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LA VITA
NELLE NOSTRE MANI
Manuale di Bioetica teologica
Presentazione di Ignacio Carrasco de Paula
M aurizio Pietro Faggioni
LA VITA
NELLE NOSTRE MANI
Manuale di bioetica teologica
Seconda edizione
E D IZ IO N I C A M IL L IA N E
Al gruppo della Rianimazione
dell’Ospedale dell’Aquila
al servizio della vita
Edizioni Camilliane
tei. 011 8194648
fax 011 8194648
e-mail: edizioni@h-sancamillo.to.it
www.camilliani.org/edcamilliane/
Composizione e stampa
AG AM - Madonna dell’Olmo (CN)
ISBN 88-8257-112-2
5
PRESEN TA ZIO N E
della I edizione
3 p. 123.
7
4 p. 34.
5 p. 50.
6 p. 236.
7 Ibidem.
8 Enc. Evangelium Vìtae, n. 52, cit. a p. 246
9
IN TRO D U ZION E
EIDETICA GENERALE
CAPITOLO I
1La prima apparizione attestata nell’articolo: P otter V. R., Bioethics. The Science o f Sur
vival, “Perspectives in Biology and Medicine” 14 (1970) 120-153 (trad. it. P otter V. R.,
Bioetica la scienza della sopravvivenza. Bellino F. cur.. Bari 2002Ì, Ne rivendicano la pa
ternità anche S. Shriver e A. Hellegers all’inizio del Kennedy Institute, sempre nel 1970.
Cfr. R eich W. T., The Word “Bioethics”: Its Birth and the Legacies o f those Who Shaped
It, “Kennedy Institute of Ethics Journal” 4 (1994) 319-335 (trad. it. ID., Il termine «bioe
tica». Nascita, provenienza, forza, “Itinerarium” 2 (1994) 3, 33-71).
2 La parola bioetica richiama la preesistente bioteoretica. Nata negli anni ’30, la bioteo
retica o biologia teoretica è la disciplina che studia la natura intima della vita e il suo svi
luppo sulla Terra, attraverso Pinterazione di conoscenze biologiche, fisiche e matematiche.
Cfr. R eydon T. A. C., D ullemeijer R, H emerik L., Histoiy o f “Acta Biotheoretica” and
the Nature o f Theoretical Biology, in R eydon T. A. C., H emerik L. eds., Current Themes
in Theoretical Biology, Dordrecht 2005, 1-8.
3 Usiamo l’espressione “preistoria della bioetica” per sottolineare i legami profondi e ge
netici fra la bioetica e la tradizione filosofico-teologica e, ponendoci sulla scia di Grodin,
riportiamo idealmente le origini della bioetica a Ippocrate: G rodin M. A., Introduction.
The Historical and Philosophical Roots o f Bioethics, in ID. ed., Meta Medical Ethics: The
Philosophical Foundations o f Bioethics, Boston 1995, 1-23.
18 P arte P rima - Bioetica generale
virtù. Gli argomenti attinenti la morale della vita fisica (omicidio, suici
dio, legittima difesa, pena di morte, mutilazione) sono trattati nell’ambito
della virtù della giustizia e corrispondono alle questioni 64 e 65 della Se-
cunda Pars: la presentazione è esteticamente bella e molte posizioni to
miste su elementi capitali e qualificanti conservano la loro validità, anche
se l’insieme resta un po’ sfuocato perché l’accento sul tema della giusti
zia mette in secondo piano il tema, più significativo in questo contesto,
del valore della vita umana.
In continuità ideale con l’Angelico, ma con una particolare sensibili
tà per gli aspetti giuridico-morali della giustizia e con viva attenzione per
le problematiche nuove emergenti al loro tempo, si pongono gli autori
del Rinascimento tomista della seconda scolastica nei secoh XVI e XVII.
Si moltiplicano in questo periodo estesi commentari a singoli aspetti del
l’opera tomista, in forma di Disputationes, e opere monografiche sul tema
della giustizia, spesso intitolate De iustitia et iure, all’interno delle quali
trovano posto le questioni concernenti la corporeità.
La creazione dei seminari per la formazione dei sacerdoti voluta dal
Concilio di Trento con il decreto del 14 luglio 1563 e la dottrina tri-
dentina sulla integrità dell’accusa dei peccati nel sacramento della pe
nitenza,7 portò alla necessità di predisporre testi di morale adatti alle
esigenze dell’insegnamento e orientati prevalentemente alla prassi con
fessionale.8 Questi nuovi testi, detti Instìtutiones Theologiae Moralis,
abbandonata l’impostazione delle virtù e tralasciati i trattati speculati
vi sulla beatitudine e sul fine ultimo, presentavano la morale speciale
seguendo i precetti del Decalogo e quindi con un orientamento tenden
zialmente negativo e con un interesse particolare al riconoscimento del
le trasgressioni. D ’altra parte la crisi nominalista del pensiero scolastico
classico e il mutato concetto di natura prodotto dalla scienza nuova ren
devano incomprensibile il tema della legge naturale così come era inte
so dagli Scolastici e imponevano uno slittamento dal tema della natura
a quello della legge e dalla recta ratio, rivelatrice del bene umano au
tentico, alla coscienza, intesa come mediatrice e interprete fra legge e
situazioni concrete. Le questioni di morale della vita fisica vengono
ora trattate nel contesto del V comandamento, il precetto che proibisce
l’omicidio e che, per estensione, condanna ogni attentato alla vita e al
l ’integrità fisica della persona.
Il Tridentino aveva inoltre incoraggiato lo studio dei casi di coscien
7 Nella Sessione XIV, can. 7 (DS 1707), il Concilio aveva affermato l’obbligo «di confes
sare tutti e singoli i peccati mortali, anche quelli occulti e che violano i due ultimi coman
damenti del Decalogo, come pure le circostanze che cambiano la specie».
8 Cfr. S essio XXIII, Decretum eie reformatione, cap. 18.
20 P arte P rima - Bioetica generale
13 Cfr. C urran C. E., The Catholic Moral Tradition in Bioethics, in W alter J. K., K lein
E. P. eds., The Story o f Bioethics: From Seminal Works to Contemporaiy Explorations,
Washington 2003, 113-130; W alters L., La religione e la rinascita dell’etica medica ne
gli Stati Uniti: 1965-1975, in S help E. cur. Teologia e Bioetica. Fondamenti e problemi di
frontiera, Bologna 1989, 37-57.
22 P arte P rima - Bioetica generale
nel nostro tempo si sia avvertito il bisogno di creare una nuova discipli
na o almeno di ripensare dalle fondamenta questo ambito della filosofia
morale. In effetti è un vero problema storiografico capire perché non fu
sufficiente una evoluzione e un adattamento dell’etica medica alle nuo
ve questioni, ma si sentì il bisogno di sviluppare una disciplina nuova,
la bioetica, appunto. Secondo lo storico della medicina, Diego Gracia,
«soltanto scoprendo le ragioni per cui l’etica medica non poteva dar vi
ta alla bioetica è possibile capire adeguatamente la sua novità».14
Il contesto in cui sorge la bioetica nella seconda metà del XX secolo è
caratterizzato da diversi fenomeni sociali e culturali che possiamo sinte
tizzare in quattro nodi contestuali: il tumultuoso progresso delle scienze
biomediche e il porsi di nuovi interrogativi etici sulla capacità dell’uomo
di gestire questo inedito ed enorme potere; la crescente consapevolezza
che esistono diritti umani inalienabili, come il diritto alla giustizia, che
si fondano sulla dignità della persona umana prima ancora che essere ri
conosciuti dalle leggi civili; il crollo del mito della neutralità etica della
scienza; la necessità di ripensare il rapporto dell’uomo con il suo pianeta
per una presenza più rispettosa dell’ambiente e dei suoi equilibri.15
a. Il progresso biomedico
Dopo la seconda guerra mondiale il progresso biomedico dal punto di
vista sia conoscitivo sia tecnologico non ha conosciuto soste, modifican
do largamente la stessa immagine che l’uomo aveva di se stesso e della
sue possibilità di intervento sul proprio corpo. Per avere un’idea degli stu
pefacenti progressi della medicina ricordiamo alcune pietre miliari.
1953. Scoperta della struttura a doppia elica del DNA, premessa di
una vivace stagione per la genetica : l’uomo ha raggiunto così le radici
della sua identità biologica.
1954. Esordio delle tecniche di rianimazione: si modifica il decor
14 G racia D., Bioethics, from Stories to History, “Medicine, Health, Care and Philosophy”
8 (2005) 119-122 (p. 120, trad, nostra).
15 Sulla storia della bioetica e i suoi fondatori: JONSEN A. R. ed., The Birth o f Bioethics,
Special Supplement, “Hastings Center Report” 23 (1993) S1-S17; Id ., The Birth o f Bioeth
ics, New York 1998; M artensen R., The History o f Bioethics: An Essay Review, “Journal
of History of Medicine and Allied Sciences” 56 (2001) 168-175; P ellegrino E., The Or
igins and Evolution o f Bioethics: Some Personal Reflections, “Kennedy Institute of Ethics
Journal” 1 (1999) 73-88; R othman D. J., Strangers at the Bedside: A History o f how Law
and Bioethics Transformed Medical Decision Making, New York 1991; Russo G., Storia
della bioetica. Le origini, significato, istituzioni, Roma 1995; Id . cur., Bilancio di 25 anni
di bioetica. Un rapporto dai pionieri, Leumann (To) 1997; S oldini M., Una riflessione
ermeneutica sulla storia della bioetica, “Bioetica e cultura” 18 (2000) 199-215; S p e s a n
ti S., Bioetica. Biografie per una disciplina, Milano 1995.
C apitolo I - Che cos’è la bioetica? 23
b. I diritti umani
Negli anni del dopoguerra, dopo il processo di Norimberga che sve
lò gli orrori dei campi di concentramento nazista, in cui si erano com
piuti delitti ignobili in nome delle leggi dello Stato e nei quali gli stessi
medici avevano praticato le sperimentazioni più folli e atroci, si avvertì
la necessità di ritrovare, prima di ogni legislazione e del diritto positivo,
prima delle ragioni della legge e della scienza, un fondamento transcul
turale e universale a tutela e promozione della dignità dell’uomo. Que
sta radice comune di eticità si è espressa nella elaborazione dei diritti
umani.16 II tema dei diritti umani costituisce uno dei motivi conduttori16
16 C asini C., Processo di Norimberga e crisi del giuspositivismo, in T arantino A., Rocco
R. curr., Il processo di Norimberga a cinquant’anni dalla sua celebrazione, Milano 1998,
125-135. Sui diritti umani e la bioetica, vedere: D ’A gostino F., Tendenze culturali della
bioetica e diritti dell’uomo, in B ompiani A. cur., Bioetica in medicina, Roma 1996, 48-54;
S greccia E., C asini M., Diritti umani e boetica, “Medicina e Morale” 59 (1999) 17-47.
24 P arte P rima - Bioetica generale
17 Cfr. J ones J. H., Bad Blood : The Tuskegee Syphilis Experiment, New York 1981 (revised
ed. 1993); R everby S. M. ed., Tuskegee’s Truths: Rethinking the Tuskegee Syphilis Study,
Chapel Hill (NC) 2000.
26 P arte P rima - Bioetica generale
d. Crisi ambientale
Dagli inizi degli anni ’60 divenne sempre più chiaro che il pianeta si
stava avviando verso il tracollo ambientale sotto i colpi della presenza
distruttrice dell’uomo e da più parti si cominciò a invocare un radicale
mutamento culturale e una nuova coscienza ecologica.
Secondo Van Rensselaer Potter (1911-2001) - l’oncologo americano
che si ritiene abbia coniato la parola bioetica nel 1970 - lo scopo della
bioetica è appunto quello di portare tutta l’umanità a prender parte atti
va e consapevole ai processi della evoluzione biologica e culturale. Di
fronte agli effetti nefasti dell’intervento umano sul pianeta, ormai pros
simo alla morte ecologica come un organismo invaso dal cancro - per
ché l ’uomo per la natura è come il cancro per un organismo vivente - si
impone una disciplina che faccia da ponte tra fatti scientifici e valori eti
ci: nella parola bioetica, bio sta a rappresentare appunto la conoscenza
biologica, la scienza dei sistemi viventi, mentre etica sta a rappresentare
la conoscenza dei sistemi dei valori umani. L’immagine della bioetica
come ponte fu usata dallo stesso Van R. Potter nel suo saggio Bioethics:
Bridge to thè Future, in cui egli denunciava come innaturale e pericolo
sa la scissione fra ambito scientifico e umanistico del sapere e auspica
va una mediazione fra le due culture.19
18 Lysenko era un agronomo ucraino che, in opposizione alla genetica mendeliana, soste
neva la modificabilità dei caratteri dei viventi sotto l’influsso dell’ambiente e la possibilità
di trasmissione di questi caratteri modificati alla progenie (neo-lamarkismo). Dal 1948 al
1964 queste tesi furono approvate ufficialmente in quanto ritenute in linea con il materiali
smo storico-dialettico, anche se la loro applicazione in agricoltura dette risultati disastrosi.
Vedere: R oll-H ansen N., The Lysenko Effect. The Politics o f Science, New York 2005.
19 P otter V.R., Bioethics. Bridge to the Future, Englewood Cliffs 1971 (trad. it. ID., Bioe
tica: ponte verso il futuro, Gensabella Furnari M., Russo G. curr., Messina 2000).
C apitolo I —Che cos ’è la bioetica ? 27
Tutta una serie complessa di fattori storici, culturali, sociali, qui sche
maticamente evocati a modo di semplice allusione e suggestione, costi
tuiscono F humus in cui prende forma e si sviluppa la bioetica attraverso
il convergere di molti apporti storici e culturali. La nascita della bioe
tica come disciplina coincide, non casualmente, con un ritorno di inte
resse da parte dell’etica filosofica per l ’etica pratica interesse stimolato
dall’urgenza di fornire un adeguato fondamento al dibattito pubblico e
alle legislazioni e di guidare il dialogo e l ’intesa nel contesto delle so
cietà pluraliste e democratiche. Secondo S. Toulmin, l’etica medica ha
addirittura contribuito a salvare la vita della filosofia morale, che si sta
va isterilendo in aridi dibattiti metaetici e l’ha riportata alla ribalta del
la vita e al centro dell’interesse generale.20
Alla bioetica è assegnato il compito immane e affascinante di dare
pienezza di senso alle nostre conoscenze nel campo delle scienze del
la vita e della salute e orientare l ’espandersi delle conoscenze tecniche
e scientifiche verso il bene autentico e integrale dell’uomo, rispettando
gli equilibri naturali del pianeta nel contesto dei quali si dispiega la sua
avventura. La bioetica è la risposta ad un bisogno, la risposta alla pres
sante domanda di moralità nell’ambito delle scienze della vita e della
salute e, più in generale, costituisce un ripensamento globale del ruolo
e dell’azione dell’uomo su se stesso e sul suo mondo.
Lo sviluppo della nuova disciplina è stato sorprendentemente rapido
e l ’accoglienza, da parte degli addetti ai lavori e del pubblico, trionfa
le. La fondazione di uno dei centri di studio più importanti, VHastin-
gs Center di New York, sotto la denominazione di Institute o f Society,
Ethics and Life Sciences, risale al 1969, un anno prima dell’invenzio
ne della parola bioetica. Già nel 1978 poteva comparire la prima tratta
zione ampia e articolata della materia, la Encyclopedia o f Bioethics, in
4 volumi di 1800 pagine con 315 articoli di 280 autori che presentava
no un’impressionante panoramica sull’insieme delle questioni etiche e
sociali nell’ambito delle scienze della vita, della medicina, della salute.
«Nella storia della cultura accademica è la prima volta che un’enciclo
pedia appare prima che il campo di conoscenza di cui tratta sia ben de
finito e ampiamente riconosciuto».21
20 T oulmin S., H ow Medicine Saved the Life o f Ethics, “Perspectives in Biology and Med
icine” 25 (1982) 736-750. Si veda anche: B erti E. cur., Tradizione e attualità della filoso
fìa pratica, Genova 1988.
21 Nel 1995 è uscita una revised edition dell’Encyclopedia, in 5 volumi, con aggiornamenti
e aggiunte ed una terza edizione, curata da Stephen Garrard Post, è uscita nel 2003.
28 P arte P rima - Bioetica generale
D. Callahan, direttore dell 'Istituto di Hastings, sin dal 1973 si era ri
ferito alla bioetica come a una disciplina.22 Per potersi qualificare co
me disciplina autonoma la bioetica deve esser capace di darsi una solida
strutturazione scientifica, precisando sia l’ambito di studio sia il punto di
vista e, quindi, la metodologia con la quale coglie e studia i suoi oggetti.
Si può parlare in senso proprio di una disciplina, in quanto forma speci
fica di conoscenza umana, solo se questa disciplina mostra di avere uno
statuto epistemologico che ne caratterizzi l’identità e che la distingua dal
le altre discipline. Essendo la bioetica un’etica, essa si colloca nel con
testo delle discipline etiche condividendone lo statuto epistemologico e
presupponendone le questioni fondative e metaetiche, ma, pur configu
randosi con la struttura logica tipica del discorso etico, la bioetica pre
senta delle peculiarità che ne fanno parlare, appunto, come di una nuova
disciplina.
Cercheremo in questo paragrafo di evidenziare alcuni elementi es
senziali del dibattito e di fissare alcuni punti fermi, tenendo tuttavia pre
sente che la questione è ben lontana dall’essere risolta. In un intervento
di notevole spessore teorico A. Pessina ha parlato di una «fluidità epi
stemologica della bioetica» dovuta al fatto che la disciplina «non ha an
cora raggiunto una matura consapevolezza rispetto alla definizione dei
propri compiti e dei propri strumenti».23
a. Ambito di studio
L’ambito di studio della bioetica è variamente circoscritto, potendosi
identificare due impostazioni fondamentali che si sono confrontate sin
dagli inizi della disciplina.
Alcuni preferiscono restringere lo studio della bioetica agli interven
ti sulla vita umana e danno alla bioetica una intonazione più medica,
22 C allahan D., Bioethics as a Discipline, in Hastings Center Studies, voi. 1, New York
1973, 66-73. Cfr. P rivitera S., Epistemologia bioetica, in L eone S., P rtvitera S. edd.,
Nuovo dizionario di Bioetica, 416-418.
23 P essina A., L ’ermeneutica filosofica come sfondo teorico della bioetica. Elementi per
una valutazione critica, “Medicina e Morale” 46 (1996) 43-70 (p. 45-46). Vedere inoltre:
B ellino F., I fondamenti della bioetica. Aspetti antropologici ontologici e morali, Roma
1993, 15-36; C astellana M., Sui fondamenti epistemologici della bioetica, in B ellino
F.cur., Trattato di bioetica, Bari 1992, 137-156; T agliavini A., Bioetica: una prospettiva
multidisciplinare, “Rivista di filosofia” 44 (1989) 298-310. Importante resta la riflessio
ne di: L adriere J., Approche philosophique de la problématique bioéthique, “Revue des
Questiones Scientifiques” 3 (1981) 353-383 (trad. it. L ’etica nell’universo della raziona
lità, Milano 1999, 213-236).
