magistero della Chie-
sa. Tuttavia, secondo il modo di esprimersi tradizionale, si è sempre distinto tra
la poligamia praticata da cristiani e quella praticata da non cristiani: la prima,
come dice il can. 2 di Trento (DS 1802), è da rigettare come contraria alla
volontà di Dio e al comando del Signore; la seconda non riceve una sanzione
così severa, dal momento che nell'economia veterotestamentaria la poligamia,
di fatto, è stata consentita.
L'emergere della visione personalista del matrimonio ha portato a una
forte critica magisteriale nei confronti della poligamia qua talis: secondo Fami-
liaris consortio 19, che riprende Gaudium et spes 48, la poligamia contraddice
radicalmente «la pari dignità personale dell'uomo e della donna» e dunque la
piena reciprocità delle donazione. Nella poligamia, senza dubbio, vi è una dise-
guaglianza nella donazione e nella relazione: totale da una parte, non totale dal-
l'altra. L'argomento personalista, seppure con conseguenze più radicali, è anche
quello più adeguato, dal momento che gli argomenti classici (la poliandria, vista
la lunga gestazione propria della specie umana, renderebbe biologicamente più
difficile da attuarsi il fine procreativo; la poligamia renderebbe difficile sia l'e-
ducazione dei figli sia la pace familiare) non sembrano davvero sufficienti.
Negli ultimi decenni alcuni teologi, specie missionari, hanno chiesto che
venisse ammessa una certa gradualità della legge della monogamia. A parer
loro l'introduzione della monogamia in culture poligamiche oltre a provocare
grossi problemi di adesione al cristianesimo determina anche notevoli conse-
guenze negative (aumento della prostituzione, rinvio delle mogli ecc.). Perciò
propongono di ammettere una gradualità della legge simile alla gradualità
manifestata da Dio nell'economia veterotestamentaria, valutando in modo
diverso la situazione dei già poligami (che potrebbero rimanere tali) e dei cri-
stiani non ancora poligami (che non potrebbero diventare poligami).
Giovanni Paolo II, soprattutto nei suoi viaggi in Africa, ha rifiutato que-
sta possibilità e lo ha detto sulla base del principio che se si può ammettere la
legge della gradualità non è però ammissibile la gradualità della legge (cf.
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 163

Familiaris consortio 34). Sotto questa affermazione vi è il diritto di ogni cri-


stiano e, ancor più, di ogni uomo a conoscere e a vivere tutta la verità e non
solo una particella di essa. Bisogna aggiungere inoltre che certe difese o addi-
rittura esaltazioni della poligamia lasciano perplessi: sembrano troppo legate
alla sociologia e troppo maschiliste per essere convincenti. Su questo si
dovrebbe forse dare più voce all'esperienza delle donne che vivono l'altra fac-
cia della poligamia.
L'unità non si oppone alla poligamia successiva o seriale. Anche se, come
si è visto, ci sono stati problemi nei primi secoli cristiani, tuttavia la Chiesa ha
sempre ammesso la liceità delle nozze successive alla morte del coniuge. Biso-
gna aggiungere che, specialmente negli ultimi decenni, è emersa una sorta di
preferenza magisteriale per la vedovanza casta. Ciò appare in una Allocuzio-
ne di Pio XII del 16 settembre 1958, ripresa nei documenti conciliari e in par-
ticolare da Gaudium et spes 48, ove si dice che «la vedovanza accettata con
coraggio in continuità con la vocazione coniugale sarà da tutti onorata».

4.2.2, Indissolubilità

L'indissolubilità è la seconda proprietà essenziale del matrimonio. Con


essa si intende che il matrimonio non può essere sciolto né da un'autorità
esterna ai coniugi (indissolubilità estrinseca) né dagli stessi coniugi (indissolu-
bilità intrinseca).
La dottrina tradizionale, i cui fondamenti biblici e magisteriali sono stati
esaminati nei primi capitoli, afferma che il matrimonio tra cristiani è indisso-
lubile.56 La dottrina cattolica, tuttavia, non si limita a questo. Ritiene che la
proprietà dell'indissolubilità appartenga al matrimonio nella sua consistenza
creaturale e che dunque la verità stessa del matrimonio naturale comprenda
l'indissolubilità; secondo mons. Tettamanzi si tratterebbe di doctrina certa
ripetutamente riaffermata dal magistero. Questa seconda affermazione, che
estende l'indissolubilità assoluta anche al matrimonio naturale, sembra con-
trastare con l'esperienza umana quale si manifesta nella maggioranza delle
culture, di tutti i tempi e di tutti gli spazi. Tuttavia, si consideri che la dottrina
cattolica intende solo dire che la verità naturale del matrimonio, così com'è
conoscibile nella luce della Rivelazione, prevede l'indissolubilità e che tale
verità non può non aprirsi sempre più a un'adeguata e crescente riflessione
razionale.

56
La nota teologica dell'affermazione è discussa: per qualcuno è de fide exmagisterio ordinario,
per altri proxima fidei.
164 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Nella manualistica tradizionale gli argomenti razionali a conferma del-


l'indissolubilità erano seri, ma essenzialmente teleologici: l'educazione dei figli
richiede tempo, il divorzio danneggia il coniuge più debole, ci può esser dub-
bio sulla paternità della prole, l'intimità coniugale deve essere difesa. Oggi
sono preferiti argomenti di natura personalistica. In primo luogo l'indisso-
lubilità è posta in relazione al carattere stesso della comunione coniugale e
della donazione totale che la caratterizza. La donazione totale implica la
dimensione del tempo, del futuro: nel sì del matrimonio tutto il futuro con l'al-
tro è compreso e accolto. L'indissolubilità è poi legata certamente anche al
bene oggettivo dei figli. Sono queste le due direzioni indicate da Gaudium et
spes: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come
pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'in-
dissolubile unità».57 Molto bella è la sintesi data dall'episcopato italiano in
Matrimonio e famiglia oggi in Italia (1969) 11:

Tale caratteristica [...] è radicata nella natura dell'amore e della comunità coniu-
gale, è richiesta dall'educazione dei figli, è un fattore primario di stabilità della
famiglia [...] è connaturale all'ordine che meglio garantisce ai coniugi e alla
famiglia il raggiungimento dell'interiore pienezza e l'espletamento della loro
funzione sociale, soprattutto di quella educativa. La perennità dell'unione è un
valore riconosciuto dalla coscienza profonda dell'umanità, anche nei paesi a
regime divorzista.

Sono argomenti senza dubbio di grande forza. Tuttavia essi ricevono la loro
fermezza nella luce della Rivelazione; razionalmente non vanno ancora al di là
del carattere di indizi di notevole vigore e qualità a favore dell'indissolubilità.

4.3. Rapporto fra matrimonio naturale


e matrimonio cristiano
Da quel che abbiamo fin qui detto è chiaro che il matrimonio nasce per
progetto divino ed è dunque permeato di valore religioso fin dall'inizio. L'uo-
mo e la donna, amandosi di amore sponsale e unendosi nel matrimonio, si
conformano, anche senza averne piena ed esplicita coscienza, al disegno di
Dio sull'umanità e fanno un atto di obbedienza, almeno implicita, al progetto
creativo.

57
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes 48 (cf. Familiaris consortio 20).
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 165

Familiaris consortio 68, allorché affronta il problema del matrimonio dei


battezzati non credenti, afferma che il matrimonio/sacramento si edifica su una
realtà già esistente «nell'economia della creazione» e aggiunge queste signifi-
cative riflessioni:

La decisione dunque dell'uomo e della donna di sposarsi secondo questo proget-


to divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale
tutta la loro vita in un amore indissolubile e in una fedeltà incondizionata, impli-
ca realmente anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di
profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia.

Ciò basta per dire che il matrimonio, in quanto tale, ha un valore religio-
so; tuttavia, andando oltre, si potrebbe dire anche che ha in quanto tale un
significato religioso ovvero che è segno di realtà divine? Secondo diversi auto-
ri, in particolare J.M. Scheeben,

nell'ordine di provvidenza attuale, che è soprannaturale, ogni matrimonio ha un


significato: anche il matrimonio degli infedeli, anche il matrimonio dell'A.T. ha
una relazione con il mistero dell'unione di Cristo con la Chiesa: è simbolo di tale
unione ed è stato voluto da Dio per questo.

Nell'amore coniugale, dice C. Colombo, nei suoi caratteri di amore per-


sonale, totale, benevolente, c'è «una particolare somiglianza (un'analogia, lon-
tana se si vuole, ma reale) con l'amore di Dio per gli uomini».
L'idea che il matrimonio sia un segno dell'unione di Cristo e della Chie-
sa e che, in qualche modo, non sia estraneo all'amore di Cristo e della Chiesa
è espressa formalmente nelle Tesi sulla dottrina del matrimonio cristiano pub-
blicate dalla CTI nel 1978. Dice la proposizione 3.1:

Tutte le cose sono state create in Cristo, da Cristo e per Cristo. Anche il matri-
monio, dal momento che è stato creato da Dio creatore, diventa un segno del
mistero dell'unione di Cristo sposo con la Chiesa sposa. Si trova, in un certo
modo, ordinato a questo mistero.

E riguardo al matrimonio legittimo dei non cristiani si dice in 3.4:

Questo è provvisto di beni e di valori autentici che gli assicurano una consisten-
za. Ma è bene mettere in evidenza che, anche se gli sposi lo ignorano, questi valo-
ri provengono da Dio creatore e si inseriscono in modo incoativo nell'amore
sponsale che unisce Cristo e la Chiesa.
166 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

La significatività del matrimonio naturale giunge a pienezza nel matri-


monio celebrato tra due battezzati, cioè nel sacramento del matrimonio. Spo-
sandosi nel Signore l'uomo e la donna possono realizzare la verità stessa del
matrimonio nel suo principio, perché il Signore Gesù, lo sposo che salva l'u-
manità unendola a sé come sua sposa-suo corpo, «rivela la verità originaria del
matrimonio, la verità del principio [cf. Gen 2,24; Mt 19,5] e, liberando l'uomo
dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente» (Familia-
ris consortio 13).
Nelle nozze cruente celebrate sulla croce, il Signore manifesta il senso
nascosto di ogni unione nuziale, il mistero contenuto nell'incontro tra il primo
Adamo e la prima Eva (cf. Familiaris consortio 13, che qui rinvia proprio a Ef
5,32ss); di questo mistero il matrimonio dei battezzati è «simbolo reale» (Fami-
liaris consortio 13) ovvero «rappresentazione reale», giacché Cristo stesso
attualizza la sua donazione nuziale alla Chiesa attraverso la loro donazione e
il loro amore. Lo Spirito che il Signore effonde - conclude Familiaris consor-
tio - dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cri-
sto ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interior-
mente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui
gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si
dona sulla croce (Familiaris consortio 13).
Fin dall'inizio della storia cristiana è sempre stata presente la consape-
volezza del valore particolare del matrimonio cristiano e questa consapevo-
lezza si è espressa attraverso la progressiva affermazione della sua sacramen-
talità. È un filo d'oro che attraversa il tempo e trova i suoi fondamenti nella
Scrittura, specie nella prospettiva aperta da Ef 5,32ss, e nel magistero, dal
Decretum pro Armenis del Fiorentino (DS 1327) al concilio di Trento, De
sacramento matrimonii, can. 1 (DS 1801), alla Casti connubii (DS 3713) sino a
Lumen gentium 11, e Gaudium et spes 48-49.
Nel loro matrimonio i cristiani significano e partecipano il mistero del-
l'unità tra Cristo e la Chiesa (cf. Lumen gentium 11) giacché esso è «immagine
e partecipazione al patto d'amore [dilectionis] di Cristo e della Chiesa» (Gau-
dium et spes 48); ricevono la capacità di amarsi di un amore fedele, definitivo,
reciproco (cf. Gaudium et spes 48) giacché ricevono la stessa potenza di amare
che è in Cristo.
Non è compito del nostro corso fermarsi sugli aspetti propri della teolo-
gia sacramentaria. È sufficiente richiamare qui che nel matrimonio cristiano il
sacramentum tantum è costituito dal consenso dei nubendi, i quali sono i mini-
stri del loro matrimonio; la res o grazia propria del sacramento è la carità di
Cristo sposo, la res et sacramentum non è costituita dal carattere, come nei
sacramenti non reiterabili (battesimo, cresima, ordine), ma da una realtà
CAP. 4 - IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE CATTOLICA 167

nuova, un quasi-carattere che è il legame coniugale stesso. Su questo sfondo


dottrinale - come vedremo - il magistero recente svilupperà l'idea della con-
sacrazione coniugale.

4,4- Fede e sacramento del matrimonio


Secondo i principi classici della dottrina sacramentaria la grazia è confe-
rita dai sacramenti «in virtù dell'azione compiuta da Cristo e non solo in forza
della fede di coloro che lo ricevono». Ne segue che non solo la fede attuale del
celebrante non è condizione essenziale per la validità dei sacramenti, ma anche
quella del ricettore non è strettamente necessaria. «La fede viene presupposta
come causa dispositiva dell'effetto fruttuoso del sacramento; però la validità
del matrimonio non implica necessariamente che questo sia fruttuoso». Certo
non si può nemmeno dire che la mancanza di fede personale sia irrilevante ai
fini della validità, tale punto tuttavia non è chiaramente determinato nella teo-
logia cattolica. La stessa Commissione teologica internazionale si limita a dire
che, nel caso della mancanza di fede personale, la validità è infirmata, è resa
vacillante (infìrmaretur). Un'espressione tanto vaga testimonia una ancor
insufficiente elaborazione dottrinale del problema.
Evangelizzazione e sacramento del matrimonio (55) offre una sintesi
equilibrata, notando che i coniugi hanno un triplice rapporto col sacramento:
come ministri, come destinatari, come protagonisti. In quanto ministri si richie-
de a essi che abbiano «l'intenzione di fare quanto intende fare Cristo e la Chie-
sa» per celebrare validamente. In quanto destinatari «gli sposi non possono
ricevere la grazia dell'amore nuovo di Cristo per la Chiesa se non sono ad esso
disponibili: e la fede è la prima e fondamentale disposizione per accogliere il
dono della novità cristiana». Questo però significa che il sacramento resta vali-
do anche se il difetto di fede rende la grazia sacramentale infruttuosa nei desti-
natari, almeno sino a che l'ostacolo non sia rimosso. In quanto protagonisti,
infine, «gli sposi sono chiamati ad esprimere nel loro consenso un impegno
umano di vero amore coniugale, ed anche una volontà di accoglienza della
novità che Cristo vi ha introdotto»; ciò significa che non devono escludere l'u-
nità (fedeltà) e l'indissolubilità, pena l'invalidità, e non devono chiudersi per-
sonalmente alla novità di Cristo, pena la non fruttuosità. Su questa base con-
cettuale sono date indicazioni pastorali ai nn. 91-96.
Una posizione simile si trova in Familiaris consortio 68, intitolato «Cele-
brazione del matrimonio ed evangelizzazione dei battezzati non credenti».
Richiamandosi al fatto che il matrimonio ha già sul piano naturale un'autenti-
ca valenza religiosa, la decisione della coppia di sposarsi implica un'apertura
168 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

alla volontà di Dio e alla grazia matrimoniale, apertura che deve essere espli-
citata e portata a compimento nella catechesi prematrimoniale e nella stessa
celebrazione del sacramento.
L'esortazione papale mette quindi in guardia contro la pretesa di misu-
rare la fede dei nubendi e contro la presunzione che essi chiedano il matrimo-
nio cristiano per soli motivi sociali. Solo quando si ravvisi un'esclusione espli-
cita della fede della Chiesa sul matrimonio, i nubendi non potranno accedere
alle nozze cristiane, ma negli altri casi l'intransigenza sarebbe immotivata.
Misurare la validità del sacramento sul grado di fede degli sposi, oltre che esse-
re umanamente impossibile, è anche profondamente discriminatorio. Ne segui-
rebbero inoltre perniciose incertezze, facili contestazioni di invalidità, dubbi
sulla sacramentalità dei matrimoni tra non cattolici.
5
IL MODELLO ETICO CRISTIANO

L'esperienza di essere sessuati e la volontà di vivere in modo autentico


la propria esistenza di persone sessuate si concretizzano in atteggiamenti, stili
e decisioni i quali, a loro volta, dipendono dall'incontro fra l'ideale di vita
buona di ciascuno e la propria realtà in continuo divenire. Ogni comprensione
della sessualità genera un particolare modello etico e questo modello etico
altro non è che lo strutturarsi in norme argomentate di un'intuizione antropo-
logica fondamentale sul senso della sessualità umana e sulle sue condizioni di
autenticità.

1• SESSUALITÀ ED ETICA

Nel nostro tempo, l'oblio della verità antropologica della sessualità si sta
traducendo in una sorta di impossibilità di stabilire un qualsiasi rapporto fra
etica e sessualità. Nel subconscio contemporaneo, l'etica suscita la sensazione
di qualcosa di artefatto e di aggiuntivo, una sorta di camicia di forza che
costringe o vorrebbe costringere l'essere umano a porre barriere ai propri
desideri e alle proprie pulsioni con intento repressivo.
Le regole sono ricondotte alla libertà personale. È eticamente accettabi-
le ogni atto sessuale posto senza violenza fra adulti capaci di esprimere una
volontà libera. Accanto alla regola della consensualità qualcuno colloca la
regola del beneficio, nel senso che l'attività sessuale non deve essere dannosa
a se stessi o a terzi. Questa seconda regola viene comunque ricondotta alla pre-
cedente perché si ritiene lecito che un soggetto possa centrare la sua vita ses-
suale sul provocare male a un altro consenziente nel contesto di una relazione
sado-masochista, secondo l'assioma che «volenti non fit iniuria».
170 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Questa posizione non è comprensibile senza la considerazione delYan-


tropologia che vi soggiace. L'uomo è visto come un soggetto dinamico di pul-
sioni/desideri/progetti la cui realizzazione coincide con la capacità di soddisfa-
re tali pulsioni/desideri/progetti e il cui diritto fondamentale è il diritto alla
felicità, cioè alla realizzazione di sé. In questa visione la sessualità è luogo emi-
nente della ricerca soggettiva della felicità ed è in funzione di essa; la società
non può intervenire nella gestione della sessualità, se non per favorire la frui-
zione sicura di essa e per garantire che nessuno sia violato nei suoi diritti fon-
damentali.
Non appena però spostiamo l'orizzonte antropologico, il problema della
misura etica della sessualità emerge come il problema stesso della sua verità.
Se l'uomo, infatti, non è solo un aggregato dinamico di pulsioni/desideri/pro-
getti, ma un essere chiamato a compiere la propria esistenza nella realizza-
zione dell'amore a Dio e ai fratelli, a costruirsi progressivamente come esse-
re di comunione e di donazione, a farsi servitore fedele del bene e della
verità, allora ne consegue che di fronte all'uomo, alla sua libertà, sta il com-
pito di ordinare le fila del proprio divenire ovvero di farsi, mediante l'azio-
ne, in modo vero. L'uomo può errare, può illudersi, può mal valutare i beni e
le conseguenze delle azioni; l'uomo può essere tratto in inganno dalle pas-
sioni, può cedere all'imperiosità del bisogno dimenticando la verità, può con-
sentire al male con consapevolezza, può finanche amare il male, ma resta
come meta desiderabile da conseguire e come istanza critica dei suoi atteg-
giamenti la verità etica oggettiva inscritta nelle dinamiche intime del suo
essere personale.
In questa antropologia il rapporto con le pulsioni viene quindi sottopo-
sto ad attento discernimento, giacché le pulsioni hanno carattere frammenta-
rio, incostante, cieco dal punto di vista del valore e attingono il loro oggetto
prevalentemente in quanto corrispondente alla pulsione stessa e non sotto
l'angolo del suo valore intrinseco. I desideri e i progetti molteplici e talora con-
traddittori vanno giudicati e ricondotti all'unico progetto che è quello di
costruirsi come creature capaci di comunione e di donazione.
L'etica emerge così come condizione per l'attuazione dell'umanità del-
l'uomo, come via di realizzazione della vocazione umana, come prospettazio-
ne del cammino di fedeltà all'amore. Un tale orizzonte antropologico vocazio-
nale è proprio del cristianesimo; è certo difendibile in termini razionali, facen-
do riferimento alla filosofia, ai dinamismi profondi dell'uomo e all'esperienza
umana universale come pure alle contraddizioni delle altre antropologie, ma è
prima di tutto un'illuminazione, mediante la quale Dio ha aperto all'uomo il
mistero della sua origine, della sua identità e del suo fine ultimo, svelandogli
anche la ferita intima che lo indebolisce, la malattia mortale che lo penetra.
CAP. 5 - IL MODELLO ETICO CRISTIANO 171

Per un cristiano la consapevolezza di dover vigilare per costruirsi davve-


ro come essere di comunione e di donazione, vincendo il male e il peccato, è
tanto preziosa e necessaria quanto la certezza che senza l'aiuto del Signore,
attinto nella preghiera e nei sacramenti, non è possibile una simile vittoria. Il
compito di realizzare se stessi nella verità e nell'autenticità è prima di tutto
affidato al singolo, alla responsabilità di sé che egli ha dinanzi a Dio, ma è insie-
me affidato a coloro che hanno il compito educativo nei confronti del singolo,
giacché l'uomo non può assumere se non progressivamente e attraverso la
gestazione educativa la responsabilità della propria vita.1 È infine un compito
della comunità ecclesiale aiutare ogni fedele a crescere nella verità dell'amore
annunciando il vangelo sulla sessualità e sull'amore e indicando le strategie
concrete con cui i valori perenni del progetto di Dio si possono attuare nel
contesto dei problemi e della sensibilità di oggi.

2< SESSUALITÀ E ATTITUDINE ETICA: LA CASTITÀ

Vethos è il carattere morale, il modo specifico di percepire il senso del-


l'esistenza e l'ideale di vita buona. Tale carattere morale si esprime, a sua volta,
in strutture emotive, intellettive e volitive ordinate all'agire che vengono defi-
nite nel loro insieme come attitudine etica o habitus morale. L'attitudine etica
non deriva, quindi, dall'assommarsi di singoli atti slegati da un progetto, ma
rappresenta la disposizione ad agire secondo un preciso orientamento di senso.
Si dice virtù l'attitudine o disposizione stabile a operare eticamente, cioè in
fedeltà alla verità morale, in ogni singolo aspetto dell'esistenza. L'attitudine
etica presuppone una decisione radicale della persona e si consolida agendo in
conformità a essa. Nel caso di un cristiano Vattitudine etica dipende daIVethos
del popolo di Dio e si configura come fedeltà alla verità morale trasmessa dalla
parola di Dio scritta e vissuta.
L'attitudine etica nell'ambito della sessualità è detta tradizionalmente
castità. Storicamente la comprensione dei contenuti della castità dipende dal
divenire stesso della comprensione della sessualità perché la castità è l'attitudi-
ne a vivere la verità della sessualità. Quando la sessualità veniva interpretata
come genitalità o res venerea, allora era logico considerare la castità «la virtù

1
Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore
umano. Lineamenti di educazione sessuale, 42.
172 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

regolante l'appetito e l'uso delle cose veneree». Oggi, essendo maturata la


comprensione della sessualità, è maturata corrispondentemente anche la com-
prensione della castità.
In generale la castità - parte della virtù della temperanza - conduce la
persona a integrare progressivamente le energie sessuali, affettive ed erotiche
nel progetto esistenziale e a indirizzarle all'amore autentico. La virtù della
castità orienta il cammino di ciascuno verso un 'armoniosa integrazione delle
energie sessuali, della capacità di amare, dei vissuti, dei desideri nel progetto
unitario della persona. La castità, sotto questo punto di vista, fa parte della ten-
sione positiva e costruttiva che dirige interiormente la persona verso livelli
sempre più soddisfacenti di pienezza.
Proprio per raggiungere questa meta, la castità richiede anche di purifi-
care le spinte egoistiche e distruttive della sessualità e di volgerle verso un pro-
getto di comunione e di vita, attraverso il superamento e il controllo delle dina-
miche deformanti che la concupiscenza può generare nel vissuto sessuale di
ciascuno. Il soggetto, perciò, deve impegnarsi in una progressiva educazione
all'autocontrollo della volontà, dei sentimenti, delle emozioni, che deve svilup-
parsi a partire dai gesti più semplici, nei quali è relativamente facile tradurre in
atto la decisione interiore. Come ogni virtù morale, infatti, anche la castità si
consolida con la ripetizione consapevole degli atti, cioè con l'esercizio della
volontà in fedeltà alla norma morale. La virtù della castità appare, in tal modo,
come la virtù che permette a ciascuno di essere fedele al proprio amore e che
indica alla persona la via di attuazione della verità dell'amore e in particolare
la verità del linguaggio sponsale del corpo. «La castità», scriveva K. Wojtyla, «è
la trasparenza dell'interiorità, senza la quale l'amore non è amore».2
Giovanni Paolo II ha dedicato complesse riflessioni al tema della castità
coniugale, la forma di castità che, in modo più pieno, manifesta il senso gene-
rale della castità. «L'amore coniugale del quale parla VHumanae vitae», dice il
pontefice nelle sue Catechesi, «è, dal punto di vista soggettivo, forza, cioè capa-
cità dello spirito umano, di carattere teologico (o piuttosto teologale)», anzi «è
la forza data all'uomo per partecipare a quell'amore con cui Dio stesso ama
nel mistero della creazione e della redenzione». Questa forza è innestata «nel-
l'uomo insidiato dalla concupiscenza e per questo motivo l'amore può realiz-
zarsi autenticamente solo mediante il dominio sulla concupiscenza». Si può
pertanto affermare che l'amore coniugale è per sua natura congiunto con la
castità che si manifesta come padronanza di sé ossia - per usare un termine
tradizionale - come continenza.

2
K. WOJTYLA, Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale, Torino 2 1979,124.
CAP. 5 - IL MODELLO ETICO CRISTIANO 173

Di questa comprensione rinnovata della virtù della castità che abbiamo


qui delineato è un buon esempio la descrizione che si ritrova in Familiaris
consortio 33:

Secondo la visione cristiana, la castità non significa affatto né rifiuto né disistima


della sessualità umana, significa piuttosto energia spirituale che sa difendere l'a-
more dai pericoli dell'egoismo e dell'aggressività e sa promuoverlo verso la sua
piena realizzazione.

3. IL MODELLO ETICO CRISTIANO

Le strategie decisionali e i modi operativi che il popolo di Dio ha messo


in atto per incarnare e testimoniare nella vita quotidiana la sua tensione verso
una vita buona sono sintetizzati nelle norme morali. Le norme morali sono
come il cristallizzarsi in linee guida generali delle strategie operative elabora-
te dal popolo di Dio per realizzare e sempre ridefinire, nel tempo e nello svol-
gersi dell'esistenza, la propria fisionomia morale. Lo svelarsi al credente della
verità originaria della sessualità diventa la misura etica e configura saldamen-
te la morale sessuale come possibilità di pienezza umana e cristiana.
Abbiamo cercato di mostrare la continuità dell 'ethos cristiano nel tempo
e lo sforzo di tradurre questo ethos in un modello etico di tipo normativo, che
è il risultato dell'esperienza morale del popolo di Dio. Nel nostro tempo abbia-
mo assistito a una riformulazione del modello etico cristiano con il passaggio
da un'accentuazione della prospettiva naturalista a quella personalista. Come
abbiamo detto fin dalle prime pagine di questo nostro lavoro, ethos e modelli
espressivi dell 'ethos sono due realtà interagenti, ma realmente distinte. Non
riteniamo che esista un solo modello idoneo a tradurre Vethos cristiano, ma
neppure crediamo che qualsiasi modello sia idoneo a dare forma concreta
BÌYethos cristiano il quale dipende, originariamente, da un'esperienza dello
Spirito. Gran parte delle difficoltà odierne della dottrina cattolica riguardo alla
sessualità nascono dalla giustapposizione di questi due orientamenti estremi.
Secondo noi è possibile intuire, al di là delle forme concrete che ha
assunto Vethos cristiano nella storia, una continuità di fondo. Per cogliere que-
sta unità di fondo occorre decodificare i linguaggi propri di ciascun modello
tenendo conto dei diversi orizzonti antropologici presupposti: i linguaggi
mutano e il linguaggio di Aristotele non è il linguaggio di Lévinas, così come
l'antropologia cristiana di Tommaso non è quella di K. Rahner, ma neppure
esattamente quella di Giovanni Paolo II.
174 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

Non è possibile a nessuno di noi uscire completamente dalla storia e dai


linguaggi culturalmente condizionati per formulare concettualmente l'intui-
zione delVethos cristiano come tensione a una vita buona in Cristo. Ci pare, tut-
tavia, che il filo rosso dell'antropologia sessuale cattolica sia la tendenza a rico-
noscere la dimensione tipicamente umana della sessualità nel nesso tra sessua-
lità e comunione interpersonale. Questa comunione interpersonale viene
descritta con i caratteri della totalità, della stabilità, della fecondità: la sessua-
lità è autenticamente e pienamente vissuta solo nel contesto di una relazione
personalmente creativa e feconda. La sessualità umana rimanda, così, all'infi-
nita trascendenza e alla potenza creatrice del Dio amore. In modo analogo, X.
Lacroix, affermando la continuità della dottrina, pur nel variare delle ragioni
che la giustificano, ritiene di poter formalizzare l'intuizione comune della tra-
dizione «attorno al nucleo di senso: "unione-alleanza-fecondità", diversamen-
te espresso secondo le culture».3
A livello normativo la Scrittura e la tradizione hanno tradotto questa
intuizione affermando che l'esercizio della sessualità è buono se è connesso
con quella istituzione che, nelle diverse culture, struttura una relazione perma-
nente fra uomo e donna, e se resta, almeno intenzionalmente, aperto alla vita.
Il popolo di Dio ha sempre preso le distanze dalla tentazione anomista e dalla
pretesa di vedere la sessualità separatamente dalla condivisione coniugale del-
l'esistenza.
Per molti secoli tutto ciò è stato espresso utilizzando la comprensione
procreazionista della sessualità, in consonanza con l'antropologia sessuale anti-
ca di matrice stoica, e di questa impostazione tendenzialmente naturalista è
testimone autorevole Agostino. Oggi ciò è fatto attraverso la comprensione per-
sonalistica della sessualità e del matrimonio, sempre tuttavia con l'intento di sal-
vaguardare la relazione intima tra unione sessuale e unione vitale dell'uomo e
della donna. Questa intuizione permanente, attraverso tutte le storiche trascri-
zioni linguistiche, costituisce il segno della continuità etica dell'autocoscienza
cristiana da quando il Gesù ricondusse tutto al principio genesiaco, richiaman-
do la verità originaria del progetto divino sull'uomo e sulla donna (la una caro)
e gettando così una luce più piena e più adeguata sulla realtà stessa dell'uomo.
È convinzione del credente che la luce della fede consenta di discernere nella
massa dei dati induttivi dell'umana conoscenza quelli che meglio concorrono a
far comprendere la verità originaria dell'uomo e sono sintonici con la legge di
verità della sua esistenza personale, detta legge naturale.

3
X. LACROIX, Il corpo di carne. La dimensione etica, estetica e spirituale dell amore, Bologna
1996,278.
CAP. 5 - IL MODELLO ETICO CRISTIANO 175

Da questa intuizione, attraverso complesse mediazioni culturali, in ogni


epoca sono derivate le norme a protezione della verità della sessualità. Queste
norme morali vengono colte e formulate attraverso le diverse mediazioni lin-
guistico-culturali, ma sempre in continuità e sotto la guida dell'esperienza fon-
damentale cristiana. La radice di valore delle norme non deriva, perciò, dalla
mediazione culturale, bensì dal loro rapporto con l'esperienza fondamentale,
così che non si può congiungere il destino della mediazione culturale con quel-
lo delle norme. Talvolta si sono usati a sostegno delle norme argomenti cultu-
ralmente contingenti, rivelatisi successivamente molto contingenti (ad esempio,
nel caso della masturbazione o dei rapporti prematrimoniali). Il venir meno di
alcune argomentazioni non significa automaticamente la caduta della norma in
quanto cristallizzazione di prassi valutative e decisionali del popolo di Dio,
giacché il suo fondamento primo sta nell'esperienza cristiana della salvezza in
Cristo, nel sensus fidelium che ha cercato di tradurre la sua percezione della
verità etica in modelli comportamentali a essa coerenti.
Negli ultimi decenni del XX secolo, alcuni teologi hanno proposto una
diversa determinazione normativa dell'ethos cristiano, asserendo che l'assun-
zione di un modello personalista avrebbe dovuto portare a una rilettura più
innovativa dell'antropologia sessuale e, quindi, delle articolazioni concrete del
modello normativo di etica sessuale. Ha suscitato grande interesse e grandi
polemiche, inclusa una nota negativa da parte della Congregazione per la dot-
trina della fede, una rilettura del significato antropologico della sessualità e del
suo esercizio che hanno prodotto alcuni teologi nordamericani. 4 In particolare
essi hanno tentato di sostituire alla concezione classica di «fine procreativo e
unitivo» quella di «fine creativo e integrativo», sganciando così la sessualità e
il suo esercizio dal legame intrinseco con la natura, con l'eterosessualità e con
la procreazione. 5
Il magistero negli ultimi decenni si è pronunciato più volte su questioni
concrete di etica sessuale ribadendo la essenza invariante del modello normati-
vo cristiano anche se ha cercato - come si è detto - di riformulare questo conte-
nuto in un linguaggio personalisticamente connotato. Dal punto di vista norma-
tivo non c'è dubbio che, secondo il magistero attuale, l'unione fisica, alla quale è
corporalmente ordinata la sessualità, è buona solo quando è espressione dell'u-
nione delle vite dell'uomo e della donna, della loro totale donazione reciproca

4
Human Sexuality. New Directions in American Catholic Thought, New York-Paramus-Toron-
to 1977 (trad. it. La sessualità umana. Nuovi orientamenti del pensiero cattolico americano, Brescia
1978). La Congregazione per la dottrina della fede è intervenuta in modo critico con lettera del 13
luglio 1979: The book «Human Sexuality» (£1/6/1705-1721, soprattutto nn. 1715-1721).
5
La sessualità umana. Nuovi orientamenti del pensiero cattolico americano, 67.
176 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

ovvero del loro amore coniugale nella duplice dimensione di unità e fecondità:
gli atti sessuali sono eticamente corretti nella misura in cui esprimono il senso
umano della sessualità. Un testo esemplare, a questo proposito, si trova in Per-
sona humana 5, che rielabora un passaggio significativo di Gaudium et spes 49:

«gli atti di unione sessuale» «sono destinati a mantenere in un contesto di vero


amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana».

In Orientamenti educativi sull'amore umano, richiamandosi a Humanae


vitae 9, si afferma, in modo simile, che i rapporti intimi sono «ordinati a man-
tenere, confermare ed esprimere una definitiva comunione di vita - una sola
carne (Mt 19,5) - mediante la realizzazione di un amore umano, totale, fedele,
fecondo [Humanae vitae 9], cioè l'amore coniugale».6

4- ORIENTAMENTI NORMATIVI

Le indicazioni normative offerte dal magistero si configurano come espli-


citazioni dell'idea centrale che l'unione sessuale, cui tende la sessualità nel suo
darsi corporeo, è vera solo quando esprime e manifesta l'unione dell'uomo e
della donna nell'amore coniugale. La tradizione ha espresso questa persuasio-
ne nei precetti negativi che proibiscono la fornicazione (pornèia), nelle sue
diverse forme e l'adulterio, e ne ha dato particolari giustificazioni a partire dalla
sua comprensione dell'antropologia sessuale. A partire dalla nostra compren-
sione della sessualità, in continuità con Vethos cristiano di sempre, possiamo for-
mulare tre norme generali, espressione odierna del modello etico cristiano.

4.1 • Non separare l'unione sessuale


dall'amore coniugale
La prima indicazione normativa è l'inseparabilità dell'unione sessuale (e
quindi dell'esercizio completo della sessualità corporea e in particolare geni-
tale) dall'amore coniugale. L'amore coniugale è l'unico contesto umanamente

6
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano.
Lineamenti di educazione sessuale, 95; cf. CCC, nn. 2360-2363.
CAP. 5 - IL MODELLO ETICO CRISTIANO 177

significativo per l'unione sessuale.


Quando l'unione sessuale è posta al di fuori dell'amore coniugale, essa
diventa un atto menzognero, il simbolo corporeo di una realtà inesistente,
un'espressione corporea ingannevole. Se è vero, infatti, che la sessualità è il lin-
guaggio dell'amore, un'unione sessuale fuori del contesto dell'amore coniuga-
le si configura come una lesione profonda della verità della comunicazione,
come dice Familiaris consortio:

La donazione fisica totale sarebbe menzogna, se non fosse segno e frutto della
donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimen-
sione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di
decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente. 7

Va qui osservato che il solo desiderio o anche volontà di donazione non


equivale alla donazione reale. Due persone, per esempio, che avessero - come
nota Persona humana 7 - «una ferma volontà di sposarsi» e ritenessero di esse-
re unite da «un affetto già coniugale», non per questo sono già coniugalmente
unite; perciò non pongono con verità l'unione sessuale. L'esperienza di ognu-
no può confermare quanto questa differenza sia reale e non arbitraria: tra la
volontà di donarsi e l'effettiva donazione c'è la stessa differenza che passa tra
la pura volontà di sposarsi e lo sposarsi effettivamente.
L'inseparabilità non concerne solo il contesto dell'unione sessuale del-
l'uomo e della donna, ma tocca anche la modalità di tale unione: il modo del-
l'unione deve corrispondere all'amore coniugale del quale è espressione. Ciò
significa che l'unione deve essere vero incontro amoroso tra due soggetti che
si accolgono e si ricevono totalmente attraverso il linguaggio del corpo come
persone, cioè come due mondi interiori, due abissi di valore e non come pure
cose corporee. L'uomo e la donna non smettono di essere portatori della
dignità di fine nella loro unione corporea, al contrario, chiedono di essere
ancor più accolte come persone giacché si espongono alla debolezza e alla
nudità (quasi senza difesa) dell'intimità. Non devono e non possono essere
ridotte a mezzo, a strumento per il piacere, a cosa corporea da manipolare sem-
plicemente; essi più che mai sono qui protetti dal principio personalista: «Non
è mai permesso trattare la persona come un mezzo». Questo principio ha una
portata assolutamente universale. Nessuno ha il diritto di servirsi di una per-

7
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 11. La Familiaris consortio parla della dimensione
temporale della donazione; ma si potrebbe parlare altrettanto correttamente della dimensione sociale
e pubblica della donazione giacché l'essere umano è sempre un essere che vive ed è riconoscibile solo
in un sistema di coordinate sociali; per una coppia cristiana poi si tratta anche sempre della dimensio-
ne ecclesiale della donazione: essere uno in Cristo nella comunità dei fratelli.
178 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

sona, di usarla come un mezzo. Neppure Dio, suo creatore, lo fa. Neppure il
consenso all'uso modifica la fondamentale negatività morale di ogni riduzione
della persona a cosa.
Per questo Humanae vitae 13 afferma che «un atto coniugale imposto al
coniuge senza riguardo alle sue condizioni ed ai suoi legittimi desideri non è
un vero atto d'amore e nega pertanto un'esigenza del retto ordine morale nel
rapporto tra gli sposi». Non posso quindi usare l'altro per sperimentare moda-
lità erotiche diverse, se questo non si attua nel rispetto reciproco ed esclude
un'autentica unione sessuale: nella tradizione cattolica si rifiutano tutti gli atti
che non avvengono vis à vis o quei gesti ludici che non siano finalizzati alla
piena unione sessuale. Se poi l'unione sessuale viene attuata solo per il piace-
re che vi è connesso, si ha un uso dell'altro, anche se consenziente, come fonte
di piacere. Il centro antropologico dell'atto deve essere invece la persona nella
sua capacità di dare e di ricevere amore.

4.2. Non separare il significato unitivo


e quello procreativo dell'atto coniugale
L'inseparabilità tra amore coniugale e unione sessuale porta a un secon-
do orientamento normativo generale particolarmente sottolineato dal magi-
stero recente. Ogni atto di unione sessuale, ponendosi come linguaggio espres-
sivo dell'amore coniugale, deve conservare il carattere di totale accoglienza-
donazione reciproca che è proprio dell'amore coniugale e rifletterne le carat-
teristiche di unità e di fecondità. Ne deriva la profonda contraddittorietà di un
atto di unione che porti in sé una positiva riserva,8 un'esclusione diretta delle
dimensioni della donazione, addirittura una sorta di difesa attiva nei confron-
ti della potenza di vita dell'amore dell'uomo e della donna.
Questa contraddittorietà viene formulata da Humanae vitae 12 come prin-
cipio dell'inscindibilità dei significati unitivo e procreativo dell'atto coniugale:

Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l'atto


coniugale conserva integralmente il senso del mutuo e vero amore e il suo ordi-
namento all'altissima vocazione dell'uomo alla paternità.

A questa contraddittorietà Familiaris consortio 32 fa chiaro riferimento


allorché giudica con severità il contenuto antropologico della scelta contrac-

8
Nel linguaggio tecnico della morale, positivo significa risultato di una posizione da parte del-
l'uomo e dipendente da essa.
CAP. 5 - IL MODELLO ETICO CRISTIANO 179

cettiva:

La contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello


cioè del non donarsi all'altro in totalità: ne deriva, non soltanto il positivo rifiu-
to all'apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell'interiore verità dell'a-
more coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale.

Non soggiace alla stessa contraddizione oggettiva il ricorso ai tempi infe-


condi se si prende consapevolezza del naturale alternarsi delle fasi della fecon-
dità femminile, è possibile inserirsi all'interno di questi ritmi per regolare,
attraverso l'astensione dai rapporti, l'attuazione fisica della fecondità coniuga-
le rispettando allo stesso tempo la verità integrale dell'amore e la realtà con-
creta della persona (cf. Humanae vitae 16).

Quando [...] i coniugi - afferma Familiaris consortio 32 - mediante il ricorso a


periodi di infecondità, rispettano la connessione inscindibile dei significati uniti-
vo e procreativo della sessualità umana, si comportano come ministri del dise-
gno di Dio e usufruiscono della sessualità secondo l'originario dinamismo della
donazione totale, senza manipolazioni e alterazioni [Humanae vitae 13] [...]. La
scelta dei ritmi naturali comporta l'accettazione del tempo della persona, cioè
della donna, e con ciò l'accettazione anche del dialogo, del rispetto reciproco,
della comune responsabilità, del dominio di sé. Accogliere il tempo e il dialogo
significa riconoscere il carattere insieme spirituale e corporeo della comunione
coniugale, come pure vivere l'amore personale nella sua esigenza di fedeltà.

Considerando che cosa il magistero intenda esattamente per contracce-


zione in quanto atto diretto a inibire la fecondità dell'atto coniugale, si com-
prende che, a ragione, Familiaris consortio 32 sottolinea, infine, la differenza
antropologica e al tempo stesso morale che c'è - sul piano oggettivo - tra la
contraccezione e il ricorso ai periodi di infecondità.

4.3. Non separare la procreazione


dall'unione sessuale
Se nella contraccezione si priva l'atto coniugale della sua dimensione
procreativa, si dà oggi anche la situazione inversa, cioè la ricerca della pro-
creazione al di fuori dell'unione sessuale. A ben guardare, la norma «non sepa-
rare la procreazione dall'unione sessuale» appare come un'esplicitazione della
norma sulla inscindibilità dei due significati. Questa esplicitazione in passato
era inutile, ma ora non è più così: esistono molti modi per trasmettere una vita
umana e non sono tutti degni della persona. Con l'introduzione delle tecniche
180 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

FIVET, la procreazione può essere non solo separata completamente dall'a-


more coniugale, ma anche dall'atto coniugale: l'atto coniugale è solo uno dei
modi possibili per generare una creatura umana e dunque appare sempre più
sostituibile e non necessario (cf. Donum vitae II, B, 6 Dignitas personae, n. 12).
Nella visione antropologica cristiana, l'amore coniugale appare il luogo
pensato da Dio perché l'uomo possa nascere umanamente, cioè non come pro-
dotto, ma come frutto di una donazione d'amore. L'atto dell'amore coniugale
che rende possibile la nascita umana dell'uomo è appunto l'atto coniugale, l'e-
spressione corporea dell'amore coniugale. Nella separazione fra procreazione
e atto coniugale opera una logica analoga a quella che presiede alla dissocia-
zione contraccettiva: la procreazione è vista come una funzione non intrinse-
camente ma solo contingentemente legata all'unione d'amore tra l'uomo e la
donna. Si legge in Donum vitae II, B, 4:

La medesima dottrina relativa al legame esistente fra i significati dell'atto coniu-


gale e fra i beni del matrimonio chiarisce il problema morale della fecondazione
artificiale omologa, poiché «non è mai permesso separare questi diversi aspetti
al punto da escludere positivamente o l'intenzione procreativa o il rapporto
coniugale» (Pio XII).
La contraccezione priva intenzionalmente l'atto coniugale della sua apertura
alla procreazione e opera in tal modo una dissociazione volontaria nelle finalità
del matrimonio. La fecondazione artificiale omologa, perseguendo una procrea-
zione che non è frutto di un atto specifico di unione coniugale, opera obiettiva-
mente una separazione analoga tra i beni e i significati del matrimonio.

Perciò il magistero, nella continuità dell'esperienza cristiana e alla luce di


un'antropologia che legge nella realtà i segni della sapienza creatrice, ha riaf-
fermato che la procreazione è intrinsecamente connessa all'unione d'amore,
anche se non si attua necessariamente e sempre: la procreazione umana è
amore che genera attraverso il movimento stesso dell'amore.
Il ricorso alle tecniche extracorporee, in cui il concepimento avviene fuori
dal corpo materno, è, infine, una profonda ferita inferta alla corporeità femmi-
nile: il corpo della donna diventa infatti un contenitore sostituibile non signifi-
cativo, mentre invece il corpo è la presenza spazio-temporale della persona, è
la persona concretamente vivente. Questa lesione della corporeità femminile è
di fatto lesione della dignità personale della donna e ha effetto anche sul bam-
bino che viene al mondo non nella relazione con il corpo/persona vivente della
madre, ma nella connessione esteriore e artificiale di una provetta.
CAP. 5 - IL MODELLO ETICO CRISTIANO 181

5. IL PECCATO SESSUALE

L'ethos del popolo di Dio ha intuito il nesso tra sessualità e comunione


interpersonale. Questo è il progetto divino sulla sessualità che si svela in tutta
la sua bellezza alla luce della «preistoria teologica», come dice frequentemen-
te Giovanni Paolo II nelle sue Catechesi: è la vocazione alla comunione totale
di amore e di vita che trae dal nulla esseri nei quali tale vocazione è profon-
damente inscritta, si fa spirito e carne, si fa anima e corpo, in unità originaria e
ultima.
Il popolo di Dio fa anche l'esperienza che nel cammino della storia
umana e della sua stessa storia, passando dalla preistoria teologica alla storia,
dal progetto creativo alla concreta configurazione del cammino dell'uomo e
della donna nel tempo, la sessualità, pur conservando la sua originaria positi-
vità e la sua attesa di verità, appare violata e appare, anzi, come via e luogo di
violazione del valore comunionale dell'essere umano. All'inizio della sessua-
lità violata c'è quella che si può chiamare una trasformazione dello sguardo,
del modo nel quale l'uomo guarda alla donna e la donna guarda all'uomo.
Dallo sguardo puro nella condizione di nudità originaria allo sguardo non più
puro: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gen 3,7). L'uomo e la
donna si accorgono di essere nudi, scoprono la loro inermità, la loro debolez-
za nella natura. Ancor di più, tuttavia, scoprono qualcosa che li fa pensare subi-
to alla necessità di coprirsi e di coprire alcune parti del corpo in particolare.
Sembra un movimento di pudore, per proteggersi dallo sguardo indiscreto del-
l'altro; la sensazione di essere guardato in modo non vero, non rispettoso, forse
come una cosa o come un semplice animale. Si tratta della sguardo desideran-
te di cui parla anche il Signore nel vangelo (cf. Mt 5,28) e che, nell'insieme della
Rivelazione e della tradizione, appare sempre più identificato con Yepithymìa,
la concupiscenza. Secondo san Giovanni la concupiscenza dello sguardo è,
insieme all'orgoglio della vita e alla concupiscenza della carne, una delle tre
espressioni dell'esistenza concupiscente.9
Lo sguardo concupiscente è uno sguardo non contemplativo, ma tutto
proteso al possesso e all'uso. Non tende all'unione corporea come gesto che
sanziona l'uscita dall'immaturità per donarsi all'altro/ricevere l'altro da perso-
ne e come persone nell'una caro, come parola della comunione della vita, come

9
«Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la
superbia della vita, non viene dal Padre, ma viene dal mondo» ( l G v 2,16).
182 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE 118

figura fisica dell'unica storia, come generazione del futuro della famiglia di Dio.
Esso tende invece al darsi/riceversi dei due visti come sorgenti di piacere, come
occasione di benessere. Si tratta di un modo sottile per trasformare l'uomo e la
donna in cose piacevoli e gratificanti, collocabili nella lista e nella serie delle
tante cose che producono effetti piacevoli e, in quanto strumenti, sostituibili e
alternabili. La concupiscenza è lo sguardo radicalmente non vero sull'altro, in
modo particolare sull'altro in quanto persona sessuata. La concupiscenza è dav-
vero, da questo punto di vista, il principio non solo di ogni violazione della ses-
sualità, ma semplicemente di ogni violazione dell'essere umano.
Il peccato sessuale, in questa prospettiva, appare come il fallimento e il
tradimento dell'amore. Il rapporto fra sessualità e apertura alla comunione
autentica viene tradito ogni volta che la sessualità viene vissuta in modo egoi-
stico, violento, manipolatorio. Il linguaggio corporeo della sessualità viene fal-
sificato e diventa menzognero quando è piegato a significare un senso che con-
traddice Vanticipazione di senso di cui è portatrice la corporeità stessa. Gli
esempi sono molteplici: impegnarsi come persone sessuate là dove non si dà
l'alterità sessuale piena, come nelle relazioni omosessuali, negare intenzional-
mente il bene della fecondità nel contesto di relazioni intime che evocano la
pienezza dell'amore coniugale nelle sue due dimensioni costitutive, unità e
fecondità, unirsi violentemente a un partner sessuale in un gesto che dovreb-
be significare volontà di comunione e che esprime invece una sopraffazione
intenzionale. Usare se stessi e gli altri come strumenti di autogratificazione, più
o meno perversa, è negare la natura intimamente personale della sessualità, è
negare se stessi e gli altri come persone. Ciò significa che nella storia bisogna
salvare la sessualità dalla distruttività di tale sguardo e del suo portato dina-
mico. Questo è il compito dell'etica e, ancor più, è questo il compito dell'al-
leanza redentiva in Cristo, giacché salvezza della sessualità e salvezza dell'uo-
mo non sono realmente separabili.
SEZIONE SECONDA

QUESTIONI
ETICO-PASTORALI
Parte prima:
Matrimonio e famiglia
Nella prima sezione del volume, dedicata agli aspetti storico-fondativi,
abbiamo esaminato il modello teologico di antropologia ed etica sessuale che
è frutto dell'autocomprensione dell 'ethos cristiano nel contesto delle diverse
realtà culturali in cui il popolo di Dio si è confrontato e abbiamo ripercorso lo
svolgimento della complessa vicenda storica di questo modello, così com'è
stata vissuta dal popolo di Dio nel Vecchio Testamento, nel Nuovo Testamen-
to, nella tradizione fino a oggi.
Abbiamo visto come alcune intuizioni fondamentali siano state tematiz-
zate in diversi contesti culturali e con diverse accentuazioni attraverso un pro-
cesso di autocomprensione che non consente di separare nettamente un con-
tenuto invariabile dai suoi moduli espressivi, ma che permette, tuttavia, di indi-
care alcune attitudini costanti. L'elemento più originale di questo modello teo-
logico, elemento costante nel mutare degli accenti e delle prospettive, è il
nesso tra sessualità e persona, sia come dimensione costitutiva e strutturante
della singola persona sia come rapporto stabilito fra esercizio della sessualità
e contesto coniugale, come peculiare forma di relazione interpersonale, come
si legge in un testo sintetico del Catechismo della Chiesa cattolica:

La sessualità segna tutti gli aspetti della persona umana, nell'unità del suo corpo
e della sua anima. Essa coinvolge in modo particolare la capacità affettiva, la
capacità di amare e di procreare e, in modo ancora più generale, l'apertura a
stringere con l'altro rapporti di comunione (CCC 2332).

La sessualità è, infatti, una delle dimensioni essenziali della persona: è


una realtà complessa integrata dal convergere di elementi fisici, psichici e spi-
rituali che significa e permette l'apertura a una relazione interpersonale esclu-
siva, totalizzante e creativa di cui la fecondità fisica è una modalità tipica,
anche se non esclusiva, di attuazione. La sessualità umana, in questa prospetti-
186 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

va, diventa cifra della possibilità della persona di autotrascendersi verso l'alte-
rità, in una continua definizione del proprio sé in una relazione con un altro-
da-sé che si compie nella vita del figlio da parte del noi coniugale come sé e
come altro-da-sé.
Dall'intuizione di questo significato irrinunciabile e attraverso la media-
zione di diversi modelli antropologici e assiologici, sono state elaborate nel
tempo dalla comunità cristiana le norme morali poste a salvaguardia della
verità della sessualità umana. Abbiamo visto che il modello antropologico per-
sonalista si dimostra sotto molti aspetti più persuasivo di quello tradizionale e
ammette determinazioni normative in parte nuove, ma abbiamo anche cerca-
to di mostrare come la struttura normativa tradizionale reggesse, nella sostan-
za, anche nel nuovo contesto antropologico. In particolare si è visto come l'im-
pegno della sessualità genitale sia ritenuto significativo solo quando corri-
sponde a un impegno intimo e totalizzante in quello stato di vita che diciamo
coniugale. La fecondità emerge su questo sfondo come espressione incarnata
dell'autotrascendenza della coppia, nata a sua volta dall'autotrascendenza di
ciascun partner verso l'altro.
Alla luce della nostra comprensione della sessualità e dell'amore, così
com'è annunciata e vissuta dalla Chiesa nelle sue varie articolazioni, esamine-
remo alcune questioni emergenti oggi nell'ambito della vita matrimoniale e
familiare.
Un primo gruppo di questioni si riferisce alla vita matrimoniale. Vedre-
mo, prima di tutto, come gli sposi cristiani cerchino di realizzare, in un tempo
di transizione e di grandi mutamenti, la loro identità e il loro cammino specifi-
co (capitolo 1). Affronteremo poi la questione ampiamente dibattuta della
regolazione della fecondità nel matrimonio e della paternità responsabile
(capitolo 2) e quelle, altrettanto controverse e pastoralmente scottanti, della
sessualità tra fidanzati (capitolo 3) e dei cristiani divorziati e risposati civil-
mente (capitolo 4). L'ideale cristiano di vita buona è affidato alle nostre forze
e al nostro impegno e, con l'aiuto della grazia, esso viene attuato secondo ritmi
di cammino che, nella fondamentale fedeltà a un modello condiviso, sono pro-
pri di ciascuna persona e di ciascuna coppia. Compito della teologia morale è
indicare mete e suggerire percorsi di autenticità, senza temere di affrontare le
contraddizioni e le fragilità che il cuore umano sempre sperimenta.
1
LA FAMIGLIA
IN UN MONDO CHE CAMBIA
L'amore coniugale prende la forma concreta di una relazione di persone
che è incentrata sulla coppia e che si allarga ai figli, frutto ed espressione della
fecondità che dell'amore coniugale è dimensione intrinseca. La famiglia è la
struttura umana generata dal matrimonio: essa è composta dai coniugi e dai
figli, ma tende ad allargarsi con una rete complessa ad altri soggetti legati a essi
da vincoli di varia natura.
Com'è risultato chiaro nell'esaminare lo svolgimento storico dell'antro-
pologia sessuale, la famiglia credente, pur avendo la certezza di essere porta-
trice di un ideale irriducibile ai tempi e alle culture, vive immersa nei tempi e
nelle culture condividendo le speranze, le difficoltà, le persuasioni di tutti. Nel
nostro tempo, in particolare, sono giunti a maturazione fenomeni epocali ini-
ziati sin dalla fine del XVIII secolo che hanno messo in crisi i modelli familia-
ri tradizionali e che hanno portato a ripensare le relazioni fra i sessi, il ruolo
sociale delle donne, il senso della procreazione, il rapporto tra famiglia e
società. Sono sfide e provocazioni che toccano da vicino anche il popolo di
Dio, che chiedono alla Chiesa un profondo ripensamento della concezione tra-
dizionale della famiglia e la creatività per offrire risposte profetiche e coeren-
ti con la propria fede. 1

1
II tema è oggetto di innumerevoli studi da molteplici punti di vista. Per un primo approccio:
G. DIANIN - G. PELLIZZARI (edd.), La famiglia nella cultura della provvisorietà, Padova 2008; F. D'A-
GOSTINO, Credere nella famiglia, Cinisello Balsamo (MI) 2009; R. FABRIS - E. CASTELLUCCI (curr.),
Famiglia Chiesa domestica. La Chiesa-famiglia nella dinamica della missione cristiana, Cinisello Balsa-
m o (MI) 2009.
188 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

1 • LA STRUTTURA FAMILIARE

Un apporto significativo e fecondo delle scienze umane moderne è l'a-


vere rivelato le connessioni intime e quasi inestricabili fra sessualità e società.
Da un lato è vero che la sessualità fa la società: essa infatti, contrassegnando
profondamente l'identità individuale e tessendo legami privilegiati fra gli indi-
vidui, si configura come l'origine delle strutture sociali e, attraverso la trasmis-
sione della vita, assicura al gruppo un avvenire e gli offre possibilità di espan-
sione e di rinnovamento. D'altra parte la società fa la sessualità dal momento
che la sessualità non può sottrarsi all'influenza della cultura di modo che l'in-
sieme delle determinazioni culturali concorre a modellare la sessualità com-
presa e vissuta dai soggetti.
Una delle componenti fondamentali del sistema regolativo della sessua-
lità è la famiglia? Per famiglia intendiamo, con C. Lévi-Strauss, un gruppo
sociale dotato di tre caratteristiche:
- trova origine nel matrimonio;
- consiste nel marito, nella moglie e nei figli nati dalla loro unione, anche
se possiamo ammettere che altri parenti si integrino in questo nucleo essenziale;
- i suoi membri sono collegati fra loro da vincoli legali, economici, reli-
giosi e da una precisa rete di diritti e doveri sessuali e non sessuali, nonché da
un insieme variabile e differenziato di sentimenti psicologici come l'amore,
l'affetto, il rispetto, il timore ecc.3
L'ipotesi ottocentesca sull'esistenza di un primordiale stadio dell'uma-
nità in cui si ritroverebbe solo la promiscuità sessuale o il matrimonio di grup-
po è stata sconfessata in sede di ricerca socio-antropologica che ha indicato
nella famiglia il gruppo sociale di più immediata e universale esperienza, anche
se non è possibile ridurla ad alcuna netta e costante strutturazione. Secondo
Lévi-Strauss l'esistenza della famiglia è «misteriosamente necessaria, mentre
la forma in cui viene ad esistere è del tutto irrilevante, almeno dal punto di
vista di una necessità naturale».4 L'organizzazione familiare, inoltre, non può
essere spiegata da ragioni soltanto sessuali, poiché in alcune culture vita ses-
suale e famiglia non sono connesse in modo biunivoco, anche se - annota l'il-
lustre antropologo - «la struttura della famiglia sempre e comunque rende

2
Segnaliamo, per la sintonia con la nostra prospettiva personalista, gli studi di Paolo Donati
basati sulla teoria sociologica razionale: P. DONATI, Manuale di sociologia della famiglia, Roma-Bari
2006; ID., Perché "la famiglia"? La prospettiva relazionale, Siena 2008.
3
C. LÉVI-STRAUSS, Razza e storia e altri studi di antropologia, Torino 1967,154.
4
LÉVI-STRAUSS, Razza e storia e altri studi di antropologia, 165.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 189

possibili o, almeno, leciti, certi tipi di relazioni sessuali».5


Secondo un'opinione comunemente accettata da antropologi e socio-
logi, l'esistenza di un qualche tipo di organizzazione familiare presso tutte
le società umane conosciute si spiega con il fatto che la generazione umana
- contrariamente a quella animale - richiede, assieme alla trasmissione della
vita biologica, una socializzazione culturale dei nuovi nati che deve protrarsi
per un lungo periodo e, quindi, cure assidue da parte di un gruppo di adulti
piuttosto stabile e costante con le quali il bambino possa sviluppare relazioni
di intimità e di identificazione. In base a tali osservazioni, si comprende che la
famiglia nucleare, come gruppo sociale costituito dall'unione più o meno dure-
vole, socialmente approvata, di un uomo e di una donna e dei loro figli, sia un
fenomeno pressoché universale, in forza delle sue enormi capacità adattive.

2- A M O R E E MATRIMONIO NEL CONTESTO ODIERNO

Se la presenza dell'istituto matrimoniale e dell'organizzazione familiare


sono ubiquitarie, si riscontra, però, un'enorme varietà di modelli, mutevoli a
seconda dei luoghi e dei tempi. Le trasformazioni subite ai nostri tempi dall'i-
stituto matrimoniale sono legate alla grande transizione che si è realizzata in
occidente dalla società preindustriale alla società industriale e infine post-
industriale.
Nella società rurale e premoderna il matrimonio era finalizzato a tre
obiettivi, culturalmente e pacificamente condivisi da tutti: la definizione dello
status sociale delle persone; la procreazione socialmente legittimata; il ricono-
scimento sociale di un rapporto sessuale stabile. Nella società moderna invece
il matrimonio perde il suo orientamento fondamentalmente sociale e acquista
una dimensione prevalentemente privata, finalizzato com'è specialmente
«all'appagamento dei bisogni profondi delle persone»: si volge «dunque più
all'interno, e non più all'esterno dei contraenti (in generale la coppia uomo-
donna)». Ciò accade più facilmente data la raggiunta separabilità moderna tra
sessualità e procreazione.
A questo passaggio strutturale si è accompagnato un cammino culturale
segnato da quelle che G. Campanini chiama la «rivoluzione romantica» (con
l'affermazione della centralità dell'amore nel matrimonio), la «rivoluzione bor-

5
LÉVI-STRAUSS, Razza e storia e altri studi di antropologia, 165.
190 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

ghese» (con la privatizzazione della vita interna della coppia) e la «rivoluzione


psicoanalitica» (con l'enfatizzazione della dimensione sessuale ed erotica del
rapporto di coppia).6 Un cammino culturale che ha preparato la crisi del matri-
monio negli ultimi decenni sotto l'attacco concentrico di provenienza marxista
(la famiglia come cinghia di trasmissione del sistema di vita borghese e come
fondamento della conservazione, della pura riproduzione dei rapporti sociali,
secondo l'analisi della Scuola di Francoforte e in particolare di H. Marcuse), di
provenienza psicoanalitica (il matrimonio come istituzione repressiva e alie-
nante, secondo Reich, Laing, Cooper), di provenienza pedagogica (matrimonio
come struttura che sottopone a processi autoritari i figli, secondo Mitscherlich,
Neil, Illich) e di provenienza femminista (il matrimonio stabile è un brodo di
cultura del maschilismo e del paternalismo, come affermano la Firestone, la
Friedan, la Mitchell).
Questi attacchi non sono riusciti a far morire la famiglia tradizionale, ma
hanno tuttavia scosso l'istituzione matrimoniale che oggi sembra connotata da
una grande instabilità con il dilagare della poligamia successiva favorita dalle
leggi divorziste, con la crescente pratica delle unioni per esperimento o a ter-
mine, con lo sviluppo della relazione di coppia senza rigidi ruoli interni, ma
nella forma della companionship o, come si dice, a doppia carriera.
Non sembra che ci sia una minore attrazione al matrimonio, c'è piutto-
sto una maggiore diffusione delle convivenze o unioni di fatto, che sottrag-
gono la relazione di coppia a un'istituzionalizzazione civile o religiosa, una
maggiore instabilità delle unioni (siano esse di fatto o istituzionali) e, in
fondo, una maggiore attesa emotiva e affettiva dal matrimonio come unione
di amore, piuttosto che la ricerca di sicurezza sociale ed economica fornita
dal matrimonio come istituzione. Quest'ultima osservazione pone una que-
stione così formulabile: amore coniugale e matrimonio sono incompatibili?
Noi abbiamo più volte alluso al fatto che l'amore coniugale tende a struttu-
rarsi nel matrimonio, ma è molto diffusa la convinzione romantica che l'a-
more non sia in sé istituzionalizzabile e che il matrimonio sia una semplice
costruzione sociale, così che amore e matrimonio sarebbero incompatibili o
in contraddizione tra loro.
L'incompatibilità o difficile compatibilità di principio può darsi, forse, tra
sentimento e istituzione, l'uno incerto e provvisorio, l'altra stabile e duratura.
Può forse darsi ancora tra innamoramento e istituzione, se è vero che l'inna-
moramento ha una forte componente narcisistica. Non può tuttavia darsi
opposizione reale tra amore coniugale e istituzione. Come abbiamo mostrato

6
G. CAMPANINI, Famiglia, storia e società. Studi e ricerche, Roma 2009.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 191

nei capitoli precedenti, l'amore coniugale è infatti un tipo di amore che si vuole
totale e non può non tendere alla costituzione di un noi, cioè un nuovo sog-
getto sociale, al riconoscimento del legame da parte di tutti gli altri in relazio-
ne ai quali la vita dei due si costituisce. Nessuno vive solo, nessuno nasce e cre-
sce solo: chi vuole amare coniugalmente chiede che gli altri riconoscano il lega-
me e la nuova unità, a cominciare dai familiari, dai parenti, dagli amici, dai col-
leghi di lavoro, dallo Stato, da tutto il mondo sociale che è il mondo reale nel
quale l'individuo umano ha consistenza. Essendo l'amore una realtà totaliz-
zante, esso lentamente invade e riconfigura tutte le dimensioni dell'individuo,
comprese quelle pubbliche e relazionali e la coppia umana generata da esso,
una volta raggiunta la sua maturità interna, si propone al mondo e alla società
come nuovo soggetto personale e sociale.
Ma non è solo la dinamica totale dell'amore coniugale a esigere una
forma istituzionale, è anche l'interesse dei partner e dei figli eventualmente
nati (giacché è pur sempre vero che possono nascere e nascono figli), come
anche il dovere della società di garantire condizioni di certezza giuridica e di
chiare responsabilità affinché i diritti di tutti siano rispettati in qualsiasi eve-
nienza, specialmente dei più deboli. C'è quindi anche un'esigenza di giustizia
che sospinge all'istituzionalizzazione.
Una prova non piccola di tale inevitabile legame tra relazione affettiva di
tipo coniugale e istituzionalizzazione è fornita dalla vicenda delle unioni di fatto
nei nostri paesi: sempre di più le coppie stabili di fatto reclamano un certo rico-
noscimento giuridico per poter accedere a servizi pubblici e ottenere le stesse
condizioni delle coppie coniugate in vari ambiti della vita pubblica (dagli affitti
alle pensioni). Anche se sono forme deboli di istituzionalizzazione rispetto al
matrimonio tradizionale, tuttavia si tratta pur sempre di forme di istituzionaliz-
zazione e prove dell'esigenza di un riconoscimento da parte della società.

