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Facoltà di Teologia
VIA CARITATIS
La definizione «Dio è amore» come cammino
nella storia del pensiero teologico
1
Indice Generale
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4
91
SCELTI.......................................................................94
SCELTI...............................................................100
CARITATIS.........................................101
105
ABSTRACT…………………………………………………………………………...111
INTRODUZIONE
Blaise Pascal scriveva che «l’unico oggetto della scrittura è la carità» e che
«tutto quello che non mira alla carità ne è figura». 1 Dio è agape, è carità, è amore 2:
1
Blaise PASCAL, Pensieri, V. E. Alfieri (tr.), Bussolengo (VR): Acquarelli, 1995, p. 129.
2
Questa trilogia di termini ci accompagnerà per tutto il nostro studio ed è pertanto necessaria una
chiarificazione terminologica preliminare. Il termine originario della definizione giovannea “Dio è
amore” è espresso con il greco della koiné dal termine ἀγάπη. Questo indica l'amore altruistico,
l'amore di dedizione e, in modo particolare, l'amore di Dio per gli uomini, come ci è stato manifestato
in Gesù Cristo. Il termine caritas è stato adattato dalla versione latina del Nuovo Testamento, proprio
per tradurre il termine greco ἀγάπη. La parola caritas nella sua etimologia latina deriva dall'aggettivo
carus, che significa costoso, a caro prezzo. Questo per indicare la portata dell'amore di Dio per noi
che, nell'offerta del Figlio per riscattare gli uomini, ha pagato un prezzo carissimo (cf. 1Cor 6,20).
5
questa è l’essenza della Rivelazione cristiana. Tutto quello che viene raccontato nei
testi sacri è figura di questo amore. L’amore è un atto libero di Dio che promana dalla
sua stessa natura che è agape. Pertanto i cristiani credono in Dio che si rivela a loro
come Colui che ama. L’oggetto della fede non è un oggetto formale ma concreto, non
è una filosofia né una morale, l’oggetto della fede è una buona notizia: Dio è amore.
La rivelazione di Dio, si realizza come «atto di Dio nei confronti dell’uomo, atto che
si spiega dinanzi all’uomo e per lui (e soltanto così può trovare in lui e con lui la sua
spiegazione). Di questo atto va detto che è credibile soltanto come amore: intendiamo
l’amore stesso di Dio, la cui manifestazione è la gloria di Dio». 3 L’uomo può
comprendere se stesso soltanto nell’orizzonte dell’amore che Dio ha per lui. L’uomo è
colui che è amato da Dio. Questa è in sintesi l’antropologia rivelata. L’uomo non può
vivere senza questo amore infatti «l’amore di Dio per noi è questione fondamentale
per la vita e pone domande decisive su chi è Dio e su chi siamo noi». 4 La nostra
ragione ci può condurre fino a un certo punto nella conoscenza di noi stessi e di Dio.
Ma la mera indagine razionale lascerà sempre all’uomo interrogativi profondi su se
stesso e su quell’essere che lo ha creato. Pertanto deve esserci un’altra via di accesso a
Dio e a noi stessi. La Via Caritatis, ovvero la via dell’amore, è quel sentiero che ci
conduce alla conoscenza di Dio e di noi stessi. Infatti «tra l’amore e il Divino esiste
una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità – una realtà più grande e
totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere». 5 L’amore ci apre
all’eterno, al totalmente altro, alla grandezza alla quale siamo chiamati. La ragione
può solo intuirlo ma nella sua finitezza è costretta ad alzare bandiera bianca di fronte
all’eternità e infinitezza dell’amore che è Dio. Questo «unico oggetto della scrittura»,
come lo definiva Pascal, ovvero l’amore che è Dio, dopo essere stato rappresentato in
figura lungo tutta la storia della salvezza, e rivelato dalle parole e dalle opere del
Verbo Incarnato, trova il culmine della sua espressione nelle parole dell’Apostolo
Giovanni:
«Chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di
Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per
lui». (1Gv 4,8-9)
Infine il termine ‘amore, dal latino amor, è un termine più generale che può indicare varie forme di
amore, come l'amore tra uomo e donna, l'amore per la patria, l'amore per una determinata scienza ecc.
Tuttavia esso può essere suddiviso in tre grandi concetti, quello di αγάπη, quello di ἔρως e quello di
φιλία, che affronteremo nel corso del nostro studio.
3
Hans Urs VON BALTHASAR, Solo l’amore è credibile, M. Rettori (tr.), Roma: Ed. Borla, 1982, p.12.
4
BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, (25/12/2005),Città del Vaticano, Libreria
Editrice Vaticana, 2006, p. 9.
5
BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, p. 13.
6
offre San Giovanni nella sua prima lettera ci dice chi è Dio e qual è la sua relazione
con l’uomo. Dio in un certo qual modo attraverso le parole del discepolo amato ci
rivela la sua essenza e la sua esistenza, ci dice apertamente chi è in se stesso e fuori da
se stesso (ex-istere) quando si comunica all’uomo. Questa affermazione, come detto,
non viene fuori dal nulla. Essa viene intessuta accuratamente lungo i secoli nella storia
della salvezza del popolo d’Israele. Viene preannunciata dai profeti. E nella pienezza
dei tempi rivelata nel Figlio. Essa cresce e si sviluppa in seno alla Chiesa nascente nel
corso dei secoli e diviene una via percorsa da numerosi pensatori cristiani, cercatori
del Dio-Amore, rivelatoci in Cristo Gesù.
Il nostro metodo sarà quello di un’ermeneutica che mira a far rivivere i testi in
questo presente storico. Proveremo a capire come risuonino le parole di Giovanni,
Agostino, Riccardo di San Vittore ed altri autori, in questa società post-moderna,
individualista e ammalata per mancanza di amore. Pertanto il corpo del nostro lavoro
sarà organizzato attorno alla citazione delle fonti che verranno contestualizzate,
commentate ed infine sinetizzate alla fine di ogni capitolo.
Le linee di fondo che questo studio si propone di seguire sono quelle tracciate
dalla Commissione Teologica Internazionale:
«il mistero di Dio e dell'uomo si manifesta al mondo come mistero di carità. Alla luce della
fede cristiana, è possibile dedurne una nuova visione globale dell'universo. […] Al centro
d'una tale "metafisica della carità" non si colloca più la sostanza in genere come nella
filosofia antica, ma la persona, di cui la carità è l'atto più perfetto e più idoneo a condurla alla
perfezione».7
7
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia, Cristologia, Antropologia, Città del
Vaticano, 1982, citato da:
www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1982_teologia-cristologia-
antropologia_it.html, 28/10/2020.
8
contesto storico di raffreddamento globale dell’amore. Come leggiamo nel vangelo di
Matteo: «per il dilagare dell'iniquità, si raffredderà l'amore di molti» (Mt 24,12). La
secolarizzazione, alimentata da una cultura globale fondamentalmente individualista e
pagana, sta progressivamente congelando l’amore. Le persone sono più sole, le
famiglie si dividono, i figli non nascono, gli anziani muoiono da soli. Perchè non
riusciamo più ad amare? Cercheremo di rispondere a questa domanda in maniera
cristologica. Cristo è la manifestazione dell’amore del Padre per gli uomini. Cristo è la
risposta che l’uomo di oggi sta aspettando. In Cristo noi siamo amati e possiamo
amare. Vedremo come l’altro, che mi viene incontro ogni giorno sul cammino della
mia vita non è l’inferno, come diceva Sartre8, ma l’altro è Cristo, perchè voluto e
amato da Cristo stesso. Nell’amare l’altro siamo conosciuti da Dio, cioè da lui amati,
perchè nell’amore al prossimo ci uniamo al suo Figlio Gesù Cristo vivente in ogni
uomo. Questo è il cammino che con l’aiuto di Dio ci prefiggiamo di percorre e per il
quale invochiamo la grazia di Cristo al fine di illuminare le nostre menti
all’intelligenza della fede, che è conoscere Dio per poterlo amare sempre più e nutrire
con tale conoscenza le persone che Egli ci ha affidato.
Capitolo I
8
Cf. Jean Paul SARTRE, Huis clos, Paris, 1944, scena 5.
9
Cf. Claude WIENER, « Amore », Dizionario di Teologia Biblica, a cura di Leon-Dufour X.L.,
Genova, Casa Editrice Marietti, 2014, p.45.
10
Battista MONDIN, La trinità mistero d’amore, Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 1993, p.64.
9
quindi, in queste prime righe di delineare una fenomenologia del Dio-Amore
attraverso una rassegna commentata dei racconti e delle profezie bibliche, al fine di
descriverne i tratti essenziali. Il principio che ci guiderà è quello dell’agere sequitur
esse, per il quale se l’essere di Dio è amore il suo agire è una conseguenza del suo
essere amore, poiché Dio è atto puro e la sua essenza coincide perfettamente con
l’esistenza.
Nell’ Antico Testamento11 l’amore di Dio per gli uomini si rivela attraverso
una serie di eventi peculiari: «iniziative divine e rifiuti dell’uomo, sofferenze
dell’amore respinto, superamento del dolore per essere all’altezza dell’amore ed
accertarne la grazia».12 La prima iniziativa del Dio-Amore che rileviamo nel testo
biblico è quella della creazione. 13 La parola amore non è esplicitamente presente nei
racconti della creazione, tuttavia la bontà con cui vengono create tutte le cose evoca
l’amore di cui Adamo ed Eva sono l’oggetto. Inoltre l’atto stesso di creare l’uomo a
sua immagine e somiglianza, afferma con maggiore chiarezza l’amore che Dio ha per
l’uomo. Dio vuole renderlo partecipe della propria natura (la natura di Dio è amore,
l’uomo partecipe della natura divina può ricambiare l’amore di Dio, e può amare il
prossimo, il creato e anche se stesso). Infine Dio dà all’uomo la libertà. Il vero amore
deve essere libero. Non si può amare per costrizione. Per questo Dio, che è amore, e
che pertanto non può non amare, vuole che la risposta dell’uomo a questo amore sia
libera. Tale risposta può configurarsi anche come un rifiuto. Ed è appunto il rifiuto il
primo colpo di scena della storia d’amore tra Dio e l’Uomo: il peccato originale (cf.
Gen 3). L’uomo attraverso il peccato recide il legame con la fonte dell’amore e
pertanto scopre di non avere più in sé quell’amore che gli consentiva di relazionarsi
armonicamente con il prossimo e col creato. L’uomo si ripiega su se stesso in maniera
egoistica, non riuscendo a soddisfare quel desiderio di amore eterno che gli è rimasto
dentro, quel desiderio che il peccato non è riuscito a cancellare fino in fondo. Quel
desiderio di pienezza che è appunto quel ricordo lontano del Dio-Amore che lo ha
creato per amarlo. L’uomo senza Dio non si riconosce più ed arriva fino al punto di
11
Jan Alberto SOGGIN, Introduzione all’Antico Testamento, Brescia: Paideia Editrice, 1987, pp. 169-
174; Gianfranco RAVASI, Introduzione all’Antico Testamento, Casale Monferrato: Piemme, 1991, pp.
50-52; PAUL-MARIE OF THE CROSS, Sprituality of the Old Testament. 2 : Divine love, London: B.
Herder Book Co, 1962, pp. 166-233; Yochanan MUFFS, Love & Joy: Law, Language, and Religion in
Ancient Israel, New York: Jewish Theological Seminary of America; Distributed by Harvard
University Press, 1992, pp. 33-38, 49-60; Hermann SPIECKERMANN, God's steadfast Love. Toward a
new Conception of Old Testament Theology, Roma: Commentarii Periodici Pontificii Instituti Biblici,
2000 (vol 81 fasc. 3), pp. 305-327.
12
Claude WIENER, « Amore », Dizionario di Teologia Biblica, p.47.
13
Cf. William GREENWAY, For the Love of All Creatures: The Story of Grace in Genesis, Gran
Rapids, Eerdmans, 2015, pp. 67-105.
10
disprezzarsi. Dio è amore perché non abbandona l’uomo caduto, ma prende di nuovo
l’iniziativa, cerca di iniziare un nuovo dialogo d’amore con l’uomo che invece vuole
perdersi.
11
perché è uno snodo cruciale della riflessione teologico-filosofica sul concetto di Dio.
All’inizio del capitolo 3 dell’Esodo, Dio si presenta così: «Io sono il Dio di tuo padre,
il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6). É dunque un Dio che
agisce nella storia. É il Dio che si è rivelato ai patriarchi. La rivelazione divina sembra
a prima vista una rivelazione narrativa, cioè Dio sembra dire: “Per capire chi sono
guarda alla storia dei tuoi antenati, guarda a ciò che ho fatto per loro e allora capirai
chi sono. Quello che sono stato, è quello che sono, è quello che sarò.” L’essenza di
Dio si esprime in una serie di atti in favore del popolo. Questa prima affermazione
prelude alla rivelazione definitiva del nome divino quando, a Mosè che gli chiedeva
quale fosse il suo nome, Dio risponde: «Io sono colui che sono (Ehyeh asher ehyeh)»
(Es 3,12). Non si tratta qui di una affermazione metafisica dell’ipsum esse subsistens,
che al limite potrebbe esserne una interpretazione platonico-aristotelica successiva, e
che comunque non corrisponde all’intento originale del testo. L’enigmatica
espressione Ehyeh asher ehyeh ha suscitato studi filologici, teologici e filosofici di
alto livello tuttavia «scarsa attenzione é stata invece dedicata alla rilevanza narrativa
dell’auto-designazione divina nel contesto dell’Esodo» 14. Inoltre, analizzando la
struttura del verbo ehyeh, si riscontra «la rilevanza temporale della forma
dell’imperfetto ehyeh, che può esprimere un passato oppure anche un presente con
aspetti di ripetizione o di durata (“ero”, “sono solito essere”) o anche un futuro
(“sarò”)»15. Pertanto qui lungi dall’abbracciare il campo metafisico, siamo nel campo
dell’esistenziale. Dio rivela all’uomo che è al suo fianco. Dio c’era, Dio c’è e Dio ci
sarà. Questa é la buona notizia che Dio rivela a Mosè. Tu guiderai questo popolo dalla
schiavitù alla libertà perché io sono con te. L’amore di Dio per il suo popolo è un
“essere con”, “un essere per” è un “esserci”.
Il mostrare la sua bontà sembra essere abbastanza in linea con l’idea di un Dio
14
Jean Pierre SONNET, Ehyeh asher ehyeh (Es 3,14): l’«identità narrativa» di Dio fra suspense,
curiosità, e sorpresa, Roma: in “Teologia”, anno 2011, vol. 1, p.14.
15
Ibid., p.16.
12
amore. Mentre il verbo “punire” appare un po’ in antitesi con un Dio misericordioso.
Tuttavia «questi due verbi enunciano i due versanti, o meglio i poli costitutivi del
personaggio biblico di Dio. La formulazione ci richiede di non separare ciò che, in
Dio, è misteriosamente unito: quando si tratta del Dio biblico, l’attributo della
giustizia non sta senza quello della grazia (o della misericordia), e viceversa» 16. Il
verbo “odiare” che riscontriamo nel testo ci richiama a quel rifiuto di Adamo
all’amore offertogli da Dio. La punizione di Dio si configura come una correzione, un
invito alla conversione. Ma significa anche che l’uomo che rifiuta Dio si ritrova solo
per sua scelta. La sua punizione è proprio un’esistenza priva della compagnia di Dio.
Chi ama Dio, invece, accoglie il suo amore ed è amato da Dio e sperimenta quindi la
dolcezza del vivere alla sua presenza. Leggendo l’Antico Testamento si può
riscontrare come Dio passi dalla misericordia alla giustizia caratterizzando il suo
essere per una irriducibile drammaticità. Il Dio dell’Antico Testamento è un Dio
immutabile ma che tuttavia sa ravvedersi; egli «alterna le sue disposizioni più
profonde restando fedele a ciò che egli è»17. Chi ama si ravvede, sospende l’iniziale
proposito di rottura della relazione col prossimo e apre ad una possibilità di
riconciliazione. La durezza e l’inflessibilità non sono gli attributi del Dio-Amore, ma
lo sono invece la tenerezza e il ravvedimento.
Non vi sono criteri meritocratici nella scelta del popolo da parte di Dio. Il
popolo d’Israele non è un grande popolo. Anzi è piccolo, schiavo e circondato da
nazioni più potenti di lui. Il popolo non si distingue neanche per qualche caratteristica
peculiare che lo renda amabile agli occhi di Dio. L’iniziativa in questa storia d’amore
tra Dio e Israele è tutta di Dio. Il vero amore è disinteressato. Qui la religione naturale
16
Jean Pierre SONNET, Giustizia e Misericordia, Roma: in Civiltà Cattolica, anno 2016, vol. 1, p. 334.
17
Jean Pierre SONNET, Giustizia e Misericordia, p. 347.