C apitolo I - Che cos’è la bioetica? 29
24 Russo G., P otter V.R., L ’idea originaria di bioetica, “Itinerarium” 2 (1994) 2, 11-25;
W hitehouse P.J., The Rebirth o f Bioethics: Extending thè Originai Formulations ofVan
Rensselaer Potter, “The American Journal of Bioethics” 3 (2003) W26-W31. Potter riferi
va questa sua preoccupazione in: P otter V.R., Humility with Responsability . A Bioethic
fa r Oncologist: Presidential Adress, “Cancer Research” 35 (1975) 2297-2306.
25 L eopold A., A Sand County Almanac and Sketches Here and There, London-Oxford-
New York 1968 (originale 1949); ID., Some Foundamentals o f Conservation in thè South
west, “Environmental Ethics”, 1 (1979) 131-141, specialmente 139-140. Cfr. C allicott
J.B. ed., Companion to A Sand County Almanac: Interpretive and Criticai Essays, Madi
son (Wisconsin) 1987; B artolommei S., Etica e ambiente. Aldo Leopold e il valore mora
le degli oggetti naturali, in M ori M., Questioni di bioetica, Roma 1988, 223-245.
26 L’espressione bioetica globale fu introdotta dallo stesso Van Rensselaer Potter, perché
il termine bioetica era stato assunto per indicare esclusivamente lo studio delle questioni
30 P arte P rima - Bioetica generale
mediche, contro le sue intenzioni. Cfr. V an R. P otter, Global Bioethics (Building on the
Leopold Legacy), East Lansing 1988; ID., Global Bioethics as a Secular Source o f Moral
Authority fo r Long Term Human Survival, “Global Bioethics” 5 (1992) 5-11.
27 R eich W. T., Encyclopedia o f Bioethics, New York 1978, voi. 1, XIX.
28 Scarpelli U., La bioetica alla ricerca dei principi, in Id., Bioetica laica, Milano 1998,217-247.
Il saggio era stato pubblicato originariamente in “Biblioteca della libertà” 22 (1987) 99,8-32.
C apitolo I —Che cos’è la bioetica? 31
29 Una analisi filosofica delle diverse definizioni di bioetica, in dipendenza delle diverse
prospettive: P essina A., Bioetica. L ’uomo sperimentale, Milano 1999, 22-42.
30 S greccia E., Mauale di bioetica, voi. I. Fondamenti ed etica biomedica, Milano 2007, 31.
31 B ellino F., I fondamenti, 23.
32 C hildress J., B eauchamp T., Principles o f Biomedicai Ethics, New York 19944, 4. I
due Autori continuano dicendo che, pur essendoci una distinzione reale fra etica normati
va e etica pratica, questa distinzione non sarà netta nel corso della loro trattazione.
33 Cfr. S teigleder K., Problemi di etica applicata, “Concilium” 25 (1989) 492-503; M as
sarenti A., D a R e A., L ’etica da applicare, Milano 1991.
32 P arte P r im a - Bioetica generale
c. Il metodo bioetico
Pur essendo essenzialmente un’etica, la bioetica si struttura secon
do il paradigma della complessità, nel senso etimologico del latino
cum-plexus che significa intrecciato insieme. Questa disciplina, infatti,
dovendo affrontare i problemi sollevati dall’attività umana nel campo
della vita, necessita delle competenze e degli apporti di filosofi, biologi,
medici, giuristi, sociologi, genetisti, ecologi, zoologi, teologi, psicolo
gi. La bioetica si offre come disciplina di frontiera, capace di operare la
convergenza fra gli apporti di diverse scienze pervenendo, a partire dal
l ’interpretazione dei dati empirici, ad una sintesi transdisciplinare. À.
Pessina, richiamando una terminologia aristotelica, definisce la bioeti
ca una disciplina architettonica, con il compito di orientare realtà di
sparate verso un’unica meta, in una sintesi organica e unitaria, che è lo
sviluppo umano integrale:34
34 La metabioetica non studia i problemi concreti della bioetica, ma i problemi sulla bioe
tica, cioè le questioni preliminari e fondative della disciplina chiarendo i concetti che usa
(valore, norme, bene, dovere...) e mettendone in evidenza i presupposti (modelli antro
pologici e teorie etiche). Sulla metabioetica e le sue implicazioni, si veda: B ellino F.
cur., Trattato di bioetica, 11-161; Russo G., Fondamenti di metabioetica cattolica, Roma
1993.
C a p it o l o I —Che cos’è la bioetica? 33
35 P essina A.,Fondazione e applicazione dei principi etici. Aspetti del dibattito sulla bioe
tica, “Rivista di filosofìa neo-scolastica” 88 (1991) 584.
34 P arte P r im a - Bioetica generale
sere assunti nel discorso etico, e che, nello stesso tempo, salvaguardi la
distinzione frai piani del sapere. Questo delicatissimo ruolo di media
zione fra dato empirico ed elaborazione normativa è svolto in bioetica
dalla antropologia e dalla cosmologia filosofica.
36 C allahan D., Bioethics as a Discipline , in Hastings Center Studies, vol. 1, New York
1973, 66-73.
C a p it o l o I - Che cos ’è la bioetica ? 35
c. Bioetica e biodiritto
I progressi della scienza hanno prodotto situazioni nuove, di fron
te alle quali molte regole di comportamento e molte certezze ormai se
dimentate nel sentire comune si sono rivelate sempre più insufficienti,
39 V iolante L., Bio-jus, I problemi di una normativa giuridica nel campo della biologia
umana, in Di M eo A., M ancina C. curr., Bioetica, Bari 1989, 259-270. Vedere: B arni
M., Diritti-doveri. Responsabilità del medico: dalla bioetica al biodiritto, Milano 1999;
D ’agostino F., Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Torino 19972; O llero
T assara A., Bioderecho: entre la vida y la muerte, Cizur Menor (Navarra) 2007; P alaz -
zani L., Introduzione alla biogiuridica, Torino 2002.
40 P alazzani L., Introduzione alla biogiuridica, 98.
38 P arte P r im a - Bioetica generale
41 Cfr. A nzani A., Comitati di etica, in L eone S., P rivitera S. curr., Nuovo dizionario di
Bioetica, 199-205; C ataldo P.J., M oraczewski A.S. eds., Catholic Health Care Ethics:
A Manual fa r Ethics Committees, Boston 2001; S greccia E., Manuale di bioetica.vol. I,
315-380; S pagnolo A., Comitati etici e bioetica, in Russo G. cur., Enciclopedia di bioe
tica e sessuologia, 499-503. 506-511; V ella G., Q uattrocchi R, B ompiani A., Dal
la bioetica ai comitati etici, Milano 1988; V iafora C. cur., Comitati etici. Una proposta
bioetica per il mondo sanitario, Padova 1995.
42 Cfr. S greccia E., Manuale di bioetica, voi. I, 6-13; V iafora C. cur., Vent’anni di bioe
tica, 31-35.
40 P arte P r im a - Bioetica generale
43 Una presentazione dei principali Centri italiani in: V iafora C. cur., Centri di Bioetica in
Italia. Orientamenti a confronto, Padova 1993.
41
CAPITOLO II
3 M oraczewski A. S., Is there a Catholic Bioethics?, “Ethics & Medics” 19 (1994) 1-3.
4 B làzquez N., Bioétìca fundamental, Madrid 1996, 183 (traduzione e corsivo nostri).
5 In questo orientamento, sostanzialmente pragmatista e di chiare ascendenze analitiche, si
nega che la bioetica sia un’etica applicata, nella tacita convinzione che i presupposti teori
ci siano irrilevanti per la normazione, e si ritiene che il buon senso comune possa condur
re a una sorta di mediazione o di superamento di orizzonti etici inizialmente inconciliabi
li. Cfr. Jonsen A.R., Casuistry as methodology in clinical ethics, “Theoretical Medicine”
12 (1991) 295-307; Jonsen A.R., S eegler M., W inslade W., Clinical Ethics: a Practical
Approach to Ethical Decisions in Clinical Medicine, New York 19923
C a p it o l o I I - Quale uomo per la bioetica ? 43
a. U individualismo
Il primato del soggetto è stato uno dei cardini della cultura occidenta
le dagli inizi della modernità fino ad oggi, come Romano Guardini aveva
già posto in luce negli anni ’40 e come è stato recentemente sottolinea
to da Charles Taylor.8 Nella tarda modernità questo primato attribuito al
soggetto ha però conosciuto un esito imprevisto e disastroso, passando
dall’affermazione della centralità dell 'uomo astratto e universale come
6 M acintyre A., Theology, Ethics and the Ethics o f Medicine and Health Care, “The
Journal of Medicine and Philosophy” 4 (1979) 435.
7 Una presentazione sintetica del modello secolare, da parte laica, in: M affettone S.,
Bioetica e valori comuni, in V iafora C. cur., Centri di Bioetica in Italia, 95-121. Cfr. L e
caldano E., Un’etica senza Dio, Roma-Bari 2006; M affettone S., Il valore della vita.
Un’interpretazione filosofica pluralista, Milano 1998; S carpelli U., Bioetica laica, Mila
no 1998; V attimo G., La vita dell’altro. Bioetica senza metafìsica, Cosenza 2006.
8 G uardini R., Das Ende der Neuezeit. Eìn Veruch zur Orientierung, Wurzburg 1947
(trad. it. La fine dell’epoca moderna, Brescia 19794); T aylor C h ., Sources o f the Self. The
Making o f the Modern Identity, Cambridge 1989 (trad. it. Radici dell’Io. La costituzione
dell’identità moderna, Milano 1993).
44 P arte P r im a - Bioetica generale
b. Il riduzionismo
Un aspetto ricorrente in molte antropologie contemporanee è lega
to alla mentalità secolarizzata e al preponderante riduzionismo scienti
sta.101L’uomo viene ridotto al suo momento biologico e anche la cultura
si risolve in natura, così che persino l’etica, la religione, l’arte, i valori
spirituali sono interpretati in chiave evoluzionistica. Si tratta di una an
tropologia chiusa alla trascendenza, sia pure nella forma di autotrascen
denza, alla quale sfugge completamente il senso creaturale della vita
umana e la sua sacralità.11
Gli inizi e gli sviluppi di questo modello antropologico sono rintrac
ciabili nelle tre grandi rivoluzioni che hanno tanto profondamente ferito
il narcisismo dell’umanità: la rivoluzione di Copernico quella di Darwin
e infine quella di Freud. La rivoluzione cosmologica di Copernico ave
va spodestato l’uomo dal centro dell’universo e aveva fatto della sua Ter
ra uno dei tanti pianeti intorno al Sole, infrangendo l’antica persuasione
umana di occupare un posto privilegiato e dominante nel cosmo. L’illu
sione di conservare tuttavia un primato ontologico sul mondo subuma
no è stata dapprima incrinata da Charles Darwin il quale ha mostrato che
l’organismo umano non solo funziona come quello delle bestie, ma ha
stretti rapporti di parentela filogenetica con le stesse creature subumane:
9 R achels J., Legalizzare l ’eutanasia , in F erranti G., M affettone S., Introduzione alla
bioetica , Napoli 1992, 153.
10 Lo scientismo è una deformazione della vera scienza, perché ritiene che Vunica forma
di conoscenza autentica sia quella scientifica e che tutto ciò che è al di fuori della scienza
sia illusorio o discutibile.
11 II tema è trattato più diffusamente in: F aggioni M.P., Le sfide del progresso tecnico
scientifico al progetto uomo, “Studia Moralia” 38 (2000) 437-473.
46 P arte P r im a - Bioetica generale
gami col mondo animale. Sappiamo che le ricerche di Charles Darwin e dei
suoi collaboratori e predecessori hanno posto fine, poco più di mezzo seco
lo fa, a questa presunzione dell’uomo. L’uomo nulla di più è, e nulla di me
no, dell’animale.12
12 F reud S., Una difficoltà della psicanalisi, in Opere, Torino 1976, voi. 8, 660.
C a p it o l o II - Quale uomo per la bioetica ? 47
c. L ’efficientismo
Uno degli elementi più preoccupanti che segnano concezione con
temporanea dell’uomo e quindi l ’intero orizzonte della nostra cultura è
l’indiscusso primato che viene accordato all’avere, al conquistare e al
dominare rispetto all’essere, al contemplare, all’ammirare, e ai valori
economico-produttivi rispetto a quelli spirituali. Le radici di questa de
generazione antropologica sono molteplici e non riconducibile forse ad
un’unica matrice, ma sono elementi non secondari l’etica del profitto
e del successo, l’affermarsi del neo capitalismo, la certezza che il pro
gresso tecnologico potrà risolvere tutti i problemi umani, l’identifica
zione del progresso con l’aumento dei beni materiali disponibili.
Senza dubbio, un tratto tipico della modernità è stato l’esaltazione
della scienza e della tecnica come strumenti del progresso umano, con
cepito come un flusso inarrestabile e positivo verso traguardi di sempre
più saldo controllo del mondo. Il mito del progresso e della tecnica han
no celebrato i loro fasti con la prima e la seconda rivoluzione industria
le, da una parte, e con gli sviluppi ottocenteschi e novecenteschi delle
scienze chimiche, fisiche e biomediche, dall’altra, mentre la attuale ri
voluzione informatica dischiude orizzonti inediti e per ora solo intuibi
li. L’Illuminismo, il Positivismo, le diverse, filosofie della prassi, incluso
il Marxismo, hanno puntualmente tradotto in ideologia la fiducia entu
siasta dell’uomo nelle sue capacità e nelle sue conquiste e hanno alla fi
ne realizzato il sogno di Francesco Bacone (1561-1626) di instaurare in
terra il Regnum Hominis attraverso la scienza e la tecnologia.
Ai nostri giorni, però, la tecnica non è più un semplice strumento,
come nelle società prototecnologiche, ma, dopo aver invaso ogni aspet
to della vita umana, ne è diventata la struttura portante, passando dalla
tecnocrazia alla tecnopoli, in cui l’essere si risolve nel fare e nel poter
fare.13 «Il tecnopolio - spiega Postman - è una condizione culturale e
mentale consistente nella deificazione della tecnologia. Il che signifi
ca che la cultura ricerca nella tecnologia la propria giustificazione... e
prende ordini dalla tecnologia».14 Gianpaolo Salvini sintetizza con luci
dità i tratti caratteristici dell’universo mentale del tecnopolio:
Il primo, se non l’unico obiettivo del lavoro e del pensiero umano è l’effi
cienza; il calcolo tecnico è sempre superiore al giudizio umano; la soggettività
è un ostacolo alla chiarezza del pensiero; tutto ciò che non si può misurare non
esiste o non ha valore;... la società è molto meglio servita se gli esseri umani
sono a disposizione delle loro tecniche e delle tecnologie. Gli uomini cioè val
13 Cfr. P ostman N., Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Torino 1993.
14 P ostman N., Technopoly, 70.
48 P arte P r im a - Bioetica generale
15 S alvini G., La tecnologia: aiuto opericolo?, “Civiltà Cattolica” 145/2 (1994) 159.
16 Per approfondire: F aggioni M .P., Qualità della vita e salute alla luce dell’antropologia
cristiana in S greccia E., C arrasco D e P aula I. eds, Qualità della vita ed etica della sa
lute, Città del Vaticano 2005, 20-30; L ecaldano E., Questioni etiche sui confini della vita,
in D i M eo A., M ancina C. curr., Bioetica, 19-39; N ussbaum M ., S en A., The Quality o f
life, New York 2005; P ajares V, La calidad de la vida. Su matriz utilitarista y sus impli-
cacìones en la definición de salud, persona y tratamiento mèdico, Roma 2005.
17 A iken H .D ., Life and the right to life, in H ilton B . et al. ed s., Ethical Issues in Human
Genetics, N e w York 1973, 173-183 (la citazione a 180).
C a p it o l o II - Quale uomo per la bioetica? 49
18 M ori M., Il filosofo e l ’etica della vita, in Di M eo A., M ancina C. curr., Bioetica,
Roma-Bari 1989, 94-100.
19 Fra le molte opere che trattano l’antropologia in prospettiva teologica segnaliamo:
A a .V v ., L ’antropologia della teologia morale secondo l ’enciclica “Veritatis splendor”,
Città del Vaticano 2006; A randa R. ed., Dios y el hombre, Pamplona 1986; B uhler R
ed., Humain à l ’image de Dieu. La théologìe et le Sciences humaìnes face au problème
de l ’anthropologie, Genève 1989; F lick M., A lszeghy , Fondamenti di una antropologia
teologica, Firenze 1987; G ozzellino G., Il mistero dell’uomo in Cristo. Saggio di proto
logia, Leumann (To) 1991; L adaria L.F., Antropologia teologica, Casale Monferrato (A l)
1995; P annenberg W., Anthropologie in theologischer Perspektìve, Gòttingen 1983 (trad.
it. Antropologia in prospettiva teologica, Brescia 1987); S anna I., Chiamati per nome.
Antropologìa teologica, Cinisello Balsamo (Mi) 1998; S cola A ., M arengo G ., P rades
3., La persona umana. Antropologia teologica, Milano 2002.
50 P arte P r im a - Bioetica generale
20 Cfr. C osta G.. Fondamenti biblici della bioetica, Messina 2003; D umas A.. Fondements
bibliques d ’une bioéthique, “Le Supplément” 142 (1982) 353-368; Lòw R., Fundamen-
tos antropológicos de una bioética cristiana, in Aa.Vv, Bioética. Consideraciones filosó-
fico-teológicas sobre un tema actual, Madrid 1992, 27-99; L ucas L ucas R., Antropolo
gia e problemi bioetici, Roma 2001; M cC ormick R.A., Teologia e bioetica: fondamenti
cristiani, in S help E.E., Teologia e bioetica. Fondamenti e problemi di frontiera, Bolo
gna 1989, 169-197; S chockenhoff E., Etica della vita. Un compendio teologico, Brescia
1997, 102-169.
21 Vedere prima di tutto, per rinformazione e il vigore teoretico: C hiodi M ., Tra cielo e
terra. Il senso della vita a partire dal dibattito bioetico, Assisi 2002 (soprattutto pp. 45-
94). Cfr. F erngren G.B., The Imago Dei and thè Sanctity ofLife: The Origins o fan Idea,
in M cmillan R.C., E ngelhardt J.R., S picker S.F. edd., Euthanasia and thè Newbom,
Dordrecht (ND) 1987, 23-45; K eenan J.F., The Concept o f Sanctity ofLife and its Use in
Contemporary Bioethical Discussion, in B ayertz K . ed., Sanctity ofLife and Human Dig-
nity, Dordrecht-Boston-London 1996, 1-18; K uhse H., The Sanctity o f Life Doctrine in
Medicine: A Critique, Oxford 1987.