3. L'ETICA FAMILIARE NELLA MANUALISTICA

In pochi ambiti come quello dell'etica delle relazioni familiari è più evi-
dente l'intreccio fra l'intuizione cristiana e i condizionamenti storico-culturali.
Non solo la tradizione antica, ma persino la manualistica ottocentesca sem-
bravano ritenere che le strutture e i costumi matrimoniali e sessuali da loro
conosciuti rappresentassero un'incarnazione fedele e immutabile del progetto
di Dio sul matrimonio. Queste affermazioni risulteranno evidenti se esaminia-
mo l'etica delle relazioni familiari così come veniva proposta nei manuali: si
192 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

trattava praticamente della trascrizione in chiave morale delle dinamiche e dei


rapporti di potere tipici della famiglia patriarcale.
Sulla base del quarto comandamento, «Onora il padre e la madre», la
manualistica stabiliva una tavola dei doveri coniugali e familiari che appariva
così articolata:7

Doveri comuni di un coniuge verso l'altro: amore (cf. Ef 5,25; Tt 2,4); coabitazio-
ne (cf. Gen 2,24; Mt 19,5); fedeltà coniugale; sostentamento secondo le proprie
possibilità (dovere primario per l'uomo, secondario per la donna).
Doveri specifici del marito: seria amministrazione dei beni familiari; retto gover-
no della moglie e di tutta la famiglia nelle cose che riguardano la salute dell'ani-
ma, i buoni costumi e la disciplina domestica.
Doveri specifici della moglie: riverenza verso il marito (cf. Ef 5,33); obbedienza
(cf. Ef 5,22-23); diligente cura della casa (cibo, vestiti ecc.).
Doveri dei genitori verso ifigli',amore (interno ed esterno); educazione corpora-
le (comprendente il provvedere alla vita fisica, al cibo, alla condizione sociale dei
figli) ed educazione spirituale (comprendente la dottrina, l'esempio e la corre-
zione).
Doveri dei figli verso i genitori: amore (sia interno che esterno); riverenza (nelle
parole, nei segni, nei fatti); obbedienza (in cose lecite, che abbiano riferimento
alla loro cura, e nella misura in cui siano sotto la potestà dei genitori).

Non si può negare la chiarezza e solidità, almeno apparenti, di questa


tavola familiare. Essa è strutturata secondo una logica decisamente gerarchica
e patriarcale: l'autorità decresce passando dal padre alla madre e infine ai figli
i quali non hanno, propriamente parlando, autorità) e alla scala dell'autorità
corrisponde inversamente la scala dell'obbedienza. In questa concezione della
famiglia i rapporti tra i membri hanno un forte carattere giuridico, anche là
dove si parla di amore.
Un limite di fondo di questa impostazione sta nel presupporre l'esisten-
za di ruoli naturali del marito/padre e della moglie/madre, naturalizzando di
fatto la forma storica che questi ruoli hanno assunto nella cultura occidentale,
almeno fino a questo secolo: la moglie/madre è la donna di casa, il mari-
to/padre è il capo della casa. Un'altra caratteristica di questa tavola è che si
tratta fondamentalmente di un'etica razionale e di una ragione - come si dice-
va sopra - occidentale storicamente determinata. Le citazioni bibliche non
hanno grandi pretese: sembrano supporti letterari e quasi ornamentali a con-

7 18
La tavola è desunta da I. AERTNYS - C. DAMEN - I. VISSER, Theologia moralis, Torino 1968,
II, 1 0 7 - 1 1 8 .
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 193

clusioni razionali ben rispondenti al contesto socio-culturale europeo preindu-


striale. Non si trovano molte connessioni con la realtà sacramentale del matri-
monio. Lo stesso rapporto della coppia/famiglia con la Chiesa appare più
esterno che interno: fa parte del retto governo familiare e dell'educazione spi-
rituale; appare più giuridico che vitale: si esige la conformità agli obblighi
ecclesiastici in ordine alla salute dell'anima (il marito non deve impedire alla
moglie di assolvere i suoi doveri religiosi, mentre l'inverso non è annotato; si
deve provvedere al battesimo dei figli e alla loro iniziazione sacramentale
come pure alla loro frequenza della chiesa...).
Con tutto ciò non vanno trascurati gli aspetti positivi di tale tavola:
soprattutto la consapevolezza che la vita coniugale e familiare si edifica attra-
verso l'assunzione di reciproche responsabilità, di doveri dell'uno verso l'altro
(i diritti emergono come risultato dei doveri relativi), in un equilibrio funzio-
nale di ruoli, così da raggiungere i fini propri della vita coniugale e familiare.

4- L A RADICE SACRAMENTALE DELLA VITA FAMILIARE

In ascolto dei segni dei tempi - sempre ambivalenti e bisognosi di inter-


pretazione - sul matrimonio, la famiglia, i rapporti fra i sessi e forte di una più
profonda comprensione delle dimensioni personali della sessualità umana, il
magistero conciliare e post-conciliare, soprattutto quello ricchissimo di Gio-
vanni Paolo II, ha introdotto importanti novità nel quadro tradizionale e ha
impostato tutta la riflessione secondo coordinate nuove.8
La prima e radicale novità nel magistero consiste nella riconduzione
della vita della coppia e della famiglia cristiana e del movimento etico di essa
alla sua radice sacramentale. L'elaborazione razionale non viene certo
abbandonata, ma la ragione opera in un contesto nuovo, quello generato
dalla realtà del sacramento, vera sorgente di vita per la coppia e la famiglia
cristiana. Tale prospettiva emerge in tutta la sua forza in un bel passo di un
documento del magistero episcopale italiano, Evangelizzazione e sacramen-
to del matrimonio:

8
Fra i più significativi interventi di Giovanni Paolo II sul tema: Familiaris consortio (1981);
Catechesi del mercoledì sull'amore umano (1979-1984); esortazione apostolica Christifideles laici,
soprattutto 40.45-56.62 (1988); lettera apostolica Mulieris dignitatem (1988); Lettera alle famiglie
(1994). Una presentazione dell'apporto di Giovanni Paolo II in: S. GRYGIEL - L. MELINA (edd.), Amare
l'amore umano. L'eredità di Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia, Siena 2007.
194 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

Il sacramento del matrimonio, effondendo il dono dello Spirito che trasforma l'a-
more sponsale, diventa la legge nuova della coppia cristiana. La grazia, mentre
testimonia l'amore gratuito di Dio che si comunica agli sposi, sollecita la loro libe-
ra risposta di credenti mediante un'esistenza che sia conforme al dono ricevuto.
La morale coniugale cristiana non rimane così un'imposizione esteriore, ma
diventa un'esigenza della vita di grazia, un frutto dello Spirito che agisce nel
cuore degli sposi e li guida alla libertà dei figli di Dio [n. 49].
In tal modo al sacramento deve essere ricondotta, come a suo fondamento e a
suo costante sostegno, la vita morale della coppia cristiana nei suoi molteplici
valori e impegni, anche in quelli radicati nella stessa natura dell'uomo [n. 50].

La radice sacramentale della vita coniugale, in quanto partecipazione


alla vita nuova in Cristo, è stata efficacemente insegnata da Giovanni Paolo II
nel Discorso ai delegati del Centre de Liaison des Equipes de Recherche del 3
novembre 1979, ripreso esplicitamente in Familiaris consortio 13:

Gli sposi vi [all'evento di salvezza] partecipano in quanto sposi, in due, come


coppia, a tal punto che l'effetto primo e immediato del matrimonio [res et sacra-
mentum] non è la grazia soprannaturale stessa ma il legame coniugale cristiano,
una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero del-
l'incarnazione del Cristo e il suo mistero di alleanza. E il contenuto della parte-
cipazione alla vita del Cristo è anch'esso specifico: l'amore coniugale comporta
una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona [...]. In una parola,
si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un
significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di
farne l'espressione di valori propriamente cristiani.

In forza del sacramento del matrimonio gli sposi cristiani sono quasi con-
sacrati (cf. Gaudium et spes 48); sono cioè come messi a parte e dotati di doni
in ordine ai compiti/doveri propri della loro condizione, del loro status nella
Chiesa. Quest'idea della consacrazione coniugale ha una sua fonte primaria
nella teologia di Scheeben, al quale si deve una rilettura fondamentale della
struttura sacramentale del matrimonio. Egli annoverava il matrimonio, insie-
me al battesimo, alla confermazione e all'ordine, tra i sacramenti consacranti,
perché essi consacrano a un compito soprannaturale e costituiscono in una
posizione speciale e permanente nel corpo mistico di Cristo. Mentre nel batte-
simo, confermazione e ordine la soprannaturale realtà della consacrazione è
costituita dal carattere, nel matrimonio essa si configura come Yunione consa-
crata di due persone, che sono membra di Cristo e perciò partecipi della san-
tità di Cristo. La missione poi degli sposi cristiani è di essere ramificazioni vive
dell'unione di Cristo e della Chiesa, organi mediante i quali si rivela la fecon-
dità della Chiesa e si attua la crescita del corpo di Cristo.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 195

Queste suggestioni di Scheeben, che recuperano del resto temi già pre-
senti nella tradizione, hanno davvero arricchito in questo secolo il pensiero,
anche magisteriale, sul matrimonio cristiano. Così Lumen gentium 11 sottoli-
nea che i coniugi cristiani «hanno, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il
proprio dono in mezzo al popolo di Dio»; Lumen gentium 41 dice che essi
diventano «testimoni e cooperatori della fecondità della madre Chiesa» e
Paolo VI nella sua Allocuzione alle Equipes Notre-Dame del 4 maggio 1970
afferma che la coppia cristiana è «una vera cellula di Chiesa [...] cellula di
base, cellula germinale, la più piccola senza dubbio ma anche la più fonda-
mentale dell'organismo ecclesiale». Familiaris consortio 49, poi, riprendendo
Lumen gentium 11 e 41, vede nella famiglia cristiana da una parte un «frutto e
segno della fecondità soprannaturale della Chiesa», dall'altra la chiama «sim-
bolo, testimonianza, partecipazione della maternità della Chiesa».
Per tale radicamento sacramentale dell'intera vita coniugale e familiare,
il magistero usa spesso il termine ministero per indicare la missione della fami-
glia. Con questa terminologia si vuole sottolineare che i coniugi e, con loro,
tutti i membri della famiglia partecipano, in forza della loro unione in Cristo,
alla ministerialità della Chiesa e con l'esercizio di essa edificano il corpo eccle-
siale. Questa lettura ministeriale della vita coniugale e familiare si trova al cen-
tro della Familiaris consortio la quale proprio nella prospettiva della ministe-
rialità ripropone i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi e offre
una visione articolata della molteplice missione degli sposi e della famiglia.

5. COSTRUIRE UNA COMUNITÀ DI PERSONE

«Famiglia, diventa ciò che sei» afferma il santo padre nell'esortazione


Familiaris consortio e subito spiega quale sia il punto d'arrivo di tutta la dina-
mica della vita familiare generata dall'amore coniugale, diventare una comu-
nità di vita e di amore:

Poiché secondo il disegno divino, è costituita quale intima comunità di vita e di


amore [Gaudium et spes 48], la famiglia ha la missione di diventare sempre più
quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per
ogni realtà creata e redenta, troverà il suo compimento nel regno di Dio.9

9
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 22-11-1981,17.
196 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

Pertanto la famiglia, ogni famiglia, è ultimamente definita nella sua


essenza e nei suoi compiti dall'amore che genera comunione. Nel caso della
famiglia cristiana in modo particolare si può parlare formalmente della «mis-
sione di custodire, rivelare e comunicare Vamore, quale riflesso vivo e reale par-
tecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per
la Chiesa sua sposa».10 Da questa missione fondamentale derivano le linee di
senso, cioè i compiti, della stessa realtà coniugale e familiare che possono esse-
re considerate come sue attuazioni particolari. In un certo modo, tale missione
è il nucleo generativo di tutta la vita interna della famiglia e dà consistenza ai
diversi aspetti di essa.
La famiglia è quindi una comunità di persone che nasce dall'amore e
vive, cresce, si compie in pienezza solo se sviluppa la comunione di amore tra
tutti i suoi membri.

L'amore tra l'uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata e allargata,


l'amore tra i membri della stessa famiglia - tra genitori e figli, tra fratelli e sorel-
le, tra parenti e familiari - è animato e sospinto da un interiore e incessante dina-
mismo, che conduce la famiglia ad una comunione sempre più profonda ed
intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare.11

All'inizio c'è dunque il dinamismo stesso dell'amore nuziale tra uomo e


donna. Esso costituisce e anima la prima comunione, quella coniugale, conno-
tata dall' unità-fedeltà e dall' indissolubilità in forza del suo carattere di reci-
proco dono totale. Questa comunione si allarga e s'intensifica diventando
comunione familiare: la vita e l'amore che permeano e uniscono i vari partner
fondano la coppia e la famiglia come vera comunità di persone. Benché la vita
di comunione non sia esclusiva della coppia/famiglia cristiana, tuttavia, nella
coppia/famiglia cristiana la comunione vissuta diventa «una rivelazione ed
attuazione specifica della comunione ecclesiale».12
I membri della famiglia cristiana hanno così la grazia di sperimentare la
comunione d'amore che è generata dall'amore dei coniugi innestato nell'amo-
re nuziale di Cristo, ma hanno al tempo stesso la responsabilità di costruirla
giorno dopo giorno. Devono fare della famiglia, ognuno per la sua parte, una
scuola di umanità più completa e più ricca; è quanto avviene con la cura e l'a-
more verso i piccoli, gli ammalati e gli anziani, col servizio reciproco di tutti i
giorni con la condivisione dei beni, delle gioie e delle sofferenze. Perché la

10
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 17.
11
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 18.
12
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 21.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 197

comunione maturi giorno dopo giorno nella famiglia è indispensabile che ogni
suo membro abbia un grande spirito di sacrificio e si apra a virtù che sono
necessarie all'amore: pronta e generosa disponibilità, comprensione, tolleran-
za, perdono, riconciliazione. La comunione infatti è aggredita e mortalmente
ferita da realtà quali l'egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti. Una fami-
glia cristiana poi sa che il cammino verso l'unità più grande è sostenuto e reso
possibile dai sacramenti che fanno la comunione o sempre la ristabiliscono, il
sacramento della riconciliazione e quello dell'eucaristia.
Nella costruzione della comunione momento fondamentale è lo «scam-
bio educativo tra genitori e figli, nel quale ciascuno dà e riceve». 13 1 figli vi con-
tribuiscono, attraverso l'amore, il rispetto, l'obbedienza verso i loro genitori. I
genitori sono chiamati in particolare a esercitare la loro irrinunciabile autorità
come un vero e proprio ministero, cioè un servizio ordinato al bene umano e
cristiano dei figli, specialmente ordinato a far loro acquistare una libertà vera-
mente responsabile, e possono farlo se mantengono viva in loro la coscienza
del dono, che continuamente ricevono dai figli. Questo tema viene sviluppato
nella Lettera alle famiglie quando Giovanni Paolo II, rileggendo il quarto
comandamento in prospettiva di comunione e di reciprocità, scrive:

È unilaterale il sistema interpersonale indicato dal quarto comandamento? Esso


impegna ad onorare solo i genitori? In senso letterale, sì. Indirettamente, però,
possiamo parlare anche déiY«onore» dovuto ai figli dai genitori. «Onora» vuol
dire: riconosci! Lasciati, cioè, guidare dal convinto riconoscimento della persona,
di quella del padre e della madre prima di tutto, e poi di quella degli altri mem-
bri della famiglia [...]. In definitiva si tratta dunque di un onore reciproco. Il
comandamento «onora tuo padre e tua madre» dice indirettamente ai genitori:
onorate i vostri figli e le vostre figlie. Essi lo meritano perché esistono, perché
sono quello che sono.14

La reciprocità nell'onore genitori-figli non è altro che l'applicazione coe-


rente a questo tipo di relazione intrafamiliare della regola dell'amore che spin-
ge ad accogliere, rispettare e promuovere ciascuno dei suoi membri nell'altis-
sima dignità di persone, e cioè di immagini viventi di Dio. L'amore non può
non farsi cura per la promozione della dignità e della vocazione delle singole
persone che compongono la famiglia secondo la logica cristiana della recipro-
cità che si trova chiaramente insegnata nel c. 5 della Lettera agli Efesini pro-
prio riguardo ai rapporti familiari.

13
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 21.
14
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, 2-2-1994,15.
198 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

Superando il maschilismo del passato, il magistero cattolico post-conci-


liare ha affermato senza tentennamenti la promozione e valorizzazione della
donna, ha rivendicato l'uguaglianza tra uomo e donna in dignità e responsabi-
lità, ha legittimato l'apertura della donna ai compiti pubblici, ha preso posi-
zione ferma rigettando ogni violazione della dignità della donna (riduzione a
oggetto di compravendita al servizio dell'interesse egoistico e del solo piacere,
schiavitù, pornografia, prostituzione, discriminazioni di vario tipo verso alcune
categorie di donne quali le madri-nubili, le vedove, le divorziate, le separate).15
Al tempo stesso si devono rivendicare la dignità del compito materno e fami-
liare della donna e il valore sociale del lavoro domestico, ricordando che la
società deve organizzarsi in modo che le spose e le madri non siano di fatto
costrette a lavorare fuori casa.
Il marito, a sua volta, ha un insostituibile compito nella famiglia median-
te la generosa responsabilità verso la vita nascente, la condivisione dell'impe-
gno educativo con la propria sposa, un lavoro che non disgreghi la famiglia, una
testimonianza adulta di vita cristiana. La sua assenza al pari della sua oppressi-
va presenza provocano conseguenze di grande rilievo nella salute psicologica,
morale ed economica della famiglia. L'antica idea del marito capo della fami-
glia viene superata invitando entrambi i genitori, nei modi loro propri, a rivive-
re e rivelare la stessa paternità di Dio che è la fonte di ogni genitorialità.
Particolarmente importanti sono poi i diritti dei bambini nella famiglia,
specialmente dei più piccoli, dei più bisognosi e sofferenti: a essi sono dovuti
accoglienza, stima, amore, servizio materiale, affettivo, educativo, spirituale.
Anche gli anziani, infine, vanno accolti e valorizzati: essi hanno un contributo
prezioso da offrire come testimoni del passato e ispiratori di saggezza, purché
sappiano rispettare l'autonomia della nuova famiglia.

6. IL SERVIZIO ALLA VITA

L'enciclica Centesimus annus definisce la famiglia «santuario della vita»


(«vitae sacrarium»)16 e più volte Giovanni Paolo II ha sottolineato che la fami-
glia svolge un molteplice servizio alla vita, soprattutto attraverso la generazio-
ne e l'educazione dei figli. L'amore coniugale, insegna Paolo VI in Humanae
vitae, è di per sé fecondo:

15
Cf. soprattutto: GIOVANNI PAOLO II, Mulieris dignitatem, 15-8-1988.
16
GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, 1-5-1991,39.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 199

È infine amore fecondo, che non si esaurisce tutto nella comunione tra i coniu-
gi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite. Il matrimonio e l'amore
coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione e all'educazione della
prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono
sommamente al bene degli stessi genitori.17

I figli sono simbolo ed espressione dell'unità coniugale, sono un io e un


tu che diventano un noi fatto carne. Il figlio è la definitività del dono fatta
carne, una realtà con due nomi, quello proprio e quello dei genitori. Il figlio
emerge come prova che la mia esistenza ha un valore: un uomo che ha un figlio
da una donna accetta con totalità l'esistenza di quella donna e, valorizzandola,
le dice: «Anche se tu non esistessi, io vorrei che tu fossi». Esiste perciò un lega-
me inscindibile fra l'amore coniugale e il dono della vita e, nell'atto coniugale,
fra le dimensioni unitive e quelle procreative.
II fine dell'atto generativo non è la trasmissione di una vita qualsiasi, ma
di una vita umana. Il procreare è cooperazione al creare di Dio, è «realizzare
lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella gene-
razione Yimmagine divina da uomo a uomo».18 Perciò, l'enciclica Evangelium
vitae, dopo aver affermato la signoria dell'uomo sul mondo e averne indicato
il senso e i limiti, si sofferma sull'espressione più significativa della signoria
partecipata, la signoria sulla vita umana:

L'uomo è fatto in qualche modo partecipe della signoria di Dio. E questo si


manifesta nella specifica responsabilità che gli viene affidata nei confronti della
vita propriamente umana. È responsabilità che tocca il suo vertice nella dona-
zione della vita da parte dell'uomo e della donna nel matrimonio [...]. Ma, al di
là della missione specifica dei genitori, il compito di accogliere e servire la vita
riguarda tutti e deve manifestarsi soprattutto verso la vita nelle condizioni di
maggior debolezza. 19

Il compito educativo è per i genitori un diritto-dovere: scaturisce dalla


stessa vocazione a essere genitori di una persona umana, chiamata a crescere e
a svilupparsi. Trasmettere la vita a un figlio non è solo un avvenimento fisico: è
ancor di più un processo culturale che si distende nel tempo per consentire al
figlio di diventare soggetto umano attivo e responsabile, di vivere umanamente
la propria storia. Per questo motivo, il compito educativo è, per i genitori, essen-

17
PAOLO VI, Humanae vitae, 25-7-1968, 8 (cf. Gaudium et spes 50).
18
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 28. Il tema è magnificamente sviluppato dallo stes-
so pontefice in Lettera alle famiglie 9.
19
GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae, 25-3-1995,43.
200 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

ziale, cioè essenzialmente connesso con la trasmissione della vita umana, origi-
nale e primario, cioè precede e prevale rispetto al compito educativo di altri, per
il carattere unico dell'amore che unisce genitori e figli, insostituibile e inaliena-
bile, cioè non può essere totalmente delegato ad altri né da altri usurpato.
Ai genitori spetta dunque l'educazione dei figli ai valori essenziali della
vita umana: semplicità di vita, giustizia, amore. Nell'educazione all'amore
come dono di sé rientra anche l'educazione a una sessualità pienamente e vera-
mente personale, cioè una sessualità realizzata nel dono che la persona fa di sé
nell'amore, e di conseguenza l'educazione alla castità, al rispetto/promozione
del «significato sponsale del corpo».20 Per i genitori cristiani questa educazio-
ne all'amore è esercizio di un ministero ecclesiale poiché essi sono consacrati
in forza del sacramento all'educazione cristiana dei figli: l'educazione ai valo-
ri viene a essere interna alla generale educazione cristiana che è affidata ai
genitori. Perciò la famiglia cristiana è chiamata a diventare «itinerario di fede
e, in qualche modo, iniziazione cristiana e sequela di Cristo». Il compito edu-
cativo dei genitori non è certo esclusivo, perché esso, sulla base sempre del
principio di sussidiarietà, deve armonicamente integrarsi con l'opera educativa
di altre «forze educative» quali lo Stato, la Chiesa e in particolare la scuola.
Naturalmente se è vero che mai deve essere violato il diritto inalienabile dei
genitori, è altrettanto vero che a tale diritto corrisponde «il grave dovere dei
genitori [stessi] di impegnarsi a fondo in un rapporto cordiale e fattivo con gli
insegnanti e i dirigenti delle scuole».21
Il servizio alla vita non è estraneo a nessuna famiglia, neppure a quella
costituita da coppie sterili. L'istruzione Donum vitae, dedicata appunto ai pro-
blemi dell'inizio della vita con particolare riferimento alla sterilità e alle sue
cure, ricorda che la fecondità dell'amore coniugale non è solo fisica: ogni vero
atto di amore è fecondo e serve la vita.22 La coppia sterile può servire la vita
esercitando l'amore genitoriale verso figli non di sangue, ma diventati tali solo
per scelta d'amore, attraverso l'adozione e l'affidamento: può realizzare crea-
tivamente il proprio amore vivificante andando incontro ai tanti fenomeni di
emarginazione sociale e culturale che colpisce duramente anziani, ammalati,
handicappati, tossicodipendenti, ex carcerati.

20
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 37. Sul tema dell'educazione all'amore si veda-
no: CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano, 1-11-
1983; PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Sessualità umana: verità e significato. Orientamenti edu-
cativi in famiglia, 8-12-1995.
21
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 40.
22
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Donum vitae, 2 2 - 2 - 1 9 8 7 , II, 8; GIOVANNI
PAOLO II, Familiaris consortio 41. Si veda: R. BONETTI, La fecondità degli sposi oltre la fertilità. Nuove
catechesi su matrimonio e famiglia, Cinisello Balsamo (MI) 2007; J. NORIEGA - M.L. DI PIETRO, Fecon-
dità nella sterilità, Roma 2007.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 201

7* L A PARTECIPAZIONE ALLO SVILUPPO


DELLA SOCIETÀ E DELLA CHIESA

In forza della sua natura e vocazione la famiglia si apre alle altre fami-
glie e alla società e presenta, anzi, un'intrinseca e costitutiva relazione con la
società. Della società essa è la prima e vitale, è la prima e insostituibile scuola
di socialità mediante un vissuto relazionale gratuito, è forza e luogo di uma-
nizzazione della società. Perciò la famiglia non può rimanere chiusa nell'ambi-
to intrafamiliare: deve aprirsi alle varie opere di servizio sociale, specie verso i
poveri, tra le quali è di grande importanza il servizio dell'ospitalità. Essa stes-
sa deve impegnarsi perché si attui una politica favorevole alle famiglie, deve
far riconoscere e valere i suoi diritti, deve cooperare alla creazione di un nuovo
ordine internazionale.23
Particolare rilievo va attribuito al rispetto del principio di sussidiarietà
nei rapporti reciproci tra società e famiglia. La famiglia ha il diritto di rivendi-
care il proprio spazio e la società è gravemente obbligata ad attenersi a tale
principio secondo il quale, come afferma l'enciclica di Pio XI Quadragesimo
anno,

siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le
forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere
ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità
si può fare. 24

Proprio in forza di tale principio

lo Stato non può né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono
egualmente curare bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favo-
rire e sollecitare al massimo l'iniziativa responsabile delle famiglie.25

Questo rapporto complessivo tra la famiglia e la società è proprio di ogni


famiglia in quanto tale. Nel caso dei cristiani, diventa manifestazione della mis-

23
Familiaris consortio 46 riporta una prima elencazione dei diritti della famiglia, che verrà
ripresa e ampliata nella Carta dei diritti della famiglia pubblicata da Giovanni Paolo II il 22-11-1983. Si
vedano: S. CACCIA, La famiglia come «soggetto» sociale. Riconoscere-relazionarsi-promuovere, Milano
2006; F. CAGGIA, Famiglia e diritti fondamentali nel sistema dell'unione europea, Roma 2005. C.A.
ANDERSON, La famiglia: una risorsa per la società. Dimensioni giuridiche e politiche di una cultura della
vita e della famiglia, Siena 2009; C. MARTINOLI, La famiglia naturale - Garanzia istituzionale & diritto
di libertà, Milano 2009.
24
Pio XI, Quadragesimo anno, 15-5-1931, 80.
25
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 45.
202 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

sione regale della famiglia cristiana, missione conferita a essa con il sacramen-
to. È la grazia del sacramento, infatti, che li sospinge e li chiama a offrire a tutti
la testimonianza di una dedizione generosa e disinteressata ai problemi socia-
li, mediante la scelta preferenziale dei poveri e degli emarginati.
La famiglia cristiana, in quanto comunità d'amore, è «una piccola chiesa
[ecclesia domestica]».26 Essa, infatti, rivela e attua la Chiesa, è una forma con-
creta della Chiesa, è visibilità storica della Chiesa. Da una parte essa è genera-
ta e nutrita dalla Chiesa (la Parola, il sacramento, la carità), dall'altra condivi-
de e partecipa alla missione salvifica stessa della Chiesa. Non solo è comunità
salvata ma anche comunità salvante in forza del dono proprio del sacramento
stesso del matrimonio, chiamata com'è a trasmettere il medesimo amore di
Cristo che ha ricevuto.
La partecipazione attiva alla missione di salvezza della Chiesa è attuata
da essa proprio in quanto è intima comunità di vita e di amore cioè «secondo
una modalità comunitaria» (come coppia e comQ famiglia), e si compie princi-
palmente nella fedeltà all'amore coniugale e familiare vissuto nella sua straor-
dinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità.
L'articolazione dei contenuti di questa partecipazione, fondata nell'amore, alla
missione ecclesiale può essere illustrata nel triplice riferimento a Gesù Cristo
profeta, sacerdote e re, presentando perciò la famiglia cristiana come comunità
credente ed evangelizzante, comunità in dialogo con Dio, comunità al servizio
!
dell'uomo.
La famiglia cristiana vive il proprio compito profetico accogliendo e
annunciando la parola di Dio.27 Gli sposi e genitori cristiani sono chiamati
all'obbedienza della fede, ad accogliere la stupenda novità del progetto di Dio
sull'amore coniugale e familiare. Il loro ingresso nella condizione coniugale
deve configurarsi come itinerario di fede in risposta a una vocazione: la chia-
mata a vivere la sequela di Cristo e il servizio del regno di Dio nello stato
matrimoniale. La celebrazione del sacramento del matrimonio deve perciò
manifestarsi come «professione di fede» nell'offerta dell'amore coniugale per-
ché diventi misteriosa e reale partecipazione all'amore stesso di Dio per l'u-
manità. Questa professione di fede, poi, richiede di essere prolungata nel corso
della vita vissuta degli sposi e della famiglia.
Nella misura in cui la famiglia cristiana accoglie il vangelo e matura nella
fede diventa comunità evangelizzante, testimoniando l'alleanza pasquale di
Cristo, irradiando la gioia dell'amore e la sicurezza della speranza, talvolta, in

26
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 21.49; cf. Lumen gentium 11; Apostolicam actuosita-
tem 11.
27
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 51-54.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 203

contesti particolarmente difficili, esercitando l'unica possibile forma di annun-


cio. Essa svolge un vero servizio ecclesiale nei confronti della formazione dei
loro figli che crescono, servizio che proprio perché ecclesiale deve attuarsi in
comunione con gli altri ministeri nella Chiesa. Il ministero di evangelizzazione
della famiglia ha il respiro universale della Chiesa e implica sempre una
dimensione missionaria che si esplica in vari modi: testimonianza verso i mem-
bri non-credenti della famiglia, apertura ai lontani, trasferimento in terre di
missione, coltivazione delle vocazioni missionarie ed educazione dei figli alla
missionarietà e all'universalità.
La famiglia cristiana «è chiamata a santificarsi e a santificare la comunità
ecclesiale e il mondo: questo il suo compito sacerdotale, il suo modo proprio di
partecipare al popolo sacerdotale che è la Chiesa».28 «Mediante il sacramento
del matrimonio, nel quale è radicata e da cui trae alimento», si legge in Fami-
liaris consortio «essa viene continuamente vivificata dal Signore Gesù, e da lui
chiamata e impegnata al dialogo con Dio mediante la vita sacramentale, l'of-
ferta della propria esistenza e la preghiera».29
I coniugi cristiani si santificano vivendo le realtà proprie dello stato
coniugale e familiare, in particolare l'amore che li unisce, con tutta la forza, la
pienezza e la purezza che vengono loro dal dono del sacramento del matrimo-
nio: il Signore infatti con il suo dono accompagna i coniugi lungo tutta la loro
esistenza. Nella fedeltà al dono del Signore gli sposi possono trasformare tutta
la loro vita in un continuo sacrificio spirituale, come si legge nella Lettera ai
Romani, quando Paolo esorta i cristiani a fare dell'offerta della loro vita nella
quotidianità un atto di culto a Dio.30
Nell'edificazione della propria santificazione la famiglia cristiana, fon-
dandosi sulla radice battesimale, deve attingere all'unità e alla carità che sca-
turiscono dall'eucaristia, accogliere l'appello alla riconciliazione e al perdono,
elevare insieme a partire dai fatti della vita quotidiana la preghiera a Dio. La
dimensione della preghiera è particolarmente sottolineata da Familiaris con-
sortio, che invita la famiglia cristiana a vivere le diverse modalità della pre-
ghiera cristiana (l'ufficio divino, la preghiera privata nelle sue varie forme, in
modo particolare il rosario) e a essere per i figli luogo di educazione alla pre-
ghiera e di naturale introduzione alla preghiera liturgica.
Come Cristo esercita la sua potestà regale ponendosi al servizio degli
uomini così la famiglia cristiana, animata dalla legge nuova dello Spirito e in
intima comunione con la Chiesa, popolo regale, è chiamata a vivere il servi-

28
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 55-61.
29
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 55.
30
Cf. Rm 12,lss.
204 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

zio d'amore a Dio e ai fratelli non limitandosi ai membri della famiglia, né ai


soli membri della comunità ecclesiale, ma a ogni uomo, specialmente se
povero, debole, sofferente e ingiustamente trattato: la promozione umana è
una parte essenziale di questo servizio a ogni uomo, creato a immagine di
Dio. 31
All'inizio del nuovo millennio, mentre la famiglia viene sfidata da ogni
parte, i cristiani sentono il bisogno di risignificare le parole della famiglia, quel-
le parole che risuonano sulla bocca di tutti, ma sembrano oramai vuotate di
senso: amore, persona, libertà, diritti, mascolinità, femminilità, responsabilità.
In un contesto delicato in cui si intrecciano dati naturali e dati culturali, bio-
logia e antropologia, la proposta cristiana sulla famiglia ambirebbe a essere
transculturale senza canonizzare cioè nessun modello, ma indicando piuttosto
delle coordinate e dei punti fermi.
Occorre ripensare tutta la vita familiare alla luce dei valori. Due perso-
ne, infatti, decidono di unire le loro esistenze nel patto coniugale per attuare
uno stesso progetto di vita, sostanziato da valori condivisi. Ci si sposa quando
si scopre che vogliamo costruire insieme qualcosa di duraturo e stabile fonda-
to sui valori. La stessa educazione dei figli altro non è che la trasmissione a essi
dei valori in cui crediamo e per cui viviamo. Vogliamo fare famiglie di pacifica
resistenza alle forze disgregatrici che da ogni parte le insidiano, vogliamo fami-
glie che diventino «il cuore della civiltà dell'amore» 32 e che «attraverso un'e-
ducazione evangelica sempre più completa [...] offrano un esempio convin-
cente della possibilità di un matrimonio vissuto in modo pienamente confor-
me al disegno di Dio e alle vere esigenze della persona umana».33
I prossimi decenni chiedono alla comunità cristiana uno sforzo corale ed
entusiasta che si traduca in studio, in riflessione, in preghiera, in aiuto alle
famiglie, a tutte le famiglie e soprattutto a quelle in difficoltà attraverso una
rete capillare di consultori e di sostegni diversi. Bisognerà elaborare e svolge-
re itinerari catechetici e di accompagnamento spirituale appropriati, per ritmi
e contenuti, alle peculiarità della vita coniugale e familiare, profondamente
radicati nella realtà sacramentale del matrimonio, capaci di condurre a matu-
rità coloro che Dio ha chiamato alla vocazione matrimoniale. Bisognerà,
soprattutto, ravvivare la speranza e rinnovare l'audacia della fede per testi-
moniare la verità perenne sull'amore umano così com'è uscito dalla mano del
Creatore e così com'è stato redento nel sangue del Redentore. Attraverso la

31
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 62-64; cf. Lumen gentium 36.
32
GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie 13.
33
GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 6-1-2001,47.
CAP. 1 - LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA 205

loro testimonianza semplice ed efficace le famiglie cristiane sanno che il loro


ideale, ispirato dalla verità sull'uomo e sull'amore, è la risposta alle attese del-
l'umanità e sarà l'inizio di un fuoco di comunione che produrrà una nuova
cultura della vita.
2
LA PATERNITÀ RESPONSABILE

L'amore coniugale, in cui si esprime con pienezza corporea e spirituale il


senso autentico della sessualità umana, è aperto al dono nella vita, essendo la
fecondità una delle sue note caratteristiche. Se è vero che la fecondità fisica è
una potenzialità della persona e che l'amore coniugale tende naturalmente a
compiersi nel dono della vita, è però altrettanto vero che questa potenzialità
deve essere vissuta e attuata in modo umano, nella libertà e nella responsabi-
lità. Dedichiamo questo capitolo della morale sessuale speciale al tema diffici-
le e controverso della paternità responsabile.1

1 • VITA E RESPONSABILITÀ IN HUMANAE VITAE

La vita umana, ogni vita umana rimanda a Dio amore, che è pienezza di
vita e che si trova in una relazione originale con ogni creatura umana. Il crea-
tore, nella sua sapienza e benevolenza, chiama l'uomo e la donna, fin dalle ori-
gini del mondo, a cooperare con lui nel dono della vita. Gli sposi non trasmet-
tono infatti una vita qualsiasi, ma una vita umana, trasmettono l'immagine di
Dio da uomo a uomo e diventano così, attraverso il loro amore e i gesti che lo
esprimono, ministri del disegno di Dio. La vita del figlio germoglia dall'amore
coniugale come frutto e incarnazione dell'amore e nell'amore deve essere
accolta e portata alla sua maturità: l'esistenza del figlio si presenta agli sposi

1
La bibliografia su questo tema è sterminata. Segnaliamo, per un orientamento generale: G.
DIANIN, Matrimonio, sessualità, fecondità, Padova 2008,408-502; M. RHONHEIMER, Etica della procrea-
zione, Roma 2000,15-125.
208 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

come un dono, ma anche come un impegno e un compito da assumersi con


generosità e vivo senso di responsabilità.
Il magistero parla, a questo proposito, di paternità o procreazione consa-
pevole o responsabile.2 Mentre la categoria di consapevolezza sembra sottoli-
neare soprattutto la comprensione della propria chiamata alla genitorialità e
la conoscenza delle dinamiche antropologiche della fecondità, con la categoria
di responsabilità ci si riferisce più direttamente all'attitudine etica della perso-
na, cioè alla sua disposizione a rispondere ali 'appello dei valori nelle diverse
situazioni: gli sposi sono chiamati a comprendere e accogliere la fecondità
come un valore e ad attuare concretamente la loro chiamata alla genitorialità
considerando con saggezza i diversi aspetti della propria realtà individuale e
coniugale. Al tema della paternità responsabile è dedicata una delle encicliche
più controverse del magistero contemporaneo, la Humanae vitae, pubblicata
da Paolo VI nel luglio 1968.
Le problematiche pastorali alle quali l'enciclica si proponeva di rispon-
dere sono fondamentalmente due, molto diverse fra loro: da una parte c'erano
i mutamenti socio-culturali avvenuti in occidente nella seconda metà del XX
secolo con la crisi dell'istituto familiare e la dissociazione fra esercizio della
sessualità e la fecondità, giudicata spesso come un fattore di disturbo e un osta-
colo alla libera espressione dell'eros di uomini e di donne; dall'altra c'era la
crescita della popolazione mondiale, soprattutto nei Paesi emergenti, che
cominciava ad allarmare demografi, politici ed economisti e che aveva fatto
scattare piani di contenimento demografico basati sull'uso di metodi contrac-
cettivi.
Durante il concilio questi problemi erano emersi in tutta la loro urgen-
za, ma i padri conciliari non erano riusciti a giungere a prospettive unitarie e
le aperture da parte di alcuni riguardo al ricorso a metodi artificiali di regola-
zione della fecondità si erano scontrate con una forte resistenza da parte di
altri a difesa della dottrina tradizionale che era stata confermata nel 1930 da
Pio XI in Casti connubii e da ripetuti interventi di Pio XII. L'intervento diret-
to di Paolo VI era riuscito a sbloccare momentaneamente la situazione in aula,
ma aveva rinviato al dopo concilio l'approfondimento della questione.3
La costituzione Gaudium et spes aveva dato indicazioni generali che cer-
cavano di impostare in modo nuovo la questione e che riportavano esplicita-

2
In inglese si traduce, opportunamente, responsible parenthood, cioè «genitorialità responsabi-
le». Questo modo di parlare meglio sottolinea la dimensione coniugale della responsabilità e il comu-
ne impegno degli sposi nel rispondere alla loro vocazione alla fecondità.
3
Le discussioni conciliari su matrimonio e famiglia sono ricostruite da: G. DE ROSA, «Dignità
del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione», in La costituzione pastorale sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo, Leumann 1966, 679-745 (soprattutto 731ss).
CAP. 2 - LA PATERNITÀ RESPONSABILE 209

mente la fecondità coniugale al tema dell'amore coniugale, ma il dettato con-


ciliare rimaneva volutamente sul piano delle affermazioni di principio senza
tradurle in norme operative. Paolo VI incaricò un gruppo di esperti, formato
da teologi, pastoralisti, demografi e laici sposati, di preparare un testo in sinto-
nia con le indicazioni conciliari. Il documento elaborato dalla commissione
incaricata, senza sconfessare la dottrina tradizionale, era propenso, in certi casi,
all'uso di mezzi artificiali di regolazione della fecondità. Un gruppo di teologi
e cardinali, numericamente minoritario, ma influente, ritenne questa posizione
inconciliabile con la tradizione e il magistero e si dissociò. Il santo padre, dopo
un sofferto discernimento, decise di accedere a questa seconda posizione e
pubblicò, in mezzo alle polemiche, Humanae vitae.
L'enciclica ha un impianto antropologico personalista, centrato sull'a-
more umano del quale la fecondità - come abbiamo visto nei capitoli prece-
denti - è una nota costitutiva. Humanae vitae chiede agli sposi di restare fede-
li alla verità dell'amore coniugale e dei gesti attraverso i quali tale amore si
esprime, formulando il principio di inscindibilità dei significati unitivo e pro-
creativo dell'atto coniugale. In questo contesto ideale, la fecondità può essere
vissuta in modo pienamente umano come scelta abbracciata dalla volontà e
come risposta responsabile all'appello di un valore essenziale del matrimonio.
Un testo importante di Humanae vitae cerca di articolare le dimensioni
di questa responsabilità dando, allo stesso tempo, i criteri per una scelta etica-
mente valida nell'ambito della regolazione della fecondità coniugale. L'enci-
clica, al n. 10, enumera le dimensioni di cui deve tenere conto questa respon-
sabilità:
a) Rapporto della coppia con la propria realtà corporea («i processi bio-
logici»), un rapporto che deve essere condotto sotto la luce della «conoscen-
za» e del «rispetto» di essa. «L'intelligenza», si legge nell'enciclica, «scopre, nel
potere di dare la vita, leggi biologiche che fanno parte della persona umana».
Il richiamo del testo a san Tommaso (STh I-II, q. 94, a. 2) serve a sottolineare
che la realtà biologica non costituisce un limite per la persona, la necessità con-
tro la libertà, come alcuni ritengono, ma è rimando alla persona concreta in
quanto spirito incarnato, così che in essa è possibile leggere significati concer-
nenti la vita personale. È una posizione decisamente antidualista, senza per
questo diventare fisicista (si vedano, a questo proposito, le riflessioni di Verita-
tis splendor 47-50).
b) Rapporto della coppia con le proprie dinamiche pulsionali ed emotive
(Humanae vitae 10 dice «impulsos innatos et animi affectus»): le pulsioni e le
emozioni sono energie da accogliere, canalizzare e orientare in rapporto alla
realizzazione della persona umana e della comunione tra le persone, così che
la forza del desiderio diventi un'energia a servizio dell'amore. L'enciclica
210 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

parla, in questo senso, del «necessario dominio che la ragione e la volontà


devono esercitare su pulsioni ed emozioni».
c) Rapporto della coppia con le effettive condizioni fisiche, economiche,
psicologiche e sociali della loro vita coniugale e familiare; una decisione a favo-
re o a sfavore di una nuova nascita deve essere valutata anche sul piano delle
conseguenze positive o negative che ne deriverebbero.
d) Rapporto della coppia con la chiamata (propria di ogni essere umano)
a operare il bene nella verità: il bene di cui si parla non è un bene astratto e
impersonale, ma è il bene che la coppia è chiamata dal Signore ad attuare nella
sua vita, hic et nunc\ per gli sposi «operare il bene nella verità» significa coglie-
re il significato autentico della sessualità e dell'amore umano e vivere concre-
tamente la propria vita matrimoniale in sintonia con questi valori, compiendo
scelte coerenti con essi. A ciò allude Humanae vitae 10 nel quinto paragrafo
ricordando che i coniugi «nel compito di trasmettere la vita» sono chiamati a
«conformare il loro agire all'intenzione creatrice di Dio».
Esercitando tale responsabilità la coppia decide anche sulle dimensioni
della propria famiglia, con la «deliberazione ponderata e generosa di crescere
una famiglia numerosa» oppure con «la decisione, presa per gravi motivi e nel
rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente o anche a tempo inde-
terminato una nuova nascita» (Humanae vitae 10). Si tratta di una decisione,
come dice Gaudium et spes 50, che «in ultima analisi [...] devono formulare,
davanti a Dio, gli sposi stessi».
In questo ambito personale e delicato, compito delle istituzioni pubbli-
che è di informare, educare, fornire orientamenti, mai sostituirsi alla libera
scelta degli sposi. La contraccezione e la sterilizzazione promosse e pratica-
mente imposte da alcuni governi, nell'ambito della pianificazione demografi-
ca, sono gravemente lesive dei diritti della persona e non possono essere accet-
tati in nessun modo mezzi per limitare la crescita demografica.4

2 - I METODI DI ATTUAZIONE

Una volta che la coppia ha preso la decisione di rimandare una nuova


nascita, si dovrà vedere come sia possibile attuare la decisione. Non tutti i

4
Riprendiamo le indicazioni di Familiaris consortio 30. Per approfondire il tema cf. PONTIFICIO
CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Evoluzioni demografiche dimensioni etiche e pastorali, 25-3-1994.
CAP. 2 - LA PATERNITÀ RESPONSABILE 211

metodi o mezzi di regolazione della fecondità sono moralmente accettabili: ci


sono metodi che sono cattivi in sé (ad esempio, l'aborto) e non possono esse-
re giustificati perché usati per un fine lecito.
Vediamo i metodi impiegati nella pianificazione familiare o family plan-
ning,5 dando una classificazione funzionale alla nostra riflessione etica.

aborto intercezione antiannidatori meccanici (spirale)


antiannidatori chimici (minipillola,
pillola del giorno dopo)
contragestazione luteolitici e antiprogesteronici
(ad esempio, RU-486)
aborto chirurgico
sterilizzazione vasectomia nell'uomo
legatura/elettrocoagulazione delle tube nella donna
contraccezione di barriera (condom, diaframma)
chimica (pillola estroprogestinica, spermicidi, spugne)
coito interrotto
metodi naturali ritmici (Ogino-Knaus)
muco cervicale (Billings)
termici (temperatura basale)

2.1. Metodi abortivi


I metodi abortivi sono gravemente lesivi dell'ordine morale: la loro gravità
è determinata dal fatto che sopprimono direttamente la vita umana innocente,
cosa che niente e nessuno può giustificare (Humanae vitae 14; cf. Evangelium
vitae 58-62). Il discorso è immediatamente chiaro per Vaborto chirurgico usato
come metodo di pianificazione familiare, ma hanno lo stesso carattere abortivo,
pur talvolta ignorato o sottaciuto, anche quei dispositivi o farmaci che agiscono
sopprimendo la vita umana nascente in diverse fasi del suo sviluppo iniziale.
Gli intercettivi non impediscono il concepimento, ma sopprimono l'em-
brione precoce: la spirale o IUD impedisce l'annidamento dell'embrione nel-
l'endometrio, la minipillola (di solo progesterone) provoca alterazioni tubari-
che ed endometriali che interferiscono con il trasferimento e lo sviluppo del-
l'embrione. La pillola del giorno dopo, assunta nel timore di un concepimento

5
L'espressione family planning - tipica del mondo laico - allude più a una programmazione
calcolata della grandezza della famiglia, che a una regolazione responsabile della fecondità. Perciò tro-
viamo sgradevole anche l'espressione corrente "natural family planning" (NFP).
212 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

in seguito a un rapporto non protetto, ha un meccanismo d'azione controver-


so: se la donna non ha ovulato, blocca l'ovulazione e, quindi, agisce con mec-
canismo contraccettivo in senso stretto; se la donna ha ovulato ed è avvenuto
il concepimento ci sono indicazioni che abbia effetto intercettivo sull'embrio-
ne alterando il milieu ormonale delle vie genitali femminili.6 Nelle situazioni
usuali, chi la assume accetta l'eventualità di un aborto iniziale. I contragestati-
vi provocano aborti precoci, ma dopo l'annidamento: fra questi ricordiamo
l'RU-486 che interferisce con l'azione del progesterone, prodotto dal corpo
luteo gravidico, e causa aborto entro i primi 30-40 giorni di gravidanza.7
Dobbiamo registrare, infine, che la pillola estroprogestinica, a motivo dei
più bassi dosaggi di estrogeno rispetto alla pillola classica finalizzati a ridurre
i non trascurabili effetti collaterali sulla donna in non pochi casi non riesce a
bloccare l'ovulazione. Le pillole con meno di 40-50 microgrammi di etinile-
stradiolo non agiscono con effetto anovulatorio, ma con effetto criptoabortivo:
un'eventuale gravidanza potrebbe, quindi, iniziare ed esitare in aborto preco-
ce, essendo l'ambiente tubarico e quello uterino inospitali per l'embrione.
Questo dato clinico-farmacologico obbliga, ovviamente, a grande cautela
anche quando si tratti di un uso strettamente terapeutico di preparati ormonali
di questo tipo.8

2-2, Sterilizzazione
Un altro metodo gravemente immorale è la sterilizzazione.9 La steriliz-
zazione, sia maschile sia femminile (vasectomia ed elettrocoagulazione delle
tube) è un intervento mutilante che priva in modo permanente e, di regola,
pressoché irreversibile la persona umana di una delle funzioni più rilevanti, sia
sul piano biologico sia psichico, dell'essere umano.

6
CENTRO DI BIOETICA UNIVERSITÀ CATTOLICA SACRO CUORE, « S u l l a c o s i d d e t t a " c o n t r a c c e z i o -
ne d'emergenza"», in Medicina e Morale 46(1996), 582-589; M.L. DI PIETRO - R. MINACORI, «''Con-
traccezione d'emergenza": problema medico, etico e giuridico», in Vita e Pensiero (1997), 353-361.
7
L. ROMANO - M.L. DI PIETRO - M.P. FAGGIONI - M. CASINI, RU-486. Dall'aborto chimico alla
contraccezione d'emergenza. Riflessioni biomediche, etiche e giuridiche, Roma 2008.
8
M.L. DI PIETRO - R. MINACORI, «Sull'abortività della pillola estroprogestinica e di altri "con-
traccettivi"», in Medicina e Morale 46(1996), 863-900.
9
II magistero ha ribadito più volte la condanna della sterilizzazione diretta, in particolare: Pio
XI, Casti connubii, 31-12-1930: AAS 22(1930), 565; Pio XII, «Discorso al congresso dell'unione catto-
lica italiana ostetriche», 29-10-1951: AAS 43(1951), 843-844; PAOLO VI, Humanae vitae, 25-7-68, 14:
AAS 6 0 ( 1 9 6 8 ) , 4 9 0 ; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Quaecumque sterilizatio: AAS
68(1976), 738-740; ID., «Risposte ai dubbi proposti circa l'isolamento uterino», 5-8-1993, in L'Osserva-
tore Romano, 31-7-1994; Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano 1997, n. 2297.
CAP. 2 - LA PATERNITÀ RESPONSABILE 213

2.3. Contraccezione
I metodi contraccettivi sono metodi di controllo della fertilità che, pur
non avendo la gravità oggettiva dell'aborto e pur non avendo effetti irreversi-
bili come la sterilizzazione chirurgica, non sono moralmente accettabili. Rien-
trano nel novero dei contraccettivi chimici le pillole anovulatorie a base di
estroprogestinici, che bloccano il meccanismo ormonale che porta all'ovula-
zione. Questo meccanismo non vale per i preparati iniettabili e per le pillole
estroprogestiniche a basso dosaggio di estrogeno. I contraccettivi di barriera
sono invece finalizzati a impedire il contatto tra spermatozoi e ovulo (con-
dom, diaframma, tampone ecc.). Possiamo aggiungere ai metodi contraccetti-
vi anche il coitus reservatus (più spesso, impropriamente, detto coitus inter-
ruptus, nel quale l'uomo compie la penetrazione ma, retraendosi, evita di eia-
culare in vagina).
I mezzi contraccettivi, al di là di conseguenze di natura fisica e relazio-
nale che - specie in alcuni casi - non sono piccole, sono di per sé mezzi contro
il concepimento e sono posti come tali dalla coppia. L'infertilità del rapporto
coniugale è prodotta dalla coppia, di quel rapporto cioè che dovrebbe essere il
gesto espressivo dell'amore senza riserve che i coniugi si sono promesso. Si ha,
in tal modo, una scissione positiva, diretta e intenzionale di quei due significati
dell'atto coniugale, unitivo e procreativo, che secondo Humanae vitae 12 sono
inscindibili. L'atto che dice Vincondizionata donazione-accoglienza dell'altro
diventa, così, un atto condizionato, carico di riserve e deformato nella sua pie-
nezza antropologica.
Dal momento che la produzione dell'infertilità si ha per intervento della
coppia, vediamo operare in essa una dinamica difensiva nei confronti della
propria corporeità, che appare rischiosa in quanto contiene la potenza di tra-
smettere la vita. Nei metodi contraccettivi si esprime, in modo più o meno con-
sapevole, una mentalità anti-vita che, avendo smarrito senso e valore del dono
della vita umana, oscura anche il senso e il valore del corpo umano.

2.4. Metodi naturali


I metodi naturali sono dei metodi che, fornendo la conoscenza dei ritmi
naturali di fecondità della donna, consentono alla coppia di regolare la nata-
lità inserendosi in tali ritmi. Essi sono vari, ma si basano tutti sul fatto che il
ciclo femminile comprende tempi fecondi e tempi infecondi e quindi sull'os-
servazione di alcuni dati clinici legati a questo ritmo fisiologico. I tempi infe-
condi sono determinati individuando, con precisione maggiore o minore, il
214 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

momento dell'ovulazione e calcolando sia il periodo di fecondabilità dell'ovo-


cita (circa 24 ore) sia il periodo di vitalità degli spermatozoi (circa tre giorni).
I rapporti coniugali vengono quindi posti nei tempi non fecondi o agenesici
(astinenza periodica).
a) Metodi ritmici. Il più celebre è l'antico metodo di Ogino-Knaus o
metodo del calendario, che si basa sulla presunzione che il ciclo di una donna
si ripeta con regolarità di mese in mese e che l'ovulazione avvenga nel quat-
tordicesimo giorno di ogni ciclo. Il metodo, oggi abbandonato, si è rivelato inaf-
fidabile perché la durata del ciclo mestruale, intesa come intervallo tra l'inizio
di due mestruazioni successive, è molto variabile da donna a donna e, nella
stessa donna, da ciclo a ciclo. Solitamente oscilla tra i 24 e i 32 giorni (in media
28); mentre la seconda fase del ciclo (che va dall'ovulazione alla mestruazio-
ne) dura costantemente 14 giorni, la prima fase (che va dall'inizio della
mestruazione fino all'ovulazione) può variare in maniera del tutto imprevedi-
bile in quanto il follicolo può arrivare a maturazione e ovulare tra il decimo e
il diciottesimo giorno del ciclo (convenzionalmente si considera come primo
giorno del ciclo il primo giorno di mestruazione).
b) Metodo del muco cervicale (o metodo Billings). Durante il ciclo
mestruale la mucosa che riveste il canale cervicale dell'utero subisce modifi-
cazioni cicliche sotto l'influenza degli ormoni ovarici. In particolare, nella
prima parte del ciclo, gli estrogeni stimolano le cellule che tappezzano il cana-
le cervicale a produrre un muco via via più abbondante e trasparente, simile
alla chiara dell'uovo e dotato di una caratteristica elasticità che gli consente, se
viene raccolto tra due vetrini, di formare dei filamenti lunghi anche diversi
centimetri quando questi vengono divaricati, come accade ad alcuni formaggi
per effetto del calore. Sempre sotto l'azione degli estrogeni il muco si dispone
all'interno del canale cervicale formando dei microscopici canali il cui diame-
tro cresce con l'avvicinarsi dell'ovulazione: è attraverso di essi che gli sperma-
tozoi possono risalire il canale cervicale; questi canali consentono l'ascesa
degli spermatozoi da 5-6 giorni prima dell'ovulazione fino a 1-2 giorni dopo
l'ovulazione.10 Il picco degli estrogeni, che determina il picco dell'LH e quindi
l'ovulazione, si accompagna a una fluidificazione del muco cervicale, percepi-
ta dalla donna come una sensazione di bagnato a livello dei genitali. L'ovula-
zione è quindi segnalata alla donna da un preciso sintomo fisico.
c) Metodo della temperatura basale. Il progesterone, prodotto dall'ovaio
dopo l'ovulazione, raggiunge attraverso il circolo sanguigno anche l'ipotalamo

10
Nella seconda fase del ciclo, a ovulazione avvenuta, il progesterone rende il muco più scarso
e viscoso, trasformandolo in una barriera insormontabile per gli spermatozoi.
CAP. 2 - LA PATERNITÀ RESPONSABILE 215

e, influenzando i centri che controllano la temperatura corporea, determina un


aumento della temperatura di 0,4-0,5°C rispetto ai valori precedenti l'ovula-
zione, che perdura fino al sopraggiungere della mestruazione. Per poter
apprezzare questa lieve, ma significativa differenza termica, così da poter
documentare l'avvenuta ovulazione, occorre misurare la temperatura rettale,
orale o vaginale al mattino, immediatamente dopo il risveglio (temperatura
basale) e registrarla su un diagramma apposito. Con questa semplice metodi-
ca è possibile documentare e individuare con sufficiente precisione, ma solo a
posteriori, se e in che periodo si è verificata l'ovulazione.
Posta con responsabilità la decisione di rinviare la nascita di un figlio, essi
non hanno alcuna controindicazione etica soprattutto perché, come si è detto,
in essi manca l'intervento diretto che impedisce la procreazione. I metodi natu-
rali, quindi, costituiscono l'unico modo moralmente accettabile di esercitare la
paternità responsabile.

3 . OBIEZIONI AI METODI NATURALI

Sui metodi naturali ci sono alcune obiezioni sulle quali è opportuno fer-
marsi perché frequentemente il pastore deve confrontarsi con esse.
a) Sono anch'essi metodi contraccettivi. Qualcuno afferma che anche i
metodi naturali sono in qualche modo contraccettivi, perché sono usati per lo
stesso scopo dei veri contraccettivi. Questo non è vero, perché non si tratta di
metodi che impediscono il concepimento, né che tolgono fecondità ad atti
coniugali di per sé fecondi. Questi metodi danno piuttosto alla coppia una
conoscenza su di sé che può essere impiegata tanto per la generazione di una
nuova vita, quanto per rinviarla responsabilmente, se questa appare essere la
volontà di Dio. Se una coppia ha un'intenzione anti-vita, espressione di una
mentalità contraccettiva, non si può parlare di paternità responsabile e non
sarà il ricorso a un metodo naturale a coonestare un'intenzione distorta.11
D'altra parte, se una coppia ha motivi legittimi per rinviare una nuova nascita,
ma ricorre a metodi contraccettivi, la buona intenzione non può togliere il

11
Alcuni, come G. Grisez, J. Boyle e J. Finnis, ritengono che una coppia che ricorra ai metodi
naturali con intenzioni cattive o egoistiche sia colpevole del peccato di contraccezione. Secondo altri,
pur trattandosi di un comportamento disordinato, non si può parlare di contraccezione in senso stret-
to; cf. W.H. MARSHNR, «Can a couple practicing NFP be practicing contraception?», in Gregorianum
77(1996), 677-704.
216 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

disordine insito nella contraccezione. Insomma occorre che un'intenzione retta


si accompagni alla scelta di un metodo corretto.
b) Tolgono spontaneità all'amore. Questi metodi programmano l'amore
- si dice - mentre l'amore è spontaneo. La spontaneità dell'amore (non mi rife-
risco qui al fatto del sentimento e dell'attitudine amorosa, ma ai gesti-incontri
concreti nei quali tende a esprimersi tale amore) è sempre umana, cioè posta
ragionevolmente tenendo conto dell'insieme della vita dei coniugi e delle varie
condizioni (orari di lavoro, salute propria e altrui, necessità varie dei membri
della famiglia specie se piccoli, variazioni umorali, distanza ecc.). La coppia che
segue i metodi naturali non è certo costretta a porre i gesti della comunicazio-
ne sessuale in determinati momenti, ma tiene conto del ritmo naturale della
fecondità nel tentativo di costruire una comunicazione sessuale animata dai
valori vissuti dalla coppia.
c) Costringono all'astinenza. Questa obiezione nasconde diversi equivo-
ci e fondamentalmente l'identificazione del rapporto sessuale con l'amore. In
effetti, il rapporto sessuale è solo una delle forme di comunicazione dell'amo-
re. Ci sono altre forme di comunicazione dell'amore, quali il rispetto e l'ascol-
to, il dialogo e l'attenzione reciproca e verso i figli, l'apertura della coppia
verso l'esterno e la società, la famiglia aperta e ospitale, la famiglia impegnata
insieme nella vita ecclesiale, la comune apertura al mondo della conoscenza e
delle emozioni. Queste forme di comunicazione sono altrettanto necessarie e
forse addirittura più necessarie dello stesso rapporto sessuale perché anche
quando, con l'andare del tempo o in particolari momenti, la libido passa o si
attenua, non può e non deve attenuarsi la comunicazione di amore tra i coniu-
gi, cioè la vita di coppia come comunicazione d'amore. Con i metodi naturali
in certi periodi proprio tali forme di comunicazione possono e devono essere
valorizzate e talora scoperte.
Talvolta si avverte in tale obiezione l'idea che l'astinenza sessuale sia
qualcosa che va contro l'amore. Al di là del fatto che secondo molti un'asti-
nenza periodica mantiene in buona salute la libido ed evita l'abitudinarietà
del rapporto, bisogna aggiungere qualcosa di molto più importante: un
amore incapace di accettare l'astinenza sessuale per rispettare l'altro, per
osservare la gerarchia dei valori, è un amore sospettabile. Un amore che dav-
vero ami, che voglia il bene dell'altro senza riserve, si mostra anche nella sua
capacità di saper attendere e di saper rinunciare all'immediatezza dei propri
desideri se essi feriscono in qualche misura la verità dell'amore e il perse-
guimento del bene.
d) Sono metodi inaffidabili. I metodi più antichi, come il metodo di
Ogino, in effetti non erano per niente affidabili. I metodi odierni, come il meto-
do Billings, soprattutto se combinato con il metodo della temperatura basale,
CAP. 2 - LA PATERNITÀ RESPONSABILE 217

hanno un indice di Pearls molto buono. In condizioni ideali l'indice è calcola-


to intorno al 2-3%, mentre in condizioni di applicazione ordinaria, tenendo
conto di diversi fattori di errore soggettivo, l'indice si innalza verso il 6-7%.12
Nell'ambito delle campagne di contenimento demografico questo indice
sarebbe del tutto soddisfacente e, perciò, i metodi naturali dovrebbero essere
preferiti ad altri perché permetterebbero di ottenere un decremento demo-
grafico adeguato attraverso la coscientizzazione e l'educazione degli uomini e
delle donne sui valori autentici del matrimonio e i dinamismi naturali della
fecondità. Più problematica la situazione quando la coppia ritiene di avere gra-
vissime ragioni per evitare assolutamente la prole. Questi casi vanno vagliati di
volta in volta con prudente discernimento.
e) Sono metodi difficili. Se ci si riferisce alle difficoltà di apprendimento,
l'affermazione non è confermata dai dati: indagini multicentriche dell'OMS in
diverse nazioni, di diversa cultura, religione e status sociale, non hanno mostra-
to una particolare difficoltà di apprendimento. Se per difficile si intende che
sono impegnativi e che richiedono più attenzione e consapevolezza dei meto-
di artificiali, questo è vero, ma si tratta della difficoltà che accompagna ogni
agire umano autentico.
f ) Richiedono l'accordo e il dialogo della coppia. Questo è vero. Tuttavia
ci si chiede se sia un'obiezione o un apprezzamento, visto che un matrimonio
ove non c'è accordo o dialogo difficilmente potrebbe essere detto un vero
matrimonio. Il fatto è che i metodi naturali sono più uno stile di vita che un
metodo tecnico di regolazione della natalità. Sono l'applicazione alla sfera
della comunicazione sessuale della logica etica dell'amore coniugale: la totale
donazione-accoglienza reciproca, senza riserve e condizioni, senza subordina-
re l'altro (e la corporeità è la concreta realtà presente dell'altro) al desiderio
soggettivo ma subordinando il desiderio soggettivo all'amore per l'altro, nella
promozione intenzionale e reciproca dell'umanità degli sposi.

