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Memoriale di Cracovia

Introduzione
José Granados

Il testo del cosidetto “memoriale di Cracovia”, preparato tra 1966-1968 da


un gruppo di studiosi polacchi sotto la direzione dall’allora arcivescovo di Cracovia
Karol Wojtyla, riveste grande interesse per lo studio del rapporto persona –
natura, specie nel contesto aperto dalla discussione della Gaudium et Spes sul
matrimonio e la famiglia. Il documento vuole offrire una risposta al problema della
contracezione e del controllo delle nascite in preparazione all’enciclica Humanae
Vitae. La proposta, nell’occuparsi di un problema morale concreto, offre elementi
fondamentali per capire il rapporto natura - persona attraverso una comprensione
relazionale del corpo sessuato nella sua apertura all’amore. Si coglie in questo
modo la chiave di una visione antropologica in cui s’incrociano i vincoli dell’uomo
con la natura, della persona con l’amore, della vita privata con la società. Come
introduzione alla sua lettura sarà utile ricordare il contesto del problema aperto al
Concilio Vaticano II, nella sezione di Gaudium et Spes dedicata al matrimonio e la
famiglia (GS 47-52). Segnalerò di seguito alcuni punti essenziali, a mio parere, per
capire la ricchezza del documento.

a) Il contesto della questione al Vaticano II

Il rinnovamento della teologia del matrimonio attuato da Gaudium et Spes è


potuto compiersi per l’incorporazione dei principi personalisti. In questo modo si è
illuminato il vincolo coniugale mettendo al centro l’amore e valorizzando così
pienamente il rapporto interpersonale dei coniugi. Il matrimonio appare come
donazione e accettazione mutua dei coniugi, come dono reciproco di sé che
costituisce un nuovo essere, l’unità dei due. Il presupposto è una visione
relazionale della persona, che è amata da Dio per se stessa e trova se stessa in un
dono sincero di sé (Gaudium et Spes 24).
Chi sottolineava la novità di questa visione voleva anche prendere le
distanze da un’eccesiva enfasi sulla procreazione, che la teologia anteriore al

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Vaticano II aveva individuato come fine primario del matrimonio. Si pensava che,
enfatizzando il compito generativo, si rischiava di ridurre il rapporto di coppia a
uno scambio biologico, oppure di misurare il matrimonio secondo uno scopo
estrinseco all’amore, un fine da perseguire al di fuori dell’unione personale stessa
dei coniugi. Altri Padri conciliari, invece, hanno insistito sulla necessità di mettere
l’accento sulla procreazione ed educazione dei figli, secondo la posizione
tradizionale.
Il dibattito intorno a tale questione, come è ben noto, arrivò al punto
d’equilibrio che troviamo nel testo conciliare. Dopo aver descritto l’amore
coniugale (GS 49) e l’importanza della procreazione (GS 50), la costituzione
pastorale riflette sulla connessione tra queste due dimensioni. Il testo conciliare
arrivò a un equilibrio (GS 51), in cui si sottolinea l’importanza di ambedue gli
aspetti e si lascia il problema morale concreto della regolazione della natalità a una
valutazione posteriore, da approfondire da parte del Santo Padre.
Nella rilettura del testo conciliare, cinquanta anni dopo, appaiono con più
chiarezza i punti che il Vaticano II ha lasciato nell’ombra, perché magari non chiari
ancora dalla prospettiva culturale del momento.
a) Il contesto degli anni 60, segnato dall’allarme demografico lanciato dal
Club di Roma, spiega l’insistenza nel controllo delle nascite, che porta con sé un
approccio limitativo alla visione della paternità responsabile. L’interesse del
momento tendeva a domandarsi cosa era lecito fare per avere meno figli e non
tanto, in chiave positiva, a capire la fecondità come elemento intrinseco all’amore
coniugale. Da questo punto di vista è normale che nel testo finale resti una certa
tensione irrisolta.
b) La difficoltà emerge soprattutto quando si vuole integrare la dimensione
biologica della sessualità e del matrimonio, da una parte, e l’amore personale degli
sposi, dall’altra. Per valorizzare in se stesso l’amore coniugale, centrato sulla vita di
coppia, sembra non ci sia bisogno d’insistere sull’apertura ai figli, fatto biologico
che può vedersi in conflitto con il rapporto interpersonale. Gaudium et Spes
sottolinea l’importanza di ambedue gli aspetti, anche se non offre una sintesi
capace di metterli insieme. Non si approfondisce, in particolare, il rapporto tra
amore e natura, questione che si rivelerà decisiva per il successivo dialogo della
Chiesa con la cultura contemporanea: si pensi alla proposta dell’ideologia di gender