C a p it o l o II - Quale uomo per la bioetica? 51
22 S allustio , apucl Servium, Commentata in Georgica, IV, 211: “Sanctitas qualitas est
illa, qua res venerabiles et inviolabiles sunt”.
23 S eneca , Epistolae ad Lucilium, lib. XV, ep. 95, 33.
24 C arrasco D e P aula I., Dignità e vita umana nell’etica medica , “Medicina e Morale”
45 (1995) 213-222 (p. 220).
25 C ongr . D ottr. F ede , Istr. Donum Vitae, 22-2-1987, Introd. 5.
52 P arte P r im a - Bioetica generale
Sei tu che hai creato le mie viscere/ e mi hai tessuto nel seno di mia madre...
Non ti erano nascoste le mie ossa/ quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi/ e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,/ quando ancora non ne esisteva uno.26
La vita fisica, per cui ha inizio la vicenda umana nel mondo, non esauri
sce certamente in sé tutto il valore della persona né rappresenta il bene supre
mo dell’uomo che è chiamato all’eternità. Tuttavia ne costituisce in un certo
qual modo il valort fondamentale, proprio perché sulla vita fisica si fondano
e si sviluppano tutti gli altri valori della persona. L’inviolabilità del diritto al
la vita dell’essere umano innocente dal momento del concepimento alla mor
te è un segno e un’esigenza dell’inviolabilità stessa della persona, alla quale il
Creatore ha fatto il dono della vita.28
26 Sai. 138 (139), 13. 15-16. Cfr. Is. 46, 3; Ger. l,4-5;G blO , 8-12; Sai 22 (21), 10-11; 71
(70), 6.
27 Mentre ogni relazione coni’altro è rìvelativa del mio essere persona, la relazione con Dio
è costitutiva del mio essere persona. Ciascuno di noi esiste come persona perché il suo essere
è in relazione con il mistero trascendente dell’Essere. Se dunque è vero che ciascuno di noi si
umanizza nel momento in cui viene accolto in una rete di relazioni interumane, è anche vero
che l’accoglienza da parte dell’altro non costituisce la persona nel suo essere e nel suo valo
re. L’altro non mi attribuisce un essere e un valore, ma lo riconosce, perché il mio essere e il
mio valore sono costituiti dalla mia relazione con l’Alterità fondante, con Dio.
28 C ongr . D ottr. F ede , Istr. Donum Vitae, Introduzione, n. 4.
29 C onc . E cum . V at. E, Cost. past. Gaudium et Spes, 7-12-1965, n. 14: “Corpore et anima
unus”. Sul dualismo antropologico: B ottomley F., Attitudes to thè Body in Western Chri-
stendom, London 1989; F iorenza F.P., M etz J.B., L ’uomo come unità di anima e di cor
po, in Mysterium Salutis, voi. 4, Brescia 1970, 243-303; M oretti E , Dualismo greco ed
antropologia cristiana, L’Aquila 1972.
C a p it o l o II - Quale uomo per la bioetica ? 53
32 Negli ultimi decenni la filosofia e la teologia del corpo hanno conosciuto un momento
alquanto felice. Alcuni lavori d’insieme: A shley B.M., Theologies ofthe Body: Humanìst
and Christian, Braintree (MO) 1985; G alimberti U., Il corpo, Milano 1999; M elchior
re V., Corpo e persona, Genova 1987; R occhetta C., Per una teologia della corporei
tà, Torino 1990.
33 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Veritatis Splendor, n. 50.
34 Ibidem, n. 50. Uno status quaestionis sul tema della legge naturale: C hiavacci E., Leg
ge naturale, in C ompagnoni F., P iana G., P rivitera S., Nuovo Dizionario di Teologìa
Morale, Cinisello Balsamo (Mi) 1990, 634-647. Sul tema delle inclinatìones naturales ve
dere: P inckaers S ., Le fonti della morale cristiana. Metodo, contenuto, storia, Milano
1992, 468-532.
C a p it o l o II - Quale uomo per la bioetica ? 55
Si tratta, anzitutto, del dominio sulla terra e su ogni essere vivente, come ri
corda il libro della Sapienza: «Dio dei padri e Signore di misericordia... con la
tua sapienza hai formato l’uomo, perché domini sulle creature che tu hai fatto
e governi il mondo con santità e giustizia» (9,1. 2-3). Anche il Salmista esalta
il dominio dell’uomo come segno della gloria e dell’onore ricevuti dal Creato
re: «Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi
piedi» (Sai 8, 7-9).40
42 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 1-5-1991, n. 37. Cfr. ID., Lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 30-12-1987, n. 34.
43 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 43.
44 Vedere: F aggioni M.P., La vita fra natura e artificio, “Studia Moralia” 33 (1995) 33-
375; F erraro S., Atteggiamenti nei confronti dell’evoluzione pilotata, in A ncona G., Co
smologia e antropologia per una scienza dell’uomo, Padova 1995, 96-120. In propettiva
filosofica, ricco e stimolante il volume: G alimberti U., Psiche e techne. L ’uomo nell’età
della tecnica, Milano 1999.
45 Cfr. S greccia E ., L ’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla vita umana. La prospetti
va cristocentrica, “Medicina e Morale” 57 (2007) 885-904.
58 P arte P r im a - Bioetica generale
Conclusione
CAPITOLO in
PROFILI DI BIOETICA
QUALE ETICA PER LA BIOETICA?
Uno dei nodi intorno ai quali ruota il dibattito etico, con riflessi evi
denti nel dibattito sulla fondazione etica delia bioetica, è costituito dal
la così detta aporia o legge di Hume. In base a questa legge - espressa
quasi incidentalmente dall’empirista scozzese nel Trattato sulla natu-
La cosiddetta legge di Hume non è affatto una legge, cioè un dogma indi
scutibile, oltre il quale non si possa andare. Essa è legata ad una concezione
meccanicistica e deterministica della realtà, quale era propria della filosofia
naturale e della scienza (newtoniana) del tempo di Hume e dello stesso Kant,
dipendente da una particolare metafisica ed agganciata ad una fase oggi stori
camente superata dello sviluppo della scienza.4
3 H ume D., A Treatise o f Human Nature, b. 3, part 1, sect. 1; Moore G.E., Principia Etili
ca, Cambridge 1903. Cfr. C arcaterra G., Il problema della fallacia naturalistica. La de
rivazione del dover essere dall’essere, Milano 1969; L ecaldano B., Hume e la nascita
dell’etica contemporanea, Roma-Bari 1991.
4 B erti E., La razionalità pratica tra scienza e filosofia, in A a .vv ., Il valore. La filosofia
pratica fra metafisica, scienza e politica, Padova 1984, 20.
5 Cfr. G racia D., Fondamenti di bioetica. Sviluppo storico e metodo, Cinisello Balsamo
(Mi) 1993, 371-463. Egli distingue fondazioni naturalistiche, incluso il personalismo, nel
le quali la natura personale dà contenuti al dovere indirizzando F agire al compimento del
progetto umano; le fondazioni idealistiche, in cui il dovere fonda l’essere, per cui è perso
na chi è capace di libera autoposizione; le fondazioni epistemologiche (epistème = scien
za), incluso l’utilitarismo e il principialismo, in cui non si parte né dal dovere, per non
cadere nella fallacia trascendentale dell’idealismo, né dall’essere, per non cadere nella
fallacia naturalista, ma si danno criteri formali, garanzia di correttezza logica; le fonda
zioni assiologiche, inclusa l’etica fenomenologica, che cercano di fondare un’etica insie
me trascendentale e materiale, senza cadere nell’idealismo e nel naturalismo, e nelle qua
li il dovere non si basa sull’essere, ma sul valore.
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica? 65
Per non cadere nel nichilismo etico, Engelhardt ipotizza allora la pos
sibilità di pervenire a un accordo fra gli agenti morali, onde stabilire cri
teri di rettitudine morale attraverso procedure comunemente accettate. La
condizione procedurale basilare per giungere a un qualsiasi accordo è il67
? E nUe 'lhardt H;T^ Manuale di bioetica, 1999, 95^Si vedà: V endemiati A., Primato del
l ’autonomia: H.T Engelhardt, in Id., La specificità bioetica, 85-116.
9 L’etica discorsiva riconosce alla ragione etica non un ruolo strumentale, come nell’utili-
tarismo, ma comunicativo ; La condizione trascendentale del discorso è infatti la condivi-
siotìb intersoggettiva di senso, per cui chi; comunica deve almeno implicitamente ammet
tere, alcuni valori indispensabili per la comunicazione (uguaglianza, libertà di opinione,
rispetto dell’opinione,altrui, veridicità..i). Il cognitivismo viene recuperato in chiave tra
scendentale attraverso una Grundnorm o criterio etico formale: «le norme da giustifica
re devono essere capaci di ottenere il consenso sulle loro prevedibili conseguenze per tut
ti gli interessati». , Y .i :
C a p it o l o HI - Profili dì bioetica. Quale etica per la bioetica? 6?
12 «Molto presto i membri della Commisione scoprirono un fatto singolare: mentre, nella
formulazione dei principi incontravano contrasti insuperabili, partendo invece dai casi par
ticolari arrivavano rapidamente ad un accordo»: J onsen A., Casuistry and clinical ethics,
“Theoretical Medicine” 7 (1986) 54.
13 Una critica puntuale in: R equena M eana R, Modelos de bioética clinica. Presentación
critica del principìalismo y la casmstica, Roma 2005, 207-301. Cfr. M ordacci R., Il di
battito, 189-194. Più benevolo: A rras J.D., Getting down to cases: the revival o f casuistry
in bioethics, “The Journal of Medicine and Philosophy” 16 (1991) 29-51.
14 B rody B.A., Life and Death Decision Making, New York 1988.
15 C hildress J., B eauchamp T., Principles o f Biomedical Ethics, New York (1979) 19944.
Il Rapporto Belmont uscì, poco prima dei Principles e Childress faceva parte della Com
missione incaricata di elaborarlo, per cui si si pensa che il Rapporto Belmont abbia forni
C a p it o l o H I - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica ? 69
21 Accanto alle deontologie della norma , sono state proposte anche deontologie dell’atto:
in queste non c’è alcun criterio per determinare che cosa è giusto o sbagliato nei casi par
ticolari e si rimanda a qualche tipo di intuizione o decisióne soggettivai Si ricade così nel
nón-òognitivismo che atomizza la vita morale in una serie di atti decisioiiàli non argomen
tabili razionalmente. Una critica convincente in: F rankena W.F., Etica, 77-81. ) i
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica? 71
È diventato di moda negli ultimi anni criticare l’approccio dei principi co
me troppo limitato. Il nostro punto di vista era che una specificazione dei prin
cipi è compatibile con una grande varietà di tipi di teorie etiche, inclusa la
teoria della virtù ed alcune impostazioni che sono venute alla ribalta dopo la
stesura del nostro libro, come le teorie comunitarie, le teorie casuistiche, l’eti
ca della cura ecc. Noi abbiamo cercato di articolare la prospettiva che non si
deve selezionare od escludere nessun tipo di teoria nel tentativo di costruire
una impostazione dell’etica biomedica basata sui principi (principle-based).
Un approccio alla bioetica basato sui principi non è un approccio unilaterale,
escludente e perfino tirannico. L’idea che si dovrebbero lasciar cadere i princi
pi per articolare una casistica dei casi, un’etica comunitaria, un sistema basato
sulle virtù, e così via, mi sembra una visione unilaterale e ristretta.25
25 B eauchamp B.L., The Principles Approach, in J onsen A.R. ed., The Birth o f Bioethics,
S9 (trad, nostra).
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica ? 73
[Le conseguenze dell’azione] sono senz’altro fattori che vanno tenuti pre
senti e sottolineati, ma all’interno di un insieme epistem ologico in cui non
manchino: la visione umano-cristiana dell’universo; una concezione antropo-
logica normativa; alcuni principi assiologici irrinunciabili; una sensibilità ed
un senso morale previamente fondati e configurati. Tutto ciò costituisce il po
lo deontico in posizione dialettica rispetto al polo teleologico.29
Il soggetto etico qui coincide con ogni soggetto capace di avere in
teressi, e quindi, in pratica, con la possibilità di distinguere ciò che è
piacevole da ciò che è nocivo. In questa prospettiva sarebbe del tutto ar
bitrario e infondato rispettare un soggetto solo perché è umano, men
tre sarebbe ragionevole rispettare gli interèssi di tutti gli esseri che ne
hanno, prescindendo dalla specie cui appartengono. Peter Singer, bioe
tico animalista, è uno strenuo difensore di questo criterio: egli ritiene
che la demarcazione fra soggetti degni di tutela e soggetti privi di que
sto diritto sia data dalla possibilità di poter provare piacere o dolore.32
Questa impostazione di ascendenza empirista, in cui echeggia F an tro
pologia di. D. Hume, di J. Bentham e dei sens isti settecenteschi, porta a
esiti sconcertanti quando applicata con rigore. Dal momento infatti che
la sensibilità consapevole richiede l’esistenza del sistema nervoso cen
trale, paradossalmente questi neosensisti difendono alcuni diritti degli
animali adulti, in quanto senzienti, ma li negano agli embrioni; umani,
in quanto non ancora dotati del sistema nervoso centrale.
7 S inger P., Animai Liberation. A New Ethics fo r Our Treatment o f Animals, New York
1975 (trad. it. Liberazione animale, Milano 1991 ); I d, Practical Ethics, Cambridge; 1979
(trad. it. Etica pratica, Napoli 1979). - ; : ,i ■ n ...
V R awls J., A Theory o f Justice (trad. it. Una teoria della giustizia, Milano 19893); I d .,
Kantian-Constructivism in Moral Theory, “The Journal of Philosophy” 77 (1980) 515-568;
I d ., Justice as Fairness: Political not Metaphysical, “Philosophic and Public Affairs” 14
(1985) 223-251.
76 P arte P r im a - Bioetica generale
Non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli esseri umani sono au
tocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e loda
re. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza
speranza costituiscono esempi di non persone umane. Essi sono membri del
la specie umana, ma non hanno status in sé e per sé, nella comunità morale
secolare. Queste entità non sono in grado di biasimare o lodare né di essere
meritevoli di biasimo o di elogio; essi non possono fare promesse, contratti o
accordarsi su una comprensione della beneficenza. Non sono partecipanti pri
mari all’impresa morale secolare. Solo le persone hanno questo status?6
34 Cfr. R awls J., The Idea o f an Overlapping Consensus, “Oxford Journal of Legal Stud
ies” 7 (1987) 1-25.
35 E ngelhardt H.T., The Foundations o f Bioethics, New York 19962, 138: «Entities that are
self-conscious, rational, having, minimal moral sense, and free» (trad. it. Manuale di bioet-
ica, Milano 1999, 159).
36 E ngelhardt H.T. jr., The Foundations o f Bioethics, 138-139: «Not all humans are per
sons. Not all humans are self-conscious, rational, and able to conceive of the possibility of
blaming and praising. Fetuses, infants, the profoundly mentally retarded, and the hopeless
ly comatose provide examples of human nonpersons. They are members of the human spe
cies but do not in and of themselves have standing in the secular moral community. Such
entities cannot blame or praise or be worthy of blame or praise; they cannot make prom
ises, contracts, or agree to an understanding of beneficence. They are not prime partici
pants in the secular moral endeavor. Only persons have that status» (trad. it. I d ., Manuale
di bioetica, Milano 1999, 159). Si veda una critica puntuale a questa posizione antropolo-
gica in: Z eppegno G., Bioetica. Ragione efede. Difronte all’antropologia debole di H.T.
Engelhardt Jr., Cantalupa (To) 2007.
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica? 77
37 B attaglia L., “Diritti degli animali’’ e bioetica, in B ellino F. cur., Trattato, 458 nota
6; cfr. B artolommei S., Tre studi sui diritti degli animali, “Critica Marxista” 4 (1986)
151-168.
38 V eatch R.M., A Theory o f Medical Ethics, New York 1981;. The Foundations o f Justice.
Why the Retarded and the Rest o f Us Have Claims to Equality, New York 1986 Id ., The Pa
tients as a Partner. A Theory o f Human-Experimentation Ethics, Bloomington 1987; Id .,
The Patient-Physician Relation: the Patient as Partner, Part 2, Bloomington 1991.
78 P arte P r im a - Bioetiça generale
Le donne sono, coinvolte* come gli uomini, nelle questioni della vita
e alcune questioni riguardano più da vicino e in prima persona le donne
(aborto, procreazione artificiale, diagnosi prenatale..;), Il movimento
dei diritti delle donne, intrecciato con il movimento per i diritti umani,
fu uno dei fattori genetici della nascita della bioetica negli anni ’60 del
XX secolo, ma solo dalla fine degli anni f 80 si è delineato con crescente
chiarezza un approccio femminista alla bioetica che, ha trovato espres
sioni significative nei lavori di S. Wolf, R. Tong, G. Gilligan, V. Held„ S,
S hew in, tanto che nel 1992 è stato;possibile celebrare il primo congres
so del FP^fFeministApproachtoBìoethics). La bioetica femminista va
collocata nel più generale apporto del femminismo n i ripensamento, di
molteplici ambiti teorici e pratici, inclusa l’etica, f c? pur non esaurendo
tutto l ’universo della -bioetica femminile, ne costituisce una declinazio
ne tipica e altamente significativa.3940 , ^
, Ci sembra utile*, infatti* distinguere, «tra una bioetica al femminile,
incentrata sulla valorizzazione di specificità proprie delle donne, talenti,
competenze, attitudini, intesi in senso siamaturalistico-biologico (natura
femminile) sia in senso psicologico-sociale (cultura femminile), e bioe
tica femminista,; riichiaratamente ispirata ad un obiettivo politico pri
mario, ossia la liberazione delle donne dall’oppressione maschile o, in
positivo, la conquista e F acquisizione del potere da parte, femminile».41
42 F ijrestqne S., The Dialectic o f Sex: The Case fa r Feminist Revolution, London 19.83
(trad. it. La dialettica dei sessi, Firenze 1971).
43 S hhrwin S., No Longer Patient, Feminist Ethics and Health Care, ,Philadelphia ,1992;
W eisman C .S., Women ’s Health Care, Baltimore-London 1998.
80 P arte P r im a - Bioetica generale
44 B occia M.L., Z uffa G., L ’eclissi della madre, Milano 1998; F iumano M. cur., L ’im
macolata fecondazione. Perché le donne dicono di sì alla scienza, Milano 1996; M er
chant C , The Death o f Nature, New York 1980 (trad. it. Id., La morte della natura, Mi
lano 1988).