4- ORIENTAMENTI PASTORALI

Fermo restando che l'unico modo accettabile di esercitare la paternità


responsabile è costituito - per quanto è umanamente possibile - dai metodi

12
Si veda una revisione della letteratura scientifica: P. FRANK-HERRMANN et ai, «The effec-
tiveness of a fertility awareness based method to avoid pregnancy in relation to a couple's sexual
behaviour during the fertile time: A prospective longitudinal study», in Human Reproduction 22(2007),
1210-1319.
218 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

naturali, affrontiamo alcune importanti questioni di prassi pastorale connesse


con questo delicato argomento.
Stabiliamo, prima di tutto, un principio fondamentale: bisogna distingue-
re sempre fra il piano oggettivo della verità morale e il piano soggettivo della
percezione di essa. Ne consegue che una persona può talvolta porre un atto
oggettivamente cattivo senza colpa soggettiva, così che non si deve mai presu-
mere colpa grave anche di fronte a un oggetto indubbiamente cattivo. A que-
sto proposito, la Congregazione per il clero, intervenendo in un increscioso
contrasto fra alcuni sacerdoti di Washington e il loro arcivescovo sulla dottri-
na di Humanae vitae, scrisse che

le particolari circostanze che accompagnano un atto umano oggettivamente cat-


tivo, mentre non possono trasformarlo in atto oggettivamente virtuoso, possono
renderlo incolpevole o meno colpevole o soggettivamente difendibile.13

Possono verificarsi circostanze in cui le coppie si trovano di fronte a con-


flitti fra norme che proteggono alcuni valori (la normatività deriva dalla forza
necessitante del valore), per cui diventa difficile l'applicazione della norma al
caso concreto. Ovviamente, dal punto di vista oggettivo, non può mai darsi un
conflitto di valori, ma la moralità non può astrarre dalla soggettività, perché la
stessa oggettività dei valori raggiunge l'uomo nella sua soggettività.
I valori in conflitto possono essere il valore della procreazione con quel-
lo della salute o con quello della possibilità di sussistenza economica della
famiglia. Il primo tentativo della coppia deve essere quello di cercare di armo-
nizzare tutti i valori in gioco senza lederne alcuno; e solo quando non fosse
possibile agire altrimenti la coppia deciderà dando la precedenza ai valori che
appaiono più alti e irrinunciabili. Teniamo ben presente che le circostanze con-
crete possono modificare la gerarchia dei valori percepiti dalla coppia, ma non
capovolgerla, perché alcuni beni fondamentali non possono mai essere lesi: il
valore della vita del concepito risulterà per esempio sempre preminente su
altri e questo impedisce di usare per qualsiasi motivo e in qualsiasi circostan-
za metodi abortivi e criptoabortivi.
Si deve illuminare il penitente o la penitente sulla malizia dei metodi con-
traccettivi? Nel caso dei penitenti in buona fede con solo qualche dubbio o
addirittura senza ombra di dubbio (il confessore lo viene a sapere accidental-
mente o per qualche sua domanda inopportuna), si applica la regola alfonsiana:

13
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Washington Case. Official Communication, 26-6-1971: EV
4/698. Abbiamo ritoccato la traduzione mettendo al posto di «giustificabile» «difendibile», perché il
testo originale inglese ha «defensible».
CAP. 2 - LA PATERNITÀ RESPONSABILE 219

Se il confessore è in dubbio riguardo all'utilità spirituale di qualche illuminazio-


ne da dare al penitente, egli non deve inquietare i penitenti trasformando i pec-
cati materiali in peccati formali.
Questa regola vale sia nei casi di ignoranza invincibile su ciò che si compie, sia
se c'è motivo di ritenere che in ogni caso il penitente non abbandonerà l'atto
peccaminoso e quindi l'unico effetto dell'illuminazione sarà la trasformazione di
un peccato materiale in formale. 14

Di fronte alle domande del penitente non si risponde più della domanda
stessa e se, rispondendo, si pensa di turbare il penitente è meglio evitare di
rispondere: il penitente infatti non va caricato inutilmente. C'è invece il dove-
re di illuminare il penitente quando il male materiale deriva dalla violazione
del bene comune o di valori inviolabili ed essenziali, come la vita. C'è quindi il
dovere di render noto a una donna che, per esempio, utilizza la spirale che si
tratta di un metodo virtualmente abortivo e non semplicemente di un con-
traccettivo.
Non dimentichiamo, poi, che talvolta un farmaco o un intervento medi-
co chirurgico possono procurare un impedimento stabile o transitorio alla
fecondità. È il caso dell'uso di farmaci di tipo estroprogestinico impiegati nella
terapia delle ovariti autoimmuni, per non parlare degli interventi di isterecto-
mia a motivo di tumori uterini. In questi casi l'effetto sterilizzante, pur previ-
sto, non è direttamente voluto, ma è un effetto collaterale che può essere tol-
lerato per ragioni proporzionatamente gravi. Questa applicazione casistica, da
spiegarsi in base alla dottrina dell'atto a duplice effetto, viene menzionata
espressamente in Humanae vitae 15.
La dottrina morale conosce anche situazioni particolari nelle quali il
ricorso a metodi veramente anovulatori può essere moralmente giustificato,
come nel caso della violenza sessuale, inclusa la situazione non rara, soprattut-
to in contesti umanamente degradati, della violenza intraconiugale. Comunque
si manifesti e da chiunque sia compiuta, la violenza sessuale costituisce una
grave invasione dello spazio intimo della persona: opera in essa l'attitudine
radicalmente distorta di chi vuole sottomettere l'altra persona ai propri desi-
deri, assolutamente incurante delle sue esigenze, della sua libertà e della sua
dignità, che vengono mortificate sotto tutti i profili. La donna violentata vive
l'esperienza avvilente e psicologicamente distruttiva di essere stata usata e
sfruttata come un oggetto. Il ricorso a un mezzo che impedisca il concepimen-
to assume, in tali contesti, i caratteri di un atto primariamente difensivo: esso,

14
Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Vademecum per i confessori su alcuni temi di
morale attinenti alla vita coniugale, 12-2-1997, parte 3,7-8.
220 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

pur non potendo impedire la violenza, impedisce almeno a un atto violento di


esprimere la sua potenzialità biologica, e non ha, pertanto, il carattere morale
di un atto anti-vita, diretto contro il sorgere stesso di una nuova vita.15 Non si
tratta di un'eccezione all'insegnamento di Humanae vitae anche perché, essen-
do l'insegnamento dell'enciclica una specificazione della legge naturale, non
ha eccezioni. Humanae vitae insegna, infatti, che l'amore coniugale è costituti-
vamente fecondo e gli atti che lo esprimono devono restare aperti alla vita non
intervenendo direttamente sulla loro struttura antropologica, ma nel caso della
violenza non siamo in presenza di vero amore coniugale: abbiamo qui un atto
puramente sessuale, ma non un atto autenticamente coniugale.
Nelle situazioni limite, l'impostazione personalista di Humanae vitae e, in
generale, la prospettiva nuova del modello personalista di antropologia e
morale sessuale risaltano con chiarezza: l'accento si è spostato, infatti, dall'in-
tegrità fisica dell'atto e dal rispetto dei suoi fini intrinseci alla coerenza del-
l'atto sessuale con i significati e le dinamiche dell'amore coniugale.

15
Se ne riparla con cadenza tragicamente regolare in occasione di guerre accompagnate da stu-
pri, come in Congo negli anni '60 e in Bosnia negli anni '90: P. PALAZZINI - F. HÜRTH - F. LAMBRU-
SCHINI, «Una donna domanda: Come negarsi alla violenza?», in Studi Cattolici 5(1961), 62-72; G. PERI-
CO, «Stupro, aborto e anticoncezionali», in Aggiornamenti Sociali 44(1993), 449-457; M. RHONHEIMER,
«Minaccia di stupro e prevenzione: un'eccezione?», in Studi Cattolici 123(1995), 75-90; M. ZALBA, «La
portata del principio di totalità nella dottrina di Pio XI e Pio XII e la sua applicazione ai casi di vio-
lenza sessuale», in Rassegna di Teologia 9(1968), 225-237; ID., «Sobre la pildora anti-estupro: extrana
sorpresa entre moralistas de vanguardia», in Burgense 35(1994), 209-217. Si veda un nostro intervento
riguardo all'abuso sessuale sulle donne mentalmente handicappate: M. FAGGIONI, «Sessualità e affet-
tività nei disabili mentali», in Antonianum 82(2007), 125-148.
3
RAPPORTI PREAAATRIMONIALI

La pratica di rapporti sessuali di tipo coniugale al di fuori del matrimonio


sta diventando una prassi comunemente accettata dal permissivismo delle
società contemporanee. Alla base di questa prassi stanno i gravi fraintendimen-
ti ed errori di prospettiva tipici della cosiddetta rivoluzione sessuale e quindi una
banalizzazione della sessualità e dei suoi profondi significati antropologici.1

1• VALUTAZIONE ETICA

Tra i moralisti si tende a distinguere nettamente tra i rapporti prematri-


moniali in senso generico e quelli in senso stretto. Nel linguaggio comune si
chiamano spesso prematrimoniali tutti i rapporti sessuali che vengono effet-
tuati prima del matrimonio, ma senza un necessario riferimento al matrimonio.
In senso proprio i rapporti prematrimoniali, detti da qualcuno precerimoniali,
sono rapporti sessuali completi che vengono attuati in vista del matrimonio, tra
persone, quindi, che hanno l'intenzione di sposarsi e sono virtualmente pronte
ad accettare le eventuali conseguenze dei loro atti.
Riguardo ai rapporti prematrimoniali in senso generico, il rifiuto è una-
nime sia nella tradizione, sia nella teologia morale contemporanea e si esprime
in forme molto dure anche in alcuni testi considerati, per altri aspetti, progres-
sisti. Si legge, per esempio, in uno studio americano molto noto e discusso:

1
L. CICCONE, Etica sessuale, Milano 2004,155-172; G. DIANIN, Matrimonio, sessualità, fecondità,
Padova 2008,356-385; L. PADOVESE, Uomo e donna a immagine di Dio. Lineamenti di morale sessuale
e familiare, Padova 2001,113-118; G. Russo - T . FORZANO, «Problemi di bioetica sessuale», in G. Russo
(ed.), Bioetica della sessualità, della vita nascente e pediatrica, Leumann 1999,204-214; P. SCABINI - G.
CAMPANINI (edd.), Rapporti prematrimoniali e coscienza cristiana, Roma 1975; C. ZUCCARO, Morale
sessuale. Nuovo manuale di teologia morale, Bologna 1997,164-185.
222 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

Le relazioni sessuali che non diventano un'espressione di tutta la persona, che


non garantiscono la possibilità di una relazione stabile, che non esprimono la
realtà di due persone che si incontrano e vivono esclusivamente l'uno per l'al-
tro, sono forme meschine di sfruttamento, o, al massimo, un'occasione di gioco
erotico momentaneo indegno della serietà della sessualità. Questo sfrutta-
mento elude il comandamento dell'amore imposto da nostro Signore a suoi
discepoli. 2

Riguardo ai rapporti prematrimoniali in senso stretto si è avuto negli


ultimi decenni un acceso dibattito nel corso del quale non è mancato chi ha
sostenuto la liceità di rapporti sessuali prima del matrimonio nel caso di
«ferma volontà di sposarsi» e di «affetto in qualche modo già coniugale nella
psicologia dei soggetti», particolarmente nel caso di impedimenti esterni alla
celebrazione del matrimonio o nel caso di pericolo per la conservazione del
rapporto (cf. Persona humana 7). Contro questa convinzione il magistero è
decisamente intervenuto attraverso il n. 7 della dichiarazione Persona huma-
na (EV 5/1717-1745) adducendo una serie di argomenti, a conforto della posi-
zione tradizionale che considera l'unione sessuale come atto proprio dei
coniugi e che abbiamo sintetizzato nella norma generale: «Non disgiungere
l'unione sessuale dall'amore coniugale». Rimandando alla discussione su tale
norma fatta in precedenza, esaminiamo gli argomenti, indubbiamente di
valore diseguale, addotti dalla dichiarazione.
Secondo Persona humana i rapporti prematrimoniali o «prematuri» - co-
me dice appunto il documento - per quanto «fermo sia il proposito dei due»,
non sono protetti «dalle fantasie e dai capricci» né «consentono di assicurare,
nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una
donna». Ciò significa che essi sono posti in un contesto di preparazione al
matrimonio nel quale non si dà ancora la stabilità dell'unione e non esiste
ancora la certezza della piena e reciproca donazione personale.
L'unica forma di unione personale capace di conferire verità all'incon-
tro genitale tra uomo e donna è quella istituita dal Creatore e restituita alla
sua verità dal Signore Gesù (Mt 19,4-6), cioè il matrimonio. Questa persua-
sione - argomenta Persona humana - è fondata sulla Scrittura la quale, senza
dubbio, insegna che «l'unione carnale [...] non è legittima se tra l'uomo e la
donna non si instaura una definitiva comunità di vita». Lo dimostra Paolo che
in ICor 7,9 esorta a sposarsi i celibi e i vedovi che sono consapevoli di non
avere il dono e la capacità della continenza e che, in più passi (ICor 5,1-6.9; 7,2;

2
La sessualità umana. Nuovi orientamenti nel pensiero cattolico americano, Brescia 1977,127.
CAP. 3 - RAPPORTI PREMATRIMONIALI 223

10,8; Ef 5,5; lTm 1,10; Eb 13,4; ICor 6,12-20), condanna l'impudicizia, la quale
certamente comprende l'unione sessuale esterna al matrimonio.
Il magistero ha «sempre inteso e insegnato» in questo senso il dato scrit-
turistico e la coscienza della Chiesa non ha mai dissociato l'unione sessuale
compiuta in verità dall'unione definitiva dell'uomo e della donna. A questo
proposito dobbiamo, però, notare che i testi magisteriali addotti nella nota 17
a conferma della continua riproposizione di tale dottrina si riferiscono in gene-
re alla fornicazione e, nel caso di Pio XI, al matrimonio ad tempus e ad experi-
mentum? Il matrimonio, poi, non è un semplice atto cerimoniale, ma corri-
sponde alle esigenze stesse dell'unione dell'uomo e della donna nell'amore,
cioè al valore e al significato sociale di tale unione sia per la coppia stessa, sia
per il bene della prole eventuale, sia per il bene e la conservazione della comu-
nità umana. Tale valore-significato sociale è ancor più netto in contesto cri-
stiano, nel quale l'unione uomo-donna costituisce il contenuto di «un sacra-
mento di Cristo» (Persona humana 7).
Gli argomenti - come si vede - sono diversi: alcuni sono strettamente
teologici (Scrittura, tradizione, magistero); altri sono di natura antropologica e
psicologica, ma tutti convergono nella tesi di fondo che l'unione sessuale del-
l'uomo e della donna, se vuole essere vera, deve essere espressione dell'unio-
ne di due esistenze personali in una storia ormai comune e condivisa. Una
posizione simile a Persona humana 7, anche dal punto di vista argomentativo,
la si trova in Orientamenti educativi sull'amore umano 95, introducendo il
paradigma - caro a Giovanni Paolo II - della sessualità come linguaggio e
quindi accentuando l'aspetto personalistico della norma proposta. In tale testo
si insiste in modo particolare sul fatto che

le relazioni sessuali fuori del contesto matrimoniale costituiscono un disordine


grave [...] sono un linguaggio che non trova riscontro obiettivo nella vita delle due
persone, non ancora costituite in comunità definitiva con il necessario riconosci-
mento e garanzia della società civile e, per i coniugi cattolici, anche religiosa.

3
Nella nota 17 del documento sono riferiti alcuni testi magisteriali: INNOCENZO IV, Sub catho-
licae professione, 6 - 3 - 1 2 5 4 : DS 835; P i o II, Cum sicut accepimus, 1 4 - 1 1 - 1 4 5 9 : DS 1367; S. UFFIZIO,
Decreti d e l 2 4 - 9 - 1 6 6 5 : DS 2 0 4 5 , e 2 - 3 - 1 6 7 9 : DS 2 1 4 8 ; P i o X I , Casti connubii: AAS 2 2 ( 1 9 3 0 ) , 5 5 8 - 5 5 9 .
L'insegnamento di questi testi non è specifico perché essi si riferiscono alla fornicazione in genere e,
nel caso di Pio XI, al matrimonio ad tempus e ad experimentum.
224 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

2- ORIENTAMENTI PASTORALI

La castità dei fidanzati è il risultato di un'educazione all'amore che parte


dalla famiglia, la parrocchia e la diocesi.4 Essenziale è far cogliere il senso della
comunicazione sessuale come linguaggio dell'amore e quindi il valore della
donazione attuale e definitiva delle persone, quale solo si ha nel matrimonio,
che viene espressa nell'unione sessuale completa.
Dal punto di vista educativo, può essere utile ricordare ai fidanzati che l'a-
pertura ai rapporti prematrimoniali tende a diventare troppo importante e cen-
trale nella coppia, a occultare altri aspetti essenziali del loro rapporto di fidan-
zati (la conoscenza dell'altro nei suoi ideali, valori e progetti) o ad attenuarne
il rilievo. In qualche misura può creare una situazione di legame prematura che
toglie talvolta la libertà di ripensamento e rende più traumatico il distacco,
almeno per uno dei due partner. Questi motivi di natura psicologica possono
spiegare perché nonostante anni di rapporti intimi e dopo aver raggiunto una
buona intesa sessuale, già prima del matrimonio, non poche coppie vanno
incontro al fallimento. D'altra parte è inutile lottare contro le relazioni prema-
trimoniali dove il vero problema sono la fede, il rapporto personale con Dio e
soprattutto l'interiorizzazione del messaggio cristiano sulla sessualità e sull'a-
more. Perciò, alle coppie disponibili alla crescita nella fede, bisogna offrire
occasioni di incontro e di confronto, una sorta di catecumenato dei fidanzati.
In sede confessionale bisogna prima di tutto distinguere una fornicazione
semplice (di un uomo libero con una donna libera, ma al di fuori di un rappor-
to stabile di coppia) dai rapporti prematrimoniali. Bisogna evitare di essere
curiosi, invadenti, ironici o scandalizzati, ma piuttosto consigliare i fidanzati con
saggezza (ad esempio, suggerendo di non indugiare in intimità eccessive).
Quando vediamo impegno serio e motivazioni chiare, dobbiamo mostra-
re di apprezzarli e non drammatizzare i fallimenti, dovuti alla fragilità umana
e all'ambiente intensamente erotizzato in cui vivono i giovani. Essendo una
situazione di coppia, è possibile che le disposizioni (consapevolezza, penti-
mento, propositi) per il sacramento non siano le stesse per i due partner.
Ricordare infine che la castità dei fidanzati va coltivata con la preghiera, il dia-
logo con il sacerdote, la lettura della parola di Dio.

4
N. DE MARTINI, Sessualità linguaggio d'amore. La maturità sessuale aspetto della maturità glo-
bale, Cinisello Balsamo 21990, 256-280; T. STAFFORD, Aspettare insieme. Un'alternativa ai rapporti pre-
matrimoniali, Torino 21991.
CAP. 3 - RAPPORTI PREMATRIMONIALI 225

3. I RAPPORTI INTIMI

Se una coppia di fidanzati ha deciso di non avere rapporti sessuali com-


pleti, ha deciso cioè di non unirsi sessualmente prima del matrimonio, si chie-
de, però, quale grado di intimità possa essere ritenuto moralmente accettabile
nel tempo della preparazione al matrimonio.
I moralisti del passato rispondevano ricordando che le parti del corpo
devono essere distinte in parti oneste, meno oneste e disoneste e da questa
topografia dell'illecito derivavano norme di comportamento anche per i fidan-
zati.
La questione va affrontata in una prospettiva più personalista, a partire
dall'idea che l'amore umano si esprime naturalmente nel linguaggio del corpo
e che, quindi, a una crescita graduale nella conoscenza e nell'impegno recipro-
co, in vista del matrimonio, si accompagna giustamente una crescita graduale
dell'intimità. L'amore dei fidanzati, pur non essendo ancora un amore coniu-
gale, è di per sé orientato a fiorire nell'amore coniugale. La scoperta e il dono
progressivo della corporeità fanno parte della comunicazione tra due persone
che stanno camminando verso una comprensione sempre più seria e profonda
del proprio rapporto. Lo sguardo che contempla la persona amata, il bacio, la
carezza, il contatto possono costituire altrettante manifestazioni di tenerezza e
di prossimità personale che preparano a poco a poco la coppia alla sessualità
coniugale, riservando la piena e definitiva intimità fisica al momento in cui l'a-
more sarà giunto a sufficiente maturità e la fase vitale del fidanzamento si
compirà nel matrimonio.
Stabilire limiti precisi valevoli per tutti e una volta per tutte può essere
difficile e può non corrispondere alla realtà specifica e attuale di un fidanza-
mento che rappresenta sempre, per definizione, una condizione dinamica. La
coppia, nel manifestare fisicamente il proprio affetto e il proprio naturale desi-
derio, deve tenere conto del suo itinerario e della sensibilità e reattività dei
due partner in un clima di rispetto reciproco, di sincerità e di dialogo. I fidan-
zati sono chiamati a essere responsabili, saggi e onesti con se stessi, evitando
comportamenti che possono scivolare, anche senza volerlo, verso un rapporto
completo o che, comunque, possono configurare una forma, anche maschera-
ta, di genitalizzazione prematura della relazione di coppia. A questo proposi-
to il documento della Congregazione per l'educazione cattolica Orientamenti
educativi sull'amore umano al n. 96 si esprime negativamente riguardo a «certe
manifestazioni di tipo sessuale che, di per sé, dispongono al rapporto comple-
to senza però giungere alla sua realizzazione». Si allude a vicinanze e stimola-
zioni spinte tra giovani che cercano intenzionalmente l'eccitazione sessuale e
226 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

l'orgasmo, pur evitando un'unione sessuale vera e propria. Spesso ci si riferi-


sce a tali rapporti utilizzando il linguaggio americano di necking e petting. Que-
sta genitalizzazione del rapporto, se è persistente e ampiamente praticata, ha
effetti non positivi sulla vita erotica della futura coppia e spesso - soprattutto
quando si verifica tra giovanissimi - più che esprimere la tensione alla coniu-
galità autentica cade in una forma di stimolazione genitale reciproca.
4
I CATTOLICI DIVORZIATI
E RISPOSATI CIVILMENTE

La crisi dell'istituto matrimoniale e dei valori che lo sostanziavano ha


condotto a una grande instabilità dei legami matrimoniali e all'estendersi del
fenomeno delle convivenze non legalizzate, dei matrimoni per prova e di altre
situazioni matrimoniali irregolari, in un contesto di grande incertezza e di sfi-
ducia.1 La progressiva estensione delle legislazioni divorziste anche nei Paesi
di tradizione cattolica ha facilitato il moltiplicarsi di situazioni matrimoniali
irregolari che vedono fedeli sposati con rito religioso divorziare e risposarsi
civilmente. Le nuove convivenze sono legittime dal punto di vista civile, ma
non da quello canonico, e pongono i fedeli coinvolti in una situazione moral-
mente inaccettabile. Nel tentativo di risolvere questo problema umano e cri-
stiano, sono state proposte diverse soluzioni, ma esse non sono sempre condi-
visibili perché non compatibili con la dottrina matrimoniale cattolica sull'in-
dissolubilità del vincolo matrimoniale.
In questo ambito emerge con evidenza conturbante il dilemma - spesso
un falso dilemma - fra percezione soggettiva e conoscenza oggettiva della
verità, fra coscienza individuale e norma morale, fra realtà e ideale, fra miseri-
cordia e legge. La mancanza di chiarezza da parte di alcuni operatori pastora-
li, teologi e giuristi ha condotto a prassi contraddittorie che non risolvono il
problema, ma anzi accrescono la confusione nel popolo di Dio.2

1
Si veda, per la situazione italiana: F. BELLETTI - P. BOFFI - A. PENNATI, Convivenze all'italia-
na. Motivazioni, caratteristiche e vita quotidiana delle coppie di fatto, Paoline, Milano 2007: F. D'AGO-
STINO - L. SANTOLINI (edd.), Famiglie e convivenze. Nuove tensioni nella società italiana, Siena 2007;
ISTAT, Matrimoni, separazioni e divorzi. Anno 2002, Roma 2006; A. URBANO, L'instabilità coniugale in
Italia. Evoluzione e aspetti strutturali. Anni 1980-1999, Roma 2001.
2
Riprendiamo in larga parte un nostro intervento: M. FAGGIONI, «Situazioni matrimoniali irre-
golari: aspetti teologico-morali», in Crisi coniugali: riconciliazione e contenzioso giudiziario, Città del
Vaticano 2001,119-125. Per approfondire: H. FRANCESCHI, Unioni di fatto, in PONTIFICIO CONSIGLIO
PER LA FAMIGLIA, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, Bologna 2003,
835-851; A. FUMAGALLI, «Matrimonio e unioni di fatto. Quali differenze? Quali riconoscimenti?», in La
228 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

1• IL MATRIMONIO FRA DESIDERIO E FALLIMENTO

Senza dubbio l'amore umano tende alla perennità. La totalità che carat-
terizza la qualità coniugale dell'amore è attraversata dal tempo e diventa una
totalità che si dispiega nell'esistenza degli sposi come perennità dell'amore e
indissolubilità del patto nuziale che lo suggella. Se l'amore umano è fedele
sino alla morte per sua esigenza interna, come insegna Humanae vitae,3 tut-
tavia «nel matrimonio cristiano, in ragione del sacramento, consegue una
peculiare saldezza».4 L'indissolubilità del vincolo si radica - secondo la dot-
trina tridentina 5 - nel vangelo del matrimonio, cioè nella piena rivelazione e
restaurazione del progetto divino sul matrimonio che è operata da Gesù. L'a-
more umano, che di per sé tende alla totalità e alla perennità, è insidiato dal-
l'egoismo, dalla paura, dal tempo, dalla durezza del cuore, ma il Signore, libe-
rando l'uomo dalla durezza del cuore, risana le radici dell'amore umano:
paradossalmente, solo con l'aiuto della grazia sanante ed elevante l'amore
umano può essere fedele a se stesso e sviluppare tutte le sue esigenze e
potenzialità. L'indissolubilità, pur promanando dalla realtà creaturale del
matrimonio, è connessa nella sua dimensione di assolutezza e, in qualche
modo, nella sua stessa praticabilità con la grazia sacramentale propria del
matrimonio cristiano.
Nonostante il sostegno della grazia, per l'influsso di circostanze sfavore-
voli esterne e per la naturale fragilità dell'uomo, purtroppo anche il matrimo-
nio dei fedeli conosce l'esperienza del fallimento e della disgregazione ponen-
do pesanti interrogativi sul senso dell'indissolubilità e dello stesso istituto
matrimoniale, mettendo in pericolo la protezione e la tutela di eventuali figli,

Rivista del clero italiano 4(2007) 253-274: C. GIULIODORI, «Matrimonio e unioni di fatto», in Anthropo-
tes 22(2006) 17-49; D. TETTAMANZI, «Famiglia e unioni di fatto: considerazioni antropologiche ed eti-
che», in Familia et Vita 5/2(2000) 18-28; L. CICCONE, Etica sessuale, Milano 2004, 395-424; G. DIANIN,
Matrimonio, sessualità, fecondità, Padova 2008,155-194; B. HÄRING, Pastorale dei divorziati. Una stra-
da senza uscita?, Bologna 1990; A. LE BOURGEOIS, Cristiani divorziati risposati, Cinisello Balsamo
1991; G. MARCHESI, «Un problema per la Chiesa: la cura pastorale dei divorziati», in Civiltà Cattolica
(1994)1,486-495; G. MURARO, I divorziati risposati nella comunità cristiana, Milano 1994. Si veda anche
il numero monografico di CredereOggi 23(2003)136.
3
Cf. PAOLO VI, Humanae vitae, 25-6-1968, 9: «Caratteristiche e dimensioni necessarie proprie
dell'amore coniugale» («notae et necessitates coniugalis amoris propriae»).
4
CIC, can. 1056: «Unitas et indissolubilitas [...] in matrimonio christiano ratione sacramenti
peculiarem obtinent firmitatem» (cf. CIC '17, can. 1013, § 2). L'opinione prevalente, fino al Tridentino,
era che «già al matrimonio come semplice fatto naturale, conveniva che non potesse mai sciogliersi,
quantunque tale proprietà rampolli soprattutto dalla sua natura di sacramento» (Catechismus roma-
nus, p. 2, c. 8, q. 13). Alcuni teologi post-tridentini, come Azor e Vazquez, sostennero l'assoluta indis-
solubilità del matrimonio de iure naturali, ma prevalse, ripresa da Bellarmino e Sanchez, l'opinione tra-
dizionale che assolutamente indissolubile è solo il matrimonio sacramentale.
5
S. TRIDENTINA SYNODUS, Sessio XXIV, 11-11-1563, Doctrina de sacramento matrimonii: DS
1797-1799.
CAP. 4 - I CATTOLICI DIVORZIATI E RISPOSATI CIVILMENTE 229

causando, nel caso di nozze di divorziati, una situazione di frattura con la vita
ecclesiale che si coagula con l'esclusione dalla comunione eucaristica. Si tratta
di una problematica pastorale vasta e variegata che chiede di elaborare propo-
ste e percorsi il cui obiettivo sia la prevenzione e, dove possibile, la sanazione
delle situazioni matrimoniali irregolari. Non a torto l'accesso alla comunione
eucaristica dei divorziati risposati, pur essendo una questione particolare nel
contesto di un problema alquanto più articolato, essendo un'esclusione pesan-
te e densa di significati negativi, ha polarizzato l'attenzione di pastori, teologi e
giuristi, nonché - com'è ben comprensibile - dei fedeli direttamente coinvolti.
Il magistero è intervenuto in svariate occasioni sul tema. Segnaliamo in
particolare il documento pastorale dei vescovi italiani La pastorale delle situa-
zioni matrimoniali non regolari del 28 aprile 1979; i nn. 83-84 di Familiaris con-
sortio, esortazione post-sinodale pubblicata il 22 novembre 1981, che riflette i
lavori del V sinodo dei vescovi del 1980 dedicato alla famiglia; la lettera della
Congregazione per la dottrina della fede Circa la recezione della comunione
eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994.
In sintesi, i punti fermi dell'insegnamento magisteriale sono i seguenti:
- i fedeli divorziati e risposati si trovano in una situazione oggettiva-
mente contrastante con il vangelo del matrimonio;
- essi non sono esclusi dalla comunione con la Chiesa e sono chiamati a
prendere parte, per quanto possono, alla vita della comunità ecclesiale;
- la loro comunione con la Chiesa è tuttavia, a motivo della loro situa-
zione matrimoniale, imperfetta, per cui non possono accedere all'eucaristia
che di questa comunione ecclesiale è il segno.

2- VIE DI SOLUZIONE

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le ipotesi e le proposte per affron-


tare i fallimenti matrimoniali dei fedeli e per ricondurre nella pienezza della
vita ecclesiale le coppie in cui almeno un membro è un divorziato. Le questio-
ni poste dai divorziati risposati sono fondamentalmente due e devono essere
tenute distinte: la prima è la questione dogmatica della solubilità del matrimo-
nio rato e consumato; la seconda questione riguarda la prassi pastorale con-
creta, soprattutto in vista dell'ammissione alla comunione eucaristica.
Dal punto di vista teorico, riguardo alla solubilità matrimoniale, si pro-
spettano tre posizioni. Un primo gruppo di proposte perseguono la via etico-
pastorale. Esse non mettono in discussione la dottrina dell'indissolubilità che è
230 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

dottrina difficilmente tangibile, essendo contenuta in modo esplicito nel Nuovo


Testamento e insegnata con consenso unanime dalla tradizione e dal magistero.
Coloro che propongono una soluzione pastorale della questione, come
fanno per esempio i vescovi delFOberrhein, 6 si concentrano piuttosto sulla
coscienza personale e sulla relazione sacramentale soggettiva. Il problema
delle seconde nozze non è primariamente un problema canonico o dogmatico,
ma è soprattutto un problema morale: il fedele ha trasgredito al comando di
essere fedele sino alla morte del coniuge e, trattandosi di una trasgressione, è
una questione che riguarda prevalentemente la coscienza soggettiva.7 L'ultima
decisione viene pertanto rimandata alla coscienza. Dopo la trasgressione
occorreranno una presa di coscienza della colpa, un pentimento autentico e
una prova di vera conversione, dopo di che anche un divorziato risposato potrà
essere ammesso alla comunione eucaristica o, addirittura, ricevere una forma
di benedizione o di accoglienza ufficiale della nuova convivenza.
Questa proposta solleva diverse obiezioni. Prima di tutto va contro l'e-
splicito insegnamento del Nuovo Testamento e alla prassi antica sull'illegitti-
mità delle seconde nozze. In secondo luogo tende a oscurare la dimensione
ecclesiale del matrimonio cristiano a vantaggio di un certo individualismo inti-
mista e perciò sottrae il giudizio ultimo su una data situazione matrimoniale a
coloro che hanno nella Chiesa la funzione di giudicare. Soprattutto sembra
discutibile l'opposizione che insinua e quasi presuppone fra verità soggettiva,
in quanto percepita dalla coscienza, e verità oggettiva, fra verità pratica e
verità teorica e, infine, fra verità manifestata in foro interno e la sua verifica-
bilità in foro esterno. È vero che la verità è sempre una verità umana e quindi
faticosa, imperfetta, in cammino, ma, proprio perché umana, deve essere al ser-
vizio della persona e del suo bene integrale. La coscienza deve essere seguita,
ma deve anche essere illuminata per condurla alla verità oggettiva e la per-
suasione soggettiva, per la dimensione comunitaria della vita cristiana, deve
essere confermata in foro esterno. 8

6
VESCOVI DELL'OBERRHEIN, Per l'accompagnamento pastorale di persone con matrimoni falli-
ti, divorziati e divorziati risposati, 10-7-1993 (trad. it. Il Regno. Documenti [1993], 613-622).
7
Così, all'inizio degli anni '70, esponeva quest'impostazione B. SCHÜLLER, La fondazione dei
giudizi morali. Tipi di argomentazione etica nella teologia morale cattolica, Assisi 1975, 120: «Nella
discussione che oggi se ne fa, si può osservare la tendenza a interpretare l'indissolubilità del matrimo-
nio immediatamente come imperativo morale per una fedeltà fino alla morte [...]. Supponiamo ora
che uno abbia infranto la sua promessa di fedeltà coniugale e che viva con un altro partner in un secon-
do matrimonio contratto secondo le leggi civili. Sul piano morale costui può aver peccato mortalmen-
te. Nello stesso tempo però egli in genere non si trova più di fatto in condizione di riparare il male arre-
cato [...]. Egli ha però sempre aperta la possibilità di pentirsi della sua colpa morale. Una volta realiz-
zata questa possibilità, non si capisce perché non debba essergli permessa l'eucaristia».
8
Cf. A. FUMAGALLI, «Le situazioni matrimoniali irregolari. Disciplina ecclesiale e misericordia
evangelica», in La rivista del clero italiano (2004)7/8,530-540.
CAP. 4 - I CATTOLICI DIVORZIATI E RISPOSATI CIVILMENTE 231

Se la via pastorale cerca di aggirare, con il ricorso alla coscienza perso-


nale, la questione dell'indissolubilità, la via dogmatico-canonica prende di
petto la questione e si propone di riesaminare la stessa dottrina dell'indissolu-
bilità. Alcuni autori suggeriscono di ricorrere ali 'economia ortodossa che
demanda ai vescovi il giudizio sull'ammissione a una benedizione delle secon-
de nozze in particolari casi, prassi che si fonda su una lettura dell 'eccezione
contenuta in Mt 5,32 e 19,9. A parte il fatto che il richiamo all'economia greca
rivela non di rado la precomprensione che i greci siano più corrivi dei cattoli-
ci nella prassi matrimoniale, bisogna osservare che l'esercizio dell 'economia
presuppone un'ecclesiologia e una concezione dello ius canonicum ben diver-
se da quelle cattoliche.9
Altri hanno pensato alla possibilità che la Chiesa possa dare la dispensa-
no dal vincolo contratto, così come dispensa dai voti religiosi. Su questa linea,
più radicalmente, si è pensato a un'estensione della potestas clavium vicaria sul
matrimonio rato e consumato. Se è vero infatti che esiste un'indissolubilità
intrinseca ed estrinseca del matrimonio valido, la Chiesa ha sempre rivendica-
to, però, un suo potere sul matrimonio in quanto depositaria di una potestas
clavium vicaria. Tale potere si estende al matrimonio legittimo (matrimonio
valido e consumato tra due non battezzati) specialmente «ex privilegio pauli-
no in favorem fidei»,10 e al matrimonio non consumato, sia quello tra battez-
zato e non battezzato, sia quello sacramentale fra due battezzati.11 Il potere
della Chiesa non comprende lo scioglimento del matrimonio rato e consumato
che «non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa,
tranne che dalla morte».12
La dottrina tradizionale sul senso, il limite e il valore del potere della
Chiesa in questa materia è stata bene espressa da Pio XII:

Per la indissolubilità o dissolubilità del matrimonio non può nella Chiesa valere
altra norma e prassi se non quella stabilita da Dio, autore della natura e della
grazia. Al quale riguardo due sono i passi dei Libri santi che in un certo modo
indicano i limiti entro i quali la soluzione del vincolo deve rimanere e che esclu-
dono sia il lassismo odierno sia il rigorismo contrario alla volontà e al mandato
divino. L'uno è: quod Deus coniunxit, homo non separet (Mt 19,6); vale a dire,

9
Tra i fautori di questa via: B. HARING, Pastorale dei divorziati. Una strada senza uscita?, Bolo-
gna 1990 (soprattutto 43-55); A. LE BOURGEOIS, Chrétiens divorcés remariés, Paris 1990 (soprattutto
140-155).
10
Cf. C/C, can. 1143, § 1. Si veda: L. SABBARESE - E. FRANK, Scioglimento in favorem fidei del
matrimonio non sacramentale. Norme e procedura, Roma 2010.
11
Cf. C/C, can. 1142.
12
C/C, can. 1141.
232 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

non l'uomo, ma Dio può separare i coniugi e quindi è nulla la separazione ove
Dio non scioglie il loro vincolo. L'altro è: Non servituti subiectus est frater aut
soror [...]; in pace autem vocavit nos Deus (ICor 7,15); vale a dire, non vi è più
servitù né vincolo ove Dio lo scioglie e permette così al coniuge di passare leci-
tamente a nuove nozze.
In ogni caso, la norma suprema seconda la quale il Romano Pontefice fa uso
della sua potestà vicaria di sciogliere matrimoni, è quella che già in principio
abbiamo additata come la regola dell'esercizio del potere giudiziario nella Chie-
sa, vale a dire la salus animamm, per il cui conseguimento così il bene comune
della società religiosa e in generale dell'umano consorzio, come il bene dei sin-
goli trovano la dovuta e proporzionata considerazione.13

Alcuni autori hanno pensato che la Chiesa potrebbe in futuro prendere


coscienza di possedere il potere di sciogliere anche matrimoni rati e consuma-
ti che venissero a trovarsi in situazioni particolari. Questa estensione della
potestas clavium è stata respinta dalla citata lettera della Congregazione che
parla, a proposito dell'indissolubilità, di «disposizioni del diritto divino, sulle
quali la Chiesa non possiede alcun potere di dispensa».14
Altri hanno proposto di riconsiderare la nozione di consummatio che -
com'è ben noto - ha conosciuto un lungo travaglio teorico sino alla sua siste-
mazione nell'ambito dello ius canonicum medievale.15 L'introduzione della
nozione di consumazione psicologica, accanto a quella usuale di consumazio-
ne fisica, può permettere di estendere il campo dell'inconsumazione, ma este-
nua certamente l'idea classica di consummatio da riportarsi alla categoria, cara
al diritto germanico, di traditio.
Suggestiva, infine, l'ipotesi di don Basilio Petrà che parte dalla valo-
rizzazione del tema tradizionale della casta viduitas e dell'idea della perma-
nenza di un vincolo di relazioni e di affetti anche dopo la morte del coniu-
ge.16 Il vincolo sponsale cristiano, in altre parole, non sarebbe sciolto nep-
pure dalla morte e l'ammissione alle seconde nozze dopo la morte fisica di
un coniuge sarebbe possibile solo per una concessione della Chiesa. Per il

13
Pio XII, Allocuzione ai giudici della Rota Romana, 3 ottobre 1941, in AAS 33 (1941) 425-426.
14
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Circa la ricezione della comunione eucari-
stica da parte dei fedeli divorziati risposati, 6; cf. CCC 1640.
15
J.A. CORIDAN, The indissolubility added to the Christian marriage by consummation, Roma
1961; W. KELLY, Pope Gregory on Divorce and Remarriage, Roma 1976; L. LIGIER, Il matrimonio que-
stioni teologiche e pastorali, Roma 1988, 62-72; 84-98; M. MACCARONE, «Sacramentalità e indissolubi-
lità del matrimonio nella dottrina di Innocenzo III», in Lateranum 44(1978), 449-514. La consummatio
(dal verbo consummari, condurre a compimento) definisce il momento perfettivo del matrimonio: gli
antichi canonisti distinguevano fra matrimonium initiatum e matrimonium perfectum o consummatum.
16
B. PETRÀ, Il matrimonio può morire? Studi sulla pastorale dei divorziati risposati, Bologna
1996 (con ampia bibliografia).
CAP. 4 - I CATTOLICI DIVORZIATI E RISPOSATI CIVILMENTE 233

matrimonio cristiano l'effetto dissolvente della morte è quindi fondato


estrinsecamente in un ambito di sapore giuridico. Ci si chiede se la Chiesa
non potrebbe estendere questo permesso di accedere alle seconde nozze
dopo la morte fisica del coniuge, nonostante il permanere del vincolo spiri-
tuale, anche ad altri casi di matrimoni rati e consumati. Il punto debole della
teoria sta nell'affermazione della permanenza del vincolo coniugale dopo la
morte perché contraddice la persuasione che la realtà matrimoniale, così
come la realtà sessuale, sia intimamente connessa con la struttura del
mondo presente e non travalichi i confini della morte. Non si può cercare di
risolvere una situazione intricata attraverso il ricorso a principi teorici non
dotati di sufficiente certezza.
Il limite di tutte queste proposte è che tendono ad affermare che il matri-
monio cristiano sia, in pratica, dissolubile, contro la costante persuasione della
Chiesa cattolica. La via percorsa dal magistero non consiste nella revisione
della dottrina dell'indissolubilità, che è certo di difficile tangibilità, né prevede
l'introduzione di una prassi pastorale che potrebbe oscurare la dottrina tradi-
zionale, ma va nella direzione di un approfondimento delle condizioni che sta-
biliscono la capacità dei nubendi di emettere un valido consenso nuziale e
verso una più attenta considerazione dell'attitudine e della capacità dei nuben-
di ad assumere gli oneri e gli obblighi derivanti dal matrimonio. La tendenza a
essere più esigenti nelle condizioni richieste ai nubendi per emettere un vali-
do consenso, con particolare riferimento alla loro maturità umana, è evidente
nel C/C, specie nel can. 1095 che recita:

Sono incapaci di contrarre matrimonio: 1°, coloro che mancano di sufficiente uso
di ragione; 2°, coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i
diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente; 3°,
coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essen-
ziali del matrimonio.

Ricordiamo, per inciso, la differenza tra annullamento e scioglimento del


matrimonio. Si riconosce la nullità di quel matrimonio che, a vario titolo
(impedimenti dirimenti, vizi del consenso, esclusione formale dei fini del
matrimonio o delle sue proprietà essenziali ecc.), contiene una causa di nullità
fin dall'inizio, ogni annullamento e sempre l'affermazione/riconoscimento del-
l'esistenza di uno o più capi di nullità fin dal momento costitutivo del matri-
monio. Si scioglie un legame che esiste previamente; perciò ci può essere scio-
glimento solo se c'è un vero matrimonio.
Il diritto canonico, quindi, si è mosso nella direzione di un virtuale allar-
gamento delle possibilità di provare in foro esterno la nullità di un matrimonio,
anche «allo scopo di escludere per quanto possibile ogni divario tra la verità
234 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

verificabile nel processo [canonico di nullità] e la verità oggettiva conosciuta


dalla retta coscienza».17

3. ATTEGGIAMENTI PASTORALI:
PREVENIRE, CURARE, ACCOGLIERE

Le crisi matrimoniali dei fedeli, soprattutto delle coppie più giovani, e le


situazioni matrimoniali irregolari sono ormai un caso serio che sta attirando
sempre più l'attenzione e la cura dei pastori.18 Senza entrare nella vasta pro-
blematica psicologica e pastorale, qui vorremmo semplicemente indicare,
come conclusione, alcune direzioni di intervento sintetizzate nei tre verbi pre-
venirecurare, accogliere.
La prevenzione inizia da lontano, dall'educazione familiare, parrocchiale
e scolare dell'infanzia e dell'adolescenza: prima di tutto bisogna educare i gio-
vani a comprendere la propria esistenza in tutte le sue dimensioni in un oriz-
zonte di fede, ad accogliere la propria sessualità come potenzialità d'amore e
di dono, a sviluppare relazioni umane sane, autentiche, sincere, ad assimilare il
valore e il senso positivo del sacrificio, dell'oblatività, della croce. Un'im-
portanza tutta particolare ha l'annuncio integrale e coraggioso della visione
cristiana del matrimonio come sacramento di Gesù Cristo che consacra l'amo-
re umano.
La cura delle famiglie in difficoltà richiede una mobilitazione congiunta
e articolata di forze e di interventi che non possono ridursi a contatti sporadi-
ci, ma richiedono itinerari lunghi e spesso faticosi e l'impegno di persone com-
petenti. La comunità cristiana dovrà farsi promotrice e animatrice di consul-
tori familiari per sostenere le famiglie in crisi e di specifica terapia familiare
per i gruppi malati dal punto di vista psicologico e relazionale. Dovrà anche
essere capace di mettere a disposizione dei coniugi in crisi quegli aiuti spiri-
tuali che possono sanare, con la forza della fede, le piaghe profonde del cuore,

17
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Circa la ricezione della comunione eucari-
stica da parte dei fedeli divorziati risposati, 9; cf. P. BIANCHI, «Nullità di matrimonio non dimostrabili.
Equivoco o problema pastorale?», in Quaderni di diritto ecclesiale (1993)6,280-297.
18
Dal magistero episcopale, oltre ai citati documenti dei vescovi italiani e dell'Oberrhein, ricor-
diamo: CEI, Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa italiana, Roma 1993,166-191; COMMISSION
FAMILIALE DE L'ÉPISCOPAT, Les divorcés remariés dans la communauté chrétienne, Paris 1992; cf. R.L.
BURKE, «I divorziati risposati in un recente documento della Chiesa in Francia», in Quaderni di dirit-
to ecclesiale (1993)6, 261-279. Segnaliamo il numero della rivista del Pontificium Consilium pro fami-
lia interamente dedicato al nostro tema: Familia et vita 2(1997), 2.
CAP. 4 - I CATTOLICI DIVORZIATI E RISPOSATI CIVILMENTE 235

soprattutto attraverso una rinnovata fedeltà alla grazia matrimoniale, la vita di


preghiera, l'atteggiamento umile di conversione culminante nel sacramento
della riconciliazione.
Di fronte a una situazione matrimoniale irregolare e in modo partico-
lare nei confronti dei fedeli divorziati e risposati, occorrerà manifestare un
atteggiamento di accoglienza che, senza svigorire la dottrina cattolica sull'in-
dissolubilità, riveli la misericordia della Chiesa. Prima di tutto, bisogna stare
attenti a non sciupare le occasioni di incontro e di dialogo con i divorziati, i
conviventi e gli altri irregolari, ma cercare di conoscere i loro problemi e le
eventuali accuse che muovono alla Chiesa. I fedeli cercano in noi il volto
della mansuetudine e della misericordia della Chiesa madre e non il volto
arcigno della matrigna.
Quando ci sia un contesto ben disposto e si intravedono elementi di nul-
lità, si consigli di verificare la possibilità di regolarizzare la situazione matri-
moniale. Se gli elementi di nullità non sono dimostrabili in foro esterno (tri-
bunale ecclesiastico), ma sono accertati con sicurezza morale, secondo alcuni il
confessore può autorizzare ad accostarsi ai sacramenti. Questa opinione è
stata discussa e riprovata nella lettera della Congregazione, che, senza negare
possibili discrepanze fra verità oggettiva e verità dimostrabile con prove in tri-
bunale, dichiara che

la comunione sacramentale con Cristo include e presuppone l'osservanza, anche


se talvolta difficile, dell'ordinamento della comunione ecclesiale, e non può esser
retta e fruttifera se il fedele, volendo accostarsi direttamente a Cristo, non rispet-
ta questo ordinamento [n. 9].

Quando il primo matrimonio è certamente valido, bisogna distinguere in


sede pastorale fra coniuge colpevole e coniuge innocente: in pratica il coniuge
innocente si vede negato l'accesso ai sacramenti come il colpevole, ma la per-
sona apprezza il riconoscimento della propria innocenza. Sarà bene tener pre-
sente che alcune persone ritengono di non potersi accostare ai sacramenti per
il solo fatto di essere separate o di aver dovuto subire il divorzio: se non ci sono
altre colpe, chi non si è risposato non ha motivo di stare lontano dai sacra-
menti. L'accesso ai sacramenti per i divorziati risposati può avvenire solo sotto
condizioni molto restrittive:19

19
F . R . AZNAR - J.R. FLECHA ANDRES, « A d m i s i ó n a la c o m u n i ó n e u c a r ì s t i c a d e l o s d i v o r c i a d o s y
casados civilmente de nuevo», in Salmanticensis 42(1995), 235-277; G. MARCHESI, «Un problema per la
Chiesa: la cura pastorale dei divorziati», in Civiltà cattolica (1994)1,486-495; M.F. POMPEDDA, «La que-
stione dell'ammissione ai sacramenti dei divorziati civilmente risposati», in Notitiae (1992)28,472-483.
236 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: MATRIMONIO E FAMIGLIA

- se la situazione irregolare è irreversibile e dividere la seconda famiglia sareb-


be fonte di nuovi mali;
- se si constata un sincero proposito di interrompere la vita sessuale di tipo coniu-
gale e l'impegno a trasformare il vincolo in amicizia, stima, aiuto (ci si deve fidare
delle parole del penitente e chiedere al Signore il dono del discernimento);
- se non c'è pericolo di scandalo o turbamento tra i fedeli che sono al corrente
della situazione irregolare.

Non si chiederà mai con sufficiente insistenza a tutta la comunità cristia-


na, pastori e fedeli, un'accoglienza davvero fraterna per queste creature che
soffrono: qualunque sia la situazione in cui questi coniugi vivono, qualunque
sia la loro posizione canonica, si tratta sempre di fratelli e di sorelle cristiani,
di persone ferite nell'amore. Il sostegno caldo e solidale della comunità può
aiutare una coppia a superare momenti di crisi anche profonda e può evitare
che un coniuge separato o abbandonato si impegni precipitosamente in un
nuovo legame più per disperata solitudine che per una libera volontà.
Il problema delle situazioni matrimoniali irregolari, come si può intuire,
va ben oltre la questione dogmatica o canonica, ma rappresenta tutto un
mondo di disagio e di confusione che attende, spesso senza esserne consape-
vole, la luce di verità e l'abbraccio di misericordia della madre Chiesa.
SEZIONE SECONDA

QUESTIONI
ETICO-PASTORALI
Parte seconda:
Disordini sessuali
Dopo aver studiato alcune questioni emergenti nel campo della morale
matrimoniale, vedremo alcune situazioni fra loro molto diverse che potremmo
raccogliere sotto il titolo generale di disordini dell'area sessuale.
Vedremo dapprima un comportamento ubiquitario e polimorfo, quello
della masturbazione (capitolo 1) espressioni di dinamiche personali diverse e
bisognoso di una analisi non superficiale. Per forza di cose molto articolato
sarà il capitolo dedicato alla condizione omosessuale, condizione variegata e in
qualche modo sfuggente, in cui ogni tentativo di comprensione sembra sfidare
le coordinate antropologiche e normative in cui si è strutturato Yethos cristia-
no (capitolo 2). Il capitolo seguente sarà dedicato alla pedofilia, una delle
patologie del comportamento sessuale note come parafilie, presenti da sempre
nella tassonomia delle perversioni, ma ultimamente fatta oggetto di approfon-
dita considerazione per i suoi inquietanti riflessi sociali (capitolo 3). Vedremo
poi i problemi legati a un anomalo sviluppo del sesso corporeo, generalmente
noti come stati intersessuali o disordini dello sviluppo sessuale (capitolo 4). Per
l'importanza che ha l'esperienza del corpo nella crescita armonica della ses-
sualità personale, si comprende la ferita, a volte profonda, causata da queste
patologie. Affronteremo, quindi, il vissuto transessuale, esperienza devastante
di un'opposizione fra sesso corporeo e sesso psichico e, in particolare, tra feno-
tipo e identità di genere (capitolo 5).
Nell'affrontare questioni così scottanti avremo bisogno di ricorrere ai
dati offerti dalle scienze mediche e psicologiche, ma senza dimenticare che la
forma caratterizzante la nostra riflessione deve essere quella teologica. Scrive-
va, a questo proposito, Giannino Piana:

Proprio la ricerca scientifica, se assunta nella globalità dei suoi contributi, evi-
denzia la ricchezza inesauribile di potenzialità e di significati reconditi che la ses-
sualità possiede. Paradossalmente si può dire che quanto più essa è fatta ogget-
240 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

to di analisi scientifica, tanto più emerge nella sua profonda mistericità. Per que
sto i dati delle scienze non vanno assolutizzati, bensì interpretati mediante l'uti
lizzazione di categorie filosofiche, che consentano di verificare l'attendibilità e 1,
correttezza dei processi mediante i quali le scienze e le ideologie si sviluppano i
di pervenire, nello stesso tempo, all'individuazione di alcune strutture portant
dell'esperienza sessuale, per coglierne i significati ultimi ed irrinunciabili.1

Anche muovendosi nell'ambito dei disordini, sarà, pertanto, necessarie


tenere continuamente presente il modello di antropologia sessuale teologica
da noi delineato in precedenza e assumere a fondamento della nostra rifles-
sione un'adeguata comprensione teologica della sessualità. In caso contrario la
nostra riflessione non potrebbe caratterizzarsi come teologica in senso stretto
e rischierebbe di lasciarsi condizionare da prospettive parziali e unilaterali,
soprattutto di tipo scientifico o sociologico, come più spesso si constata ai
nostri tempi, o anche di tipo filosofico, come è accaduto in passato con le teo-
rie sessuali ereditate dall'antichità. Anche i dati della sessuologia scientifica
infatti, per quanto sicuri e correttamente prodotti, non possono essere assunti
tali e quali dal discorso teologico senza un'opportuna mediazione filosofica,
che metta in pericoresi ermeneutica l'antropologia sessuale empirica, quella
filosofica e infine quella teologica.
D'altra parte la teologia, perché il dialogo interpretante sia circolare,
deve restare in attento ascolto dei problemi che emergono nell'umanità e far
tesoro dei progressi e delle conquiste dell'ingegno umano e dell'esperienza che
si va accumulando nei secoli come dote spirituale permanente, deve lasciarsi
interrogare e istruire, pronta a ripensare se stessa quando un mutamento nella
comprensione scientifica o filosofica dell'uomo può influire in senso veritativo
e chiarificatore sul suo peculiare orizzonte antropologico.

1
G. PIANA, «Orientamenti di etica sessuale», in T. GOFFI - G. PIANA (edd.), Corso di morale, 2:
Diakonia. Etica della persona, Brescia 2 1990,270.
1
LA MASTURBAZIONE

Per masturbazione, detta anche, con sfumature diverse, ipsazione o


autoerotismo, si può intendere ogni manipolazione, diretta o indiretta, tramite
strumenti, degli organi genitali finalizzata all'ottenimento del piacere dell'or-
gasmo al di fuori dell'unione sessuale.1
La parola masturbano compare negli autori latini solo a partire da Mar-
ziale nel I secolo d.C. e la sua etimologia è controversa, forse da manustupra-
re, compiere un atto sessuale con la mano.2 Nella tradizione morale si soleva
parlare di pollutio o di mollities o, più genericamente, di immunditia. Si ricorse
anche a eufemismi, come vizio solitario, e solo più tardi è invalso il termine
onanismo, riferito impropriamente al biblico Onan (cf. Gen 38).3

1• FREQUENZA E TIPOLOGIA

La diffusione della masturbazione è notevole specialmente nella popola-


zione maschile, in misura un po' minore nella popolazione femminile. Si tratta
di un comportamento tipico dell'età preadolescenziale e adolescenziale, ma si
presenta con frequenza non irrilevante anche nella popolazione adulta dei due

1
II Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2352 definisce la masturbazione come «l'eccitazione
volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un piacere venereo».
2
Cf. J.N. ADAMS, The latin sexual vocabulary, Baltimore 1990, 209-211. In latino, stando agli
autori e alle testimonianze epigrafiche, per indicare il masturbare si ricorreva più comunemente ad
altri termini: frico e sollicito, contrecto, tero ecc.
3
G. CAPPELLI, «Autoerotismo», in Nuovo dizionario di teologia morale, 60-70; L. CICCONE,
Etica sessuale, Milano 2004,143-154; A. PLÈ - A. RIVA - L. Rossi, La masturbazione. Profilo teologico,
psicologico, morale e pastorale, Torino 1968; G. Russo - T . FORZANO, «Problemi di bioetica sessuale»,
in G. Russo (ed.), Bioetica della sessualità, della vita nascente e pediatrica, Leumann 1999,184-192. M.P
FAGGIONI, «Il peccato segreto: la masturbazione fra storia e morale», in Studia Moralia 48(2010) 143-
193.
242 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

sessi. In uno studio statunitense pubblicato nel 2007 relativo a soggetti fra i 18
e i 60 anni, riferisce atti masturbatori il 61% dei maschi e il 38% delle femmi-
ne.4 In uno studio del 2008 riferito alla popolazione inglese, è risultato che
nella fascia dei soggetti fra i 16 e i 44 anni si era masturbato nel mese antece-
dente l'inchiesta il 73% degli uomini e il 36.8% delle donne e dati provenien-
ti da studi diversi sono sostanzialmente sovrapponibili a questi.5 In uno studio
statunitense dedicato alla popolazione anziana, fra i 57 e gli 85 anni, è risulta-
to che nell'anno precedente l'inchiesta avevano avuto un'attività masturbato-
ria circa il 52% degli uomini e il 23% delle donne, senza grandi differenze fra
persone con relazioni di coppia o singole.6
Dal momento che la pratica masturbatoria risponde a motivazioni e
dinamiche personali diverse, per una corretta formulazione del giudizio mora-
le nei singoli casi e per una fruttuosa opera di educazione occorre tener conto
dei diversi contesti esistenziali nei quali tale pratica si colloca.7 Dal punto di
vista etico e pastorale sembra utile, pertanto, distinguere diverse situazioni.
Nella masturbazione infantile, più frequente verso gli 8-10 anni, prevale
la semplice ricerca di gratificazione fisica, mancando la consapevolezza del
significato sessuale dell'atto e non essendo presenti fantasie erotiche struttu-
rate. La masturbazione adolescenziale è legata alle tipiche dinamiche psicofisi-
che della pubertà e si accompagna, di regola, a fantasie erotiche. È l'espressio-
ne di una sessualità che tende alla sua piena definizione, ma che si trova anco-
ra in una fase immatura, segnata dall'ondeggiare tra il ripiegamento narcisisti-
co e l'apertura alla relazione di tipo adulto.8 Il corpo che, con i suoi rapidi cam-
biamenti, sgomenta l'adolescente, viene scoperto come corpo sessuato e, in
quanto tale, fonte di piacere. Non di rado l'adolescente mette in atto compor-
tamenti masturbatori come compensazione a livello genitale di conflitti extra-
sessuali e quindi come segno di reazione, protesta o rivalsa dinanzi a frustra-
zioni di varia natura. La masturbazione a scopo compensatorio, comune a livel-

4
D.A.S. ANIRUDDHA, «Masturbation in the United States», in Journal of sex and marital the-
rapy (2007)33,301-317.
5
M . G . ERRESU - C. MERCER - C . A . GRAHAM et al, « P r e v a l e n c e of m a s t u r b a t i n g a n d a s s o c i a -
ted factors in a british national probability survey», in Archive of Sexual Behaviour (2008)37,266-278.
6
S. TESSLER LINDAU - L.P. SCHÜMM - E . O . LAUMANN et al., « A s t u d y o f s e x u a l i t y a n d h e a l t h
among older adults in the United States», in New England Journal of Medicine (2007)335,162-11A.
Tenendo conto che non di rado le difficoltà sessuali dell'età portano a praticare la masturbazione reci-
proca, nel questionario si specificava che per masturbazione si intende «stimulating your genitals (sex
organs) for sexual pleasure, not with a sex partner». I dati medi sono riferiti a tutta la popolazione stu-
diata ma, com'è intuibile, scorporando i dati, si constata che l'attività masturbatoria, così come l'atti-
vità sessuale in genere, declina con l'età; cf. J. DELAMATER - S.M. MOORMAN, «Sexual behavior in later
life», in Journal of aging health (2007)19, 921-945.
7
Cf. I.M. MARCUS - J.J. FRANCIS (edd.), Masturbation. From infancy to senescence, N e w York
1995.
8
T. SHAPIRO, «Masturbation, sexuality, and adaption: normalization in adolescence», in Journal
of the american psychoanalytic association (2008)56,123-146.
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 243

lo genitale di disagi sessuali ed extrasessuali, può prolungarsi anche nell'età


adulta e senile e permanere accanto a un esercizio più maturo della sessualità
di coppia. Nell'adulto, accanto alla masturbazione compensatoria, esiste anche
una masturbazione di carattere semplicemente edonistico, spesso nell'ambito
di un'attività genitale disordinata, ma non di rado compare anche fra persone
sposate insoddisfatte della loro vita sessuale o come pratica sessuale alternati-
va in contesto coniugale.
Chiamiamo masturbazione compulsiva un comportamento masturbato-
rio frequente e incoercibile che può essere sintomo o di una patologia psichia-
trica, quale la schizofrenia, o, più spesso, di quell'entità discussa e dai margini
un po' vaghi attualmente denominata sex addiction o dipendenza dal sesso. La
DSM-IV non ha una categoria nosografica distinta che corrisponda alla sex
addiction, ma, sotto la denominazione generica di «disordini sessuali non altri-
menti specificati», descrive una serie di sintomi che rientrano nella sex addic-
tion quali «ricerca compulsiva di partner multipli, fissazione compulsiva su un
partner irraggiungibile, masturbazione compulsiva, relazioni amorose compul-
sive e sessualità compulsiva in una relazione».9 La masturbazione compulsiva
può essere l'unico sintomo della sindrome o può accompagnarsi con altre
manifestazioni di natura ripetitiva e incontrollabile.
Ben diversa dalla masturbazione compulsiva è la manipolazione dei
genitali, talora fino all'orgasmo, associata a flogosi ai genitali che il soggetto,
sia maschio sia femmina, cerca di mitigare attraverso manipolazioni e sfrega-
menti ripetuti. A parte deve essere considerata, infine, la masturbazione su
indicazione medica (ad esempio, per verificare la fertilità del seme o per dia-
gnosticare un'infezione urogenitale).