13
in cui l’uomo deve compiere atti e sacrifici per accattivarsi la benevolenza del proprio
Dio appare lontana anni luce. Appare qui in forma velata ciò che Giovanni affermerà
apertamente quando scrive che «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha
amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»
(1Gv 4,10). L’Alleanza18 infine come ricorda Mondin «già in se stessa, è
una singolare attestazione di sollecitudine, di accondiscendenza, di predilezione, di
amore, di vicinanza, di solidarietà di Dio verso il suo popolo» 19. L’Alleanza del Sinai
lega Israele al suo Dio attraverso l’aspersione del sangue, che indica il circolare della
vita. La vita di Dio fluisce e scorre nelle vene del popolo attraverso l’osservanza dei
comandamenti. Dio ormai è in mezzo al suo popolo. Israele è chiamato ad amarlo con
tutto il suo cuore, con tutta la sua mente e con tutte le sue forze. Così facendo il
popolo vive in comunione con il suo Dio e può arrivare ad affermare: «qual grande
nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni
volta che lo invochiamo?» (Dt 4,7). L’amore si esprime anche qui come vicinanza al
popolo, come un vivere in mezzo ad esso. E questo amore di Dio non verrà meno
neanche quando il popolo se ne renderà indegno costruendo il vitello d’oro. Il tema
dell’alleanza e della fedeltà di Dio ad essa pertanto si configura come un tema
trasversale che attravera tutto l’Antico Testamento e consiste fondalmente in questo:
Dio vuole condurre gli uomini ad una vita di comunione con lui. Infatti egli «vuole
unire a sé gli uomini, facendone una comunità cultuale votata al suo servizio,
governata dalla sua legge, depositaria delle sue promesse. Il NT realizzerà appieno
questo progetto divino»20. Vediamo qui in questo senso che l’amore di Dio si manifesti
come un desiderio di essere uno con la sua creatura. Cristo realizzerà appieno tale
desiderio del Padre, dapprima attraverso l’incarnazione, prendendo la natura umana, e
poi attraverso l’inabitazione per opera dello Spirito Santo.
Nella frase “il mio intimo freme di compassione” sta tutta la cifra del concetto
di misericordia divina. Tale espressione allude inoltre in maniera esplicita alla fonte di
tale misericordia, che non può non essere che un atto di amore puro e sovrabbondante,
un atto d’amore che genera vita e che noi conosciamo come Dio. Tale concetto si
comprende meglio soffermandoci un attimo sulla etimologia ebraica della parola
rachamim.
«La parola rachamim appartenente alla tradizione biblica, racchiude in sé la radice e la pienezza
di ciò che indichiamo parlando di Misericordia. Formata da rehem ( )םחרutero e mayim ()םימ
acque ci parla di un grembo che è quello di Dio, in cui ciascuno di noi è perennemente generato.
Il vocabolo rahamim ( )םימחרè poi, sostanzialmente, il plurale di rehem, un accrescitivo che sta a
indicare l’insieme di tutti gli uteri, anzi: l’utero per eccellenza, quello appunto divino. Dio che,
radice e fonte generativa di ogni amore, come padre e madre ci plasma. Proprio attraverso la
parola rachamim conosciamo quell’accento materno di Dio che ama e che non può fare a meno di
amare; come una Madre, le cui viscere fremono di compassione e timore davanti al proprio figlio,
dinnanzi al mistero di un tu che, visceralmente parte di lei, è altro da sé...» 23.
Nel giorno del Signore si realizza l’effusione universale dello Spirito. Questo
invio dello spirito su ogni uomo è stato sempre considerato dalla Chiesa come una
profezia della Pentecoste. Dio si comunica all’uomo come spirito. Attraverso lo spirito
Dio vive nell’uomo, l’amore divampa nel cuore dell’uomo. Tale dono pertanto viene
elargito senza distinzioni di classi sociali, Dio-Amore non fa discriminazioni e si offre
a tutti coloro che sono disposti a riceverlo. Inoltre a tale dono dello spirito viene
associato il carisma della profezia, attraverso sogni e visioni. Chi riceve Dio-Amore
nello spirito, viene come infiammato da tale amore e quindi non può non trasmetterlo
nella predicazione. Lo spirito è pertanto causa di rinnovamento interiore, perchè porta
Dio nel deserto dell’anima dell’uomo e fa sgorgare da esso fiumi di acqua viva. Infine
l’effusione dello Spirito e legato al concetto di salvezza. Lo spirito ci fa invocare il
nome del Signore e «chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato» (Gl 3,5).
La salvezza, nella sua accezione positiva, è la presenza di Dio nell’uomo per lo Spirito
Santo. Lo Spirito, che realizza l’inabitazione di Dio-Amore nell’uomo, realizza di
fatto questa salvezza. L’amore di Dio in Gioele, pertanto, si concretizza in un giorno
storico in cui Dio decide di inviare il suo Spirito su ogni uomo, spirito a cui è
asssociata la salvezza, il carisma della predicazione e il rinnovamento interiore. Infine
nel libro di Daniele è degno di nota il fatto che l’amore è usato come argomento a cui
appellarsi a Dio nelle suppliche di liberazione a Dio. Nel capitolo 3 si invoca Dio di
non abbandonare il suo popolo per amore del suo nome e per amore dei patriarchi:
«Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non infrangere la tua
alleanza, non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico, di
Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo» (Dn 3,34-35). Nel capitolo 9 invece si invoca
Dio di perdonare il suo popolo sempre appellandosi all’amore che Dio deve a se
stesso: «Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio,
per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul
tuo popolo» (Dn 9,19). Vediamo in questi due testi un duplice movimento dell’amore
di Dio. Il primo movimento è rivolto verso se stesso mentre il secondo verso il popolo
24
Elie ASSIS, The Book of Joel: a Prophet between Calamity and Hope, New York: Bloomsbury, 2013,
pp. 201-211.
17
della promessa. L’amore che Dio deve al popolo si configura come la diretta
conseguenza dell’amore che Dio a per se stesso: Dio amandosi ama. Sembra pertanto
che il popolo voglia quasi spingere Dio a volgersi a se stesso e riconoscere che la sua
natura è l’amore e che pertanto in base a tale natura non può non amarlo.
Questo testo della lettera agli Ebrei fa da perfetto collante tra Antico e Nuovo
Testamento. Si riassume in poche parole l’operato di Dio nell’Antico Testamento. Dio
aveva parlato molte volte e in diversi modi agli uomini dell’Antico Testamento, ma
ora si rivela totalmente nel Figlio. Il Figlio è la rivelazione ultima e definitiva di Dio
all’umanità. Non vi sarà più una molteplicità e una varietà di rivelazioni come nei
tempi antichi, ma Dio si rivela solo in Gesù Cristo e chi lo cerca lo può trovare solo in
Gesù Cristo. Da tale assunto che ci viene offerto nell’incipit della Lettera agli Ebrei
promana il nostro criterio di analisi. Infatti, Gesù Cristo, per mezzo del quale Dio ha
parlato ultimamente «è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza»
(Eb 1,3). Questo significa che per conoscere la sostanza di Dio, ovvero per capire di
che cosa sia fatto Dio, basta guardare a Gesù Cristo Figlio, rivelazione piena
dell’essenza del Padre. Questo sarà il nostro criterio di ricerca: guardare a Cristo. Nel
capitolo 14 del vangelo di Giovanni, Filippo chiede a Gesù: «Signore, mostraci il
Padre e ci basta» (Gv 14,8) e la risposta del Signore a Filippo rende l’idea di quello
che sarà il criterio di ricerca del nostro studio: «Da tanto tempo sono con voi e tu non
mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Allora in
questa sezione del nostro studio guarderemo a Gesù che rivela il Dio-Amore. Questo
lavoro sarà per noi una marcia di avvicinamento alla prima tappa ufficiale della via
28
Cf. Victor Paul FURNISH, Alan RICHARDSON and Others, Love command in the New Testament,
London: SCM Press,1972, pp. 132-158; Raymond E. BROWN, The community of the beloved disciple:
the life, loves, and hates of an individual church in New Testament times, New York: Paulist
Press,1979, pp. 60-61, 87-94, 131-135; David JACKMAN, The Message of John's Letters: living in the
love of God, Leicester: Inter-Varsity Press,1992, pp. 110-132; Daniel J. HARRINGTON, Jesus the
revelation of the father's love: what the New Testament teaches us, Huntington: Our Sunday Visitor,
2010, pp. 73-86; Giovanni RINALDI, Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia: Morcelliana,1971,
pp. 482-488.
20
caritatis, ovvero la letteratura giovannea in cui il Dio-Amore verrà presentato in
maniera non più indiretta e mediata ma verrà sigillato nella sublime affermazione
«Dio è Amore» del capitolo 4 della prima lettera di Giovanni.
29
BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, p.31
21
L’accoglimento del Figlio come dono gratuito del Padre generà umiltà e rifiuta ogni
orgoglio o fierezza fondata sul proprio merito. E questo è un altro punto essenziale
della dinamica del dono gratuito di Dio: l’uomo non ha fatto niente per meritarlo.
L’amore di Dio non è una risposta a qualche atto religioso dell’uomo ma come dice
l’apostolo Paolo: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre
eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Inoltre è bene ricordare
che in questa storia di amore tra Dio e l’uomo l’iniziativa è sempre di Dio infatti «non
siano stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio
come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10). Un’altra caratteristica di
questo dono del Padre è la sua definitività. Cristo è la rivelazione definitiva dell’amore
di Dio per l’uomo. Non c’è bisogno di ulteriori manifestazioni o di segni aggiuntivi:
Cristo incarnato, morto e risuscitato è il segno definitivo. Questo segno è offerto alla
fede degli uomini. L’uomo è chiamato nella fede ad accettare questa proposta d’amore
definitiva oppure a rifiutarla. Così se Dio è amore e se questo amore si offre nel Dono
del Figlio all’uomo peccatore, questo implica una risposta da parte di ogni uomo.
Nessun uomo è indifferente all’amore spinto all’estremo sacrificio di se stesso per il
bene dell’amato. Tuttavia il cuore dell’uomo è un abisso profondo e misterioso che
può produrre anche e spesso una risposta negativa a questo amore. Questo fatto
turbava molto San Francesco ad esempio e lo portava a gridare per le strade «l’Amore
non è amato». Questo è il grande mistero della libertà dell’uomo e tuttavia è esso
stesso un mistero d’amore. Quella libertà, che è dono di Dio è la leva che permette
all’uomo di partecipare alla dinamica dell’amore. Come già detto il vero amore è un
amore senza costrizioni.
Abbiamo visto fin qui nel Nuovo testamento come l’amore, che è Dio, viene
manifestato nell’atto di donazione operato dal Padre che offre il Figlio all’umanità per
la sua salvezza. Tuttavia, come già accennato, è anche nella vita, nelle parole e
nell’opere di Cristo stesso che tale amore divino rifulge agli occhi del mondo. Infatti
«con la sua stessa esistenza Gesù è rivelazione concreta dell’amore, […] Gesù è Dio
che viene a vivere in piena umanità il suo amore ed a farne sentire l’appello ardente.
Nella persona di Gesù l’uomo ama Dio e ne è amato». 30 Vedremo così come questo
amore divino in Gesù si sia manifestato nella sua vita terrena, e come ancor più tale
amore sia rifulso nella sua morte in Croce.
Nell’intera vita di Gesù sono riscontrabili due movimenti che descrivono la
sua forma di amare, uno che va verso il Padre e l’altro rivolto a tutti gli uomini. La
30
Claude WIENER, « Amore » Dizionario di Teologia Biblica, p.48.
22
vita di Cristo è relazionalità totale. Cristo è sempre per l’Altro e per gli altri e mai per
se stesso. Nel rapporto col Padre vediamo che Gesù sin dall’inizio si dona totalmente
a lui. Ai genitori che lo cercavano nel tempio di Gerusalemme Gesù fanciullo
risponde: «perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del
Padre mio?» (Lc 2,49). L’amore per il Padre diviene così un occuparsi delle sue cose,
ovvero una dedizione totale alla missione che proprio il Padre gli ha affidato. Il Figlio
ama il Padre nella preghiera in cui cerca l’intima unione con lui. Sappiamo che Gesù
pregava al mattino presto (cf. Mc 1,35) e che la sua vita attiva andava di pari passo ad
una profonda vita contemplativa. La preghiera è cercare l’amato, chiamarlo, invocarlo
e una volta incontrato dialogare con lui e a lui essere unito spiritualmente. In questo
senso la preghiera si configura come una delle più alte forme di amore. Un’altra forma
di amore che riscontriamo in Gesù nei confronti del Padre è il ringraziamento.
Leggiamo nel Vangelo di Matteo: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della
terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»
(Mt 11,25). Il ringraziamento è un moto dell’anima che, riconosciuto il beneficio
ricevuto gratuitamente, si protende verso colui che tale beneficio ha concesso, con
parole di lode e gratitudine. Con il ringraziamento Cristo esprime il suo amore al
Padre da cui è stato generato e dal quale tutto ha ricevuto. Cristo inoltre esprime
l’amore verso Dio attraverso una perfetta conformità alla sua volontà. Cristo stesso
affermerà che il suo cibo è fare la volontà di colui che l’ha mandato e di compiere la
sua opera (cf. Gv 4,34) e in un altro passo ricorda: «sono sceso non per fare la mia
volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38). Compiere la volontà di
Dio significa amarlo concretamente nella storia. Rinunciare alla propria volontà, ai
propri progetti, al proprio desiderio di realizzazione, per portare a compimento la
volontà di Dio nella propria vita è una forma di amore. Cristo ha portato all’estremo
questa forma di rinuncia totale a se stessi e attraverso il suo sacrificio la volontà
salvifica del Padre è giunta a compimento. Infine l’ultimo aspetto che lega il Padre e il
Figlio in una relazione d’amore profonda è quello dell’ascolto. Gesù è continuamente
in ascolto di Dio e vive della sua Parola: «colui che mi ha mandato è veritiero e le
cose che ho udito da lui, le dico al mondo» (Gv 8,26). Anche qui la disponibilità ad
accogliere la parola di Dio equivale all’essere disponibile al suo amore, alla sua guida
e alla sua istruzione. Gesù ascolta il Padre e gli uomini, la sua totale relazionalità, che
è un darsi completamente agli altri, si realizza anche attraverso la pratica dell’ascolto.
Nel rapporto con gli altri uomini riscontriamo in Gesù la totale donazione di sé. La
vita di Gesù è interamente donata non solo ai suoi amici ma a tutti gli uomini,
compresi i nemici. Nel Vangelo di Marco leggiamo infatti: «Il Figlio dell’uomo infatti
non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per
molti» (Mc 10,45). L’amore in Cristo assume la modalità del servizio e del sacrificio
di sé per gli altri. Per questo vediamo nell’agire di Gesù un amore disinteressato che si
23
concretizza nel fare il bene soprattutto a chi soffre. Egli guarisce i malati, scaccia via i
demoni, dà da mangiare alle folle affamate e le nutre soprattutto con il suo
insegnamento. Gesù si prende cura delle categorie più indegne e disprezzate della
società ebraica perciò non disdegna di mangiare con pubblicani e peccatori e non si
scandalizza di fronte ai peccati delle prostitute. Gesù inoltre ama gli scribi e i farisei
che gli erano apertamente nemici. La denuncia del loro legalismo ipocrita e privo di
carità non è altro che una chiamata a conversione, in quanto l’ammonimento e la
correzione sono anch’essi una forma d’amore. Infine l’amore di Cristo per gli uomini
si esprime attraverso la particolare chiamata alla sequela che egli fa per alcuni di essi.
Cristo li chiama gratuitamente conoscendo le loro debolezze e sapendo che
l’avrebbero tradito e abbandonato, ma l’amore che è Dio, prende su di sé il peccato
degli altri e ne trasforma i cuori attraverso il perdono e la misericordia.
Sulla croce l’amore, che è Dio, rifulge in maniera mirabile e assoluta.
Gesù stesso durante la sua vita pubblica aveva apertamente dichiarato che «nessuno ha
un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). La
rivelazione definitiva dell’amore di Dio per l’uomo passa per il sacrificio di Cristo. Le
fasi di questa rivelazione dell’amore sono descritti da Luca come segue: «Il Figlio
dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato[…]venire ucciso e risorgere il terzo
giorno» (Lc 9,22). Amare significa portare su di sé il peccato degli altri soffrendo,
venendo rifiutato e ucciso barbaramente, per dimostrare attraverso la risurrezione che
l’amore è più forte della morte, che l’amore vince la morte, perché quell’amore per cui
si muore è Dio stesso. In un altro passo Luca è ancora più esplicito è parla della
necessità che il «Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori» (Lc 24,7).
L’idea del lasciarsi consegnare indica una passività assoluta di Cristo che non si ribella
ma si lascia condurre al macello come agnello mite che non apre la bocca. Cristo ci
rivela l’amore anche in questa forma per noi così incomprensibile. Non resiste al male
e fa morire il male in sé. Tale amore deve passare per la tentazione e per l’apparente
silenzio di Dio. L’amore di Cristo per gli uomini si compie nella radicale solitudine
umana e nell’abbandono di tutti. Cristo poi, con i chiodi che gli trapassano le mani e i
piedi, straziato dal dolore e quasi soffocato dal peso del suo corpo sussurra parole di
perdono per i suoi persecutori e quasi a volerli scusare dice: «Padre, perdona loro
perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Sulla croce Cristo ci mostra la forma
più alta e più difficile di amore, quello per il nemico. Per di più Cristo crocifisso rivela
che amare è obbedire alla volontà del Padre obbedendo egli fino alla morte di croce
(cf. Fil 2,8). Cristo sulla croce porta all’estremo l’amore per l’uomo, lo eleva alla vetta
più alta infatti egli ama i suoi fini alla fine (Gv 13,1). Così vediamo in Cristo
crocefisso compiuta la Legge, ovvero lo shema, che richiede ad ogni pio israelita di
amare Dio con tutto il cuore con tutta la mente e con tutte le forze (cf. Dt 6,5) e il
prossimo come se stessi. Sulla Croce la relazionalità di Cristo rifulge ancor di più in
24
tutta la sua pienezza: Cristo si offre liberamente e completamente al Padre nel
sacrificio della croce e si dona totalmente all’umanità peccatrice per redimerla,
attraverso tale sacrificio. Pertanto il Calvario può essere definito il luogo della
manifestazione perfetta dell’amore che è Dio, infatti come ricorda San Bernardo
Abate: «Attraverso le ferite del corpo si manifesta l'arcana carità del suo cuore, si fa
palese il grande mistero dell'amore, si mostrano le viscere di misericordia del nostro
Dio».31
31
SAN BERNARDO ABATE, Sermone 61,3-5, in Sermoni sul Cantico dei Cantici, vol. 2, Roma: Città
Nuova, 2008, p 151.