45 G illigan C., In a Different Voice. Psychological Theory and Women’s Development,
Cambridge (Mass.) 1982 (trad. it. Id., Con voce di clonna. Etica e formazione della perso
nalità, Milano 1987). Cfr. H eld V., Ethics o f care. Personal, Political, and Global, Oxford
2005.
46 N oddings N ., Caring: A Femminine Approach to Ethics and Moral Education, Berke
ley (Cal.) 1984.
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica? 81
47 G ensabella F urnari M. cur., Il paziente, il medico e Parte della cura, Soveria Man
nelli (Cz) 2005.
82 P arte P r im a - Bioetica generale
48 P ellegrino E., T homasma D.G., For thè Patient’s, Good. The Restoration ofBenefir
cence iti Health Care, New York 1988 (trad. il. Per il bene del paziente. Tradizione e in
novazione nell’etica medica, Ciniscllo Balsamo 19.92); P ellegrino E., T homasma D.C.,
The Virtues in Medicai P radice, New York 2003. Questa non è l’unica declinazione pos
sibile dell’,etica della virtù: la Foot, per esempio, ritiene che sia virtuoso il medico che ri
spetta l’autonomia del paziente che chiede di essere assistili) nel suicidio. Cfr. F oot P:, E u -
thanasia, in YD,, Virtues and Vices, Berkeley 1978 33-61. ,
49 S lote M.A., The Ethics o f Care and Empathy, London-New York 2007, 21: «Care
ethics treat acts as right or wrong, depending on whcthcr they exhibit a caring or uncaring
attitude/motivation on thè part of thè agent». ,, ,\ V /
84 P arte P r im a - Bioetica generale
b. Bioetica personalista
«Col nome di personalismi, entrato recentemente nell’uso proprio
al plurale, si sogliono indicare le diverse filosofie che fanno della per
sona il proprio centro e il fondamento dell’intera realtà».52 Nell’ambito
del personalismo la persona trova un primario riconoscimento della sua
dignità e adeguate garanzie per il suo libero e creativo esercizio. «Di
fronte ad ogni riflessione razionale anche laica - scrive mons. E. Sgrec
cia - la persona umana si presenta come il punto di riferimento, il fine
e non il mezzo, la realtà trascendente per l ’economia, il diritto, e la sto
ria stessa... Dal momento del concepimento alla morte, in ogni situazio
ne di sofferenza o salute è la persona umana il punto di riferimento e di
misura tra il lecito e il non lecito».53
50 A ben guardare la virtù della prudenza (che secondo Tommaso deve guidare tutte le al
tre virtù, De virtutibus in communi a. 12, ad 23) include e presuppone gli stessi principi:
essa infatti ha sempre sia un aspetto dianoetico (riportabile alla conoscenza dei principi)
sia un aspetto etico (il far bene ciò che si è conosciuto esser buono). Sulla prudenza, vede
re: M ongillo D., Prudenza, in C ompagnoni F., P iana G., P rivitera S., Nuovo Diziona
rio di Teologia Morale, Cinisello Balsamo (Mi), 1990, 1048-1065.
51 A shley B., O ’R ourke K., Etica sanitaria, 259. Essi organizzano intorno alle virtù teo
logali una serie di principi: alcuni, incentrati sulla fede, riguardano la formazione di una
coscienza prudente (educazione della coscienza, consenso libero e consapevole, discerni
mento morale, doppio effetto, legittima cooperazione, comunicazione professionale), altri
si radicano nella carità (dignità dell’uomo e della comunità, bene comune e sussidiarietà,
(totalità), altri infine si richiamano alla speranza (crescita attraverso la sofferenza, sessua
lità personalizzata, responsabilità e creatività) (ibid. capitolo Vili).
52 B erti E., Il concetto di persona nella storia del pensiero filosofico, in A a .vv ., 59.
53 S greccia E., Manualedi bioetica, voi. I, 71.
C a p it o l o I I I - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica ? 85
b. Il princìpio di totalità
l ì principio di 'totalità 'nacque come superamento del principio del
duplice effetto, soprattutto per il suo minimalismo («come non peccare,
malgrado un effetto cattivo dell’atto») e per la disgregazione che porta
va neiratto, frantumato in atomi etici attraverso sottili distinzioni di ef
clopedico dì Teologia Morale, Cinisello Balsamo (Mi)'19877, 293-308; V irdis A .,11 prin
cipio morale dell’atto a duplice effetto e il suo uso in bioetica, “Medicina e Morale” 56
(2006) 951-979. ■. n i
60 Diverso è il caso in cui l’aborto sia direttamente voluto come terapia per una malattia
della gestante (es. superare una letale preeclampsia gravidica): si tratta di aborto terapeu
tico in senso stretto.
88 P arte P r im a - Bioetica generale
[Il paziente] in virtù del principio di totalità, del suo diritto di usare i servizi
dell’organismo come un tutto, può disporre delle singole parti per distruggerle o
mutilarle, quando e nella misura in cui è necessario per il bene dell’essere nel suo
insieme, per assicurarne l’esistenza, o per evitare e, naturalmente per riparare gra
vi e durevoli danni, che non potrebbero essere altrimenti evitati né riparati.63
61 Studi, con bibliografia: C iccone L., Salute e malattia. Questioni di morale della vita fi
sica, voi. 2, Milano 1986, 192-209; G offi T., Etica della totalità, “Rivista di Teologia Mo
rale” 5 (1973) 347-360; Madtran V.J., l e principe de tota lite, Paris 1963; M onotllo D..
Il principio di totalità, “Asprenas” 16 (1969) 106-126; N olan M., The Principle ofTota-
lìty in Moral Theology, in C urran C .E. cur., Absolutes in moral Theology, Washington
1968; S chüller B., L ’uomo veramente uomo. Dimensione teologica dell’etica nella di
mensione etica dell’uomo, Palermo 1987, 15-22; 135-157; Z alba M., Totalità (principio
di), in Rossi L., Valsecchi A. edd., Dizionario, 1141-1149.
62 Cfr. Pio XI, Lett. enc. Casti Connubii, 31-12-1930, AAS 22 (1930) 565: «La dottrina
cristiana insegna, e la cosa è certissima anche al lume naturale della ragione, che gli stes
si uomini privati non hanno altro dominio sulle membra del proprio corpo che quello che
spetta al loro fine naturale, e che non possono distruggerle o mutilarle o per altro modo
rendersi inetti alle funzioni naturali, se non nel caso in cui non si può provvedere per al
tra via al bene di tutto il corpo».
63 Pio XII, Ai Partecipanti al Primo Congresso di Istopatologia del Sistema Nervoso, 14-
9-1952, AAS 44 (1952) 782; cfr. Pio XII, Ai Partecipanti al XXVI Congresso Italiano di
Urologia, 8-10-1953, AAS 45 (1953) 674. Vedere: K elly G., Pope Pius XII and thè Prin
ciple ofTotality, “Theological Studies” 17 (1956) 373-396.
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica ? 89
Il punto cruciale qui non è che l’organo amputato o reso incapace di fun
zionare sia ammalato, ma che la sua conservazione o la sua funzionalità ap
portino direttamente o indirettamente una seria minaccia per tutto il corpo.
È certamente possibile che un organo sano, con la sua funzionalità normale,
eserciti su di un organo ammalato una azione nociva, tale da aggravare il ma
le con le sue ripercussioni su tutto il corpo. Può darsi anche che l’asportazione
di un organo sano o l’arresto della sua normale funzionalità tolgano al male...
il suo terreno di accrescimento... Se non si dispone di altro mezzo, l’interven
to chirurgico sull’organo sano è permesso.64
Una applicazione estrema del principio fu data dallo stesso Pio XII
che insegnò come la vita fisica,' in quanto valore non assoluto, può esse
re subordinata alla vocazione soprannaturale dell’uomo: ^
Alla subordinazione degli organi particolari nei confronti dell’orga
nismo e della sua finalità peculiare si aggiunge anche quella dell’orga
nismo nei confronti della finalità, spirituale della persona stessa.66
Una corretta applicazione del principio di totalità presuppone una
ponderazióne dei valori in gioco, identificati di volta in volta con il
tutto e con la parte dell’insieme considerato. Mediante questo princi
pio la inorale tradizionale riesce così a rispondere alla domanda circa
la possibilità nioràje di ledere il pròprio" organisti!'o è «l’iniziale rispó
ste dèontologicamehtè^^^ porta ad affermare l’illiceità mora
le di qualsiasi intervento, si trasforma in attento esame dei singoli casi
e dei diversi valori in essi concorrenti; il conflitto viene risolto in base
al principio, il quale, in ultima analisi, corrisponde pienamente alla pro
spettiva dell’argomentazione normativa di tipo teleologico».6?
Di volta in volta occorre perciò determinare con chiarezza quali siaT
no i valori la cui attuazione appaia conflittuale e quindi che cosa deb
ba identificarsi cQUie la parte che può essere subordinata al tutto, come
spiegò lo stesso Pio XII: , ; i , > : v ;
mamim catena ligatam sibi abscindere ad vitandam mortem a belua, vel tyranno, aut incen
dio, vel curru etc. impendentem, quia pars bono totius hominis, cedere debet». , -,
66 Pio XII, Al Collegio Intemazionale di Neuropsicofarmacologia, 9-9-1958, AAS 50
(1958) 693-694. ■ :,J: :,
67;P r iv it e r a S., Principi morali tradizioziali, 992., ,,, ,, , .
Ai Partecipanti al PrimoiCongi'esso, 787-7$$. , .v : r.
C a p it o l o HI - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica? 91
c\ La cooperazione abmale - f i
Nell’affrontare alcune situazioni concrete, può essere utile ricorrere
a quello che è stato detto il princìpio della lecita cooperazione. Non di
rado accade che, per porre in essere uh certo progettò, debbano concor
rere più agenti morali, più o meno consapevoli del senso dèi progetto
cui prendono parte e più o meno direttamente coinvòlti in esso. Un caso
frequente nella pratica medica, dove si lavora in gruppo e dove è quasi
sempre necessaria la collaborazione di più persone con mansioni diver
se, è che un agente morale si trovi a prestare la sua opera all’interno di
una catena di atti indirizzati ad un fine che egli non ritiene eticamente
corretto e che* quindi, egli si chieda a che condizioni possa dare questa
collaborazione senza venir menò alle sue convinzioni morali.69 i
La morale tradizionale aveva analizzato acutamente diverse possibi
lità, individuando a quali coùdizioni là collaborazione a un atto cattivo
è giustificabile e moralmente accettabile. x >
La cooperazione formale comporta la condivisione dell’intehziorie
cattiva ed è sempre illecita: non occorre in questo caso una collabora
zione fisica per diventare corrésponsabili dell’atto cattivo, ma basta il
suggerimento, l’incoraggiamento, happroVazione e talvolta il silenzio
stesso quando ci sarebbe il dovere di parlare è denunciare* il male.70
La cooperazione materiale consiste nella collaborazione ad un atto
con effetti cattivi, ma senza l’adesione interna: essa può essere immedia
ta o mediata. Nella collaborazione immediata si coopera all’esecuzione
69 Gfrl Curran Ch. E., Co-operation: Toward a Revision oftlie Concepì and Its Application,
“Linacre Quarterly’’ 41 (1974) 152-167; F iSher À., Cooperation in Evil, “Catholic Mèdi
ca! Quarterly” (1994) 15-22; K eenan J.F., Institùtióiìal Cooperation and thè Educai antl
Réligious Directives, '“Linacre Quarterly” 64 (1997) 53-76; M elina L ., La cooperacion en
acciones moralmente malas contra la vida humana, in L ucas L ijcas R. dir., Comentarìo
interdisciplìnar et la- “Evangelium Vitàe ”, Madrid 1996* 468-490; T ettamanzi Di', Coópèr-
azione, in L eone S., P rivitera S. edd., Nuovo dizionario di Bioetica, 239-243. '
70 Alcuni distinguono la cooperazione formale in cooperazione formale esplicita, quando
è dirèttamente intesa; e cooperazione formale implicita, quando 1?intenzione rton è diretta.
La cooperazione formale'implìcita si avvicina molto alla cooperazione materiale immedia
ta e, come quest’ultima, è da giudicarsi inaccettabile. Vedere: Z alba M ., Cooperatio ma-
terialis ad malum morale, “Periodica de rè morali” 71 (1982) 414-441. !
92 P arte P r im a - Bioetica generale
71 Queste due condizioni corrispondono alla prima e quarta condizione del principio del
duplice effetto; le restanti due condizioni, che si riferiscono all’intenzione dell’agente, non
sono esplicitate perché si tratta di una cooperazione solo materiale nella quale, per defini
zione, l’intenzione dell’agente non è rivolta all’effetto cattivo. La collaborazione al male è
dunque riportabile al principio del duplice effetto e sarà giustificata solo la collaborazione
materiale mediata; in quella immediata invece si compie attivamente un atto cattivo e quin
di non è soddisfatta la prima condizione, che l’atto sia buono o almeno indifferente.
72 Cfr. T ettamanzi D., Problemi morali circa la collaborazione all’aborto , “Medicina e
Morale” 28 (1978) 396-427.
73 Rossi L., Carità, in Rossi L., V alsecchi A. curr., Dizionario di teologia morale, 99.
74 Nell’uso corrente volontario in causa è sinonimo di volontario indiretto e volontario in
sé è sinonimo di volontario diretto. Non così nell’uso dei teologi scolastici: per san Tom
maso volontario in causa significa la stessa cosa che per noi, mentre volontario indiretto è
un effetto conseguente alTomissione di un atto (cfr. STh I-IIae, q. 77, art.7).
C a p it o l o III - Profili di bioetica. Quale etica per la bioetica ? 93
75 Cfr. T ettamanzi, D., Verità e libertà. Temi e prospettive di morale cristiana, Casale
Monferrato 1993, 509-536; W eber H., Il compromesso etico, in G offi T. cur., Problemi e
prospettive di teologia morale, Brescia 1976, 199-219.
76 Cfr. Jonas H., Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Bologna 1991, 52.
94 P arte P r im a - Bioetica generale
77 Per una presentazione dei modelli di etica'ambientale vedere: B artolommei S., Etica
e natura, Roma-Bari 1995; Fisso M.Bi, S greccia E., Etica dell’ambiente, Milano 1997;
Fox W., Fondamenti antropocentrici e noti antropòcentrici nelle decisioni sull’ambiente, in
P oli C., T immerman P. curr., L ’etica nelle politiche ambientàli, Pàdova 19911115-137*' ’
C apitolo III —Profili di bioetica:. Quale etica per la bioetica? 95
«La città degli uomini - scrive H. Jonas - un tempo una nicchia net mon
do extraumano, si estende all’intera natura terrestre e ne usurpa il posto*.
Tra naturale ed artificiale non esiste più differenza: il naturale viene as
sorbito nella sfera, dell’artificiale e al tempo stesso la totalità degli arte
fatti, le opere :dell’uomo che influiscono su di lui e mediante lui, genera
una propria natura, cioè una necessità con cui la libertà umana deve
confrontarsi in un senso completamente nuovo»,78 Le enormi possibilità
date dalla scienza e dalla tecnica all’uomo ci interrogano sulle nostre re
sponsabilità verso le generazioni future: Vhomofaber diventa artefice di
se stesso, interviene sulla.natura sua e delle altre creature per corregger
la,o migliorarla od orientarla verso i propri fini e le scelte di oggi saran
no determinanti per configurare il mondo di domani.79 :
La bioetica - disciplina neonata, sia pure con antica genealogia -
dovrà quindi essere capace di accettare le sfide di inedite concezione
dell’uomo e della natura che vanno di pari passo con le nostre inedite
capacità di intervento sull’uomo e sulla natura. In questo senso la bioe
tica è in qualche modo una nuova etica, perché la ratio ethica si trova
ad operare non solo intorno a nuovi problèmi, ma in HìfoVé1condizióni
di pensabilità.
Conclusione
81 R atzinger J., M o d e rn ità atea , r e lig io s ità p o s t- m o d e m a , “Il Regno-Attualità” 39 (1994) 66.
97
P arte S econda
“NON U C C ID E R E”
CAPITOLO I
L’OMICIDIO E LA MUTILAZIONE
L’integrità fisica può esser menomata in vari modi e con diverse con
seguenze, ma - come si è visto nella parte generale - per l’unità on
tologica della persona nella molteplicità delle sue dimensioni, ogni
aggressione all’integrità fisica si traduce in un’aggressione al soggetto
che sussiste in quella fisicità. L’intangibilità dell’integrità fìsica mia e
dell’altro si fonda sull’intangibilità di ogni esistenza personale, essendo
la corporeità la modalità di esistere propria dello spinto incarnato e at
traverso di essa l’uomo, immagine palpitante di Dio, si presenta e si of
fre all’accoglienza, alla relazione, al rispetto, alla carità.
La dimensione etica dell’attentato all’integrità fisica, non va perciò
ricercata primariamente nella quantità del male arrecato, ma nel fatto
stesso che si voglia il male dell’altro o, più precisamente, nel fatto che si
colga l’altro come oggetto da combattere, da mortificare, da distrugge
re.1 Dal punto di vista della gravità materiale possiamo distinguere fra
1Sui comportamenti aggressivi dal punto di vista socio-psicologico ed etologico, vedere: An-
dreoli V., V oglia d i a m m a zza re . A n a lisi d i un d e s id e r io , Milano 1994; F romm E., A n a to m ia
d e lla d istr u ttiv ità u m an a, Milano 1975; K arli P., L ’u o m o a g g r e s s iv o , Milano 1990; L orenz
K., I l c o s id d e tto m a le. P e r u n a s to r ia n a tu ra le d e l l ’a g g r e s s iv ità , Milano 1969; Rizzino A.M.,
100 P arte S econda - “Non uccidere”
una lesione che causa solo lievi sofferenze e una lesione che incide sta
bilmente su funzioni anche importanti dell’organismo; dal punto di vi
sta della intenzionalità si può invece avere un animo spinto da odio o da
disprezzo verso il prossimo non solo quando l’agente intende infliggere
danni gravi e permanenti, ma anche quando si intenda causare una soffe
renza fisicamente meno grave, ma personalmente molto traumatizzante.
Nell’interpretare il significato etico di un attentato all’integrità fisi
ca non si dovrà perciò partire dalle conseguenze somatiche dell’aggres
sione, ma dalla dinamica perversa che è messa in moto dallo spirito di
dominio sull’altro: il vero nodo morale degli attentati diretti alla sussi
stenza o all’integrità fisica altrui sta proprio nella volontà di sopraffa
re l’altro perché la sopraffazione fisica o psichica ottenuta procurando
dolore, umiliazione, ferite o anche la morte, è il segno e la realizzazio
ne della sopraffazione globale della personalità altrui. Nell’ambito delle
manifestazioni eterodistruttive dell’aggressività umana può essere utile
distinguere una sopraffazione generata da sentimenti ostili verso il pros
simo e che può dirsi sopraffazione da odio ; e una sopraffazione derivante
dal considerare il prossimo come di un oggetto o strumento disponibile
per i propri scopi, che può dirsi sopraffazione da disprezzo.* 2
Nel primo caso la sopraffazione è voluta in se stessa, per odio, ira, ge
losia, invidia, rancore verso una persona determinata: l’animo che odia,
anche se non giunge a volere la morte fisica dell’altro, partecipa in qual
che misura della malizia dell’omicidio perché sopprime l’altro nel suo
cuore, secondo la conturbante affermazione della prima lettera di Gio
vanni che «chiunque odia il proprio fratello è omicida» (1 Gv 3,15).