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che vede la sessualità come elemento modificabile a seconda del progetto
arbitrario dell’individuo.
c) Infine, l’insistenza sull’amore della coppia lascia nell’ombra la sua
integrazione con il servizio familiare al bene comune della società, col rischio di
accettare una privatizzazione della famiglia. La proposta personalista coglieva una
certa tensione tra l’amore dei coniugi, come evento comunionale, e la dimensione
sociale del matrimonio. Gaudium et Spes insiste su quest’ultimo aspetto,
chiamando la famiglia schola uberioris humanitatis (GS 52), all’inizio di un
paragrafo in cui invita lo società a proteggere la famiglia e mostra che la famiglia,
in quanto genera ed educa i figli, contribuisce all’arricchimento della vita sociale.
Tuttavia, il testo non sviluppa la connessione tra questa ricchezza sociale della
famiglia e la visione del matrimonio come comunità di vita e di amore degli sposi,
segnalata in GS 48-49. È un punto che avrà anche grande incidenza dopo il
Concilio, quando si è visto con più chiarezza il servizio al bene comune che può
rendere la famiglia appunto come luogo dove si vive la comunione delle persone.
In conclusione si può dire che tutti gli elementi necessari per una visione del
matrimonio alla luce dell’amore che integri la sua condizione naturale e la sua
missione sociale si trovano nel testo conciliare. Ciò che manca è la visione organica
che possa integrarli. Per questo è necessario mostrare che le tensioni, sebbene
siano stati lette a volte come opposizioni, sono in realtà elementi dinamici che
arricchiscono, nella loro interazione, la visione del matrimonio e la famiglia: la
fecondità è un elemento intrinseco all’amore coniugale; la natura risulta integrata
nell’incontro tra le persone; la coppia diventa se stessa solo quando si apre al di là
di se, inserendosi in una tradizione e generando bene comune.

b) Il memoriale di Cracovia

Il documento che presentiamo ha il pregio di aver colto l’importanza di


questi elementi, presenti in germe nel testo conciliare, per svilupparli e illuminare
così in modo nuovo il significato del matrimonio e la questione concreta del
rapporto tra amore interpersonale e generazione ed educazione dei figli.

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Il testo comincia presentando le due posizioni opposte davanti al problema
della contraccezione. La prima, centrata sull’amore coniugale, chiede un
cambiamento della posizione tradizionale in materia, rifiutando di riconoscere la
procreazione come fine primario, indicando che ci sono altri aspetti che
giustificano l’uso di anticoncezionali in un contesto generale di apertura alla vita.
La seconda, contraria ad ammettere la contraccezione, afferma che non c’è bisogno
di nuovi argomenti, perché basta il riferimento alla legge naturale, che rende
immorale ogni esclusione dell’apertura alla vita.
Gli autori del memoriale concordano sulla necessità di un rinnovamento
degli argomenti, in modo che si possa assumere il punto di vista personalista, che
coglie l’azione umana dal suo interno, per integrare in esso il riferimento alla
natura. Pensano infatti che è appunto da questa prospettiva che si conferma la
dottrina tradizionale della Chiesa di opposizione agli anticoncezionali. Si tratta,
quindi, di mostrare il nesso tra amore e vita, illuminandoli dal punto di vista aperto
dal Concilio, offrendo un nuovo orizzonte per capire il rapporto tra natura,
persona, società. Indico brevemente i punti più interessanti del documento a
questo riguardo.
a) Si parte dalla definizione dell’uomo come imago Dei, mettendo così in
primo piano il rapporto dell’uomo con il Dio Creatore. L’uomo è definito, non
secondo un isolamento autonomo, ma in dipendenza radicale da Dio; soltanto in
questo rapporto l’essere umano può entrare in possesso di se stesso. Essenziale
per il nostro tema è che questa riflessione su Dio si lega immeditamente al
rapporto tra l’uomo e il mondo naturale. Proprio perché la natura è stata creata,
perché può essere capita come dono di Dio all’uomo, allora essa possiede un
linguaggio e un significato, non è aliena al mondo umano della conoscenza e
libertà, e può essere integrata nell’orizzonte personale. In questa luce il mondo
materiale non appare come risultato del caso o del determinismo di forze anonime,
ma è radicato in un dono originario che ci ha posti nell’esistenza. Riconoscere il
Creatore è dunque il primo passo per integrare la natura nel nostro essere
personale.
b) La chiave per capire come la natura si trova in rapporto alla persona, e
risulta così integrata nell’esperienza dell’uomo, è la comprensione del corpo
umano, non come elemento separato dalla persona, che essa dovrebbe solo