2- VALUTAZIONE ETICA

Per gli antichi non pare che l'attività masturbatoria creasse imbarazzo
e difficoltà.10 In alcuni miti di origine egizi, la genealogia degli dei derivereb-

9
R. IRONS - J.P. SCHNEIDER, «Differential diagnosis of addictive sexual disorders using the
D S M - I V » , in Sexual addiction & compulsivity ( 1 9 9 6 ) 3 , 7 - 2 1 ; D.J. STEIN - D . W . BLACK - W. PIENAAR,
«Sexual disorders not otherwise specified: compulsive, addictive, or impulsive?», in CNS spectr.
(2000)5, 60-64.
10
Negli ultimi anni, spesso ispirandosi alle suggestioni di M. Foucault e della scuola costru-
zionista, si sono moltiplicati gli studi sulla comprensione della masturbazione nel tempo, essendo la
comprensione del fenomeno masturbatorio strettamente connessa con la comprensione generale
della sessualità e, quindi, del sé: P. BENNEYY - V.A. ROSARIO (edd.), Solitary pleasures: the historical,
244 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

be dal seme sparso dal dio Atum attraverso un atto masturbatorio. La


masturbazione non era un'attività riprovata neppure dai greci, anche se fu
ritenuto un'infrazione delle regole sociali e una mancanza di pudore (anei-
deià) l'uso di Diogene di Sinope (ca. 390-325 a.C.) il quale, coerente con i det-
tami della scuola cinica da lui iniziata, praticava la masturbazione in pubbli-
co, quale libera espressione della naturalità dell'uomo contro le convenzioni
sociali.11 Non mancano notizie neppure sulla masturbazione femminile. Le
tribadi, donne invasate dal furore orgiastico del dio Dioniso, erano dette così
perché indulgevano nel masturbarsi o nel masturbare le compagne e, in
greco, tribo significa appunto «strofino». Gli scrittori ci attestano, spesso con
compiaciuta malizia, l'uso di strumenti usati dalle donne per stimolarsi da
sole o a vicenda, come si legge nel VI mimiambo di Eronda Le donne a col-
loquio segreto, dove l'oggetto del colloquio sono, appunto, i falli di cuoio scar-
latto (detti baubònes) preparati dal calzolaio Cerdone e molto apprezzati - a
quanto pare - dalle signore.12
Nella Scrittura i testi che alludono alla masturbazione sono pochi e di
significato incerto. Nel Vecchio Testamento l'unico testo che può far pensare
direttamente alla masturbazione è Sir 23,16-17 dove si parla di «un uomo
impudico nel suo corpo». L'episodio narrato in Gen 38 di Onan che, obbligato
dalla legge del levirato a unirsi alla cognata Tamar, rimasta vedova, «sparge il
seme a terra», si riferisce chiaramente al coitus reservatus e Onan, fra l'altro,
non è punito per questo, ma per la sua trasgressione alla legge del levirato: non
del tutto fondato, quindi, l'appellativo di onanismo con cui si prese a indicare
dal XVIII secolo il comportamento masturbatorio. Nel Nuovo Testamento non
si parla mai direttamente della masturbazione perché l'interpretazione tradi-
zionale del malakòi di ICor 6,9 come riferito a coloro che praticano la mastur-
bazione (in latino mollities) oggi in genere non è più accettata dagli esegeti.
La tradizione, nell'ambito della sua lettura prevalentemente procreazio-
nista della sessualità, condanna la masturbazione in quanto opposta alla fina-
lità del sesso e all'uso naturale delle potenze generative, ma - stando ai testi in
nostro possesso - nei primi secoli cristiani non sembra che la masturbazione
sia stata messa bene a fuoco come problema a sé stante, ma piuttosto compre -

literary, and artistic discourses of auto eroticism, New York 1995; T.W. LAQUEUR, Solitary sex: a cultu-
ral history of masturbation, New York, 2003 (trad. it. Sesso solitario. Storia culturale della masturba-
zione, Milano 2007).
11
DIOGENE LAERZIO, Vitae philosophorum V I , 69; cf. DIONE CRISTOSTOMO, Discorso VI, Con-
tro la tirannide 16-20; PLUTARCO, De stoicorum repugnantiis 1044b. Dobbiamo anche segnalare alcune
testimonianze letterarie latine in cui si dimostra una certa riprovazione della masturbazione dell'adul-
to: MARZIALE, Epigrammi II, 104; 9,42; 14,203: Murat. 927,15.
12
ERONDA, Mimiambi VI. Questo strumento era denominato anche òlisbos; cf. ARISTOFANE,
Lysistrata 109; CRATINO, frag. 78.
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 245

sa nel contesto del generale invito etico-ascetico alla castità.13 Con l'affinarsi
dell'elaborazione morale e con la tematizzazione del significato procreazioni-
sta della sessualità, la masturbazione venne messa sempre più in evidenza
come trasgressione del retto uso delle facoltà generative.
I penitenziali medievali prevedevano pene specifiche per gli atti mastur-
batori e, benché si trattasse di pene più miti che per altri disordini sessuali, ci
colpiscono per il loro rigore. Uno dei più antichi, se non il più antico, il Peni-
tenziale di san Colombano, prescriveva «per il peccato di masturbazione un
anno di digiuno, se il colpevole è ancora giovane».14 Più indulgente il Peniten-
ziale di Teodoro di Tarso, che prevedeva quaranta giorni di penitenza per la
masturbazione nell'uomo e nella donna. 15
Con Incmaro di Reims nel IX secolo,16 ma soprattutto con il Liber
gomorrhianus di san Pier Damiani nell'XI secolo, diventerà comune accostare
la masturbazione degli adulti alle pratiche sodomitiche fra maschi nell'ambito
dei peccati contro natura i quali comportano una dispersione di seme al di fuori
dell'unione sessuale procreativa.17 San Tommaso si muove nella duplice pro-
spettiva del retto uso del piacere sessuale e della conformità degli atti sessuali
alle dinamiche della natura umana e spiega che, fra i peccati di lussuria, espres-
sione del vizio di intemperanza, il vizio contro natura ha un particolare motivo
di deformitas, perché è contrario al significato umano della sessualità. La prima
di queste trasgressioni della regola della natura è, appunto, la polluzione volon-
taria fuori dell'atto sessuale, detta anche immunditia, impurità, o mollities.ls

13
Si vedano oltre alle opere citate nella nota 3: G. CAPPELLI, Autoerotismo. Un problema mora-
le nei primi secoli cristiani?, Bologna 1986; D. ELLIOTT, Fallen bodies: pollution, sexuality, and demo-
nology in the middle ages, Philadelphia (Penn.) 1998.
14
C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, Leumann 1970,92. Sembra davvero ecces-
sivo - per la nostra sensibilità - un anno di digiuno per un atto masturbatorio, tenendo conto che l'o-
micidio e la sodomia sono puniti nel medesimo Penitenziale con dieci anni di digiuno e la fornicazio-
ne di un diacono con una donna, in caso di peccato occulto, con cinque anni di digiuno. Ricordiamo,
comunque, che le penitenze potevano essere commutate secondo equivalenze prestabilite: per esem-
pio i Canones hibernenses del VI secolo prevedono che un digiuno di un anno possa essere compensa-
to con tre giorni passati senza bere né mangiare sulla tomba di un santo o passare tre giorni e tre notti
in una chiesa senza vestiti, senza sedersi, senza bere, né mangiare, né dormire (VOGEL, Il peccatore e la
penitenza nel medioevo, 99-100).
15
TEODORO DI TARSO, Poenitentiale, lib. I, De fornicatione, 9: «Si se ipsum coinquinat, XL. dies
[peniteat.] 13. Si sola cum se ipsa coitum habet, sic peniteat».
16
INCMARO DI REIMS, De divortio Lotharii et Tetbergae, interr. XII: PL 125,693A-C9. Secondo
il teologo carolingio, i peccati sodomitici consistono nell'esercizio della genitalità e nella ricerca del
piacere al di fuori dell'unione coniugale procreativa, sia che si tratti di rapporti fra maschi, sia tra fem-
mine (usando, per esempio, falli artificiali) sia di congiungimenti bestiali (cum pecore), sia di polluzio-
ne volontaria, sia di atti genitali non procreativi con la moglie.
17
Cf. S. PIER DAMIANI, Liber gomorrhianus, c. 2: « Alii siquidem secum, alii sibi invicem inter se
manibus virilia contrectantes inquinantur, alii inter femora, alii fornicantur in terga». Poco più avanti
si ha un preciso riferimento al seme come causa del contagio morale: «qui per semetipsos egesta semi-
nis contagione sordescunt» (K. REINDEL, Die Briefe des Petrus Damiani, München 1983,1,287-288: PL
145,16). Si veda anche la lettera Ad splendidum nitentis di papa Leone IX (DS 688).
18
Dal medioevo, il termine mollities, connesso con mollis (greco malakòs) era spesso usato per
indicare la masturbazione. Notiamo, però, che di solito san Tommaso spiega correttamente i molles di
246 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

La morale post-tridentina approfondì con l'acribia che la caratterizzava le


diverse fattispecie di polluzione volontaria e spontanea, distinguendole accurata-
mente, indagando sottilmente sull'intenzione dei soggetti nel prevedere o procu-
rare o non impedire la polluzione e creando una complicata e un po' voyeuristi-
ca casistica. Ferma restando l'idea della finalizzazione degli atti sessuali alla pro-
creazione, dal XVI secolo l'attenzione dei moralisti si concentrò - come abbiamo
visto nella parte storica-fondativa - sulla tematica del piacere e del retto uso dei
piaceri.19 Per i moralisti rigoristi, fedeli alla lezione agostiniana, il piacere è guar-
dato con sospetto e il godimento del piacere sessuale è giustificato dal bene della
procreazione. Per i moralisti più aperti a riconoscere la positività del piacere ses-
suale, il piacere è un bene in sé ed è stato annesso da Dio all'atto sessuale come
un invito a procreare: Dio, pertanto, nella sua legge non proibisce la masturba-
zione perché arreca piacere, ma la proibisce perché altrimenti gli uomini cerche-
rebbero il piacere nella masturbazione e non nell'atto coniugale procreativo, con
gravi danni per la società e la procreazione. Scrive a questo proposito T. Sanchez
citato poi letteralmente da Enrico Busembaum (1609-1668):

La natura ha negato all'uomo l'emissione del seme fuori del matrimonio, in ogni
circostanza, perché [nella masturbazione] il godimento del piacere è così forte
che gli uomini, accecati dalla passione, si convincerebbero facilmente di avere un
valido motivo per eccitare il seme. Ne deriverebbero molti e gravi danni per il
bene comune e ne risulterebbe ostacolata la generazione. 20

Non stupisce che, estenuando questa prospettiva, si giunga a non coglie-


re più la gravità morale intrinseca della masturbazione e che il principe dei las-
sisti, il Caramuel, abbia potuto affermare che «la masturbazione non è proibi-
ta per diritto naturale, per cui, se Dio non l'avesse proibita, spesso sarebbe
buona e talvolta obbligatoria sotto pena di peccato mortale».21 La proposizio-

lCor 6,9 con «muliebria patientes», cioè omosessuali passivi. Ad esempio TOMMASO D'AQUINO, STh
II-II, q. 138, a. 1, arg. 1: «Super illud I ad Cor. VI, neque adulteri neque molles neque masculorum con-
cubitores, Glossa exponit molles, idest pathici, hoc est muliebria patientes» (cf. Super I Cor., c. 6, lec. 2:
«Neque molles, id est, mares muliebria patientes, neque masculorum concubitores, quantum ad agen-
tes in ilio vitio»).
19
Cf. L. VEREECKE, Da Guglielmo d'Ockham a sant'Alfonso de Liguori, Cinisello Balsamo
1990,656-701.
20
T. SÀNCHEZ, De sancto matrimonii sacramento, IX, d. 17: «Natura administrationem seminis,
extra matrimonium, in omni eventu, homini denegavit, eo quod adeo vehementer sit in ea re [seil.
masturbatione] sensus voluptatis, ut homines passione excaecati, passim sibi facile persuaderent habe-
re se iustam causam irritandi seminis, unde plurima gravissimaque vitia contra bonum comune et in
impeditione generationis emergerent»; cf. H. BUSEMBAUM, Medulla theologiae moralis III, t. 4, c. 2, d. 4;
S. ALFONSO, Theologia moralis III, t. 4, c. 2, d. 4 (Gaudé n. 476,697).
21
J. CARAMUEL, Teologia intentionalis, Lione 1664, IV, n. 1965: «Mollities iure naturae prohibi-
ta non est. Unde si Deus eam non interdixisset, saepe esset bona et aliquando obbligatoria sub morta-
li» (cf. ID., Theologia moralis, Lovanio 1645, IV, n. 1603).
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 247

ne fu condannata, insieme ad altre proposizioni lassiste, dal Sant'Uffizio nel


1679, sotto Innocenzo XI, che era tendenzialmente Umorista.22
Un'altra novità della modernità è che, mentre l'interesse della morale
antica e medievale era rivolto in modo quasi esclusivo agli adulti,23 con il sor-
gere dell'età moderna si assistette a una ridefinizione dell'infanzia e dell'ado-
lescenza rispetto all'età adulta e prese corpo, corrispondentemente, una nuova
scienza pedagogica. Si osservò, di conseguenza, dall'inizio dell'umanesimo una
crescente insistenza sul tema della masturbazione nei bambini e nei giovani,
come possiamo constatare in alcuni celebri manuali per la confessione. Sentia-
mo, per esempio, l'inizio del modo di indurre i giovani a confessare l'abitudi-
ne masturbatoria secondo il manuale di Gerson (1363-1429):24

Il Confessore, dopo aver parlato in modo affabile e familiare e non austero di


altri argomenti o vizi, scenda gradatamente e quasi per caso all'indagine su que-
sto peccato, dicendo così: «Amico, ti ricordi se mai nella tua infanzia, verso i 10
o 12 anni, il tuo pene o membro sia stato eretto?». Se dice di no, subito deve esse-
re convinto che è una bugia e che vuol fingere e che ha paura di essere scoper-
to, perché è noto che questo accade a tutti i bambini che non abbiano difetti fisi-
ci, quando stanno al caldo nel letto o altrove. Perciò bisogna insistere in modo
sempre più aperto affinché dica la verità. Allora il confessore, se si tratta di un
penitente molto giovane, dirà: «Amico, forse che questo non era indecente? Che
cosa facevi, dùnque, perché non diventasse eretto?». E ciò sia detto con volto
tranquillo perché appaia che quanto si chiede non è disonesto o da tenere sotto
silenzio, ma è come un rimedio contro la suddetta pretesa disonestà dell'erezio-
ne. Se non vuol rispondere, si chieda pianamente di conseguenza: «Amico, forse
che toccavi o strofinavi il tuo pene come sogliono fare i bambini?». 25

22
Cf. DS 2149. La frase era stata colpita dalla censura dell'Università di Lovanio nel 1653 e fu
sottoposta al Sant'Uffizio da un gruppo di teologi fautori del baianismo.
23
Questo scarso interesse per il mondo infantile può essere spiegato con la nota tesi di Ariès
sul disinteresse dell'antichità e del Medioevo per l'infanzia, ma soprattutto dobbiamo tener presente
che per gli antichi e i medievali la nozione di adulto comprendeva agevolmente tutta la nostra adole-
scenza: la masturbazione di quello che per noi è un ragazzo, era pertanto equiparata alla masturbazio-
ne di un adulto.
24
GERSON, Tractatus de modo inquirendi peccata in confessione, II, 453-454, De confessione
mollitiei: «/gitur post aliqua colloquia de alii materiis aut vitiis familiariter ac affabiliter non austere
facta, descendat gradatim & quasi ab obliquo Confessor ad inquisitionem hujusmodi peccati, sic dicen-
do: u Amice, recordaris quòd unquam in pueritia tua circa 10 aut 12 annos tua virga, vel membrum
pudendi, fuerit erecta?". Si dicit quod non, statim convincitur mendacii, & quod vult fingere & timet
capi, quia constat hoc omnibus pueris non vitiatis corpore, dum calefacti sunt in lecto vel alias saepe
contingere. Idcirco magis ac magis aperte debet urgere ut dicat veritatem. Item Confessor, si ille sit
juvenis praecipue : "Amice, nunquid istud erat indecens ? Quid ergo faciebas ut non erigere tur ?" Et
dicatur hoc vultu tranquillo, ut appareat quod illud quod quaeritur non sit inhonestum vel silendum, sed
quasi remedium contra praefatam erectionis praetensam inhonestatem. Si nolit respondere, piane peta-
tur consequenter: "Amice, nunquid palpabas aut fricabas virgam tuam quemadmodum pueri solent?"».
25
Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une Société de
Gens de lettres, 1765
248 SEZIONE II - QUESTIONI ETICO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Il testo prosegue suadente, ma senza tentennamenti, sempre più incal-


zante, spingendo il penitente a rovistare nei ricordi e nei sottofondi della
memoria per rintracciare le circostanze più imbarazzanti. Si ha davvero l'im-
pressione che questo invito a non tacere, incoraggiato da un'affermazione sulla
non disonestà dell'argomento («illud, quod quaeritur non sit inhonestum vel
silendum»), abbia il solo scopo di far emergere alla consapevolezza i desideri
sessuali per poterli meglio controllare e reprimere. La prassi confessionale tri-
dentina porterà al parossismo l'enfasi posta sulla narrazione del sé sessuale
sulla falsariga di una precisa tassonomia della trasgressione morale.
Al principio del XVIII secolo l'ossessione antimasturbatoria passò dalla
morale alla medicina, la nuova religione della modernità. La nascita della
scientia sexualis condusse a una medicalizzazione della masturbazione che, da
disordine solo morale, passò a essere individuata come la causa delle più diver-
se affezioni, anche mortali, fisiche e psichiche, e come un pericoloso compor-
tamento antisociale che dissipava preziose energie psico-fisiche. Il primo scrit-
to che tratta in modo ampio le conseguenze negative del comportamento
masturbatorio sulla salute sembra essere stato un libello composto da un
mezzo ciarlatano per reclamizzare alcuni suoi ritrovati terapeutici, pubblicato
nel Regno Unito nel 1708.26 Chi, con la sua autorità, dette dignità scientifica
alla tesi della perniciosità della masturbazione fu il medico svizzero calvinista
Samuel-August Tissot (1728-1797).27 Le edizioni del libro di Tissot furono
numerosissime e fu tradotto nelle principali lingue europee, compreso l'italia-
no. Sulla sua scia furono scritti libri e libelli che associavano la masturbazione
alle affezioni più diverse e persino il Dictionnaire di Voltaire (1694-1778) con-
tiene una voce «Onanisme» ispirata alle teorie di Tissot.
Nel XIX secolo, l'onanista, al pari del pederasta, sarà definito come un
tipo umano degenerato, ben riconoscibile dalle sue stimmate o caratteristiche
inconfondibili. La repressione della masturbazione infantile e adolescenziale
diventava, a questo punto, un dovere educativo assoluto per prevenire nei gio-
vani la pratica di un'abitudine tanto dannosa per la loro salute e il loro equili-
brio. Oltre a un controllo serrato dei comportamenti dei giovanissimi e il ricor-
so a severi metodi punitivi, si produssero persino strumenti per legare le mani

26
Onania; or, the heinous sin of self-pollution, and all its frightful consequences, in both sexes,
considered, London 1723: Boston 1924. Reprinted in The secret vice exposed! Some arguements again-
st masturbation, New York 1974.
27
S.A. TISSOT, L'onanisme. Dissertation sur les maladies produites par la masturbation, 1764
(ristampa: Paris 1980). Si veda: J. STENGERS - A. VAN NECK, Histoire d'une grande peur, la masturba-
tion,, Paris 1998.
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 249

o per contenere gli organi sessuali dei ragazzi, impedendo ogni tentativo di
masturbazione. 28
Sarà S. Freud a sostenere apertamente la positività della masturbazione
infantile nell'ambito dello sviluppo normale della sessualità e questa idea,
variamente ripresa e tematizzata, segnò un mutamento radicale nella conside-
razione della masturbazione. Nella seconda metà del secolo XX, sotto l'influs-
so delle scienze umane, si è assistito a una completa inversione di tendenza
rispetto alla condanna dell'onanismo decretata dalla scienza del Sette-Otto-
cento, per non parlare della condanna morale del passato. Dal punto di vista
della psicologia, la masturbazione svolgerebbe addirittura una funzione positi-
va nello sviluppo della persona, nell'equilibrio psicofisico e nello stabilimento
di un'adeguata autostima. Nel volume dal titolo altamente significativo La
masturbazione come mezzo per conseguire la salute sessuale, il prof. Coleman
scrive che tra gli psicologi contemporanei «c'è l'impegno fondamentale di nor-
malizzare la masturbazione». 29
Sotto l'influsso di questa letteratura che ritiene la masturbazione, specie
quella dei bambini e degli adolescenti, un fenomeno statisticamente normale
dell'evoluzione della sessualità, alcuni moralisti cattolici hanno cominciato a
dubitare dell'oggettiva gravità della masturbazione e si sono mostrati piutto-
sto indulgenti in proposito, sostenendo che si dovrebbe parlare di «colpa reale
e grave» solo nella misura «in cui il soggetto cedesse deliberatamente ad
un'autosoddisfazione chiusa in se stessa (ipsazione), perché in tal caso l'atto
sarebbe radicalmente contrario a quella comunione amorosa tra persone di
diverso sesso»30 in cui sta il senso ultimo della sessualità. In questa posizione
due elementi indubbiamente veri (l'alta frequenza statistica e l'individuazione
dell'elemento formale della trasgressione grave) sono usati per trarne una con-
clusione discutibile: la masturbazione, essendo un fenomeno normale, è da
considerarsi atto ordinariamente leggero e, solo in casi singoli ed eccezionali,
grave. Contro queste opinioni, il magistero in Persona humana 9, poi ripreso
dal Catechismo della Chiesa cattolica 2352, ha ribadito il rifiuto morale della
masturbazione definendola «un grave disordine morale».
La dichiarazione Persona humana contesta l'idea che la normalità stati-
stica, alla quale fanno riferimento psicologia e sociologia, possa essere ribalta-
ta in normalità morale o criterio di verità etica. La diffusione e la tolleranza del

28
Negli anni '30 del XX secolo un autorevole e consultatissimo lavoro di medicina pastorale
ancora li consigliava, con tutta tranquillità, per risolvere i casi più resistenti: G. ANTONELLI, Medicina
pastoralis, Roma 1932, II, 237-238.
29
W. BOCKING - E. COLEMAN (edd.), Masturbation as a means of achieving sexual health, Bin-
ghanton (NY) 2002,8: «There is the basic task of "normalizing" masturbation».
30
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Persona humana 9.
250 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

comportamento masturbatorio, infatti, vanno ricondotte - si dice - alla fragi-


lità dell'uomo nei confronti del sesso, dovuta alla ferita del peccato originale,
e nella cultura occidentale sono frutto di molteplici fattori di per sé moral-
mente riprovevoli come la perdita del senso di Dio, la depravazione dei costu-
mi, la sfrenata licenza di pubblicazioni e spettacoli, la commercializzazione del
sesso, l'oblio del pudore.
Per sostenere la sua posizione contro la masturbazione, Persona humana
ricorre a due argomenti, di ragione e di autorità. L'argomento fondamentale
contro la masturbazione è di natura antropologica e corrisponde alla lettura
della sessualità e dell'etica sessuale che noi abbiamo posto a fondamento di
tutte le nostre riflessioni: il linguaggio sessuale è un linguaggio privilegiato
della relazione interpersonale e la sua verità deriva dall'autenticità della rela-
zione nel quale esso viene vissuto. La masturbazione, in quanto espressione
della sessualità al di fuori della relazione, e della relazione coniugale in parti-
colare, va contro uno dei cardini del modello cristiano di etica sessuale che
vieta di disgiungere l'esercizio della sessualità genitale dal contesto dell'amo-
re coniugale. Rispetto alla dinamica antropologica dell'atto coniugale, si può
dire che la masturbazione contraddice il senso unitivo, vale a dire oblati-
vo/comunionale, e procreativo della sessualità, frustrandone la verità e una
simile contraddizione non può mai essere ritenuta in sé insignificante.
Persona humana, volendo indicare argomenti di autorità tratti dalla Bib-
bia e dalla tradizione, prende delicatamente le distanze dagli argomenti scrit-
turistici di solito addotti, consapevole della loro fragilità, ma afferma che

anche se non si può stabilire con certezza che la Scrittura riprova questo pecca-
to con una distinta denominazione, la tradizione della Chiesa ha giustamente
inteso che esso veniva condannato nel Nuovo Testamento, quando questo parla
di impurità, di impudicizia, o di altri vizi, contrari alla castità e alla continenza.

Si rimanda, quindi, ad alcuni testi del magistero che, a partire dalla lette-
ra di plauso che papa Leone IX inviò a san Pier Damiani per il Liber
gomorrhianus, respingono formalmente la masturbazione. 31

31
LEONE I X , Ad splendidum nitentis, 1 0 5 4 : DS 6 8 7 - 6 8 8 ; S. UFFIZIO, Decreto, 2 - 3 - 1 6 7 9 : DS 2149;
P i o X I I , Allocuzione, 8 - 1 0 - 1 9 5 3 : AAS 4 5 ( 1 9 5 3 ) , 6 7 7 - 6 7 8 .
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 251

3. ORIENTAMENTI PASTORALI

Ferma restando l'oggettiva gravità degli atti masturbatori, la loro stessa


diversificata tipologia ci fa intuire che le situazioni sono molto diverse fra loro
e l'approfondimento delle psicodinamiche sottese a essi ci porta necessaria-
mente a prevedere che soggettivamente, specie negli adolescenti o nelle perso-
ne con disturbi della sfera psichica, può esserci un'attenuazione del «carattere
deliberato dell'atto» e dunque della sua gravità morale.32
Gli operatori pastorali devono, perciò, valutare prudentemente le singo-
le situazioni e collocare il comportamento masturbatorio nel contesto dell'in-
tera vita morale, senza isolare tale comportamento dalla persona e puntando
più sulle cause che sul sintomo. Il ricorso a strumenti psicologici e pedagogici
può riuscire di grande aiuto, anche se la comprensione delle dinamiche profon-
de connesse con la masturbazione non deve portare a sottovalutare o addirit-
tura negare margini di libertà nei confronti degli atti masturbatori. Si legge in
Persona humana:

La psicologia moderna offre, in materia di masturbazione, parecchi dati validi e


utili, per formulare un giudizio più equo sulla responsabilità morale e per orien-
tare l'azione pastorale. Essa aiuta a vedere come l'immaturità dell'adolescenza,
che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo squilibrio psichico, o l'abitudine
contratta possano influire sul comportamento, attenuando il carattere delibera-
to dell'atto, e far sì che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave. Tuttavia,
in generale, l'assenza di grave responsabilità non deve essere presunta; ciò signi-
ficherebbe misconoscere la capacità morale delle persone. 33

Nel caso della masturbazione degli adolescenti, il documento della Con-


gregazione per l'educazione cattolica, Orientamenti educativi sull'amore
umano, ricorda agli educatori di

tener presente che la masturbazione e altre forme di autoerotismo sono sintomi


di problemi assai più profondi, i quali provocano una tensione sessuale che il

32
A. NALESSO, Sulla capacità dell'adolescente al peccato grave contra sextum. Contributo alla
formazione di un criterio di valutazione morale del fenomeno masturbatorio dell'adolescenza, Roma
1971.
33
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Persona humana 9; cf. Catechismo della
Chiesa cattolica 2352: «Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e
per orientare l'azione pastorale, si terrà conto dell'immaturità affettiva, della forza delle abitudini con-
tratte, dello stato d'angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addi-
rittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale».
252 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

soggetto cerca di superare ricorrendo a tale comportamento. Questo fatto richie-


de che l'azione pedagogica sia orientata più sulle cause che sulla repressione
diretta del fenomeno [...]. Per aiutare l'adolescente a sentirsi accolto in una
comunione di carità e strappato dal chiuso del proprio io, l'educatore dovrà
sdrammatizzare il fatto masturbatorio e non diminuire la sua stima e benevo-
lenza verso il soggetto; dovrà aiutarlo a integrarsi socialmente, ad aprirsi e inte-
ressarsi agli altri, per potersi liberare da questa forma di autoerotismo, avvian-
dosi verso l'amore oblativo, proprio di un'affettività matura; nello stesso tempo,
lo incoraggerà a fare ricorso ai mezzi raccomandati dall'ascesi cristiana, come la
preghiera e i sacramenti, e ad impegnarsi nelle opere di giustizia e di carità. 34

L'adulto che si dovesse accusare spesso di questa materia in confessione


o con il consulente pastorale sviluppa forti sensi di colpa e tende a disprezzar-
si. Aprirsi all'impegno e al servizio per gli altri può essere utile, ma non di rado
può essere motivo di ulteriori tensioni emotive che vengono smorzate proprio
attraverso la consueta gratificazione masturbatoria. Nell'adulto, dove non ci
siano cause che possono spiegare l'impossibilità di controllare questi atti disor-
dinati (ad esempio, infiammazioni dei genitali), sarà bene consigliare il ricorso
a uno psicologo di retta coscienza e di saldi principi morali. In questo senso, in
sede di confessione, sarà bene distinguere l'atto masturbatorio occasionale, del
tutto periferico all'orientamento di fondo della vita morale del soggetto, dal
comportamento masturbatorio, in cui la frequenza degli atti impone un'analisi
più approfondita.
Nel caso della masturbazione intraconiugale o degli sposati, pur trattando-
si sempre di un disordine che oscura il senso del mutuo dono nell'unione sessua-
le, dovremo discernere con delicatezza le diverse situazioni e le circostanze atte-
nuanti: la gravità potrebbe essere tolta, almeno in parte, se un partner rifiuta il
rapporto sistematicamente e il coniuge che si vede rifiutato, quando la tensione
coniugale raggiunge livelli insostenibili, ricorre alla masturbazione, così come nel
caso di due coniugi che, per l'età o altri motivi indipendenti dalla loro volontà,
non potessero avere più rapporti e ricorressero alla masturbazione reciproca.
Non crea problemi morali il caso in cui la stimolazione dei genitali del coniuge o
propri sia finalizzata non alla soddisfazione masturbatoria, ma al raggiungimento
di un'adeguata eccitazione sessuale cui segua un atto coniugale integro.
Nel caso di un candidato al presbiterato o alla vita consacrata, occorre
verificare se il comportamento masturbatorio sia indice di immaturità psicoaf-

34
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano,
99-100. Si veda: C. CIOTTI - S. RIGON, «La masturbazione. Considerazioni psicodinamiche», in Tredi-
mensioni. Psicologia spiritualità formazione 5(2008), 303-312.
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 253

fettiva, che deve essere attentamente studiata nel tempo precedente un impe-
gno definitivo, o se non sia piuttosto l'emergere di una vocazione diversa. In
ogni caso, in ambito formativo il fenomeno masturbatorio non va minimizzato.
Fra i consacrati possiamo incontrare persone che lottano, le quali vanno
sostenute e incoraggiate a confessarsi spesso, vincendo la stanchezza e la ver-
gogna e ricordando che il fine della castità è la carità, ma possiamo anche
incontrare persone che non lottano più e che, forse, hanno smesso di credere
alla propria vocazione o che hanno accettato una situazione ambigua e, alla
fine, nevrotizzante. A queste persone sfiduciate dobbiamo consigliare una seria
revisione di vita e un rinnovato esame delle loro motivazioni vocazionali. In
generale, quando siamo a contatto con una persona consacrata che abbia com-
messo colpa grave, specie in materia sessuale, bisogna saper valorizzare anche
la vergogna e il dolore come spazio di libertà che si apre nel peccato e come
espressione di un appello alla fedeltà che sgorga dal profondo della persona;
può essere utile anche chiedere alla persona che cosa consiglierebbe a un peni-
tente che si trovasse nelle sue stesse condizioni, perché questo aiuta a uscire
dal tunnel della propria colpa e a guardare con maggiore serenità alla propria
situazione; infine è essenziale rinnovare la stima e la fiducia, magari chieden-
do noi stessi, se il penitente è sacerdote e se lo desideriamo veramente, di esse-
re confessati da lui.

4- L A RACCOLTA DEL SEME PER SCOPI MEDICI

Ci sono diverse situazioni mediche nelle quali è di grande importanza


poter ottenere il seme, per la diagnosi e terapia di malattie delle vie genitali (ad
esempio, infezione, flogosi), per lo studio della fertilità, per procedere a una
procreazione assistita. La raccolta può avvenire in diversi modi: mediante
masturbazione, dopo coito con condom, attraverso la spremitura della prosta-
ta e delle vescichette seminali o la puntura dell'epididimo ovvero la biopsia
testicolare. Recentemente si è introdotto l'uso di uno speciale vibratore che dà
stimolazioni solo pressorie e non sensitive e riesce così nella maggior parte dei
casi a determinare eiaculazione solo per via riflessa senza la componente psi-
chica dell'orgasmo.35

35
Cf. A.G. SPAGNOLO et al., «Valutazione scientifica ed etica di un metodo per il prelievo dia-
gnostico del liquido seminale umano», in Medicina e morale 43(1993), 1189-1203.
254 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

L'uso del condom (che si può chiedere ovviamente solo agli sposati) pre-
senta qualche difficoltà per il trasporto celere del materiale e per il fatto che i
profilattici in commercio non danno tutte le garanzie necessarie di asespsi e di
composizione del lattice; inoltre non tutti riescono ad avere rapporti coniuga-
li a comando. I sistemi più indaginosi o addirittura cruenti sono esclusi o per-
ché gravati di forti rischi o perché il seme che se ne ottiene non è del tutto ido-
neo per gli scopi.
Di gran lunga più diffusa è la pratica della masturbazione o manipolazio-
ne dei genitali, cui si va affiancando in qualche centro il vibratore che - essen-
do calibrato su una fascia di frequenze che non stimolano i recettori della sen-
sibilità cosciente - produce emissione di seme senza le sensazioni piacevoli
tipiche della masturbazione. Dal punto di vista morale il metodo della mastur-
bazione presenta problemi: essendo, infatti, la masturbazione un disordine
oggettivo, qualunque sia lo scopo per cui essa si compie resta un male e il fine
buono, si sa, non giustifica i mezzi cattivi. In questo senso si espresse nel 1929
il Sant'Uffizio. 36
Alcuni moralisti contemporanei hanno però sottolineato la differenza
fra un atto masturbatorio vero e proprio e una manipolazione dei genitali
senza componenti autoerotiche, in cui mancherebbero la malizia della mastur-
bazione e, quindi, l'oggettività del disordine.37 L'opinione ha una sua logica, è
stata sostenuta da autori non secondari, e non è stata rifiutata espressamente
dal magistero recente, per cui può essere seguita come opinione almeno pro-
babile. A mio avviso, queste argomentazioni più che tradursi in un'approva-
zione esplicita da parte del sacerdote eventualmente interrogato, lo autorizza-
no a tollerare nel penitente una decisione in questo senso, quando fosse asso-
lutamente necessario per evitare un grave danno alla salute e non fosse possi-
bile ricorrere a mezzi eticamente più sicuri.
L'uso del vibratore, non presenta invece problemi etici perché manca sia
la componente sensitiva sia quella erotico-fantastica della masturbazione. 38 Si
registra a questo proposito un parere del Comitato nazionale di bioetica (5-5-
91) che invita gli operatori sanitari a rispettare la sensibilità e le convinzioni
del paziente il quale, non di rado, non gradisce questa metodica di raccolta e

36
Decretum S. Officii, 24-7-1929: DS 3684. «Qu. Utrum licita sit masturbalo directe procurata,
ut obtineatur sperma, quo contagiosus morbus "blenorragia" detegatur et, quantum fieri potest, cure-
tur. Resp. Negative».
37
Cf. A. AUER, Etica y medicina, Madrid 1972,135-136; G. PERICO, Fecondazione extracorporea ed
"Embryo transfer". Informazioni tecniche e riflessioni morali, "Aggiornamenti sociali" 1984,265; D. TET-
TAMANZI, Bambini fabbricati. Fertilizzazione in vitro, embryo transfer, Casale Monferrato 1985, 33-35; J.
VISSER Problemi etici dell'embryo transfer, "Ricerca scientifica ed educazione permanente" 1982-1983,48
(citato in Tettamanzi, p. 31). Dopo la pubblicazione di Donum Vitae mons. Tettamanzi ha preso delicata-
mente le distanze dall'opinione favorevole precedentemente professata.
CAP. 1 - LA MASTURBAZIONE 255

richiede che egli sia informato in modo semplice ma veritiero sulle possibili
alternative.
Sempre nell'ambito medico, bisogna distinguere la raccolta del seme per
scopi diagnostici dalla raccolta del seme da usarsi nelle tecniche di procrea-
zione artificiale. La morale cattolica non accetta le tecniche artificiali in senso
stretto che separano il concepimento dall'atto coniugale, ma ritiene accettabi-
le il ricorso a quei mezzi artificiali che permettono a un atto coniugale nor-
malmente posto di raggiungere il suo fine procreativo. Nelle tecniche extra-
corporee, come la FIVET e la ICSI, il concepimento avviene in provetta, in un
contesto oggettuale e non nel seno materno, così che il concepimento,
quand'anche il seme provenisse da un atto coniugale condomato, verrebbe a
essere forzatamente separato dall'atto coniugale. Esistono tecniche, invece,
come l'inseminazione artificiale intraconiugale, che possono configurarsi come
un aiuto e non come una sostituzione dell'atto coniugale purché il seme pro-
venga da un atto coniugale condomato. Anche nelle tecniche intracorporee
però, se il seme viene raccolto attraverso masturbazione, l'eventuale insemi-
nazione non può essere compresa come un aiuto di un atto coniugale che non
ha avuto luogo, né l'eventuale concepimento come frutto dell'atto coniugale
che è l'espressione corporea dell'amore coniugale.39 Il fatto che il seme rac-
colto per masturbazione sia raccolto in vista della procreazione non può certo
costituire una giustificazione morale perché, comunque, l'intenzione procrea-
tiva che muove l'atto masturbatorio non può surrogare un rapporto autentica-
mente coniugale.

38
La questione del piacere è - come si vede - ancora del tutto operante e si ritiene inaccetta-
bile provare piacere fuori dell'atto coniugale, qualunque sia il contesto in cui si colloca questa fruizio-
ne del piacere. La tradizione post-tridentina si interrogherà a lungo se il desiderare e il compiacersi del
piacere sessuale derivante dalla polluzione spontanea notturna siano peccaminosi.
39
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Donum vitae, 2 2 - 2 - 1 9 8 7 , II, 6: «L'in-
seminazione artificiale sostitutiva dell'atto coniugale è proibita in ragione della dissociazione volonta-
riamente operata tra i due significati dell'atto coniugale. La masturbazione, mediante la quale viene
normalmente procurato lo sperma, è un altro segno di tale dissociazione; anche quando è posto in vista
della procreazione, il gesto rimane privo del suo significato unitivo».
2
L'OMOSESSUALITÀ

Nel panorama delle anomalie della sfera sessuale, l'omosessualità rap-


presenta una situazione non infrequente e variamente compresa e affrontata
in diversi tempi e culture. Negli ultimi cinquant'anni le scienze umane hanno
mutato profondamente la nostra visione della condizione omosessuale, feno-
meni culturali di portata epocale hanno rivoluzionato stili di vita e sistemi nor-
mativi che si ritenevano immutabili, l'emergere di un'antropologia sessuale
centrata sul soggetto più che sulla generazione ha fatto vacillare la salda
costruzione teorica che faceva da sfondo alla morale antica. Oggi la condizio-
ne omosessuale si trova, pertanto, al centro di un intenso dibattito sia scienti-
fico sia politico, soprattutto in relazione con la tutela dei diritti delle persone
omosessuali e la legalizzazione delle unioni omosessuali. Questo dibattito
interpella in modo sempre più pressante anche la comunità ecclesiale e tutto il
tema chiede di essere ripercorso con onestà e verità alla luce degli elementi
essenziali dell'antropologia sessuale cristiana.
La teologia sta cercando una difficile mediazione fra l'ethos tradizionale
e le esigenze di una rilettura personalista della sessualità, senza venir meno
alla fedeltà dei principi fondamentali della comprensione cristiana della ses-
sualità. In questo capitolo denso e articolato abbiamo cercato di tracciare uno
status quaestionis il più possibile oggettivo ed equilibrato, ma i problemi aper-
ti sono molteplici e la strada da percorrere si prospetta ancora molto lunga.

1 • DEFINIZIONE E FREQUENZA

Il termine omosessuale fu coniato dal letterato ungherese K.M. Kertbeny


nel 1869 e designa una persona, uomo o donna, che sente un'attrazione eroti-
ca e/o affettiva, esclusiva o prevalente, con o senza rapporti fisici, verso adulti
258 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

del proprio sesso. Si parla talvolta di omofilìa e di omotropìa con riferimento


all'orientamento e di omogenitalità e di omoerotismo con riferimento al com-
portamento. Nel linguaggio comune si usa l'espressione gay per indicare il
maschio omosessuale e lesbica per indicare la femmina omosessuale, ma, in
effetti, queste espressioni si riferiscono in modo più specifico a uomini e donne
con tendenze omoerotiche impegnati ideologicamente e politicamente nella
rivendicazione di diritti e di spazi sociali agli omosessuali.
Negli omosessuali genuini, sia maschi sia femmine, non si hanno palesi
alterazioni di natura fisica, come accade nelle intersessualità fisiche, e anche l'i-
dentità di genere è normale e congruente con il sesso genetico, contrariamen-
te a quanto si verifica nel transessualismo e altri disturbi dell'identità di gene-
re. L'uomo omosessuale si sente e si dichiara maschio e non desidera essere o
diventare una femmina e così pure la donna omosessuale, anche se l'uno e l'al-
tra, nel contesto di rapporti erotizzati, possono tendere ad assumere il ruolo
del sesso opposto o mostrarne i manierismi corrispondenti.
L'omosessualità, prima ancora che un modo di fare sesso, è un particola-
re orientamento sessuale/affettivo, è un modo di rapportarsi all'altro, alla sua
persona, alla sua sessualità e di coinvolgersi nella sfera erotico-affettiva. Il pas-
saggio dall'orientamento omosessuale all'attuazione fisica di tale interesse non
è necessario, né è sempre presente.
L'orientamento omosessuale si presenta con alcuni caratteri costanti:
un'attrazione molto forte, talora fin dall'infanzia, verso persone del medesimo
sesso; poca o nessuna attrazione erotica verso persone dell'altro sesso tanto
che, persino nel caso dei cosiddetti bisessuali, la tendenza omosessuale tende a
diventare predominante col passare del tempo (omosessualità ambivalente o
non esclusiva); desiderio, almeno a livello immaginativo e fantastico, di com-
piere atti omosessuali quali fonte di piacere psichico e genitale.1 Bisogna anche
sottolineare che l'omosessualità femminile non è del tutto speculare a quella
maschile, distinguendosi da quest'ultima per un diverso gioco di identificazio-
ni e per un diverso erotismo, meno promiscuo, meno costantemente genitaliz-
zato, più personale, affettivo e intimo.
I dati sulla prevalenza dell'omosessualità nella popolazione occidentale
sono piuttosto controversi. Nel classico studio di A. Kinsey sul comportamen-
to sessuale degli americani, risalente ai primi anni '50, si evidenziava che il

1
Una referenza datata, ma autorevole, per i dati psichiatrici in: W.J. GADPAILLE, «Homosexua-
lity and homosexual activity», in H.I. KAPLAN - B.J. SADOCK (edd.), Comprehensive textbook of psy-
chiatry, Baltimore 6 1995,1,1321-1333. Due sintesi con buona selezione bibliografica: J.R. PRADA, «La
persona homosexual», in Studia moralia 42(2004), 293-335; G. ZUANAZZI, «Omosessualità. Aspetti psi-
cologici», in G. Russo (ed.), Enciclopedia di bioetica e sessuologia, Leumann 2004,1313-1319.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 259

10% dei maschi e il 5% delle femmine erano da ritenersi omosessuali, che l'8%
dei maschi e il 4% delle femmine avevano avuto rapporti solo omosessuali per
almeno tre anni in età adulta e che ben il 37% della popolazione intervistata
aveva riferito almeno un'esperienza omosessuale durante l'arco della vita,
inclusa l'adolescenza.2 Studi successivi, condotti con maggiore accuratezza e su
campioni più rappresentativi, hanno notevolmente ridimensionato queste per-
centuali, anche se non ci sono conclusioni definitive per un fenomeno i cui con-
torni non sono ben circoscrivibili e che si presenta in continuo divenire.
Sulla base di varie ricerche recenti sul comportamento sessuale degli
adulti - ricordando che le percentuali variano molto da luogo a luogo - si può
dire che sono omosessuali esclusivi per tutta la vita circa il 2-3% dei maschi e
l'I,5-2% delle femmine, mentre un numero almeno triplo di soggetti ha speri-
mentato in modo esclusivo o no, per periodi più o meno lunghi, soprattutto
prima dei 19 anni, qualche comportamento classificabile come omosessuale.3
Di fatto, accanto all'omosessualità genuina in cui l'orientamento omo-
sessuale non è occasionale e contingente, ma permanente, possono darsi com-
portamenti omosessuali legati a situazioni diverse: comportamenti omosessua-
li transitori nelle fasi di aggiustamento sessuale dell'adolescenza; comporta-
menti omosessuali accidentali dovuti a ebbrezza alcolica o all'uso di droghe o
a condizioni di vita monosessuali obbligate, come nelle carceri o nei lunghi
viaggi per mare; comportamenti omosessuali sintomatici, facenti parte del cor-
teggio sintomatologico di patologie cerebrali o di psicosi; comportamenti omo-
sessuali accettati per accondiscendenza o per trarne vantaggi economici e
sociali o per il semplice gusto della trasgressione.

2- GENESI DELL'ORIENTAMENTO OMOSESSUALE

Molti di coloro che giudicano l'omosessualità una variante normale,


ancorché minoritaria, del comportamento sessuale umano, ritengono che la
discussione sulle cause dell'omosessualità presupponga una valutazione pre-
giudiziale negativa: nel linguaggio comune, infatti, si parla delle cause dei feno-

2
A . C . KINSEY - W.B. POMEROY - C . E . MARTIN, Sexual behavior in the human male, P h i l a d e l p h i a
1 9 4 8 ; A . C . KINSEY - W.B. POMEROY - C . E . MARTIN - P H . GEBHARD, Sexual behavior in the human
female, Philadelphia 1953.
3
Cf. R . C . FRIEDMAN - J.I. DOWNEY, « H o m o s e x u a l i t y » , i n New EnglandJournal of Medicine
( 1 9 9 4 ) 3 3 1 , 9 2 3 - 924; W.J. GADPAILLE, Homosexuality and homosexual activity, 1321-1322.
260 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

meni patologici, ma non delle cause dei fenomeni normali. Tuttavia, anche
quanti ritengono che l'omosessualità rappresenti un comportamento sessuale
accettabile devono domandarsi perché alcuni soggetti, la maggioranza, siano
eterosessuali e altri, in numero largamente minore, siano invece omosessuali.4
Innumerevoli sono le teorie elaborate, ma la questione resta tuttora irrisolta.
Fra le teorie prescientifiche ricordiamo il classico mito degli androgini,
contenuto nel Simposio di Platone, la teoria macrobiotica legata alla classifi-
cazione dei cibi in maschili e femminili, la dottrina della reincarnazione, la dot-
trina dell'equilibrio dei principi maschili e femminili nella persona.
Nell'antichità merita un posto a parte l'interpretazione del comporta-
mento omosessuale fornita da Aristotele nelle sue opere etiche e biologiche.
Neil 'Etica nicomachea, Aristotele affermava che fare l'amore con i maschi non
costituisce per natura (physei) una forma di piacere consono all'essere umano
ma, come altri comportamenti, esistono casi in cui esso, vuoi per difetti di svi-
luppo vuoi per abitudine acquisita, viene ricercato. Egli distingueva, a tal pro-
posito, l'omosessualità dovuta a una disposizione anomala della natura dall'o-
mosessualità acquisita come effetto di violenze sessuali subite in età infantile.5
In particolare, riguardo agli uomini che provano piacere a essere passivi - come
le donne - in un atto sessuale egli riteneva che ciò potesse dipendere da una
struttura particolare delle vie seminali, per cui il seme si raccoglie in sedi inna-
turali e provoca in questi soggetti il desiderio di essere stimolati attraverso un
rapporto anale.6 In entrambi i casi, sia per anomalia fisica, sia per abitudine
contratta nell'adolescenza, egli riteneva che l'inclinazione omosessuale fosse
incolpevole, anche se viene giudicata dallo Stagirita una nosematode, una pic-
cola infermità (distinta da altri comportamenti francamente patologici detti,
perciò, nòsoi, malattie). Dal punto di vista morale, perciò, egli riteneva che l'o-
mosessuale passivo non potesse essere ritenuto un intemperante, essendo tale
comportamento consono alla propria natura particolare.
Nel dibattito scientifico del nostro tempo, si fronteggiano teorie di tipo
biologico e teorie di tipo psicologico. Dopo l'incontrastato predominio delle

4
D.P. M E WHITER - S . A . M . SANDERS ( e d d . ) , Homosexuality/heterosexuality: concepts of sexual
orientation, New York 1990.
5
ARISTOTELE, Etica nicomachea VII,5,1148b 29-31: «Ci sono comportamenti bestiali [cioè, non
propri della natura umana]: certi sono provocati da malattia o, in alcuni, addirittura da follia, come quel
tale che offrì sua madre in sacrificio e la divorò, o quello schiavo che si mangiò il fegato del suo com-
pagno, altri sono stati morbosi [nosematode] derivati da un'abitudine, come, per esempio, lo strappar-
si i capelli e il mangiare le unghie, e anche carbone e terra e anche fare sesso tra maschi: ad alcuni que-
sto succede per natura, ad altri in forza di un'abitudine, come capita a quelli che sono stati violentati
da bambini».
6
ARISTOTELE, Storia degli animali VIII,581b. In base a questo passo, il Dover ritiene che Ari-
stotele nell'Etica nicomachea riserverebbe il giudizio di comportamento anomalo solo all'omosessua-
lità passiva, in quanto spinge a ricercare un piacere che è innaturale per il maschio; cf. K.J. DOVER,
Greek homosexuality, Cambridge 1978,168-169.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 261

teorie psicologiche nella seconda metà del XX secolo, si assiste da un decen-


nio a una rimonta delle teorie organiciste, sullo sfondo dell'eterno alternarsi
della dialettica natura-cultura. Fra le teorie biologiche, abbandonata la vecchia
ipotesi endocrina che pensava ad alterazioni dell'assetto adulto degli ormoni
sessuali, si fa strada Yipotesi psicoendocrina, che si fonda sull'azione degli
ormoni sessuali sull'encefalo del feto il quale ne deriverebbe un particolare
imprinting per quanto riguarda la regolazione ormonale e l'orientamento del-
l'istinto sessuale.7 Le cause proposte per spiegare questi eventi ormonali ano-
mali e i loro effetti sull'organizzazione neurale del feto sono di tue tipi: immu-
nitarie e genetiche.8 Alcuni ipotizzano - limitatamente al sesso maschile - una
sensibilizzazione del sistema immunitario materno verso qualche prodotto del
feto e questo avrebbe conseguenze sull'azione degli ormoni sessuali nei fratel-
li successivamente concepiti; altri pensano a cause genetiche, essendo stata evi-
denziata, fra l'altro, una concordanza significativa fra gemelli omozigoti e una
familiarità per l'omosessualità nella linea materna. 9
Vantano sempre molti fautori anche le teorie psicologiche che indicano la
causa dell'omosessualità nelle dinamiche dell'ambiente familiare o in una
forma di disadattamento sociale o, comunque, in una turba dello sviluppo psi-
cosessuale. Non si può dimenticare - per ragioni storiche - l'antica ipotesi ana-
litica di Freud che collegava l'omosessualità maschile con un blocco della
maturazione psicosessuale in fase edipica per invincibile ansia da castrazione,
con conseguente fissazione narcisistica della libido. Si ritiene oggi che l'omo-
sessualità possa essere interpretata come un'alterazione della relazione ogget-
tuale che, nel maschio, è connessa con un atteggiamento difensivo verso la
donna in risposta a un attaccamento inadeguato alla madre e a una relazione
disturbata con il padre; nella femmina, invece, si può rintracciare spesso una
madre che non favorisce l'indipendenza della figlia, compromettendone l'i-
dentificazione, o che le trasmette la convinzione che la relazione con l'uomo
sia fonte di sofferenza, soprattutto se una durezza paterna provoca paura nei
confronti del maschio.

7
Uno status quaestionis in: B.S. MUSTANSKI - M.L. CHIVERS - J.M. BAILEY, «A critical review of
recent biological research on human sexual orientation», in Annual review of sex research 13(2002), 89-
140. Si vedano inoltre: Q. RAHMAN, «The neurodevelopment of human sexual orientation», in Neuro-
science biobehavior review 29(2005), 1057-1066; D.F. SWAAB, «Sexual differentiation of the human
brain: relevance for gender identity, transsexualism and sexual orientation», in Gynecological endocri-
nology 19(2004), 301-312. A livello divulgativo, si vedano: W. BYNE, «I limiti dei modelli biologici del-
l'omosessualità», in Le scienze 27(1994), 24-30; S. LE VAY - D.H. HAMER, «Le componenti biologiche
dell'omosessualità maschile», in Le scienze 27(1994), 18-23.
8
V.L. QUINSEY, «The etiology of anomalous sexual preferences in men», in Annals of New York
academy of science (2003)989,105-117; 144-153.
9
J.D. HAYNES, «A critique of the possibility of genetic inheritance of homosexual orientation»,
in Journal of homosexuality 28(1995), 91-113.
262 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Vista la complessità e la pluridimensionalità della sessualità umana, sem-


bra ragionevole affrontare il problema con un approccio globale e multifatto-
riale. La sessualità, infatti, investe integralmente l'uomo nella sua dualità onto-
logica la quale, se da un lato lo radica saldamente nel mondo della natura, dal-
l'altra lo sospinge verso il mondo della cultura. La stessa omosessualità, nella
diversità delle sue forme e manifestazioni, potrebbe essere preparata e causa-
ta sia da fattori interni (costituzionali) sia da fattori esterni (situazionali) con-
vergenti. Non si possono sottacere, nell'ambito di quest'ultimo aspetto, i fatto-
ri sociali legati all'attuale ambiente culturale permissivista, alla tendenza ad
attenuare le naturali differenze fra i sessi e la complementarità reciproca dei
ruoli sessuali, nonché all'effetto disorientante esercitato sui giovanissimi dai
modelli di ambiguità sessuale presentati ed esaltati dai mass media.

3. L'OMOSESSUALITÀ NELL'ANTICHITÀ E NELLA SCRITTURA

In uno studio di Ford e Beach risalente agli anni '50 si evidenziava che
forme di omosessualità sono presenti in quasi tutte le culture antiche e moder-
ne.10 Su 76 culture non occidentali in cui si rintracciavano comportamenti rife-
ribili all'omosessualità maschile, il 64% di esse riteneva accettabile, a qualche
livello e almeno per alcuni membri della società, tale comportamento.
Nell'ambito della cultura classica la comprensione del fenomeno omo-
sessuale è molto complessa e l'interpretazione delle fonti documentarie si pre-
sta a letture diverse, con il rischio di proiettare, anacronisticamente, sul passa-
to i nostri schemi interpretativi.11
All'interno del mondo greco dobbiamo segnalare, prima di tutto, l'istitu-
to singolare della pederastia che non è riportabile semplicemente al quadro
psichiatrico della pedofilia. la pederastia consisteva in un rapporto di stretta
intimità fra un adulto e un adolescente in vista della sua iniziazione alla vita
sociale e che, entro un codice comportamentale accettato dal costume, non
escludeva neppure l'interazione genitale. In un simile contesto di profondo

10
Cf. C.S. FORD - F.A. BEACH, Patterns of sexual behaviour, New York 1951.
11
Sulla variegata attitudine degli antichi verso l'omosessualità e le sue diverse manifestazioni,
la letteratura è sterminata: J. BOTTER - H. PETSCHOW, «Homosexualität», in Reallexikon für antike und
Christentum, Stuttgart 1962-1965, IV, 459-468; E. CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel
mondo antico, Roma 21992; DOVER, Greek homosexuality, T.K. HUBBARD (ed.), Homosexuality in
Greece and Rome. A sourcebook of basic documents, Berkeley 2003; C. NARDI, «Omosessualità
maschile e cattolicesimo. A confronto con Atene e Roma», in Vivens Homo 15(2005), 219-250.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 263

sodalizio spirituale, affettivo e sessuale, si può inquadrare l'esperienza del thia-


sos femminile, di cui paradigma è il circolo di giovani fanciulle centrato intor-
no alla figura carismatica di Saffo, nella Lesbo del VII secolo. Tuttavia l'amore
tra donne, nei secoli seguenti, sembra inabissarsi e scompare come costume
socialmente rilevabile.
Riguardo ai rapporti sessuali tra adulti dello stesso sesso esisteva una
certa tolleranza per i rapporti che gli uomini adulti, di regola sposati, avevano
con altri uomini, soprattutto con prostituti o con schiavi obbligati a subire pas-
sivamente il rapporto sessuale. Nella considerazione comune gli omosessuali
passivi erano guardati con disistima e, se avessero accettato un rapporto passi-
vo per denaro, alla riprovazione sociale si aggiungeva la privazione di essen-
ziali diritti politici e l'esclusione da alcune funzioni pubbliche.
A Roma la pederastia greca era guardata con ostilità come usanza estra-
nea all'ethos romano e, nell'educazione dei giovani, si cercava di tenerli lonta-
ni da quella consuetudine (mos graecorum). Gli atti omogenitali tra adulti con-
senzienti erano giudicati con una certa tolleranza in quanto segno di vigore
sessuale da parte di chi svolgeva un ruolo attivo, mentre erano disprezzati
coloro che svolgevano un ruolo passivo e che erano indicati come molles,
«rammolliti». Analogamente al mondo greco, imporre a uno schiavo un atto
omogenitale passivo era ritenuto accettabile e legittimo, anche se era proibito
farlo con gli schiavi degli altri. Imporre, invece, con la violenza un rapporto
omosessuale a un uomo libero era punito con la morte in base alla Lex Iulia
de vi publica del 18 a.C.
Al contrario del mondo greco-romano, Vethos giudaico ha sempre rifiu-
tato l'omosessualità in ogni forma e ha trasmesso questa attitudine al cristia-
nesimo fino a oggi, anche se i motivi di questa riprovazione sono mutati nel
tempo e alcuni di essi oggi non persuadono più.12 Nel libro del Levitico, nel-
l'ambito del cosiddetto codice di santità, si condanna aspramente l'omosessua-
lità, qualificando i rapporti fra maschi come to'ebah, «abominio»: «Non ti cori-
cherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole».13 In un

12
L'ermeneutica dei testi biblici è oggetto di infinite controversie. Segnaliamo alcuni interven-
ti sintetici, di ambito sia cattolico sia protestante: R. CAVEDO, «Bibbia e omosessualità», in Credere oggi
20(2000), 37-45; W. COUNTRYMAN, Sesso e morale nella Bibbia, Torino 1998 (passim); M. GILBERT, «La
Bible et l'homosexualité», in Nouvelle revue théologique 109(1987), 78-95; R. HAYS, The moral vision
of the New Testament. Community, cross, new creation. A contemporary introduction to New Testament
ethics, San Francisco 1996, 379-406; I. HIMBAZA - A. SCHENKER - J.-B. EDART, L'omosessualità nella
Bibbia, Cinisello Balsamo 2007; G. RAVASI, «Omosessualità e devianza religiosa», in Vita pastorale
6(1993), 167-175; M.L. SOARDS, Scripture and homosexuality: biblical authority and the Church today,
Louisville 1995; O. VIA - R. GAGNON, Homosexuality and the Bible: two views, Minneapolis 2003. Tra
gli interventi recenti, più propensi a una rilettura pro-gay della questione: D.G. MYERS - L. DAWSON
SCANZONI, What God has joined together? A christian case for gay marriage, San Francisco 2005.
13
Lv 18,22.
264 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

altro passo del Levitico l'atto omosessuale maschile viene punito con la morte,
esattamente come l'avere relazioni con una donna mestruata, rivelando una
connessione fra il tabù del sangue e quello del seme: «Se uno ha rapporti con
un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio;
dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro».14
Il termine ebraico to'ebah definisce ciò che è impuro e causa l'impurità
rituale. In tutto l'Antico Testamento il termine è usato per indicare quei pec-
cati che implicano contaminazioni pagane: molto spesso compare come parte
dell'espressione to'ebah ha-goyim, «l'impurità dei gentili» (cf. 2Re 16,3) e tal-
volta to'ebah indica l'idolo stesso. A questo proposito, è interessante notare
che nel Levitico quando si vieta la prostituzione ordinaria si impiega il termi-
ne zimah (cf. Lv 19,29), mentre quando si condanna la prostituzione sacra, col-
legata all'idolatria, viene usato il termine to'ebah (cf. IRe 14,24). La connes-
sione di to'ebah con l'idolatria piuttosto che con un disordine sessuale in sé
ritorna anche nei passi riguardanti gli atti omosessuali.
Ci sono, perciò, esegeti che, a partire dagli anni '50 del secolo scorso,
hanno sostenuto che la condanna dell'omosessualità nel Levitico non avrebbe
lo scopo di proibire certi comportamenti perché sessualmente disordinati, ma
di mettere in guardia il popolo eletto verso pratiche sessuali legate all'idolatria
e, quindi, di prevenire contaminazioni degli ebrei con i costumi dei popoli
pagani circostanti.15 In effetti, le proibizioni contenute nel c. 18 del Levitico
sembrano avere lo scopo di segnare una demarcazione netta fra gli ebrei, il
popolo santo, e i pagani, come si può leggere nei primi versetti: «Non farete
come si fa nella terra d'Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nella
terra di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi» (Lv 18,3).
Passando al noto episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen
19,1-29), ritenuto emblematico della condanna veterotestamentaria, dobbiamo
ammettere che una connessione univoca ed esclusiva tra omosessualità e puni-
zione divina non è per niente chiara. È vero che si racconta come i sodomiti
volessero conoscere sessualmente gli ospiti misteriosi di Lot, ma dal testo non
è dato dedurre se Dio avesse deciso di punire Sodoma proprio per i compor-
tamenti omosessuali. L'esegesi moderna tende a dare spiegazioni diverse della
condanna delle città peccatrici e sottolinea, comunque, che il significato origi-
nale del passo riguardava la violazione dell'ospitalità verso gli stranieri. Sodo-
ma viene ricordata come esempio di città peccatrice in una dozzina di luoghi
dell'Antico Testamento, ma in nessuno di questi passi i suoi peccati vengono

14
Lv 20,13. Notare che, quanto alla punizione, non si fa differenza del ruolo diverso eventual-
mente svolto dai partner di una coppia omosessuale.
15
Cf. D.S. BAILEY, Homosexuality and the western tradition, London 1955, 30.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 265

esplicitamente identificati con il comportamento omosessuale.16 Un'allusione


vaga al peccato di omosessualità si può trovare in un passo di Ezechiele che,
introducendo la to'ebah fra le colpe di Sodoma, potrebbe far pensare alla con-
danna del Levitico:

Per la mia vita - oracolo del Signore Dio - tua sorella Sodoma e le sue figlie
non fecero quanto hai fatto tu insieme alle tue figlie! Ecco, questa fu l'iniquità
di tua sorella Sodoma: essa e le sue figlie erano piene di superbia, ingordigia,
ozio indolente. Non stesero, però, la mano contro il povero e all'indigente.
Insuperbirono e commisero ciò che è abominevole [to'ebah] dinanzi a me: io le
vidi e le eliminai. 17

L'identificazione del peccato dei sodomiti meritevole dell'ira divina con


l'omosessualità si trova nell'opera esegetica di Filone Alessandrino,18 nell'ese-
gesi rabbinica 19 e - sia pure in modo non inequivocabile - nei libri neotesta-
mentari più vicini all'ambiente giudeo-cristiano, come la Seconda lettera di
Pietro e la Lettera di Giuda. Questa identificazione, comunque, divenne così
universalmente accettata che in molte lingue moderne il termine sodomia è
passato a indicare un rapporto contro natura. 20
Nel Nuovo Testamento spiccano alcuni testi paolini sull'omosessualità,
sia maschile sia femminile. In ICor 6,9, da confrontarsi con un brano analogo
di lTm 1,9-10, Paolo, servendosi forse di un elenco di vizi preesistente, parla
di malakòi e di arsenokòitai, giudicati entrambi indegni di entrare nel Regno
venturo:

Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati [malakoi], né


sodomiti [arsenokoitai] né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapi-
natori erediteranno il regno di Dio.21

16
Nei libri sapienziali si identifica il peccato di Sodoma con l'orgoglio (cf. Sir 16,8) o con l'ino-
spitalità (cf. Sap 19,14). Tra i profeti, Isaia sottolinea la mancanza di giustizia (Is 3,9), mentre Geremia
ricorda la rilassatezza dei costumi (Ger 23,14).
17
Ez 16,48-50; cf. Lam 4,6.
18
FILONE ALESSANDRINO, De migratione Abrahami 139; De ebrietate 222ss; De vita Moysis 2,56;
cf. GIUSEPPE FLAVIO, Antiquitates judaicae 1,11,1-3.
19
Cf. H. STRACK - P. BILLERBECK, Kommentar zum neuen testament aus talmud und midrasch,
1,571-574; III, 785ss.
20
La parola sodomia può indicare un rapporto sessuale anale od orale sia omo sia eteroses-
suale, sia, talvolta, la bestialità (zoofilia). Quest'ultima accezione è tipica del tedesco sodomie.
21
ICor 6,9-10. Così CEI 2008; in CEI 1974 era: «né effeminati [malakoi], né sodomiti [arse-
nokoitai]»; cf. l T m 1,9-10: «Nella convinzione che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e
i ribelli [...] i sodomiti [arsenokoitai, Vulgata: masculorum concubitores] [...] e per ogni altra cosa che
è contraria alla sana dottrina» (cf. A. HUMBERT, «Les péchés de sexualité dans le Nouveau Testament»,
in Studia moralia 8[1970], 140-183).
266 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Il senso di tali termini - tradotti rispettivamente dalla Vulgata con mol-


les e masculorum concubitores - è incerto. Sembra tuttavia che arsenokòitai si
riferisca a uomini che giacciono con altri uomini (omosessuali attivi)22 e che,
almeno in questo contesto, malakòi indichi la persona che serve come stru-
mento passivo in un atto omosessuale (ruolo di solito imposto a uno schiavo o
svolto da un prostituto). 23
In Rm 1,26-27, nel contesto della descrizione del peccato dei pagani che
non hanno riconosciuto con la luce della ragione l'esistenza di Dio creatore e
non hanno obbedito alla legge della natura scritta nel loro cuore, l'apostolo fa
riferimento, con evidente ripulsa, all'omosessualità maschile e femminile:

Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro femmine


hanno cambiato i rapporti naturali con quelli contro natura. Similmente anche i
maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di deside-
rio gli uni verso gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, rice-
vendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento.