La sopraffazione da odio è talvolta riconducibile a xirì autoafferma
zione ai danni dell’altro che viene umiliato perché percepito come un
rivale: nello schiacciare il prossimo si ha l’appagamento di un narcisi
smo spinto sino alla patologia. Talvolta la reazione violenta e sopraffa-
trice dell’altro, sino a lederne Tintegrità fisica, è dovuta alla violazione
di beni e valori ritenuti importanti, come l’onore o la giustizia, e dal de
siderio di reintegrare in qualche modo i beni offesi (vindicatio).3 Questo
1.2 L’omicidio
te o che i proiettili raggiungano di fatto alcuni passanti, sia nel caso che
nessuna persona venga effettivamente colpita a morte.
Si dice genocidio l’estinzione programmata e calcolata di un’intera
popolazione. In seguito alla politica razziale messa in atto dal Nazismo,
questo orrendo crimine contro l ’umanità è stato più volte e ufficialmen
te stigmatizzato.5 Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea dell’ONU ha adotta
to una convenzione che punisce il genocidio, sia in pace sia in guerra,
dandone fra l’altro una nozione precisa che comprende:
a. l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religioso.
b. lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo.
c. sottomissione del gruppo a condizioni di esistenza che ne compor
tino la distruzione fisica totale o parziale.
d. misure tese a impedire le nascite in seno al gruppo (sterilizzazio
ne, aborto obbligatorio, impedimenti al matrimonio...).
e. trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo all’altro.
Durante la guerra nell’Ex-Jugoslavia il genocidio ha assunto la for
ma di pulizia etnica aggiungendo ai mezzi barbari sopra ricordati il
mezzo ignobile dello stupro con intenzione fecondante, per immettere
il proprio sangue all’interno del gruppo etnico avversario.6
In altre parti del corso tratteremo diffusamente - data la rilevanza so
ciale e morale dei fenomeni - l’aborto e l’eutanasia: per aborto si in
tende “l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un
essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il con
cepimento e la nascita»,7mentre per eutanasia si intende ogni azione od
omissione compiuta per sopprimere la vita di un malato inguaribile o
terminale, di un anziano, di un soggetto malformato o portatore di han
dicap al fine di evitargli sofferenze fisiche e psichiche.8
La crescente diffusione e accettazione sociale di aborto ed eutanasia
non è però che una manifestazione della carica aggressiva che pervade
la nostra cultura, nella quale hanno trovato legittimazione il disprezzo
per la vita umana, la manipolazione e la strumentalizzazione della per
sona, la violenza come diritto del più forte su chi è, per diversi motivi,
più debole.
1.3 La mutilazione
1.4 Sterilizzazione
all’integrità della persona, che viene privata o si priva di una dimensione es
senziale del suo essere, la fecondità fisica.19 Nella prospettiva antropologi
ca cristiana la fecondità fisica, infatti, non è un semplice dato biologico, ma
il simbolo, l’espressione incarnata e la rivelazione della fecondità di tutta la
persona, nella sua unità di anima e di corpo. La avversione verso la steriliz
zazione diretta da parte del Magistero e dei teologi cattolici non risponde
quindi a una logica di tipo fisicista, ma dipende ultimamente da una conce
zione articolata e non riduttiva della persona e dal valore che i dinamismi
corporei assumono nell’unità psicosomatica.20 Questo giudizio negativo
non muta sostanzialmente anche tenendo conto delle diverse motivazioni
che possono portare alla sterilizzazione diretta: personali (es. economiche,
psicologiche, edonistiche), mediche (es. eugenetiche); demografiche (nel
l’ambito di campagne antinatalità imposte dall’autorità civile).
Un caso discusso è quello in cui una nuova gravidanza comporterebbe
quasi certamente un grave rischio fisico o psichico per la madre: in questo
caso l’intervento sterilizzante avrebbe una finalità antiprocreativa diret
ta, ma perseguirebbe insieme una finalità terapeutica di tipo preventivo.
La Congregazione per la Dottrina della Fede è intervenuta di recente in
risposta a specifici dubia: ricordiamo il responso all’Episcopato statuni
tense, approvato in data 13-3-1975 e reso pubblico dallo stesso Episco
pato il 10-6-1976, e il responso a un dubium sul cosiddetto utero isolato,
pubblicato suìV Osservatore Romano 31-7-1994.21 In entrambi i casi, sen
za riprovare esplicitamente gli Autori che sostengono opinioni diverse e
senza entrare nella casistica molto particolare prevista da questi, si è ri
tenuto opportuno ribadire il principio generale che condanna la steriliz
zazione diretta e «perciò - afferma la Congregazione - nonostante ogni
soggettiva buona intenzione di coloro i cui interventi sono ispirati alla cu
ra o alla prevenzione di una malattia fisica o mentale, prevista o temuta,
come risultato di una gravidanza, siffatta sterilizzazione rimane assoluta-
mente proibita secondo la dottrina della Chiesa».22
19 P aolo VI, Lett. enc. H u m a n a e V itae, n. 14: «(Bisogna escludere) la sterilizzazione di
retta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna».
20 Cfr. G iovanni P aolo II, Lett. e n c .V e r ita tis S p le n d o r , n. 47.
21 II primo documento, Q u a e c u m q u e s te r ilìz a tio , si trova in AAS 68 (1976) 738-740. Il se
condo, pubblicato nell’Osservatore Romano del 31-7-1994, si può leggere anche in “Me
dicina e Morale” 44 (1994) 1202-1203: si dichiara lecita l’isterectomia quando l’utero
costituisca un pericolo per la vita o la salute della donna, mentre si dichiarano illecite
l’isterectomia e la legatura delle tube (con isolamento dell’utero dal complesso tuba-ovaio)
se la situazione uterina rende difficile e pericolosa per la donna una eventuale gravidanza.
22 Cfr. M irkes R., U te r in e I s o la tio n : A e u p h e m is m ? , “Ethics & Medics” 18 (1993) 1, 1-3;
O ’D onnell T., U te r in e I s o la tio n : U n a c c e p ta b le in C a th o lic te a c h in g , “Linacre Quarter
ly” 61 (1994)58-61.
C apitolo I - L ’omicìdio e la mutilazione 109
[Si vuole che i portatori da tare ereditarie siano sterilizzati per legge], ma
ciò non sarà lecito neppure com e pena cruenta inflitta dalla pubblica autori
tà per un delitto già com messo o come prevenzione di loro futuri delitti, attru-
buendo così ai magistrati civili - contro il giusto e l ’onesto - un potere che mai
ebbero, né mai poterono legittimamente avere.23
[Si vuole che i portatori di tare ereditarie siano sterilizzati per legge] e ciò
non come pena cruenta inflitta dalla pubblica autorità per un delitto com mes
so, né com e prevenzione di futuri delitti dei m alfattori , ma contro il giusto e
ì ’onesto, attribuendo ai magistrati civili un potere che mai ebbero, né mai po
terono legittimamente avere.24
23 Pio XI, Lett. enc. C a s ti C o n n u b ii, AAS 13 (1930) 65: «Quin immo naturali illa faculta-
te, ex lege, eos, vel invitos, medicorum opera privari volunt; neque id ad cruentam scele
ris commissi poenam publica auctoritate repetendam, vel ad futura e o r u m crimina praeca-
venda, lic e b it , s c i l i c e t contra ius et fas ea magistratibus civilibus arrogata facultate, quam
numquam hahuerunt nec legitime habere possunt» .
24 Cfr. AAS 14 (1931) 604, N o ta n d u m {in c a lc e ): “In superiori fasciculo n. 13, p. 65, nn. 1-
2, sententia fortasse magis perspicua evadet, si loco e o r u m legatur re o r u m et loco lic e b it,
s c i li c e t legatur s e d ” . B oschi A., P r o b le m i m o r a li d e l m a tr im o n io , Torino 1953, 481 scrive
che l’enciclica «fu delicatamente corretta». Don Chiavacci afferma invece: «Il testo fu pe
santemente violentato, con in più l’ipocrisia di fai- passare la violenza come miglioramen
to della perspicuità del dettato” (M o r a le d e lla v ita f i s i c a , 75, nota 23).
110 P arte S econda - “Non uccidere
1.5 La castrazione
to crudele»: S torai S., A n a lis i d e lla le tte r a tu r a s c ie n tific a s u llo s tu p r o , “Rivista di Ses
suologia” (1993) 65-78 (p. 77).
31 La tesi viene esposta in: E llis L., T h e o r ie s o f R a p e . I n q u ir e s in to th e C a u s e s o f S e x u a l
A g g r e s s io n , New York 1989, 95 «One policy implication might be that, in order to reduce
rape, all relatively selected racial groups should be reduced in numbers».
32 C antor J.M. et al., C e r e b r a l w h ite m a tt e r d e f ic ie n c ie s in p a e d o p h i li c m en , “Journal o f
Psychiatric Research” 42 (2008) 167-183; B radford J.M.W., T h e n e u r o b io lo g y , n e u r o p
h a r m a c o lo g y , a n d p h a n n a c o l o g ic a l tr e a tm e n t o f p a r s a p h i l ia s a n d c o m p u ls iv e s e x u a l b e
h a v io u r , “Canadian Journal of Psychiatry” 46 (2001) 26-33.
33 B riken P. K afka M.P., P h a r m a c o lo g ic a l tr e a tm e n ts f o r p a r a p h il i c p a t ie n t s a n d s e x u a l
o ffe n d e r s , “Current Opinions in Psychiatry”, 20 (2007) 609-613.
C apitolo I —L 'omicidio e la mutilazione 113
che agiscono sul sistema nervoso centrale, questi mezzi devono essere
assolutamente preferiti.
La cosiddetta castrazione chimica per i pedofili e i violentatori è sta
ta introdotta, a scopo sperimentale e non senza polemiche, in alcuni
paesi europei (Danimarca, Francia, Germania, Norvegia Svezia, Gran
Bretagna) e nordamericani (Canada e in alcuni stati degli USA).34 Un
aspetto importante del dibattito è se questi interventi a carattere biome
dico possano essere imposti, così come si può infliggere una pena de
tentiva: l’idea prevalente è che gli interventi farmacologici finalizzati a
contenere le spinte aggressive e sessuali anomale possono essere ese
guiti solo con il consenso del soggetto. A questo proposito, il Comi
tato Nazionale per la Bioetica italiano si è pronunciato due volte, nel
1998 e nel 2003, in senso contrario all’introduzione della sterilizzazio
ne forzata ottenuta con qualunque mezzo, anche chimico, affermando
che vanno «ritenute illecite, sia sul piano giuridico che su quello etico,
le sterilizzazioni forzate, indipendentemente dal soggetto che ne deli
beri Veffettuazione (genitori o tutori, medici, giudici, Stato) o dalle mo
tivazioni (in particolare quelle di carattere psicologico e sociale) che
possono essere addotte per giustificarle».35
In conclusione, la castrazione di un reo per defitti sessuali potreb
be essere giustificata solo se praticata a scopo direttamente terapeutico
e, quindi, alle condizioni di liceità di ogni altra terapia: prima di tutto
con il consenso della persona, poi qualora ne sia stata provata l ’effica
cia nell’inibire le spinte aggressive e infine preferendo sempre i mez
zi incruenti e quelli più rispettosi della libertà del soggetto. Al di fuori
di queste precise condizioni, la castrazione e la sterilizzazione inflitte a
scopo punitivo sono da ritenersi contrarie alla dignità della persona: una
legge che le imponesse sarebbe iniqua e, perciò un cittadino cattolico,
anche se investito di funzioni pubbliche (es. magistrato, medico, milita
re) sarebbe tenuto a disobbedirla e ad opporre obiezione di coscienza.
Nella caso della castrazione criminale ci troviamo di fronte a un ve
ro progresso nella comprensione di un precetto della legge naturale: un
tempo la mutilazione punitiva del reo era pacificamente ammessa, ma
34 Cfr. M ele V., S greccia E., Gli antiandrogeni nella terapia dei comportamenti sessua
li violenti: riflessioni etiche, “Medicina e Morale” 39 (1989) 1107-1124. Una acuta analisi
dal punto di vista giuridico in: S palding L.H., Florida’s 1997 Chemical castration law: A
return to thè dark ages, “Florida State University Law Review” 25 (1998) 2, 117-139.
35 C omitato N azionale P er la B ioetica, Il problema bioetico della sterilizzazione non
volontaria, 20-11-1998 http://www.govemo.it/bioetica/testi/201198.html). Cfr. I d , Mozio
ne sul trattamento obbligatorio dei soggetti condannati per reati di pedofilia, 17-1-2003
http://www.palazzochigi.it/bioetica/mozioni/pedofilia.html).
114 P arte S econda - “Non uccidere
Conclusione
CAPITOLO II
IL SUICIDIO
tistica): www.who.int/topics/suicide/en/. Per l’analisi dei dati più antichi fino al 1990, si
veda lo studio, ancora attuale per l’acutezza interpretativa, della R. Scramaglia in: D ur
kheim E., Il suicidio. Studio di sociologia , Milano 19968, 113-158.
3 Cfr. http://www.istat.it/dati/catalogo/rapporto2004/.
C apitolo II - Il suicìdio 117
a. Suicidio e depressione
Nelle sindromi depressive più gravi o trattate in modo inadeguato
incombe sempre la minaccia del suicidio e fra tutte le malattie mentali
sono proprio le depressioni e soprattutto quelle da cause endogene, an
cor più che quelle reattive, a comportare la più alta percentuale di sui
cidi attuati o tentati.
4 Cfr. S toff D.M., M ann J. eds, The Neurobiology ofSuicide. From the Beuch to the Clinic,
New York 1998 (Annals of the New York Academy of Science, vol. 86).
118 P arte S econda - “Non uccidere”
5 A lvin P., Adolescents suicidants, “Laennec” 42 (1994) 2-6; Di P ietro M.L., L ucatti-
ni A., Condotte suicidiarie e adolescenza nel dibattito attuale, “Medicina e Morale” 44
(1994) 667-690; P feffer, El suicidio de los menores de edad, “Dolentium Hominum” 9
(1994) 247-251; P ommereau X., L ’adolescent suicidare, Paris, 1996 (trad. it., La tenta
zione estrema. Gli adolescenti e il suicidio Milano, 1999); Raschi G., Le condotte suici
dane negli adolescenti, Acirela (Ct) 2003.
6 H enseler H., Psicologia del suicidio, “Concilium” 21 (1985) 3, 49.
120 P arte S econda - “Non uccidere
La vita, se manca la virtù del morire, è una servitù. Pensare alla morte, vuol
due pensare alla libertà. Chi ha imparato a morire ha disimparato a servire; è
sopra ogni potere, ma è certamente fuori di ogni potere. Carceri, custodi, cate
nacci a che valgono? C’è sempre una porta aperta. Una sola è la catena che ci
tiene legati: l’amore per la vita. Questo bisognerà non già annullare, ma ridur
re, in modo che quando venga la necessità esso non c’impedisca dal fare subi
to quello che dovremo pur sempre fare.7
e. Il suicidio di protesta
Nel nostro ambiente socio-culturale è possibile evidenziare una for
ma di suicidio non collegato direttamente a sindromi depressive o a si
tuazioni di eccezionale gravità per il soggetto: si tratta di una forma
particolare di suicidio lucido o apparentemente tale, che può essere de
nominato suicidio filosofico (in considerazione del contesto in cui sor
ge) o suicidio di protesta (in considerazione della motivazione di fondo
che lo anima).
Se un soggetto, esclusa l’opzione di fede, vive completamente im
merso nella mentalità secolarista e non riesce a concepire la sua vi
ta come dialogo con l’Assoluto, cosicché gli sfugge completamente la
relazione del proprio esistere con l ’Assoluto, allora il senso e il valore
lore e senso l’esistenza stessa, allora sarà chiaro che interrompere unila
teralmente e arbitrariamente questo dialogo è un implicito rifiuto di Dio
e della sua sovranità. L’uomo, in quanto immagine di Dio, ha una signo
ria autentica sulla sua vita, ma questa signoria ministeriale è subordinata
al principale dominium di Dio. All’uomo devono pertanto essere rico
nosciuti veri spazi di libertà e il diritto di organizzarsi autonomamente
1’esistenza, ma il fatto di vivere-una-vita non è oggetto di scelta per l’uo
mo: come nessuno ha deciso di entrare nella vita, ma vi è stato chiama
to, così nessuno può uscirne senza aver ricevuto la chiamata.
Tommaso aggiunge un ulteriore motivo di rifiuto del suicidio, de
rivante dalla filosofia di Aristotele e in sintonia con la sua concezione
dell’etica come impresa comunitaria e realtà eminentemente sociale:
Ogni uomo è parte della comunità e perciò quello che è, è della comunità.
Ne segue che nel momento in cui uccide se stesso, fa un’ingiustizia alla comu
nità, come si legge nel V libro delVEtica di Aristotele.18
fiuto della vita è allo stesso tempo rifiuto del bene umano.
Risulta, inoltre, difficile accettare la tesi stoica che il suicidio messo
in atto per sfuggire un’imminente catastrofe non sia segno di pusillani
mità o di rinuncia, ma costituisca al contrario una manifestazione ec
celsa di eroismo e di forza. Non possiamo negare il fascino che ancor
oggi sprigionano le pagine degli antichi scrittori in cui si riferiscono al
cuni esempi di suicidi lucidi, né vogliamo giudicare la nobiltà e la retti
tudine soggettiva di questi suicidi, bisogna però riconoscere che, tanto
nel caso degli Stoici come del sacerdote Razis o del re Saul, si tratta pur
sempre di suicidi voluti direttamente come mezzo per sfuggire all’infa
mia, allorché la morte appare preferibile a una vita senza onore: è dif
fìcile non vedere in questi gesti estremi una forma di fuga da una realtà
percepita insostenibile, anche se Vexitus dal mondo si presenta amman
tato di tragica grandezza.23 Per questo motivo, benché l’Agiografo par
li di Razis in temini laudativi, san Tommaso giudica Razis piuttosto un
debole che un forte24 e sant’Agostino commenta l ’episodio biblico scri
vendo che «la Scrittura ci dice che volle morire nobilmente, ma non ci
dice che volle morire saggiamente».25 Ogni suicida lucido, credente o
non credente, sarebbe perciò inescusabile.