32
Cf. Jesus LOPEZ-GAY, Lo Spirito Santo e la missione, Roma: Pontificia Universita’ Gregoriana,
1995, pp. 11-21.
25
amore in cammino verso la pienezza dell’amore che è Dio stesso. In tale orizzonte
sempre l’apostolo Paolo affermerà: «Adesso noi vediamo in modo confuso, come in
uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo
imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor
13,12). Questo amore ci prepara all’incontro definitivo con il Dio-Amore, nel quale
anche noi ameremo come siamo stati amati da Dio in una comunione totale con la
Trinità e l’umanità intera.
I segni della fede cristiana adulta sono l’amore e l’unità. Gli uomini che in
Cristo si amano e in Cristo sono una cosa sola, rivelano al mondo che Dio è amore.
Questo concetto viene espresso apertamente dall’evangelista Giovanni come segue:
«E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una
sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai
mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17, 22-23).
Tale concetto viene reso in maniera ancor più chiara dalla descrizione della
prima comunità cristiana che troviamo negli Atti degli Apostoli:
«Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e
nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli
apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro
proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2, 42-45).
33
Cf. Junyang PARK, Pneumatology: The Lord and Giver of life, Seoul: Catholic University Press,
2019, pp. 46-75 (in coreano); George PANICULAM, Koinonia in the New Testament: A dynamic
expression of Christian life, Rome: Biblical Institute Press, 1979; Pier Cesare BORI, Koinonia: L’idea
della comunione nell’ecclesiologia recente e nel Nuovo Testamento, Brescia: Paideia, 1972.
26
a noi la sua gloria come lui l’ha ricevuta dal Padre. Ci ridona l’intimità con Dio che
avevamo perduto. In virtù della natura divina che ci è data in Cristo, siamo divenuti
uno con lui. E in Cristo siamo inseriti nella trinità e fatti uno con Dio per lo Spirito
Santo. Il frutto di questa comunione dell’uomo con Dio genera l’unità fra quegli
uomini che hanno ricevuto nel battesimo la presenza di Cristo in sé per lo Spirito
Santo. La pericope di Gv 17,23 approfondisce di più il senso di questa unità e
introduce quello che in seguito verrà definito dalla teologia trinitaria con il concetto di
pericoresi.34Abbiamo qui, per così dire, due pericoresi, la prima del Figlio nell’uomo e
la seconda del Figlio nel Padre. Il fondamento dell’unità pertanto è dato dal fatto che i
cristiani compenetrati da Cristo sono inseriti in Dio, cioè nell’amore. Da questa doppia
pericoresi scaturisce la perfezione nell’unità dei cristiani. Il mondo vedendo l’unità dei
cristiani crederà che Cristo è il Figlio di Dio e che Dio ama i cristiani come ama il suo
Figlio unigenito. Cioè l’amore fraterno e l’unità dei cristiani rivelano al mondo che
Dio è amore o che, viceversa, l’amore fraterno e l’unità trovano il loro fondamento
ultimo solo in quell’amore assoluto ed esistente che è Dio. Se definiamo la fede come
quell’atto di disponibilità dell’uomo ad accogliere in sé la presenza del Dio-Amore,
allora l’affermazione che l’amore e l’unità sono i segni della fede diviene più chiara.
La presenza dell’amore di Dio nel cuore dell’uomo è la fonte dalla quale l’uomo
stesso attinge l’amore per il prossimo. L’amore cristiano è l’amore di Cristo stesso.
Nel cristiano è Cristo stesso che vive come ci ricorda l’apostolo Paolo: «Sono stato
crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,19-20). Così da
una parte amo il prossimo con l’amore di Cristo, e d’altro canto amo Cristo nel
prossimo. In virtù di tale presenza di Cristo nel cristiano e nel prossimo, e in virtù
della relazione di amore che si instaura fra loro nell’amore di Cristo, si delinea una
totale unità dei cristiani in Cristo. Tale amore e unità, che abbiamo definito come
segni della fede cristiana adulta, trovano il loro fondamento proprio in quel Dio-
Amore fonte ed origine di ogni cosa, al quale il cristiano partecipa in Cristo Gesù.
34
Il concetto di pericoresi deriva termine greco περιχώρησις, pericóresis, "penetrazione", derivato di
περιχωρέω, pericoréo, "ruotare", "movimento circolare", in latino circuminsessio, ed indica la
compenetrazione reciproca e necessaria delle tre persone divine nella Trinità, sulla base dell'unità di
essenza in Dio. Le tre ipostasi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo "si muovono l'una nell'altra",
ossia si appartengono a vicenda. Tale termine è stato applicato alla Trinità per la prima volta da
Giovanni Damasceno: «Il rimanere e il risiedere l'una nell'altra delle tre persone significa: esse sono
inseparabili e non vanno staccate e hanno tra loro una compenetrazione (pericóresis) senza
mescolanza, non in modo che esse si fondano o si mescolino ma in modo che esse si congiungano. Il
Figlio è cioè nel Padre e nello Spirito e lo Spirito nel Padre e nel Figlio e il Padre nel Figlio e nello
Spirito senza che abbia luogo una fusione o una mescolanza o una confusione. Uno e identico è il
movimento, poiché lo slancio e il movimento delle tre persone è unico, ciò che non si può notare nella
natura creata.» (De fide orthodoxa, I, 14). Esso viene ribadito e sancito ufficialmente nel Concilio di
Firenze (1439-1442): «Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio è
tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio»
(Decretum pro Iacobitis, DS 1331).
27
2.5. IL CONCETTO DI αγάπη
In conclusione di questo capitolo è necessario esplicitare, alla luce di quanto
rivelatoci dalla Scrittura, cosa intendiamo con il termine αγάπη. Giovanni affermando
che Dio è αγάπη cosa vuole significare? A quale forma di amore si riferisce? E questa
forma di amore come si differisce dalle altre forme di amore? Quale è in definitiva la
caratteristica peculiare dell’αγάπη che fa sì che essa possa essere associata in forma
predicativa al nome di Dio? L’apostolo Paolo nel capitolo 13 della prima lettera ai
Corinzi ci dà una descrizione di cosa è αγάπη.
«La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia
d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1 Cor 13, 4-8).
35
Il nome greco ἀγάπη (con lettera "eta" finale) è già attestato in opere cristiane: nella Bibbia dei
Settanta (285-246 a.C.) col significato (unico) di "amore", "affezione", "oggetto di amore", "carità"; e
col significato ulteriore di agape (non tradotto in italiano), inteso come convito dei cristiani. Come
sostantivo in autori classici lo troviamo di nuovo nell’ Iliade, ἀγάπ-ἦvωρ, -oσ (III declinazione):
"amante della virilità", "virile", "coraggioso". Il verbo greco ἀγάπἀω (con lettera "omega" finale) è
abbondantemente citato in autori della Grecia Classica non cristiana, dove in modo del tutto simile al
nome da esso foneticamente e grammaticalmente derivato, può avere uno dei seguenti due significati:
1) riguardo a persone: "accolgo con amore", "tratto affabilmente", "con affetto", "amorevolmente",
"amo", "ho caro": già dal tempo di Omero e seguenti, indicando amore di protezione, cura,
benevolenza, piuttosto che passione (e perciò equivale al latino diligo, piuttosto che al verbo amo), in
Euripide (485-406 a.C.) così come nel filosofo Platone (428-348 a.C.). 2) riguardo a cose: "sono
contento", "soddisfatto" (prosatori attici); "preferisco", "tengo in maggior conto" in Demostene (384-
322 a.C.) e nell'oratore Licurgo (VIII secolo a. C.). cfr. ROCCI, L., Vocabolario Greco-Italiano,
Società Editrice Dante Alighieri, Città di Castello (Perugia), 1993, p. 6.
36
Battista MONDIN, B., La Trinità mistero d’amore, Bologna, EDS, 2010, p. 277.
28
stesso ma aperto alla trascendenza e all’altro fino al punto di essere lieto nel
sacrificare la propria esistenza in favore di quella altrui. In tal senso l’amore può
essere considerato come estasi «come cammino, come esodo permanente dall’io
chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il
ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio»37. A tale concetto si oppone
apparentemente il concetto di ἔρως. Questo è essenzialmente «amore egoistico ed
egocentrico, è l’amore volto alla propria autorealizzazione». 38 L’ἔρως vuole possedere
l’oggetto del suo amore ed è riferibile ad una dimensione più materiale che spirituale
delle relazioni interpersonali. Da questo punto di vista l’ἔρως è visto come elemento
caratterizzante della cultura greca, mentre il concetto di αγάπη è sicuramente il fulcro
della cultura cristiana. Tale dicotomia si articola così in un rapporto di antitesi tra
quello che Giovanni chiamerà “il mondo” e la civiltà dell’amore, ovvero la schiera
degli eletti che seguono l’Agnello. Tuttavia questa contrapposizione tra ἔρως e αγάπη
è il frutto dello stravolgimento dell’ordine divino generato dal peccato originale.
Infatti l’ ἔρως e αγάπη sono due movimenti interni alla dinamica dell’amore. Entrambi
sono voluti da Dio. L’amore di Dio per il suo popolo infatti può assumere a tratti
carateristiche di ἔρως. Dio vuole possedere il suo popolo esclusivamente e non vuole
dividerlo con altri dei. Dio è geloso del suo popolo e non permette che questi lo
tradisca con gli idoli. L’ἔρως è il primo momento di questa dinamica:
L’αγάπη e l’ ἔρως sono indivisibili tra loro. il primo designa il desiderio del
donarsi nell’atto di amare mentre il secondo designa il desiderio sconfinato dell’uomo
di ricevere l’amore. L’αγάπη si inserisce nell’ ἔρως purificandolo ed indirizzandolo
alla scoperta della pienezza dell’amore che dando se stesso per l’altro viene colmato
anche nel ricevere. In fine un’ultima distinzione che occorre fare è quella tra i concetti
di αγάπη e φιλία. Quest’ultimo deve essere tradotto con l’espressione “amore
fraterno” ed è riconducibile al concetto di amicizia, così come esposto da Aristotele
nell’ Etica Nicomachea. È un amore squisitamente umano che si fonda su un legame
sentimentale di affezione derivante da una comunione di interessi, passioni e opinioni.
La differenza di intensità che caratterizza αγάπη e φιλία viene resa mirabilmente ad
esempio dall’apostolo Giovanni nell’epilogo del suo vangelo in cui riporta il dialogo
tra Gesù e Pietro (Cf. Gv 21,15-19). Operata questa triplice distinzione e definita in
37
BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, p.18.
38
Ibid.
39
BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, p.20.
29
maniera netta cosa intendiamo per αγάπη alla luce del Nuovo Testamento siamo ben
equipaggiati per intraprendere il nostro cammino sulla via Caritatis.
Capitolo II
LA DEFINIZIONE «DIO È AMORE»
NELLA PRIMA LETTERA DI GIOVANNI
L’apostolo Giovanni è il cantore sublime del Dio che si rivela come agape. Gli
scritti dell’apostolo che posò il capo sul petto del Signore sono il culmine della
rivelazione del Dio-amore e segnano l’inizio di quel cammino intrapreso da numerosi
teologi, che chiameremo Via Caritatis. Giovanni scrive alla luce dell’esperienza della
Pasqua e dell’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente e pertanto può
affermare che l’essere stesso di Dio è amore. Come ricorda il Catechismo infatti:
«Mandando, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio unigenito e lo Spirito d’amore, Dio
rivela il suo segreto più intimo: è lui stesso eterno scambio d’amore: Padre, Figlio e
Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi» (CCC 221). Giovanni, testimone
scelto della rivelazione del Verbo proclama:
«quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che
contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita…quello che abbiamo
veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi»
(1Gv 1,1-3).
30
1. IL CONCETTO DI αγάπη IN GIOVANNI
Quello di αγάπη è un termine caratteristico della letteratura giovannea e in
particolare delle lettere. Se analizziamo le statistiche di ricorrenza di questo termine e
delle forme da esso derivante ci accorgiamo che αγάπη ricorre 21 volte, di cui 18 in
1Gv, ἀγαπᾶν 31 volte, di cui 28 in 1Gv. Questo significa che un quinto dell’uso di
queste parole nel Nuovo testamento si trova nelle lettere di Giovanni. 40A questi
termini deve essere aggiunto il termine Ἀγαπητος che ricorre nelle lettere 10 volte. Il
significato di questo termine nel contesto del corpo giovanneo è ben descritto dalle
parole del Brown:
«Ἀγάπη non è un amore che si origina nel cuore umano e che cerca di arrivare a possedere nobili
beni necessari per la perfezione; esso è amore spontaneo, immeritato, creativo che scende da Dio
al cristiano, e dal cristiano a un altro cristiano». 41
Giovanni sa, a partire dalla sua storia, e dall’esperienza del suo popolo che la
rivelazione di Dio avviene in maniera graduale. Dio infatti entra in un dialogo
d’amore con l’uomo, si china su di lui, gli parla, lo chiama, agisce nella sua vita.
L’uomo così a partire da questa esperienza concreta di Dio riesce ad avvicinarsi,
guidato dallo Spirito, al mistero di Dio stesso. Giovanni, che ha fatto esperienza
diretta della carità, già nel suo vangelo aveva affermato che Dio, donando suo figlio,
si rivela come colui che dona per amore (cf. Gv 3,16).
Inoltre, Giovanni nel suo Vangelo ci aveva anche descritto la vita interiore
della trinità, ovvero quel dialogo d'amore assoluto che intercorre tra il Padre e il Figlio
nello Spirito Santo, rivelando in tal modo che il Padre e il Figlio sono una cosa sola
dall'eternità (cf. Gv 10,30; cfr. 17,11.21s). Infine, nel prologo al suo vangelo,
Giovanni proclama che Gesù Cristo, il Figlio, è Dio stesso (cf. Gv 1,1) e che il Figlio
unico «che è nel seno del Padre», ci fa conoscere il Dio che «nessuno ha mai visto»
(Gv 1,18). Tutte queste affermazioni sono il preludio alla formulazione di quella che
può essere considerata la più alta affermazione della natura divina: «Dio è amore» (1
Gv 4,8.16). La pericoresi del Padre e del Figlio nello Spirito Santo è la condizione di
possibilità e il fondamento di tale affermazione. Il Figlio è nel Padre e pertanto può
rivelare al mondo l’intima natura del Padre stesso. Dio pertanto non può che essere
definito come amore, perché tutto quello che il Figlio ha detto e ha fatto durante la sua
vita terrena, è amore. Giovanni così nel suo vangelo ci spiega in maniera “tecnica”
quale teologia si celi dietro alla misteriosa identità tra il Padre e il Figlio, ovvero la
teologia dell’amore. La teologia è appunto un tentativo umano di parlare di Dio, di
rendere attraverso le parole ciò che l’uomo ha conosciuto di Dio attraverso la fede e
fra «tutte le parole umane, con le loro ricchezze e i loro limiti, è la parola “amore”
40
Cf. Raymond E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, C. Benetazzo (tr.), Assisi: Cittadella Editrice,
gennaio 2000, p. 360.
41
Ibid.
31
quella che può lasciarci intravedere meglio il mistero di Dio Trinità, il dono reciproco
ed eterno del Padre, del Figlio e dello Spirito».42
42
Claude WIENER, « Amore » Dizionario di Teologia Biblica, p.48.
43
Cf. Raymond E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, p. 19: secondo Brown la prima lettera di
Giovanni segue questo schema: Prologo (1,1-4), Parte uno (1,5 – 3,10): il Vangelo che Dio è luce, e
noi dobbiamo camminare nella luce come Gesù. Parte due (3,11 – 5,12): il vangelo che dobbiamo
amarci l’un l’altro come Dio ci ha amato in Gesù Cristo. Conclusione (5,13 – 21): un’asserzione
dello scopo dell’autore.
44
Cf. Raymond E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, pp. 599-872: 1) Il vangelo dell’amore vicendevole
(3,11-24). 2) Gli spiriti di verità e di inganno e i loro rispettivi seguaci (4,1-6). 3)Amarsi l’un l’altro è
il modo di dimorare in Dio e di amarlo ( 4,7 - 5,4a). 4)La fede vincitrice del mondo e il ruolo della
testimonianza ( 5,4b-12). 5)La conclusione (5,13-21).
32
quale crede.45 Ora attraverso questo atteggiamento di disponibilità l’uomo è pronto ad
accogliere la presenza di Cristo in lui. E chi osserva questi comandamenti «rimane in
Dio e Dio in lui» (1Gv 3,24). E la garanzia che Cristo dimora in noi ci viene data dalla
presenza dello Spirito che abbiamo ricevuto. Tale uomo, nel quale per lo Spirito
Santo, il Padre e il Figlio dimorano in lui, è una nuova creazione, un alter Christus,
ovvero un Cristiano che può amare, cioè dare la propria vita per gli altri, perché
ancorato alla fonte che è Dio-amore. Nella seconda parte della sezione troviamo un
invito accorato al discernimento degli spiriti e un avvertimento a guardarsi dagli
anticristi e dal mondo. Di fronte all’anticristo il cristiano non deve temere perché colui
che è presente nel cuore del cristiano, ovvero quel Dio che è amore, «è più grande di
colui che è nel mondo» (1Gv 4,4).
La terza sezione (1Gv 4,7 - 5,4a) è quella in cui viene rivelato alle genti il
nome di Dio e la sua intima essenza agapica. Tale rivelazione viene effettuata usando
il metodo della dimostrazione a partire dall’argomento dell’amore fraterno. Si
potrebbe quasi intendere come una dimostrazione dal basso di ciò che è la più alta
affermazione su Dio. In questa sezione della lettera risuona fortemente l’aspetto
comunitario della teologia giovannea. Il dio-amore di Giovanni vive nell’unità e
nell’amore reciproco della comunità cristiana.