I comportamenti omosessuali, più di tanti altri disordini morali, doveva-


no suscitare l'istintiva riprovazione di un uomo come Paolo, di cultura e men-
talità giudaica, e pertanto sono da lui considerati quasi il simbolo del disordi-
ne morale e la prova della lontananza di Dio.24 Attraverso l'impiego della cate-
goria stoica del contro natura,25 Paolo riconnette l'omosessualità all'idolatria
in quanto pervertimento dell'ordine voluto dal creatore, la definisce cosa ver-
gognosa («aiskemosyne»)26 e parla dei desideri omosessuali come passioni
disonorevoli («pathe atimìas»).27

22
W.L. PETERSON, «Can arsenokoitai be translated by "homosexuals" (ICor 6,9; lTm 1,10)?»,
in Vigiliae christianae 40(1986), 187-191; J. WRIGHT, «Homosexuals or prostitutes: the meaning of arse-
nokoitai (ICor 6,9; lTm 1,10)», in Vigiliae christianae» 38(1984), 125-153.
23
II termine malakòs copre un'area semantica che comprende i significati di morbido, delicato,
debole e simili. In senso morale significa incontinente, non controllato, come si legge in ARISTOTELE,
Etica nicomachea 7,4,4. In effetti malakòs può indicare l'omosessuale passivo o pathikòs, come il cor-
rispondente latino mollis (cf. FEDRO, Fabulae 4,14; CATULLO, Carmina 25,1; MARZIALE, Epigrammata
3,73; PETRONIO, Satyricon 23). I teologi medievali pensavano piuttosto al senso di «masturbatore» e
usavano indicare la masturbazione con mollities o mollitia (cf. VINCENZO DI BEAUVAIS, Speculum doc-
trinale 4,162; TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 54, a. 1, resp.).
24
Anche l'enciclica Veritatis splendor si servirà proprio della condanna tradizionale degli atti
omosessuali per illustrare le sue tesi sull'antropologia cristiana e i suoi rapporti con la legge naturale
(nn. 47-49).
25
Per l'uso della categoria di legge naturale in Paolo: A. SACCHI, «La legge naturale nella Let-
tera ai Romani», in Fondamenti biblici della teologia morale. Atti della XXII settimana biblica, Brescia
1973, 375-389. L'idea che la pratica omosessuale sia contro natura (katà physin) si trova già in PLATO-
NE, Leges VIII,838e-839.
26
II concetto di aiskemosyne è comune nella grecità e nel giudaismo ellenistico; cf. ad esempio
EPITTETO, Dissertationes 2 , 5 - 2 3 ; FILONE ALESSANDRINO, Legum allegoriae 2 , 1 7 ; GIUSEPPE FLAVIO, Bel-
lum Judaicum 223.
27
Per un'esegesi del testo si veda: H. SCHLIER, «La Lettera ai Romani», in Commentario teolo-
gico del Nuovo Testamento, Brescia 1982, VI, 121-122. In prospettiva etica: J.B. EDART, «Le drame de
l'humanisme pai'en, réflexions sur Rm 1,18-32 et l'homosexualité», in Anthropotes (2004), 285-304.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 267

In questa linea di sintonia con la tradizione veterotestamentaria e con


l'esegesi giudaica, si possono intendere i testi di 2Pt 2,6-9 e di Gd 7, anche se
- a una lettura oggettiva del testo - il riferimento all'omosessualità è tutt'altro
che accertato. Nel descrivere le colpe degli eretici le due lettere ricorrono a
esempi biblici, tra i quali il peccato scellerato di Sodoma e Gomorra che
«deviarono verso una carne diversa». Dice la Lettera di Giuda:

Come Sodoma e Gomorra e le città vicine che alla stessa maniera [seil, dei falsi
maestri] si abbandonarono all'immoralità e deviarono verso una carne diversa,
stanno subendo esemplarmente le pene di un fuoco eterno. 28

Secondo il racconto contenuto in Gen 19,4-25, gli abitanti di Sodoma


volevano «conoscere» - si suppone in senso sessuale - i due angeli che Lot
aveva ospitato. «La loro carne era diversa», commenta lo Schelkle, «poiché
erano angeli che si erano incarnati».29 Il peccato, quindi, sembra quello di voler
avere rapporti sessuali con gli angeli apparsi sotto forma umana. Analoga-
mente il peccato degli angeli, ricordato nel versetto precedente della lettera, ci
riporta al mito contenuto in Gen 6,1-4 in cui si racconta dei «figli di Dio» (tra-
dotto dai LXX «àngheloi tou Theou») che lasciano il cielo per unirsi alle figlie
degli uomini e, quindi, «con una carne diversa». Tanta è la forza della precom-
prensione tradizionale che la Bibbia CEI rende il greco «apelthousai opiso
sarkòs etèras» con «seguirono vizi contro natura», del tutto simile alla versio-
ne CEI 1974: «sono andate dietro a vizi contro natura». Questa non è una tra-
duzione, ma un'interpretazione del testo. La Vulgata traduceva correttamente
«abeuntes post carnem alteram», senza introdurre allusioni all'omosessualità.
Anche tralasciando i passi di incerto significato, non si può, tuttavia,
negare che sia il Vecchio sia il Nuovo Testamento abbiano testi di aperta con-
danna dell'omosessualità. Si è cercato, allora, di ridurre la forza di questi testi
adducendo motivazioni e prospettive diverse. Abbiamo già visto che si è cer-
cato di riportare la condanna, soprattutto veterotestamentaria, dell'omoses-
sualità al nesso esistente fra pratiche omosessuali e culti idolatri. Altri sottoli-
neano il fatto che nel mondo antico era sorte degli schiavi dover subire rap-
porti omosessuali e questo contraddirebbe la dignità e la libertà del giudeo,
prima, e del cristiano, poi. Qualche esegeta, infine, ha cercato di dimostrare che
nei testi biblici, soprattutto quelli paolini, si condannano gli atti omosessuali

28
Abbiamo ritoccato la versione CEI, come spiegheremo più avanti. L'espressione «alla stessa
maniera» è riferita agli eretici; cf. K.H. SCHELKLE, «Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda», in Com-
mentario teologico del Nuovo Testamento, Brescia 1981, XIII/2,254, nota 18.
29
SCHELKLE, Le lettere di Pietro, 254.
268 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

non in quanto tali, ma in quanto compiuti da persone che si ritenevano essere


eterosessuali;30 ma commenta un autore protestante:

Questa lettura proietta nei testi la consapevolezza dell'orientamento sessuale


psicologico; in realtà nella Bibbia esso è semplicemente assente, poiché neppure
lo schema bipolare genesiaco della creazione lascia trasparire una comprensio-
ne dell'orientamento psichico.31

D'altra parte non possiamo attribuire a san Paolo e agli agiografi una
comprensione dell'omosessualità analoga alla nostra, in un tempo nel quale
ancora non era stata costruita la categoria socio-culturale di omosessualità
come oggi noi l'intendiamo.32 Essi, in sostanza, non pensano l'orientamento
sessuale in termini binari, etero od omosessuale, ma presuppongono che esista
in ciascuno un istinto sessuale naturale che porta all'unione feconda e che
alcuni soggetti, per motivi vari, compiono atti sessuali con persone dello stes-
so sesso. L'atto omosessuale è senza dubbio riprovato in sé, ma nulla si direb-
be della condizione omosessuale modernamente intesa.

4- L'OMOSESSUALITÀ NELLA TRADIZIONE

Fin dalle origini la Chiesa, facendo eco alle sacre Scritture, ha condanna-
to la pratica omosessuale e gli avversari più accesi delle posizioni cattoliche
parlano, addirittura, di «crociate antigay» e di costante atteggiamento omofo-
bo da parte della Chiesa.33 Studi più recenti - spesso orientati ideologicamen-
te, come quelli dello storico J. Boswell - hanno cercato di ridimensionare o,

30
Cf. H. VAN DE SPIJKER, Omotropia, un discorso diverso sulla omosessualità, Torino 1983,33:
«La condanna talvolta molto dura degli atti omosessuali diventa allora comprensibile se si pensa che,
secondo la concezione di allora, quegli atti omosessuali erano compiuti da persone eterotropiche».
31
A.BERLENDIS, La gioia sessuale: frutto proibito? Le risposte della Bibbia, delle Chiese e della
società, Torino 1985,173. Si noti che il testo, edito dalla editrice Claudiana, rappresenta un attacco fron-
tale a tutta la tradizione cattolica nell'ambito dell'etica sessuale.
32
Senza voler assolutizzare una prospettiva particolare, ci pare che gli storici costruttivisti non
abbiano tutti i torti quando insistono sul fatto che l'omosessualità non è tanto un'essenza o una natu-
ra che definisce certi soggetti, ma la rappresentazione dell'omosessualità propria di una certa società
e cultura a plasmare la vita di certi soggetti. Questa impostazione costruttivista si può ritrovare nella
prima parte della famosa storia della sessualità di M. FOUCAULT, Histoire de la sexualité. La volontà de
savoir, Paris 1976.
33
II termine omofobo fu coniato nel 1967 per indicare una precomprensione negativa nei con-
fronti degli omosessuali: G.M. HEREK, «Beyond "homophobia": a social psychological perspective on
attitudes toward lesbians and gay men», in Journal of homosexuality 10(1984), 1-21; G.H. WEIMBERG,
Society and healthy homosexuals, New York 1972.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 269

addirittura, di ribaltare questa posizione per dimostrare che l'atteggiamento


originario della Chiesa, almeno fino al XIII secolo, era di tolleranza de facto
verso l'omosessualità, sia nelle espressioni omogenitali, sia, soprattutto, nelle
espressioni omofiliche.34 Se era questa la posizione più antica e originaria della
Chiesa, ne consegue che la Chiesa di oggi dovrebbe rivedere il suo atteggia-
mento verso l'omosessualità in un senso di maggiore accoglienza. Lo studio
delle fonti, però, non sembra confermare questa ipotesi interpretativa.
Nella letteratura patristica le parole di condanna più forti dell'omoses-
sualità si trovano in Agostino (354-430) e in Giovanni Crisostomo (344-407)
che si richiamavano soprattutto al legame posto da Dio fra sessualità e gene-
razione: nell'omosessualità è violata la volontà stessa del creatore. Nelle Con-
fessioni, Agostino è perentorio:

I delitti che vanno contro natura, come erano quelli dei sodomiti, devono essere
condannati e puniti ovunque e sempre. Quand'anche tutti i popoli li commettes-
sero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio, infatti, non ha
creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stessi. È la stessa
unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata quando, mossi dalla per-
versità della passione, viene profanata la natura stessa che Dio ha creato. 35

San Giovanni Crisostomo torna ripetutamente sull'argomento. Nel


Commento sull'epistola ai Romani usa accenti durissimi:

Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l'anima viene più danneggiata e


degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore
fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi [...]. I peccati contro natura sono
più difficili e meno gratificanti, tanto che non si può nemmeno affermare che
essi procurino piacere, perché il vero piacere è solo quello che si accorda con la
natura. Ma quando Dio ha abbandonato qualcuno, tutto è invertito! Perciò non
solo le loro [degli omosessuali] passioni sono sataniche, ma le loro vite sono dia-
boliche.
Perciò io ti dico che costoro sono anche peggiori degli omicidi e che sarebbe
meglio morire che vivere disonorati in questo modo. L'omicida separa solo l'a-
nima dal corpo, mentre costoro distruggono l'anima all'interno del corpo. Qual-

34
Cf. J. BOSWELL, Christianity, social tolerance and homosexuality, Chicago 1980 (trad. it. Cri-
stianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo, Milano
1989); ID., Same sex unions in premodern Europe, New York 1994.
35
AGOSTINO, Confessionum libri 3,8,15: PL 32,689-690: «Itaque flagitia, quae sunt contra natu-
ram, ubique ac semper detestanda atque punienda sunt, qualia Sodomitarum fuerunt. quae si omnes
gentes facerent, eodem criminis reatu divina lege tenerentur, quae non sic fecit homines, ut hoc se ute-
rentur modo, violatur quippe ipsa societas, quae cum D e o nobis esse debet, cum eadem natura, cuius
ille auctor est, libidinis perversitate polluitur».
270 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

siasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se
quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro acca-
dendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottostarvi. Non c'è nulla,
assolutamente nulla di più folle o dannoso di questa perversità. 36

Queste idee influirono anche sulla legislazione civile. Prendendo le


distanze dalla tolleranza tipica del mondo classico, gli imperatori cristiani Teo-
dosio e Giustiniano inasprirono la legislazione imperiale, comminando la pena
di morte per alcuni disordini sessuali, come l'adulterio e l'omosessualità.37
L'interpretazione del senso di questa legislazione è molto controversa, così
come è oggetto di dibattito il rigore della loro applicazione. Le testimonianze
storiche ci fanno pensare che la pratica omosessuale fosse punita con più seve-
rità quando coinvolgeva ecclesiastici.
Il XVI concilio di Toledo, tenutosi nel 693, al can. 3 condannò la pratica
omosessuale come un delitto punibile con sanzioni: il chierico veniva ridotto
allo stato laicale e condannato all'esilio perpetuo, mentre il laico veniva sco-
municato e, dopo aver subito la pena delle verghe, veniva anch'esso esiliato.38
La norma canonica si integrava con la norma civile prevista dalla Lex visi-
gothorum che prevedeva la pena di morte per i colpevoli di sodomia.
Una testimonianza di grande valore, per rendersi conto della sensibilità
morale del popolo cristiano verso le pratiche omosessuali, viene dai peniten-
ziali medievali. Si chiamavano penitenziali dei manuali pratici a uso dei con-
fessori che contenevano elenchi di peccati, spesso in forma di domanda da
rivolgere al penitente, e, per ogni peccato, una penitenza proporzionata. Per
esempio, secondo il Penitenziale di san Colombano, uno dei più antichi, risa-
lente al VI secolo, il monaco che calunnia un confratello deve fare tre giorni di
digiuno, se ha calunniato l'abate deve digiunare una settimana. L'ultimo dei
penitenziali propriamente detti fu composto verso il 1010 dal grande canoni-
sta Burcardo di Worms. In tutti i penitenziali si affrontava il tema dell'omo-
sessualità o riferendosi direttamente ai sodomites o usando espressioni equi-
valenti come fornicatio sodomitica, sodomitico more, sodomitico ritu, in scele-
re sodomitico, sodomiticum peccatum, a volte, molto esplicitamente, parlando
di rapporti in terga, da dietro.39 Nel Penitenziale di san Colombano si legge:

36
GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos: PG 47,360-362.
37
Cf. E. CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Roma 2 1992,226-237.
38
G.D. MANSI (ed.), Sacrorum conciliorum nova collectio, XII, 71.
39
Per l'omosessualità nei penitenziali: BAILEY, Homosexuality and the western tradition, 100-
110; BOSWELL, Cristianesimo, tolleranza, omosessualità, 225-227; P.J. PAYER, Sex and the penitentials.
The development of sexual code 550-1150, Toronto 1984, 40-44 (si veda anche l'appendice Homo-
sexuality and the penitentials).
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 271

Se un laico avrà fornicato in modo sodomitico, faccia penitenza per sette anni: i
primi tre nutrendosi di solo pane, acqua, sale e legumi secchi; gli altri quattro si
astenga dal vino e dalle carni. Così il suo peccato sarà perdonato e il confessore
pregherà per lui e lo riammetterà alla comunione. 40

In genere i penitenziali si mostrano più indulgenti con l'omosessualità


femminile perché le concezioni anatomo-fisiologiche del tempo esaltavano in
senso esclusivo la potenza generatrice del seme virile, che veniva inutilmente
sparso negli atti omosessuali fra maschi, e si giudicavano, inoltre, le donne
moralmente più deboli e, quindi, meno colpevoli.
La menzione frequente e dettagliata delle pratiche omosessuali ci fa
arguire che si trattasse di comportamenti tutt'altro che eccezionali non solo fra
i laici, ma anche fra preti e monaci. Non stupisce pertanto che, nell'ambito del
movimento di riforma della vita ecclesiale dell'XI secolo, accanto al problema
del concubinato ecclesiastico, venisse affrontato con decisione anche lo scan-
dalo suscitato dall'omosessualità dei chierici. San Pier Damiani (1007-1072),
dottore della Chiesa e riformatore dell'ordine benedettino, nel Liber
gomorrhianus, scritto verso il 1051 e dedicato a papa Leone IX, denuncia con
grande vigore la «vitam spurcissimam» di certi chierici e, in particolare, la
sodomia:

Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera
per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti, uccide il corpo, rovina l'anima, conta-
mina la carne, estingue la luce dell'intelletto, caccia lo Spirito Santo dal tempio
dell'anima. 41

Benché l'omosessualità fosse condannata sin dagli inizi della Chiesa, si


nota, però, una maggiore insistenza e un inasprimento della sua condanna nel
secondo millennio dell'era cristiana, proprio a partire dal Liber gomorrhianus.
Il concilio ecumenico Lateranense III, tenutosi nel 1179, al can. 11 stabilì che:

chiunque sia stato scoperto soffrire di quella incontinenza che è contro natura, a
causa della quale «la collera di Dio venne sui figli della disobbedienza» (Ef 5,6)

40
J. LAPORTE, Le pénitentiel de saint Colomban. Introduction et édition critique, Paris-Tournai
1 9 5 8 , 99.
41
PIER DAMIANI, Opusculum septimum. Liber gomorrhianus ad Leonem IX romanum pontefi-
cem: PL 145,161-190. Traduzione italiana in: PIER DAMIANI, Lettere (22-40), in ID., Opere di Pier
Damiani, a cura di G.I. GARGANO - N. D'ACUNTO, Roma 2001,1/2,162-227. Ampia bibliografia in: U.
FACCHINI, Pier Damiani. Un padre del secondo millennio. Bibliografia 1007-2007, in Opere di Pier
Damiani. Complementi, Roma 2007, 323-327. Si veda inoltre: K. SKWIERCZYNSKI, «L'apologia della
Chiesa, della società o di se stesso? Il Liber Gomorrhianus di s. Pier Damiani», in M. TAGLIAFERRI (ed.)
Pier Damiani. L'eremita, il teologo, il riformatore (1007-2007), Bologna 2009,259-279.
272 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

e cinque città furono consumate dal fuoco, se è chierico, sia espulso dal clero o
sia rinchiuso in un monastero a far penitenza; se è laico, sia scomunicato e tenu-
to lontano dalla comunità dei fedeli. 42

Il pensiero tradizionale sull'omosessualità e sulle ragioni che lo giustifi-


cano è sintetizzato da san Tommaso d'Aquino (1222-1274) quando tratta l'in-
temperanza nelle sue diverse espressioni. Ispirandosi aÌYEtica nicomachea, ma
di fatto capovolgendone le conclusioni, Tommaso spiega che l'atto omosessua-
le, in quanto derivante da un'inclinazione contraria alla regola della natura
umana, costituisce come il parossismo dell'intemperanza, al pari del provare
piacere nel cibarsi di carne umana:

L'intemperanza è sommamente riprovevole, per due ragioni. Innanzitutto per-


ché ripugna sommamente all'umana eccellenza, trattandosi di piaceri che abbia-
mo in comune coi bruti. [...] Secondariamente perché ripugna sommamente alla
nobiltà e al decoro, in quanto cioè nei piaceri riguardanti l'intemperanza viene
offuscata la luce della ragione, dalla quale deriva tutta la nobiltà e la bellezza
della virtù 43 [...]. I vizi della carne che riguardano l'intemperanza, benché siano
meno gravi quanto alla colpa, sono però più gravi quanto all'infamia. Infatti la
gravità della colpa riguarda il traviamento dal fine, mentre l'infamia riguarda la
turpitudine, che viene valutata soprattutto quanto all'indecenza del peccato 44
[...]. Ma i vizi che violano la regola dell'umana natura sono ancor più riprove-
voli. Essi vanno ricondotti a quel tipo di intemperanza che ne costituisce in un
certo modo l'eccesso - è questo il caso di coloro che godono nel cibarsi di carne
umana, o nell'accoppiamento con bestie, o in quello sodomitico.45

Aristotele, parlando degli uomini che godono nell'essere passivi, aveva


affermato che questo comportamento, derivando da una struttura anatomica
anomala o da abitudine contratta nell'adolescenza, non deve essere ritenuto
un'intemperanza, così come non si ritiene un'intemperanza per le donne esse-
re passive nell'atto sessuale. Per Tommaso, invece, cercare il piacere sessuale
fuori dell'ordine voluto dal creatore, che ha fatto la sessualità umana prima-
riamente finalizzata alla procreazione, è contro la legge di natura e, in ultima
analisi, contro la volontà di Dio. «Nei peccati contro natura in cui viene viola-

42
G. ALBERIGO et al. (edd.), Conciliorum oecumenicorum decreta, Bologna 31991, 217: «Qui-
cumque, incontinentia ilia, quae contra naturam est, propter quam venit ira Dei in filios diffidentiae et
quinque civitates igne consumpsit, deprehensi fuerint laborare, si clerci fuierint eiciantur a clero vel ad
poenitentiam agendam in monasteriis detrudantur, si laici excommunicationi subdantur et a coetu
fidelium fiant prorsus alieni» (cf. MANSI, Sacrorum conciliorum nova collectio, XXII, 224).
43
TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 142, a. 4, resp.
44
TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 142, a. 4, ad primum.
45
TOMMASO D'AQUINO, STh I I - I I , q. 1 4 2 , a. 4 , ad tertium.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 273

to l'ordine naturale», scrive l'Aquinate, «viene offeso Dio stesso in qualità di


ordinatore della natura». 46 Per questo fra i peccati di lussuria quelli contro
natura sono da ritenersi i più gravi e, nell'ordine, il più grave è la bestialità, in
cui non si rispetta la debita specie dell'oggetto sessuale; dopo di questo, il vizio
sodomitico in cui non si conserva la necessaria differenza sessuale; e infine il
peccato contro natura compiuto fra uomo e donna quando l'atto sessuale avvie-
ne in modo diverso della penetrazione vaginale e, quindi, in modo infecondo.47
Nonostante la nettezza delle prese di posizioni teologiche, il fenomeno
dell'omosessualità non è mai scomparso dai paesi cristiani. In certi momenti
storici ha addirittura assunto proporzioni così allarmanti da provocare ina-
sprimenti nel campo delle leggi civili e interventi di grande rigore in campo
ecclesiastico. Nell'Italia paganeggiante e gaudente dell'umanesimo e del rina-
scimento, la pratica dell'omosessualità dilagava, almeno a stare alle testimo-
nianze dei cronisti e degli storici.48 In questo contesto si collocano le dure
invettive di san Bernardino da Siena (1380-1444), frate francescano predicato-
re e fustigatore dei costumi, che, in occasione delle sue prediche, riempiva piaz-
za del Campo a Siena:

Non è peccato al mondo che più tenga l'anima, che quello de la sodomia male-
detta; il quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che so' vissuti
secondo Iddio [...]. La passione per delle forme indebite è prossima alla pazzia;
questo vizio sconvolge l'intelletto, spezza l'animo elevato e generoso, trascina
dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, ser-
vilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l'animo agitato da insaziabi-
le bramosia di godere, non segue la ragione ma il furore [...]. La cagione si è per-
ché ellino so' accecati, e dove arebbono i pensieri loro alle cose alte e grandi,
come quelle che hanno l'animo magno, gli rompe e gli fracassa e riduceli a vili
cose a disutili e fracide e putride, e mai questi tali non si possono contentare [...].
Come de la gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, così in inferno vi so'
luoghi dove v'è più pene, e più ne sente uno che un altro. Più pena sente uno che
sia vissuto con questo vizio de la sodomia che un altro, perocché questo è mag-
gior peccato che sia 49

46
TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 154, a. 12, ad primum.
47
TOMMASO D'AQUINO, STh II-II, q. 154, a. 12, ad quartum. L o sgradevole a c c o s t a m e n t o del-
l'omosessualità con la zoofilia non deriva da Aristotele. Si noti però - per inciso - che nell'Antico
Testamento veniva usata la stessa parola, shàkhabh, sia per il coito omosessuale sia per il coito con ani-
mali.
48
Cf. R. CANOSA, Storia di una grande paura. La sodomia a Firenze e a Venezia nel Quattro-
cento, Milano 1991; M. ROCKE, Forbidden friendships. Homosexuality and male culture in Renaissance
Florence, Oxford-New York 1996; G. RUGGIERO, Confini dell'eros, 1: Crimini sessuali e sessualità nella
Venezia del Rinascimento, Padova 1988,181-240.
49
BERNARDINO DA SIENA, Predica XXXIX, in Prediche volgari, 896-897.915.
274 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

I sodomiti f u r o n o un bersaglio n o n infrequente anche della predicazione


di fra Girolamo Savonarola (1452-1498), il domenicano che cercò di restaura-
re la Repubblica fiorentina, cacciati i Medici, e che finì impiccato e poi brucia-
to in piazza della Signoria a Firenze. 5 0 In una predica del 1494 così tuonava:

Grande peccato è quello di questa città, dico del peccato della città di Soddoma,
per il quale Iddio non ti vuol vedere, o Firenze: di questo n'è pieno el popolo e
massime el clero. Se tu non provvedi, Firenze, Firenze, Iddio ti farà pericolare. 51

Più tardi la repressione dell'omosessualità entrò a far parte del pro-


gramma di riforma dei costumi che la Chiesa cattolica intraprese nella secon-
da m e t à del secolo XVI, d o p o la ferita arrecatale dal protestantesimo. Fra gli
interventi più significativi ricordiamo due costituzioni e m a n a t e dal p a p a
domenicano san Pio V (1504-1572). Si legge nella costituzione Cum primum
del 1° aprile 1566:

Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in
qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza
indugi quelle cose che, sia con l'autorità delle sacre Scritture che con gravissimi
esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all'i-
ra: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della
bestemmia e l'esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popo-
li e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre,
fame e pestilenze.52

E continua richiamando i magistrati al dovere di reprimere l'omosessua-


lità e minacciando tutti i colpevoli, inclusi i chierici, dell'ira divina e delle puni-
zioni umane:

Sappiano i magistrati che se, anche dopo questa nostra costituzione, saranno
negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio
divino e incorreranno anche nella nostra indignazione.
Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale
l'ira divina piombò su figli dell'iniquità, verrà consegnato per punizione al brac-
cio secolare e, se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato
privato di ogni grado.53

50
Sul dibattito intorno alla sodomia nella Firenze del Savonarola: CANOSA, Storia di una gran-
de paura, 55-64; U. MAZZONE, «El buon governo». Un progetto di riforma generale nella Firenze savo-
naroliana, Firenze 1978,97-100.194-197; ROCKE, Forbidden friedships, 195-226.
51
G. SAVONAROLA, Prediche sopra Aggeo, Roma 1965, predica II, 44-45.
52
Pio V, Cum primum, 1-4 1566, in Bullarium romanum, t. IV, c. II, 284.
53
Pio V, Cum primum, 1-4 1566, in Bullarium romanum, t. IV, c. II, 286.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 275

Nella costituzione Horrendum illud scelus del 30 agosto 1568 riprende e


c o n f e r m a alcune disposizioni del concilio Lateranense V, riunito nel 1512-1517
per p r o m u o v e r e una riforma interna della Chiesa cattolica, ma che rimase let-
tera morta. La costituzione è diretta contro i chierici che si siano dati a prati-
che omosessuali:

Quell'orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene [seil. Sodo-
ma e Gomorra] vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo
dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimi-
ne col massimo zelo possibile. A buon diritto il concilio Lateranense V stabilisce
per decreto che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio
contro natura per via del quale l'ira divina cadde sui figli dell'empietà, venga
allontanato dall'ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un
monastero [c. 4,X,V,31].
Affinché il contagio di un così grave flagello non progredisca con maggior auda-
cia approfittandosi di quell'impunità che è il massimo incitamento al peccato, e
per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che
non sono atterriti dalla morte dell'anima, abbiamo deciso che vengano atterriti
dall'autorità secolare, vindice della legge civile.
Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin
dal principio del Nostro Pontificato [seil, la costituzione Cum primum], stabilia-
mo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di
qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della
presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità
e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico,
venga subito consegnato all'autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio,
previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in
questo abisso.54

P o t r e m m o continuare all'infinito con testi di questo tipo, tratti dai cate-


chismi, dalle omelie, dai trattati di morale, sino agli inizi del X X secolo. L'at-
teggiamento della tradizione cattolica è chiaro: la pratica omosessuale n o n è
solo u n peccato, m a è un peccato segnato da una nota particolare di infamia e
di ripulsa rispetto anche ad altre colpe dell'ambito sessuale. La condanna delle
pratiche omosessuali non coincide, tuttavia, con una precisa individuazione
dell'omosessuale come appartenente a una n a t u r a diversa. Secondo il filosofo
francese M. Foucault si può parlare di omosessualità in senso m o d e r n o solo nel
X V I I secolo, q u a n d o si eclissa la categoria classica àt\Y amicizia fra uomini,

54
Pio V, Horrendum illud scelus, 30-8-1568, in Bullarium romanum, t. IV, c. III, 33.
276 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

mentre l'individuazione precisa dell'omosessuale come tipo umano a parte


risalirebbe alla seconda metà del XIX secolo allorché la medicina se ne occupò
sistematicamente e la qualificò come degenerazione e perversione.55
Queste impostazioni sono indubbiamente suggestive, anche se devono
essere ridimensionate perché era presente sin dalla antichità - come abbiamo
visto - la consapevolezza che esistono persone strutturalmente inclinate all'in-
terazione omogenitale, sia per un'anomalia della natura sia per esperienze
infantili traumatizzanti. Dai testi della tradizione cristiana abbiamo visto, inol-
tre, che era ben presente l'individuazione di una categoria di persone, spesso
definite sodomiti, caratterizzate dalla pratica omoerotica. Vero è che è preval-
sa per secoli la comprensione dell'omosessualità come disordine morale, men-
tre solo dalla seconda metà del XIX secolo si è imposta la comprensione del
comportamento omogenitale come patologia psichica. L'omosessualità come
entità nosografica e l'omosessuale come una persona definita dalla sua pato-
logia sono una creazione della medicina moderna e una parte del dibattito
attuale intorno all'omosessualità è condizionato proprio da questa lettura psi-
copatologica e dalle polemiche che essa suscita.
La nostra trattazione, per forza di cose sintetica e selettiva, dovrebbe
aver chiarito un dato metodologico imprescindibile per accostarci alle testi-
monianze della Rivelazione e della tradizione teologica: dobbiamo stare atten-
ti a non imporre ai testi categorie a loro estranee, senza tener conto dei model-
li antropologici attraverso i quali l'ethos cristiano si è autocompreso e deter-
minato normativamente.

5. UNA NUOVA COMPRENSIONE DELL'OMOSESSUALITÀ

Come abbiamo visto nella sezione storico-fondativa, dalla fine del XIX
e, in modo più tumultuoso e definito, durante la seconda metà del XX secolo,
la concezione tradizionale della sessualità ha subito un'autentica rivoluzione le
cui cause sono molteplici e variamente interconnesse.
Tre elementi hanno condotto a un ripensamento del modo tradizionale
di affrontare l'omosessualità e, in generale, dei comportamenti sessuali alter-
nativi o parafilici, Vautonomizzazione della funzione ludica, simbolica, comu-

55
Cf. L. OLIVIER - R. NOEL, «Michel Foucault: problématique pour une histoire de l'homo-
sexualité», in Revue sexologique/sexological review 2(1994)1. In: http://www.unites.uqam.ca/dsexo/
Revue/Vol2nol/03_01i vier ~l.html.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 277

nicativa, espressiva del sesso, legata alla persona, rispetto alla funzione pro-
creativa, legata al mondo della natura biologica e dell'eterosessualità; l'esa-
sperazione della contrapposizione fra natura e cultura e la minimizzazione
della rilevanza dell'elemento biologico-somatico della sessualità umana hanno
condotto a un rifiuto del sesso come realtà data, fissa e stabilizzata, a favore del
genere inteso come struttura flessibile e plasmabile; la liberazione dell'eros,
ideale della rivoluzione sessuale, ha condotto a denunciare come repressiva e
nevrotizzante ogni struttura normativa e legislativa volta a ordinare, secondo
le linee tradizionali, la vita sessuale delle persone e a chiedere per ciascuno il
diritto di poter esprimere e vivere la propria sessualità con assoluta libertà.
Gli ultimi esiti di questa temperie culturale sono espressi dalla queer
theory56 secondo la quale, oltrepassando la stessa contrapposizione binaria di
etero e omosessualità, si propugna un totale sganciamento del desiderio e del-
l'attività sessuale dall'identità personale in quanto realtà definitivamente data
e fissata. Sotto la spinta della cultura gay, anche presso certi ambienti scienti-
fici si è giunti a negare che l'omosessualità rappresenti una deviazione rispet-
to alla normalità, affermando che essa è semplicemente una variante minori-
taria, ma non patologica dell'orientamento sessuale umano. A questo proposi-
to, merita ricordare *la vicenda statunitense. Nel 1973, in seguito alle rumorose
manifestazioni dei movimenti gay e alle sollecitazioni di molti psichiatri, l'A-
merican psychiatric association interrogò i suoi associati sull'eliminazione del-
l'omosessualità dal novero dei disordini mentali. Su 10.000 votanti una picco-
la maggioranza, il 58%, era propenso a non considerare l'omosessualità una
malattia psichiatrica. Fu così che nella terza edizione dell'autorevole DSM-III,
il Diagnostic and statistical manual of mental disorders, non appariva più l'o-
mosessualità come categoria diagnostica. L'esempio dell'American psychiatric
association è stato seguito anche dall'Organizzazione mondiale della sanità
(WHA) a partire dalla decima edizione dt\VInternational classification of
diseases and related health problems (ICD-10).57
Nonostante così influenti prese di posizione, il dibattito è tuttora molto
acceso e si è focalizzato intorno ad alcune opere capitali, fra le quali Omoses-
sualità, una nuova prospettiva di Masters e Johnson. 58 In questo classico si
afferma che nel comportamento sessuale è impossibile stabilire ciò che è nor-
male e ciò che è deviato: essendo infatti i dinamismi biologici e psichici del-
l'uomo plastici e aperti a diverse possibilità di espressione, l'ambivalenza ses-

56
Nel linguaggio colloquiale queer significa omosessuale.
57
Cf. GADPAILLE, Homosexuality and homosexual activity, 1322.
58
W.H. MASTERS - V.E. JOHNSON, Homosexuality in perspective, Boston-Little Brown 1979
(trad. it. Omosessualità, una nuova prospettiva, Milano 1980). Si veda inoltre: A.P. BELL - M.S. WEIM-
BERG, Homosexualities: a study of diversity among men and women, New York 1978.
278 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

suale rappresenta l'ideale sia nel rapporto sia nella struttura della persona.
Non sono, però, mancati teologi cattolici che hanno accolto nella loro
riflessione impostazioni analoghe con esiti che si allontanano dall'insegna-
mento tradizionale. Alcuni, come C. Curran, ritengono che una relazione sta-
bile rappresenti per questi soggetti l'unica modalità ragionevolmente proponi-
bile per attuare il loro bisogno legittimo di comunione.59 Altri, spingendosi
ancora più oltre, sono arrivati a porre esattamente sullo stesso piano le rela-
zioni etero e omosessuali. Emblematiche le affermazioni di un celebre e
discusso studio commissionato dall'Associazione dei teologi americani:

Gli omosessuali hanno gli stessi diritti all'amore, all'intimità e alle relazioni degli
eterosessuali. Come loro essi devono realizzare gli stessi ideali nelle loro rela-
zioni, cioè la creatività e l'integrazione. Le norme che regolano la moralità del-
l'attività omosessuale sono le stesse che regolano qualsiasi attività sessuale, e le
norme che regolano l'attività sessuale sono quelle che regolano tutta l'attività
etica dell'uomo. 60

6, L'OMOSESSUALITÀ FRA DESIDERIO E LIMITE

Sappiamo che sotto la spinta di molteplici fattori interni ed esterni, non


esclusa l'assunzione critica degli apporti più fecondi delle scienze umane, la
morale sessuale cattolica, dai primi decenni del XX secolo, ha assistito a un
lento mutamento di paradigma antropologico che ha portato a un'impostazio-
ne tendenzialmente personalista.
Il cambio di paradigma antropologico ha comportato uno spostamento
di accento sulla sessualità in quanto modo di essere della persona che - sempre
più - si scopre essere segnata dalla sessualità a tutti i livelli, fisico, psichico e
spirituale. L'essere uomo e l'essere donna non potranno essere compresi nel
loro significato profondo limitandosi a considerare alcune strutture oggettive
(biologiche, sociali, psichiche), per quanto rilevanti, e le corrispondenti funzio-

59
C. CURRAN, «Homosexuality and moral theology, methodological and substantive considera-
tions», in The Thomist 35(1971), 447-481.
60
Human sexuality. New directions in american catholic thought, New York-Paramus-Toron-
to 1977 (trad. it. La sessualità umana. Nuovi orientamenti del pensiero cattolico americano, Brescia
1978,161). La Congregazione per la dottrina della fede, con lettera del 13-7-1979, ha riprovato come
erronea tutta l'impostazione del volume e in particolare il tentativo di sostituire alla concezione clas-
sica di «fine procreativo e unitivo» quella di «fine creativo e integrativo» con tutte le immaginabili
applicazioni pratico-normative (The book «Human sexuality»'. EV 6/1705-1721, soprattutto nn. 1715-
1721).
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 279

ni, ma solo in rapporto con il mistero della persona. La sessualità umana, in


quanto è propriamente umana, può essere compresa come espressione e rea-
lizzazione della costitutiva e originaria apertura della persona all'alterità.
Essere uomo ed essere donna, nella totalità delle dimensioni molteplici e arti-
colate che questo comporta, significa, quindi, la capacità di esistere come per-
sone in una relazione sessualmente connotata.
La Rivelazione biblica si trova in piena sintonia con questa intuizione
antropologica, collocandola nella luce della creazione e della vocazione del-
l'essere umano fatto «immagine e somiglianza di Dio».
La creatura umana è creata per riprodurre nella propria esistenza il
modo divino di essere, il modo della comunione e dell'amore. È fatta per la vita
divina, per attuarsi nella forma della vita divina e per partecipare di essa. La
mascolinità e la femminilità, le attuazioni prime e fondamentali dell'umanità,
sono collegate con tale senso della creazione dell'essere umano: sono proprie
quelle articolazioni che consentono il loro concreto esistere e realizzarsi come
creature per la comunione e per l'amore.

L'uomo è immagine di Dio nella dualità di maschio e femmina: né il maschio né


la femmina sono, presi isolatamente, immagine di Dio. La dialogicità dei sessi
diversi già si apre al dono, all'amore, alla fecondità, riproducendo così Vimmagi-
ne di Dio, che è essenzialmente amore che si dona. 61

La dualità uomo-donna dell'essere umano è in vista della costituzione


della comunione delle persone a immagine della comunione divina, cioè in
vista di una comunione di assoluta, totale e reciproca donazione d'amore. Tale
radicale apertura alla comunione, non è soltanto una forma dello spirito, ma,
in forza della stessa natura umana che è spirituale e corporea insieme, non può
essere separata dalle condizioni corporee, ma anzi può avvenire solo in e attra-
verso un corpo.
La corporeità, nella sua concreta presenza sessuata, è in qualche modo l'in-
carnazione del progetto divino di due esseri fatti per la comunione. Perciò il
corpo dell'uomo è, fin da principio, fatto per l'incontro e per l'unità, come strut-
tura capace di esprimere e attuare il movimento di donazione per la comunione.62
Qui sta il limite intrinseco della omosessualità. Se la verità antropologica
della sessualità, infatti, è apertura all'altro come non-sé, allora soltanto una donna
può costituire la piena e radicale alterità per un uomo e viceversa. Nella relazio-

61
S. CIPRIANI, «Matrimonio», in Nuovo dizionario di teologia biblica, Cinisello Balsamo 61996,
924.
62
A. JEANNIÈRE, Anthropologie sexuelle, Paris 1964,130.
280 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

ne omosessuale la persona non riesce a uscire dal cerchio del sé per autotrascen-
dersi e incontrare, nella comunione, Valtro da sé alla relazione omosessuale cui
manca la possibilità stessa, indipendentemente dalle intenzioni dei soggetti coin-
volti, di diventare pienamente sponsale. Forse potrà incontrare nell'amicizia
un'altra persona, non la incontrerà come sessualmente "altra". In tale contesto
l'unione sessuale, non potendo esprimere la verità di una comunione sponsale,
totale e reciproca, si presenta in modo insuperabile come linguaggio ambiguo o,
almeno, imperfetto.

7- IL MAGISTERO POST-CONCILIARE

In risposta alle sfide del nostro tempo e compiendo un doveroso discer-


nimento sulle proposte avanzate da alcuni teologi e pastoralisti, il magistero
post-conciliare è intervenuto più volte sul tema dell'omosessualità senza
distaccarsi sostanzialmente dall'atteggiamento negativo della tradizione, ma
tenendo conto prudentemente sia dei dati provenienti dalle scienze umane, sia
della riflessione teologico morale recente, così attenta alle dimensioni perso-
nalistiche della vita morale.63
Un primo intervento, breve ma compiuto, è contenuto nel n. 8 del docu-
mento Persona humana del 1975, «Su alcune questioni di etica sessuale».64
Senza prendere una posizione impegnativa sul significato e sui motivi dell'o-
mosessualità, ma tenendo conto anche dei dati sociologici e psicologici, ai fini
di un giudizio etico e di un opportuno atteggiamento pastorale, si distingue fra
omosessuali transitori o guaribili e omosessuali strutturali o inguaribili.65 Gli
omosessuali transitori sarebbero quelli «la cui tendenza, derivando da falsa
educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contrat-
ta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incu-
rabile». Gli omosessuali strutturali, qualunque sia la causa (organica o psichica)
della loro tendenza, sono gli omosessuali «che sono definitivamente tali per una
specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata insanabile».
Si afferma - in accordo con la tradizione - che gli atti omosessuali sono

63
Segnaliamo alcune voci della teologia cattolica più vicine al magistero: I. Fu EK, «L'ideolo-
gizzazione dell'omosessualità nel contesto dell'odierna discussione teologica», in Medicina e morale
46(1996), 483-513; G. PERICO, Problemi di etica sanitaria, Milano 2 1992,391-413; E. SGRECCIA, Manua-
le di bioetica, Milano 2 1991, II, 131-145.
64
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Persona humana 8.
65
Cf. A. CENCINI, «Omosessualità strutturale e non strutturale. Contributo per un'analisi diffe-
renziale (I)», in Tredimensioni 6(2009), 31-42.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 281

intrinsecamente disordinati e contraddicono la verità coniugale della sessualità


e si adducono, per sostenere questa tesi, quelle che vengono definite «prove»
scritturistiche (Rm 1,24-27; ICor 6,10; lTm 1,10). Viene quindi rigettata l'idea
che per gli omosessuali strutturali si possano giustificare relazioni stabili in una
sincera comunione di vita e di amore «analoga al matrimonio». D'altra parte
si sottolinea la necessità della comprensione e della prudenza pastorale nel
giudicare la colpevolezza delle singole persone di orientamento omosessuale.
L'attenzione pastorale ed educativa è al centro anche di quanto dice la
Congregazione per l'educazione cattolica in Orientamenti educativi sull'amore
umano del 1983. Le famiglie e gli educatori sono invitati a tentare di indivi-
duare le cause che possono portare un ragazzo o una ragazza verso l'omoses-
sualità, non riducendo tutto a un problema psicologico, ma ricordando che la
realtà del peccato può avere effetti perversi anche sulla sessualità. Nel caso poi
si trattasse di un orientamento stabile si suggeriscono forme di aiuto: acco-
glienza, fiducia, incoraggiamento alla lotta e al dominio di sé, sforzo morale
per vivere autenticamente l'amore di Dio e del prossimo, assistenza medico-
psicologica da parte di persona attenta e rispettosa dell'insegnamento della
Chiesa.66
Il documento più organico sul tema è la lettera ai vescovi della Congre-
gazione per la dottrina della fede, del 1986, intitolata La cura pastorale delle
persone omosessuali.61 La lettera si presenta come un approfondimento arti-
colato di Persona humana 8, ma con importanti miglioramenti linguistici e
notevoli aperture pastorali. La lettera chiarisce, prima di tutto, contro alcune
interpretazioni benigne di Persona humana 8, che

la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé pec-


cato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamen-
to intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclina-
zione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata [n. 3].68

Si prende, quindi, posizione contro le obiezioni della cosiddetta «nuova


esegesi» secondo la quale

66
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano,
1-12-1983,101-103; cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Sessualità umana: verità e significato.
Orientamenti educativi in famiglia, 8-12-1995,104.
67
EV10/902-948. Si veda la raccolta di saggi pubblicata nella collana «Documenti e studi» della
Congregazione per la dottrina della fede: Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (1 otto-
bre 1986). Testo e commenti, Città del Vaticano 1995.
68
Sottolineiamo una novità rispetto alla comprensione tradizionale dell'omosessualità: non si
parla soltanto di «atti omosessuali», ma si introduce la nozione di «orientamento omosessuale» come
realmente distinto dagli atti.
282 SEZIONE II - QUESTIONI ET I CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

la Bibbia o non avrebbe niente da dire sul problema dell'omosessualità, o addi-


rittura ne darebbe in qualche modo una tacita approvazione, oppure infine offri-
rebbe prescrizioni morali così culturalmente e storicamente condizionate che
non potrebbero più essere applicate alla vita contemporanea [n. 4].

A questi esegeti il magistero ricorda che «pur nel contesto di una note-
vole diversità, esiste un'evidente coerenza all'interno delle Scritture stesse sul
comportamento omosessuale» e che le Scritture vanno interpretate nel conte-
sto della «tradizione vivente della Chiesa» giacché la comunità di fede «conti-
nua a essere nutrita da quelle stesse Scritture e dallo Spirito di verità di cui esse
sono Parola» (n. 5).
Tutta la storia genesiaca della creazione e del peccato (Gen 1-3), la
vicenda di Sodoma (Gen 19,1-11), la legislazione di Lv 18,22; 20,13, la ripresa
paolina (in ICor 6,9; Rm 1,18-32; lTm 1,10) dimostrano che la prospettiva
biblica è esplicita e univoca:

Gli esseri umani sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella comple-
mentarità dei sessi, l'interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compi-
to in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita,
mediante la reciproca donazione sponsale [n. 6].

Di conseguenza «scegliere un'attività sessuale con una persona dello


stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non
parlare dei fini, del disegno del Creatore» (n. 7) e chi «si comporta in modo
omosessuale agisce immoralmente» (n. 7). La lettera afferma poi con decisio-
ne la volontà di opporsi con decisione alla «fortissima pressione» esercitata
sulla Chiesa e all'interno della Chiesa «per portarla ad accettare la condizione
omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessua-
li» (n. 8). Il documento parla di un vero e proprio tentativo in atto in alcune
nazioni «di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona
fede, dei suoi pastori» (n. 9) per cambiare la legislazione civile e far ammette-
re l'attività omosessuale come «equivalente o almeno altrettanto accettabile
quanto l'espressione sessuale dell'amore coniugale» (n. 9). Viene anche denun-
ciata la tattica usata dai gruppi pro-omosessuali di far passare «qualsiasi criti-
ca o riserva nei confronti delle persone omosessuali, della loro attività e del
loro stile di vita» come «una forma di ingiusta discriminazione» (n. 9), mentre
condannare il comportamento non significa che venga meno nella Chiesa il
senso di rispetto per la persona (n. 10).
La lettera dedica, infine, gli ultimi numeri alle problematiche pastorali
specifiche. Da una parte, si invitano i vescovi a vigilare su un approccio pasto-
rale che si basi sulla «presunzione infondata e umiliante che il comportamen-
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 283

to omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a


coazione e pertanto senza colpa» (n. 11). Si ricorda che questo non può essere
la presunzione ordinaria giacché anche «nelle persone con tendenza omoses-
suale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la
persona umana e le conferisce la sua particolare dignità» (n. 11). Naturalmen-
te, la lettera non nega che in casi determinati possano esistere circostanze che
diminuiscono o tolgono la colpevolezza del singolo, ma che tuttavia non biso-
gna generalizzare e che ci possono essere anche circostanze che aggravano la
colpevolezza (n. 11). Indicando nell'astinenza sessuale l'unica via lecita da per-
corrersi per un omosessuale, si ricorda che le esigenze della sequela Christi
sono valide anche per i credenti omosessuali: essi «come gli altri» sono chia-
mati «a vivere la castità», ad accogliere la volontà del Signore nella propria vita
e a condividere il mistero pasquale di Cristo, in particolare la sua croce. E si
richiama Gal 5,24: «Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la
carne con le sue passioni e i suoi desideri» (n. 12). Come si vede, la lettera costi-
tuisce il testo più completo per valutare l'omosessualità, rimanendo stretta-
mente nel solco della continuità storica dell'autocoscienza etica cristiana.
Il Catechismo della Chiesa cattolica riprende sinteticamente la dottrina
post-conciliare nei nn. 2357-2359. Si ribadisce che l'inclinazione omosessuale è
oggettivamente disordinata e che le pratiche omosessuali sono intrinsecamen-
te disordinate e peccati gravi contro la castità. Non è stato sottolineato - come
faceva invece La cura pastorale al n. 3 - che l'inclinazione omosessuale, per
quanto disordinata, non sia tuttavia da ritenersi in sé colpevole. A questo pro-
posito si nota un modo di esprimersi più circospetto dell'Editio typica del 1997
rispetto alle edizioni nelle lingue moderne del 1993. Si affronta in particolare
la questione posta da coloro che presentano «tendenze omosessuali profonda-
mente radicate».69 Nel 1993 al n. 2358 si sottolineava la non responsabilità sog-
gettiva per questa situazione e si diceva che «costoro non scelgono la loro con-
dizione omosessuale; essa costituisce per la maggior parte di loro una prova».
Nella Typica si lascia cadere l'idea che la condizione omosessuale non sia frut-
to di scelta e si preferisce ribadire che l'inclinazione è «oggettivamente disor-
dinata» e che «costituisce per la maggior parte di loro una prova».
Rimandando al prossimo paragrafo alcuni interventi magisteriali in
campo formativo, segnaliamo infine tutta una serie di pronunciamenti della

69
II Catechismo non si impegna nelle questioni dell'eziologia dell'omosessualità (se, cioè, sia
frutto di ereditarietà o di eventi prenatali o se sia acquisita nel corso dei primi anni di vita) e parla di
«tendentias homosexuales [...] profonde radicatas». L'edizione italiana del 1993 parlava, invece, di
«tendenze omosessuali innate» (facendo pensare a una connaturalità e, quindi, a una pratica insupe-
rabilità dell'inclinazione). La versione francese del 1993, che era stata la base per le versioni nelle altre
lingue moderne, diceva: «des tendances homosexuelles foncières» conformemente alla Typica del 1997.
284 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Santa Sede sulla spinosa questione del riconoscimento dei diritti civili agli omo-
sessuali, in particolare sulla legalizzazione delle unioni omosessuali con effetti
giuridici analoghi a quelli del matrimonio, incluso il diritto a poter adottare
bambini.70 Una risoluzione molto larga in questo senso è stata approvata l'8
febbraio 1994 al Parlamento europeo e molti paesi europei hanno già legifera-
to nel senso di un'approvazione più o meno aperta delle unioni omosessuali.
La posizione della Chiesa è coerente: bisogna eliminare dalle legislazio-
ni eventuali discriminazioni ingiuste nei confronti dei cittadini omosessuali (ad
esempio, in campo patrimoniale, testamentario, abitativo o lavorativo), ma non
si può accettare una forma di equiparazione fra unioni matrimoniali e unioni
omosessuali, e tanto meno riconoscere alle coppie omosessuali il diritto di
adottare bambini. Nella mens del legislatore, l'adozione è fatta in vista del
bene primario del minore e, in base ai dati della psicopedagogia contempora-
nea, il bambino ha bisogno di una coppia biparentale dei due sessi per poter
sviluppare armoniosamente la propria identità psicosessuale. Nel documento
Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni omoses-
suali del 3 giugno 2003, la Congregazione per la dottrina della fede, richia-
mandosi a motivazioni di fede e di ragione, conclude che

costituisce una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di


famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti
per vie non nocive per la generalità del corpo sociale.71

8 . APPROCCIO PASTORALE

La complessità della questione dal punto di vista delle scienze umane e


biomediche, che non sanno ancora dare risposte univoche sulle motivazioni e
sugli eventuali interventi, così come la necessaria distinzione da porsi, dal
punto di vista morale, fra tendenza e atti, fra norma oggettiva e responsabilità

70
M. ARAMINI, PACS, matrimonio e coppie omosessuali. Quale futuro per la famiglia, 2006; G.
CONCETTI, Diritti degli omosessuali, Casale Monferrato 1997; D. DANNA, Matrimonio omosessuale, Boi-
sena 1997; E. MENZIONE, Diritti omosessuali, Roma 2000.
71
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Considerazioni circa i progetti di riconosci-
mento legale delle unioni omosessuali, Roma 2003. C'era stata una precedente Nota della Congrega-
zione per la dottrina della fede del 24-7-1992 (in Regno-Documenti [1992], 466-468); la dichiarazione
della Conferenza episcopale francese sul patto civile di solidarietà (in L'Osservatore Romano, 29-9-
1998); il n. 23 del documento Famiglia, matrimonio e «unioni di fatto», 26-7-2000, del Pontificio consi-
glio per la famiglia, in cui si riprendono e si ampliano gli argomenti già contenuti nella Dichiarazione
sulla risoluzione del Parlamento europeo che equipara la famiglia alle «unioni di fatto», comprese quel-
le omosessuali, del 17-3-2000, del medesimo Pontificio consiglio.
CAP. 2 - L'OMOSESSUALITÀ 285

soggettiva, fra riprovazione del comportamento e rispetto della persona, rendo-


no la pastorale dell'omosessualità quanto mai ardua.
A queste incertezze che rendono difficili la corretta comprensione e gli
interventi nei casi concreti, si aggiunga il fatto che negli ambienti cristiani si
incontrano omosessuali credenti che vivono spesso la loro omosessualità in
modo angosciante e conflittuale (omosessuali egodistonici) e che sperimenta-
no la paura di essere scoperti e quindi emarginati dalla comunità ecclesiale. In
non pochi di questi soggetti l'omosessualità si presenta nelle forme franca-
mente nevrotiche dell' acting out: rifiutano l'inclinazione omosessuale e molto
di più aborriscono la pratica omosessuale finché, spinti da una tensione fortis-
sima, non si impegnano in incontri furtivi e anonimi per poi cadere in tormen-
tosi sensi di colpa.
Per gestire queste situazioni occorre per gli operatori pastorali, in via
preliminare, sentirsi liberi nei confronti del problema; superare pregiudizi non
scientificamente fondati; essere capaci di instaurare relazioni pastorali ispirate
alla delicatezza, alla riservatezza, alla stima. Un primo passo consiste perciò
nello sforzo di capire il soggetto, il suo vissuto, il suo disagio, il suo atteggia-
mento nei confronti dell'esistenza e degli altri. Può essere utile consigliare il
ricorso a un test di approfondimento per la conoscenza di sé ed eventualmen-
te alla psicoterapia: nelle forme transitorie, una saggia azione educativa o un'a-
deguata psicoterapia può portare a una migliore definizione della personalità;
nelle forme strutturali la psicoterapia potrebbe, in alcuni casi, modificare l'o-
rientamento da omosessuale in eterosessuale,72 e, comunque, può essere molto
utile per allentare la tensione di coloro che rifiutano la propria condizione
omosessuale e che hanno sviluppato forti conflitti interiori con il rischio di
giungere a comportamenti autodistruttivi.73
L'accompagnamento pastorale non può prescindere da una sana educa-
zione a cogliere il valore cristiano dell'amore, della sessualità, del matrimonio,
mettendo in luce come, nella visione cristiana dell'uomo, la genitalità è solo un
aspetto di una realtà tanto più ricca. È essenziale condurre la persona omo-
sessuale a uscire dall'isolamento, vincendo la frequente carenza di autostima e
di fiducia in se stesso; ma in che modo? Certamente non si deve mai consiglia-
re il matrimonio se l'omosessuale non è davvero capace di vivere una relazio-

72
I risultati sono molto controversi. Alcuni, come Van Den Aardweg, vantano eccellenti risul-
tati, altri - anche fra gli psicoterapeuti cattolici - sono molto meno ottimisti: A. MONTANO, Psicotera-
pia con clienti omosessuali, Milano 2000; J. NICOLOSI, Omosessualità maschile: un nuovo approccio,
Milano 2002; G. VAN DEN AARDWEG, Omosessualità & speranza. Terapia & guarigione nell'esperienza
di uno psicologo, Milano 1995. Un bilancio in PRADA, La persona homosexual, 319-320.
73
Studi condotti negli Stati Uniti hanno mostrato una frequenza maggiore di omosessuali fra i
suicidi e addirittura studi sui tentati suicidi fra giovani hanno mostrato che i ragazzi omosessuali erano
circa un terzo del totale. Cf. FRIEDMAN - DOWNEY, «Homosexuality», 926.
286 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

ne eterosessuale stabile e appagante. La partecipazione a gruppi ecclesiali,


soprattutto a sfondo caritativo, è auspicabile. Esistono anche gruppi cristiani
formati da soli omosessuali, ma il loro limite è che possono chiudere l'omo-
sessuale in un ghetto; d'altra parte, nei gruppi ecclesiali ordinari c'è il rischio
che l'omosessuale continui a nascondersi per il timore - non infondato - di
essere isolato e respinto.
Non corrispondendo gli atti omosessuali alla comprensione teologica
della sessualità umana e delle sue dinamiche, l'omosessuale è invitato dalla
Chiesa a vivere in continenza, ma nel difficile cammino che tende ultimamente
verso la piena padronanza delle spinte omoerotiche il pastore dovrà saper pro-
porre, secondo una logica di ragionevole gradualità, mete adeguate alla situa-
zione concreta del soggetto. Commentando sull'Osservatore Romano la Lettera
sulla cura pastorale, padre Kiely, ha sottolineato che «di fronte alla debolezza
che si può incontrare in alcune persone omosessuali (come in altre persone)
sarà utile tener presente l'idea della "legge della gradualità"».74 «In altre paro-
le», concludeva l'illustre psicologo della Gregoriana, «bisogna proteggere la
persona dallo scoraggiamento, anche se il cammino verso una vita di castità cri-
stiana presenta difficoltà speciali ed è accompagnato da fallimenti ripetuti».75
Ovviamente la legge della gradualità che esprime le esigenze concrete di
un cammino, che si muove, passo dopo passo e spesso con difficoltà, verso la
pienezza della vita morale, non deve essere confusa con la gradualità della
legge come se si desse una legge morale diversa per le diverse persone. Per
accompagnare fruttuosamente la persona omosessuale in questa impegnativa
proposta morale bisogna essere onestamente persuasi che ognuno, a partire
dalla propria realtà, può avviarsi per un itinerario di crescita spirituale e di
autentica santità cristiana. L'importante è non avere né fretta nel pretendere
risultati, né sfiducia nelle capacità della persona e nel sostegno che viene dalla
grazia, dalla preghiera e dai sacramenti. Il Catechismo della Chiesa cattolica
accenna anche, molto saggiamente, all'aiuto che può venire da un'amicizia
disinteressata o gratuita.76

74
B. KIELY, «La cura pastorale delle persone omosessuali. Nota psicologica», in L'Osservatore
Romano, 1 4 - 1 1 - 1 9 8 6 , 1 ( o r a in: CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera sulla cura
pastorale delle persone omosessuali. Testo e commenti, Città del Vaticano 1995, 59). C'è dibattito sulle
forme concrete del percorso pastorale e particolarmente se, nel contesto di un cammino verso la
castità, si possa tollerare ed entro quali limiti un'amicizia omosessuale. Non va, comunque, sottovalu-
tato il rischio di introdurre de facto una gradualità della legge morale o creare, comunque, occasioni di
caduta; cf. D. PEZZINI, «Per un cammino di vita interiore della persona omosessuale», in Credere oggi
20(2000), 73-97; S. TEISA, Omosessualità e vita morale. Tentativo di approccio integrale (Theses), Roma
2001,224-249; X. THÉVENOT, Omosessualità maschile e morale cristiana, Leumann 1991, 85-98.
75
KIELY, «La cura pastorale delle persone omosessuali», 1.
76
Cf. Catechismus ecclesiae catholicae, 2359: «Amicitiae gratuitae auxilio». Negli autori antichi
passare dall'eros alla philìa cioè all' amicizia disinteressata era ritenuta un'evoluzione auspicabile del-
ì'omoerotismo (cf. NARDI, Omosessualità maschile, 243-244.247-249).
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 287

In confessione sarà bene distinguere gli occasionali, che non sono omo-
sessuali in senso proprio, ma si sono trovati in circostanze tali per cui hanno
compiuto atti omosessuali o che, pur avendo tendenze omosessuali, vivono
abitualmente in continenza; gli abitudinari, che per la propria struttura inte-
riore (habitus) sono inclini al comportamento omosessuale e hanno cadute
anche frequenti, ma si stanno impegnando in un serio cammino di crescita; i
recidivi, che sono inclini al comportamento omosessuale per costituzione radi-
cata o per vizio contratto, ma non ne colgono appieno la natura disordinata o
almeno imperfetta, né fanno alcunché per superarsi. Con gli occasionali non
occorre drammatizzare, con gli abitudinari occorre grande sapienza pastorale
e discernimento, con i recidivi, che non sono sufficientemente disposti al sacra-
mento, il primo compito del pastore è di illuminare la loro coscienza e di ini-
ziare con loro un dialogo nella verità.
Nei riguardi della vita di consacrazione bisogna ricordare che l'omoses-
sualità non è di per sé condizione invalidante la professione, ma, per il perico-
lo di scandalo, devono essere esclusi coloro che non giungono a padroneggia-
re le loro pulsioni omosessuali. Un documento sulla formazione alla vita reli-
giosa riprova anche coloro che, adducendo come motivo l'umana fragilità e la
divina misericordia, pensano di poter adottare una terza via intesa come uno
stato ambiguo tra il celibato e il matrimonio.77
A livello formativo e di discernimento, bisogna notare che, mentre lo svi-
luppo di un orientamento eterosessuale può far presumere una maturazione
psicoaffettiva sostanzialmente sana, al contrario la condizione omosessuale di
un candidato alla vita consacrata deve far presumere in lui o in lei uno squili-
brio e un'immaturità psicoaffettiva.78 Non di rado la scelta della castità può
nascondere dinamiche autopunitive, né si può escludere che l'ansia verso la
propria condizione possa far desiderare la fuga in un ambiente ritenuto più
protetto, ma che invece, risultando spesso emotivamente poco gratificante e
per di più monosessuale, espone la persona all'infedeltà.
L'istruzione della Congregazione per l'educazione cattolica sui criteri di
discernimento per l'ammissione al presbiterato pone limiti ancora più decisi a
coloro che presentano forme di omosessualità radicate, specie se hanno
mostrato di favorire i movimenti gay. Nei casi in cui sia possibile superare la

77
Cf. CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA, Direttive sulla formazione negli
istituti religiosi, 2-2-1990,39.
78
Le Direttive sottolineano l'importanza di verificare «l'equilibrio dell'affettività, particolar-
mente l'equilibrio sessuale, che suppone l'accettazione dell'altro, uomo o donna, nel rispetto della sua
differenza; se sarà necessario, si ricorra a un esame psicologico, rispettando il diritto di ciascuno a pre-
servare la propria intimità» (CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA, Direttive sulla for-
mazione negli istituti religiosi, 43).
288 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

situazione compiendo un percorso psicoterapeutico è possibile l'ammissione


all'Ordine sacro, ma solo d o p o un t e m p o congruo (si indicano per prudenza
almeno tre anni) che permetta di valutare la solidità dei risultati. Merita ripor-
tare il passo centrale dove, d o p o aver riassunto i punti salienti della dottrina
cattolica, si afferma:

Questo Dicastero, d'intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disci-


plina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa,
pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al
Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano
tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultu-
ra gay.
Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemen-
te un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare
le conseguenze negative che possono derivare dall'Ordinazione di persone con
tendenze omosessuali profondamente radicate.
Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l'espres-
sione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un'adolescenza
non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate alme-
no tre anni prima dell'Ordinazione diaconale.79

79
CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Istruzione circa i criteri di discernimento
vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Semina-
rio e agli Ordini Sacri, 31-8-2005; cf. L. ALLEN, «Psychological principles for vocation directors and
seminary formators applied to persons with homosexual tendencies», in Seminarium 3(2007), 855-856.
3
LA PEDOFILIA
In questo capitolo affronteremo il tema scabroso della pedofilia, un com-
portamento sessuale deviante nel quale un adulto, quasi sempre un uomo, si
sente attratto in modo esclusivo o prevalente verso soggetti in età prepubere.
I casi di pedofilia che emergono alla ribalta dei mezzi di comunicazione susci-
tano sdegno nell'opinione pubblica e causano un giustificato allarme sociale
perché coinvolgono soggetti deboli e psicologicamente indifesi. Negli ultimi
anni si è avuta l'impressione di un aggravarsi del fenomeno, forse per un mag-
giore clamore mediatico, legato anche agli scandali interni al clero cattolico,
forse per un'effettiva espansione dell'universo pedofilo. Preoccupano senza
dubbio i tentativi di gruppi di pedofili organizzati che stanno cercando legitti-
mazioni culturali e spazi di accettazione sociale per la loro perversione.