La questione appare però meno certa se riflettiamo sulla realtà del
nostro contesto sociale e culturale: molte volte una persona potrebbe
percepire il suo vivere come un semplice, ineluttabile, insignificante la
sciarsi vivere e quindi sentire che quella vita che sta vivendo è il contra
rio della propria realizzazione, è perciò radicalmente un male morale.
In questa cupa prospettiva, il suicidio esistenziale potrebbe essere colto
soggettivamente dalla persona come un vero eroismo, come il solo atto
davvero buono da compiersi. Questo suicidio non sarebbe quindi conse
guenza di paura, di umiliazione, di miseria insopportabile, di sofferen
za, ma il frutto di una scelta lucida, erroneamente giudicata dal soggetto
come rispondente al primo precetto della legge naturale.
Il suicidio filosofico vorrebbe essere l’atto di accusa contro una
23 Si veda, per esempio, il suicidio di Catone Uticense, nell’assedio di Utica nel 46 a. C.,
alla fine della guerra civile che vide il trionfo di Cesare su Pompeo: S eneca , D e p r o v i -
d e n tia , 2, 11-12; P lutarco, V ita d i C a to n e M in o r e , 67-73. Neppure il cristiano Dante si
sottrasse alla forza della tradizione e fece di Catone il simbolo dell’uomo alla ricerca del
la libertà autentica. Virgilio si rivolge a Catone sulla spiaggia del Purgatorio con i celebri
versi: «Libertà va cercando, che è sì cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta./ Tu il sai, ché
non ti fu per lei amara/ in Utica morte, ove lasciasti/ la vesta che al gran dì sarà sì chiara»
( P u r g a to r io , I, 71-75).
24 S. T ommaso D’Aquino, S u m m a T h e o lo g ìa e , II-Hae, q. 64, a. 5, ad 5: «Non tamen est
vera fortitudo, sed magis quaedam mollities animi non valentis mala poenalia sustinere».
25 S. A gostino, E p is to la 204.
126 P arte S econda - “Non uccidere
Perché dovrebbe essere più lodevole per un uomo invecchiato, che sente il
declino delle proprie forze, attendere la propria lenta consumazione e il disfa
cimento, che non porre termine in piena coscienza alla propria vita? In questo
caso il suicidio è un'azione del tutto naturale e a portata di mano che, come
vittoria della ragione, dovrebbe giustamente suscitare rispetto.28
26 Una trattazione magistrale del suicidio filosofico in: C hiavacci E., Morale della vita fi
sica, 88-91.
27 Vedere sul tema un suggestivo intervento: R egina U., Nietzsche: morire al momento
giusto, in B iolo S. cur., Nascita e morte dell’uomo. Problemi filosofici e scientifici della
bioetica, Genova 1993, 239-254.
28 N ietzsche F., Umano troppo umano, n. 80, in C olli G., M ontinari M. curr., Opere di
Friedrich Nietzsche, Milano 1964 ss., voi. 4/2, 67.
C apitolo II - Il suicidio 127
mondo dei valori oggettivi porta a ritenere che l’autonomia di una per
sona possa giungere a scegliere se, quando e come continuare a vivere
o darsi la morte, benché, dal punto di vista puramente razionale, questa
giustificazione del suicidio sia - a ben guardare - assurda: è paradossa
le infatti che un soggetto morale realizzi compiutamente se stesso an
nientandosi come soggetto nell’atto suicida, è assurdo che la massima
espressione della moralità coincida con l’annientamento dello stesso
agente morale, che una libertà per affermarsi si autodistrugga. Imma
nuel Kant, dopo aver enunciato l’imperativo categorico, ne porta come
esempio, proprio la assurdità del suicidio perché «una natura in cui fos
se legge che quello stesso sentimento che è destinato a promuovere la
vita, distrugga la vita stessa, è una natura in sé contraddittoria e, quindi,
non può sussistere come natura».29
«Chi si dà la morte dichiara, paradossalmente, che l’unico modo per
salvare la propria vita è quella di distruggerla»30 per cui, ponendosi nel
la prospettiva del rapporto ambivalente del soggetto con il suo corpo
oggetto/corpo vissuto, C. Zuccaro giustamente osserva che il tentativo
di superare attraverso il suicidio una condizione somatica ritenuta in
sostenibile è illusorio perché «il limite rappresentato da questo corpo
mortale... non può essere veramente tolto ed eliminato dal suicidio. In
fatti il suicida non riesce ad affermare se stesso in quanto spirito libero,
ma precisamente solo il suo essere ormai cadavere».31
29 K ant L, Fondazione della metafisica dei costumi (M atthieu V. cur.), Milano 1994,
127. Per “natura” qui si intende «Pesistenza di cose in quanto determinata da leggi gene
rali». Sull’etica del suicidio in Kant: K ant I., Sull'etica del suicidio. Dalle “Riflessioni”
e “Lezioni ” di Immanuel Kant con i “Preparativi di un infelice alla morte volontaria” di
un anonimo del Settecento (A portone A . cur.), Firenze 2003; M ordacci R ., Una intro
duzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica , Milano 2003, 368-370; R eichlin
M., L ’etica e la buona morte, Torino 2002 (soprattutto, pp. 181-227). Si vedano le critiche
mossegli a proposito del suicidio del sofferente, nella prospettiva di Hans Kelsen, in W al
ter R ., La teoria di Kelsen. Contributi alla dottrina pura del diritto, Torino 2005, 87: «La
“contraddizione” sussiste solo fra la massima e una legge morale presupposta da Kant che
vieta il suicidio in tutte le circostanze e in base alla quale la massima in questione non deve
essere voluta... Si può benissimo volere che il suicidio in generale sia certo inammissibi
le, ma che debba essere consentito in determinati casi eccezionali, dai quali il generale di
vieto di suicidio sarebbe delimitato».
30 R eichlin M., Il suicidio e la morale cristiana, “Rassegna di Teologia” 39 (1998) 877.
Cfr. Y olif J.F., Suicide et liberté, “Lumière et Vie” 32 (1957) 83-100.
31 Z uccaro C., La vita umana è indisponibile? Il giudizio etico relativo a suicidio ed eu
tanasia, in “Rassegna di Teologia” 38 (1997) 52.
128 P arte S econda - “Non uccidere
a. Il martirio
I martiri cristiani di ogni tempo hanno preferito la morte alla apo
stasia ed hanno confessato con franchezza la fede, pur prevedendo che
questa professione di fede sarebbe costata loro la vita.37 Bisogna però
dire parlare di suicidio sarebbe per lo meno improprio perché i marti
ri, pur compiendo con piena consapevolezza atti che fi conducono cer
tamente a morire, non cercano direttamente la morte, né tanto meno se
la danno da soli.
I martiri si sacrificano per testimoniare il loro amore a Dio sino al
l’effusione del sangue, memori della parola evangelica che: «Chi perde
la propria vita per causa mia e del Vangelo, la trova» (Mt 10, 39). Essi
hanno ritenuto che la vita eterna, che è il bene integrale e definitivo del-
l’uomo, sia preferibile alla tutela di un bene parziale qual è la vita fisica
e che, d ’altra parte, il primato di Dio, valore supremo, si impone sul
la vita corporea, dono di Dio.38 A ben guardare, essendo la vita umana
destinata a farsi servizio e lode di Dio, si può dire che nel martirio non
solo la vita umana non viene disprezzata, ma anzi raggiunge con traspa
renza e pienezza lo scopo per il quale ci era stata data.39
38 Volendo giustificare il martirio in base agli schemi etici razionali, si può richiamare il
nel senso che la perdita di una dimensione della vita (quella corporea)
p r i n c i p io d i to ta lità ,
è finalizzata alla salvaguardia della vita intera dell’uomo (quella eterna). Meno convincen
te l’interpretazione che, nel c o n flitto fra il valore della vita fisica e il valore della testimo
nianza a Dio, debba prevalere sempre il secondo perché più elevato. Pensare a un d u p lic e
e ffe tto , che cioè i martiri vogliono solo testimoniare Dio e che la morte è effetto collate
rale non voluto benché previsto, è plausibile, ma oscura la volontarietà eroica del supre
mo atto oblativo.
39 Cfr. G iovanni P aolo II, Lett. enc. V e rita tis S p le n d o r , n. 92: «Il martirio è quindi anche
esaltazione della perfetta u m a n ità e della vera v ita della persona».
40 S. T ommaso D ’A quino, S c r ip tu m s u p e r S e n te n tiìs , III, d. 29, a. 5, ad 3: «Tradere seme-
tipsum propter amicum est perfectissimus actus virtutis; unde hunc actum magis appetit
virtuosus, quam vitam propriam corporalem». Cfr. S. A lfonso , T h e o lo g ia M o r a lis , lib. 3,
tract. 4, cap. 1, dub. 1 (ed. Gaudé, voi. 1, n. 366 ss.). Per questo motivo un alpinista vola
to dalla parete può tagliare la corda che lo lega ai compagni e morire precipitando per sal
vare i compagni e un naufrago può cedere ad un altro naufrago la tavola che lo tiene a gal
la, anche con la certezza di perire.
C apitolo II - Il suicidio 131
Chi dunque sente dire che non è lecito uccidersi, lo faccia pure se lo ha co
mandato Colui i cui comandi non si possono trascurare, ma soltanto veda se il
comando divino non si presenti in qualche modo oscuro. Noi attraverso l’ascol
to conveniamo con la coscienza, ma non pretendiamo di poter giudicare le cose
occulte. Nessuno sa che cosa accada nell’uomo se non lo spirito dell’uomo che
è dentro di lui (1 Cor 2,11). Questo diciamo, questo affermiamo, questo appro
viamo in ogni modo, che nessuno deve darsi volontariamente la morte.43
Questa ipotesi di una ispirazione da parte di Dio non ci pare «quasi
44 Rossi L., Suicidio, in Rossi L., V alsecchi A. dirr., Dizionario Enciclopedico dì Teolo
gia Morale, Cinisello Balsamo (Mi) 19877, 1605: «Quest’ipotesi, che a noi sembra quasi
blasfema, è tutt’altro che superflua secondo la tradizione cristiana».
45 S. Alfonso, Theologia Moralis, n. 366: «Ob magnum bonum commune, vel ob specia-
lem obligationem, ex pacto vel officio, quam habet v. gr. miles, gubemator, episcopus, pa-
stor, licite possunt et tenentur mortem perferre».
C apitolo II - Il suicidio 133
c. Il sacrificio religioso
Sant’Agostino e la Tradizione susseguente hanno mostrato un certo
imbarazzo nel formulare un giudizio morale oggettivo su quelle vergini
che, durante le persecuzioni anticristiane, si uccisero piuttosto che mac
chiare la loro castità subendo violenza carnale. Si ricorda a questo pro
posito l ’episodio di Pelagia che si precipitò dall’alto di un tetto e salvò
la sua verginità con la morte volontaria,46 quello di Apollonia che si but
tò nel fuoco,47 quello di Domnìna e delle sue figlie, Bemìce e Pròsdoce,
che si annegarono in un fiume. Eusebio così ci riferisce la drammatica
esortazione di Domnìna alle figlie:
Ella diceva (alle figlie) che dare l’anima in schiavitù ai demoni era peggio
di ogni morte e di ogni danno e che il solo modo per sfuggire ai pericoli in
combenti era la fuga nel Signore.48
lontà e quindi non c ’è perdita della virtù dove non c ’è adesione interio
re al male. Perciò, senza mettere in discussione la grandezza del gesto,
egli conclude che non si tratta di esempi da seguire, in quanto non ri
spondono a un comportamento ragionevole:
51 S. A gostino, D e C iv ita te D e i , lib. 1, cap. 22 (PL 41, 36): «Non modo quaerimus utrum
sit factum, sed u tru m fuerit faciendum. Sana quippe ratio etiam exemplis anteponenda
est». Il Lessius non giustifica l’atto suicida, ma lo attribuisce a ig n o r a n z a i n c o lp e v o le «in
fatti - scrive - uccidersi... per custodire la castità non è tanto evidente che sia un male da
non potersi ignorare senza colpa»: L essius L., D e iu s titia e t iu re, lib. 2, cap. 9, n. 23. Cfr.
L ugo D., D e iu s titia e t iu re , disp. 10, n. 54.
52 I b id e m , cap. 26 (PL 41, 39): «De his nihil temere audeo judicare... Quid si enim hoc fe-
cerunt, non humanitus deceptae, sed divinitus jussae, nec errantes, sed oboedientes? Sicut
de Samsone aliud nobis fas non est credere... Sed non ideo sine scelere facit, quisquis Deo
filium immolare decreverit, quia hoc Abraham etiam laudabiliter fecit». Non diversamente
si esprime il Baronio dopo aver riferito, nell’anno 870, le orrende m u tila z io n i che si inflis
sero santa Ebba e le sua monache per difendersi dai barbari aggressori i quali, vedendole
prive del naso e del labbro superiore fino ai denti, disgustati dettero alle fiamme il mona
stero: B aronio C .,A n n a l e s e c c le s i a s t i c i , ad an. 870, nn. 39-41.
53 B akovic A., L e m a r tir i d e ll a D r in a . C o n b r e v e in q u a d r a m e n to s to r ic o , Roma 1996.
C apitolo II - Il suicidio 135
Conclusione
54 II tema dello sciopero della fame è ben lungi dall’esser stato risolto in campo morale e
la sua stessa interpretazione come suicidio (diretto o indiretto che sia) non sembra a tut
ti così scontata. Vedere: V idal M., Manuale di etica teologica, voi. 2/1, Assisi 1995,488-
501 (con ampia bibliografia).
136 P arte S econda - “Non u c c id e r e
CAPITOLO III
LA LEGITTIMA DIFESA
1 Per un approccio globale al tema, vedere: C hiavacci E., Morale della vita fisica, 159-
174; C iccone L., Legittima difesa, in russo G. cur., Bioetica Sociale, Leumann (To) 1999,
54-68; D ’A gostino F., Omicidio e legittima difesa, in C ompagnoni R, P iana G., P rivi-
tera S. curr., Nuovo Dizionario di Teologia Morale, 823-830; P erico G., Il principio del
la legittima difesa, “Aggiornamenti Sociali” 43 (1992) 333-343.
138 P arte S econda - “Non uccidere
Questa è una legge non scritta, ma innata, che non si apprende... ma che
abbiamo preso, assunto, espresso dalla natura stessa, per la quale noi non sia
mo istruiti, ma per la quale siamo stati fatti, che non ci è stata insegnata, ma
che abbiano dentro: che cioè se la nostra vita si trovasse in qualche pericolo,
in situazione di violenza, sotto i colpi di briganti o nemici, sarebbe lecito ogni
mezzo {ratio) per conseguire la salvezza.4
2 II ladro deve essere ucciso davanti alla breccia da lui aperta nel muro. Vedere: C o d ic e d i H a m
m u r a b i , n.
21, in P ritchard J.B. cur., A n c ie n t N e a r E a s te r n Text, Princeton 19552, 167.
3 C amassa G., A te n e . L a c o s tr u z io n e d e ll a d e m o c r a z ia , Milano 2007, 24-25.
4 C icerone, P r o M ilo n e , cap. 3: «Est haec non scripta, sed nata lex, quam non didicimus...
verum ex natura ipsa arripuimus, hausimus, expressimus, ad quam non doch sed facti, non
instituti sed imbuti sumus: ut si vita nostra in aliquas insidias, si in vim, si in tela latronum
aut inimicorum incidisset, omnis honesta ratio esset expediendae salutis».
5 G aio in D i g e s t a , lib. 9, tit. 2,1. 45: «Naturalis ratio permittit se defendere».
C apitolo III - La legittima difesa 139
Queste parole gettano una luce nuova sul problema della violenza:
l’amore sino alla fine, che è il cuore dell’opera e della missione di Ge
sù, trova nella violenza il suo perfetto contrario. Fra Vangelo e violenza
c ’è radicale incompatibilità e la rinuncia a difendersi da parte di Gesù è
annunzio di questa alternativa.
In tale prospettiva vanno letti tutti gli insegnamenti evangelici sul
l’atteggiamento verso i nemici che raccomandano il perdono per le of
140 P arte S econda - “Non uccidere
Un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a in
fedeli! E dire che è già per voi una sconfìtta avere liti vicendevoli! Perché non
subire piuttosto l’ingiustizia? Perché non lasciarvi privare piuttosto di ciò che
vi appartiene? Siete voi invece che commettete ingiustizia e rubate, e ciò ai
fratelli!
I Padri della Chiesa più antichi, per restare fedeli allo spirito evan
gelico e all’esempio del Signore, avevano sollevato obbiezioni contro
ogni form a di difesa violenta, soprattutto se spinta sino alla soppressio
ne dell’aggressore. Sant’Agostino, che pure ammette l ’uccisione di un
nem ico in guerra da parte di un soldato e quella di un eretico o di un reo
da parte dell’autorità civile, nega tuttavia al singolo il diritto a uccidere
per difendere qualche bene personale, incluso il bene della vita. Nel De
libero arbitrio egli scrive:
Com e posso pensare che siano liberi dal desiderio disordinato ( libido ) co
storo che difendono con le armi quei beni, com e la vita, la libertà, la pudici
zia, che possono perdere anche senza volerlo o, se non lo possono, a che serve
spingersi per questi stessi beni fino all’uccisione di un uomo?6
6 S. A gostino , De libero arbitrio, lib. 1, cap. 5, 11 (PL 32, 1227): «Quomodo possum ar
bitrari calere istos libidine, qui pro iis rebus (se. vita, libertate, pudicitia) digladiantur quas
possunt amittere inviti; aut si non possunt, quid opus est pro his usque ad hominis necem
progredì?».
7 Digesta, lib. 43, tit. 16,1. 1 § 27: «Vim vi repellere licere Cassius scribit idque ius natura
comparatur, apparet autem, inquit, ex eo arma arm is repellere licere» (cfr. D., 43, 16, 36,
9; 48, 8, 1 §4; 48, 8, 9).
142 P arte S econda - “N o n u c c id e r e
Non è passibile di alcuna pena chi, quando violò la legge o il precetto... agì
per legittima difesa contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, con la debi
ta moderazione.10
proprio che si mira ad evitare ovvero che il male arrecato sia proporzio
nato al bene difeso.