36
vita e perdono dei peccati»53. Amare «così» come dice Giovanni, significa che anche
noi siamo chiamati ad amare l’altro come Cristo ci ha amati, cioé dando la nostra per
lui. L’amore non è qualcosa di astratto o platonico, ma un atto concreto che si compie
nella storia. Tuttavia questa storicità e concretezza dell’amore quale atto che si
realizza nella vita reale degli uomini ci fa pensare a quali rischi corra la nostra società
contemporanea che vive alienata in realtà virtuali. Inoltre questo atto richiede una
risposta e suscita imitazione. Non si può rimanere indifferenti nei confronti di un atto
d’amore. L’indifferenza stessa infatti è un atteggiamento di rifiuto dell’amore. Per di
più l’intensità del donarsi nell’atto dell’amante smuove il cuore dell’amato a prodursi
nello stesso tipo di atto, che si apre così al prossimo. Possiamo così vedere in questo
versetto i due movimenti che caratterizzano l’amore, il primo verticale, che discende
da Dio all’uomo, il secondo orizzontale che è l’amore fraterno.
3.4. DIO-AMORE IN CRISTO PER LO SPIRITO SANTO DIMORA NEL CUORE DEI
CRISTIANI
53
Raymond E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, p. 708.
37
solo, lo Spirito ci dice che Cristo è il salvatore del mondo inviato dal Padre: «Quanto a
noi abbiamo visto e possiamo testimoniare che il Padre ha mandato il suo Figlio come
salvatore del mondo» (1Gv 4,14).
55
La parola greca διάβολος è una derivazione dal verbo greco διαβάλλω che significa
“disunisco”,”accuso”, “calunnio” ed è il contrario del verbo συμβάλλω che invece significa “unisco”,
“metto in collegamento”. Da qui il diavolo viene definito come colui che divide o anche come colui
che accusa.
56
Cf. Gv 13,34; 15,12.17; 1Gv 3,23; 2Gv 5.
40
Capitolo III
IL DIO-AMORE NEL DE TRINITATE DI SANT’AGOSTINO DI IPPONA
Il De Trinitate di Agostino è appunto questo: una ricerca del volto di Dio sulla
via dell’amore. Il concetto di Dio-Amore, come vedremo, è la chiave di volta della
riflessione teologica di Agostino sulla Trinità. Egli trova nell’agapicità divina il
principio di unità del Dio trino e la condizione di possibilità di tale trinitarietà. In tale
orizzonte verrà sviluppato inoltre un altro dei capisaldi della teologia trinitaria di
Agostino, ovvero il concetto di relazione: le relazioni del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo assurgono a oggetto distintivo, per negazione, dell’unica essenza divina.
Ma senza voler anticipare troppo i contenuti della nostra trattazione, ci limiteremo a
dire in sede di presentazione che il De Trinitate si configura come la «prima
riflessione organica sulla verità centrale della fede dopo i Concili di Nicea I e di
Costantinopoli I»58. Inoltre essendo stato scritto tra gli anni 399 e 421, tale opera
attraversa l’intero percorso teologico di Agostino, beneficiando dei progressi effettuati
dello stesso nella vita spirituale e nell’intelligenza della fede. Per di più la grande
portata dell’opera viene confermata dall’enorme influsso che essa eserciterà sulla
teologia successiva ad Agostino. Tutti coloro che rifletteranno sulla Trinità in tutte le
epoche posteriori ad Agostino non potranno fare a meno che riferirsi alla sua opera. La
fortuna del De Trinitate agostiniano è tale che anche alcuni teologi ortodossi
contemporanei attingeranno ad essa per le loro speculazioni teologiche. Tra questi
colpisce in particolare il punto di vista di Sergej Bulgakov che commentando il De
57
AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, I, 3, 5: «Ita ingrediamur simul caritatis viam, tendentes ad eum
de quo dictum est: Quaerite faciem eius semper».
58
Piero CODA, Dalla Trinità, Roma: Città Nuova, 2012, pp. 369-370.
41
Trinitate afferma: «Sant’Agostino fa una vera scoperta per la teologia trinitario-
pneumatologica: per primo esprime l’idea, assolutamente estranea alla teologia
orientale, della Santissima Trinità concepita come amore»59. Ed è questo il punto
centrale dell’opera di Agostino, la concezione della Trinità come amore. Questa è la
novità assoluta del suo pensiero: l’irruzione dell’amore nel contesto teologico del
tempo, intriso di filosofia neoplatonica. Agostino, come vedremo, compie il primo
passo e apre il cammino ad una visione diversa di Dio e ad un approccio relazionale
che porta già in nuce le successive speculazioni sulla intersoggettività e
interpersonalità divina. Il De Trinitate di Agostino è un’opera che trae corpo dalla sua
intima esperienza di Dio. Gli ultimi capitoli dell’opera sono una profonda meditazione
del mistero di Dio-Amore, che affonda le sue radici proprio nella vita contemplativa
del Santo. Infatti come ricorda il Trapè «anche nella sua penetrazione teologica, che fu
eccezionalmente profonda e sicura, ebbe un influsso prevalente l’esperienza
mistica»60. Nel De Trinitate non possiamo non notare inoltre l’aspetto carismatico
dell’opera che muove dalla cura pastorale di Agostino vescovo per il gregge
affidatogli. In tal senso l’opera appare come ispirata «ad Agostino da un impulso dello
Spirito al fine di adempiere un preciso servizio, a favore della Chiesa, d’intelligenza e
illustrazione della fede trinitaria»61. Infine il De Trinitate è frutto anche della intensa
vita comunitaria, nella quale viveva Agostino. L’aspetto relazionale e il tema
dell’amore reciproco nella tematica trinitaria, hanno sicuramente subito l’influsso di
tale esperienza. Ricordiamo in tal senso che la dimensione della vita comunitaria è un
evento ricorrente nella vita dei tre autori che stiamo trattando in questo lavoro:
Giovanni, Agostino e Riccardo di San Vittore vivono, e traggono ispirazione per la
propria teologia, proprio da un contesto di vita comune che è il luogo dove si
sperimenta l’amore fraterno.
Vediamo qui che questo ritorno all’unità avviene attraverso un atto di amore
e di fede che ci avvince a Cristo morto e risuscitato. Ritornano anche qui come in
Giovanni questi due movimenti essenziali nella relazione con Cristo, la fede e
l’amore. Amando Cristo e credendo in lui siamo fatti uno con lui e per questo
giustificati. Il concetto di salvezza e quello di unione dell’uomo a Cristo sono
praticamente identici. E questa unione a Cristo è la porta d’accesso alla vita stessa
della Trinità ed il mezzo attraverso il quale questa partecipazione alla vita trinitaria
si realizza è l’inabitazione di Cristo nell’uomo. Cristo così facendo realizza il suo
compito di mediator unitatis: « perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei
in me e io in te, siano anch'essi in noi» (Gv 17, 21). Dimorando Cristo negli uomini
e il Padre in Lui, gli uomini vengono santificati nell’unità stessa della Trinità. Gli
uomini in Cristo partecipano alla vita del Dio trino. Questa partecipazione, secondo
Agostino, avviene al livello di natura e a quello di volontà:
«Per questo sono purificati dal Mediatore per essere “una cosa sola” in lui, non solo
nell’unità della natura, nella quale da uomini mortali “diventano uguali agli Angeli”, ma
anche per l’identità di una volontà che cospira in pieno accordo alla medesima beatitudine,
fusa in qualche modo in un solo spirito dal fuoco della carità» 70.
Ed anche:
«come il Padre e il Figlio sono “una cosa sola” non solo per l’uguaglianza della sostanza, ma
69
AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, IV, 7, 11: «et a multis exonerati veniremus ad unum, et multis
peccatis in anima mortui et propter peccatum in carnem morituri ameremus sine peccato mortuum in
carne pro nobis unum, et in resuscitatum credentes et cum illo “per fidem” spiritu resurgentes
iustificaremur un uno iusto facti unum».
70
Ibid., IV, 9: «unde mundatur per Mediatorem, “ut sint” in illo “unum”; non tantum per eamdem
naturam qua omnes ex hominibus mortalibus “aequales Angelis fiunt”, sed etiam per eamdem in
eamdem beatitudinem conspirantem concordissimam voluntatem in unum spiritum quodam modo
igne caritatis conflatam».
45
anche per la volontà, così questi che hanno il Figlio come Mediatore tra sé e Dio, siano “una
cosa sola” non soltanto perchè sono della stessa natura ma anche per la comunanza di uno
stesso amore»71.
La partecipazione alla vita della Trinità fa sì che gli uomini si amino tra loro
con lo stesso amore con cui si amano il Padre e il Figlio. Vi è una fusione della
volontà umana con quella divina che si realizza per mezzo dell’amore. L’espressione
quodam modo igne caritatis conflatam ci dice che la volontà dell’uomo viene in
“qualche modo” conformata a quella di Dio attraverso il fuoco dell’amore, ma non
ci dice precisamente in quale modo questo avvenga. Inoltre persiste qui ancora una
distinzione tra il piano dell’essere e quello dell’azione. Questa sintesi tra atto ed
essere si chiarirà in seguito nel libro ottavo dove si definirà l’essenza di Dio quale
Amore. Tuttavia quello che Agostino vuole dirci è la necessità che la grazia della
partecipazione alla natura divina «si faccia attiva nella mutua dilectio, creando tra i
discepoli una societas che, in Cristo mediatore, è partecipazione e dunque immagine
viva della Trinità»72. Qui Agostino con il termine dilectionis societatem sembra già
anticipare i contenuti del libro ottavo asserendo che l’amore è il principio costituente
sia della comunità cristiana, ma soprattutto di quella comunità di persone divine che
chiamiamo Trinità.
71
AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, IV, 9: «ut quemadmodum Pater et Filuis, non tantum aequalitate
substantiae, sed etiam voluntate “unum” sunt, ita et hi inter quos et Deum “Mediator” est Filius, non
tantum per id quod eiusdem naturae sunt, sed etiam per eamdem dilectionis societatem “unum sint”».
72
Piero CODA, Sul luogo della Trinità, p.50.
73
Battista MONDIN, La trinità mistero d’amore: «L’unico principio di distinzione tra le persone, che
ne salvaguaria allo stesso tempo l’assoluta identità a livello di esssenza e di perfezioni assolute, si
poteva rinvenire nella categoria della relazione» pp.146-147.
46
Padre né Figlio ma solo lo Spirito del Padre e del Figlio, pari anch’egli al Padre e al Figlio,
appartenente con essi all’unità della Trinità»74.
74
AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, I, 4, 7: «Pater et Filius et Spiritus Sanctus (...) non sint tres dii
sed unus deus, quamvis Pater Filuim genuerit, et ideo Filuis non sit qui pater est ; Filiusque a Patre sit
genitus, et ideo Pater non sit qui Filius est ; Spiritusque Sactus nec Pater sit nec Filius, sed tantum
Patris et Filii Spiritus, Patri et Filio etiam ipsum coaequalis et ad Trinitatis pertinens unitatem».
75
Ibid., V, 5, 6: «In deo autem nihil quidem secundum accidens dicitur quia nihil in eo mutabile est;
nec tamen omne quod dicitur secundum substantiam dicitur».
76
Cf. AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, V, 5, 6 : «Quamobrem quamvis diversum sit patrem esse et
filium esse, non est tamen diversa substantia quia hoc non secundum substantiam dicuntur sed
secundum relativum, quod tamen relativum non est accidens quia non est mutabile».
77
Piero CODA, Sul luogo della Trinità, p.59.
47
5. EXPERIENTIA FIDEI (LIBRI VIII-XV)
L’amore è una vita che unisce due esseri. Sembra che l’amore così inteso
abbia un’esistenza propria. L’essere e l’amare in Dio si compenetrano fino al
fondersi configurando così Dio non come un essere che ama, ma come un amore
esistente. Tuttavia Agostino, dopo aver intravisto nell’amore il luogo dove cercare la
Trinità, si rivolge di nuovo alla natura dell’uomo per ricercare ulteriori tracce della
Trinità nel suo spirito. Sembra che per il momento Agostino non voglia andare oltre
nel ragionamento sul mistero di Dio-Amore. Pertanto dopo aver indagato nello
spirito umano le immagini possibili della Trinità, alla fine, nel libro quindicesimo
dichiara conclusa la sua ricerca che deve inchinarsi di fronte all’impenetrabilità del
mistero d’amore che è Dio.
«Ed ecco che ora, dopo aver esercitato la nostra intelligenza sulle cose inferiori, quanto era
necessario o forse più di quanto fosse necessario, vogliamo elevarci alla contemplazione di
quella suprema Trinità che è Dio e non ne siamo capaci» 84.
Tuttavia la tematica dell’amore viene ripresa nella parte conclusiva del libro
quindicesimo che è quella dedicata allo Spirito Santo. Lo Spirito Santo viene trattato
da Agostino nell’ottica dell’inabitazione divina nell’uomo. Anche qui il testo di
riferimento è la prima lettera di Giovanni in cui leggiamo: «Da questo possiamo
conoscere che dimoriamo in lui ed egli dimora in noi: dacché ha dato a noi del suo
stesso Spirito» (1Gv 4,13). Agostino pertanto individua nello Spirito Santo il mezzo
che rende possibile l’inabitazione di Dio nell’uomo.
«È lo Spirito Santo, del quale Egli ci ha dato, che fà sì che noi restiamo in Dio e lui in noi: ora
questo è opera dell’amore. È dunque lo Spirito Santo il Dio amore» 85.
Qui Agostino non afferma che solo lo Spirito Santo sia l’amore. Il suo modo
di esprimersi appare sfumato e quello che in realtà afferma è che lo Spirito Santo è il
Dio amore e che l’opera dell’inabitazione di Dio nell’uomo è opera dell’amore che
83
AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, VIII, 10,14: « Ecce tria sunt, amans et quod amatur et amor.
Quid est ergo amor nisi quaedam vita duo aliqua copulans vel copulari appetens, amantem scilicet et
quod amatur?».
84
Ibid., XV, 6, 10: « Et ecce iam quantum necesse fuerat aut forte plus quam necesse fuerat exercitata
in inferioribus intellegentia ad summam trinitatem quae deus est conspiciendam nos erigere volumus
nec valemus».
85
AGOSTINO D’IPPONA, XV, 17, 31 : Sanctus itaque spiritus de quo dedit nobis facit nos in deo manere
et ipsum in nobis. Hoc autem facit dilectio. Ipse est igitur Deus dilectio».
50
si compie per mezzo dello Spirito Santo. Infatti, continua Agostino:
«lo Spirito Santo che procede da Dio, una volta dato all’uomo, l’accende d’amore per Dio e per
il suo prossimo, essendo lui stesso amore»86.
86
Ibid.:«Deus igitur Spiritus Sanctus qui procedit ex deo cum datus fuerit homini accendit eum in
dilectionem dei et proximi, et ipse dilectio est».
87
Cf. Piero CODA, Sul luogo della Trinità, p.70.
88
Cf p. 2.
51
Tuttavia alcuni autori negano che in Agostino, attraverso l’analogia dell’amore
umano sia possibile giungere alla definizione della Trinità come comunità di
persone89. D’altro canto altri autori non escludono che tale via fosse esclusa a priori
da Agostino. Piuttosto che egli non abbia voluto procedere oltre in tale direzione.
Secondo Balthasar i motivi per i quali Agostino non abbia continuato a battere la via
dell’intersoggettività sono da ascriversi a ragioni di tipo filosofico90. Mentre Coda
sostiene che sia stato lo stesso Agostino ad arrestare la ricerca in tale ambito
ritenendo che non fosse ancora giunto il momento di penetrarne il mistero e che
forse «nonostante la geniale intuizione di Agostino, i tempi non erano ancora
maturi»91. Pertanto la via caritatis, da Agostino in poi diviene un cammino che si
apre al futuro e che dovrà essere percorso da vari viandanti al fine di arrivare ad una
conoscenza almeno approssimativa di quello che significa Dio-Amore nella trinità
delle persone e in relazione all’uomo. Ma per raggiungere tale obbiettivo sarà
necessario «guardare al culmine d’amore di Dio per l’uomo che s’esprime nel Cristo
crocifisso»92.
89
Cf. Gilbert GRESHAKE, Il Dio unitrino, C. Danna (tr.), Brescia: Queriniana, 2005: «È vero che una
fenomenologia dell’amore umano rivela la struttura trinitaria del diligens - id quod diligitur – dilectio
– chi ama, ciò che è amato, l’amore, però Agostino riferisce tale struttura che ha riscontrato all’amore
di sé, ovvero alla vita immanente della singola anima (...) Ciò significa: la massima analogia possibile
con la vita trinitaria di Dio non consiste nella communio di persone umane – ma come già brevemente
accennato – nella struttura spirituale triadica ed autoreferenziale di una singola persona» pp. 102-103.
90
Hans Urs VON BALTHASAR H.U., Gloria V: Nello spazio della metafisica. L’epoca moderna, G.
Sommavilla (tr.), Milano, Jaca Book, 1978: «Non ultima ragione fu che la dimensione
dell’intersoggettività, su cui si fonda l’etica del vangelo, non poteva trovare nel pensiero antico una
fondazione filosofica sufficiente (...) È avvenuto così che la teologia agostiniana della caritas avesse
quale sottofondo concettuale una metafisica in gran parte neoplatonica, dunque non dialogica.», p.31.
91
Piero CODA, Sul luogo della Trinità, p.70.
92
Piero CODA, Sul luogo della Trinità, p.73
52
Capitolo IV
IL DIO-AMORE NEL DE TRINITATE
DI RICCARDO DI SAN VITTORE
La via Caritatis viene ripresa nel XII secolo da Riccardo di San Vittore.