1• UN FENOMENO INQUIETANTE

Data la prospettiva del nostro testo, tratteremo la pedofilia dal punto di


vista dell'anomalia del comportamento sessuale nell'ambito del variegato uni-
verso delle parafilie, ma questa scelta non deve farci dimenticare che la pedo-
filia rappresenta solo una delle tante violenze fisiche e psichiche di cui sono
vittime i bambini. Il mondo oscuro della violenza sui minori va dall'impatto dei
mass media sulla mente in formazione dei bambini, allo sfruttamento del lavo-
ro minorile, all'arruolamento dei bambini per le molte guerre che gli adulti
sempre combattono. Non dobbiamo neppure dimenticare che la pedofilia si
manifesta in mille tentacoli intrecciati con interessi economici enormi: il turi-
smo sessuale, la pornografia, la prostituzione a sfondo pedofilo sono altrettan-
te piaghe aperte in una società che non sa prendersi cura dei suoi bambini.1

1
F. DI NOTO (ed.), La pedofilia. I mille volti di un olocausto silenzioso, Milano 2002.
290 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

In riferimento ai minori fatti oggetto delle attenzioni sessuali degli adul-


ti, alla violenza fisica e psichica che subiscono e agli effetti di queste esperien-
ze devastanti sul loro sviluppo psico-sessuale, si è precisato il concetto di abuso
sessuale. L'abuso sessuale può essere definito come il coinvolgimento di bam-
bini e adolescenti in attività sessuali che essi non comprendono affatto o che
comprendono solo in parte e che pertanto subiscono, anche quando sembrano
esserne gratificati in qualche modo.
Con il termine pedofilia si designa comunemente ogni tipo di interesse
sessuale, di regola protratto e ricorrente, da parte di un adulto, solitamente un
maschio, nei confronti di bambini e/o bambine {pedofilia in senso stretto) o nei
confronti di ragazzi e/o ragazze nel primo periodo della pubertà (meglio detta
efebofilia). Questo interesse sessuale può essere rivolto in modo prevalente o
esclusivo a prepuberi del proprio sesso o del sesso opposto e può coinvolgere
soggetti cui si è legati con legami di consanguineità o di parentela. L'attrazio-
ne può restare a livello anche solo fantastico o appagarsi della fruizione di
immagini pedopornografiche, ma spesso si esprime con la seduzione e l'ade-
scamento del minore attratto ad avere rapporti sessuali, quando non c'è il
ricorso alla violenza fisica e perfino alla soppressione dei ragazzi coinvolti.
In Italia, nella prima decade del 2000 ci sono stati ogni anno circa 5-600
casi denunciati di abuso sessuale su ragazzi con meno di 14 anni e la stragran-
de maggioranza di essi riguardava bambini di nazionalità italiana. Gli abusi
riguardano in maggioranza soggetti fra gli 11 e i 14 anni, ma non sono esclusi
dagli abusi sessuali di vario tipo neppure i bimbi fra 0 e 10 anni e, anzi, si è
notata negli anni una progressione percentuale degli abusi su questi soggetti. I
molestatori sono per tre quarti cittadini italiani, ma questo significa che la
popolazione degli stranieri in proporzione indulge molto più spesso in questo
delitto infamante. Nella maggior parte dei casi, i bambini conoscono la perso-
na che li molesta, spesso appartenente al nucleo familiare o alla cerchia di
amici e conoscenti. Nella distribuzione territoriale del fenomeno spiccano il
Nord e il Sud con punte in Lombardia, Campania e Sicilia, ma bisogna consi-
derare che molti casi, soprattutto a carattere incestuoso, non giungono a cono-
scenza dell'autorità pubblica perché vengono volutamente occultati dai fami-
liari per evitare scandalo e vergogna.
Al di là della comprensibile ripulsa e della giusta indignazione per que-
sti comportamenti per affrontare adeguatamente il problema della pedofilia
occorre una comprensione approfondita della realtà tenendo conto delle mol-
teplici dimensioni del problema. La realtà degli abusi sessuali sui bambini e
sugli adolescenti non deve essere né occultata o rimossa, né fatta oggetto di
indebito sfruttamento spettacolare, ma deve essere studiata e affrontata con
lucidità e onestà non solo per pervenire a una valutazione equilibrata dei sin-
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 291

goli casi, ma anche per tracciare linee di intervento sociale di ampio respiro
che vadano oltre la semplice punizione dei colpevoli e le manifestazioni più
plateali di sdegno.

2• L'ATTENZIONE ALL'INFANZIA
ATTRAVERSO I TEMPI E LE CULTURE

La comprensione dell'età infantile e l'atteggiamento degli adulti nei con-


fronti dei bambini hanno subito nel tempo profonde evoluzioni ed è certo che
la sensibilità sociale per i diritti dell'infanzia e l'attenzione a eventi e situazio-
ni a sfondo sessuale lesivi dello sviluppo equilibrato del bambino sono una
conquista relativamente moderna. 2 Abbiamo constatato più volte durante le
nostre riflessioni che le visioni concernenti la sessualità si iscrivono in un qua-
dro di valori la cui comprensione è condizionata dalle culture e dalle tradizio-
ni, piuttosto che su un semplice riferimento alla finalità biologica e ripro-
duttiva connessa alla sua espressione. L'analisi culturale, tuttavia, non può
giungere a giustificare o interdire alcuni comportamenti solo sulla base dei
costumi e delle loro evoluzioni. Esistono infatti criteri oggettivi per giudicare
un esercizio maturo e pienamente umano della sessualità, pur nel mutare delle
sensibilità e delle norme comportamentali concrete.
L'ideale antico greco riconosceva la possibilità di poter costruire intensi
legami affettivi, anche di tipo fisico, tra un adulto e un giovanetto, anche se al
centro di tale interesse non era l'esercizio della sessualità, ma piuttosto la pos-
sibilità, attraverso queste relazioni, di sviluppare la trasmissione di una sensi-
bilità estetica, della saggezza e di quanto fosse necessario al più giovane per
renderlo un perfetto cittadino della polis. Questa peculiare forma di legame
asimmetrico nei confronti di adolescenti, detta pederastia, si differenzia tutta-
via dall'omosessualità e dalla pedofilia come sono modernamente intese nella
nostra cultura. Non mancarono, già nell'antichità, dubbi morali e psicologici
circa tali forme di espressione affettiva, come attestano alcuni testi di Eschine
e di Platone. Non va dimenticato, inoltre, che nella legislazione ateniese, al di
fuori dell'istituto socialmente accettato della pederastia, il rapporto sessuale
con soggetti prepuberi, così come la prostituzione di giovani, era sanzionato
severamente.

2
La tesi costruttivista pura ritiene che l'infanzia come la conosciamo oggi sia una semplice
costruzione culturale; cf. P. ARIÈS, Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, Bari 1994.
292 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

A Roma la pratica della pederastia greca era guardata con molto sospet-
to e c'era anzi un attento controllo perché un giovane libero (ingenuus) non
fosse ferito nel suo onore.3 L'educazione dei giovani esigeva di tenerli lontani
dal costume greco (mos graecorum) e Quintiliano raccomandava di non far
neppure sedere i ragazzi (pueri) insieme ai giovani (adulescentes) per evitare il
sospetto di un «fatto turpe». Nel tardo periodo repubblicano e nel tempo del-
l'impero ci sono testimonianze di sfruttamento sessuale di minori, soprattutto
piccoli schiavi, ma fare molestie sessuali a un ragazzo libero era punito con
sanzioni pecuniarie dalla Lex scatinia, emanata in seguito a un episodio, avve-
nuto nel 227 a.C., del quale fu vittima il figlio dell'edile Claudio Marcello.4
Trent'anni più tardi fu emanato un editto, De adtemptata pudicitia, poi ripreso
nel 130 d.C., che sanzionava anche coloro che cercavano di adescare per stra-
da donne sposate o ragazzi liberi.
Con l'affermarsi del cristianesimo, la morale sessuale cristiana, alleando-
si con le correnti più rigorose dello stoicismo, limitò con rigore e senza distin-
zioni l'abuso sessuale dei minori. Oltre a numerosi testi presenti nei padri della
Chiesa che condannano la pedofilia, l'atteggiamento negativo della Chiesa
contro i comportamenti pedofili è testimoniato da un canone del concilio di
Elvira del 305 che negava la comunione anche in punto di morte agli stupra-
tori di ragazzi.5 Nel VI secolo, l'imperatore Giustiniano, nell'ambito di una
riorganizzazione generale della vita dell'impero d'oriente, intervenne con pre-
scrizioni severe in materia sessuale e si ha notizia, nei primi anni del suo regno,
di castrazioni punitive compiute su sodomiti o, più probabilmente, pedofili.6
Bisogna però notare che, esclusi la violenza e l'abuso sessuale, gli antichi erano
piuttosto larghi per quanto riguardava il matrimonio degli adolescenti e, quin-
di, la legittimazione di attività sessuale nell'ambito matrimoniale. Il diritto
romano permetteva il matrimonio dei soggetti appena puberi, cioè dopo i 12
anni per le femmine e dopo i 14 per i maschi: era costume accettato che un
uomo maturo sposasse una bimba che avesse appena raggiunto gli anni nubi-
les e talora anche donne mature sposavano ragazzi. Ovviamente la loro perce-
zione della maturità e del significato antropologico delle diverse fasi della vita
era diversa dalla nostra.

3
D. DALLA, Ubi venus mutatur, Milano 1987.
4
Con l'espressione stuprum si indicava un rapporto sessuale illecito. Secondo il giurista Mode-
stino si commette stupro qualora si abbia un rapporto sessuale con una vedova, con una vergine o con
un ragazzo: «stuprum in vidua vel virgine vel puero committitur» (MODESTINO, Digesto 48,5,35).
5
Concilium illeberitanum, can. 81: «Stupratoribus puerorum nec in fine dandam esse commu-
nionem», in J.D. MANSI (ed.), Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Venezia 1759, II.
6
Su tutta la questione: E. CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico,
Roma 2 1992,234-237.
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 293

Nel mondo barbarico c'era l'uso di sposarsi più tardi e questo influì sui
sistemi di leggi romano-barbariche. Nel VII secolo la Lex visigothorum, per
impedire il matrimonio fra donne adulte e ragazzi, stabilì che lo sposo non
poteva essere più giovane della sposa e parimenti Liutprando, re dei longo-
bardi, proibì il matrimonio fra bambini e bambine prepuberi. Non possiamo
certo accostare un matrimonio precoce con le diverse forme dell'abuso ses-
suale del minore, ma resta il fatto che il giudizio sulla capacità di consenso al
matrimonio e, implicitamente, agli atti sessuali ha subito un'evoluzione nel
tempo. Nella prassi ecclesiale, in continuità con il diritto romano, si giunse a
riconoscere come età legittima per il matrimonio i 12 anni per le ragazze e i 14
per i ragazzi.7
Durante il medioevo, i libri poenitentiales includono spesso norme parti-
colari per chi abbia commesso peccati sessuali con ragazzi, parlando di stu-
primi e di rapporti sessuali in terga. In ambito educativo non sembra che venis-
sero mantenute precauzioni specifiche anche negli strati sociali più elevati per
evitare promiscuità tra adulti e bambini nella condivisione degli spazi della
casa e specialmente nei locali per il riposo notturno, con la conseguente possi-
bilità da parte dei piccoli non solo di assistere ai rapporti sessuali degli adulti,
ma anche di diventare oggetti di molestie da parte di qualche membro della
famiglia. Fino al Seicento perdura la tolleranza di alcuni comportamenti licen-
ziosi degli adulti nei confronti dei bambini, ai quali non si risparmiano gesti e
parole scabrose, senza significative preoccupazioni etiche e pedagogiche. L'im-
pubere era giudicato estraneo e indifferente alla sessualità, per cui gesti e allu-
sioni erotiche erano ritenuti senza conseguenze per lui.
Una maggiore attenzione alla delicatezza psichica ed etica dei fanciulli
apparve, a partire dal XV secolo, in scrittori cristiani di morale e pastorale tra
i quali emerge Giovanni Gerson (1363-1429). Nel XVI secolo la pedagogia
della Compagnia di Gesù e di autori quali il filosofo Michel de Montaigne
(1533-1592) sviluppò il tema dell'innocenza puerile e della necessità della sua
tutela. Questi nuovi orientamenti pedagogici contribuirono a diffondere una
maggiore cura nell'educazione dei bambini e, soprattutto, a preservare i picco-
li da contesti inadatti alla psiche infantile, in sintonia con la politica di mora-
lizzazione dei costumi che accompagnò tanto la Riforma protestante, quanto
la Controriforma cattolica. Questa attenzione si espresse dal XVIII secolo con
atteggiamenti di tenerezza e di rispetto per l'infanzia e si unì, soprattutto nel

7
II Codice del 1917 conserva il limite di 12 e 14 anni per la pubertà di ragazze e di ragazzi
rispettivamente (can. 88, § 2), ma - tenendo conto del raggiungimento della sufficiente discredo iudi-
cii - stabilisce l'età minima per il matrimonio a 14 e a 16 anni rispettivamente (can. 1067; cf. C/C 1983,
can. 1083).
294 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

XIX secolo, a una rigorosa rimozione e repressione nei confronti di tutte le


manifestazioni della sessualità infantile e adolescenziale, in linea con una dif-
fusa mentalità tendenzialmente sessuofoba. 8
Lo studio scientifico della sessualità, introdotto agli inizi del Novecento
con il pensiero psicoanalitico di Sigmund Freud, non solo mise in luce la pre-
senza di pulsioni libidiche già nelle primissime fasi dell'infanzia, ma spiegò
anche la sessualità perversa dell'adulto riconducendola a condizioni di soffe-
renza psichica nei primi anni di vita. L'ottica propria delle scienze psicologiche,
la diffusione di una cultura pedagogica più attenta alle molteplici cause di di-
sturbo nello sviluppo equilibrato del bambino, l'accresciuta sensibilità sociale
contro tutte le forme di abuso sessuale dell'infanzia costituiscono lo scenario
contemporaneo. In questo contesto socio-culturale si collocano anche le teorie
psicopatologiche per giungere a una spiegazione del comportamento e delle
fantasie pedofile, un'attenzione sempre più vigile alle conseguenze connesse
all'esposizione dei bambini a sollecitazioni sessuali da parte di adulti e gli sfor-
zi in vista di una maggiore profilassi sociale, mirata alla prevenzione di episo-
di negativi e alla terapia dei pedofili.
Purtroppo, nonostante questa nuova più acuta sensibilità, ciò che sembra
caratterizzare la situazione attuale è una crescita del fenomeno dell'abuso ses-
suale dei minori con allarmanti e ramificate espressioni criminose: si pensi alla
pornografia infantile che sta assumendo proporzioni spaventose per l'allarga-
mento del mercato pedofilo attraverso la rete telematica e si pensi all'induzio-
ne, coercizione e sfruttamento della prostituzione minorile sviluppati nei paesi
più poveri anche grazie alla diffusione del turismo sessuale, un commercio
rivoltante che coinvolge su scala planetaria più di un milione di bambini/bam-
bine e di giovanissimi/giovanissime. Questi aspetti, accanto all'alta frequenza
di atti di violenza sessuale sui minori, spesso perpetrati fra le mura domestiche
o in ambiente scolastico, evidenziano, come dato negativo emergente, l'esi-
stenza di strutture sociali ed economiche che sorreggono e contribuiscono ad
ampliare l'area dell'infanzia abusata. Dobbiamo trasformare l'allarme e lo
sdegno in un dato costruttivo e renderci coscienti dell'urgenza di accrescere
qualitativamente una sensibilità culturale vigile e reattiva che non può accon-
tentarsi di retorica o di interventi sporadici, ma che chiede un impegno coor-
dinato e fattivo a livello internazionale e l'aggiornamento delle leggi e degli
strumenti di intervento a tutela dei minori.

8
G. CHIOSSO, L'educazione nell'Europa moderna. Teorie e istituzioni dall'Umanesimo al primo
Ottocento, Milano 2007; F. CAMBI - S. ULIVIERI, Storia dell'infanzia nell'Italia liberale, Firenze 1996; D.
RICHTER, Il bambino estraneo. La nascita dell'immagine dell'infanzia nel mondo borghese, Firenze
1992; G. RIFELLI - C. ZIGLIO, Per una storia dell'educazione sessuale 1870-1920, Bergamo 2006.
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 295

3. L A PEDOFILIA: DESCRIZIONE E PSICODINAMICA

La psicologia e la psichiatria si sono impegnate a descrivere il comporta-


mento pedofilo, a indagarne l'eziologia e a offrirne una sistemazione tassono-
mica, pervenendo a interpretazioni non sempre univoche.9 Una prima que-
stione riguarda l'esatta delimitazione della pedofilia rispetto ad altri disturbi
sessuali. L'autorevole Diagnostic and statistic manual of mental disorders a par-
tire dalla terza edizione del 1980 (DSM III) circoscriveva la pedofilia all'atti-
vità sessuale tra adulti e prepuberi o all'attività della fantasia su questo tema,
escludendo dalla definizione stretta di pedofilia i rapporti tra adulti e giova-
nissimi o adolescenti; si richiedeva, inoltre, che le fantasie o gli atti a carattere
pedofilo dovessero costituire un «sistema esclusivo, ripetutamente preferito,
per raggiungere l'eccitazione sessuale».
Nella revisione successiva (DSM III-revised) la specificazione «ripetuta-
mente preferito» è stata lasciata cadere. Il DSM IV del 1994 colloca la pedofi-
lia tra le parafilie. Con questo termine si indica un gruppo di disturbi del com-
portamento sessuale caratterizzati dal fatto che l'oggetto sessuale è improprio
(per esempio un oggetto, come la scarpa, o un animale o un bambino).10 Un
tempo si parlava di deviazioni o di perversioni in riferimento ad anomalie che
coinvolgevano l'orientamento o l'esercizio dell'attività sessuale. In generale le
parafilie comportano, nei soggetti interessati, una fissazione erotica particola-
re, intensa e prolungata con frequenti e insistenti fantasie, una spinta - talora
compulsiva - al passaggio dal desiderio e dalla fantasia all'atto, difficoltà diver-
se nel rapporto sessuale normale (problemi di eccitazione, desiderio e orga-
smo). Il DSM IV aggiunge, infine, che il comportamento, i desideri sessuali o
le fantasie tipici della parafilia causano disagio clinicamente significativo o
compromissione dell'area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del fun-
zionamento.
L'approccio psicoanalitico ha contribuito a porre l'attenzione s\i\Yarcheo-
logia delle perversioni, come manifestazioni di conflitti sessuali i quali, a loro
volta, devono essere compresi alla luce dell'evoluzione della persona e delle sue
esperienze infantili. Gli elementi propri della perversione vengono, così, ricol-

9
La letteratura è molto vasta, per esempio: E. AGUGLIA - A. RIOLO, La pedofilia nell'ottica psi-
chiatrica, Roma 1999; E. CAFFO - G.B. CAMERINI - G. FLORIT, Criteri di valutazione nell'abuso all'in-
fanzia, Milano 2004; U. FORNARI, «La pedofilia tra demonizzazione e realtà clinica», in Italian journal
of psycopathology 8(2002); D. HOWITT (ed.), Pedofilia e reati sessuali contro i bambini, Torino 2000; R
PIERANTOZZI, «Le pedofilie. E possibile prevenire? E curare?», in Camillianum (2008), 81-106; C. SCHI-
NAIO, Pedofilia, pedofilie: la psicoanalisi e il mondo del pedofilo, Torino 2001.
10
Tra le parafilie, oltre alla pedofilia, si annoverano l'esibizionismo, il voyeurismo, il frotteuri-
smo, il masochismo, il sadismo, il feticismo, la zoofilia.
296 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

legati a elementi propri della sessualità infantile e possono presentarsi nella


loro persistenza in un soggetto adulto sia in una forma polimorfa, sia in modo
specifico ed esclusivo, quali momenti di regressione o di fissazione. La forma-
zione psichica che sta alla base delle perversioni può essere individuata nell'in-
teriorizzazione dell'immagine di sé idoleggiata prodotta e immessa nella strut-
tura psichica del bambino futuro perverso da una madre incapace di riconosce-
re un sé unitario e reale, o come una modalità per rendere possibile una via cir-
coscritta di espressione della sessualità, all'interno di una sofferenza psichica
dell'/o, che richiede la creazione di appropriati oggetti e situazioni di attrazio-
ne. È possibile individuare alcune caratteristiche comuni delle condotte per-
verse: la necessità di un oggetto esterno presente e complice; la presenza di spe-
cifiche fantasie inconsce e organizzate rigidamente; un contesto reale che sia
strutturato in modo che tali fantasie possano essere messe in atto.
Il DSM IV descrive dettagliatamente i caratteri tipici della pedofilia spe-
cificando, prima di tutto, che la focalizzazione parafilica della pedofilia com-
porta attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più
piccoli).11 Per poter parlare di pedofilia il soggetto pedofilo deve avere alme-
no 16 anni ed essere almeno di 5 anni maggiore del bambino. I soggetti con
pedofilia di solito riferiscono attrazione per bambini di una particolare fascia
di età. Alcuni soggetti preferiscono i maschi, altri le femmine, e alcuni sono
eccitati sia dai maschi sia dalle femmine: quelli attratti dalle femmine di solito
preferiscono quelle tra gli 8 e i 10 anni, mentre quelli attratti dai maschi di soli-
to preferiscono bambini un po' più grandi. La pedofilia che coinvolge vittime
di sesso femminile si riscontra più spesso di quella che coinvolge vittime di
sesso maschile. Alcuni soggetti con pedofilia sono attratti sessualmente solo da
bambini (tipo esclusivo), mentre altri sono talvolta attratti anche da adulti
(tipo non esclusivo). I soggetti pedofili possono limitarsi a spogliare il bambi-
no e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in presenza del bambino, a toccar-
lo e a carezzarlo. Questo può avvenire attraverso la persuasione e la delicatez-
za, ma non di rado il bambino viene sottoposto a diversi gradi di violenza fisi-
ca. La violenza psichica, in qualche modo, esiste sempre perché un bambino
viene spinto con l'inganno e la seduzione a fare qualcosa che non farebbe mai
spontaneamente. Queste attività sono di solito razionalizzate dal pedofilo
sostenendo che esse hanno valore educativo per il bambino, che il bambino ne
ricava piacere sessuale, o che il bambino stesso si presentava come sessual-
mente provocante.

11
AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders,
DSM IV, Washington D.C. 1994, f65.4, Pedophily 302.2.
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 297

I soggetti possono limitare le loro attività ai propri figli, a figliastri o a


parenti, oppure possono scegliere come vittime bambini al di fuori della pro-
pria famiglia. Alcuni soggetti pedofili minacciano il bambino per evitare che
parli. Altri, specie coloro che abusano spesso dei bambini, sviluppano compli-
cate tecniche per avere accesso ai bambini, che possono includere il guadagna-
re la fiducia della madre del bambino, lo sposare una donna con un bambino
attraente, lo scambio di bambini con altri soggetti pedofili o, in casi rari, l'ado-
zione di bambini di paesi sottosviluppati o persino il rapimento di bambini.
Tranne i casi in cui il disturbo è associato a sadismo sessuale, il soggetto può
essere in qualche modo attento ai bisogni del bambino per ottenerne l'affetto,
l'interesse e la fedeltà e per evitare che questi riveli l'attività sessuale illecita.
È difficile anche inquadrare le varie espressioni della pedofilia. È possi-
bile distinguere espressioni a sfondo prevalentemente affettivo oppure con un
livello minimo di contatti fisici e una maggiore concentrazione a livello di fan-
tasie erotiche, e forme più marcate dalla ricerca di contatti sessuali di vario
tipo, fino a quelle più aggressive a forte contenuto erotico e sadico. Si sono evi-
denziati tra i pedofili tipi di personalità differenti che possono essere colloca-
ti, all'interno di uno spettro continuo: dal profilo nevrotico, in cui è più accen-
tuato il disagio nei confronti delle proprie fantasie e comportamenti e nel
quale si ha una presa di coscienza delle proprie frustrazioni, sino a strutture
psicopatiche profonde in cui possono manifestarsi in modo più evidente istin-
ti distruttivi e di violenza.
L'indagine sul vissuto e sull'universo mentale del pedofilo non permette
facili semplificazioni, ma si possono indicare alcune costanti più significative:
un contesto familiare di origine molto difficile comprendente figure parentali
inadeguate, episodi di violenza sessuale subiti, un'infanzia da cui si è usciti in
modo traumatico; una struttura personale disturbata e incapace di sessualità
matura, cioè di vivere in modo sereno e costruttivo il confronto interpersona-
le con l'altro sesso e quello di tipo competitivo coi membri del proprio sesso;
una forte carica di ansia circa il proprio fisico, con timori sul proprio futuro e
non accettazione della finitudine e della morte. Il disturbo inizia di solito nel-
l'adolescenza, ma talvolta si palesa più tardi e alcuni soggetti riferiscono di non
essere stati eccitati dai bambini fino alla mezza età.
L'interpretazione psicodinamica della pedofilia, anche tenendo conto
delle molte manifestazioni e varianti del comportamento pedofilo, non è uni-
voca, ma la lettura fornita da Freud resta tuttora alla base delle interpretazio-
ni più accreditate. Freud annovera la pedofilia nel gruppo delle perversioni e
la interpreta come una scelta oggettuale narcisistica in base alla quale l'abu-
sante vede se stesso nel bambino e il bambino viene scelto perché il pedofilo è
incapace di sostenere un rapporto con un adulto di sesso opposto. Non avendo
298 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

superato la fase edipica ed essendosi pertanto fissato a quella pre-edipica, il


pedofilo non è riuscito a identificarsi con il genitore dello stesso sesso, fissan-
do il narcisismo primario del bambino in un narcisismo patologico che ostaco-
la i suoi rapporti con gli altri adulti e lo spinge a cercare una relazione sessua-
le con un bambino.
In riferimento alla comprensione psicodinamica delle perversioni, J.
McDougall ha proposto di riconoscere in esse dei complicati tentativi di man-
tenere una qualche forma di relazione sessuale, così che i sintomi legati alle
patologie sessuali «si presentano come soluzioni infantili al conflitto, alla con-
fusione e alla sofferenza mentale». 12 L'autrice utilizza il termine neosessualità
per raccogliere particolari comportamenti, ascritti abitualmente nell'area della
perversione. Il termine neosessualità non serve soltanto a caratterizzare un'in-
terpretazione psicodinamica del comportamento perverso, ma serve anche a
distinguere il comportamento perverso dalla persona che lo compie. Solo i rap-
porti potrebbero essere detti perversi, e - sempre secondo la McDougall - l'e-
tichetta di perversione dovrebbe essere applicata solo ai rapporti sessuali in
cui l'individuo perverso è completamente indifferente ai bisogni dell'altro. In
sostanza, il termine di perversione dovrebbe essere riservato in senso proprio
a quegli atti in cui un individuo impone i propri desideri e le proprie condizio-
ni a qualcuno che non desidera essere coinvolto in un certo comportamento
sessuale, come nei casi di stupro o nelle pratiche voyeuristiche ed esibizionisti-
che; oppure agli atti in cui si seduce un individuo non responsabile, come può
essere un bambino o un adulto mentalmente disturbato.
Molte deviazioni sessuali sono vere e proprie creazioni, costruzioni con-
cepite e realizzate nei minimi particolari. In alcuni individui, tra cui anche i
pedofili, queste «elaborate costruzioni rappresentano non solo l'unico mezzo
possibile di espressione sessuale, ma anche una dimensione della loro vita quo-
tidiana, essenziale al loro equilibrio psichico, al pari delle varie attività subli-
matone».
Tale prospettiva, pur sottolineando correttamente il carattere narcisistico
del comportamento del pedofilo e Vasimmetria di tipo dominativo insita nella
relazione erotica tra un adulto e un bambino, non può essere accolta senza
riserve perché - a nostro avviso - rischia di introdurre in modo strisciante l'i-
dea che la pedofilia sia semplicemente una modalità di trovare un proprio equi-
librio sessuale e di sviluppare un proprio sistema relazionale, come se si potes-
se comprendere la sessualità di una persona a partire dall'equilibrio intrapsi-
chico soggettivo e non a partire dalla qualità umana delle relazioni in cui l'in-

12
J. MCDOUGALL, Eros. Le deviazioni del desiderio, Milano 1997.
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 299

dividuo stesso si impegna. Sullo sfondo si legge la difficoltà per la psichiatria


contemporanea di distinguere in modo rigido e netto tra perversione e norma-
lità, come già nel 1905 aveva sottolineato Freud a proposito della natura poli-
morfa dell'attività sessuale adulta non perversa.13 Nella prospettiva personali-
sta che si trova al centro della nostra proposta morale, la sessualità è linguaggio
di relazione e la sua autenticità può e deve essere compresa a partire dalla pos-
sibilità di essere impegnata in una relazione umanamente significativa.

4, L A «NORMALIZZAZIONE» DELLA PEDOFILIA

La psichiatria scientifica, pur mostrando talora difficoltà a demarcare


nettamente il limite fra comportamenti sessuali normali e patologici, non ha
incertezze nell'individuare limiti e anomalie nel mondo interiore del pedofilo
e nella sua espressione sessuale, e l'atteggiamento dell'opinione pubblica,
soprattutto occidentale, e dei legislatori non ha tentennamenti nel riprovare il
comportamento pedofilo e nel tutelare con ogni mezzo i diritti dei minori. Non
mancano, però, gruppi di pressione, nelle cui file sono presenti anche psicolo-
gi, filosofi e opinionisti, che cercano di normalizzare alcune relazioni a sfondo
erotico-ludico tra un adulto e un bambino. Secondo autori più marcatamente
ideologizzati, il comportamento pedofilico, tendente a instaurare rapporti
affettivi tra un adulto e un pre-pubere o neo-pubere, almeno nelle forme che
non includono componenti sadici e atti di coercizione, rappresenterebbe una
semplice variazione della fantasia e del comportamento sessuale umano. La
valutazione morale di questo comportamento dipenderebbe, pertanto, dai
valori propri di ciascuna cultura e la sua riprovazione sarebbe di natura squi-
sitamente socio-culturale; la pedofilia è una sociopatia.
I sostenitori di una forma di pedofilia socialmente accettabile dicono che
si potrebbero permettere i rapporti sessuali in cui sono assenti aspetti di vio-
lenza e che coinvolgono ragazzi e ragazze anche dai 6 ai 12 anni. Questi fauto-
ri della pedofilia controllata sottolineano che la precoce sessualità del bambi-
no costituisce il contesto normale in cui matura la relazione del bambino con
la persona adulta. L'incontro tra il naturale mondo del bambino, già abitato da
fantasie sessuali, e una particolare inclinazione dell'adulto tenderebbe così a

13
S. FREUD, Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie, Leipzig-Wien 1905 (trad. it. Tre saggi sulla
teoria sessuale, in Opere, Torino 1967-1980, V, 441-546).
300 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

essere giustificato sia in vista di una piena evoluzione della sessualità del mino-
re, priva di indebite repressioni, sia in vista della possibilità della persona
matura di esprimere una sua tendenza, senza che questo dia origine a veri e
propri episodi di violenza o provochi traumi nel più piccolo.
Emblematica la presa di posizione di alcuni intellettuali francesi nel
periodo fra il 1977 e il 1979, all'epoca in cui nel Parlamento francese era in
discussione la riforma del codice penale. Nel 1977, alcuni filosofi e pensatori,
tra i quali Michel Foucault, Jacques Derrida e Louis Althusser, sottoscrissero
una petizione indirizzata al Parlamento, chiedendo l'abolizione della legge
sull'età del consenso per avere rapporti sessuali, l'abrogazione di numerosi
articoli di legge e la depenalizzazione di qualsiasi rapporto consenziente tra
adulti e minori di quindici anni (l'età del consenso in Francia). Il 4 aprile 1978,
Michel Foucault, lo scrittore e attore Jean Danet e lo scrittore e attivista a
favore degli omosessuali Guy Hocquenghem - che avevano tutti sottoscritto
la petizione del 1977 - hanno partecipato alla trasmissione Dialogues sulla
radio France Culture, esponendo dettagliatamente le ragioni per le quali
erano a favore dell'abolizione della legge. Le tesi dei tre pensatori converge-
vano in particolare nel sottolineare come sia in corso l'istituzione di una vera
e propria società dei pericoli, edificata sulla paura della sessualità e sulla
repressione dei comportamenti considerati socialmente devianti, in particola-
re attraverso la psichiatrizzazione del sistema penale, che comporta un
costante monitoraggio e controllo totalizzante e invasivo, soprattutto nella
sfera intima e privata dei singoli individui. Essi inoltre sottolineavano le
potenzialità suggestive e manipolatone dovute all'intervento degli psichiatri
sui bambini, necessario per valutare attraverso le loro testimonianze la sussi-
stenza di un eventuale abuso.
I gruppi favorevoli alla liberalizzazione della pedofilia, come la Danish
Pedophile Association o la Child Liberation, propagano le loro idee attiva-
mente, cercando di darsi una patina culturale attraverso una ripresa mitiz-
zante di scenari culturali passati, come quello dell'antica Grecia, e cercando
di appoggiarsi su alcuni discutibili dati scientifici. Questa pedofilia culturale
e - si dice - socialmente non pericolosa non è altro che una maschera che il
perverso si mette davanti al volto per celare agli altri e, forse, a se stesso la sua
squallida realtà. Non possono venire, però, sottaciuti gli elementi asimmetrici
che caratterizzano la relazione adulto-bambino: l'inizio di un rapporto a sfon-
do sessuale non trova il suo movente nel minore, nonostante alcuni pedofili
dichiarino di essere stati sedotti dal bambino, ma nell'adulto che pone in atto
il suo innegabile potere e la sua influenza sul piccolo, mettendo in campo una
strategia raffinata per creare un'atmosfera emotivamente surriscaldata e sol-
lecitare la partecipazione del minore alle sue fantasie e ai suoi gesti, dandogli
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 301

affetto e protezione e garantendosi il segreto, non senza il ricorso all'intimi-


dazione.

Una relazione di questo tipo, in cui uno dei membri impone all'altro il proprio
contesto senza che l'altro abbia la possibilità di comprenderne il significato
metacomunicativo, è una relazione doppiamente violenta. Una relazione senza
reciprocità in cui uno dei componenti è mero oggetto di relazione, non sog-
getto. 14

5. PROBLEMATICHE ETICHE

La riflessione etica sulla pedofilia non può prescindere da un'inter-


pretazione sociologica e psicologica del fenomeno, ma deve andare oltre per
raggiungere le radici antropologiche e i nodi morali che la caratterizzano.15 Lo
sfondo etico, che contribuisce a sottolineare l'aspetto inaccettabile della pedo-
filia, non solo valorizza l'accresciuto rispetto culturale nei confronti dei bam-
bini, particolarmente nel contesto occidentale, ma anche suggerisce alla rifles-
sione di considerare alcuni aspetti consolidati della nostra società, per evitare
un discorso unilaterale di criminalizzazione ed emozionalizzazione della que-
stione e una reazione tesa semplicemente a marginalizzare le sue punte estre-
me, senza tener conto dell'elevato tasso di erotizzazione che investe il mondo
dei bambini (pubblicità, immagini, fiction ecc.) e contrassegna i vissuti quo-
tidiani degli adulti.

14
A. FANALI in C. BOGLIOLO (ed.), Bambini e violenza. Dalle dinamiche familiari all'evento
sociale, Tirrenia 1998. Sull'approccio al bimbo vittima di pedofilia, cf. A. NATILLA, Il bambino abusato
e dissociato. Come conoscerlo, capirlo e andargli incontro, Roma 2006.
15
Per una riflessione morale sulla pedofilia, si vedano: L. CICCONE, Etica sessuale. Persone,
matrimonio, vita verginale, Milano 2004,229-257; P.D. GUENZI, «Pedofilia», in S. LEONE - S. PRIVITERA,
Nuovo dizionario di bioetica, Roma-Acireale 2004, 843-852. Nella nostra trattazione ci siamo serviti
largamente dell'ottima "voce" di Guenzi.
302 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

5.1. Valutazione etica degli atti pedofilici


La specifica malizia morale della pedofilia si comprende alla luce di quel-
li che sono alcuni valori portanti della sessualità e ne determinano il pieno
significato umano. Tra di essi un posto centrale deve essere attribuito al parti-
colare senso della corporeità e del suo linguaggio espressivo che avvicina e,
insieme, permette di creare la differenza tra i partner impegnati in un'autenti-
ca comunicazione interpersonale amorosa, sanzionando l'impossibilità di fon-
dersi o con-fondersi nell'altro o di oggettificarlo a strumento disponibile del
proprio bisogno. Il proprio corpo è indisponibile al contatto e all'accoglienza
della presenza dell'altro senza accondiscendenza libera e nel rispetto dell'u-
guaglianza dei soggetti pienamente coinvolti.
Il valore della libertà e dell'uguaglianza nella relazione esclude ogni
ricorso alla violenza, all'intimidazione, al ricatto emotivo, a manovre subdole
per disporre dell'altro; esige l'attenzione al consenso, alla conoscenza e condi-
visione del significato degli atti compiuti e la protezione del desiderio altrui.
L'atto sessuale compiuto dall'adulto sul bambino, frutto comunque di violen-
za, contraddice questa evidenza etica: è privo di ogni attenzione alla maturità
fisica e psichica, affettiva e sessuale in pratiche di cui non conosce il significa-
to e che lui non ha richiesto, in situazioni in cui dominano angoscia e paura e
l'esercizio di un potere da parte dell'adulto su di lui.

Servendosi del bambino come oggetto sessuale, spaventandolo e sovreccitando-


lo quando ancora non è libero di scegliere e decidere, quando non è ancora in
grado di simbolizzare le esperienze a livello cognitivo e di valutarle per quello
che sono, quando la sua sicurezza non è ancora interiorizzata ma dipende dagli
adulti che si occupano di lui, l'abusatore con i suoi interventi pesanti, autoritari,
irrispettosi dei ritmi e delle esigenze del piccolo, interrompe il suo processo di
umanizzazione, lo imbavaglia, lo pietrifica [...]. L'abuso di potere si oppone alla
tenerezza e alla relazione autentica. L'abuso sessuale unisce i corpi, ma nega la
relazione, aliena i soggetti. È un tipo di contatto che nega l'altro, che obbliga,
costringe, annulla. 16

Oltre che danni fisici di vario tipo, l'abuso lascia nel bambino che ne è vit-
tima evidenti segni di traumi psichici capaci di protrarsi nell'età giovanile e adul-
ta. In questa ferita profonda, duratura e non facilmente superabile della perso-
na consiste, in ultima analisi, la malizia perversa e devastante della pedofilia.

16
A. OLIVIERO FERRARIS - B. GRAZIOSI, Il volto e la maschera. Il fenomeno della pedofilia e
l'intervento educativo, Roma 1999.
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 303

5-2, La responsabilità morale del pedofilo


Un problema morale, tipico delle situazioni patologiche psichiche, è la
valutazione della libertà e della consapevolezza dell'abusatore per l'imputabi-
lità delle proprie azioni. Ci sono situazioni in cui l'abuso sessuale del minore è
frutto di libertinaggio sessuale o rappresenta un episodio legato a situazioni
ambientali particolari, senza però che si possa parlare di pedofilia in senso pro-
prio. Al di fuori della personalità patologica, la responsabilità nei confronti del
comportamento pedofilo deve essere sempre presunta. Si tratta di soggetti che
perseguono la soddisfazione del proprio bisogno sessuale senza tener conto
della personalità di quanti sono oggetto del loro interesse. Più complessa è la
valutazione in rapporto a vissuti che rimontano a strutture psichiche e a forme
di personalità consolidate e indirizzate verso precise scelte oggettuali deviate,
come nel caso della pedofilia tipica. Nessuno sceglie liberamente di essere un
deviato. La psicologa Joyce McDougall afferma che nessuno sceglie libera-
mente condizioni restrittive e vincolanti come quelle imposte dalle invenzioni
neosessuali coatte: queste presunte scelte rappresentano in qualche modo la
soluzione migliore costruita dal bambino di un tempo di fronte a comunica-
zioni parentali contraddittorie in merito all'identità di genere, alla mascolinità,
alla femminilità e al ruolo sessuale.
Nel pedofilo, che è tale per un'anomala struttura personale, il comporta-
mento pedofilo può risultare non di rado compulsivo e, per così dire, necessi-
tato in presenza di uno stimolo adeguato. Un autore di solito prudente nell'ac-
cogliere le istanze provenienti dalle scienze umane, mons. Lino Ciccone, ha
scritto a tal proposito:

Ogni caso va attentamente esaminato. In linea orientativa, però, si può afferma-


re con fondamento che è frequente l'assenza, o almeno una seria compromissio-
ne, della libertà di scelta, che invece deve essere piena perché si dia colpa grave.
Il riferimento è alla pedofilia in senso proprio. A fondamento di tale valutazio-
ne stanno i dati forniti dalle scienze umane, specialmente quelle sessuologiche e
psicologiche.17

Il giudizio soggettivo che riconosce un'attenuazione della responsabilità


non può esimerci da interventi, anche molto energici, per contenere e repri-
mere il comportamento pedofilo che certamente è lesivo della dignità e del-
l'equilibrio psichico dei bambini che ne sono vittime. Il dato secondo cui molti

17
CICCONE, Etica sessuale, 246.
304 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

pedofili adulti sono stati bambini vittime a loro volta di violenze sessuali ci dà
ulteriori motivi per sottolineare la grave necessità di far prevalere l'esigenza di
tutela dell'infanzia, attraverso tutti gli strumenti di difesa che una società può
elaborare. Il rispetto dovuto comunque alla persona del pedofilo non può mai
portare a compromessi quando è in gioco il bene dei nostri ragazzi e, pur non
potendosi sovrapporre semplicemente il comportamento deviante del parafili-
co con un comportamento delinquenziale, il diritto prioritario del minore chie-
de ai responsabili del bene comune e, in qualche modo, a tutti i cittadini di tute-
lare efficacemente i ragazzi da esperienze traumatizzanti, da sfruttamento ses-
suale, da attenzioni morbose di qualunque tipo.

5-3- Trattamento del pedofilo


Normalmente la terapia prende le mosse da un esplicito riconoscimento
da parte della persona del suo problema, da una conseguente richiesta di aiuto,
e si sviluppa, secondo la libera accettazione di prendervi parte, prevalentemen-
te nella forma dell'analisi psicologica. I divieti sociali possono, sotto questo
punto di vista, aiutare il pedofilo a prendere consapevolezza dell'abnormità e
pericolosità dei suoi desideri. I risultati terapeutici, allo stato attuale delle pos-
sibilità e dei protocolli di intervento, non sembrano essere risolutivi nella
pedofilia in senso stretto, pur recando documentati benefici a quanti vi si sot-
topongono. Il trattamento psicologico può essere imposto, quando si affianca
a un'eventuale pena detentiva, anche in assenza di un'esplicita richiesta del
soggetto, come forma attualmente disponibile di riabilitazione e ricostruzione
della personalità. Si comprende, tuttavia, che un trattamento psicologico
necessita che, almeno a qualche livello, il pedofilo collabori attivamente con il
terapeuta. Ogni terapia di tipo psicologico deve, poi, completarsi con l'ac-
compagnamento costante per il reinserimento sociale del pedofilo e per que-
sto devono operare figure di formatori opportunamente qualificati nel lungo
periodo che segue l'emergenza del problema e l'avvio di una possibile cura.
Dato il contesto di relativismo morale dominante, va valutato in modo
opportuno l'eventuale dubbio insorgente, soprattutto, nello psicoterapeuta di
operare una sorta di violenza sulla persona, imponendo le proprie persuasioni
e i propri orientamenti nel campo della sessualità. L'arbitrarietà del criterio di
normalità sessuale e la considerazione delle terapie come possibili forme di
imposizione violenta sono motivi ben presenti nella letteratura di stampo ideo-
logico, impegnata a dimostrare la neutralità e accettabilità sociale di alcune
forme di pedofilia. Il rispetto per le libere scelte della persona non può essere
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 305

invocato per la pedofilia nella quale si impone o si estorce da una persona


incapace di consenso un particolare comportamento sessuale.
Di tempo in tempo si propone la castrazione per i pedofili, così come per
gli autori di delitti sessuali per i quali si teme il ripetersi del comportamento
violento.18 Esclusa la finalità meramente punitiva, si pone la questione se la
castrazione possa mai essere un vero presidio terapeutico e si presenti cioè
come una autentica terapia delle spinte aggressive del perverso. Se si potesse
dimostrare quest'effetto, l'intervento castratore potrebbe essere preso in con-
siderazione, prima di tutto perché finalizzato al benessere personale e sociale
della persona e, in secondo luogo, perché si conseguirebbe, attraverso l'inter-
vento, un'adeguata protezione e difesa delle potenziali vittime. Al giorno d'og-
gi, comunque, lo stesso effetto si potrebbe ottenere per via farmacologica con
la somministrazione di progestinici e antiandrogeni e, pertanto, la cosiddetta
castrazione farmacologia dovrebbe essere preferita a quella chirurgica.19 Il
trattamento farmacologico impedirebbe la produzione degli ormoni maschili e
provocherebbe una riduzione, non irreversibile e in ogni caso temporanea,
della libido, non eliminando le fantasie sessuali di tipo pedofilo, ma - si dice -
rimodulando il desiderio sessuale e impedendo la possibilità di espressione
genitale della pulsione pedofila.
La questione, tuttavia, non è stata ancora risolta dal punto di vista né cli-
nico, né etico. Molti neuropsichiatri, infatti, mettono in dubbio che gli ormoni
maschili abbiano un effetto determinante nello scatenare tali forze aggressive.
Anche ammessa l'efficacia della castrazione chimica in soggetti capaci di
intendere adeguatamente la propria condizione, anche se non sono capaci di
gestirla, s'impone come condizione morale imprescindibile l'accettazione libe-
ra di questo tipo di terapia attraverso un consenso informato su benefici e
rischi riconosciuti dalla scienza medica. Un intervento di questo tipo presup-
pone, pertanto, una sincera alleanza terapeutica, sorretta dalla credibilità di chi
è chiamato a prendersi cura di quanti sono responsabili di comportamenti
pedofili. Esso non dovrebbe mai essere inteso come una sorta di punizione
alternativa alla detenzione, ma come un aiuto per accompagnare lo svolgi-
mento della terapia psicologica e riabilitativa.20

18
Su questo punto, cf. M.P. FAGGIONI, La vita nelle nostre mani, Torino 2 2009,112-114.
19
J.A. ALLISON - L.S. WRIGHTSMAN, Rape. The misunderstood crime, Newbury Park-London
1993,239-240; V. MELE - E. SGRECCIA, «Gli antiandrogeni nella terapia dei comportamenti sessuali vio-
lenti: riflessioni etiche», in Medicina e morale 39(1989), 1107-1124.
20
La castrazione chimica è prevista attualmente in tre stati degli U S A (California, Florida e
Montana) e in Danimarca. Se ne sta discutendo in Francia e Gran Bretagna.
306 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

5.4. Pedofilia e segreto professionale


Può esistere un grave conflitto di doveri da parte di chi, in ragione di una
specifica competenza, come medici e psicologi, può ricevere la confessione di
circostanziati atti pedofili compiuti dai propri pazienti. In materia di violenza
sessuale, nel caso di pubblici incaricati della sanità venuti a conoscenza di
eventi criminosi specifici, sussiste il dovere della denunzia, non così per l'e-
sercizio privato del rapporto tra clinico e paziente in cui vigono il rispetto del
segreto professionale e la tutela del cliente. In alcuni casi particolarmente
gravi, tuttavia, potrebbe essere ammessa una deroga, come per esempio pro-
pone il diritto francese, a tale dovere, comunque senza obbligo da parte del
curante e gestibile a livello di libera opzione di coscienza. In modo analogo al
segreto confessionale dei ministri di culto, è possibile, però, indurre la persona
ad assumere le proprie responsabilità nei confronti delle sue vittime e della
società, consegnandosi all'autorità giudiziaria.

6. L'ABUSO DI MINORI NELLA LEGISLAZIONE CANONICA

Uno degli aspetti più conturbanti del fenomeno della pedofilia oggi è la
presenza di numerosi casi di pedofilia tra membri del clero, ma ancora più
grande scalpore nell'opinione pubblica ha suscitato il comportamento poco
prudente di alcuni vescovi che non sono intervenuti con le necessarie tempe-
stività e determinazione sui casi di pedofilia.21
La legge canonica già prevedeva pene proporzionate per i chierici che si
macchiano di delitti alquanto gravi («delieta graviora»)22 ma, sotto l'ondata
dello scandalo, la normativa è stata resa ancora più rigorosa attraverso il motu
proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, promulgato il 30 aprile 2001 da Gio-
vanni Paolo II.23 Il canone 1395 del codice del 1983 prevedeva, in due para-
grafi, diverse ipotesi di delitti commessi da chierici contro obblighi speciali.

21
Si veda: R.K. HANSON - F. PFÄLLIN - M. LÜTZ (edd.), Sexual abuse in the Catholic Church.
Scientific and legal perspectives, Città del Vaticano 2004.
22
J.H. ALESANDRO, «Canonical delicts involving sexual misconduct and dismissal from the cler-
ical state», in lus Ecclesiae 8(1996), 173-192; V. DE PAOLIS, «I delitti contro il sesto comandamento», in
Periodica 82(1993), 293-316; J.H. PROVOST, «Offenses against the sixth commandment: toward a canon-
ical interpretation of canon 1395», in The jurist 56(1996), 632-663.
23
IOANNES PAULUS II, Epistula a Congregatone pro Doctrina Fidei missa ad totius Catholicae
Ecclesiae Episcopos aliosque Ordinarios et Hierarchas interesse habentes: de delictis gravioribus eidem
Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis: AAS 93(2001), 785-788.
CAP. 3 - LA PEDOFILIA 307

Nel § 1 si configura il delitto di concubinato o di «un altro peccato contro il


sesto comandamento del Decalogo»:

Il chierico concubinario, oltre il caso di cui nel can. 1394, e il chierico che per-
manga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del
Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gra-
dualmente altre pene, se persista il delitto dopo l'ammonizione, fino alla dimis-
sione dallo stato clericale.

Il § 2 del canone precisa che

il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo,
se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente,
o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la
dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti.

Le norme tese a reprimere la pedofilia dei chierici, dunque, c'erano già


nel Codice di diritto canonico, ma il motu proprio del 2001 offre una comple-
ta ed esaustiva trattazione dell'argomento, introducendo alcune novità e pre-
cisazioni rispetto al dettato del can. 1395. Una delle principali novità del motu
proprio è quella di considerare nel numero dei delitti più gravi ogni peccato
«contro il sesto precetto del Decalogo», se sia stato compiuto da un chierico
con un minore al di sotto dei 18 anni (art. 4). Il canone 1395 § 2 indicava inve-
ce 16 anni. Il motivo dell'innalzamento dell'età è dovuto al fatto che si è volu-
to far coincidere l'età con la maggiore età legale nella gran parte dei paesi del
mondo. Questo inasprimento è collegato con gli scandali dei preti pedofili, ma
- ovviamente - nessuno può pensare che sia pedofilia un rapporto tra un adul-
to e un giovane o una giovane di 17 anni. Il legislatore canonico ha ritenuto
opportuno prevedere sanzioni particolari per tutti i delitti sessuali di chierici
che coinvolgono minorenni, includendo sia i delitti di pedofilia (sino alla
pubertà) sia i delitti con i cosiddetti «grandi minori» (fra i 14 e i 18 anni).
In base al motu proprio l'organismo competente per giudicare i «delieta
graviora» è la Congregazione per la dottrina della fede. Al tribunale apostoli-
co della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati, infatti, i delit-
ti contro la fede e quelli, appunto, chiamati «graviora», contro la morale o com-
messi nella celebrazione dei sacramenti. Si noterà che i delitti riservati alla
Congregazione riguardano casi che mettono in gioco il bene comune e provo-
cano gravissimi danni alla Chiesa e alle anime.
Ogni volta che l'ordinario o il gerarca ha notizia, almeno verosimile, di
un possibile atto delittuoso in questo campo, dopo aver svolto un'indagine pre-
via, lo deve segnalare alla Congregazione, la quale, a meno che per le partico-
308 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

lari circostanze non avocasse a sé la causa, demanda all'ordinario o al gerarca,


dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il
proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del
suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unica-
mente soltanto il diritto di appello al supremo tribunale della medesima Con-
gregazione. Per salvaguardare il diritto di privacy delle presunte vittime e del
chierico indagato questi procedimenti sono soggetti al segreto pontificio.24
Per quanto riguarda la notizia del delitto, essa

può pervenire alle autorità competenti sia in modo diretto sia in modo indiret-
to, attraverso svariate vie e persone. Non esiste l'obbligo di denunciare all'ordi-
nario un delitto di cui si abbia notizia o di cui si è venuti a conoscenza, a meno
che non sia in gioco il bene comune e ne possa venire un grave danno alla Chie-
sa e alle anime.25

Chiunque ha la facoltà di esporre denuncia contro qualcuno che abbia


commesso un delitto: «Nell'attuale diritto non risulta che si debba trattare
esplicitamente di un fedele», per cui può presentare la denuncia anche un non
cattolico.26
Il rigore della nuova normativa è motivato dall'esigenza di tutelare il più
possibile le vittime di abusi sessuali, di impedire che un chierico affetto da
pedofilia possa tornare a ripetere il suo delitto e, infine, di far sapere alla gente
«che non c'è posto nel sacerdozio e nella vita religiosa per coloro che fanno del
male ai giovani».27 Resta un problema da risolvere nei casi concreti perché,
quando si tratti di vera pedofilia con le note compulsive tipiche delle parafilie,
occorrerà valutare di volta in volta il grado di responsabilità del reo per poter
integrare correttamente la figura del delitto canonico.
La pedofilia ha un grande influsso anche sul matrimonio canonico. «Nel
giudizio peritale», scrive il prof. Zuanazzi, «si dovranno porre le necessarie
distinzioni; tuttavia, di regola, gli individui pedofili non sono in grado di stabi-
lire una normale convivenza coniugale e possono rappresentare un pericolo
per i figli».28

24
Cf. SCICLUNA, Procedura e prassi, 282-283.
25
Cf. Z. SUCHECKI, Le sanzioni penali nella Chiesa. Parte I: I delitti e le sanzioni penali in gene-
re (can. 1311-1363), Roma 1999,162-163.
26
SUCHECKI, Le sanzioni penali nella Chiesa, 163.
27
GIOVANNI PAOLO II, Address to the cardinals of the United States, 23-4-2002.
28
G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria nelle cause matrimoniali canoniche, Città del Vaticano
2006,223.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 309

7- LEGISLAZIONE CIVILE E PREVENZIONE

Il rilievo che la pedofilia ha assunto in questi ultimi anni, sia per l'emer-
sione del fenomeno dalle nebbie della vergogna e dell'omertà, sia per la sua
amplificazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa, si è accompa-
gnato a un'accresciuta sensibilità sociale di fronte alla violenza sessuale sui
minori. Di fronte all'escalation della pedofilia nelle sue diverse forme e alle
reazioni allarmate dell'opinione pubblica, i paesi occidentali si sono mobilita-
ti con provvedimenti legislativi, campagne di sensibilizzazione e programmi di
accompagnamento delle vittime e di prevenzione.
La recente evoluzione della normativa italiana sulla violenza sessuale
(legge 3 agosto 1998, n. 269: Norme contro lo sfruttamento della prostituzioney
della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme
di riduzione in schiavitù) ha recepito le indicazioni offerte nel 1989 dall'ONU
con la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo e le indicazioni del
1997 dell'Unione europea che auspicavano un'azione comune per contrastare
il traffico di esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini, imponendo
una revisione delle normative interne a ciascun paese, nel rispetto della pro-
pria tradizione giuridica.29
Questo dispositivo legale, introdotto nel codice penale italiano, ha inteso
precisare con maggiore accuratezza alcuni reati a sfondo sessuale che coinvol-
gono i minori e inasprire le pene, particolarmente in materia di sfruttamento
sessuale. Pur non figurando il termine pedofilia nella legislazione dei paesi
europei (il diritto penale definisce e distingue solo i fatti perseguibili) e persi-
stendo una certa disparità nella determinazione della maggiore età sessuale
(dai 12 ai 16 anni nei paesi dell'Unione) per presupporre un consenso, in
assenza di esplicite azioni di stupro, di abuso e di violenza, a eventuali atti ses-
suali compiuti da un minore anagrafico, si sta sviluppando una più accurata
cultura giuridica per la conduzione di processi delicati che coinvolgono come
parte lesa il minore.
In Italia il 2 marzo 2006 è entrata in vigore la legge 38 contenente Dispo-
sizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedo-
pornografia anche a mezzo Internet la quale, oltre all'inasprimento delle pene,
amplia la nozione di pedo-pornografia e del suo ambito. Riguardo alla prosti-
tuzione minorile (art. 600 bis) viene punito chi compie atti sessuali, in cambio

29
A. CADOPPI - G. Di PAOLO (edd.), Commentari delle norme contro la violenza sessuale e delle
leggi contro la pedofilia, Padova 1999; M.P. COLOMBO SVEVO, «Sfruttamento sessuale dei minori e ini-
ziative dell'Unione europea», in Aggiornamenti Sociali (1998), 383-390.
310 SEZIONE II - QUESTIONI ET I CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

di denaro o di altra utilità, con minori di età compresa tra i 14 e i 18 anni; pre-
cedentemente l'età era compresa tra i 14 e i 16 anni. Per quanto riguarda il turi-
smo sessuale è previsto l'obbligo per gli operatori turistici che organizzano i
viaggi di inserire, sui cataloghi e sui documenti forniti agli utenti, in modo evi-
dente la dicitura: «La legge italiana punisce con la reclusione i reati concer-
nenti la prostituzione e la pornografia minorile, anche se commessi all'estero».
L'attenzione a definire la natura particolare dell'iter giudiziario, nei casi di
pedofilia, è ulteriormente da perfezionare per evitare fenomeni di spetta-
colarizzazione a livello di opinione pubblica, innescando una cultura del sospetto
e meccanismi di criminalizzazione indebita in assenza o nel dubbio di fatti preci-
si, per limitare episodi di pura e semplice delazione, per proteggere gli stessi
minori da ulteriori violenze istituzionali, per raccogliere e valutare in modo pon-
derato le loro confidenze e tutelare il diritto di difesa del presunto aggressore.
Una matura cultura del perdono - senza però indebiti perdonismi o peg-
gio l'occultazione e la rimozione degli episodi di violenza sessuale - rappre-
senta un valore sociale ugualmente da promuovere che non annulla le misure
di giustizia, né misconosce le difficoltà di giungere a una piena riabilitazione
dell'aggressore, ma consente di riaprire cammini di libertà e umanità per chi
ha sinceramente riconosciuto le sue gravi colpe e ha fatto di tutto per riconqui-
stare una propria maturità personale e sessuale. L'attenzione dello Stato e
della società non può essere circoscritta nell'ambito penale e repressivo, senza
una più capillare azione di prevenzione, ispirata da una cultura attenta alla
costruzione di relazioni profonde e significative tra il mondo degli adulti e i
bambini e una corretta formazione ai valori propri della sessualità e dell'amo-
re, reattiva nei confronti di quegli aspetti di forte erotizzazione edonistico-
strumentale e di violenza attualmente presenti.
Si apre così l'imponente capitolo dell'educazione e prevenzione, a comin-
ciare da quella impartita in famiglia, per trasmettere un corretto rispetto del
corpo proprio e degli altri, il senso e il valore della differenza sessuale, con-
siderando attentamente i tempi e le categorie interpretative propri dell'età
infantile. Gli stessi educatori, non solo per far fronte a possibili accuse di com-
portamenti scorretti, ma in vista di un adeguato processo pedagogico, dovran-
no lavorare profondamente su se stessi, sull'equilibrio personale, evidenziando
chiaramente i propri limiti e debolezze, sulla capacità di osservazione dei sin-
tomi che possono rivelare episodi o una storia di abusi nei minori loro affida-
ti, sull'importanza di offrire regole chiare con gli educandi, anche per gestire
eventuali episodi di interesse a sfondo affettivo che possono insorgere nei loro
confronti da parte di ragazzi o pre-adolescenti, sulla necessità di operare cor-
rettamente in équipe condividendo i protocolli pedagogici, sullo sviluppo di
specifici progetti di accompagnamento delle piccole vittime.
4
I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE

Abbiamo visto, studiando l'antropologia sessuale contemporanea, le


articolazioni del sesso fisico e le complesse dinamiche differenziative lungo le
quali si realizza il sesso fisico, dallo stabilimento del sesso cromosomico alla
definizione del sesso gonadico, genitale interno e fenotipico. Abbiamo anche
visto che le strutture sessuali del maschio e della femmina, così diverse alla
nascita e ancor più dopo la pubertà, derivano da abbozzi embrionali comuni
che si modificano in senso maschile o femminile sotto l'azione degli ormoni
sessuali e di specifici determinanti codificati nei cromosomi. Se questo proces-
so non può svolgersi regolarmente, possono prodursi situazioni di ambiguità a
livello degli organi sessuali.1
Sotto la denominazione generica di stati intersessuali venivano raccolte
situazioni molto diverse, caratterizzate in generale da uno sviluppo difettoso e
disarmonico della sessualità corporea, con ripercussioni incostanti sul sesso
psichico. Tenendo conto della genesi di questi quadri, di recente è stato propo-
sto di denominarli «disordini dello sviluppo sessuale» (disorders of sex deve-
lopment) o «disordini della differenziazione sessuale» (disorders of sexual dif-
ferentiation). I genitori, i medici, i chirurghi, gli psicopedagogisti si trovano
spesso a dover prendere decisioni che saranno determinanti per il futuro della
persona dal sesso incerto, attribuendola all'uno o all'altro sesso e orientando
in modo conseguente la sua educazione e, se necessario, intervenendo per con-
ferire ai genitali un aspetto il più congruente possibile con il sesso di attribu-
zione. Queste decisioni sollevano delicatissimi problemi morali e legali a par-
tire dalla questione, davvero fondamentale e imprescindibile, degli indicatori
più significativi della sessualità di un soggetto, problema di squisita natura
antropologica, prima ancora che medica.

1
Per una revisione biomedica, cf. D. FRIMBERGER - J.P. GEARHART, «Ambiguous genitalia and
intersex», in Urol. Int. (2005)75,291-297.
312 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Gli antichi si riferivano spesso a queste situazioni di ambiguità con due


termini greci: androgino o ermafrodita. Abbiamo già parlato dell'androgino,
essere primordiale bisessuato presente in alcuni miti di origine. Il nome erma-
frodita deriva invece - secondo la tradizione letteraria - dal mitico Ermafro-
dito, un giovane bellissimo figlio di Ermes e di Afrodite. Un giorno giunse a
una fonte e la ninfa della fonte, Salmace, se ne innamorò perdutamente, ma
Ermafrodito la respinse, così lei ottenne dagli dei di poter fondere il suo corpo
con quello dell'amato, e così Ermafrodito divenne un essere ibrido, partecipe
sia della natura maschile sia di quella femminile.

1. CLASSIFICAZIONE E DESCRIZIONE

I disordini dello sviluppo sessuale venivano classificati tradizionalmente


in tre forme principali: le disgenesie gonadiche, con alterazioni gonadiche e
ripercussioni varie sulla differenziazione sessuale; gli pseudoermafroditismi in
cui si verifica uno sviluppo dei genitali esterni più o meno in contrasto con il
sesso gonadico, distinti a loro volta in pseudoermafroditismi maschili, con
ambiguità dei genitali in presenza di gonadi maschili, e pseudoermafroditismi
femminili, con ambiguità dei genitali in presenza di gonadi femminili; e l'er-
mafroditismo vero, con gonadi e genitali variamente ambigui.
Si sta introducendo una nuova tassonomia che escluda i termini erma-
froditismo e pseudoermafroditismo e l'indicazione maschile e femminile per i
quadri di pseudoermafroditismo perché creano disagio ai pazienti e raggrup-
pano sotto una sola entità nosografica quadri con patogenesi molto eteroge-
nea.2 Noi qui proponiamo una descrizione dei quadri principali avendo di mira
le questioni morali implicate e dando particolare rilievo alle situazioni più dif-
ficili dal punto di vista etico.

2
Cf. A . DREGER - C. CHASE - A . SOUSA et al, «Changing the nomenclature/taxonomy for inter-
sex: a scientific and clinical rationale», in Journal of pediatric endocrinology and metabolism (2005)18,
729-733; J. FRADER - P. ALDERSON - A. ASCH et al, «Health care professionals and intersex conditions»,
in Archive of pediatric and adolescent medicine (2004)158,426-429.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 313

1.1. Le disgenesie gonadiche


Nelle disgenesie gonadiche si hanno compromissioni variabili a carico
delle gonadi, ma il sistema dei dotti e dei genitali esterni è in accordo con il
sesso gonadico. Le più comuni sono dovute a difetti di tipo cromosomico:
donne con sindrome di Turner e uomini con sindrome di Klinefelter.
La sindrome di Turner corrisponde a diverse alterazioni cromosomiche,
delle quali la più comune è la presenza di un solo cromosoma X (assetto cro-
mosomico 45,XO) ovvero delezioni, cioè perdite, di parti importanti del cro-
mosoma X. L'incidenza della sindrome è di 1 su 2.500 femmine: in effetti si for-
mano molti più embrioni con questo difetto, ma la maggioranza di essi muore
prima della nascita. Gli individui con la sindrome di Turner sono femmine, ma
hanno ovaie fortemente disgenetiche spesso ridotte a benderelle fibrose, con
utero e tube poco sviluppati anche in età adulta. In esse non si ha la matura-
zione puberale, non compaiono le mestruazioni, non vengono prodotti gameti
femminili e non si sviluppano i caratteri sessuali secondari della donna matu-
ra. I genitali esterni mantengono tutta la vita un aspetto infantile. La statura
resta bassa e sono presenti tratti e aspetti somatici tipici, fra i quali torace piat-
to a scudo, piega cutanea ai lati del collo (pterigio), attaccatura dei capelli
bassa, mandibola piccola, edema di mani e piedi. Spesso hanno qualche diffi-
coltà nella lettura e nel calcolo.
La sindrome di Klinefelter è una patologia causata da un'anomalia cro-
mosomica, che prende il nome dal dott. Harry Klinefelter che la descrisse nel
1942. La causa di tale malattia è la presenza di due cromosomi X invece di uno,
per cui il cariotipo è 47,XXY. Più raramente si ha un mosaicismo, cioè la com-
presenza di cellule con due assetti cromosomici diversi: 46,XY/47,XXY. Sono
soggetti appartenenti al sesso maschile, ma con testicoli piccoli e disgenetici e
completamente incapaci di produrre spermatozoi (azospermia) o, in alcuni
casi, con scarsa gametogenesi. Frequente la ginecomastia (sviluppo anomalo
della ghiandola mammaria). A volte si associa statura piuttosto elevata e insuf-
ficiente virilizzazione; più raramente si hanno deficit intellettuali.