Queste condizioni richiedono un breve commento.
a. Aggressione in atto. L’aggressione è un’azione oggettivamente
mirante al danno di qualcuno: sia all’integrità fisica della persona, sia a
ciò che può dirsi appartenenza della persona, come i beni materiali le
gittimamente in suo possesso, sia un danno alla sfera della personalità,
come nel caso della violazione di un sentimento quale il pudore. L’ag
gressione deve essere in atto : se fosse già avvenuta non si tratterebbe
più di difesa, ma di vendetta; se invece dovesse ancora avvenire, non re
spingerebbe un’aggressione, ma un’intenzione, che potrebbe anche non
tradursi in atto. Ovviamente è difficile stabilire confini rigorosi e deter
minare quando, di fatto, una aggressione inizia o finisce, potendo essa
articolarsi in atti aggressivi distinti e coordinati.
b. Ingiusta. L’aggressione deve essere ingiusta e, in generale, ogni
aggressione alla persona o ai suoi beni si presenta ingiusta.11
Un punto discusso è quello della oggettività delVingiustizia: un bam
bino che punta una pistola carica contro qualcuno, senza rendersi conto
di ciò che sta facendo, è considerato aggressore oggettivamente ingiu
sto, mentre soggettivamente non lo è, non essendo soggetto moralmente
responsabile dei suoi atti. Che sia sufficiente a legittimare la difesa vio
lenta un’aggressione solo oggettivamente - e non anche soggettivamente
- ingiusta, è tesi sostenuta dagli Autori ed è stata ripresa anche da Evan-
gelium Vitae in una inserzione casuistica.112Viene inoltre di solito consi
derata ingiusta aggressione anche un’azione posta da un agente compos
sui che non sia in se stessa, nella sua struttura fattuale ingiusta, ma che
lo sia accidentalmente nei confronti di un altro.13 «Insomma - come no
11 Una aggressione può essere giusta se proviene dalla pubblica autorità: arresto, compari
zione obbligatoria e compulsoria, pignoramento, esproprio, nei limiti precisi di leggi non
palesemente ingiuste.
12 G iovanni P aolo II, Lett. enc. E v a n g e liu m V ita e, n. 55: «Accade purtroppo che la ne
cessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppres
sione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto
con la sua azione, a n c h e n e l c a s o in c u i e g li n o n f o s s e m o r a lm e n te r e s p o n s a b ile p e r m a n
c a n z a d e l l ’u s o d e ll a r a g io n e » (corsivo nostro).
13 Gli Autori ritengono lecito uccidere persino un bambino o uno zoppo che senza volere
creino un ostacolo a chi sta fuggendo da un malfattore. Cfr. I orio J., T h e o lo g ia M o r a lis ,
voi. Il, Napoli 1960,109: «Ex jure defensionis, licet puerum vel claudum occidere, qui tibi
a malefactore fugienti viam intercludant». L’ingiustizia oggettiva è dunque piuttosto una
ingiustizia relativa, dal punto di vista del soggetto: infatti l’azione dello zoppo o del bam
bino di stare in un certo luogo è per sé giusta o almeno indifferente e diviene ingiusta solo
p e r p a r t i c o l a r i s itu a z io n i a c c id e n ta li d ì c o lu i c h e n e r ic e v e d a n n o . In questo senso allo
ra anche il f e t o e c t o p i c o che mette in pericolo la salute della madre potrebbe essere equi
144 P arte S econda - “Non uccidere”
parato ad un ingiusto aggressore, come fece A. Sabetti alla fine dell’800: C urran C .E.,
T h e M a n u a l a n d C a s u i s t iy o f A lo y s iu s S a b e tti, in K eenan F.J., S hannon T.A. eds., T h e
C o n te x t o f C a s u is tr y , Washington 1995, 161-187 (soprattutto 179-183). Vedere: F aggioni
M.P., P r o b le m i m o r a li n e l tr a tta m e n to d e ll a p r e e c l a m p s i a e d e ll a c o r io a m n io n ite “Medi
cina e Morale” 58 (2008), 483-526 (sull’aggressione, 501-510).
14 D ’agostino E, O m ic id io e le g ittim a d if e s a , 827. Cfr. L evine S., T h e M o r a l P e r m is s ib il
ity o f K illin g a “M a t e r i a l A g g r e s s o r ” in S e lf - D e f e n s e , “Philosophical Studies” 45 (1984)
69-78; M cM ahan J., S e lf-D e fe n s e a n d th e P r o b le m o f th e I n n o c e n t A tta c k e r , “Ethics” 104
(1994) 252-290.
15 Secondo il D iz i o n a r i o d i T e o lo g ia M o r a le , curato da mons. Palazzini per le edizioni S t a
d iu m , l’uccisione può essere lecita per non lasciarsi ridurre in miseria assoluta o anche re
lativa, che sarebbe una notevole e dolorosa diminuzione dello stato sociale (voi. 1, Roma
19684, 515). A nostro avviso l’opinione per quanto riguarda la miseria relativa suona se
non e r r o n e a , almeno s c a n d a lo s a .
C apitolo III - La legittima difesa 145
Tale opinione suona stonata in una morale davvero cristiana, che si muo
ve cioè nell’orizzonte di una gerarchia assiologica in cui il valore della vi
ta umana, creata a immagine di Dio, non è in nessun modo paragonabile
al valore strumentale dei beni terreni. Non essendo possibile confronta
re, quasi fossero realtà omogenee e commisurabili, il valore di una vita e
il valore economico di beni materiali minacciati, la nostra opinione è che
non è mai giusto difendere i propri beni materiali a prezzo dell’integrità
fisica o della vita dell’aggressore, salvo quando quei beni fossero condi
zione immediata e imprescindibile per la sopravvivenza.
Analogamente non è giustificata la difesa del proprio onore con il feri
mento o l’uccisione di chi lo ha macchiato. Prima di tutto si tratta di soli
to di una ritorsione per il danno subito e non di una difesa in senso stretto;
in secondo luogo non sembra ragionevole tutelare la propria onorabilità
con atti di violenza vendicativa, anche perché il valore di una vita supe
ra certamente quello della propria buona fama. Un ferimento o addirit
tura un’uccisione per difesa sproporzionata non sono forse equiparabili
ad un omicidio e il diritto penale potrà anche tener conto dell’esisten
za di un costume tradizionale favorevole al delitto d ’onore (es. per ven
dicarsi di un adulterio), ma su questo punto l’annuncio morale cristiano
non può conoscere tentennamenti. Già nel ’600 Alessandro VII (1665) e
di Innocenzo IX (1679) avevano condannato alcune proposizioni lassiste
che tendevano a legittimare l ’uso della violenza per tutelare beni di valore
non paragonabile a quello della vita, dichiarandole “ut minimum scanda-
losae et in praxi pemiciosae”.16 In sintonia con queste prese di posizione,
la sensibilità morale odierna, ancora più attenta al valore della vita umana
e al suo primato rispetto al possedere, al dominare, all’apparire, è portata
senza dubbio a respingere in modo netto ogni sproporzione qualitativa e
quindi ogni confusione assiologica fra i beni difesi e il bene della vita.
Questo complesso di condizioni configura nella tradizione il mo-
deramen inculpatae tutelae, la moderazione o misura che legittima il
ricorso alla difesa violenta. Tale moderamen ha però un significato mo
rale più profondo che quello di essere un semplice elenco di condizioni
oggettive: il complesso di condizioni oggettive altro non è che l’espres
sione morale o giuridica, la traduzione in termini esteriori, di una si
tuazione interiore di non odio e di rinuncia alla vendetta, ma anzi di
ricerca di carità, in quanto l’agente deve sforzarsi di recare il minor
male possibile a chi lo sta aggredendo.
16 Decr. 24-9-1665, nn. 17-19 (DS 2037-9); Decr. 2-3-1679, nn. 30-33 (DS 2130-3). Anche
su questo aspetto del lassismo vedere la corrosiva critica di Pascal: P ascal B., Les Provin-
cìales, lettere Xlll e XIV.
146 P arte S econda - “Non uccidere
19 Secondo la sua spiegazione - un po’ sforzata, a dire il vero - l’uccisione non è mai ne
cessaria per difendersi, ma solo il ferimento che impedisce il gesto aggressivo; da questo
ferimento, secondo il principio del duplice effetto, può seguire la morte come effetto non
direttamente inteso: «Possum ergo... intendere laesionem quae est mortifera, sed non qua
terna est mortifera». C athrein V., P h ilo s o p h ia m o r a lis a d u su m s c h o la r u m , 19552, 262.
20 S an T ommaso D’A quino, S u m m a T h e o lo g ia e , II-IIae, q. 64, a 7, resp.: «Illicitum est
quod homo intendat occidere hominem ut seipsum defendat»
21 Ibidem, a d q u in tu m : «Ibi [scil. Rom 12, 19] prohibetur defensio quae est cum livore vin-
dictae».
22 S. Ambrogio, D e o ffic iìs, lib. 3, cap. 4, 27 (PL 16, 153): «Non videtur quod vir christia-
nus et iustus et sapiens quaerere sibi vitam a lie n a m o r te debeat».
C apitolo I I I — La legittima difesa 149
CAPITOLO IV
LA PENA DI MORTE
Per secoli si è am m esso che l ’autorità civile potesse punire il reo con
la m orte e anche se dall’Illum inism o in poi le spinte abolizioniste si so
no fatte sem pre più strada nel sentire comune, portando in molti paesi
del m ondo all’abbandono di questa barbara pena, resta largamente dif
fusa - persino tra cristiani - la convinzione che, almeno in linea di prin
cipio, sia legittim o e m oralm ente giustificato, per chi è responsabile del
bene com une ricorrervi in circostanze di particolare gravità.
L a pena di m orte rappresenta una sfida al diritto alla vita proprio di
ogni essere um ano e getta u n ’om bra di sinistra ambiguità sul livello eti
co delle società e delle culture che la praticano e la giustificano. Benché
questo tem a non sia usualm ente compreso nelle trattazioni di bioetica,
credo che non si possa condurre un discorso serio e coerente sulla di
gnità e il valore della vita um ana senza confrontarsi con questa spinosa
questione: qui non si tratta tanto di vedere se possono darsi o non ecce
zioni alla regola del non uccidere, m a di mettere in discussione tutta una
visione d e ll’uom o, della sua dignità del valore della sua vita.
In questo capitolo, perciò, dopo aver esaminato gli elementi dottri
nali tradizionali sulla pena di m orte dal punto di vista sia teologico sia
giuridico, vedrem o i term ini del dibattito attuale e le nuove prospettive
che si stanno aprendo nel sentire ecclesiale.1
1 Fra le numerose monografie e saggi sul tema, segnaliamo: A ubert J. M., Chrétiens et
peine de mort, Paris 1978; B làzquez N., Pena de muerte, Madrid 1994; B ondolfi A.
cur.. Pena e pena di m orte, Bologna 1985 (raccolta di testi). Vedere, inoltre: B ondolfi
A., voce Pena dì morte, in C ompagnoni F., P iana G., P rivitera S. curr., Nuovo Diziona
rio di Teologia M orale, 914-922; C ompagnoni F., La pena di morte nella tradizione della
chiesa cattolica romana, “Concilium” 10 (1978) 65-84; C oncetti G., La pena di morte,
Casale Monferrato (Al) 1993; D anese A., Non uccidere Caino. Scenari e problemi del
la pena di morte, Milano 2002; D i I anni M., La pena di morte, in Russo G. cur., Bioeti
ca Socicde, 86-121; R otter H., voce Todestraffe, in Katholisches Soziallexikon, Innsbruck
1980, 3056-3060.
152 P arte S econda - “Non uccidere
2 Per il mondo classico, si veda uno studio molto ben informato: C antarella E., I s u p p li
z i c a p it a l i in G r e c ia e a R o m a . O r ig in i e f u n z io n i d e lle p e n e d i m o r te n e l l ’a n tic h ità c l a s
s ic a , Milano 19962.
3 Più rara è la sanzione capitale all’interno del gruppo familiare, qual era il p o t e r e d i v ita
e d i m o r te del p a t e r f a m i l i a s sui figli minorenni, testimoniato nella fase arcaica del dirit
to romano. Cfr. P apinianus, C o lla tio 4, 8: “Cum patri lex regia dederit in filium vitae ne-
cisque potestatem...”.
4 Una documentata trattazione sul diritto penale nella Bibbia in: B ovati R, R is ta b ilir e la
g iu s tiz ia . P r o c e d u r e , v o c a b o la r io , o r ie n ta m e n ti, Roma 19972. Sulla funzione pacificatri
ce svolta dalla teologia dell’alleanza, vedere: R émy R, P e in e d e m o r t e t v e n g e a n c e d a n s la
B ib le , “Science ecclésiastiques” 19 (1967) 323-350.
C apitolo IV —La pena di morte 153
Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per
piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.8
La logica retributiva insita nella lex talionis non comportava una ugua
glianza fra il danno provocato e la pena comminata, ma manteneva una
relazione di proporzione, come dimostra la possibilità di pagare un’am
menda per aver provocato accidentalmente un aborto o la perdita del dirit
to di proprietà su uno schiavo come pena per il padrone che gli ha causato
la cecità (Es 21, 25-27). In questa prospettiva retributiva si comprendeva
anche la pena capitale nelle sue diverse forme (lapidazione, impiccagio
ne, rogo ecc.), prevista dalla Legge in risposta a delitti di eccezionale gra
vità, che potevano rendere impuri il popolo e la terra agli occhi di Dio: i
delitti contro la vita, come l’omicidio premeditato e il rapimento per ri
durre in schiavitù (Es 21, 16; Dt 24, 7); i delitti contro la religione come
l’idolatria (Lev 20,1-4; Dt 17,2-5) e la magia (Lev 20, 6-7); i delitti con
tro le regole sessuali, come l’incesto, la sodomia, la bestialità (Lev 18, 6-
16. 22-29); i delitti contro la struttura familiare come l’adulterio (Dt 22,
22-24) e la ribellione ai genitori (Dt 21, 18-21).9
«È ovvio - scrive P. Dovati - che i beni supremi sono protetti da
un’elevata sanzione, anzi da una sanzione estrema. Sappiamo che per la
tradizione biblica la vita umana è considerata fra i primi valori; ne viene
di conseguenza che essa è tutelata dalla minaccia estrema, che è quella
di rispondere alla violenza mortale con una pena corrispondente (e tal
volta maggiorata dalle pene infamanti accessorie). Ecco allora appari
re il limite e l’assurdo dell’intero sistema: per significare l’importanza
assoluta della vita, per affermare la sua insostituibilità si deve ricorrere
alla soppressione della vita».10
mancata riconciliazione fra danneggiato e dannificatore: «Si membrana rapsit, ni cum eo pa
ck, talio esto». Cfr. F estus, vox T a lio n is ; G ellius A., N o c te s A ttie n e , lib. 20, cap. 1,14.
8 Es 21, 23-25. Su questa tema vedere: I sser S., Two T ra d itio n s . T h e L a w o f E x o d u s 2 1 :
2 2 - 2 3 R e v is ite d , “The Catholic Biblical Quarterly” 52 (1990) 30-45; W estbrook R., S tu d
ie s in B i b li c a l a n d C u n e ifo r m L a w , Paris 1988, 39-88; W est S., T h e L e x T a lio n is in th e To
ra h , “Jewish Bible Quarterly” 21 (1993) 183-188.
9 Fermo restando il diritto tradizionale, in fase post-esilica si manifestò una crescente reti
cenza ad applicare la pena capitale che, in ogni caso, non potè più essere applicata da quan
do, nel 30 d. C., i conquistatori Romani tolsero al sinedrio il diritto di esercitare lo j u s g la -
d ii, come viene ricordato in Gv 18, 31.
10 B ovati R, P e n a e p e r d o n o n e lle p r o c e d u r e g iu r id ic h e d e l l ’A n tic o T e s ta m e n to , in A cer
bi A., E usebi L. edd., C o lp a e p e n a ? L a te o l o g i a d ì f r o n te a lla q u e s tio n e c r im in a le , Mi
lano 1998, 46-47.
C apitolo IV - La pena di morte 155
Avete inteso che fu detto: «Occhio per occhio e dente per dente»; ma io vi
dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu
porgigli anche l’altra.112
11 Per una analisi del testo di Rom 13,1-7: S acchi A., Colpa e pena in Rm 13,1-7 nel con
testo del messaggio evangelico, in A cerbi A., E usebi L., Colpa e pena?, 57-95.
12 Mt 5, 38-39 (cfr. Le 6, 29). Cfr. B lank J., “Weißt du, was Versöhnung heißs?", in
B lank J., W eebick J. edd., Sühne und Versöhnung, Düsseldorf 1986, 21-91; R ahner K.,
Colpa - responsabilità-punizione nel pensiero della teologia cattolica, in Id., Nuovi sag
gi, 1, Roma 1968,329-361.
13 Sull’estraneità della logica retributiva dalla fede cristiana è fondamentale il contributo
di: W iesnet E., Die verratene Versöhnung, Düsseldorf 1980 (trad. it. Pena e retribuzione:
la riconciliazione tradita, Milano 1987).
156 P arte S econda - “Non uccidere
Non mi piace il parere sul fatto di uccidere degli uomini perché uno non
sia ucciso da loro, se non talora un soldato o chi vi sia obbligato per dovere
pubblico.16
rum, ut scilicet de ipso ordinetur secundum quod est utile aliis... Et ideo quamvis homi
nem in sua dignitate manentem occidere sit secundum se malum, tamen hominem pec-
catorem occidere potest esse bonum, sicut occidere bestiami peior enim est malus homo
bestia et plus nocet». Cfr. A ristotele, P o litic a , lib. 1, 12 (1253a32); E tic a N ic o m a c h e a
lib. 6, 7 (1150a7).
20 Una critica agli argomenti tomisti in: B l Azquez N., P e n a d e m u e r te , 57-76; B radley
G.V., N o I n te n tio n a l K illin g W h a ts o e v e r : T h e C a s e o f C a p ita l P u n is h m e n t, in G eorge R.P.
ed., N a tu r a l L a w a n d M o r a l I n q u ir y : E th ic s , M e t a p h y s ic s a n d P o litic s in th e W ork o f G e r
m a in G r is e z , Washington 1998, 155-173; G risez G., T o w a r d a C o n s is te n t N a tu r a l L a w
E th ic o f K illin g , “American Journal of Jurisprudence” 15 (1970) 64-96. Una difesa dell’ar
gomentazione tomista, con particolare riguardo alla dignità della persona in: D ewan L.,
T h o m a s A q u in a s , G e r a r d B ra d le y , a n d th e D e a th P e n a lty : S o m e O b s e r v a tio n s , “Gregoria-
num” 82 (2001) 149-165.
21 Bonifacio Vili nella bolla U n a m S a n c ta m (1300) afferma che tale potere è da esercitarsi
«manu regum et militum, sed ad nutum et patientiam sacerdotum» (cfr. DS 873).
22 II principio “Ecclesia non sitit sanguinem” fu formulato in modo esplicito nella L e tte r a
a i B u lg a r i di Niccolò I nell’ 866. Nella lettera si afferma, che la Chiesa invoca per tutti la
vita e vuole liberare tutti dalla morte, innocenti e rei: N iccolò I, E p is to la 97, cap. 25 (PL
119, 989. 991). Suona a questo punto sconcertante ricordare che nello Stato della Città del
Vaticano la pena di morte è rimasta in vigore fino al 1969.