Questi si riallaccia al filone della essenza agapica di Dio, iniziato con Agostino e ivi
prematuramente interrottosi. La via battuta da Riccardo sarà quella dell’analogia
dell’amore interpersonale quale chiave di interpretazione della vita ad intra delle tre
persone della Trinità. Il pensiero teologico di Riccardo si forma nel clima di
contemplazione e di vita comunitaria dell’abbazia di San Vittore. Questa era stata
fondata da Guglielmo di Campeaux a Parigi nel 1108 e si distinguerà per oltre
mezzo secolo quale centro di intensa ricerca teologica e profonda vita spirituale. E
sono proprio questi due aspetti a caratterizzare la scuola vittorina, ovvero da un lato
la ricerca delle ragioni necessarie delle verità rivelate e dall’altro la contemplazione
di Dio nelle stesse verità credute. Dall’abbazia di San Vittore sono usciti nomi
53
eminenti della teologia medievale quali Ugo di San Vittore e Accardo, che era
contemporaneo di Riccardo e del quale Riccardo stesso ha subito l’influenza nella
stesura del suo De Trinitate. Tale contesto inoltre favoriva un fervido scambio
intellettuale e una formazione teologica rigorosa, fedele alla scrittura, ai dogmi di
fede e alla testimonianza dei Padri della Chiesa. Così i tre pilastri su cui si forma il
pensiero trinitario di Riccardo sono la vita contemplativa, la vita comunitaria e lo
studio delle fonti nell’orizzonte della tradizione viva della Chiesa. Il suo approccio
teologico, sulla scia di Agostino93, è quello della fides quaerens intellectum, che
proprio in quel periodo storico veniva ribadito da Anselmo di Aosta 94, che lo aveva
indicato quale metodo e significato della disciplina teologica. L’obbiettivo di
Riccardo e della sua opera, in linea con il pensiero della sua scuola, è quindi quello
di «illuminare con la ragione il mistero in cui crediamo», egli infatti «cerca le
“rationes necessariae” per spiegare la Trinità»95. Egli dichiara da subito il fine della
sua opera affermando di aver letto che Dio è uno nella sostanza e trino nelle
persone, tuttavia secondo il vittorino, a suffragio di questa tesi mancano
l’esposizione di prove, le verifiche sperimentali e difettano gli argomenti. Pertanto
egli si propone di aiutare con la sua opera gli spiriti in ricerca al fine di rendere
luminoso per l’intelletto le verità che noi crediamo.96 In questo capitolo
cercheremo di analizzare approfonditamente il De Trinitate di Riccardo di San
Vittore, al fine di comprendere in quale maniera il concetto di Dio-Amore plasmi
l’immagine della Trinità e rivoluzioni il concetto di persona. Il pensiero di Riccardo
infatti si contraddistingue proprio per queste due intuizioni geniali: 1)Dio non è
soltanto essere ma è soprattutto amore, 2)Dio non è un quid ma un quis, una
persona, un io che si relaziona e un tu con cui relazionarsi, ad intra e ad extra. Il
nostro studio muoverà da un’analisi rigorosa dell’opera al fine di evidenziare
proprio questi due aspetti ricollegandoli infine con i risultati del lavoro da noi svolto
fin qui.
Riccardo è un figlio del suo tempo. Oltre ad essere un uomo di profonda vita
93
Agostino viene citato 87 volte nel De Trinitate di Riccardo. Inoltre per significare il contesto
agostiniano in cui vive il nostro autore riteniamo necessario ricordare che la stessa abbazia di San
Vittore sceglie come regola comunitaria quella di Agostino.
94
Anselmo viene citato 44 volte nel De Trinitate di Riccardo di San Vittore.
95
Luis Francisco LADARIA, Il Dio vivo e vero, M. Zappella (tr.), Casale Monferrato: Edizioni Piemme,
2007, p. 285.
96
Cf. RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, I, V (tr. M. Spinelli), Roma: Città Nuova, 1990, pp.
86-87.
54
contemplativa, è anche un accademico rigoroso e ligio alla stringente logica della
speculazione medioevale. Il punto di partenza della sua argomenntazione è il fatto
che la Trinità sia una realtà necessaria e non contingente, e pertanto a partire da una
realtà necessaria se ne posso stabilire argomenti necessari.
«Sono convintissimo, infatti, che ai fini della spiegazione di qualsiasi realtà necessaria vi siano
argomenti non solo plausibili, ma anche necessari, quantunque essi, al momento, possano
sottrarsi alla nostra attenzione»97
Ci sono dunque delle ragioni necessarie inerenti alla Trinità che in questo
momento si sottraggono alla nostra attenzione. L’intento dell’opera sarà quindi
quello di svelare tali rationes necessariae. Il fine però non è soltanto speculativo ma
soprattutto mistico e pastorale. Riccardo intende confortare i credenti nella loro fede.
Egli non vuole convincere colui che non crede attraverso dimostrazioni stringenti
del mistero rivelato, ma piuttosto egli vuole fornire al credente quei chiarimenti
necessari, tali da poter condurre la sua anima alla contemplazione di quelle verità
che sono al di sopra della ragione. Pertanto il fine della riflessione teologica di
Riccardo sarà di tipo mistico piuttosto che speculativo 98. È interessante inoltre notare
come Riccardo interpreti il rapporto tra fede e ragione. La fede lungi dal voler
togliere qualcosa alla ragione sembra invece attivarne la capacità di conoscere Dio a
partire dalle realtà create. La vita eterna viene interpretata dal vittorino quale
«conoscenza di Dio» (Gv17,3). La fede così viene definita come
«l’inizio della vita interiore in noi è quindi principio e fondamento di tutto il bene, mentre la
conoscenza è il procedere verso la vita eterna. Appropiarsi con la ragione di ciò che si crede
significa dunque mettersi sul cammino della vita eterna» 99.
97
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, I, 4, pp. 85-86.
98
Cf. Giulio D’ONOFRIO (ed.), Storia della Teologia del Medioevo II: La Grande fioritura, Roma:
Città Nuova, 2011, pp. 193-194.
99
Alberto COZZI, Manuale di dottrina trinitaria, Brescia: Queriniana, 2009, pp.507-508.
100
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, VI, 1, p. 214.
55
Notiamo che Riccardo in questo aspetto segua la via dell’interiorità già
intrapresa da Agostino, che appunto cercava nell’anima dell’uomo immagini della
Trinità. D’altro canto rileviamo nel vittorino un approccio di tipo platonico alla
realtà visibile, che è vista come il riflesso della realtà invisibile e originaria che è
Dio. Dalla fusione di questi due approcci nasce una visione triadica della realtà che
vuole significare appunto l’origine trinitaria del tutto. La realtà sperimentabile
pertanto si configura sempre di tre elementi: una determinata proprietà, il suo
contrario e un terzo elemento che funge da mediatore unificando i primi due
elementi. Questo aspetto del pensiero di Riccardo sarà fondamentale ritenerlo al fine
di comprendere la struttura delle processioni divine e in generale il sottofondo
metodologico di tutta l’opera.
2.3. L’ESSENZA DI DIO COME AMORE COME PROVA DELLA TRINITÀ DI PERSONE
102
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, I,12: «È dalla potenza dell’essere che riceve l’esistenza
tutto che sussiste nell’universo degli esseri. Però se tutto deriva da questa potenza, essa stessa non
esiste se non grazie a se stessa e non possiede nulla che non le derivi da se medesima... Se è da essa
che proviene ogni essere, è essa l’essenza suprema... È impossibile infatti dare qualcosa di più grande
di ciò che si possiede.», p. 91.
57
Nel libro terzo entriamo nel vivo della questione trinitaria per la spiegazione
della quale viene tirato in ballo il concetto di Dio come amore. Pertanto un’analisi
accurata di questo capitolo è di vitale importanza per lo sviluppo delle nostre
argomentazioni.
Riccardo ha trattato nei primi due libri della unità della sostanza divina e dei
suoi attributi. Nel terzo libro egli vuole «individuare ciò che si deve ritenere a
proposito della pluralità e delle proprietà delle persone divine» 103. L’argomentazione
di Riccardo muove dalla proprietà del bene nella sostanza divina. A partire dalle
conclusioni del libro precedente Riccardo può affermare che la pienezza e la
perfezione della bontà risieda nel bene supremo e perfetto che è Dio. Ma la pienezza
della bontà deve per forza comprendere in se stessa la somma carità, in quanto nulla
è migliore e più perfetto della carità. Il concetto di somma carità è quello che mette
definitivamente in moto l’ingranaggio della dinamica trinitaria di Riccardo:
«Ora, di nessuno si dice che possiede la carità nel vero senso della parola per il fatto che ama
esclusivamente se stesso; quindi è necessario che l’amore, per poter essere carità, sia rivolto
verso un altro. Di conseguenza, qualora manchi una molteplicità di persone, non può esservi
alcun posto per la carità»104.
103
Ibid., III,1, p. 126.
104
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, III,2, pp. 127-128.
105
Alberto COZZI, Manuale di dottrina trinitaria, p. 512.
58
se si conclude che vi sono uno ed un altro, ecco dimostrata una vera pluralità» 106.
106
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, III,3, p. 129.
107
Ibid., III,4, p. 130.
108
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, III,11, p. 137.
109
Ibid., III,11, pp. 137-138.
59
La carità somma si deve aprire ad una terza persona. Si rompe la chiusura
del rapporto a due. L’amore divino è inclusivo. Secondo Riccardo l’amore è ardente,
è come un fuoco che non puo venire imprigionato ma che si propaga verso una terza
persona. Vediamo peraltro, che ciò che funge da elemento caratteristico di questa
pericope, sia il concetto di desiderio. Il desiderio presente nelle prime due persone di
amare e di essere riamati dall’altro. Ma vi è anche un’altro desiderio che arde nel
cuore delle prime due persone divine e cioè che anche un’altro venga amato come io
sono amato. Il desiderio profondo che l’amore sprimentato venga partecipato da un
terzo. Dalla realizzazione contemporana di questi due desideri si concretizza la
carità perfetta:
«Senza dubbio, per colui che ama supremamente ed aspira ad essere supremamente amato, la
gioia più grande risiede, di norma, nella realizzazione del proprio desiderio, cioè nell’ottenere
l’amore sperato. Di conseguenza, se uno non riesce ancora a compiacersi di comunicare la sua
gioia più grande, dimostra di non possedere ancora una carità perfetta» 110.
112
Ibid., III,19, pp.144-145.
113
SEVERINO BOEZIO, Liber de persona et duabus naturis, 3: PL 64, c. 1343.
61
«Sulla scorta di tutto ciò, credo, si può comprendere in modo adeguato che con la parola
“sostanza” non si sottintende tanto qualcuno, ma piuttosto qualche cosa e che, viceversa, il
termine “persona” non indica tanto qualcosa, quanto qualcuno. Con la parola “persona”,
inoltre, non viene mai designato se non qualcuno che è solo, distinto da tutti gli altri per una
proprietà particolare».114
«Abbiamo costatato, infatti, che le molteplici persone divine, pur possedendo un essere unico e
identico ed assolutamente indifferenziato – per quanto riguarda l’identità della sostanza –,
tuttavia esse possono distinguersi l’una dall’altra in base alla causa originaria, nel senso che
una esiste in virtù di se medesima, le altre traggono origine dall’esterno, e queste ultime,
d’altronde, differiscono nel modo di ottenere l’essere» 115.
114
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, IV,7, p. 159.
115
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, IV,15, p. 166.
116
Alberto COZZI, Manuale di dottrina trinitaria, p. 515.
62
Trinità differiscano tra loro nella maniera in cui ottengono l’essere. Il Figlio riceve
l’essere in maniera diretta, dal Padre, mentre lo Spirito in maniera mediata dal Padre
e per il Figlio. Pertanto il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, si caratterizzano per una
proprietà personale legata all’origine della propria esistenza. Secondo Riccardo «la
proprietà personale è quella che fa sì che ognuno sia quello che è» 117. E questa
proprietà è incomunicabile e pertanto egli giunge a definire la persona divina quale
«divinae naturae incomunicabilis exsistentia»118. È interessante notare, in
conclusione, come Riccardo applichi tale concetto di persona quale esistenza
incomunicabile, non solo alle tre persone divine ma anche agli angeli e al mondo
umano. Quindi, considerati nella loro origine, gli angeli sono coloro che hanno
esistenze differenti ma un’unica origine in Dio, mentre gli uomini hanno origini ed
esistenze differenti. In tal senso, ritenendo l’aspetto della razionalità della
definizione di Boezio, egli può coniare, infine, una propria definizione di persona
intesa come «naturae rationalis incomunicabilis existentia»119. È interessante notare
ancora il carattere di similitudine tra Dio e l’uomo. In esso rileviamo la condizione
di possibilità dell’inabitazione del Dio trino nell’uomo. L’uomo potrà partecipare
della natura divina(divinae naturae) di Dio, rimanendo in sé un’esistenza
(existentia) distinta da quella delle persone divine. L’uomo, partecipando alla natura
divina in Cristo, viene innestato, quale esistenza incomunicabilis, nella comunione
d’amore delle esistenze incomunicabili delle persone divine.
Vediamo qui come il Padre è colui che dona l’amore gratuitamente al Figlio.
Il Figlio da parte sua risponde con l’amore dovuto al Padre, grato di essere stato
amato gratuitamente. Lo stesso Figlio però poi ridona quell’amore gratuitamente
allo Spirito Santo che lo riceve.
«È accertato, infatti, che in una sola delle tre c’è l’amore supremo ed esclusivamente gratuito;
in un’altra, viceversa, c’è, sì l’amore supremo, ma solamente dovuto; nella terza, infine, si ha
un amore supremo che da un lato è dovuto e dall’altro è totalmente gratuito» 123.
Lo Spirito Santo è l’amore comune alle due persone. Nello Spirito Santo,
l’amore della Trinità si riversa nel cuore degli uomini. L’azione dello Spirito è quella
di santificare infondendo nel cuore degli uomini, l’amore del Padre e del Figlio. Lo
Spirito Santo, che è tutto amore dovuto, o si potrebbe dire che è doppiamente amato,
viene inviato dal Padre e dal Figlio agli uomini per renderli partecipi della
comunione d’amore della Trinità. Ma perchè lo Spirito Santo è detto donum?
Come abbiamo detto l’essenza di Dio è semplice e non può essere scomposta.
Pertanto non ci possono essere differenze tra lo Spirito Santo e l’amore che egli è,
ovvero amore dovuto (amor debitus)129. Lo Spirito è amore puramente ricettivo.
Pertanto si configura come il vettore perfetto dell’amore del Padre e del Figlio agli
uomini. Lo Spirito infatti riceve l’amore del Padre e del Figlio. Lo Spirito, poi,
sovraccarico di tale amore, è inviato agli uomini. Questo amore, riversato dallo
Spirito nell’anima dei credenti opera la santificazione. Riccardo ci descrive
minuziosamente attraverso l’immagine dello Spirito fuoco d’amore, questo processo
di fusione dell’anima dell’uomo a Dio Trinità:
127
Cf. RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, VI,10.
128
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, VI,10.
129
Cf. Gaston DUMEIGE, Richard de Saint-Victor et l’idée chrétienne de l’amour, p.99.
66
«Lo Spirito Santo è divinamente donato all’uomo quando l’amore dovuto che esiste in Dio è
infuso nello spirito umano. Quando questo Spirito entra dentro l’anima razionale, infiamma la
sua potenza affettiva di un ardore bruciante e la trasforma a somiglianza del suo carattere,
affinchè quella renda al suo creatore l’amore che lei le deve. Che cos’è dunque lo Spirito Santo
se non un fuoco divino? Tutto l’amore è fuoco, ma fuoco spirituale... Arsa dal fuoco divino,
(l’anima) diviene incandescente, s’infiamma completamente e si fonde nell’amore di Dio,
secondo le parole dell’Apostolo: “La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori dallo Spirito
Santo che ci è stato dato”(Rm 5,5)»130.
Si potrebbe dire che tutto il De Trinitate di Riccardo di San Vittore, sia stato
scritto proprio per mostrare la condizione di possibilità dell’inabitazione dell’amore,
che è Dio, nell’uomo. Riccardo svela ai suoi lettori la ratio necessaria del desiderio
che c’è in Dio di unirsi ad ogni uomo. Ma, di contro, non possiamo negare che il
procedimento argomentativo di Riccardo sia un procedimento “dal basso”. Ovvero
egli nell’atto di descrivere la Trinità si fonda, oltre che sul dato rivelato, su due
capisaldi: la vita comunitaria e la vita contemplativa. Tutte le caratteristiche della
relazionalità interpersonale, chel lui applica alla Trinità, sono il frutto dell’amore
fraterno sperimentato nella vita comunitaria dell’abbazia di San Vittore. Mentre,
130
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, VI,10.
67
l’esperienza profonda che egli ha dell’amore di Dio e dell’unione a lui, gli viene
dall’intensa vita di preghiera e contemplazione. Il pensiero di Riccardo si colloca
pertanto agli antipodi di una teologia apofatica di tipo orientale. Esso si configura
come un tentativo di spiegare la Trinità ad intra, non a partire dalla rivelazione di
questa ad extra, ma, tenendo fermo il dato della Rivelazione, partendo dai rapporti
interpersonali tra gli uomini e dal rapporto personale dell’uomo con Dio.
«La visione nell’essenza del vero amore disinteressato che va presupposta per Dio, Riccardo la
deriva dunque dall’esperienza dell’amore per gli altri uomini. E, in genere, per Riccardo il
concetto-chiave di esperienza gioca un ruolo di rilievo» 131.