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sottomettere o dominare, ma come corpo proprio, che partecipa in pienezza al
carattere personale dell’uomo e che fa parte del suo nome e della sua identità. La
tensione tra natura e persona, che è presente nel testo di Gaudium et Spes, risulta
così integrata attraverso una visione personale del corpo.
c) Chi accetta la sua corporalità come elemento integrante della propria
identità scopre allo stesso tempo quanto siano importanti i rapporti interpersonali
per la costituzione della persona. Se la visione del mondo come creazione
introduce ormai il linguaggio del dono, in quanto il corpo si riceve da qualcuno;
adesso l’ambito della sessualità, dell’unione di amore tra uomo e donna, conferma
questo nesso tra corpo, persona e amore. La sessualità è ambito privilegiato per
capire il linguaggio relazionale del corpo, in quanto unico sistema organico che
“nel suo esercizio normale richiede la cooperazione di due persone” (p. 213). In
questo modo la connessione con la natura, attraverso il corpo proprio, aiuta il
soggetto moderno a uscire dalla sua autonomia chiusa.
d) L’inclusione della natura nella persona, a partire del corpo sessuato, non
solo apre l’uomo al di là di se stesso verso l’incontro con la donna, e viceversa.
Appare anche un’ulteriore apertura dei coniugi verso i figli, iscritta ormai nel
linguaggio del corpo. In questo modo si evita una visione dell’amore come
questione privata, che tocca solo l’interesse degli amanti. Si afferma così che il
matrimonio non è solo questione di reciprocità, ma anche di comunità (p. 206). Il
testo riesce a chiarire che la fecondità è una dimensione intrinseca all’amore
stesso. Quando questa si elimina medianti metodi artificiali, la modificazione del
corpo non rimane solo al di fuori dalla persona, ma si tratta di una modificazione
della persona stessa. Si tratta inoltre di una modificazione del tipo di amore con cui
i coniugi si uniscono. Avviene allora una chiusura dell’amore, prima nell’universo
comune dei due sposi e, in ultima analisi, come chiusura di ognuno di essi in se
stesso. In fondo questa chiusura è chiusura contro il senso creato del corpo, e
quindi contro quel Terzo che è sempre presente nel vero amore dei coniugi (p.
206), contro il Dio Creatore a cui l’uomo si riferisce in tutto il suo essere e le sue
azioni.
e) L’integrazione tra natura e persona avviene in modo dinamico (cf. parte I,
punto d). Essa non è un evento che si realizza in modo immediato nella vita della
persona, ma richiede un percorso nel tempo. Si tratta di un cammino di crescita,

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per cui il linguaggio originario del corpo è integrato nello scambio di amore
interpersonale. Si inserisce qui il tema della costruzione del soggetto morale
tramite le virtù e si apre uno sguardo sulla questione educativa, come elemento
importante per illuminare il rapporto tra persona e natura.
Molti altri punti sono toccati dal documento, che sviluppa una visione ricca
della paternità responsabile e apre anche l’orizzonte della missione della Chiesa in
servizio alle famiglie. Questi elementi che ho segnalato appaiono fecondi, in questo
modo, sia per illuminare la missione sociale della famiglia, sia per sviluppare una
visione rinnovata della pastorale familiare.
Prima di finire vorrei sottolineare un ultimo elemento d’interesse per il
nostro tema: l’associazione stabilita nel documento tra la castità coniugale e la
specifica chiamata cristiana alla verginità. Solo se si accetta che la sessualità serve
al linguaggio dell’amore, che è inclusa in una logica di donazione, si può vedere
come la continenza periodica abbia un senso, non solo di rinuncia, ma di
espressione più piena dell’amore personale. La chiamata al celibato, allora, potrà
comprendersi anche secondo una logica positiva, in cui il corpo diventa
espressione di una donazione totale. La natura, in quanto ci porta al di là di noi
stessi verso l’incontro con l’altro e con Dio, si apre così verso una pienezza che è al
di là di se stessa, e che la vita virginale di Cristo ha portato a perfezione.
Il memoriale di Cracovia riesce, insomma, a mostrare come la natura possa
integrarsi nell’azione personale, sottolineando il ruolo decisivo dell’incontro tra
uomo e donna nella differenza sessuale. Ha messo in evidenza così l’importanza
del rapporto tra amore e vita, in cui è in gioco, non solo un aspetto della morale
matrimoniale, ma un punto chiave per capire chi è l’uomo, come colui che, nelle
sue relazioni, si apre in modo fecondo al mondo, agli altri, a Dio.

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