1.2. L'iperlasia surrenale congenita

Nei soggetti con assetto cromosomico femminile (XX) e gonadi femmini-


li normalmente funzionanti uno dei disordini più comuni dello sviluppo sessua-
le è la virilizzazione dei genitali esterni per un eccesso di androgeni nella vita
prenatale e/o postatale. Fra questi disordini la forma di gran lunga più comune
314 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

è Viperplasia surrenale congenita, a base genetica. In questo quadro si ha un


deficit enzimatico a carico della 21 idrossilasi, un enzima coinvolto nel metabo-
lismo del cortisolo. A causa del deficit, sin dalla vita prenatale si ha un'iperpro-
duzione di androgeni deboli che virilizzano i genitali esterni delle bambine.
Le alterazioni dello sviluppo dei genitali sono tanto più spiccate quanto
più precoce e intensa è stata l'azione ormonale e sono state classificate da A.
Prader in 5 tipi, numerati progressivamente secondo la loro gravità: si va da
una condizione del tutto sovrapponibile alla donna normale, tranne un'isolata
ipertrofia clitoridea, sino a soggetti dal fenotipo francamente maschile con
fusione totale delle grandi labbra, a simulare uno scroto vuoto, e notevole iper-
trofia clitoridea, che fa pensare a un pene ipospadico o addirittura normale,
avendosi talora un meato unico, uretrale e vaginale, all'estremità del fallo.
Si sviluppano normalmente utero e tube. Le ovaie conservano per qual-
che tempo la loro potenzialità funzionale e ciò spiega la ripresa dell'attività
ovarica normale in seguito a opportune terapie o, più di rado, spontaneamen-
te. L'aspetto somatico delle pazienti varia, in parallelo con la virilizzazione dei
genitali esterni, da un aspetto generale poco o per nulla virilizzato, a soggetti
dalla corporatura mascolina che alla pubertà presentano arti brevi e muscolo-
si, pilizio abbondante, barba e baffi, assenza di sviluppo mammario, disposi-
zione del grasso di tipo maschile, voce bassa e scura.
Nel caso dell'iperplasia surrenale congenita una terapia sostitutiva con
cortisone iniziata - se possibile - prima della nascita e un'eventuale correzio-
ne chirurgica dei genitali esterni permettono una vita sessuale soddisfacente
ed evitano i problemi psichici legati alla virilizzazione. L'identificazione avvie-
ne di solito in senso femminile, indipendentemente dal grado di virilizzazione
dei genitali esterni. Solo in casi rari di assegnazione erronea alla nascita al
sesso maschile, a motivo della marcata virilizzazione dei genitali, i soggetti
sono stati allevati e si sono identificati in senso maschile.

1.3. La resistenza agli androgeni


Nei soggetti con cariotipo maschile (XY) e con testicoli, normali o disge-
netici, possono presentarsi numerose ed eterogenee anomalie dello sviluppo
sessuale con genitali esterni o interni o entrambi mascolinizzati in modo
imperfetto o, addirittura, non mascolinizzati. Un gruppo di quadri molto deli-
cato sia dal punto di vista clinico sia da quello etico è costituito dalla resisten-
za dei tessuti periferici agli androgeni. La resistenza può essere totale (AIS,
androgen insensitivity syndrome) o parziale (PAIS, partial androgen insensiti-
vity syndrome), con effetti diversi sul fenotipo e sul sistema dei dotti genitali.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 315

Il caso estremo è configurato dalla sindrome di Morris, una situazione


causata da una totale resistenza dei tessuti periferici all'azione degli ormoni
virilizzanti (androgenoresistenza totale). I soggetti presentano un cariotipo
maschile 46,XY, ma alla nascita e durante l'infanzia sono indistinguibili all'ap-
parenza dalle bambine normali. Alla pubertà l'aspetto somatico è tipicamente
femminile, con mammelle addirittura ipertrofiche e con genitali esterni fem-
minili, anche se mantengono per tutta la vita una parvenza infantile. La vagi-
na, di solito corta, termina a fondo cieco: normalmente la parte superiore della
vagina deriva dalle strutture fetali dette dotti di Müller che qui regrediscono -
come nei maschi normali - per azione dell'ormone antimulleriano prodotto
dal testicolo, mentre la parte inferiore della vagina deriva dalla cloaca che qui
evolve in senso femminile per la mancata azione degli ormoni maschili. Carat-
teristica è la totale mancanza di peli pubici e ascellari, anche in età post-pube-
rale {hairless women) perché non solo gli androgeni gonadici, ma anche quelli
surrenalici non riescono a esercitare la loro azione a livello cutaneo. I testicoli
sono ritenuti nel canale inguinale o nello spessore delle grandi labbra, mentre
sono assenti utero e tube. L'aspetto femminile e il rigoglio mammario sono
dovuti all'azione dell'estradiolo, ormone femminile prodotto in piccole quan-
tità dal testicolo anche nel maschio normale che qui può svolgere un'azione
marcatamente femminilizzante perché non viene contrastato dagli ormoni
maschili.3
La resistenza totale è dovuta a un difetto del recettore per il testostero-
ne di origine genetica. È impossibile virilizzare questi soggetti con qualsivoglia
cura ormonale. La terapia comporta l'asportazione dei testicoli ritenuti, che
potrebbero cancerizzare, e nel somministrare estrogeni per mantenere i carat-
teri femminili secondari. Spesso si ricorre alla plastica vaginale per consentire
una vita sessuale soddisfacente. Queste persone, infatti, non solo sembrano, ma
si sentono a tutti gli effetti donne. Molte si sposano e hanno una regolare vita
coniugale; si sa che alcune hanno adottato, con buoni risultati, dei bambini.4
Esistono anche diverse forme di androgenoresistenza parziale (sindrome
di Lubs, di Rosewater, di Reifenstein ecc.): in questi quadri si ha ambiguità ses-
suale alla nascita e una mascolinizzazione parziale alla pubertà, con un ampio

3
Quando la sindrome fu individuata negli anni '50 si pensò erroneamente a un difetto biochi-
mico del tessuto testicolare che avrebbe prodotto estrogeni invece di androgeni, per cui si parlava di
sindrome del testicolo femminilizzante; cf. J.M. MORRIS, «Syndrome of testicular feminization in male
pseudo-hermaphrodites (82 cases)», in American journal of obstetrics and gynaecology (1953)65,1192-
1211.
4
A . B . WISNIEWSKI - C.J. MIGEON - H . F . L . MEYER-BAHLBURG et al, « C o m p l e t e a n d r o g e n i n s e n -
sitivity syndrome: long-term medical, surgical, and psychosexual outcome», in The journal of clinical
endocrinology and metabolism (2000)55,2664-2669.
316 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

ventaglio di alterazioni fenotipiche. In altri casi la mancata azione androgeni-


ca non è dovuta a un'alterazione a carico dei recettori ormonali dei tessuti ber-
saglio con resistenza totale o parziale agli androgeni, ma a un deficit dell'enzi-
ma 5 alfa reduttasi che impedisce la formazione di un importante derivato del
testosterone, il déidrotestosterone.
Per capire il quadro clinico dobbiamo ricordare che il deidrotestosterone
induce l'evoluzione in senso maschile dei genitali esterni mentre il testosterone
induce l'evoluzione in senso maschile dei genitali interni. Il deficit di 5 - alfa -
reduttasi fa sì che questi soggetti, geneticamente maschi, presentino alla nasci-
ta un fenotipo femminile, mentre i genitali interni, sotto il controllo del testo-
sterone, evolvono in senso maschile, con le strutture wolffiane terminanti in una
vagina a fondo cieco. I testicoli sono di solito ritenuti e il pene è piccolissimo.
Tutto ciò spesso determina l'assegnazione anagrafica al sesso femminile e un'e-
ducazione corrispondente. Alla pubertà, in concomitanza con l'elevarsi del
testosterone plasmatico, si assiste a una virilizzazione progressiva dei genitali
esterni e a un imponente sviluppo delle masse muscolari, svelandosi così la
patologia. Siamo di fronte a un'apparente e stupefacente trasformazione del
sesso: vediamo infatti delle bambine che a un certo punto diventano uomini. Gli
effetti della trasformazione sull'identità di genere sono variabili, ma si assiste
nella maggioranza dei casi a una reidentificazione in senso maschile.5

1A. Ermafroditismo vero


Nei disordini dello sviluppo sessuale tradizionalmente denominati erma-
froditismo vero si ha la coesistenza di strutture testicolari e ovariche, con feno-
tipo e genitali variamente ambigui. L'anomalia è rara: ne sono stati finora regi-
strati con certezza circa 800 casi. In questi soggetti si può riscontrare la pre-
senza di un ovaio e/o di un testicolo, ma più spesso si rileva la presenza di una
gonade bisessuata nella quale coesistono strutture ovariche e testicolari (ovo-
testis). Il fenotipo è assai variabile. I genitali esterni possono essere ambigui o
differenziati in senso prevalentemente maschile o femminile. Lo sviluppo delle
vie genitali interne è costantemente ambisessuale ed è per lo più presente l'u-
tero o un suo rudimento: questo spiega l'osservazione di mestruazioni che, nei
soggetti a fenotipo maschile, si presentano come ematurie cicliche e/o forti

5
J. IMPERATO-MCGINLEY et al, «Androgens and the evolution of male gender identity among
male pseudohermaphrodites with 5a-reductase deficiency», in New England Journal of Medicine
(1979)300,1233-1237.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 317

dolori ipogastrici. I caratteri sessuali secondari sono molto vari: in generale si


riscontrano, in un soma prevalentemente maschile o femminile, caratteri ses-
suali del sesso opposto. L'impulso sessuale è per lo più scarso o assente e l'i-
dentità di genere così come l'orientamento sessuale sono ambigui.
La causa di questa anomalia è oscura: sicuramente sono coinvolte cause
genetiche, ma non esiste una corrispondenza costante fra cariotipo e fenotipo.

Per rendersi conto dell'incidenza del fenomeno, diamo un tabella che


riporta la frequenza dei diversi tipi di disordini dello sviluppo sessuale.

Sindrome di Turner (XO) 1 su 2.500 nati


Sindrome di Klinefelter (XXY) 1 su 1.000 nati
Sindrome di resistenza agli androgeni 1 su 13.000 nati
Sindrome di resistenza parziale agli androgeni 1 su 130.000 nati
Iperplasia surrenalica congenita (classica) 1 su 13.000 nati
Iperplasia surrenalica a insorgenza tardiva (late onset) 1 su 66 individui
Agenesia vaginale 1 su 6.000 nati
Ovotestis 1 su 83.000 nati
Disordine Idiopatico (causa non conosciuta) 1 su 110.000 nati
Disordine Iatrogenico (da cause mediche, ad esempio
progestinici in gravidanza) Non stimato
Deficit di 5 alfa-reduttasi Non stimato
Disgenesia gonadica mista Non stimato
Disgenesia gonadica completa 1 su 150.000 nati
Ipospadia (orifizio uretrale nel perineo
o lungo l'asta peniena) 1 su 2.000 nati
Ipospadia (orifizio uretrale fra la corona
e l'apice del glande) 1 su 770 nati
Numero totale di persone con fenotipo
deviante dagli standard 1 su 100 nati
Numero totale di interventi
di normalizzazione del fenotipo 1-2 su 1.000 nati

2- L A «NORMALIZZAZIONE» DELL'AMBIGUITÀ

Esistono molteplici testimonianze sul sacro orrore che incutevano negli


antichi romani i nati dal sesso ambiguo. Conformemente a quanto prescritto
dalla legge delle XII tavole circa l'immediata soppressione dei nati deformi e
318 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

mostruosi,6 i soggetti dal sesso incerto venivano eliminati annegandoli o


abbandonandoli in mare aperto, perché la loro conturbante diversità non con-
taminasse il suolo romano. Drammatica è, fra le altre, la narrazione liviana dei
terribili prodigi che funestarono l'anno 201 a.C.:

Venivano annunziate in molti luoghi nascite di animali orrendi. In Sabina nac-


que un neonato ambiguo, del quale non si sapeva se era maschio o femmina, e fu
trovato un altro soggetto dal sesso ambiguo di sedici anni [...].Tutte queste cose
immonde e disgustose parvero il frutto di una natura che errava nel produrre feti
alieni: più di ogni altra cosa, quei maschi imperfetti [semimares] furono oggetto
di sacro orrore e si ordinò di abbandonarli subito in mare. 7

Il disagio di fronte ai soggetti dal sesso ambiguo continuava, in forma lar-


vata e raffinata, nella dottrina elaborata dai grandi teorici del diritto romano.
Nella vita sociale, l'identificazione personale costituisce un aspetto nodale e
irrinunciabile e di essa l'identificazione sessuale costituisce un aspetto non
certo irrilevante. Ogni persona viene attribuita o al sesso maschile o al femmi-
nile e l'essere maschio o femmina comporta tutta una serie di diritti e di dove-
ri nei diversi campi della vita familiare, politica e sociale. La divisio dicotomi-
ca dei sessi, che rimanda alla naturale reciprocità funzionale di maschio e fem-
mina in vista della coniunctio feconda, corrisponde in modo perfetto a una
logica classificatoria intuitiva di tipo binario: diventa, perciò, normativo che
tutti i soggetti si dividano e si congiungano come mares e come feminae.
L'intersesso, denominato dagli antichi con la parola greca ermafrodita,
non può essere assegnato a nessuno dei due sessi e questo crea una situazione
insostenibile dal punto di vista dell'ordinata struttura della societas. Ogni mon-
strum umano - afferma M. Foucault - come l'ermafrodita è tale perché infran-
ge una duplice legge, la legge della natura e la legge della società.8 Per elimi-
nare tale distonia giuridica, un ermafrodito poteva essere ascritto a un sesso o
all'altro in base al criterio del sexus praevalens, secondo la dottrina formulata
da Ulpiano: «Quaeritur, hermaphroditum cui comparamus? Et magis puto eius
sexus aestimandum, qui in eo praevalet». 9

6
Tramandata da CICERONE, De legibus 3,8,18: «Cito necatus tamquam ex XII Tabulis insignis
ad deformitatem puer».
7
TITO LIVIO, Ab urbe condita 31,12,5-9: «Iam animalium obscaeni fetus pluribus locis nuntia-
bantur; in Sabinis incertus infans natus, masculus an femina esset, alter sedecim iam annorum item
ambiguo sexu inventus [...]. Foeda omnia et deformia errantisque in alienos fetus naturae visa: ante
omnia abominati semimares iussique in mare extemplo deportari»; cf. TITO LIVIO, Ab urbe condita
27,11,4-5; 27,37,3-4; 39,22,5.
8
Cf. M. FOUCAULT, Résumé des cours 1970-1982, Paris 1989,73-74.
9
ULPIANO, Digesto 1,5,10. Il frammento ulpianeo è riportato nella trattazione De statu homi-
num e l'espressione «cui comparamus» è riferita all'alternativa maschio/femmina.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 319

Per la biologia antica il sesso virile è il sesso di riferimento e ogni altra con-
dizione sessuale, inclusa quella di una femmina normale, viene giudicata sul para-
metro costituito dal maschio (monosessismo).10 Il sesso prevalente dovrà quindi
essere valutato in base al maggiore o minore avvicinarsi di una certa comples-
sione genito-somatica al sesso virile accertata attraverso la inspectio corporis. In
base a tale criterio, per esempio, a partire dalla considerazione che un uomo ste-
rile può adottare un figlio e costituirlo suo erede, mentre questo è per legge
impossibile a un eunuco, Ulpiano afferma che un ermafrodita ha il diritto di isti-
tuire heredes sui al pari degli uomini normali «si in eo virilia praevalebunt».11
Se il terrore superstizioso delle origini spingeva a sopprimere fisicamen-
te gli intersessi, il diritto ne occulta l'esistenza conturbante ascrivendoli a uno
dei due generi fondamentali previsti dall'ordinamento della società.

A differenza del minorato intellettuale di cui il legislatore riconosce la soggetti-


vità incompiuta, integrandone attraverso la finzione della rappresentanza e l'au-
silio della tutela le limitate capacità, alla sessualità imperfetta non viene attri-
buito alcun rilievo.12

Il criterio del sesso prevalente si presta a una duplice interpretazione. I


costruzionisti, che vedono nell'organizzazione del sistema dei sessi una pura
costruzione culturale, sottolineano l'artificiosità dell'attribuzione di un inter-
sesso a uno dei due generi previsti dal sistema binario e sottolineano come il
criterio elaborato dalla tradizione giuridica rappresenti solo in apparenza una
soluzione per la questione, perché in effetti occulta la condizione intersessua-
le, come se l'intersesso non possedesse una propria consistenza esistenziale nel
contesto della società dei normali. Una lettura alternativa è che il criterio di
prevalenza si sforzava di riconoscere nella realizzazione imperfetta del sesso
dell'intersesso il progetto originario imperfettamente realizzato ovvero la
realtà profonda dell'intersesso confusamente rivelata dall'imperfetta realizza-
zione corporea.
Qualunque sia l'interpretazione da dare all'impostazione tradizionale,
una costante nell'affrontare la questione è che, pur cambiando nel tempo i cri-
teri di riconoscimento del sesso biologico e di assegnazione del sesso sociale,

10
T. LAQUEUR, Making sex. Body and gender from Greeks to Freud, Harvard 1990 (trad. it. L'i-
dentità sessuale dai Greci a Freud, Bari 1992, soprattutto 33-81).
11
ULPIANO, Digesto 28,2,6: «Ulpianus libro tertio ad Sabinum. Sed est quaesitum, an is, qui gene-
rare facile nonpossit, postumum heredem facerepossit [...]. Hermaphroditus piane, si in eo virilia prae-
valebunt, postumum heredem instituere poterit». Analogo problema per la testimonianza, da cui erano
di regola escluse le donne, in PAOLO, Digesto 22,5,15: «Hermaphroditus an ad testamentum adhiberi
possit, qualitas sexus incalescentis ostendit».
12
S. AMATO, Sessualità e corporeità. I limiti dell'identificazione giuridica, Milano 1985,157.
320 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

non è stata mai messa in dubbio la doverosità di una scelta in senso maschile
e femminile di un soggetto e, non appena i progressi della medicina lo hanno
permesso, si è cercato di intervenire a livello fisico per conformare il più pos-
sibile l'aspetto corporeo del soggetto alla sua appartenenza.
Ai nostri giorni il problema è stato posto in termini nuovi. La crisi del
sistema binario dei sessi, maschio-femmina, e il riconoscimento di personalità
sessuali anomale dal punto di vista dell'identità psichica (transessuali e trans-
gender) e dal punto di vista dell'orientamento (omosessuali) hanno portato
alcuni a rivendicare il diritto dell'esistenza di soggetti intersessuali, non attri-
buiti a nessuno dei due sessi previsti: un vero e proprio «terzo sesso».13 Questa
posizione contiene una verità: un soggetto con un disturbo dello sviluppo ses-
suale, anche se neonato, non può essere sottoposto a interventi demolitivi e
ricostruttivi in dipendenza da una scelta dei medici e dei genitori, senza tener
conto della sua realtà e determinando in modo irreversibile il suo destino ses-
suale. D'altra parte essere riconosciuti in modo univoco come maschi o come
femmine ed essere allevati come tali rappresenta un diritto del bambino che,
se allevato in una situazione di ambiguità, potrà averne gravi ripercussioni sul
suo equilibrio psichico. Non è solo un'esigenza di normalizzazione sociale a
spingere all'assegnazione certa a uno dei due sessi e a intervenire per adegua-
re a standard di normalità il sesso corporeo sviluppato in modo anomalo. Il
benessere della persona chiede questa assegnazione precoce e univoca e, a suo
tempo, gli interventi necessari per correggere e meglio definire quello che la
natura ha imperfettamente prodotto. Anche in questo ambito vediamo ope-
ranti gli effetti ideologici di quella teoria del genere di cui più volte abbiamo
parlato lungo il nostro percorso.

3. IL SESSO DI APPARTENENZA DELL'INTERSESSO

Stabilire il sesso di appartenenza di persona la cui sessualità fisica sia dub-


bia e incerta è la questione da affrontarsi prima di ogni altra. Secondo le vedu-
te antropologiche comunemente accettate dalla tradizione antica e condivise
con quelle presupposte dalla giurisprudenza classica, il sesso è una realtà fon-
damentalmente corporea ordinata e finalizzata alla procreazione. Se il sesso è

13
A. FAUSTO-STERLING, «The five sexes: why male and female are not enough», in Sciences
33(1998), 20; S.J. KESSLER, Lessons from the intersexed, New Brunswick 1998.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 321

una caratteristica della dimensione corporea della persona umana, ne segue che
qualunque criterio per determinare il sesso di appartenenza di un soggetto
dovrà fondarsi sui dati somatici. In caso di compresenza di caratteri dell'uno e
dell'altro sesso si attribuiva il soggetto al sesso che sembrava prevalente. Nel
caso di assoluta ambiguità si ricorreva all'autoidentificazione nell'idea che nes-
suno possa comprendere se stesso meglio del soggetto interessato. Similmente,
nel caso di ermafroditi perfetti, cioè di soggetti che - secondo le convinzioni
degli antichi - possiedono due sessi perfetti e funzionanti, si concedeva di sce-
gliere in quale sesso volessero vivere e in questo potevano anche sposarsi.
Nel corso del XVI secolo, la nascita della scienza biologica e il crescente
rilievo attribuito in sede canonistica alla perizia medica portarono a una stan-
dardizzazione dei parametri utili per l'identificazione del sesso nei casi dubbi
e a stabilire con cura gli elementi essenziali e quelli secondari che permettes-
sero di distinguere i due sessi. Si affermarono criteri di identificazione sessua-
le sempre più legati alla specificità anatomofisiologica del maschio e della fem-
mina: per il sesso maschile divenne criterio discriminante, anche se con note-
voli discussioni, la presenza o meno dei testicoli, mentre per il sesso femmini-
le si ritenne probante il riscontro dei flussi mestruali o, secondo altri, la pre-
senza della vagina o, per quanto fosse possibile verificarla con i metodi di allo-
ra, dell'utero. 14
Dalla seconda metà del XIX secolo, le scoperte fisiologiche sul ruolo
svolto dalle gonadi nella definizione dei caratteri sessuali, la precisa individua-
zione delle peculiari funzioni gametogenetiche delle gonadi maschili e femmi-
nili e l'approfondimento della loro struttura microscopica, il miglioramento
delle tecniche di indagine clinica condussero a riconoscere nelle gonadi
maschili o femminili l'elemento determinante del sesso vero della persona. In
questo momento la classificazione delle ambiguità genitali si irrigidì in tipolo-
gie molto definite basate esclusivamente su caratteri anatomofisiologici, esclu-
dendo ogni componente psichica. Perciò lo pseudoermafrodita, possedendo
gonadi di un solo sesso, può essere attribuito senza discussioni a questo senza
che la compresenza di elementi discordanti possa interferire con la decisione;
soltanto nei rarissimi casi di ermafroditi veri (con tessuti gonadici dei due
sessi) si può parlare di sesso davvero incerto e quindi si deve cercare quale
sesso sia prevalente sull'altro.15 La medicina ottocentesca riusciva così a

14
II ruolo delle ovaie come agenti di femminilizzazione non era stato intuito e tanto meno la
loro funzione ovulogenetica, e, in ogni caso, esse restavano fuori delle possibilità investigative della
medicina del tempo: questo spiega perché si ricorresse ad altri indici di femminilità.
15
A. LANZA, «De requisita sexus virilis certa determinatione et distinctione ad ordines», in
Apollinaris 19(1946), 59: «Il carattere essenziale del sesso deve essere riposto nella natura delle gona-
322 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

rimuovere il disagio derivante dall'ambiguità sessuale e ad assegnare ogni sog-


getto eon certezza a uno dei due sessi previsti dalle strutture sociali.16
Negli anni '50, infine, quando fu possibile studiare l'assetto genetico dei
soggetti, fu introdotto il criterio del sesso genetico, con il quale alcuni hanno
preteso di poter meglio individuare il sesso vero di un soggetto.17 È indubita-
bile che questo criterio ha un suo valore: nei soggetti normali, ciascun sesso è
caratterizzato da un ben determinato assetto cromosomico, per cui il sesso di
un individuo è indicato univocamente dalla sua costituzione genetica. Ci si
chiede, però, se un criterio valido e operativo per i normali possa essere impie-
gato con altrettanta tranquillità in situazioni così intricate come quelle pre-
sentate dall'intersessualità, ma soprattutto ci si chiede ancora una volta se si
possa assumere a indice unico della dimensione sessuale della persona un ele-
mento somatico, benché così essenziale e caratterizzante.
Dopo quanto siamo venuti a conoscere in tutto il nostro percorso sulla
complessa fenomenologia della sessualità umana e sul concorrere di moltepli-
ci fattori nel costituire il sesso di una persona, possiamo prevedere che la rispo-
sta alla nostra domanda, se vorrà aderire alla verità, dovrà essere il più possi-
bile articolata. La concezione attuale della sessualità come realtà strutturante
della persona nella sua unitotalità psicosomatica, modalità di esistere, di entra-
re in relazione, di essere nel mondo, impedisce di ricorrere a un criterio esclu-
sivamente fisico-biologico, così come ci impedisce di prescindere dalle dimen-
sioni corporee del sesso a favore di quelle psichiche.
Il sesso di una persona deriva dal concorrere di molteplici fattori fisici e
psichici che, nel caso della sessualità normale, sono fra loro armonizzati e lo
scopo della terapia è quello di permettere al soggetto di conseguire la mag-
giore armonia possibile a partire da una situazione dissonante. Per individua-
re verso quale sesso sia bene orientare le scelte terapeutiche bisognerà tenere
presenti sia gli indici somatici, sia gli indici psichici. Fra gli indici somatici il pri-
mato deve essere dato al sesso fenotipico e a quello gonadico, pur non facen-
do di nessuno di essi un parametro assoluto. Il sesso fenotipico, cardine della
classica inspectio corporis, ha un grande valore: l'aspetto dei genitali determi-
na la registrazione anagrafica di un soggetto come maschio o come femmina e

di, così che maschio è chi ha i testicoli, femmina chi ha le ovaie ed ermafrodito chi ha entrambe le gona-
di» (trad, nostra).
16
Su questo punto, cf. A. DREGER, Hermaphrodites and the medical invention of sex, Cambrid-
ge 1998.
17
Cf. G. DE NINNO, «Cambiamento di sesso», in Cento problemi di coscienza, Assisi 3 1960,225:
«Mi sembra chiaro che, nella scelta del sesso da attribuire, debba prevalere la sessualità genetica, cioè
quella legata alle caratteristiche del patrimonio cromosomico, attualmente ben determinabile con
ricerche istologiche perché primitivamente voluta dalla natura e, normalmente, prima sostanziale base
del successivo sviluppo».
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 323

indirizza così verso uno dei due sessi l'educazione del bambino; ma non solo, è
a partire dalla scoperta del proprio corpo sessualmente definito che il bimbo
elabora lentamente un'immagine del sé, che sarà alla base di ogni futura autoi-
dentificazione sessuale; infine il sesso fenotipico è in se stesso presupposto
indispensabile per permettere una vita sessuale soddisfacente, essendo legata
al sesso fenotipico la possibilità dell'attività copulatoria. Il sesso gonadico ha
un grande valore per quello che riguarda gli imprinting cerebrali, sia di tipo
neuroendocrino (circuiti ipotalamo-ipofisari) sia di tipo psichico (influsso sul-
l'identità di genere), l'elaborazione ormonale tipica di ciascun sesso e la fecon-
dità, una dimensione non secondaria della sessualità umana.
Fra gli indici psichici, grande attenzione deve essere data all' identità di
genere e al ruolo di genere attuali o prevedibili, perché sarebbe contrario alla
verità integrale e al bene autentico della persona orientare la scelta e quindi la
terapia verso un sesso biologicamente prevalente, ma irreparabilmente discor-
de con lo psichismo del soggetto. Dato che le decisioni medico-chirurgiche
riguardano per lo più neonati o bimbi molto piccoli in cui l'identità di genere
ancora non è definita, sarà necessario tener conto di quale potrà essere l'iden-
tità di genere del soggetto, tenendo conto sia della pressione educativa e
ambientale, sia dell'influsso degli steroidi sessuali sul cervello fetale in ordine
all'identità di genere.

4- IL TRATTAMENTO DEI DISORDINI


DELLO SVILUPPO SESSUALE

Nei casi di disordine dello sviluppo sessuale spesso è necessario ricorre-


re all'aiuto della medicina e della chirurgia per armonizzare tutte le compo-
nenti della sessualità secondo quella che si ritiene essere la verità sessuale, il
progetto di verità della persona. La meta della terapia non può essere soltan-
to sanare un corpo, ma piuttosto aiutare la persona a conseguire il migliore
stato possibile di benessere psicofisico, realizzando se stessa e le sue potenzia-
lità nella piena autenticità e nel rispetto della propria dignità.18

18
Si veda uno studio molto equilibrato: M.L. DI PIETRO, «Aspetti clinici, bioetici e medico-lega-
li della gestione delle ambiguità sessuali», in Medicina e morale (2000)50, 51-83; cf. A. DREGER (ed.),
Intersex in the age of ethics, Hagerstown 1999; S.E. SYTSMA (ed.), Ethics and intersex, New York 2006
(International library of ethics, law and the new medicine, XXIX).
324 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

L'intervento terapeutico in queste circostanze non è solo ammissibile,


ma è doveroso quando rappresenta l'unica via ragionevole e praticabile per
giungere o almeno avvicinarsi alla naturale armonia psicofisica della persona
e così, meglio definendone le caratteristiche sessuali, soddisfare il fondamen-
tale bisogno di identità e di relazione sessuale proprio di ciascuno.
Nella pratica clinica possono darsi fondamentalmente due situazioni che
richiedono atteggiamenti e scelte differenziati, a seconda cioè che la diagnosi
sia posta - come accade nella stragrande maggioranza dei casi - alla nascita o
nei primissimi anni di vita o che sia posta in un soggetto adulto, di solito nel
corso di esami per verificare le cause di una sterilità o di un ritardo di matura-
zione.

4.1. Diagnosi precoce


In alcuni casi la diagnosi precoce può permettere di instaurare una tera-
pia medica risolutiva. È il caso dell'iperplasia surrenale congenita, malattia
genetica, che può essere sospettata quando in una famiglia ci sono stati casi
precedenti e che, comunque, può essere riconosciuta facilmente alla nascita
con un esame del sangue del neonato compiuto di routine. La somministrazio-
ne di cortisone in genere dà buoni risultati e solo nei casi più gravi è necessa-
rio ricorrere a interventi chirurgici per eliminare l'ipertrofia clitoridea o altri
aspetti troppo marcatamente virilizzati dei genitali esterni.
In altri quadri patologici, il difetto nello sviluppo sessuale richiede una
correzione chirurgica e questo talvolta può creare situazioni molto dilemmati-
che perché si prendono decisioni terapeutiche a nome dell'interessato, senza
avere possibilità di ascoltare il suo parere e senza poter sapere con certezza
quale sarà l'evoluzione della sua identità di genere.
Dagli anni '60, per oltre trent'anni, ha dominato la teoria di Money
secondo la quale l'identità di genere è frutto di educazione e apprendimento,
indipendentemente dal sesso genetico e gonadico. Di conseguenza, i chirurghi
si sentivano autorizzati ad applicare il criterio della praticabilità, cioè a rico-
struire i genitali ambigui secondo quanto era più agevole tecnicamente, nella
persuasione che sarebbe bastato educare il bambino secondo il sesso fenotipi-
co così definito. In pratica, nel caso di evidente ambiguità genitale alla nascita,
si assegnava il neonato al sesso femminile e lo si allevava in senso femminile
in vista della riparazione plastica che, più avanti, doveva essere eseguita. Infat-
ti, la ricostruzione di un pene funzionante, se la natura non ha altro da offrire
che un micropene ipospadico, è molto difficile, mentre la creazione di una vagi-
na a fondo cieco e l'amputazione del fallo ambiguo sono invece più agevoli.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 325

Purtroppo, i successi che Money portava come prove della validità delle
sue teorie, a un'analisi più attenta e prolungata si sono rivelati non sempre
rispondenti a verità. Clamoroso è il caso dei due gemelli di sesso maschile in
cui uno dei due, chiamato John, aveva subito a 18 mesi un incidente operato-
rio per cui era rimasto privo del pene. Si decise perciò di allevarlo come bam-
bina e di procedere a una progressiva femminilizzazione chirurgica e ormo-
nale. Money aveva fatto credere che tutto fosse andato secondo le sue teorie,
ma più tardi si è scoperto che la bimba, nota come Joan (in effetti Brenda),
aveva sempre mostrato disagio per il sesso attribuitole e alla pubertà aveva
manifestato il disagio per il sesso di assegnazione. Quando, all'età di 13 anni,
riuscì a scoprire la verità, decise di eliminare i segni della femminilizzazione
forzata e decise di riassumere il ruolo di genere maschile che gli era stato
negato. Preso il nome di David, sottopose il suo corpo ormai devastato a mol-
teplici interventi ricostruttivi, e si sposò più tardi con una donna che aveva tre
figli frutto di un precedente matrimonio. 19 Il suo equilibrio psichico era, però,
ormai irrimediabilmente ferito e nel maggio del 2004, all'età di 38 anni, David
Reimer si è suicidato.
Dalla fine degli anni '80, si sono moltiplicate le osservazioni di come un
patrimonio genetico maschile o femminile e, soprattutto, l'esposizione prena-
tale agli ormoni sessuali contribuiscano a orientare il futuro sviluppo psicoses-
suale del bambino. In particolare l'esposizione prenatale agli androgeni gona-
dici (testosterone) dà una sorta di spinta verso un'identificazione maschile,
mentre gli androgeni surrenalici, più deboli, sembrano esercitare un influsso
più sullo stile e il comportamento che non sull'identità. Si è visto, per esempio,
che, quale che sia l'entità della virilizzazione dei genitali esterni nel caso di
iperplasia surrenale congenita, le ragazze si identificano di solito come femmi-
ne. Al contrario, in soggetti maschi con genitali poco virilizzati o molto ambi-
gui, l'imprinting prenatale del testosterone sul sistema nervoso centrale dispo-
ne all'identificazione in senso maschile. In altri casi, come nell'agenesia penie-
na, i dati disponibili in letteratura mostrano che i pazienti, diventati adulti,
hanno mostrato soddisfazione sia nel gruppo assegnato al sesso maschile, sia in
quello assegnato al sesso femminile.
Oggi sappiamo che la pressione esercitata dall'educazione orientata in
un certo senso, maschile o femminile, deve comporsi con l'influsso che deriva
dall'esposizione prenatale agli ormoni sessuali e che, pertanto, non si può spe-
rare di plasmare a volontà l'identità di genere. È stata invocata da più parti una
moratoria sugli interventi di riassegnazione e correzione chirurgica del sesso

19
Cf. J. COLAPINTO, As nature made him. The boy who was raised as a girl, New York 2000.
326 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

ispirati alla filosofia dell'induzione educativa dell'identità di genere e sul cri-


terio di privilegiare ciò che è più agevole chirurgicamente.20 Il dibattito è acce-
so e causa situazioni estremamente conflittuali che disorientano, fra l'altro, i
genitori dei bambini che sono chiamati a prendere decisioni sulla base di infor-
mazioni scientifiche contrastanti. Queste impostazioni revisioniste hanno por-
tato, nel 1997, alla pubblicazione, da parte di Diamond e Sigmundson, di nuove
linee guida per il trattamento delle intersessualità:21 esse cercano di armoniz-
zare l'identità sessuale prevedibile con la possibilità di una vita sessuale adul-
ta e il mantenimento, per quanto possibile, della fertilità o, se questo non è tec-
nicamente possibile, cercano almeno di orientare le scelte terapeutiche ed edu-
cative nel senso dell'identità sessuale prevedibile, sempre tenendo conto del-
l'influsso degli androgeni nella sessualizzazione cerebrale, soprattutto nei
maschi. Orientamenti equilibrati e prudenti si ritrovano anche nell'autorevole
Consensus statement del 2006 sottoscritto dalle società pediatriche europee e
nordamericane. 22
Se ci troviamo di fronte a una neonata di cariotipo 46,XX, qualunque sia
l'apparenza fenotipica, conviene allevarla in senso femminile, correggere even-
tuali disordini metabolici (spesso si tratta di deficit dell'enzima 21 idrossilasi)
e procedere a suo tempo, se necessario, a una migliore definizione fenotipica
in senso femminile. È controverso l'effetto dell'esposizione prenatale dell'en-
cefalo agli androgeni in eccesso, ma sembra che, indipendentemente dal grado
di virilizzazione dei genitali, ci sia soltanto un piccolo aumento di rischio di svi-
luppare un'identità di genere atipica e che l'influsso sia piuttosto sui compor-
tamenti relativi al genere (giochi, scelta degli amici, sport...). 23 1 casi di mag-
giore virilizzazione richiederanno, comunque, particolare attenzione a livello
educativo.
Se ci troviamo di fronte a un neonato di cariotipo XY (maschile) con
almeno un testicolo e micropene o pene quasi assente, si prevede un alleva-

20
Cf. K. KIPNIS - M. DIAMOND, «Pediatrie ethics and the surgical assignment of sex», in The
journal of clinical ethics 9(1998)4,398-410.
21
M. DIAMOND - H.K. SIGMUNDSON, «Management of intersexuality. Guidelines for dealing
with persons with ambiguous genitalia», in Archives of pediatrics and adolescent medicine (1997)151,
1046-1050; cf. A.H. BALEN (ed.), Paediatric and adolescent gynaecology: a multidisciplinary approach,
Cambridge (UK) 2004. Molto interessanti le linee guida prodotte nel 2006 dalla Intersex Society del
Nord America (ISMA): Clinical guidelines for the management of disorders fo sex development in
childhood. Scaricabili presso: http://www.dsdguidelines.org/ (accesso 10-8-2009).
22
«Consensus statement on management of intersex disorders», in Pediatrics (2006)118, 488-
500.
23
S.A. BERENBAUM - J.M. BAILEY, «Effects on gender identity of prenatal androgens and geni-
tal appearance: evidence from girls with congenital adrenal hyperplasia», in The journal of clinical
endocrinology and metabolism (2003)88,1102-1106. Era stato osservato in precedenza che l'identità di
genere di questi soggetti era più influenzata dall'aspetto dei genitali esterni che non dal grado di
androgenizzazione: R. MULAIKAL et al., «Fertility rates in female patients with congenital adrenal
hyperplasia due to 21-hydroxylase deficiency», in New England Journal of Medicine (1987)316,182.
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 327

mento in senso maschile e ricostruzione del pene entro i primi anni di vita.
Nella letteratura medica si riportano pari percentuali di successo, quanto all'i-
dentificazione di genere, anche nei soggetti castrati precocemente e femmini-
lizzati chirurgicamente, ma la scelta in senso femminile priva il soggetto delle
sue potenzialità procreative e, invece che correggere un difetto, crea una situa-
zione ancora più dissonante tra le diverse componenti della sessualità psico-
fisica.
Se ci troviamo di fronte a un neonato di cariotipo XY, ma con insensibi-
lità totale agli androgeni ovvero con deficit nella sintesi del testosterone, è più
saggio orientare l'allevamento in senso femminile, correggere il fenotipo in
senso femminile ed eventualmente asportare i testicoli per il rischio di cance-
rizzazione. Nel caso di una resistenza totale agli androgeni, infatti, la persona
possiede testicoli, ma l'aspetto del corpo è francamente femminile e l'identità
di genere, sia per la mancanza di sessualizzazione cerebrale in senso maschile,
sia per l'allevamento congruente con il fenotipo, si svilupperà di regola in
senso femminile.
Una volta stabilito il sesso del soggetto, si programmeranno gli interven-
ti medico-chirurgici più adeguati, che devono avere come obiettivo non solo di
modificare la struttura del corpo quanto piuttosto di aiutare la persona a rea-
lizzare nel miglior modo possibile se stessa e le proprie potenzialità. Tali inter-
venti, come si diceva, non solo sono leciti ma addirittura doverosi e la dovero-
sità degli interventi ha portato qualcuno a sostenere che non sia necessario
chiedere né al paziente né ai genitori, in caso di minori, il consenso a procede-
re. È accaduto così che in alcuni casi siano stati effettuati interventi correttivi
senza previo consenso e che gli stessi abbiano denunciato i medici e i genitori
che avevano permesso manovre mutilanti senza il loro consenso. Non si può,
dunque, fare a meno del coinvolgimento dei genitori nelle scelte terapeutiche
perché - in quanto genitori - non solo sono interpreti del miglior interesse del
figlio o della figlia, ma sono anche i primi protagonisti della sua educazione.
In alcuni casi più difficili può non essere agevole prendere una decisione
immediata. Non è sempre facile spiegare la situazione ai genitori e, soprattut-
to, giustificare loro un eventuale ritardo nella definizione chirurgica del sesso
fisico, ma la definizione chirurgica non può essere dettata dalla fretta nella ret-
tificazione del sesso, né si deve far scomparire il bambino dietro la sua ano-
malia. Bisognerà assegnare quanto prima il bimbo a un sesso definito, tenen-
do conto della patogenesi dell'anomalia e della possibile esposizione cerebra-
le agli steroidi sessuali, rimandando una migliore definizione fenotipica all'e-
mergere dell'autoidentificazione di genere. Nel rispetto del best interest dei
bambini bisogna, pertanto, evitare di praticare interventi precoci di tipo demo-
litivo e ricostruttivo.
328 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Le linee guida da noi indicate tendono ad attribuire il neonato a un sesso


congruente con il sesso gonadico e genetico, e gli eventuali interventi medico-
chirurgici hanno lo scopo di definire meglio le diverse componenti della ses-
sualità e, quindi, di definire meglio il soggetto dal punto di vista sessuale. Se
non ci sono altri impedimenti (ad esempio, l'impotenza) il soggetto interses-
suale opportunamente trattato può essere un partner adeguato in una relazio-
ne eterosessuale e sposarsi. Quando, però, siamo in presenza di una discor-
danza insanabile tra sesso fenotipico e sesso genetico e gonadico, come nel
caso di una resistenza totale agli androgeni (sindrome di Morris), la dottrina
etico-canonistica più seguita ritiene non sufficientemente definita la sessualità
femminile in tutte le sue dimensioni e ne conclude la non ammissibilità alle
nozze del soggetto, in quanto incapace di costituirsi come partner pienamente
complementare in una relazione eterosessuale.

4-2, Diagnosi tardiva


La diagnosi tardiva, visti i mezzi a nostra disposizione e l'esperienza accu-
mulata dai pediatri, è sempre più rara, ma trattiamo il tema perché casi di que-
sto genere potrebbero ancora verificarsi. Nel caso di una diagnosi tardiva, come
potrebbe essere per un soggetto con difetto di 21 idrossilasi e fenotipo viriliz-
zato in grado estremo o per una sindrome di Morris da resistenza totale agli
androgeni che non di rado viene individuata solo nella pubertà, la situazione è
molto meno agevole. Il soggetto, infatti, di solito ha già sviluppato un'identità di
genere congruente con il sesso fenotipico che è opposto a quello genetico e
gonadico, e non manifesta il desiderio di correzione del sesso, ma spesso chiede
una migliore definizione del fenotipo. Informare il paziente della situazione
potrebbe essere destabilizzante per il suo equilibrio psichico e deve essere fatto
con molta cautela. Sarebbe, comunque, lesivo per il bene della persona tentare
un approccio che non tenesse conto della sua autocoscienza la quale, a diffe-
renza del transessualismo, è normalmente congruente con il fenotipo e con l'in-
flusso degli ormoni sessuali sul cervello del soggetto, soprattutto il mancato
imprinting in senso virile nel caso della resistenza totale agli androgeni.
In alcuni casi potrebbero essere necessari interventi demolitivi di ele-
menti dissonanti con l'insieme sessuale della persona. L'armonia psicofisica
della persona è un bene naturale basilare ed è seriamente impedita dalla pre-
senza di fattori della sessualità fra loro contrastanti. La compresenza di ele-
menti sessuali discordi (ad esempio, la discordanza tra fenotipo e gonadi) non
è conforme al progetto armonico di uomo o di donna quale prevede la natura
per ogni essere umano, ed è lecito rimuovere ciò che impedisce la realizzazio-
CAP. 4 - I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE 329

ne, almeno parziale, di questa armonia. Se, in base ai criteri precedentemente


indicati, si giunge a stabilire che il sesso cui attribuire un intersesso sia diverso
dal sesso gonadico, ma conforme a quello fenotipico, l'armonia complessiva
dell'organismo (il tutto) richiederà il sacrificio delle gonadi (la parte). Si ha in
questo modo un miglioramento non solo soggettivo, ma anche oggettivo della
situazione del paziente.
Tipico è, a questo proposito, il caso della completa resistenza agli andro-
geni in cui c'è stata, di regola, l'attribuzione al sesso femminile. L'equilibrio
della persona, oltre al rischio di cancerizzazione, autorizza senza dubbio ad
asportare le gonadi maschili che rappresentano, nel contesto del soggetto, un
elemento estraneo. Occorrerà grandissima cautela nell'informare il soggetto
della sua situazione clinica e non si dovrà mettere in questione l'appartenenza
al sesso femminile perché questo causerebbe con ogni probabilità un trauma
psichico grave e difficilmente sostenibile.
5
I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE

Uno dei grandi capitoli delle anomalie sessuali è quello dei disturbi del-
l'identità di genere nel contesto dei quali il disturbo più caratteristico è costi-
tuito dal transessualismo. Si tratta di un quadro psicopatologico complesso che
causa alla persona molta sofferenza e che presenta aspetti delicati sia dal
punto di vista biomedico sia da quello etico. In questo capitolo studieremo i
principali aspetti clinici del transessualismo ed esamineremo i problemi etici
connessi con la terapia di questa singolare condizione, nonché i suoi riflessi in
campo canonico, con particolare riferimento all'ambito matrimoniale e all'or-
dine sacro.

1• DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE

La sessualità umana, colta nella sua globalità, deriva dall'articolarsi di


caratteri istologici, anatomici, fisiologici, ma anche psichici e comportamentali
in stretta interdipendenza fra di loro, che si realizzano attraverso un processo
graduale e che vengono a costituire quelle peculiari modalità di esistenza che
noi indichiamo come mascolinità e femminilità. La coscienza di appartenere
all'una o all'altra modalità di esistenza umana costituisce un fattore fonda-
mentale della nostra identità personale e, quindi, del nostro equilibrio e benes-
sere psichico in generale. Ricordiamo che, molto prima dell'orientamento ses-
suale, che si riferisce all'oggetto del desiderio erotico, nella prima infanzia si
definiscono in ciascuno di noi Videntità di genere, cioè l'autopercezione di se
stessi come maschi o come femmine, e il ruolo di genere, cioè tutto quello che
una persona fa o dice per indicare a se stessa o agli altri la sua appartenenza a
un sesso che, in età matura, include sessualità nel senso erotico.
332 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Conosciamo ormai il dibattito sulla formazione dell'identità di genere e


possiamo qui ricordare come interagiscano due componenti fondamentali:
Pambiente educativo e le strutture biologiche (a vari livelli, dal programma
genetico al sistema nervoso centrale con la sessualizzazione data dagli ormoni
sessuali sino al fenotipo presentato dal corpo). Questi due fattori si incrociano,
alla fine, nel corpo attraverso l'autorappresentazione di noi stessi come maschi
o come femmine o come ambigui. Dall'aspetto del corpo sessuato dipendono
anche il nostro essere accolti sin dalla nascita come maschio o come femmina
e il nostro essere cresciuti ed educati secondo gli stereotipi sessuali previsti in
una certa cultura.
Esiste un insieme di situazioni cliniche nelle quali si hanno alterazioni
della sfera psichica a carico dell'identità di genere, raggruppate sotto il nome
di disordini dell'identità di genere (gender identity disorders). La componente
affettiva dei disordini dell'identità di genere viene comunemente indicata
come disforia di genere: essa può presentarsi come semplice disagio o insoddi-
sfazione per il proprio sesso biologico accompagnata o meno dal desiderio di
avere un corpo del sesso opposto e/o essere considerati come membri del sesso
opposto.
La sistemazione dei disturbi dell'identità di genere è tormentata. L'entità
nosografica più rappresentativa, la sindrome transessuale, è stata individuata
nel 1949 da D.O. Cauldwel ed estesamente studiata da H. Benjamin, R. Green,
J. Money nei primi anni '60.1 Nel 1980 la terza edizione del Diagnostic and sta-
tistical manual of mental disorders dell'American Psychiatric Association
(DSM III) includeva i disordini dell'identità di genere nella categoria dei
disordini psicosessuali insieme alle parafilie e alle disfunzioni sessuali, e distin-
gueva due quadri: transessualismo e disordine dell'identità di genere dell'in-
fanzia. Il DSM IIIr (revised, cioè «rivisto») del 1987 aggiungeva un nuovo qua-
dro, il disordine dell'identità di genere dell'adolescente e dell'adulto di tipo
non transessuale. Per uniformare i criteri diagnostici dell'infanzia e dell'adulto
il DSM IV nel 1994 ha eliminato il termine transessualismo e, nell'ambito dei
disordini dell'identità di genere, distingue: il disturbo nel bambino, il disturbo
nell'adolescente o nell'adulto e i disordini dell'identità di genere non altri-
menti specificati, gruppo eterogeneo comprendente i casi non tipici.2 La revi-
sione del 2000, DSM TVtr (dove tr sta per text revision), ha confermato questa

1
II termine transessualismo si trova per la prima volta in! D.O. CAULDWEL, «Psychopathia tran-
sexualis», in Sexology 16(1949), 274. Fondamentale lo studio di: H. BENJAMIN, The Transsexual Pheno-
menon, New York 1966 (trad. it. Il fenomeno transessuale, Roma 1968).
2
Tra i disordini dell'identità di genere non altrimenti specificati si può annoverare la disforia
di genere che accompagna talora gli stati intersessuali o la preoccupazione da castrazione o da ampu-
tazione del pene non accompagnata dal desiderio di acquisire i caratteri sessuali dell'altro sesso.
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 333

impostazione.3 Il termine transessualismo compare invece nella decima revi-


sione dell' International classification of diseases and related health problems
(ICD 10) della WHO del 1994 che organizza il disordine dell'identità di gene-
re in cinque categorie: transessualismo, travestitismo a doppio ruolo, disordine
dell'identità di genere del bambino, altri disordini dell'identità di genere e
disordine dell'identità di genere non specificato.
I disturbi dell'identità di genere vanno tenuti teoricamente distinti dai
disordini dello sviluppo sessuale dall'omosessualità. Nei disturbi dello svilup-
po sessuale - esaminati nel capitolo precedente - il disordine di base è prima-
riamente a carico del sesso corporeo: in essi abbiamo quindi uno sviluppo
difettoso e disarmonico della sessualità corporea, con ripercussioni incostanti
e variabili sul sesso psichico. NeìYomosessualità un soggetto, che è strutturato
in senso maschile o femminile dal punto di vista corporeo e che si autoidenti-
fica psicologicamente con il sesso corporeo, prova attrazione prevalente o
esclusiva verso persone dello stesso sesso. Nell'omosessualità il corpo non
viene vissuto in modo conflittuale: il soggetto infatti non desidera cambiare
sesso, ma avere rapporti con persone del suo sesso. Nella realtà clinica, ovvia-
mente, tutti questi aspetti possono essere variamente compresenti e concorre-
re a definire un quadro clinico concreto.4

2. L A SINDROME TRANSESSUALE

Il transessualismo è una sindrome psichiatrica caratterizzata da un per-


manente conflitto fra sesso corporeo, normalmente sviluppato dal punto di
vista cromosomico, istologico e anatomo-fisiologico, e sesso psichico a partire
dal suo fondamento che è l'identità di genere.5
Il transessuale adulto non soffre semplicemente un disagio più o meno
forte per il suo sesso, ma ha la ferma convinzione di essere una donna, nono-

3
AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, Diagnostic and statistical manual of mental disorders.
Fourth edition. Text revision, DSM YVtr, Washington D.C. 2000.
4
Per esempio, una volta stabilita la diagnosi di transessualismo si potrà specificare ulterior-
mente se il soggetto è attratto da maschi, da femmine, da entrambi o da nessuno dei due. Sarà, comun-
que, difficile dire se un transessuale geneticamente maschio che però si sente femmina nel caso si senta
attratto/a dai maschi sia omosessuale.
5
Presentazioni d'insieme del problema dal punto di vista psichiatrico: J. BALDARO VERDE - A.
GRAZIOTTIN, L'enigma dell'identità. Il transessualismo, Torino 1991; P.T. COHEN-KETTENIS - L.J. Goo-
REN, «Transsexualism: a review of etiology, diagnosis and treatment», in Journal of psychosomatic
research 4 6 ( 1 9 9 9 ) , 3 1 5 - 3 3 3 ; R . GREEN - R . BLANCHARD, « G e n d e r i d e n t i t y d i s o r d e r s » , in H . I . KAPLAN
- B.J. SADOCK (edd.), Comprehensive textbook of psychiatry, Baltimore 6 1995,1,1347-1359.
334 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

stante il corpo maschile o, più raramente, di essere uomo nonostante il corpo


femminile: il corpo viene percepito come estraneo alla propria identità. 6 La
percezione ossessiva che il proprio sesso reale (quello psichico) sia l'opposto
del sesso apparente (quello fenotipico e in genere corporeo) può spingere alla
richiesta di modificare il fenotipo per adeguarlo al sesso psichico o causare un
tale stato di disperazione da portare al suicidio o all'autocastrazione. Il senso
di disagio e anzi di avversione per il sesso anatomico e il desiderio di sbaraz-
zarsene che si prolungano nel tempo (almeno due anni), in assenza di altri
disturbi mentali (ad esempio, la schizofrenia) o patologie a carico del sesso
corporeo (ambiguità sessuali), permettono di porre la diagnosi di transessuali-
smo dell'adulto. 7
Nel travestitismo a doppio ruolo il soggetto indossa indumenti del sesso
opposto per fare esperienza dell'appartenenza temporanea al sesso opposto
senza una motivazione esplicitamente sessuale per lo scambio di abito (cross-
dressing) e senza desiderio di un cambio permanente verso il sesso opposto. Va
distinto dal travestitismo feticistico che è un disturbo della sfera psicosessuale
caratterizzato dal bisogno di indossare indumenti del sesso opposto come con-
dizione necessaria per il raggiungimento dell'orgasmo. Questi soggetti sono in
genere eterosessuali e l'impiego di vestiario femminile riveste un significato
simbolico, riconducibile al feticismo.8
Sta emergendo all'interno dell'universo transessuale il gruppo dei trans-
gender, finora accorpato ai disordini di identità non ulteriormente classificati.
Si tratta di soggetti che desiderano assumere in modo permanente un ruolo
sociale opposto al proprio sesso, ma senza il desiderio di modificare i genitali
esterni.
Il transessualismo dell'adulto è una patologia rara, anche se non ecce-
zionale. I dati disponibili, riferiti a paesi europei in cui è stato possibile l'ac-
cesso statistico alla totalità della popolazione (Regno Unito, Svezia, Portogal-
lo, Belgio, Olanda) fanno stimare la prevalenza della malattia a 1 caso ogni
30.000 maschi adulti e 1 caso ogni 100.000 femmine adulte, anche se si nota da

6
Sulla percezione del corpo nei disturbi dell'identità di genere: D. BECKER - R. MESTER,
«Further insights into transsexualism», in Psychopathology 29(1996), 1-6; J. MONEY, «Body-image syn-
dromes in sexology: phenomenology and classification», in Journal of health and social policy 6(1995)3,
59-76.
7
L'ambiguità del sesso corporeo dell'intersessualità può accompagnarsi a un disturbo anche
grave dell'identità di genere, ma gli autori tengono giustamente separate le due entità nosografiche; cf.
GREEN - BLANCHARD, Gender identity disorders, 1347.1358-1359.
8
Le distinzioni che introduciamo costituiscono quadri nosografici ben individuati, ma nella
realtà clinica possono darsi forme intermedie nell'ambito dei disturbi di natura psichica, e non è infre-
quente osservare una sorta di progressione dal feticismo al transessualismo, passando attraverso il tra-
vestitismo e l'omosessualità; cf. G. ZUANAZZI, Psicopatologia e psichiatria nelle cause matrimoniali
canoniche, Città del Vaticano 206,237.
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 335

qualche anno uno spostamento del rapporto fra i sessi verso l'l:l. 9 Se la fre-
quenza del transessualismo è questa, allora il dato fornito dal MIT (Movi-
mento italiano transessuali), secondo il quale in Italia ci sarebbero circa die-
cimila soggetti affetti da questo disturbo, deve essere ampiamente ridimen-
sionato.
Riguardo all'eziologia del transessualismo la discussione è aperta e
riflette le discussioni sull'importanza relativa dei fattori biologici o dei fattori
psico-sociali nel plasmare l'identità di genere e nell'orientare le scelte sessua-
li della persona. 10 Alcuni riconoscono nel transessualismo una prevalente base
organica: si ipotizzano o predisposizioni genetiche o alterazioni endocrine pre-
natali, forse per immunizzazione materna contro strutture fetali, che compor-
tano alterazioni nel normale sviluppo delle strutture cerebrali connesse con la
sfera sessuale.11 Altri pensano a una base sociopsicologica che causi disturbi
nel processo di formazione dell'identità sessuale nella primissima infanzia: il
maschietto si identificherebbe con la madre o la sorella, invece che col padre,
sino a desiderare di essere donna, ovvero andrebbe incontro a un processo di
fusione simbiotica con la madre per difendersi dall'angoscia di separazione.12
Non si può infine escludere un influsso, almeno indiretto, che proviene dal dif-
fuso clima di incertezza e ambiguità, tipico della cultura contemporanea, nella
definizione della mascolinità e della femminilità e nell'individuazione recipro-
ca dei ruoli maschili e femminili, con ripercussioni diverse nell'immaginario
collettivo e nell'autorappresentazione del proprio esistere sessuato nei diversi
soggetti.13
Si può ancora condividere l'affermazione della De Marinis che

qualunque disordine dei normali processi di organizzazione ed attivazione cere-


brale può avere effetti sul processo della identificazione del proprio sesso con
tutte le conseguenze che ne seguono a livello psicologico e sociale. Ciò non
toglie, d'altra parte, che effetti simili possano essere ottenuti attraverso una pres-

9
Cf. M. LANDEN - J. WALINDER - B. LUNDSTROM, «Prevalence, incidence and sex ratio of trans-
s e x u a l i s m » , in Acta psychiatrica scandinava 9 3 ( 1 9 9 6 ) , 2 2 1 - 2 2 3 ; P.J. VAN KESTEREN - L.J. GOOREN - J.A.
MEGENS, «An epidemiological and demographic study of transsexuals in the Netherlands», in Archives
of sexual behavior 25(1996), 589-600.
10
Cf. GREEN - BLANCHARD, Gender identity disorders, 1350-1352.
11
R. GREEN, «Birth order and ratio of brothers to sisters in transsexuals», in Psychological
medicine (2000)30,789-795; D.F. SWAAB, «Sexual differentiation of the human brain: relevance for gen-
der identity, transsexualism and sexual orientation», in Gynecological endocrinology 19(2004), 301-312;
J.N. ZHOU - M . A . HOFMAN - L J . GOOREN - D.F. SWAAB, « A s e x d i f f e r e n c e in t h e h u m a n b r a i n a n d its
relation to transsexuality, in Nature (1995)378,68-70.
12
Cf. E. PERSON - L. OVERSEY, «The transsexual syndrome in males», in American journal of
psycotherapy 28(1974), 4.174; R. STOLLER, Sex and gender. The transsexual experiment, New York 1975.
13
Cf. E. EULI et al., Sesso nomade. Transessualità, androginia e oscillazioni dell'identità sessua-
le, Roma 1992.
336 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

sione psicosociale, che sarebbe facilitata nell'orientamento quando dovessero


esserci dei difetti di ordine biologico che cooperano nelle stessa direzione.14

Per la profonda integrazione che esiste nell'uomo fra soma e psiche, si ha


che - qualunque sia il fattore che innesca il disturbo dell'identità di genere del
transessualismo - entro i cinque anni anche le alterazioni su base psichica si
fissano stabilmente e danno un'impronta pressoché irreversibile alle strutture
nervose. Nell'eziologia del transessualismo è quindi corretto parlare di cause
psicobiologiche interagenti.

3. QUESTIONI MORALI
NELLA TERAPIA DEL TRANSESSUALISMO

In questo paragrafo, ponendoci nella prospettiva dell'antropologia ses-


suale cristiana, esamineremo le questioni morali connesse con la terapia del
transessualismo.15 Il problema principale, sia dal punto di vista biomedico sia
da quello etico, è quello degli interventi per ottenere il cosiddetto cambiamen-
to di sesso.

3.1. Terapia del transessualismo

Per tutti i pazienti che cercano una cura o informazione, e per molti di quelli che
cercano chirurgia, la prima preoccupazione dovrebbe essere di aiutare il pazien-
te a riconciliarsi con il ruolo di genere originario o almeno ad imparare a fun-
zionare ragionevolmente bene in esso.16

14
L. DE MARINIS - A. BARBARINO - A. SERRA, «Biologia della differenziazione sessuale», in
Medicina e morale 34(1984), 165.
15
Cf. C. CAFFARRA, «Il transessualismo: aspetti etici», in Medicina e morale 35(1985), 717-723;
L. CICCONE, Etica sessuale. Persona, matrimonio, vita verginale, Milano 2004, 209-227; S. CIPRESSA, Il
fenomeno transessuale fra medicina e morale, Acireale 2001; M. COZZOLI, «Il problema etico del tran-
sessualismo», in Medicina e morale 36(1986), 806-813; M.P. FAGGIONI, «Il transessualismo. Questioni
antropologiche, etiche e canonistiche», in Antonianum (2000)75,277-310; G. PERICO, Problemi di etica
sanitaria, M i l a n o 2 1992, 391-413; E. SGRECCIA, Manuale di bioetica, Milano 2 1996, I, 529-551; R . H .
SPRINGER, «Transsexual surgery: some reflections on the moral issues involved», in E.E. SHELP (ed.),
Sexuality and medicine, 2: Ethical viewpoints in transition, Dordrecht 1987, 233-248. Fra gli interventi
più antichi: M. CAMPO, «Cambio de sexo», in Sai terrae 43(1955), 31-32.284-287; G. DE NINNO, «Cam-
biamenti di sesso», in G. Rossi (ed.), Cento problemi di coscienza, Assisi 3 1960,219-225.
16
GREEN - BLANCHARD, Gender identity disorders, 1357.
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 337

Una vera terapia del transessualismo è infatti quella che riesce a ricom-
porre l'armonia fra soma e psiche del soggetto. Se la diagnosi del disturbo del-
l'identità di genere è posta precocemente, entro i quattro-cinque anni di vita,
la psicoterapia offre buone speranze di risoluzione.17 Negli adulti la psicotera-
pia, coadiuvata eventualmente da opportuna terapia farmacologica, può
migliorare lo stato penoso e aiutare a vincere l'avversione per il proprio
corpo.
Di fronte al fallimento della psicoterapia, in molti casi l'unica soluzione
sembra essere - almeno allo stato attuale della medicina - la correzione del
fenotipo e delle forme corporee per adattarli all'identità di genere che si è evo-
luta patologicamente in senso opposto a quello normale. Impostasi all'opinio-
ne pubblica nel 1952, con il cambio di sesso di George Jorgensen in Christine
Jorgensen, la questione è di estrema attualità perché, sotto la pressione di
rumorosi movimenti per i diritti dei transessuali, molte legislazioni ammetto-
no interventi di cambiamento (o rettificazione) del sesso fenotipico, con con-
seguente correzione del sesso anagrafico.18 Di particolare rilievo, per l'auto-
revolezza dell'organismo proponente, è la Raccomandazione 1117 approvata
dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il 29 settembre 1989 in
seguito a una risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 12 settembre
dello stesso anno, con la quale si chiedeva agli stati della comunità di aggior-
nare le loro legislazioni in senso favorevole alla modifica dello stato civile dei
transessuali operati e di garantire loro il godimento di tutti i diritti e libertà
fondamentali. In Italia la materia è regolata dalla legge n. 164/1982: Norme in
materia di rettificazione di attribuzione di sesso.19
In pratica, dopo un'adeguata esplorazione psicologica e almeno due anni
di prova nel sesso desiderato (real life test), si procede alla distruzione del feno-
tipo precedente e alla ricostruzione di un nuovo fenotipo: castrazione e ampu-
tazione del pene nel maschio, seguita da costruzione di una pseudovagina; abla-

17
R. BLANCHARD - B.W. STEINER (edd.), Clinical management of gender identity disorders in
children and adults, Washington D.C. 1990; M. SUGAR, «A clinical approach to childhood gender iden-
tity disorder», in American journal of psychotherapy 49(1995), 260-281. Ricordiamo che nei bambini
sotto i cinque anni i disturbi dell'identità di genere non sono infrequenti, interessando il 4% dei bam-
bini e l'l% delle bambine.
18
Della sterminata letteratura giuridica e medico-legale, segnaliamo: M. DOGLIOTTI, «Identità
personale, mutamento di sesso e principi costituzionali», in Giurisprudenza italiana (1981), 23ss; C.
LORÉ - R MARTINI, Aspetti e problemi medico-legali del transessualismo, M i l a n o 1986; S. PATTI - M . R .
WILL, Mutamento di sesso e tutela della persona, Padova 1990.
19
Cf. A. BOMPIANI, «Le norme in materia di rettificazione dell'attribuzione di sesso e il pro-
blema del transessualismo», in Medicina e morale 22(1982), 238-281; A. FIGONE, «Il diritto all'identità
sessuale e la libera esplicazione della propria individualità. Considerazioni a margine della legge 14
aprile 1982, n. 164», in II diritto di famiglia e delle persone (1983), 338ss; A. FIORI, «Sentenza della Corte
di cassazione sulla legittimità costituzionale della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Rettificazione di attri-
buzione di sesso), in Medicina e Morale 23(1983), 287-298.
338 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

zione della ghiandola mammaria e inserzione di un fallo artificiale nella donna.20


Negli ultimi anni il miglioramento delle tecniche chirurgiche ha permesso di
conferire una discreta sensibilità negli organi genitali ricostruiti, salvando alcu-
ne terminazioni nervose originali.21 Interventi di chirurgia estetica e la sommi-
nistrazione di ormoni adatti servono poi a rimodellare volto e corpo in senso
maschile o femminile.22 Nel maschio una delicata chirurgia laringea riesce a ren-
dere più acuta e femminile una voce maschile dal timbro troppo scuro. 23 1 pro-
gressi della chirurgia fanno intravedere la possibilità di spingere la ricostruzione
delle parvenze del nuovo sesso ai confini estremi della mimesi: le tecniche micro-
chirurgiche permettono infatti di ipotizzare in tempi brevi l'applicazione anche
alla specie umana di interventi già attuati da tempo sugli animali, come trapian-
to en bloc vagino-utero-ovarico o trapianto omoplastico di testicoli o di pene,
proveniente da cadavere o da interventi speculari di correzione del fenotipo.24
Il successo della correzione chirurgica dipende da una precisa diagnosi di
transessualismo, da un'accurata selezione dei candidati e da un adeguato soste-
gno psicologico prima e dopo l'intervento. I dati sui risultati della chirurgia rico-
struttiva tradizionale si prestano a letture non univoche. In una revisione della
letteratura medica del periodo 1966-1983 fatta da S.I. Abrahamowitz, l'inter-
vento sembrava ottenere un successo pieno nel 50-85 % dei casi, a seconda dei
centri, ma si registrava almeno un 10% di completi fallimenti dovuti al ripre-
sentarsi del disagio, a insoddisfazione per il nuovo fenotipo, a difficoltà relazio-

20
J.C. GODDARD - R.M. VICKERY - T.R. TERRY, «Development of feminizing genitoplasty for
gender dysphoria», in The journal of sexual medicine 4(2007), 981-989 (revisione della chirurgia da-
uomo-a-donna); R.B. KARIM - J.J. HAGE - J.W. MULDER, «Neovaginoplasty in male transsexuals:
review of surgical techniques and recommendations regarding eligibility», in Annals of plastic surgery
37(1996), 669-675; R. MARTEN PEROLINO, «Falloplastica ricostruttiva», in Archivio italiano di urologia
e andrologia 70(1998), 247-249; J. VESELY et al., «Our standard method of reconstruction of the penis
and urethra in female to male transsexuals», in Acta chirurgica plastica 41(1999)2, 39-42.
21
G. SELVAGGI - S. MONSTREY - P. CEULEMANS et al., «Genital sensitivity after sex reassignment
surgery in transsexual patients», in Annals of plastic surgery 58(2007), 427-433.
22
V. CORMAN - J.J. LEGROS, «Le traitement hormonal des patients transsexuels
et ses conséquences métaboliques», in Annales endocrinologiques 68(2007), 258-264; W. FUTTERWEIT,
«Endocrine therapy of transsexualism and potential complications of long-term treatment», in Archi-
ves of sexual behavior 2 7 ( 1 9 9 8 ) , 2 0 9 - 2 2 6 ; A . MUELLER - F. KIESEWETTER - H . BINDER - M . W . BECK-
MANN - R. DITTRICH, «Long-term administration of testosterone undecanoate every 3 months for
testosterone supplementation in female-to-male transsexuals», in Journal of clinic endocrinology and
metabolism 92(2007), 3470-3475; K. SCHLATTERER et al., «A follow-up study for estimating the effecti-
veness of a cross-gender hormone substitution therapy on transsexual patients», in Archives of sexual
behavior 27(1998), 475-492.
23
J. ANDERSON, «Endoscopic laryngeal web formation for pitch elevation», in Journal of otori-
nolaringoiatry 36(2007), 6-12; M. GROSS, «Pitch-raising surgery in male-to-female transsexuals», in
Journal of voice 13(1999), 246-250.
24
J.J. HAGE, «Cross-sexual transplantation of human gonads in transsexuals», in Plastic and
reconstructive surgery 94(1994), 564-565; S. LEE et al., «Transplantation of reproductive organs», in
Microsurgery 16(1995), 191-198; Z.J. XIA et al., «The application of human ovaries and testes cross-sex
transplantation in sex reassignment of transsexuals», letter, in Plastic and reconstructive surgery
95(1995), 201. Sui problemi etici del trapianto di gonadi: M.P. FAGGIONI, «Il trapianto di gonadi. Storia
e attualità», in Medicina e morale 48(1998), 15-46.
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 339

nali.25 Dati più recenti registrano un netto miglioramento dei risultati, soprat-
tutto per quanto riguarda il gruppo da-femmine-a-maschi, anche se si deve anco-
ra registrare circa il 4% di pentimento dopo la chirurgia correttiva.26 Dall'espe-
rienza finora accumulata, si può quindi concludere che la correzione chirurgica
non è la panacea per i disagi di tutti i transessuali, anche se in molti casi di vero
transessualismo può determinare un miglioramento della situazione psicologica
e permettere un soddisfacente inserimento sociale nel nuovo genere.