Capitolo V
LA KENOSI DELL’AMORE COME SACRIFICIO E GIOIA
«Un’altra testimonianza della rivelazione su Dio è che egli è amore, θεὸς ἀγάπη ἐστίν
(1Gv 4, 8.16); questo significa non soltanto che l’amore è il proprio di Dio, perchè egli
è colui che ama, ma appunto ch’egli stesso è amore, che tale è il suo essere stesso. Qui
abbiamo una definizione non descrittiva, ma ontologica»137.
135
SERGEJ BULGAKOV (Livny 1871 – Paris 1944): Teologo russo di confessione ortodossa e
sacerdote. Vive in esilio a Parigi a causa della persecuzione dei religiosi che segue la rivoluzione
bolscevica del 1917. Tra le sue maggiori opere ricordiamo: La luce che non tramonta (1917),
L’Agnello di Dio (1927), Il paraclito (1936), La sposa dell’Agnello (1945). Come commentario
all’opera di Bulgakov relativa al tema della kenosi segnaliamo: P. CODA, L’altro di Dio.
Rivelazione e kenosi in Sergej Bulgakov, Roma: Città Nuova, 1998.
136
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, V,20, p. 205.
137
Sergej BULGAKOV S., Il Paraclito, G. Marchese (tr.), Bologna: EDB, 1987, p. 137.
70
essere concepita «come spirito, la cui vita è amore» 138. La Trinità, in Bulgakov,
viene espressa in termini di auto-rivelazione e di rifiuto, o spogliazione, della natura
divina, a partire dall’ipostasi iniziale del Padre.
«L’auto rivelazione della santissima Trinità avviene in tal modo che Dio Padre, ipostasi
iniziale, contenente in se stessa tutta la pienezza della natura divina, o della Sofia in quanto
amore, la rifiuta per così dire nella sua auto-rivelazione, per sé ed in se stesso; ma esce da sé
con la generazione del Figlio. Il Figlio è infatti l’autorivelazione ipostatica della natura del
Padre o la Sofia ipostatica, la coscienza di sé o l’ipostatizzazione della divina usia del
Padre»139.
138
Ibid..
139
Ibid. p. 139.
140
Sergej BULGAKOV, Il Paraclito, p. 141.
141
Ibid.
142
Ibid.
71
Spirito Santo è questo E (o È, copula tra soggetto e predicato)»143. Dovremmo
ritenere questa funzione unificatrice dello Spirito Santo quando tratteremo in seguito
il concetto di separazione e di abbandono del Figlio da parte del Padre nella teologia
kenotica di Balthasar.
2. L’AMORE TRINITARIO
Il secondo momento dell’amore nella vita interna di Dio è quello della gioia.
Questo è un motivo che avevamo trovato anche in Riccardo di San Vittore, quando
ci parlava del desiderio delle prime due persone della Trinità di comunicare la gioia
di sentirsi amati con una terza persona.152 Tuttavia qui la gioia assume una
dimensione di superamento della tragedia che esprime tutta la forza dell’amore
divino. È la gioia dell’essere che vince il non-essere, la gioia della vita che vince la
morte, è la gioia del mattino di Pasqua. Infatti per Bulgakov «l’amore è antinomia
concreta: sacrificio e ritrovamento di se stesso grazie al sacrificio» 153. Il primo
momento è quello della rinuncia di sé, di una negazione personale, di un’entrata nel
non-essere. Il secondo momento è quello del ritrovarsi dopo essersi perduti nel
sacrificio. E questo ritrovarsi è gioia, è beatitudine, è, in definitiva, lo Spirito Santo:
«questa beatitudine dell’amore nella santissima Trinità, consolazione del
Consolatore, è lo Spirito Santo»154. Con Bulgakov stiamo camminando a grandi
passi sulla Via Caritatis. In lui ritroviamo Sant’Agostino, nell’identificazione della
terza persona come l’Amore tra l’amante e l’amato, e ritroviamo Riccardo di San
Vittore, nel concetto di gioia e di auto-dedizione. Sergej Bulgakov tuttavia ci
introduce in una dimensione nuova rispetto ai suo predecessori, quella della
sofferenza in Dio. Continuando la nostra trattazione, notiamo come per Bulgakov lo
Spirito Santo sia identificato quale «compimento dell’amore sacrificale del Padre e
del Figlio, come gioia di questo sacrificio, come sua beatitudine, come amore
trionfante»155. L’amore nella sua prima fase vede il sacrificio reciproco del Padre e
150
Ibid., p. 144.
151
Ibid.
152
Cf. RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, III,11:« Di conseguenza, se uno non riesce ancora a
compiacersi di comunicare la sua gioia più grande, dimostra di non possedere una ancora una carità
perfetta», p. 138.
153
Sergej BULGAKOV, Il Paraclito, p.144.
154
Ibid.
155
Ibid.
74
del Figlio. Nella seconda fase il Padre e il Figlio si ritrovano uno di fronte all’altro
nello Spirito Santo in una generazione eterna e continua che si dispiega in una
kenosi reciproca del Padre e del Figlio, e in un continuo ricongiungimento nello
Spirito Santo. Lo Spirito Santo viene definito dal nostro autore come l’amore
comune del Padre e del Figlio. Se Dio è amore allora lo Spirito Santo può dirsi
Amore dell’amore. In questo amore si amano il Padre e il Figlio e «amano altresì
l’Amore ipostatico stesso, la Gioia ipostatica, il Consolatore che costituisce la loro
consolazione»156. In questo contesto Bulgakov spiega i concetti di generazione e
processione. Il Padre uscendo da sé nella generazione del Figlio acquisisce, come
processione, l’amore dello Spirito Santo:
«queste due fasi sono nella dialettica dell’amore; sacrificio e beatitudine riuniti nella nascita
del Figlio e la processione congiunta dello Spirito Santo. Il Figlio nell’abbassamento di sé
sacrificale, riceve anche “simultaneamente” lo Spirito, che procede su di lui dal Padre, che
riposa su di lui e che passa attraverso (διά) lui, come reciprocità, risposta, anello
dell’amore».157
4. BULGAKOV E BALTHASAR
162
Hans Urs VON BALTHASAR, Teologia dei tre giorni, G. Ruggieri (tr.), Brescia: Queriniana, 2005,
p.45.
77
vita trinitaria dell’amore; si dà quindi una kenosi fondamentale, presente già nella creazione in
quanto tale, perchè Dio fin dall’eternità assume la responsabilità della sua riuscita (tenendo
conto anche della libertà dell’uomo) e nella previsione del peccato ‘include nel conto’ anche la
croce (come fondamento della creazione)»163.
163
Ibid.
164
Hans Urs VON BALTHASAR, Teologia dei tre giorni, p.46.
78
Capitolo VI
L’AMORE COME KENOSI DI DIO
165
Hans Urs VON BALTHASAR, Il filo di Arianna attraverso la mia opera, G. Sommavilla (tr.), Milano:
Jaca Book, 1980, p. 34.
166
Ibid., p. 26.
79
«l’amore nell’assoluto è il prodigio perenne, che per l’eternità rimane miracolo a se stesso:
infatti non si può afferrare logicamente che l’amore scaturisca sempre questo alcunché di
indicibile, che l’amore continui perennemente a sbocciar fuori, di là da quello che sembrava
essere, tra amanti, già l’estremo della pienezza» 167.
167
Hans Urs VON BALTHASAR, Spiritus Creator. Saggi Teologici, vol III, L. Ballarini – G. Colombi –
G. Frumento (tr.), Milano: Jaca Book, 1983, p.92.
168
Hans Urs VON BALTHASAR, Spiritus Creator. Saggi Teologici, vol III, p.92.
169
Hans Urs VON BALTHASAR, Gloria. Un’estetica teologica. vol. VII: Nuovo Patto, G. Manicardi -G.
Sommavilla (tr.), Milano: Jaca Book, 1977, p. 229.
170
Hans Urs VON BALTHASAR, Spiritus Creator. Saggi Teologici, vol III, p. 37.
80
passione e morte di Cristo, possiamo conoscere chi sia Dio e quale sia la sua
essenza. Il Figlio in tal senso si configura come «il modello normativo (analogatum
priceps) di ogni amore voluto da Dio»171. Pertanto Balthasar si impegnerà di
dimostrare che tutta la vita di Cristo «sia credibile e spiegabile come amore
trinitario»172. L’incarnazione del Figlio infatti opera una svolta clamorosa nella
maniera di considerare Dio:
«(Dio) non è in primo luogo ‘potenza assoluta’, ma ‘amore’ assoluto e la cui sovranità non si
manifesta nel tenere per sé ciò che gli appartiene, ma nell’abbandonarlo, cosicché questa sovranità
si estende al di là di ciò che qui, all’interno del mondo, si contrappone come forza e debolezza.
L’esternarsi di Dio (nella incarnazione) ha la sua possibilità ontologica nella esternabilità eterna di
Dio, nell sua donazione tripersonale... la ‘potenza’ divina è così costituita che può gestire in se
stessa la possibilità di un autoannichilimento, qual’è quello dell’incarnazione e della croce, e
sostenere questo annichilimento fino alla fine»173.
174
Hans Urs VON BALTHASAR, Gloria. Un’estetica teologica. vol. VII: Nuovo Patto, p. 358.
175
Hans Urs VON BALTHASAR, Teologia della storia, G. Sommavilla (tr.), Milano: Ed. Morcelliana,
1969, p. 44.
176
Hans Urs VON BALTHASAR, Gloria. Un’estetica teologica. vol. VII: Nuovo Patto, p. 190.
177
Hans Urs VON BALTHASAR, Teologia dei tre giorni, p. 27.
82
«che Dio, quando ha voluto fare l’esperienza della condizione umana ‘dal di dentro’, per
rialzare l’uomo e sanarlo ‘dal di dentro’, ha dovuto porre l’accento decisivo là dove l’uomo
peccatore e mortale si trova ‘alla fine: - ossia, dove si è perduto nella morte, senza per questo
trovare Dio, dove è precipitato nell’abisso della tristezza, della povertà e della tenebra, nella
fossa, senza poterne trovare con le proprie forze l’uscita, per ricucire nell’esperienza
dell’‘essere alla fine’ le estremità lacerate dell’idea di uomo: nell’identità del Crocifisso e del
Risorto»178.
L’ira di Dio è parte integrante della sua essenza agapica. Essa non è contro il
peccatore ma contro il peccato che abita in lui. L’odio furioso di Dio verso il male è
pertanto una forma profondissima dell’amore divino, poichè esso si prefigge di
distruggere proprio quel male che impedisce l’unione amorosa dell’uomo con Dio.
Amare i peccatori significa pertanto odiare il peccato che in essi si annidia. Risulta
quindi fondamentale anche per ogni cristiano di fronte al peccato altrui operare
questa distinzione tra peccato e peccatore, per non cadere in un giudizio di condanna
senza misericordia. Ritornando alla nostra argomentazione, questa ira divina
necessita di essere espiata e pertanto la remissione dei peccati non può avvenire
senza sacrificio. Tale sacrificio espiatorio, che placa l’ira di Dio, sarà compiuto dal
Figlio: «Nella passione il Figlio deve affrontare quest’ira. Egli deve condurre alla
178
Hans Urs VON BALTHASAR, Teologia dei tre giorni, p. 26.
179
Ibid., p.113.
180
Ibid., p.128.
83
sua fine escatologica l’ira terribile che attraversa tutto l’Antico Testamento» 181.
Cristo nel sacrificio di sé della morte di croce, estingue il fuoco dell’ira di Dio
distruggendo il peccato e la morte. Il Figlio sulla croce fa esperienza dell’amore del
Padre nella forma della collera. Morendo in croce «il Figlio volgerà del tutto su se
stesso la sferza dell’ira eterna, per tenerla lontana dai peccatori». Cristo prende «su
di sé a tal punto tutto il peccato che Dio non può più colpire il paccatore senza
colpire lui, e perciò l’ira viene placata mediante l’amore del Figlio sofferente» 182.
L’amore del Figlio sofferente placa l’ira del Padre e apre la via di ritorno dell’uomo
a Dio. Cristo sprofondando nell’abisso che si era creato tra Dio e l’uomo peccatore,
fa penetrare Dio nella dimensione del rifiuto di Dio e così facendo colma l’abisso.
Cristo in definitiva, nell’abbandono del Padre si separa da questi in maniera assoluta
e nella passione, morte e discesa agli inferi raggiunge il punto estremo della
lontananza da Dio. Cristo assume in se, come uomo, il rifiuto di Dio, e lo riempe
della sua presenza trasformandolo in via di ritorno al Padre. Il peccatore sa ora che
nell’abbisso della morte e del peccato non è più solo.
Abbiamo visto fin qui come in Cristo l’amore del Dio trino si riversi nel
tempo nella forma della kenosi al fine di realizzare la riconciliazione dell’uomo con
Dio. Per completare la nostra trattazione è necessario ora capire in quale modo la
Trinità stessa sia coinvolta in questa opera di redenzione. La modalità in cui le tre
persone divine sono coinvolte nella dinamica di questo dramma metterà in rilievo
ulteriori aspetti dell’essenza agapica di Dio che si andranno così ad aggiungere a
quelli trattati fin qui. Balthasar inizia la propria trattazione attraverso una
considerazione di tipo temporale sull’incarnazione di Cristo: «Tutti questi giri
intorno all’evento di Cristo devono portare a comprendere che, se in lui è veramente
penetrata la vita eterna nel tempo del mondo, questo tempo ormai si svolge non
“fuori” dell’eternità, ma in essa»184. La vita di Dio è amore eterno. Questo amore, in
Cristo, entra nel tempo. Questa affermazione è la premessa fondamentale a tutto
quello che seguirà in questa trattazione. Infatti Balthasar nel spiegare il
coinvolgimento dinamico della Trinità nella kenosi del Figlio, giocherà sul
181
Hans Urs VON BALTHASAR, Teologia dei tre giorni, p. 129.
182
Hans Urs VON BALTHASAR, Teodrammatica. L’ultimo atto, G. Sommavilla (tr.), Milano: Jaca
Book, 2012, pp. 227-228.
183
In questo paragrafo ci riferiamo principalmente al capitolo della Teodrammatica. L’ultimo atto
intitolato “L’ultimo atto come dramma trinitario”. I contenuti di questo capitolo, come anche per altre
opere di Balthasar, fanno preciso riferimento agli scritti mistici di Adrienne von Speyr, che viene
citata ripetutamente.
184
Ibid., p. 214.
84
dualismo di alcuni termini radicalmente opposti che però trovano la loro
conciliazione proprio nella loro congiunta considerazione atemporale. Nella
dimensione dell’eternità si risolvono infatti le contraddizioni temporali, o usando le
parole di Balthasar, «il temporale può essere inciso nell’eterno in forme
paradossali»185 Queste coppie di termini sono: Morte/Vita, Dolore/Gioia e
Separazione/Unione.
La morte come detto non è soltanto il limite esteriore della vita fisica di un
uomo ma essa pervade l’intero corso della sua esistenza. Morte e vita in tal senso si
autodefiniscono reciprocamente. In Dio anche è presente questo dualismo
morte/vita. Dio è vita ed è la fonte di vita di tutti i viventi e quindi in lui non c’è
morte intesa come assenza di vita. Tuttavia l’aspetto della morte nel Dio trino può
essere riscontrato sotto la forma di “dedizione della vita”: «Ma se per morte si
intende la dedizione della vita, questa dedizione ha in Dio il suo archetipo giacché il
Padre dà appunto tutta la sua vita al Figlio, il Figlio la ridona al Padre, e lo Spirito è
per se stesso la vita che si dà e si riversa» 186. Inoltre nell’uomo la morte che affligge
l’esistenza dell’uomo, non è solamente l’impossibilità di vivere eternamente, ma
soprattutto la morte del peccato quale rifiuto dell’amore di Dio: «Una tutt’altra
opposta morte è la morte del peccato, in cui l’uomo si chiude alla dedizione e così
alla vita eterna e si butta in corpo e anima alla separazione da questa vita» 187. La
morte per l’uomo è chiusura alla dedizione che si configura come la decisione
consapevole di non volersi donare all’altro. Questo altro non è solo l’uomo suo
simile, ma soprattutto Dio, fonte della vita e dell’amore. L’uomo, schiavo del
peccato vive per se stesso e non può amare dando la sua vita per l’altro perchè si è
separato dalla fonte della vita, anzi attraverso il suo peccato egli si butta «in corpo e
anima alla separazione da questa vita». La morte del peccato è dunque separazione
dalla vita e dall’amore. Il Figlio pertanto attraverso la sua morte si propone di
«assumere la morte del peccato nella morte della dedizione, la quale divenne per
questo la morte dell’abbandono»188. L’aspetto positivo della morte, quale donazione
della vita per un altro, vince la morte del peccato proprio in virtù del sacrificio
estremo di Cristo, assumendo così la morte umana nella vita eterna:
«I misteri della dedizione fino all’estremo, fino alla notte di non sapere più nulla sulla croce
sono per Dio unicamente una forma della sua suprema vitalità, l’adempimento della vita
dell’amore... Nel mondo la morte è sempre una conclusione. In Dio la morte è sempre e
185
Hans Urs VON BALTHASAR, Teodrammatica. L’ultimo atto, p. 225.
186
Ibid., p. 214.
187
Ibid..
188
Ibid..
85
soltanto apertura e breccia verso nuova vita»189.
Il dare la vita finno alla morte dimostrano che Cristo, essendo Dio, ha la vita
in sé e che questa vita è amore. Questo amore abbatte il gelido muro della morte e
riapre la strada per l’uomo verso la fonte della vita e dell’amore. È interessante
notare come qui vi sia una completa identità tra i concetti di vita e di amore in Dio.
L’amore è vita che vince la morte perchè dà la propria vita. La morte di Cristo in
questo senso è l’espressione massima dell’amore vitale della Trinità.
189
Hans Urs VON BALTHASAR, Teodrammatica. L’ultimo atto, p. 215.
190
Ibid., p. 216.
191
Ibid..
192
Ibid., p. 217.
193
Hans Urs VON BALTHASAR, Teodrammatica. L’ultimo atto, p. 218.
86
che conduce alla gioia. D’altro canto la gioia dell’amore sperimentato e la possibilità
di arrecare gioia a Dio, portano il Figlio ad accettare il dolore nella donazione di sé.
Pertanto atttaverso il sacrificio di Cristo noi conosciamo che il dolore appartiene alla
profondità dell’amore:
«L’amore, che Dio rivolge a noi nel suo Figlio, è così grande che abbraccia non solo le gioie
ma anche i dolori dell’amore; assunti e accettati come espressione dell’amore, essi (i dolori)
riconducono a Dio e aumentano la gioia»194.
La distanza creata dal peccato dell’uomo, può essere colmata dalla kenosi
del Figlio, in quanto nell’alterità assoluta della relazione col Padre, egli è libero di
194
Ibid..
195
Ibid., p. 219.
196
Hans Urs VON BALTHASAR, Teodrammatica. L’ultimo atto, p. 219.
87
scivolare via dalla presa amorosa di tale relazione, per potersi immergere
nell’abbisso del non amore e poterne riemergere vincitore del peccato e della morte.
Questa è la doverosa premessa che il nostro autore deve fare nel tentativo di
dimostrare che «l’abbandono del Figlio durante la sua passione era, alla pari, un
modus della sua congiunzione con il Padre nello Spirito Santo» 197. Nell’abbandono
il Figlio si congiunge al Padre nello Spirito. Lo Spirito quindi fa sì che nella distanza
abbissale che li divide, Padre e Figlio siano uniti indissolubilmente. Ma lo Spirito
Santo, abbiamo detto, è il frutto della dedizione reciproca di Padre e Figlio. In
questa dedizione reciproca sta la forza d’un legame che supera la distanza abissale
della separazione:
«La dedizione vicendevole del Figlio e del Padre, appare come qualcosa di così forte e di così
buono che quanto è stato in essa accolto di divisione e dolore e legame e obbedienza penetra
nell’amore, anzi è diventato amore, come se non fosse mai stato altra cosa» 198.
Nello Spirito Santo si concretizza l’unione più alta tra Padre e Figlio nel
momento della loro massima divisione poichè «lo Spirito mantiene sussistente
durante la passione la diastasi intradivina tra il Padre e il Figlio»200. L’amore, che è
la vita della Trinità, si effonde proprio nell’atto della separazione nel sacrificio del
Figlio in quanto la distanza creata da tale separazione è colmata essa stessa
dall’amore «nel senso che il Padre e il Figlio nello Spirito si superano nell’amore
all’infinito»201. Lo Spirito che a differenza del Figlio, non è diviso dal Padre, «può
restaurare la congiunzione nella separazione del Figlio, senza togliere la
197
Ibid., pp. 219-220.
198
Ibid., p. 221.
199
Ibid., p. 223.
200
Hans Urs VON BALTHASAR, Teodrammatica. L’ultimo atto, p.223.
201
Ibid., p. 224.
88
separazione»202. In conclusione l’amore che dona se stesso totalmente e
gratutitamente all’altro, si configura come quella forza che può vincere la
separazione della morte e dell’inferno. L’amore costruisce relazioni laddove vi è
assenza di relazioni e l’uomo è solo ed abbandonato al suo destino. Dio amore si
costituisce allora come la Relazione che genera relazioni. È nella forza delle
relazioni di amore tra le persone della Trinità che il vuoto dell’assenza di relazione
viene riempito. L’uomo nella fede in Cristo abbandonato, morto, sepolto e disceso
agli inferi e risuscitato, può riallacciare la relazione perduta con Dio e, fondato su
questa relazione d’amore, aprirsi all’amore del prossimo finanche fosse il suo
nemico.
CONCLUSIONE
a) Aspetti biografici
202
Ibid..
89
Il primo aspetto che dobbiamo rimarcare è di tipo biografico. Gli autori da noi
trattati, ad esclusione di Sergej Bulgakov, hanno vissuto un’intensa vita comunitaria. Il
loro pensiero quindi trae corpo non solo dal background teologico-filosofico in cui
essi erano immersi, ma anche dalla profonda esperienza di vita comune da essi
praticata. Pertanto l’aspetto della relazionalità presente nella loro riflessione teologica
sicuramente affonda le sue radici nell’esperienza vissuta della relazione col fratello.
Inoltre le comunità di cui facevano parte i nostri autori avevano come cardine la vita
contemplativa. L’intensa vita di preghirera della comunità rafforzava in loro il vincolo
con quel Dio-amore sul quale saranno poi chiamati a riflettere. Così possiamo dire che
la teologia dei nostri autori su Dio come amore, promana essa stessa dall’esperienza
dell’amore di Dio e del fratello vissuta in seno alla comunità cristiana. Tra questi
autori come detto si distingue Bulgakov, in primo luogo per la sua appartenenza alla
Chiesa Ortodossa, in secondo luogo per la sua estraneità alla vita comunitaria.
Tuttavia non possiamo trascurare in Bulgakov l’aspetto biografico, come fonte di
ispirazione teologica. Bulgakov ha vissuto nella sua vita una vera e propria kenosi,
che passa dalla perdita della fede, alla morte della figlia, all’esilio in Francia dovuto
alla rivoluzione bolsevica e infine alla persecuzione subita all’interno della stessa
Chiesa Ortodossa, che condannava come eretiche alcune delle sue opere. 203 In questo
senso quando egli parla di sacrificio e gioia quali assiomi dell’amore, non possiamo
ignorare l’influsso della sua esperienza personale di kenosi, che forse trova proprio il
suo senso nella kenosi del Figlio di Dio. Sicuramente l’esperienza della kenosi è esso
stesso un tratto comune anche agli autori che abbiamo trattato, anche se per quanto
riguarda Riccardo di San Vittore non abbiamo notizie certe. L’apostolo Giovanni nel
suo cammino di sequela di Gesù, nella partecipazione alla sua morte e risurrezione, è
sicuramente testimone della kenosi del Figlio. Ma anche nella sua vita di predicazione
successiva all’Ascensione e alla Pentecoste, nella partecipazione alle persecuzione
della Chiesa nascente, ha sicuramente vissuto in prima persona l’esperienza della
croce, morte e risurrezione. Sicuramente in Agostino il processo di conversione ha
avuto la forma dello svutamento kenotico. Mentre per quando riguarda Balthasar, la
decisione di lasciare la Compagnia di Gesù per seguire la nascente opera della
Comunità di San Giovanni, nonché la controversia ecclesiale legata al suo legame
spirituale con la mistica Adrienne von Speyr, debbono sicuramente aver giocato un
ruolo nella sua riflessione teologica sulla kenosi del Figlio.
Per quanto riguarda i contenuti, come
detto nell’introduzione, tra i nostri autori vi è un rimando reciproco alle opere degli
altri. In particolare la base della riflessione teologica è per tutti la prima lettera di
203
Cf. Catherine EVTUHOV, The Cross and the Sickle: Sergei Bulgakov and the Fate of Russian
Religious Philosophy, Ithaca: Cornell University Press, 1997.
90
Giovanni nella definizione «Dio è amore» e nel suo contenuto. Tutti si rifanno ad essa,
ed in particolare Agostino e Riccardo. La seconda pietra miilare della via caritatis è il
De Trinitate di Agostino. Tutti i nostri autori fanno riferimento direttamente o
indirettamente a quest’opera, tra questi anche l’ortodosso Sergej Bulgakov. Infine
Balthasar, commenta e cita il De Trinitate di Riccardo e apprezza, come già accennato,
l’opera di Bulgakov, da cui trae spunto per la sua teologia kenotica. Possiamo,
pertanto, ben dire che la riflessione teologica di questi autori sul Dio-amore, si
configuri come un cammino tematico tra i tanti che costellano la storia del pensiero
teologico, con sue proprie caratteristiche peculiari.
Entrando più nello specifico degli argomenti trattati, possiamo affermare con
certezza che uno dei punti comuni del pensiero degli autori da noi trattati sia l’amore
come via che ci porta alla conoscenza di Dio. Giovanni
afferma senza esitazione che «ognuno che ama è stato generato da Dio e conosce Dio»
(1Gv 4,7) e «chi non ama non ha conosciuto niente di Dio» (1Gv 4,8a). Da questi due
versetti possiamo concludere due cose, che l’amore è la via che porta alla conoscenza
di Dio e che in particolare è proprio dall’esperienza dell’amore fraterno che arriviamo
a conoscere che Dio è amore. L’amore è la via che porta a conoscere il nome di Dio.
In un altro passo del vangelo di Giovanni troviamo una relazione tra il nome di Dio e
il concetto di amore: «E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere,
perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro»(Gv 17,26). La
rivelazione del nome di Dio ci rimanda sicuramente ad Es 3,13-14 in cui Mosè
chiede a Dio quale fosse il suo nome ed egli si rivela come Colui che è. Dio è
presente nella vita dell’uomo, Dio esiste per l’uomo e opera in favore dell’uomo
nella storia. Dio è quindi l’essere che si fa presente. Dio è l’essere che crea
l’essere. Ma qui Giovanni alla rivelazione del nome fa seguire il concetto
dell’amore. La rivelazione del nome è strettamente collegata all’amore con il quale
il Padre ama il Figlio e che si apre all’amore dell’uomo venendo ad abitere in esso.
Giovanni vuole dirci che dall’inabitazione di Dio, in Cristo, per lo Spirito Santo nei
nostri cuori, noi conosciamo il nome di Dio, e che questo nome è amore. Con
l’incarnazione del Figlio si è aperta nella storia una via che va dritta al cuore di
Dio. Questa via è Cristo che ci mostra l’amore del Padre. Questa via è Cristo che
dimorando nelle anime dei Cristiani, ci immerge con lui nell’oceano di amore che è
Dio.
Agostino su questo punto è ancora più esplicito affermando che la
riflessione su Dio avviene già nell’orizzonte dell’amore e può essere descritta
come l’amante che va in cerca dell’amato sulla via dell’amore. L’uomo, amato da
91
Dio, vuole conoscere colui che ama. Ma questo amore, dice Agostino, viene effuso
nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Questa fiamma di carità, volgendo a Dio tutta
la nostra volontà, ci fonde, unendoci, a Cristo. È l’uomo inabitato da Cristo per lo
Spirito Santo che può conoscere che Dio è amore. L’amore di Cristo riversato nei
nostri cuori dallo Spirito Santo, è la via che conduce alla conoscenza del Dio-
amore. Anche Riccardo di San Vittore si colloca sulla scia dei due
autori pecedenti. Egli vuole «appropriarsi con la ragione» 204 della realtà in cui
crede. Questo “appropriarsi con la ragione” significa intraprendere un cammino
che conduce alla vita eterna. Riccardo ha bisogno delle rationes necessariae per
arrivare alla conoscenza del Dio trino. E questa ratio necessaria egli la trova
nell’amore. Anche per lui l’amore si configura come un cammino che gli dischiude
davanti la conoscenza di Dio, nella cui semplicità sovrana l’essere e l’amore
coincidono.205 Sergej Bulgakov afferma che la rivelazione di Dio come
amore sia «una definizione non desctittiva, ma ontologica» 206. Se vogliamo
indagare l’essere di Dio allora dobbiamo partire dall’assunto fondamentale della
sua essenza agapica. Egli percorre proprio questa via, andando poi a distingure
nell’amore due assiomi fondamentali quali il sacrificio e la gioia.
Infine Hans Urs Von Balthasar afferma che la
credibilità di Dio affondi le sue radici nel suo essere amore. L’uomo subisce
un’attrazione estetica dall’amore di Dio. La bellezza, che risulta dall’essere e
dall’agire di Dio, rivelano che lui è amore e invitano l’uomo a cercarlo su quella
via. Balthasar avrà il merito, più degli altri autori, di collegare l’essere amore di
Dio all’evento cristologico della passione, morte e risurrezione.
204
Cf. RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, VI, 1, p. 214.
205
Ibid., V, 20, p. 205.
206
SERGEJ BULGAKOV, Il Paraclito, p.137.
92
all’uomo è dato l’amore divino, sono l’incarnazione del Figlio, una volta per tutte,
e dopo l’ascensione del Figlio, e fino al suo glorioso ritorno, l’inabitazione della
Trinità nell’uomo per lo Spirito Santo. L’amore proviene da Dio, così noi
conosciamo Dio. La sua esistenza ci è data nell’orizzonte dell’amore. L’amore, in
altre parole, è la forma di esistenza di Dio. Dio non è un essere che ama ma un
amore esistente. Agostino dà seguito al pensiero di
Giovanni. Come abbiamo visto per il vescovo d’Ippona, il piano di Dio per l’uomo
è fondamentalmente mysterium unitatis. Dio vuole essere uno con l’uomo e per
questo lo crea, lo redime e lo rende partecipe della vita divina. Cristo è il mediatore
di questa unità tra Dio e l’uomo. In tal senso è molto significativo un passaggio
successivo del De Trinitate, in cui Agostino afferma che l’amore è una vita che
unisce colui che ama e ciò che è amato. 207 Allora vediamo qui il fine dell’estasi di
Dio nell’amore: l’unione con l’uomo in Cristo, vita del Padre che unisce. Cristo è
l’estasi del Padre, che riconduce l’uomo a Dio.
Riccardo di San Vittore, sulla scorta di
quanto analizzato fin qui, ridefinisce il concetto di persona divina in termini di
«divinae naturae incomunicabilis existentia»208. Il focus di tale definizione è sul
termine existentia, che come abbiamo visto tiene insieme l’aspetto dell’unica
natura divina delle tre persone nella radice sistere, e della provenienza, nella
preposizione ex. Le persone della Trinità si distinguono tra loro nella propria
modalità di esistenza, ovvero di provenienza o di uscita da sé. E se il Padre è
l’esistenza divina senza origine che nel suo esistere promana da sé nell’amore, il
Figlio è generato nell’amore sovrabbondante del Padre, è amore dovuto (debitus).
Lo Spirito Santo, infine, è il condilectus l’amore condiviso del Padre e del Figlio,
essendo egli stesso ex patre filioque, egli porta la Trinità nel cuore degli uomini. La
persona, quindi per Riccardo, è apertura nell’amore 209. Il modo in cui una persona
ama diviene il vero carattere distintivo della persona. Riccardo sembra volerci
suggerire che l’amore ci fa persone. Per Sergej Bulgakov,
l’uscita di Dio da sé nell’amore prende la forma della kenosi. Dio esce da sé
svuotandosi, annientando se stesso. Questo è riscontrabile sia a livello intra-
trinitario, nella generazione del Figlio e nella spirazione dello Spirito, sia a livello
extra-trinitario, nella creazione e nell’incarnazione del Figlio. E questa uscita di sé
di Dio nell’amore assume la forma della kenosis in quanto l’amore è sacrificio e
gioia. Nell’atto sacrificale di sé Dio svuota se stesso, generando, spirando e
207
Cf. AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, VIII, 10, 14.
208
RICCARDO DI SAN VITTORE, De Trinitate, IV, 22, p.176.
209
Cf. LUIS FRANCISCO LADARIA, Il Dio vivo e vero, p. 302.
93
creando, nell’atto della gioia egli si ritrova nell’unione con l’essere per cui aveva
offerto se stesso.
Infine Hans Urs Von Balthasar, riallacciandosi al pensiero kenotico di
Bulgakov, si concentra soprattutto sull’evento cristologico, per significare l’uscita
di Dio nell’amore. La vita interna della Trinità viene descritta dal nostro autore
come un miracoloso scaturire perenne dell’amore. Questo amore si riversa
sull’uomo nell’incarnazione, passione, morte e risurrezione del Figlio. La forma in
cui Dio esce da se stesso è l’abbandono del Figlio. Abbandonare, consegnare,
donare il Figlio, amore del Padre, rivela che Dio è amore. Non c’è amore più
grande che quello di chi dà la propria vita in riscatto per gli altri (Cf. Gv 15,13).
L’amore è un dare la vita. L’amore fa essere l’altro e quindi è un atto creativo e
redentivo. E tale atto si dispiega attraverso l’annientamento di chi ama. L’amore si
dispiega anche nella risurrezione. L’amore del Padre per lo Spirito Santo risuscita il
Figlio. Tutta la Trinità è impegnata in questa missione redentrice che la spinge
fuori di sè nel tentativo di ricondurre l’uomo a Dio.
d) L’aspetto relazionale
In tutti gli autori anche questo punto è ben sviluppato. L’amore in fin dei
conti implica la relazione con la persona amata. Solo nel contesto interpersonale si
può fare esperienza dell’amore. L’amore fraterno e la relazione con l’altro sono il
luogo dove si scopre che Dio è amore.
Giovanni lo ricorda affermando che chi ama il fratello conosce Dio (Cf.
1Gv 4,7). Perchè Dio è nel fratello. Il fratello, amato e redento da Cristo, e uno in
Dio per lo Spirito Santo. Amandolo, mi inserisco in maniera immediata in quel
circolo d’amore che è la vita della Trinità.
Agostino riconosce questo aspetto affermando che l’amore fraterno, non
solo viene da Dio ma che sia Dio stesso e per questo può proclamare: «Abbraccia il
Dio amore e abbraccia Dio con il tuo amore» 210. Inoltre Agostino, nella sua
riflesione trinitaria, svilupperà proprio il concetto di relazione, notando che non
tutto quello che si predica delle persone della Trinità sia sostanziale, ma che vi
siano degli aspetti che sono ascrivibili alla categoria della relazione. Infatti il Padre
è Padre solo in relazione al Figlio e allo Spirito Santo, così come il Figlio e lo
Spirito Santo siano tali solo nella reciproca relazionalità e nella relazionalità col
Padre. Questa è un intuizione molto ricca in quanto l’essere di una persona, non si
riduce alla sua sostanza, ma si completa nella relazione con l’altro. L’altro in
qualche modo plasma il mio essere entrando in relazione con me. In questa
210
AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, VIII, 8, 12.