3.2. Il primato deirautocoscienza


I movimenti a favore dei transessuali, che si difendono e vengono difesi
come minoranze emarginate, propugnano per loro una piena libertà di ricor-
rere agli interventi correttivi in nome del primato del sesso psichico rispetto al
sesso fisico, e quindi della libertà del singolo rispetto alle determinazioni del
sesso corporeo. Ma qual è il rapporto fra le dimensioni biologiche e psicologi-
che della sessualità? La sessualità umana può essere adeguatamente definita
dalla coscienza che il soggetto sviluppa di sé come essere sessuato?
Abbiamo visto nella prima parte che, per gli antichi, influenzati dal natu-
ralismo stoico e dal dualismo platonizzante, il sesso era un accidens della per-
sona, localizzato all'involucro esterno dell'uomo, una res corporis destinata
naturalmente alla procreazione: la sessualità dell'uomo non era considerata
umana in senso forte, ma piuttosto una sessualità genericamente animale pos-
seduta da un soggetto personale. Esisteva quindi, per gli antichi, una dicotomia
radicale fra valori personali e sessualità biologica. Se però è vero che anche nel-
l'uomo come negli animali operano alcuni determinismi che potremmo riferire
alla sua dimensione somatica, tuttavia esiste, anche restando sul piano sempli-
cemente biologico, una diversità enorme fra sessualità umana e sessualità ani-
male. Questa peculiarità biologica della sessualità umana è da ricercarsi nello

25
S.I. ABRAHAMOWITZ, «Psychosocial outcomes of sex reassignment surgery», in Journal of
consultant and clinical psychiatry 54(1986), 183-189; L. DI BERNARDO, «Casistiche del trattamento chi-
rurgico nei transessuali», in Medicina e morale 37(1987), 543-546; R. GREEN - D.T. FLEMING, «Trans-
sexual surgery follow-up: Status in the 1990s», in Annual review of sexual research 1(1990) 1990; K.
MIDENCE - I. HARGREAVES, «Psychosocial adjustment in male-to-female transsexuals: an overview of
the research evidence», in Journal of psychology 131(1997), 602-614.
26
M. LANDEN et al., «Factors predictive of regret in sex reassignment», in Acta psychiatrica
scandinava 97(1998), 284-289; M.E. PETERSEN - R. DICKEY, «Surgical sex reassignment: a comparative
survey of international centers», in Archives of sexual behavior 24(1995), 135-156; J. REHMAN et al.,
«The reported sex and surgery satisfactions of 28 postoperative male-to-female transsexual patients»,
in Archives of sexual behavior 28(1999), 71-89. Interessante una revisione dei dati sulla funzione ses-
suale post-operatoria: R GREEN, «Sexual functioning in post-operative transsexuals: male-to-female
and female-to-male», in International journal of impotence research 10(1998), suppl. 1, S22-S24.
340 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

svincolamento del comportamento sessuale dai determinismi connessi con l'at-


tività riproduttiva e quindi nell' autonomizzazione della funzione procreativa,
legata al mondo della natura e all'eterosessualità, rispetto a quella ludica, sim-
bolica, comunicativa, espressiva del sesso. La scoperta degli aspetti psichici,
sociali, culturali della sessualità compiuta dalle scienze umane a partire dalla
fine del XIX secolo ha condotto all'emancipazione delle dimensioni psichiche
della sessualità, polimorfe e creative, rispetto alle statiche e ripetitive determi-
nazioni del sesso corporeo e il parallelo scollamento fra le dimensioni procrea-
tive e quelle integrativo-relazionali della sessualità. L'esasperazione della con-
trapposizione fra natura e cultura e la negazione della rilevanza dell'elemento
biologico-somatico della sessualità umana hanno condotto a un rifiuto del sesso
come realtà data e rigida, a favore del genere inteso come struttura cultural-
mente condizionata, ma anche, proprio perché definita culturalmente e non
biologicamente, suscettibile di essere vissuta e plasmata secondo il sentire del
soggetto. In questa prospettiva è ovvio ritenere lecito in linea di principio un
intervento sul corpo sessuato, modificandone l'originaria connotazione maschi-
le o femminile per uniformarlo al desiderio e all'ideale del soggetto.
L'antropologia sessuale cristiana si colloca in un orizzonte ben diverso.
L'uomo, spirito incarnato, esiste in e attraverso un corpo segnato a ogni livello
dalla sessualità, per cui si può dire che la sessualità è una fondamentale moda-
lità di esistenza della persona nel mondo, nel tempo, nella relazione con l'altro.
I dati della scienza e della riflessione antropologica moderna hanno mostrato
il rapporto intimo e originario fra la sessualità e la persona nella sua interezza:
la sessualità non è una caratteristica solo somatica o psichica, ma una dimen-
sione totalizzante, che contribuisce a caratterizzare la persona a tutti i livelli.
La sessualità della persona è un fenomeno complesso, derivante dal concorso
di molti fattori fisici (sesso genetico, cromosomico, gonadico, genitale interno,
fenotipico...) e psichici (identità di genere, ruolo di genere, orientamento ses-
suale) i quali non devono essere contrapposti, ma colti nella loro armoniosa
unità. In accordo con l'antropologia cristiana dell'uomo come unitas multiplex,
possiamo affermare che la sessualità di una persona deriva dal reciproco strut-
turarsi e compenetrarsi della dimensione psichica con quella somatica, come di
due poli di una stessa realtà.
Dire perciò che la sessualità umana sia definita adeguatamente da un qual-
siasi elemento corporeo preso da solo (sia esso il genotipo, sia esso il fenotipo, il
sesso gonadico o altro) contraddice il carattere tipico della sessualità umana che
è quello di risultare definita dal concorso di dimensioni somatiche e spirituali.
Per lo stesso motivo ridurre la sessualità alla coscienza che se ne ha non tiene
conto che gli strati superiori della persona non possono prescindere da quelli
inferiori, per cui lo strato biologico deve essere considerato come il presupposto
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 341

per l'emergere e il dischiudersi della vita interiore, psichica e spirituale. Bisogna,


perciò, evitare di contrapporre in modo unilaterale i fattori fisici del sesso a quel-
li psichici, come se gli uni fossero oggettivi e gli altri soggettivi, essendo l'iden-
tità di genere, il ruolo di genere e l'orientamento sessuale di una persona dati
oggettivi empiricamente verificabili quanto il fenotipo o il genotipo.
La sessualità maschile o femminile è una modalità peculiare di struttu-
rarsi della persona definita dal convergere armonioso di fattori fisici e psichici.
E chiaro dunque che ogni intervento sulle dimensioni somatiche della
sessualità non interviene semplicemente su un elemento accidentale dell'uo-
mo, ma indirettamente tocca le radici stesse dell'esistente concreto. Se è vero,
infatti, che il corpo deve essere vissuto e interpretato da una soggettività pen-
sante, esso tuttavia non può mai essere considerato un materiale amorfo, un
oggetto biologico manipolabile a volontà, ma deve essere riconosciuto come
portatore di un progetto e di un significato che non possono essere stravolti
senza oscurare la verità e addirittura dilaniare l'integrità della persona.

33. Interventi correttivi e principio di totalità


Il realismo antropologico personalista ci porta a rifiutare ogni giustifica-
zione degli interventi di correzione del sesso fenotipico fondato su teorie ses-
suologiche e antropologiche che identificano il sesso della persona con l'iden-
tità di genere e quindi con la coscienza che si ha del proprio esistere sessuato.
C. Caffarra, imposta lucidamente il problema interrogandosi sul valore del-
Fautocoscienza nel definire l'identità sessuale integrale della persona e traen-
done le conseguenze riguardo alla liceità dell'intervento correttivo:

La domanda è se Yessenza è ciò che costituisce formalmente l'identità sessuale di


una persona e la coscienza di se stessi, oppure se in questa stessa essenza o costi-
tutivo formale entra anche la sessualità biologicamente definita. È questa la
domanda che sta alla radice di tutta la presente problematica. Se, infatti, alla
domanda posta si dovesse rispondere affermativamente, si concluderebbe neces-
sariamente che l'intervento chirurgico de quo in casu è senza dubbio alcuno leci-
to. Una tale risposta affermativa, infatti, implica alla sua base che la biologia ses-
suale non entri nella costituzione della persona umana - è metafisicamente altra
da questa - e, pertanto, su di essa la libertà dell'uomo ha un vero e proprio pote-
re di manipolazione al punto tale da distruggerne la fenotipia e ricostruirne
un'altra, se questa distruzione-ricostruzione fosse esigita dalla coscienza della
propria identità sessuale. Se, al contrario, alla domanda posta si dovesse rispon-
dere negativamente, l'intervento distruttivo-ricostruttivo sarebbe assolutamente
illecito in quanto distruttivo della stessa identità personale dell'uomo: l'unica via
342 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

eticamente percorribile sarebbe quella della terapia psichica (a questa conclu-


sione, per aliam viam, giunge oggi un sempre maggiore numero di scienziati).27

Dobbiamo però osservare che l'impossibilità di giustificare gli interventi


di correzione in base al primato dell'autocoscienza e alla pretesa di poter mani-
polare il proprio corpo, secondo i propri progetti, non esclude in modo assoluto
- almeno in alcuni casi molto circoscritti - la possibilità di giustificare l'inter-
vento con argomenti moralmente accettabili. Padre Perico per esempio afferma:

Se [gli specialisti], in chiara coscienza e prudenza, dopo i dovuti accertamenti,


sono del parere che l'unico modo per liberare il soggetto dal suo stato perma-
nente di angoscia totale che ne mina la stessa sopravvivenza risulta essere l'in-
tervento mutilatore del sesso anatomico, non riusciamo a capire come si possa
dire - come abbiamo letto recentemente - che un intervento del genere non è
assolutamente possibile.28

Lo stesso autore aggiunge riguardo alla ricostruzione chirurgica:

Se il soggetto, per vincere il suo stato di angoscia, soprattutto se in pieno accor-


do con il perito, ritiene sia necessaria questa operazione di autoinnesto, che in
qualunque misura imiti o comunque prenda le fattezze del sesso cui si sente di
appartenere, a nostro parere l'intervento è da considerarsi lecito.29

L'argomento legittimante l'intervento distruttivo e, secondariamente,


quello ricostruttivo sarebbe costituito dal principio di totalità, secondo il quale
una parte del nostro organismo, ancorché sana e importante, può essere sacri-
ficata quando lo esiga con certezza e senza alternative la salvezza di tutto il
nostro essere.30 In questo caso, la salvaguardia del benessere della totalità bio-
psichica del soggetto potrebbe legittimare l'intervento di distruzione del feno-
tipo e di castrazione, se mira a sanare la situazione di angoscia del soggetto, se
non si danno alternative egualmente valide e se c'è la competente assistenza
dello specialista.
Questa posizione è contestata con argomenti non indifferenti. A parte il
richiamo al dovere di conservare l'integrità fisica del soggetto che trova

27
CAFFARRA, Il transessualismo, 720.
28
PERICO, Problemi di etica sanitaria, 383.
29
PERICO, Problemi di etica sanitaria, 384.
30
Sul principio di totalità: L. CICCONE, Salute e malattia. Questioni di morale della vita fisica,
Milano 1986, II, 192-209; T. GOFFI, «Etica della totalità», in Rivista di teologia morale 5(1973), 347-360;
V.J. MADIRAN, Le principe de totalità, Paris 1963; D. MONGILLO, «Il principio di totalità», in Asprenas
16(1969), 106-126; M. NOLAN, «The principle of totality in moral theology», in C.E. CURRAN (ed.),
Absolutes in moral theology, Washington 1968; B. SCHÜLLER, L'uomo veramente uomo. Dimensione
teologica dell'etica nella dimensione etica dell'uomo, Palermo 1987,15-22.135-157.
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 343

appunto risposta nel principio di totalità, qualora se ne potesse dimostrare la


legittimità dell'applicazione, si obietta che la condizione mentale del transes-
suale (essenza della patologia) non muta con l'intervento correttivo e che gli
insuccessi totali o, più spesso, parziali e i pentimenti dei transessuali corretti
suscitano più di un dubbio sull'efficacia dell'intervento ai fini terapeutici.
Secondo E. Sgreccia, ad esempio, condizione di applicazione del principio di
totalità è la terapeuticità dell'intervento e dal momento che il transessuale non
ne trae vantaggi fisici (giacché c'è un processo distruttivo senza che quello che
vi viene aggiunto diventi veramente corpo vivo), né una vera risoluzione della
patologia psichica di base (com'è da tutti riconosciuto), non è possibile appel-
larsi a esso.31
Si tratta di argomenti non deboli, che ci conducono a fare almeno una
precisazione: la vera terapia della malattia è quella psichiatrica perché solo
essa può ricostruire, nella verità, l'armonia psicofisica della sessualità, per cui
tutte le volte che la via psichiatrica è percorribile con successo essa deve esse-
re assolutamente preferita, e quando in futuro fossero disponibili terapie più
efficaci e sicure (per esempio farmacologiche) per rettificare lo psichismo alte-
rato, esse dovrebbero essere praticate senza possibilità di scegliere la via del-
l'adeguamento del corpo alla psiche.
Fatta questa precisazione, riteniamo che quando la terapia psichiatrica
abbia fallito e la condizione emotiva della persona sia diventata insostenibile,
forse sino all'orlo del suicidio, allora per il bene complessivo della persona, che
è fisico, ma anche psichico, e per evitare un grave danno altrimenti inevitabile,
si può accettare la terapia correttiva. Non si tratta, come si è detto, di una tera-
pia specifica, ma di una forma di terapia palliativa che, senza risolvere né modi-
ficare sostanzialmente la malattia di base, ne attenua, coprendoli col pallium
pietoso della misericordia, i sintomi più insopportabili.32 Dire però che la situa-
zione oggettiva del malato non migliora, sembra ignorare che la riconquista di
un certo equilibrio psichico è un bene oggettivo, quanto la sedazione di un
atroce dolore fisico. Resta certamente l'impressione sgradevole e conturbante
che l'elemento determinante per orientare la scelta terapeutica sia lo psichi-
smo malato del soggetto e che, quindi, l'intervento correttivo si presenti in
realtà quasi come un'attuazione del sentimento psicotico del transessuale.
In un documento della Santa Sede riservato ai superiori religiosi si ricor-
da, fra l'altro, che il cambiamento dello stato anagrafico - nell'ambito civile -

31
SGRECCIA, Manuale di bioetica, 540-542.
32
Cf. G. Russo - T . FORZANO, «Problemi di bioetica sessuale», in G. Russo (ed.), Bioetica della
sessualità, 203: la correzione chirurgica del sesso «è da considerare più una terapia palliativa che non
può risolvere tutto il problema».
344 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

per un transessuale operato non comporta un parallelo cambiamento agli


effetti canonici, per cui non sarà lecito mutare l'attribuzione a un certo sesso
fatta nei registri parrocchiale e diocesano.33 Può essere utile annotare, a parte,
che un tribunale civile ha mutato lo stato anagrafico di quel fedele e che si è
venuta a creare una difformità fra il sesso di quel soggetto in ambito civile e in
ambito canonico. Un cambiamento del sesso originariamente indicato nei regi-
stri ecclesiastici può essere fatto quando c'è stato un errore di trascrizione o -
a nostro parere - quando è stato accertato che, per gravi ambiguità dei genita-
li, c'era stata un'errata attribuzione alla nascita.

4* TRANSESSUALISMO E MATRIMONIO CANONICO

Gravi problemi di ordine etico e canonistico pone il matrimonio delle


persone transessuali sia riguardo alla validità delle nozze celebrate da un tran-
sessuale secondo il sesso fisico, sia dell'ammissione alle nozze di transessuali
che avessero ottenuto la correzione chirurgica del fenotipo e conseguente ret-
tificazione del sesso anagrafico.34 Il problema è più frequente di quanto non si
immagini e più ancora lo diventerà, sia perché esistono casi di transessuali,
operati e non, che si erano sposati canonicamente nel sesso biologico, sia per-
ché si dà il caso di transessuali che, dopo l'intervento e la riassegnazione del
sesso anagrafico, hanno contratto matrimonio civile nel nuovo sesso e vorreb-
bero sposarsi anche con rito religioso.35
Ci si chiede, in primo luogo, se una persona transessuale dopo l'inter-
vento chirurgico sia capace di contrarre matrimonio canonico. La nostra rispo-

33
CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA, Lettera ai superiori generali e alle
superiore generali, 15-1-2003: «Circa la condizione sessuale del fedele agli effetti canonici ciò che conta
è la trascrizione fatta inizialmente nei registri parrocchiale e diocesano, per cui anche in caso di muta-
mento di sesso per mezzo di un intervento chirurgico e di conseguente cambiamento anagrafico nel-
l'ambito civile, nulla cambia rispetto alla condizione canonica iniziale». In questo senso si veda anche
la Notificazione della presidenza CEI (Conferenza episcopale italiana) nella lettera n. 72/03 del 21-1-
2003 in cui si applicano alcune indicazioni fornite dalla Congregazione per la dottrina della fede.
34
Segnaliamo prima di tutto una dissertazione dell'Università del Laterano: G. GIUSTINIANO, Il
fenomeno del transessualismo. Analisi medico-giuridica e giurisprudenza canonica, Roma 1998 (con
ampia bibliografia); cf. inoltre J.J. GRAHAM, Transexualism and nullity of marriage. Dissertano ad lau-
ream, Philadelphia 1979; U. NAVARRETE, «Transexualismus et ordo canonicus», in Periodica de re cano-
nica 86(1997), 101-124 (sul matrimonio 112-117); O. O'DONOVAN, «Transsexualism and christian mar-
riage», in Journal of religious ethics 11(1983), 135-162; M.F. POMPEDDA, «Nuove metodiche di inter-
vento sulla vita umana e diritto matrimoniale canonico. Parte prima: Modificazione del sesso», in C.
ZAGGIA (ed.), Progresso biomedico e diritto matrimoniale canonico, Padova 1992, 96-144; C.J. RITTY,
«The transsexual and marriage», in Studia canonica 15(1981), 441-459; F. ZUANAZZI, Psicologia e psi-
chiatria nelle cause matrimoniali e canoniche, Città del Vaticano 2006,235-243.
35
Non entriamo in merito al valore di una legislazione civile che, perso di vista il senso natu-
rale del matrimonio, privilegiasse la forza della decisione autonoma e la sua ratifica sino al punto di
renderla più forte della stessa realtà ontologica della persona; cf. POMPEDDA, Nuove metodiche di inter-
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 345

sta è negativa. Prima di tutto perché l'intervento chirurgico ha risolto soltanto


il disagio emotivo della persona, ma non ha eliminato il grave disturbo menta-
le di fondo la cui permanenza, benché in qualche modo occultata, vizierebbe il
consenso. Bisogna poi sottolineare che, a prescindere dal problema del con-
senso, il transessuale operato reca soltanto le parvenze del sesso desiderato,
restando la definizione della sua sessualità alquanto insufficiente, anche a livel-
lo puramente biologico. Così si esprimeva l'allora cardinal J. Ratzinger in
risposta a un quesito specifico posto dai vescovi tedeschi:

Si tratta [...] di una persona da assegnarsi secondo la biologia a un sesso, la quale


si sente psicologicamente appartenente a un altro sesso e che dopo opportuni
interventi medici presenta solo fenotipicamente quest'altro sesso. Di conse-
guenza tale persona non può essere ammessa alla celebrazione del matrimonio
sacramentale, perché ciò equivarrebbe a sposare una persona che appartiene
biologicamente al proprio sesso.36

Bisogna considerare anzitutto realisticamente - annota a tal proposito A. Caru-


so - che anche l'operazione più perfetta non realizza mai un vero e proprio
mutamento di sesso [...]. Per quante argomentazioni si possano addurre, non si
può sostenere che dal punto di vista anatomico il sesso sia mutato. 37

Nel matrimonio la naturale complementarità psicofisica del maschio e


della femmina costituisce il punto di partenza, il presupposto dell'intrecciarsi
di una particolare comunione di persone, che investono in questo singolare
consortium non solo la loro dimensione fisica, né solo quella psichica, ma la
stessa inattingibile profondità della persona. La comunione sponsale è una
comunione totalizzante, nell'anima e nel corpo, nella quale due persone deci-
dono liberamente di condividere con reciprocità le loro esistenze e diventano
così una caro, una persona coniugalis.

vento, 132: questa legislazione «aderisce a una visione formalisticamente esteriore o anzi di apparenza
superficiale della questione, la cui gravità nessuno potrebbe negare né dimenticare».
36
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, « S c h r e i b e n v o n 2 8 . M a i 1 9 9 1 z u r E h e s c h -
liessung von Transsexuellen», in De processibus matrimonialibus 2(1995), 315: «Es handelt sich [...] um
eine der Biologie zufolge dem einen Geschlecht zugehörig fühlt und nach entsprechenden medizini-
schen Eingriffen lediglich phänotypisch dieses andere Geschlecht darstellt Demgemäß kann diese Per-
son zur Feier der sakramentalen Eheschließnicht zugelassen werden, weil sie dabei eine Person heira-
ten würde, die biologisch dem eigenen Geschlecht angenhört». Sulla situazione tedesca, cf. C. WEITZE
- S. OSBURG, «Transsexualism in Germany: empirical data on epidemiology and application of the ger-
man transsexuals' Act during its first ten years», in Archives of sexual behavior 25(1996), 409-425.
37
A. CARUSO, «Il cambiamento di sesso: orientamenti giursprudenziali e dottrinali», in II dirit-
to di famiglia e delle persone 7(1978), 688-712 (citazione a p. 706). La situazione del transessuale ope-
rato non muterebbe molto, sotto questo punto di vista, se si riuscisse anche a modificare - con oppor-
tuni artifici chirurgici - il sesso genitale interno o addirittura a conferire fecondità attraverso il tra-
pianto di gonadi: si tratterebbe pur sempre di un sofisticato artificio.
346 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

La qualitas heterosexualis del matrimonio è stata sottolineata con vigore


nel Codice di diritto canonico a proposito della cosiddetta abilità dei nuben-
di,38 intendendosi per abilità la capacità sia naturale sia giuridica di contrarre
matrimonio. Il can. 1081 § 2 del Codice del '17 prescriveva: «Il consenso matri-
moniale è un atto della volontà con il quale le due parti danno e ricevono il
diritto sul corpo, perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti di per sé atti alla
generazione della prole».39
Il Codice vigente riprende la formulazione precedente, ma vi introduce
delle variazioni di rilievo, soprattutto nello specificare che le due parti sono
«vir et mulier»: «Il consenso matrimoniale è un atto della volontà con il quale
un uomo e una donna con patto irrevocabile si danno e si ricevono reciproca-
mente per costituire il matrimonio». 40
Commentando questo canone nel volume II sacramento del matrimonio,
padre J.F. Castano scrive:

Il canone che stiamo commentando [can. 1057], oltre alla maggiore precisione
del linguaggio, ha introdotto due importanti novità. La prima si riferisce alla
qualità eterosessuale del matrimonio. Dalla finalità del matrimonio, come viene
descritta nel can. 1055, § 1, appare chiaramente che il matrimonio è tra un uomo
e una donna. Lo stesso si può dire dei cann. 1061, § 1,1083,1084,1089,1093,1096,
etc. Resta però il fatto che nel can. 1081 del vecchio codice, correlativo dell'at-
tuale can. 1057, non c'era nessun riferimento diretto alla qualitas heterosexualis
del matrimonio. 41

Essendo la diversitas sexus elemento prerequisito essenziale (subiectum)


del matrimonio naturale, mi pare che il transessuale operato sia, per così dire,
troppo poco maschio o troppo poco femmina per soddisfare la qualitas hetero-
sexualis. In questo senso si esprime anche G. Piana, che è invece piuttosto
aperto a una soluzione affermativa riguardo alla liceità della correzione chi-
rurgica del sesso:

38
La mancata sottolineatura di questa condizione preliminare allo stabilirsi del vincolo matri-
moniale era così commentata in P.A. D'AVACK, Cause di nullità e di divorzio nel diritto matrimoniale
canonico, Firenze 1952,1,91: «È fin troppo evidente infatti che il matrimonio non solo non può esiste-
re, ma neppure concepirsi, se non fra persone di sesso diverso, e, appunto perché l'esistenza necessa-
ria di siffatta condizione è intuitiva, essendo insita nel concetto stesso del vincolo matrimoniale, è più
che naturale che sia i vari legislatori civili, sia il legislatore canonico non abbiano tenuto necessario
farne un particolare cenno nel dettare la disciplina giuridica dell'istituto».
39
CIC 17, can. 1081, § 2: «Consensus matrimonialis est actus voluntatis quo utraque pars tradi-
dit et acceptat ius in corpus, perpetuum et exclusivum, in ordine ad actus per se aptos ad prolis gene-
rationem».
40
CIC can. 1057, § 2: «Consensus matrimonialis est actus voluntatis, quo vir et mulier foedere
irrevocabili sese mutuo tradunt et accipiunt ad constituendum matrimonium».
41
J.F. CASTANO, Il Sacramento del matrimonio, Roma 2 1992,123.
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 347

Più complesso è il giudizio morale che si può esprimere circa la possibilità di


accesso al matrimonio del transessuale. Mentre infatti nel caso del passaggio
dalla fenotipia femminile a quella maschile, stante l'attuale legislazione canoni-
ca, sembra sussistere l'incapacità di contrarre validamente matrimonio - data
l'impossibilità della copula - nel caso del passaggio dalla fenotipia maschile a
quella femminile l'esercizio della sessualità è di per sé possibile, sul piano fisico.
Permane tuttavia il problema della non perfetta identità sessuale, essendo l'in-
tervento orientato soltanto alla ricostruzione dei genitali esterni e non verifi-
candosi la possibilità di perseguire l'atto generativo. 42

Il problema del transessuale corretto, tanto in senso maschile quanto in


senso femminile, è più radicale di quello della potenza in un certo sesso e della
stessa definizione anatomica del sesso: il problema è se un soggetto, pur cor-
retto a forza di ormoni e chirurgia, possa costituire nel patto coniugale un part-
ner adeguato, realizzando un'alterità piena e complementare. 43 Non basta una
tasca cutanea che possa accogliere un pene in erezione per costituire una
donna in tutta la densità della sua realtà ontologica e relazionale, né basta una
protesi erettile atta a penetrare per costituire un uomo, nella sua apertura
sponsale alla donna.
Discutere sulla potentia nel sesso modificato e quindi sull'attitudine alla
consumazione di una vagina o di un pene ricostruiti è pertanto inutile e ci
porta su un terreno incerto. Prima ancora della potentia in un certo sesso biso-
gna stabilire a quale sesso davvero appartenga il soggetto, esistendo una diffe-
renza essenziale fra potentia dubia e sexus dubius: la potenza dubbia non impe-
disce il matrimonio (can. 1084, § 2), mentre il sesso dubbio lo impedisce per-
ché, per legge naturale, il matrimonio richiede una sicura diversitas sexus dei
nubendi. Nel transessuale corretto la definizione del sesso, anche limitandosi
alle sue componenti fisiche, è apertamente dubbia.
Una seconda questione riguarda il giudizio da darsi sulla validità di un
matrimonio celebrato da una persona che, al momento della celebrazione, non
presentava alcun sintomo della patologia transessuale o soltanto lievi e gene-
rici segni di disturbo nell'area psicosessuale i quali, solo con uno sguardo retro-
spettivo, sono riconosciuti come indizi della patologia non ancora conclamata.
Secondo le interpretazioni scientifiche più accreditate, siano esse di orientamen-

42
G. PIANA, «Omosessualità e transessualità», in F. COMPAGNONI et al. (edd.), Nuovo dizionario
di teologia morale, Cinisello Balsamo 1990, 836.
43
Non ci sembra perciò condivisibile la conclusione di G. Giustiniano che «lo stato di interses-
sualità rende incapace per due fondamentali motivazioni: 1) perché è causa di impotenza copulativa;
2) perché non sono ammessi né i mezzi straordinari di intervento, in quanto illeciti, né la costruzione
di organi artificiali che ne possano escludere la perpetuità» (GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessua-
lismo, 135).
348 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

to organicista, siano esse di orientamento psicologico, l'origine remota di questo


disturbo dovrebbe essere situata nella prima età infantile o forse nella vita pre-
natale o addirittura in una predisposizione geneticamente condizionata. Se si
può dimostrare in sede giudiziale, per esempio attraverso la testimonianza del
soggetto stesso o di altri testi o attraverso la prova periziale, che la malattia era
già larvatamente operante, benché ancora non conclamata, al momento del con-
tratto matrimoniale, è molto probabile che il consenso fosse invalido. La realiz-
zazione dell'intervento di correzione del sesso, sotto questo punto di vista, non
rappresenta altro che una conferma della gravità della condizione transessuale e
rende più probabile l'opinione che propende per l'incapacità del soggetto.44 Nel
dubbio fondato sulla preesistenza della patologia, ovviamente, si deve stare per
la validità del matrimonio, secondo il can. 1060.
Il motivo dell'invalidità è palese e deriva dall'essenza stessa del patto
coniugale. Poiché, infatti, la condizione patologica transessuale riguarda l'i-
dentità di genere e la congruenza fra sesso corporeo e sesso psicologico, si trat-
terebbe di un consenso emesso da un soggetto che non poteva disporre libe-
ramente di ciò che prometteva mediante quel patto irrevocabile con il quale
l'uomo e la donna «si danno e si ricevono reciprocamente» (can. 1057, § 2), né
egli poteva assumersi le obbligazioni derivanti dal matrimonio stesso. Questo
vale, a fortiori, nell'improbabile ipotesi che, a malattia ormai conclamata, un
transessuale maschio volesse sposarsi con una donna e viceversa. Nel matri-
monio ognuno degli sposi impegna nel patto coniugale la totalità della sua per-
sona sessuata, nelle dimensioni fisiche, psichiche e spirituali, e ciò presuppone
un loro equilibrato concorso: una persona con segni di squilibrio grave della
sfera sessuale non dovrebbe perciò essere ammessa alla celebrazione delle
nozze.

44
Cf. NAVARRETE, Transexualismus et ordo canonicus, 117: «Persona enim quae ad hunc gra-
dum angustiae interioris pervenit absque dubio gravissima infirmitate psychica laborat, quae probabi-
lius iam tempore celebrationis matrimonii, etsi latens, erat praesens in subiecto [...] Difficilius autem
est casus in quo nulla operatio chirurgica interfuit» (corsivo nostro).
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 349

5. CORREZIONE DEL SESSO


E SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO

Prescindendo dal problema della validità del consenso emesso prima del
manifestarsi della patologia, ci si può chiedere se l'intervento di correzione del
sesso fenotipico non abbia alcuna conseguenza sul matrimonio in precedenza
validamente contratto. Il problema si è posto mutatis mutandis anche nell'ordi-
namento italiano, pervenendo a esiti che si direbbero grotteschi, se non avesse-
ro riflessi drammatici nella vita di persone già tanto provate e dei loro con-
giunti. L'art. 4 della legge italiana n. 164 del 1982 stabiliva, infatti, che la sen-
tenza giudiziale che concedeva l'intervento di correzione provocava automati-
camente lo scioglimento del matrimonio. Quando nel 1987 è stata aggiornata la
disciplina sul divorzio con la legge n. 74, il legislatore ha invece collocato la
modificazione artificiale del sesso tra le situazioni che giustificano l'intro-
duzione di una domanda di scioglimento del matrimonio. In conseguenza di
questa singolare disposizione, l'opinione più diffusa tra i commentatori è che

due coniugi, pur divenuti dello stesso sesso [anagraficamente], potrebbero con-
servare lo status coniugale; inoltre, nel caso in cui uno di essi proponga domanda
per lo scioglimento del matrimonio, il procedimento da seguire sarà quello appli-
cabile in via generale, con necessità di esperire un tentativo di conciliazione.45

Si può chiedere, però, se e in che misura l'irreversibile perdita dell'inte-


grità del sesso biologico e la mutazione radicale del fenotipo ledano l'integrità
della persona e compromettano la sussistenza della persona in quanto partner
sessuale, mettendo in discussione la permanenza del vincolo coniugale. Abbia-
mo visto che un transessuale operato, qualunque siano il suo stato psicologico
e la sua autocoscienza, non realizza un soggetto sufficientemente definito dal
punto di vista sessuale così da poter essere un partner che soddisfa la comple-
mentarità eterosessuale indispensabile per il matrimonio. Non è la possibilità
di porre la copula che qui primariamente importa, ma l'integrità dell'identità
sessuale nelle sue dimensioni fisiche e psichiche. Ora, nel transessuale operato
non è venuta meno soltanto la potentia, ma il complesso della stessa persona
del coniuge in quanto maschio o femmina: egli non esiste più come maschio o
come femmina. Per la legge civile il venir meno del sesso precedentemente
attribuito comporta il passaggio convenzionale a un nuovo sesso anagrafico.
Dal punto di vista della realtà ontologica - l'unica che davvero importa per il

45
F. ANELLI, Il matrimonio. Lezioni, Milano 1998,294.
350 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

matrimonio sacramentale - il transessuale operato non passa a un nuovo sesso,


ma non permane neppure compiutamente nel sesso di origine. Il mutamento
artificiale del sesso fisico potrebbe essere equiparato alla morte del soggetto,
come marito o come moglie, e potrebbe essere ritenuto causa di scioglimento
delle nozze, proprio come la morte di uno dei due coniugi.
Questa ipotesi si ispira a una posizione elaborata dalla tradizione cano-
nistica sui soggetti dal sesso corporeo ambiguo, ed esplicitamente dal cardinal
Giovanni de Lugo (1583-1660) nei Responsorum moralium libri sul caso di un
matrimonio in cui la moglie mutasse naturalmente il sesso, evento ritenuto non
impossibile dalla medicina del tempo.46 Egli, in polemica con le tesi di Basilio
Ponce, distingue accuratamente il venir meno della semplice potenza sessuale,
necessaria per compiere la copula, che è Vobiectum del contratto matrimonia-
le, dal venir meno del sesso, che è il presupposto o subiectum del contratto stes-
so, e ne deduce la morte del matrimonio in questione:

[Nel matrimonio] la copula viene considerata solo come oggetto che si promet-
te e il diritto al quale i coniugi si danno reciprocamente; il sesso invece viene con-
siderato non come oggetto, ma come soggetto che si dona: infatti l'uomo dona
alla moglie un uomo e la moglie dona all'uomo una moglie. Perciò, come quan-
do, morta la moglie, si scioglie il matrimonio, così, venendo meno la moglie in
quanto moglie e mutato il sesso di modo che non sia moglie, il matrimonio deve
sciogliersi ipso facto, non potendo sussistere il matrimonio se non tra marito e
moglie. Il matrimonio, infatti, non può permanere altro che fra due coniugi e non
può esser coniuge se non chi sia marito o moglie: ma non può più esser moglie
colei che non è femmina, bensì uomo. Viene allora meno, quindi, il matrimonio
per difetto del soggetto, perché non sono più marito e moglie, fra i quali soli e
nei quali deve sussistere il matrimonio. 47

L'ipotesi è seducente, ma non possiamo non rilevare la diversità fra il


caso immaginato dal grande casuista e quello degli odierni transessuali: l'auto-

46
Aveva fatto da poco scalpore, nell'anno 1601, la storia di Marie di Rouen che, mutato sesso,
voleva sposare l'amata Jeanne; cf. J. DUVAL, «L'ermafrodito di Rouen. Una storia medico-legale del
XVII secolo», a cura di V. MARCHETTI, Venezia 1988. Molti casi analoghi raccolti in: D. URSAYA, Insti-
tutiones criminales, Romae 1706, 3,5, nn. 205-216.
47
GIOVANNI DE LUGO, Responsorum moralium libri VI, Lugduni 1651,1, dub. 31, n. 8: «Copula
attenditur solum ut obiectum, quod promittitur, et ad quod coniuges dant sibi ad invicem ius; sexus
autem respicitur, non ut obiectum, sed ut subiectum: nam vir tradit uxori virum, et uxor tradit viro uxo-
rem. Quare sicut mortua uxore, dissolvitur matrimonium, sic deficiente uxore in ratione uxoris, et alte-
rato sexu ita ut iam non sit uxor, debet etiam ipso facto dissolvi, cum non possit matrimonium consi-
stere, nisi inter maritum et uxorem; neque enim potest matrimonium permanere, nisi inter duos coniu-
ges, nec potest esse coniunx, nisi qui sit maritus, vel uxor: non potest amplius esse uxor, qui iam non est
foemina, sed vir. Deficit ergo tunc matrimonium ex defectu subiecti, quia non sunt amplius maritus, et
uxor, inter quos solos, et in quibus debet persistere matrimonium».
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 351

re suppone infatti che una donna si trasformi veramente in uomo, diversamen-


te da quanto accade per il transessuale operato, che non si trasforma vera-
mente o - se si preferisce - compiutamente in uomo o in donna. La stessa sup-
posizione torna come presupposto per un'analoga opinione del prof. A. D'A-
vack sul defectus sexus seu subiecti: i progressi della chirurgia «fanno pensare
come forse sia possibile e realizzabile, se non ancora oggi, per lo meno in un
prossimo futuro e sia pure in via del tutto eccezionale, il verificarsi di effettivi
mutamenti di sesso degli individui».48 L'illustre giurista ne trae le logiche con-
seguenze per il vincolo matrimoniale e scrive:

Evidentemente, qualora un'ipotesi siffatta dovesse in effetti attuarsi in uno dei


coniugi dopo le nozze, non si potrebbe più parlare di una qualunque causa nul-
litatis matrimonii, tale da indurre ab initio la radicale invalidità del vincolo, ma
sarebbe necessario tornare alla soluzione della dottrina canonistica classica e
riconoscere piuttosto in essa un'eccezionale causa dissolutionis matrimonii, tale
da importare lo scioglimento ex nunc di un vincolo in origine perfettamente vali-
do ed efficace.49

Anche accettando l'idea che il venir meno dell'integrità della sessualità


comporti di fatto il venir meno del partner in quanto partner, dal momento che
può essere partner solo perché è sessualmente diverso e complementare con
l'altro, non sembra però che si possa affermare con sicurezza che il transes-
suale operato cessi di essere uomo o donna. Forse è più prossimo al vero - que-
sta è, almeno, la nostra opinione - dire che il transessuale operato continua a
essere l'uomo o la donna di prima, benché affetto da un grave disturbo psichi-
co e con un corpo mostruosamente mutilato.

6. TRANSESSUALISMO, ORDINE SACRO


E PROFESSIONE RELIGIOSA

Il grave disturbo dell'identità di genere che caratterizza il transessualismo


ha effetti anche sull'ordine sacro e sulla professione religiosa, essendo stati di
vita nei quali l'identità sessuale del candidato e, in generale, uno sviluppo equi-
librato della dimensione sessuale non costituiscono un aspetto secondario.

48
A. D'AVACK, Corso di diritto canonico. Il matrimonio, Milano 1961,120.
49
D'AVACK, Corso di diritto canonico, 120.
352 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Un transessuale maschio non potrebbe essere ammesso all'ordine sacro


perché l'unico soggetto capace di ordinazione valida è il vir baptizatus,50 e per
costituire il vir non basta la definizione del sesso corporeo senza un'adeguata
definizione anche della sua identità sessuale. Per costituire un vir nella sua pie-
nezza ontologica sono infatti richiestoi sia un normale sviluppo della sessualità
fisica sia una congruente evoluzione della sessualità psichica, della quale -
come si è visto - l'identità di genere rappresenta il fondamento. 51 Una donna
operata che volesse accedere al sacerdozio, per l'imperfetta definizione della
mascolinità fisica e psichica, non costituirebbe egualmente un soggetto capace
di ordinazione, per non parlare del grave scandalo che ne potrebbero avere i
fedeli. Pertanto, sia nel caso del maschio transessuale non operato sia della
donna transessuale operata, siamo di fronte a un'inadeguata definizione della
sessualità maschile nelle sue componenti fisiche e psichiche e questo li rende
non capaci dell'ordinazione per defectus sexus virilis.
Mentre esiste un diritto al matrimonio, non esiste un analogo diritto a
ricevere l'ordine sacro per cui, secondo la tradizione canonistica, basta che
l'appartenenza al sesso maschile sia anche soltanto dubbia perché il soggetto
non possa essere ammesso all'ordinazione. Se il dubbio si presentasse dopo
l'ordinazione - per l'emergere di disturbi psichici di questo tipo - anch'essa
sarebbe da considerarsi dubbia e «quell'uomo incerto dovrebbe astenersi dal-
l'esercizio degli ordini maggiori, finché almeno la cosa sia definita con certez-
za dal giudizio dei medici».52
Accanto al defectus sexus - che ci pare il motivo principale e radicale di
invalidità - un'ulteriore causa di invalidità ex defectu deriva dalla considera-
zione della stessa patologia psichiatrica. Molto opportunamente padre Navar-
rete afferma che «sembra di dover annoverare i veri transessuali fra gli irrego-
lari ex defectu a norma del can. 1041,1°»53 in base al quale è escluso dall'ac-
cesso al ministero sacro «colui che è affetto da pazzia o da altra malattia psi-
chica per la quale, a parere degli esperti, è giudicato inabile ad assolvere in
modo adeguato al ministero».

50
Cf. CIC can. 968, § 1.
51
Notiamo, a tal proposito, che ben diverso è il caso di soggetti omosessuali in cui l'identità di
genere non è dubbia e che possono essere assegnati con sicurezza al sesso maschile anche se per ragio-
ni di convenienza e come prova di sufficiente equilibrio psichico, si dovranno ammettere all'ordina-
zione solo quei candidati che dimostrano di saper padroneggiare la loro spinta sessuale anomala.
52
F.X. WERNZ, Jus decretalium, ibid.: «Si sexus sit dubius, certe ante dubii solutionem ad ordi-
nationem sacram talis homo admitti nequit. Superveniente autem dubio post ordinationem iam accep-
tam dubia quoque est ordinatio, atque dubius ille vir iam promotus saltem ab exercitio ordinum supe-
riorum omnino debet abstinere, donec iudicio medicorum res certo sit definita».
53
NAVARRETE, Transexualismus et ordo canonicus 119: «Veri transsexuales videntur recensen-
di inter irreguläres ex defectu, ad normam c. 1041,1°».
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 353

Non solo l'ordinazione di un transessuale maschio è invalida, ma - a


nostro avviso - l'ordinazione sarebbe da presumersi invalida anche se la pato-
logia transessuale si fosse manifestata in un tempo successivo, perché - come
si è visto sopra parlando del consenso matrimoniale - la causa dell'incapacità
era con ogni probabilità già presente e in qualche misura operante sulle facoltà
della persona, anche se allo stato latente. Nel caso invece che l'ordinazione
fosse stata validamente conferita o non si potesse accertare la sua non validità,
non si può certo sostenere che la comparsa della malattia e persino un inter-
vento correttivo del fenotipo possano renderla retroattivamente invalida e
questo per la permanenza del carattere sacerdotale che resta indelebile una
volta che esso sia stato impresso nell'ordinato. 54
Comunque si giudichi la validità dell'ordinazione di un soggetto in cui
compare dopo qualche tempo la patologia transessuale, è certo tuttavia che la
comparsa della malattia lo rende incapace di adempiere in modo onorevole i
doveri connessi con il ministero e ne consiglia l'allontanamento dalla vita
pastorale, senza considerare il danno che ne riceverebbero i fedeli per la cele-
brazione di sacramenti di dubbia validità, essendo l'ordinazione di soggetti sif-
fatti per lo meno tale da suscitare dubbi. Se poi un sacerdote validamente ordi-
nato sviluppasse un grave disturbo dell'identità di genere e decidesse di sotto-
porsi a interventi di correzione chirurgica del sesso - evenienza che pare si sia
verificata in qualche caso - potrebbe in teoria essere accusato di delitto e
diventare irregolare a esercitare l'ordine, a norma del can. 1044, § 1, 3° e del
can. 1041,5°, per aver «mutilato gravemente [...] se stesso». Non si può presu-
mere che il transessuale in quanto tale sia assolutamente incapace di delitto,55
anche se l'accertata condizione patologica configura almeno una circostanza
fortemente attenuante (cf. can. 1324, § 1) e, nei casi più gravi, una circostanza
esimente da ogni pena per il manifesto stato di necessità (can. 1323, 4°).56 Il
comportamento più ragionevole da parte della competente autorità ecclesia-
stica sarebbe - a nostro avviso - quello di allontanare cautelativamente il sog-
getto dall'esercizio del ministero e introdurre la richiesta per la dispensa dagli
oneri del presbiterato.

54
Cf. CIC can. 290: «Sacra ordinatio, semel valide recepta, numquam irrita fit».
55
II can. 1322 afferma: «Qui habitualiter rationis usu carent, etsi legem vel praeceptum viola-
verint dum sani videbantur, delieti incapaces habentur». Commenta A. CALABRESE, Diritto penale
canonico, Roma 2 1996,55: «Gli unici casi, a nostro avviso, nei quali, pur essendoci materialmente la vio-
lazione di una legge o di un precetto, non può configurarsi un delitto, è quello del soggetto abitual-
mente privo dell'uso di ragione o del bambino che non ha compiuto sette anni» (corsivo nostro).
56
Lo stato di necessità è circostanza esimente nisi tarnen actus sit intrinsece malus. Noi abbia-
mo cercato di dimostrare la liceità, a certe condizioni, dell'intervento correttivo che, quindi, non può
essere giudicato intrinsecamente e cioè sempre e per qualsiasi motivo illecito. Coloro che ritengono
l'intervento correttivo intrinsecamente cattivo non ammetteranno mai la possibilità del verificarsi di
uno stato di necessità esimente dal punto di vista penale.
354 SEZIONE II - QUESTIONI ETI CO-PASTORALI: DISORDINI SESSUALI

Riguardo all'accesso alla vita religiosa, il già ricordato intervento della


Congregazione per gli istituti di vita consacrata del gennaio 2003 è molto chia-
ro. In esso si ricorda ai superiori e alle superiore competenti che si deve

usare la massima prudenza nelPammettere all'istituto o società persone che


siano affette da transessualismo. Questo fenomeno, infatti, pone problemi
riguardo all'assunzione della castità celibataria, in quanto l'offerta di sé a Dio
nella conformazione a Cristo vergine è fatta dalla persona nella sua totalità e
nella sua integrazione corporale e psico-spirituale. Si pongono, quindi, non solo
problemi di liceità dell'ammissione al noviziato e ai voti, come nei casi di dub-
bio, ma anche di validità, nei casi certi. Per queste ragioni è necessario distin-
guere chiaramente i casi di vero transessualismo da altre forme, concomitanti o
meno, di intersessualità o di altre patologie psicologiche.57

Per un transessuale operato non sembra possibile neppure l'ingresso in


un ordine religioso per la grave malattia mentale di cui continua a soffrire (cf.
can. 642), per l'incertezza del sesso cui appartiene che impedisce di decidere se
debba essere accolto in un istituto maschile o femminile (cf. can. 606) e, in ogni
caso, per il pericolo di scandalo. Escluse nel soggetto motivazioni inadeguate o
inaccettabili, quale sarebbe il desiderio di ripudiare la propria sessualità sotto
il pretesto del voto di castità, penso che si potrebbero tuttavia accogliere voti
privati di persone transessuali operate, come segno di una radicale conversio-
ne al Signore dopo un'esistenza spesso turbata dal disordine e dall'immoralità.
Un professo di voti perpetui che, manifestatasi la patologia, volesse sot-
toporsi a un tale intervento dovrebbe essere consigliato di chiedere previa-
mente l'indulto di lasciare l'istituto attraverso il moderatore supremo all'auto-
rità competente (can. 727). Indipendentemente dal giudizio di liceità morale in
merito alla correzione chirurgica nel caso specifico, il superiore religioso non
potrebbe mai concedere a un suddito la licenza di sottoporsi a un intervento i
cui risultati sarebbero - come si può ben immaginare - fonte di grave scanda-
lo e turbamento all'interno dell'istituto e tra i fedeli. Se un professo di voti per-
petui subisse l'intervento contro la volontà esplicita del superiore, disatten-
dendo alle debite ammonizioni canoniche in tal senso, si potrebbero ravvisare
a prima vista i termini per una dimissione a norma del can. 696.58 Bisogna però
tenere ben presente che il can. 696, § 1 parla esplicitamente di «cause gravi,
esterne, imputabili e giuridicamente comprovate», ma, come si è visto nel caso

57
CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA, Lettera ai superiori generali.
58
Si tratterebbe di «pertinax inoboedientia legitimis praescriptis Superiorum in materia gravi»
nonché di «grave scandalum ex culpabili modo agendi».
CAP. 5 - I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE 355

dell'ordinato che si sottoponesse all'intervento correttivo, l'imputabilità del


soggetto è discutibile. Sottolineiamo, inoltre, che il delitto di automutilazione
previsto per gli ordinati al can. 1041, 5° («qui seipsum [...] grave et dolose
mutilaverit») non è previsto invece per i religiosi: il can. 695, § 1 rimanda, infat-
ti, ai delitti indicati nel can. 1397 e fra questi non compare l'automutilazione,
ma soltanto la mutilazione di altri («qui [...] hominem [...] mutilat vel graviter
vulnerat»). L'incresciosa situazione di un transessualismo notorio e ancor più
di un intervento correttivo del sesso impone l'immediato allontanamento dalla
casa religiosa, realizzandosi senza dubbio «il grave scandalo esterno» previsto
dal can. 703.59 Date la delicatezza e la complessità della situazione, dopo aver
allontanato il religioso dagli sguardi indiscreti e dallo scandalo suscitato, sarà
bene fare riferimento alla santa Sede, come suggerisce il can. 703, per avere
indicazioni sul modo di procedere. La lettera della Congregazione dei religio-
si precisa che il dicastero competente per questi casi è la Congregazione per la
dottrina della fede. Passata la tempesta, si potrebbe procedere verso una
esclaustrazione, a norma del can. 686, § 3, e la natura della patologia transes-
suale, quasi certamente presente in forma larvata sin dai primi anni di vita,
potrebbe anche giustificare un esame dell'eventuale invalidità della professio-
ne religiosa.
Concludendo, il soggetto affetto da transessualismo, prima e dopo l'e-
ventuale intervento correttivo, non solo non può accedere al matrimonio, ma
neppure all'ordine sacro, né alla vita consacrata, perché ci troviamo di fronte
a un soggetto affetto da grave malattia psichiatrica e come tale incapace di
disporre di sé con le necessarie libertà e consapevolezza. Infatti, benché il
difetto non riguardi direttamente la capacità di giudizio e la sfera volitiva,
siamo in presenza di una percezione erronea e patologica del proprio genere e
sia nel matrimonio, sia nell'ordine sacro, sia nella professione religiosa la
dimensione sessuale è sempre, anche se in modo diverso, coinvolta, rispettiva-
mente come possibilità di promettersi e di essere partner in una relazione ete-
rosessuale, come certezza dell'appartenenza al sesso maschile e come capacità
di compiere un'autodonazione libera e consapevole della propria sessualità col
voto di castità.

59
CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA, Lettera ai superiori generali: «Altret-
tanto gravi dal punto di vista canonico sono le conseguenze per un membro di un istituto di vita con-
sacrata o di una società di vita apostolica che volontariamente si sottoponesse all'intervento chirurgi-
co di cambiamento di sesso: l'espulsione dalla casa religiosa o dalla casa della società (C/C cc. 703 e
746; CCEO 498, §§ 1-2 e 551)». Il C/C can. 746 riguarda le società di vita apostolica e rimanda alle
norme per gli istituti di vita consacrata, con i debiti adattamenti.
356 SEZIONE I - QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

7- IL TRANSESSUALE È UNA PERSONA

I transessuali sono persone umane e cittadini. Essi hanno pertanto il


diritto a essere rispettati e tutelati come ogni altra persona e cittadino, e in par-
ticolare godono del diritto alla propria riservatezza, del diritto a non essere
discriminati, del diritto al lavoro.60
Una cura speciale dovrebbe essere posta dagli stati per evitare che dei
malati spesso disperati siano vittime di raggiri e truffe da parte di medici e cli-
niche senza scrupoli o siano sfruttati dal racket della prostituzione. Non ha
fondamento invece - contro quanto vanno affermando svariati movimenti di
liberazione - il diritto a scegliere il sesso cui appartenere: appartenere a un
certo sesso non significa semplicemente possedere determinati organi sessua-
li, così che si possa decidere se possederli o disfarsene come un oggetto ingom-
brante o sgradito, ma è una condizione esistenziale che è previa a qualsiasi
scelta e che anzi la permette, essendo la condizione sessuata un tutt'uno con
l'esistenza umana concreta. Esiste invece il diritto, per i transessuali come per
ogni persona, a essere curati con i mezzi messi a disposizione dalla medicina
per conseguire il livello di salute fisica, psichica e relazionale più alto e soddi-
sfacente possibile. Anche ove l'impotenza della medicina e condizioni di parti-
colare difficoltà psicologica consiglino di non vietare in modo assoluto il ricor-
so a un intervento di correzione del sesso fenotipico, a motivo della struttura
del matrimonio fondata sulla legge naturale, non può essere riconosciuto loro
il diritto a sposarsi con persone del sesso di provenienza, e d'altra parte il bene
primario del bambino li rende inabili all'adozione.
Spesso questi soggetti sono stati introdotti in giri equivoci di promiscuità
e prostituzione, non di rado attratti dalla possibilità di raccogliere il denaro
necessario per sottoporsi ai costosi interventi ricostruttivi e rimanendone poi
prigionieri, senza poter realizzare il sogno di un normale inserimento sociale
nel nuovo sesso. Non dobbiamo dimenticare che si tratta prima di tutto di
malati psichici, emarginati, isolati e spesso sfruttati, per i quali occorre pro-
muovere, con la dovuta prudenza, la possibilità di un lavoro onesto, l'instau-
rarsi di amicizie sane, la partecipazione alla vita sociale, culturale, ricreativa.
Dal punto di vista canonico i transessuali battezzati godono dei diritti dei
christifideles enunciati nel Codice di diritto canonico, cann. 208-223, non esclu-
so il diritto di ricevere, con le dovute disposizioni, i sacramenti della penitenza

60
G. NIVEAU - M. UMMEL - T. HARDING, «Human rights aspects of transsexualism», in Health
and human rights 4(1999), 134-164.
INDICE GENERALE 357

e dell'eucaristia. Non esiste invece per loro, come per nessun fedele, il diritto
di accedere all'ordine sacro o di entrare in un istituto di vita consacrata. Que-
ste limitazioni nell'esercizio di alcuni servizi ecclesiali, così come il rifiuto
morale di alcune pratiche terapeutiche ritenute immorali, non esimono la
comunità cristiana dal mostrarsi accogliente e misericordiosa con questi fra-
telli più sfortunati. Si dovrà raccomandare ai sacerdoti, agli operatori, a tutti i
fedeli un approccio improntato a verità, chiarezza, delicatezza, comprensione,
pensando che siamo di fronte a creature e a battezzati che recano nel corpo e
nella mente una profonda lacerazione, una stimmata misteriosa di quell'abisso
di dolore umano che il Signore ha preso su di sé.
CONCLUSIONE

Siamo giunti alla conclusione del nostro itinerario, lungo e articolato, in


quel mondo complesso e affascinante che è la sessualità umana. Nel dipanarsi
del discorso abbiamo richiamato spesso e abbiamo visto intrecciarsi, in un fitto
ordito, alcune categorie fondamentali dell'esistenza: persona, relazione, amore,
vita, fecondità. La sessualità umana non è, infatti, semplice genitalità, ma un
modo di esistere, anzi una modalità duale di esistere, speculare e reciproca, che
attraversa tutta la condizione umana, configurandosi quale forma originaria
dell'essere umano e possibilità di espressione della sua realtà più profonda: la
capacità di donare e di ricevere amore, la capacità di donarsi all'altro nella tota-
lità della persona e di ricevere l'altro nella sua totalità sino a dar carne a un'al-
tra persona totalmente accolta e totalmente donata a se stessa. Abbiamo visto
come la comunità credente, immersa nel fluire del tempo, abbia compreso la
sessualità in un orizzonte di senso peculiare, quello generato dalla sua espe-
rienza di fede, e abbia guardato alla sessualità umana nella prospettiva dell'a-
pertura trascendentale dell'uomo al mistero assoluto e ineffabile che si rivela
all'uomo e nell'uomo come onnipresenza d'amore creativo e benevolente, che
in Cristo si dispiega in pienezza.
In un mondo di relazioni spesso effimere e superficiali che della vera
comunione sono solo un pallido simulacro, l'uomo e la donna credenti, pur tra
fatiche, fragilità e incoerenze, scoprono in sé una nativa vocazione all'amore
autentico, totale, fedele, fecondo, quale riflesso e segno che svela la stabilità,
l'irreversibilità e la fecondità dell'impegno d'amore di Dio verso l'umanità, di
Cristo verso la Chiesa. Guardando a Cristo i credenti si avvènturano lungo i
percorsi della storia sapendo di costudire in sé un dono prezioso, la capacità di
amare e di realizzare se stessi nell'amore.
Indice generale

INTRODUZIONE p. 7

SEZIONE PRIMA
QUESTIONI STORICO-FONDATIVE

CAPITOLO 1

SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA » 19


1. Costumi sessuali e matrimoniali di Israele » 20
2. La sessualità ideale nell'Antico Testamento » 25
3. Sessualità e matrimonio nei vangeli » 36
4. Sessualità e matrimonio nel corpus paulirtum » 45
5.1 peccati sessuali nel Nuovo Testamento » 55

CAPITOLO 2 /
IL MODELLO TRADIZIONALE
DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE » 61
1. L'antropologia sessuale classica » 62
2. Caratteri salienti dell'etica sessuale patristica » 69
3. Sant'Agostino alle origini del modello tradizionale » 72
4. Gli sviluppi del modello tradizionale » 84
5. La morale sessuale nella teologia post-tridentina » 93
362 INDICE GENERALE

6. La manualistica p. 100
7. La crisi del modello tradizionale » 102

CAPITOLO 3

ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA » 107


1. Aspetti biomedici » 109
2. Aspetti psicologici » 114
3. La teoria del genere » 119
4. Aspetti filosofico-antropologici » 123

CAPITOLO 4
IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA
ED ETICA SESSUALE CATTOLICA » 131
1. La sessualità umana in prospettiva personalista » 132
2. Il significato teologico della sessualità » 135
3. L'amore coniugale » 146
4. Amore coniugale e matrimonio » 159

CAPITOLO 5

IL MODELLO ETICO CRISTIANO » 169


1. Sessualità ed etica » 169
2. Sessualità e attitudine etica: la castità » 171
3. Il modello etico cristiano » 173
4. Orientamenti normativi » 176
5. Il peccato sessuale » 181
INDICE GENERALE 363

SEZIONE SECONDA
QUESTIONI ETICO-PASTORALI

PARTE PRIMA: MATRIMONIO E FAMIGLIA

CAPITOLO 1

LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA p. 187


1. La struttura familiare » 188
2. Amore e matrimonio nel contesto odierno » 189
3. L'etica familiare nella manualistica » 191
4. La radice sacramentale della vita familiare » 193
5. Costruire una comunità di persone » 195
6. Il servizio alla vita » 198
7. La partecipazione allo sviluppo della società e della Chiesa » 201

CAPITOLO 2

LA PATERNITÀ RESPONSABILE » 207


1. Vita e responsabilità in Humanae vitae » 207
2.1 metodi di attuazione » 210
3. Obiezioni ai metodi naturali » 215
4. Orientamenti pastorali » 217

CAPITOLO 3

RAPPORTI PREMATRIMONIALI » 221


1. Valutazione etica » 221
2. Orientamenti pastorali » 224
3.1 rapporti intimi » 225

CAPITOLO 4

I CATTOLICI DIVORZIATI E RISPOSATI CIVILMENTE » 227


1. Il matrimonio fra desiderio e fallimento » 228
2. Vie di soluzione » 229
3. Atteggiamenti pastorali: prevenire, curare, accogliere » 234
364 INDICE GENERALE

PARTE SECONDA: DISORDINI SESSUALI

CAPITOLO 1

LA MASTURBAZIONE p. 241
1. Frequenza e tipologia » 241
2. Valutazione etica » 243
3. Orientamenti pastorali » 251
4. La raccolta del seme per scopi medici » 253

CAPITOLO 2

L'OMOSESSUALITÀ » 257
1. Definizione e frequenza » 257
2. Genesi dell'orientamento omosessuale » 259
3. L'omosessualità nell'antichità e nella Scrittura » 262
4. L'omosessualità nella tradizione » 268
5. Una nuova comprensione dell'omosessualità » 276
6. L'omosessualità fra desiderio e limite » 278
7. Il magistero post-conciliare » 280
8. Approccio pastorale » 284

CAPITOLO 3

LA PEDOFILIA » 289
1. Un fenomeno inquietante » 289
2. L'attenzione all'infanzia attraverso i tempi e le culture » 291
3. La pedofilia: descrizione e psicodinamica » 295
4. La «normalizzazione» della pedofilia » 299
5. Problematiche etiche » 301
6. L'abuso di minori nella legislazione canonica » 306
7. Legislazione civile e prevenzione » 309
INDICE GENERALE 365

CAPITOLO 4

I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE p. 311


1. Classificazione e descrizione » 312
2. La «normalizzazione» dell'ambiguità » 317
3. Il sesso di appartenenza dell'intersesso » 320
4. Il trattamento dei disordini dello sviluppo sessuale » 323

CAPITOLO 5

I DISTURBI DELL'IDENTITÀ DI GENERE » 331


1. Disturbi della identità di genere » 331
2. La sindrome transessuale » 333
3. Questioni morali nella terapia del transessualismo » 336
4. Transessualismo e matrimonio canonico » 344
5. Correzione del sesso e scioglimento del matrimonio » 349
6. Transessualismo, ordine sacro e professione religiosa » 351
7. Il transessuale è una persona » 356

CONCLUSIONE » 359

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