94
fenditura esistenziale che ci offre la categoria della relazione, si inserisce Dio-
amore, vita che unisce, e che costituisce una nuova socialità che potremo definire
civitas Dei. Riccardo di San Vittore, sfruttando a pieno le
intuizioni degli autori precedenti costruisce la sua dottrina trinitaria proprio sul
concetto di relazionalità interno alle persone della Trinità. In particolare la sua
intuizione più riuscita è quella del condilectus. Egli per spiegare perchè il
medesimo Dio esista in tre persone, incrociando la tematica della relazione con il
concetto di Dio-amore, afferma che quando uno è amato desidera che anche
un’altro sia amato come lo siamo noi stessi. L’amore vuole essere condiviso
essendo gioia ed essendo unità. Nella relazione interpersonale così egli spiega
mirabilmente la trinità di persone. In Bulgakov e Von
Balthasar l’aspetto relazionale si realizza soprattutto attraverso il sacrificio di sé e
nella kenosi. Il sacrificio di sé avviene sempre di fronte ad un Tu per il quale si
dona la vita. La relazionalità si configura così come un annientamento personale
che fa essere l’altro. Questo viene mostrato nella relazionalità intra-trinitaria in
Bulgakov e nell’evento cristologico della kenosi del Figlio in Von Balthasar.
Il background filosofico che si cela dietro alla riflessione teologica dei nostri
autori è il punto di maggior divergenza che possiamo riscontrare. Agostino si muove
all’interno di un sistema platonico o neoplatonico, Riccardo in uno Aristotelico di tipo
speculativo dell’alta scolastica che riceve forte influsso dal metodo di Anselmo.
Bulgakov dal canto suo riceve forte l’influenza dell’idealismo tedesco tanto che le sue
opere furono tacciate di hegelismo. Infine la filosofia che rileviamo dietro all’opera di
Balthasar è, a nostro avviso, di tipo estetico-ermeneutico, in forte correlazione col
pensiero di Gadamer211. Tuttavia questo differente approccio filosofico nella
riflessione teologica su Dio-amore, lungi dal creare una divergenza di vedute e una
pluralità di vie, sembra piuttosto essere lo spettro cromatico di un unico fascio di luce.
La teologia dei nostri autori non solo non si contraddice, ma anzi sembrerebbe
arricchire, in un progresso di costante approfondimento, quella mirabile affermazione
della prima lettera di Giovanni che definisce Dio amore. Ogni approccio filosofico
diverso, sembra gettare una luce nuova sul concetto di Dio-amore, aumentandone la
lucentezza e scandagliandone sempre più le profondità. In questo senso vanno
interpretati i concetti di relazione, condilectus, kenosi, che sono alcuni dei frutti di
211
Cf. Jason Paul BOURGEOIS, The Aesthetic Hermeneutics of Hans-Georg Gadamer and Hans Urs
von Balthasar, Marian Library Faculty Publications, 2007,consultabile su:
https://ecommons.udayton.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1007&context=imri_faculty_publications
29/10/2020.
95
questo cammino di riflessione sull’essenza agapica di Dio .
Inoltre il rapporto con la Cristologia appare ben
differente nella speculazione degli autori summenzionati. Giovanni vive vicino
all’evento Cristo ed è nella luce della sua risurrezione che scrive le sue lettere ed il
Vangelo. La comunità gode nell’amore fraterno come uno dei frutti della risurrezione
di Cristo. In Agostino la Cristologia, vive già un epoca matura dovuta alla
proclamazione dei dogmi cristologici nei vari concili ecumenici della Chiesa. La sua
riflessione muove pertanto, oltre che dalla Sacra Scrittura e dal contributo dei padri,
da queste pietre miliari della fede cristiana che sono i dogmi. Così, mentre in Giovanni
l’evento cristologico assume caratteristiche fondamentalmente esistenziali, in
Agostino, lungi dal distaccarsi dalla vita contemplativa e comunitaria del santo,
assume sfumature più filosofiche e teologiche. In Riccardo l’aspetto Cristologico, ed
in particolare l’aspetto dell’amore che si compie nel sacrificio del Figlio sulla croce,
viene quasi ignorato. L’attenzione di Riccardo è rivolta alla vita interna della Trinità.
Infine vi è un forte riferimento alla vita contemplativa nell considerazione dell’opera
che lo Spirito santo compie nel cuore dei cristiani. L’opera di Riccardo inoltre
presenta un forte carattere di dimostrazione logica e razionale della realtà del Dio
trino, aspetto meno riscontrabile nell’opera degli altri autori. Von Balthasar si distacca
nettamente dagli autori precedenti in per il suo procedimento teologico che appare
rovesciato rispetto a quello degli altri. Mentre Agostino e Giovanni fanno una
Cristologia dall’alto, Von Baltasar invece sembrerebbe imboccare la via opposta. Egli
spiega che Dio è amore a partire dalla kenosi del Figlio che dà la vita per la salvezza
del mondo. Inoltre lui si muove già nell’orizzonte del Concilio Vaticano II in cui
l’enfasi sulla cristologia ha sicuramente influito sulla direzione della sua speculazione.
Dopo aver confrontato le opere dei nostri autori, siamo ora pronti per offrire il
nostro personale contributo alla tematica in questione. Partiamo da un assunto
fondamentale: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici» (Gv 15,13). L’amore, nella sua forma più alta, quella che quindi è propria di
Dio, si configura come un “dare la propria vita” o un “dare tutto se stessi” per la
persona che si ama, fosse anche il proprio nemico. Questo concetto viene reso
sublimamente da Agostino che afferma che l’amore è «una vita che unisce» 212.
Ora questo aspetto di dare la propria vita può essere inteso in
due modi. Il primo come “uscita da sé”, il secondo come “negazione di sé”. Il concetto
di uscita da sé ci rimanda alla definizione riccardiana di persona quale ex-istentia,
mentre quello di “negazione di sé”, a quello di kenosi, ripreso da Bulgakov ed esteso
212
Cf. AGOSTINO D’IPPONA, De Trinitate, VIII, 10,14.
96
da Balthasaar. Questi due aspetti sono complementari o se vogliamo consequenziali in
quanto l’uscita da sé comporta sempre in un certo qual modo la negazione di sé. E
quindi possiamo affermare che l’uscita da sé, o ex-istentia, delle persone della Trinità,
avviene sempre sotto la forma della kenosi. È interesssante notare come l’identità
delle persone della Trinità venga definita attraverso la loro modalità di provenienza e
dalla loro modalità di donazione di se stessi. Tuttavia occorre aggiungere un’altro
elemento ai due fin qui enumerati ovvero quello della ricettività. La ricettività
significa la capacità di accoglienza totale dell’essere dell’altro che si dona. Nelle
persone della Trinità non vi è limite alla possibilità ricettiva. L’amore divino è, non
solo donazione totale di sé all’altro, ma anche capacità illimitata di accogliere
infinitamente l’essere dell’altro che si dona. Abbiamo così enumerato tre
caratteristiche dell’amore che è Dio: l’uscita da sé, la negazione di sé e la ricettività.
L’aspetto ontologico della
questione dell’amore appare definitivamente superato se inquadrato nella dinamica
della croce. Riccardo di San Vittore ci diceva che nella semplicità sovrana di Dio,
l’essere e l’amore sono la stessa cosa. L’amore è un essere che si dona. L’essere che si
apre alla relazione in un certo qual modo comincia ad amare. In Dio l’essere è ‘essere
relazione’. Non può esistere Dio se non come essere relazionale. Ma la cosa
straordinaria di tale relazione è che essa si concretizzi in un amore che dona la vita
fino a morire per l’altro. La croce è amore in atto nella negazione totale dell’essere.
L’annientamento di sé è la forma di amare di Dio. L’essere ci è dato nell’amore e per
amare. Io sono(esisto), perché, nell’amore di un altro, ho ricevuto l’essere dalla
negazione dell’essere di quell’essere che mi ha amato. Dal momento che esisto, esisto
per amare, ovvero per negare il mio essere nell’amore e così far essere un’altro essere.
Lo svuotamento, o negazione del mio essere, fa spazio in me e per l’altro. Da una
parte il mio essere svuotato di sé può essere riempito dall’amore di Dio, che si dona a
me eternamente. Dall’altra la negazione del mio essere non opprime o schiaccia
l’altro, ma lo fa essere. Morendo a me stesso faccio spazio all’altro e a Dio. Morendo
a me stesso in qualche modo vengo divinizzato. Partecipando all’amore nella
dimensione della croce, sono innestato in Cristo. Per questo San Giovanni dice che chi
ama ha conosciuto Dio (cf.1Gv 4,7). L’amore è partecipazione alla passione e morte di
Gesù Cristo. L’amore è anche partecipazione alla sua risurrezione. Abbiamo visto
come in Balthasar il concetto di morte sia equivalente a quello di ‘dare la vita’. Mentre
Bulgakov affermava che i due assunti fondamentali dell’amore fosssero il sacrificio e
la gioia. Ora il concetto di morte risponde all’assunto dell’amore quale sacrificio.
Morendo, do la mia vita per l’altro, mi sacrifico, cioè rendo sacra la mia esistenza
(sacrum + facere). La croce è lo strumento che Dio ha scelto per renderci santi,
unendoci alla sua passione e morte. Tuttavia questo potrebbe sembrare soltanto un
masochismo se non consideriamo un altro aspetto fondamentale della dinamica
97
dell’amore ovvvero la gioia della risurrrezione. C’è una gioia sicuramente nel dolore,
come ricordava Balthasar, poichè nel soffrire con Cristo, diveniamo uno con lui.
Tuttavia la gioia dell’amore cristiano non si esaurisce con la sola partecipazione alla
passione e morte di Cristo. La gioia diviene traboccante nell’atto della risurrezione di
Cristo. L’amore del Padre risuscita il Figlio. Tutto quello che il Figlio ha offerto al
Padre nella sua vita, passione e morte, gli viene restituito in maniera sovrabbondante
all’atto della risurrezione. La vita che inaspettatamente risorge dalla morte si traduce
nella gioia, nel gaudio, nella beatitudine celeste. Amore è sacrificio nel perdere se
stessi, amore è gioia nel ritrovarsi dopo essersi perduti.
L’amore come detto è un esodo da se
stessi. L’essenza di Dio, coincidente con la sua esistenza, è un atto puro e questo atto,
sia nella vita intra-trinitaria che in quella extra-trinitaria, può essere credibile e
concepibile solo come atto di amore. La ricettività di questo amore all’interno della
vita trinitaria è perfetta. Nell’uomo tuttavia tale ricettività viene indebolità dalla
condizione di peccato in cui si trova. L’uomo nella sua libertà può rifiutare l’amore di
Dio. In Adamo l’uomo ha di fatto respinto l’amore di Dio nella comunione del
giardino dell’Eden, e si è ripiegato su stesso inibendo così la sua relazionalità. Dio,
attraverso la morte e risurrezione di Gesù Cristo, ha aperto una strada nelle tenebre del
rifiuto di Dio da parte dell’uomo. L’ira di Dio che colpisce non l’uomo ma il suo
peccato, si è riversata su Cristo. Cristo per amore ha pagato per noi il debito di
Adamo. Dio per amore con la sua collera vuole distruggere nell’uomo ciò che è
contrario a Dio. Il Figlio per amore si carica del nostro peccato e subisce nella sua
carne la collera del Padre. L’unica risposta che può dare l’uomo a questo amore, e
l’unica possibilità che ha di partecipare a questo amore è la fede. L’atto di fede è
anch’esso un atto kenotico. Per la fede l’uomo rinuncia a se stesso e fonda il suo
essere in Dio. La fede è un atto ontologico. Per la fede noi partecipiamo alla natura di
Dio, che è l’amore. In questo orizzonte ontologico-agapico l’uomo può conoscere che
Dio è amore e può amarlo e in lui amare il prossimo. Nella fede così anche l’uomo,
sradicato dal suo essere, che è amore egoistico di sè, è chiamato ad uscire da se verso
l’amore. L’amore, essendo una vita che unisce, non può non risolversi in
comunione. Comunione eterna delle tre persone divine, comunione delle tre persone
divine con gli uomini, comunione degli uomini tra loro. Riccardo di San Vittore
attraverso il concetto del condilectus ci ha aiutato a comprendere in parte la dinamica
della formazione della comunità di persone divine e umane. Il centro di tale concetto
risiede nel fatto che chi viene amato vorrebbe che anche un’altro potesse sperimentare
tale amore. Così il Padre e il Figlio riversano il proprio amore nello Spirito Santo che
è ricettività assoluta. Così avviene anche tra gli uomini, che inebriati dell’amore
divino, possono amare il prossimo fosse anche il proprio nemico. Per spiegare questo
processo, anche in relazione a quanto detto fin qui rispetto all’amore quale donazione
98
della propria vita ad un altro, sono indispensabili due termini, quello di
compenetrazione e quello di inabitazione. Il primo è riferibile alla Trinità
immanente. Il Padre dà tutto se stesso al Figlio e per tanto è tutto nel Figlio. Il Figlio
dà tutto se stesso al Padre e quindi è tutto nel Padre. Lo Spirito Santo porta in sé
l’essere del Padre e del Figlio e pertanto è tutto nel Padre e nel Figlio. Le tre persone
divine sono reciprocamente compenetrate. L’inabitazione inerisce invece all’attività
ad extra della Trinità. Essa si realizza per lo Spirito Santo, compenetrato della vita del
Padre e del Figlio, che viene a dimorare nel cuore dell’uomo. Per lo Spirito Santo
Cristo stesso vive in me. Ma siccome Cristo è uno con il Padre e lo Spirito Santo, di
fatto è tutta la Trinità che vive in me. La vita immortale dimora nel cuore dell’uomo.
L’amore che ha risuscitato Cristo dai morti, che ha distrutto le porte degli inferi e ci ha
spalancato le porte del cielo, con il battesimo ha preso dimora presso il cuore di ogni
cristiano. Pertanto è fondamentale oggi per ogni cristiano ritornare a dissetarsi alle
acque vive del proprio battesimo. È indispensabile riscoprire il tesoro d’amore
inesauribile che vive in noi per il battesimo. È di assoluta importanza portare questo
amore a chi non lo conosce.
L’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello Spirito Santo
vengono riversate sui cristiani eternamente nell’eucarestia. Nell’eucarestia tutta la
dottrina cristiana sul Dio amore viene compendiata dalle parole di Cristo stesso che
dice:«Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io gli darò è la mia
carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Cristo ci ama e offre tutto se stesso a noi
nell’eucarestia, affinché anche noi possiamo offrire noi stessi per la salvezza del
mondo. Ricorda infatti Benedetto XVI nell’incipit dell’esortazione apostolica
Sacramentum Caritatis che: «La Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di
se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo»213. L’eucarestia rivela che
Dio è amore. Questa essenza agapica di Dio non è solo una conoscenza teorica ma un
evento storico che si concretizza ogniqualvolta Cristo dona se stesso all’uomo nel
pane e nel vino che diventano realmente il suo corpo e il suo sangue. Questo
sacramento ha la capacità di «suscitare un processo di trasformazione della realtà, il
cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero»214, in cui Dio sarà tutto in
tutti (cf. 1 Cor 15,28). Il cristiano, infatti, infiammato di questo amore, ricevuto
nell’eucarestia, diviene egli stesso un fuoco che divampa per il mondo e accende nei
cuori di molti la fiamma dell’amore che è Dio.
213
BENEDETTO XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, Citta del Vaticano, (22/02/2007),
citato da: http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_exhortations/documents/hf_ben-
xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis.html, n.1. 29/10/2020
214
BENEDETTO XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, n.11.
99
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104
ABSTRACT
Via Caritatis
105
The definition "God is love" as a way through the history of theological
thought
by Fabiano Rebeggiani
The definition "God is love" in the first letter of John is the highest revelation
of the essence of God that is offered to us in sacred scripture. This revelation, which
was foretold in the Old Testament and which became flesh in the person of Jesus
Christ, has also become a way through the history of theological thought. This path
was defined by Saint Augustine as "Via Caritatis". Various authors throughout the
history of theological thought have reflected on God starting precisely from his agapic
essence.
This study follow the "via caritatis" in the authors who left the most significant
contribution, in order to define the historical development of this doctrine. The author,
after having sought the God-love in the Old Testament and after having demonstrated
how this love was fully incarnated in Jesus Christ who is the imprint of the divine
substance (cf. Heb 1,3), goes on to analyze the first letter of John, offering an exegesis
precisely in the horizon of the agapic essence of God. Following, the author will
address the thought of Augustine, Richard of St. Victor, Sergej Bulgakov and Hans
Urs von Balthasar. The approach that this study will apply is hermeneutical. That is, it
will try to make resound the texts of the authors treated in this historical present.
Furthermore, once the thought of the various authors has been reported, in the last
chapter the author will try to synthesize the concept of God-love, outlining its
fundamental characteristics. The in-depth study of the authors in this section will
touch other various themes connected to the concept of God-Love. These include the
concept of the person in his relational dimension, the concept of existence, the concept
of love as a kenosis of oneself, the common life as a place of knowledge of God-love.
The basic lines that this study intends to follow are those of a "metaphysics of
charity" which bases the reflection on God, no longer on the vague concept of
substance as understood by ancient philosophy, but on the concept of the person in his
fundamental relational identity.
초록
Via Caritatis (사랑의 길)
106
신학적인 성찰의 역사로 길로써 ‘하느님 사랑이십니다’라는 정의에 대한 연구
파비아노 레베쟈니
107