23 Tra le poche eccezioni l’abate Le Noir nella voce sulla pena capitale curata per l’edizio
ne del 1867 del D i c tio n n a ir e d e T h é o lo g ie del Bergier, F. X. Linsenmann nella sua M o r a l-
C apitolo IV - La pena di morte 159
Questa facoltà non potrà darsi mai neppure per l’autorità pubblica. Senza
alcun fondamento questa infatti rivendica il diritto di dare la morte agli inno
centi, mentre lo ha solo nei confronti dei rei.24
(L’uomo) utile o inutile, ei deve vivere, se la sua morte non è necessaria al
l’ordine; deve morire, se la giustizia ne chiede inesorabilmente la morte.25
questo non risponde certo a quella giustizia superiore che si addice alla
morale cristiana. L’esistenza della pena di morte contraddice la funzione
espiativa e medicinale della pena perché esclude alla radice la possibilità
di un futuro recupero del reo, per cui, se si accetta la tesi che la funzione
e motivazione essenziale della pena è quella medicinale, la pena di morte
diviene una pratica contraddittoria e irragionevole. Lo stesso L. Taparel-
h-D ’Azeglio afferma che, dal punto di vista medicinale, la pena di morte
può forse esser utile, mai però essa è davvero necessaria:
Sotto questo aspetto (scil. la emendazione del reo) la morte non è mai
necessaria’, potrà soltanto essere utile, giacché la umana coscienza, vedendo
aprirsi la scena terribile di una vita avvenire e svanire gli incantesimi della pre
sente, si induce di leggeri a distaccare la volontà da quel bene che la induceva
al disordine, e che stà ormai per fuggirle di mano.34
34 T aparelli-D ’A zeglio L., Saggio teoretico di dritto naturale, voi. 1, n. 835 (corsivi del
l’Autore; accento su stà anche nell’originale).
35 Cfr. H ood R., The Death Penalty: A World-wide Perspective, Oxford 1996.
Le conclusioni di questo studio, commissionato dalle Nazioni Unite, sono che non esiste
alcuna prova scientifica del fatto che le esecuzioni abbiano un effetto deterrente maggiore
rispetto all’ergastolo e che è improbabile che mai si possa ottenere questa prova.
36 B ondolfi A., voce Pena di morte, in P rtvitera S., L eone S. curr., Nuovo dizionario
di Bioetica, 852-856.
C a p it o l o IV - La pena di morte 165
38 Alcune reazioni più significative e criticamente fondate in: B làzquez N., La pena di
morte , in S greccia E., L ucas L ucas R. curr., Commento interdisciplinare alla “Evan-
gelium Vitae”, Vaticano 1997, 403-418; C ompagnoni F., La pena di morte nel Catechi
smo della Chiesa Cattolica, “Rivista di Teologia Morale” 25 (1993) 263-267; E usebi E.,
Il nuovo Catechismo e il problema della pena, “Humanitas” 48 (1993) 285-296; F errari
D a P assano P., La pena di morte nel Catechismo della Chiesa Cattolica, “Civiltà Cattoli
ca” 144/4 (1993) 14-26 H endrickx M., Le magistère et la peine de mort. Réflexions sur le
Catechism etEvangelium vitae, “Nouvelle Revue Théologique” 118 (1996) 3-22.
39 II passaggio tra i due argomenti avviene in modo un po’ brusco: il numero 2262 termi
na ricordando l’esempio sublime del Cristo che non volle difendersi dai suoi nemici e in
giunse a Pietro di rimettere la spada nel fodero, mentre il numero 2263 proclama la ragio
nevolezza della legittima difesa.
40 Si osservi che finora l’argomentazione aveva fatto esclusivo riferimento alla difesa le
gittima e doverosa del bene comune e ora invece si dice che «la pena ha come primo sco
po di riparare il disordine».
C a p it o l o IV - La pena dì morte 167
41 Come appare anche dalla conclusione, l’idea di vindicatio così come l’idea di medicina
sono estranee alla linea argomentativa del Catechismo che ritorna soltanto sul tema della
difesa dei cittadini e dello Stato.
42 Cfr. n. 2268 (omicidio eugenetico imposto dai Governi); n.2275 (produzione di embrioni
a scopo sperimentale); n. 2278 (accanimento terapeutico); n. 2296 (trapianto di organi).
168 P arte S econda - “Non uccìdere”
In verità, oggi, a seguito delle possibilità di cui uno Stato dispone per re
primere efficacemente il crimine mettendo in condizione di non nuocere colui
che l ’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimer
si, i casi nei quali sia assolutamente necessario sopprimere il reo «sono ormai
molto rari... se non addirittura praticamente inesistenti».44
pena di morte facendo leva sulla nozione di legittima difesa significa forzare
i limiti di tale nozione; e forzare quei limiti significa accedere a logiche argo
mentative di tipo radicalmente utilitaristico, secondo una prospettiva tanto più
sorprendente se si tiene conto delle dichiarate motivazioni antiutilitaristiche
del retribuzionismo cattolico tradizionale.45
principi della legge naturale - quale il diritto degli Stati a dare la pena di
morte - si rivelano col tempo non perfettamente coerenti con il messag
gio evangelico e vengono perciò abbandonate. «Con il corso della sto
ria e lo sviluppo delle civiltà - ha spiegato la Pontificia Commissione
Biblica - la Chiesa ha pure affinato le proprie posizioni morali riguardo
la pena di morte e la guerra in nome di un culto della vita umana che es
sa nutre senza cessa meditando la Scrittura e che prende sempre più un
colore assoluto. Ciò che sottende queste posizioni apparentemente radi
cali è sempre la stessa nozione antropologica di base: la dignità fonda-
mentale dell’uomo creato a immagine di Dio».51
Ai nostri tempi il rifiuto della pena di morte così come di ogni tipo di
pena che umilia l’uomo o lo tormenta con inutile crudeltà sta facendo
si strada anche in vasti settori dell’opinione pubblica e il numero degli
Stati abolizionisti è in continua crescita.52 Giovanni Paolo II, in Evange-
lium Vitae, annovera tra i segni di speranza per il sorgere di una nuova
civiltà dell’amore e della vita, la crescita fra la gente di una sensibilità
sempre più contraria alla guerra a favore della ricerca di mezzi non vio
lenti di difesa e «la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubbli
ca alla pena di morte anche solo come strumento di “legittima difesa”
sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna
società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre ren
dono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitiva
mente la possibilità di redimersi».53
Conclusione
L’uomo, anche il reo più feroce, non è può mai ridursi a un oggetto,
ma resta sempre persona, così che - come scriveva il Beccaria - «non
vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che, in alcuni eventi,
l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa».54 Questa verità umana
assume contorni più netti e più salda fondazione se proiettata nell’oriz
55 In Gaudium et Spes, n. 27 troviamo una condanna delle violenze sulla persona. Mons.
Chiavacci nota come «l’aggettivo arbitrario appaia soltanto accanto al termine carcera
zione', dal che segue immediatamente che mutilazioni, torture, condizioni infraumane, de
portazioni, non sono mai lecite, anche se non fossero arbitrarie, ma stabilite per legge in
vista del bene comune. Sembra perciò che afortiori anche la pena di morte sia da consi
derarsi violazione dell’integrità della persona e perciò certamente vergognosa e inquinan
te più per chi la commina o la irroga che per chi la subisce» (C hiavacci E., Morale del
la vita fisica, 182).
56 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 9 (la citazione di Ambrogio è tratta
da De Cain et Abel, lib. 2, cap. 10, 38, in CSEL 32, 408).
173
P arte T erza
CAPITOLO I
LA PERSONA
FRA SALUTE E MALATTIA
La malattia rappresenta uno dei vissuti più difficili che un uomo pos
sa sperimentare e crea una situazione relazionale nuova con l’ambiente
circostante e la società, ma ancor più confronta l ’uomo con una dimen
sione oscura della sua esistenza, quella della vulnerabilità, del limite,
del “patire”.
In questo capitolo, dopo aver introdotto le posizioni più diffuse sulla no
zione di salute e di malattia ed avere svolto alcune considerazioni sul rap
porto medico-malato, come relazione tipica dell’esperienza della malattia,
vedremo come la persona possa vivere degnamente la condizione di malat
tia, senza che l’esperienza della debolezza e del bisogno divengano occa
sione di sopraffazione o di abbandono da parte di altri, ma si trasformino,
invece, in una preziosa occasione di solidarietà e di condivisione.
1 Cfr. Bosco M.T. La ferita di Chirone. Itinerari di antropologia ed etica in medicina, Mi
lano 2006; C asalone C., Medicina, macchine e uomini. La malattia al crocevia delle in
terpretazioni, Roma-Brescia 1999; S greccia R, La dinamica esistenziale dell’uomo. Le
zioni di filosofia della salute, Milano 2008.
2 I llich I., Nemesi medica. L ’espropriazione della salute, Milano 1976.
176 P arte T erza - Le sfide della medicina
4 Vedere: H äring B., Liberi e fedeli in Cristo, voi. 3, Roma 1981, 67-77; L archet J., Teolo
gia della malattia, Brescia 1993; P adovese L., La vita umana. Lineamenti di etica cristiana,
Cinisello Balsamo (Mi) 1996, 230-248; S chockenhoff E., Etica della vita, 278-297.
C apitolo I - La persona fra salute e malattia 179
8 Sul tema del patire come rivelazione della forma originariamente “patetica” della co
scienza (da pathos, patimento e passività), si veda una analisi penetrante: C hiodi M., Eti
ca della vita. Le sfide della pratica e le questioni teoriche, Milano 2006, 301-386.
C a p it o l o I - La persona fra salute e malattia 181
se non farà quello che gli viene prescritto. Nel paternalismo fiduciario
è il malato stesso che, per varie ragioni, demanda al medico ogni deci
sione, come nel caso che egli non si senta in grado di comprendere esat
tamente il senso e la rischiosità di alcuni interventi, per cui preferisce
affidarsi alla competenza del medico; talvolta il malato non può dispor
re di sé, come nel caso di bambini molto piccoli, handicappati mentali
gravi, pazienti in coma, né ci sono tutori o familiari che possano indi
rizzare l ’operato del medico, per cui sarà il sanitario a decidere quello
che gli sembra meglio per il suo paziente.
Nel nostro secolo il modello paternalistico è stato duramente avversato
perché non risponde più alla situazione socio-culturale dei paesi occiden
tali: l’enfasi sui diritti umani e soprattutto sui diritti di libertà del singolo,
la crisi dell’autorità e delle istituzioni, la crescita della cultura media della
popolazione, il venir meno del rapporto personale con il medico di fami
glia, sostituito dal medico burocratizzato di un anonimo servizio sanitario
pubblico, sono tutti fattori che spiegano il tramonto della figura tradizio
nale del medico benefico e del malato passivo. In sintonia con l’indivi
dualismo e il soggettivismo che caratterizzano la nostra cultura, si ritiene
più consono alla dignità della persona e più rispettoso dei suoi diritti met
tere l’accento sulla autonomia del paziente rispetto alle convinzioni e alle
decisioni del medico, per cui, escluse le situazioni di emergenza e di inca
pacità, il paziente non può e non deve delegare nessuna decisione ai pro
fessionisti della salute, così da mantenere sempre un pieno controllo sulla
sua vita.9 In questa prospettiva il rapporto medico-paziente assume spes
so l’aspetto di un rapporto contrattuale, nel quale la relazione medico-pa
ziente è ricondotta ad una ordinaria relazione commerciale, regolata per
legge da precise norme di correttezza professionale (perizia, segretezza,
giustizia, verità, fedeltà ai patti). Nel modello autonomista il polo medi
co della beneficenza/ non maldicenza è del tutto riassorbito nel polo del
paziente, al punto che, secondo alcuni, sarebbe del tutto naturale che un
medico aiutasse un paziente che vuole morire offrendogli la possibilità di
un suicidio medicalmente assistito, o che praticasse un aborto su richiesta
di una paziente, senza sottoporre le motivazioni della paziente ad alcuna
verifica o giudizio, secondo una lettura unilaterale dell’antico adagio che
“voluntas aegroti lex suprema”.
Se è vero che il paternalismo, specie nella versione forte, non rispet
ta il diritto dell’adulto ad autodeterminarsi, d ’altra parte l ’autonomia
assoluta deresponsabilizza il medico, spersonalizza il rapporto medi
9 Sul rapporto fra beneficenza e autonomia vedere R eichlin M., Il concetto di “beneficen
ce” nella bioetica contemporanea, “Medicina e Morale” 45 (1995) 33-58.
182 P arte T erza - Le sfide della medicina
I nostri pazienti - ha scritto - non sono tanto preoccupati come quelli an
glosassoni del rispetto per la loro autonomia e della scrupolosa informazione
sulla loro malattia; a loro interessa piuttosto incontrare un medico nel quale
possano aver fiducia.101
10 G racia G uillen D., Orientamenti e tendenze della Bioetica nell’area linguistica spa
gnola, in V iafora C. cur., Vent’anni di bioetica. Idee protagonisti istituzioni, Padova
1990, 290.
11 L ain E ntralgo R, La relaciòn médico-enfermo. Historic y teorìa, Madrid 19832.
12 P ellegrino E., T homasma D.C., For the Patient’s Good. The Restoration o f Benefi
cence in Health Care, New York 1988 (trad. it. Per il bene del paziente. Tradizione e inno
vazione nell’etica medica, Cinisello Balsamo 1992); C assel E .J., S iegler M. eds., Chan
ging Values in Medicine, Frederick 1979.
C a p it o l o I - La persona fra salute e malattia 183
13 P ellegrino E., Agape and Ethics: Some Reflections on Medicai Morals from a Catho-
lic Perspectìve, in P ellegrino E., L angan J., H arvey J.C. eds., Catholic Perspectives in
Medicai Morals, Dordrecht 1989; R eich W., La compassione in un’etica della vita cen
trata sulla famìglia, in S pinsanti S. cur., Nascere, amare, morire. Etica della vita e fam i
glia oggi, Cinisello Balsamo (Mi) 1989,187-206.
14 Si può vedere, a questo proposito, l ’ottimo studio del Comitato Nazionale per la Bioeti
ca, Informazione e consenso all’atto medico, del 20-6-1992, nonché la sintesi nella Carta
degli Operatori Sanitari, nn. 72-73.
184 P arte T erza - Le sfide della medicina
18 B otti C., Verità, dire la, in L ecaldano E. ed., Dizionario di bioetica, Roma-Bari 2002,
321-323; Di P ietro M.L., La comunicazione della verità al paziente: diritti e doveri nel
nursing, “Medicina e Morale” 40 (1990) 1223-1238; F aggioni M.P., Verità al malato, in
C inà G., Locci E., R occhetta C., S andrin L. curr., Dizionario di teologia pastorale sa
nitaria, Torino 1997, 1351-1360; L ega C., Il diritto del malato a conoscere la verità, in
I d ., Manuale di bioetica e deontologia medica, Milano 1991, 447-454; P egoraro R., Co
municazione della verità al paziente. Riflessioni etico-teologiche, “Medicina e Morale” 41
(1991) 956-986; 42 (1992) 425-446.
19 R ahner K., La veracità, in Nuovi Saggi II, Roma 1968, 285-317.
188 P arte T erza - Le sfide della medicina
logica del malato, delle sue concrete capacità di accoglienza, delle sue
possibilità intellettuali e culturali di comprendere le informazioni che
gli diamo. Dobbiamo metterci dalla parte del malato, entrare in sintonia
con lui e cercare capire che cosa in quel momento sia meglio per lui.20
I familiari possono essere di grande aiuto in questo perché essi co
noscono profondamente il loro congiunto e possono valutarne meglio
di noi le capacità di accogliere la verità. Quando però, come spesso ac
cade, ci si accorge che essi trattano il malato come un bambino e che le
loro cautele sono immotivate, ci si deve sentire liberi di comunicare la
verità al malato anche contro il volere dei familiari.
Ogni persona ha diritto alla difesa della propria intimità e alla tute
la del naturale riserbo che circonda le situazioni concrete della sua esi
stenza. Questo diritto fondamentale fondamentale è stato riconosciuto
anche dal Codice di diritto canonico che afferma l ’inviolabilità del di
ritto a difendere la propria intimità (can. 220).
Il segreto naturale impegna ciascuno di noi a non divulgare i fat
ti e le circostanze intime di una persona, soprattutto se lesive della sua
buona fama, e a non intromettersi nella sua sfera privata, per esempio
ascoltando telefonate o aprendo la corrispondenza. A volte il segreto è
addirittura un segreto promesso , quando si promette di non rivelare ciò
che ci è stato confidato o che siamo venuti a sapere su una persona. Nel
caso del segreto commesso, infine, siamo messi a parte di circostanze
intime di una persona a patto di non rivelarle ad alcuno.
Il segreto professionale è un segreto ancora più rigoroso e consiste
nell’impegno di segretezza sulle notizie che sono state conosciute nel
l’esercizio della professione (es. ufficiale giudiziario, avvocato, medi
co, infermiere). La persona, infatti, rivela alcune cose importanti della
sua vita o permette che esse siano portate alla luce alFinterno di un rap
portofiduciario'. c’è il tacito accordo che verrà mantenuto il segreto su
ogni notizia così conosciuta e il segreto è la risposta dell’operatore sa
nitario alla fiducia del paziente.
Nella gran maggioranza degli Stati la legge tutela la privacy del
20 A ncona M., O rbecchi M., T orre E., L ’arte medica tra comunicazione, relazione, tec
nica e organizzazione, Torino 1996; C ampione F., Guida all’assistenza psicologica al ma
lato grave, Patron, Bologna 1986; P etrini M., Accanto al morente. Prospettive etiche e
pastorali, Vita e Pensiero, Milano 1990; T h e l e - rolando R., Psìconcologìa. Nuove ten
denze nell’assistenza al malato di cancro, Il Mulino, Bologna 1989.
C apitolo I - La persona fra salute e malattia 189
21 Per un primo orientamento: B ompiani A., Brevi riflessioni sugli aspetti etici dell’econo
mìa sanitaria, “Credere oggi” 17 (1997) 4, 80-91; I andolo C., H anau C., Etica ed eco
nomia nella “azienda” sanità, Milano 19942; L eone S., Un’etica per l ’azienda sanita
ria, Roma 1997; S greccia E., Manuale dì bioetica, voi IL Aspetti medico-sociali, Milano
2002, 559-606; S pagnolo A.G., S acchini D., P essina A., L enoci M., Etica e giustizia in
sanità. Questioni generali, aspetti metodologici e organizzativi, Milano 2004.
190 P arte T erza - L e s f id e d e ll a m e d ic in a
22 Vedere: Di P ietro M.L., P ennacchini M., C asini M., Evoluzione storica dell’istituto
dell’obiezione dì coscienza in Italia, “Medicina e Morale” 51 (2001) 1093-1151.
C apitolo I - La persona fra salute e malattia 191
Conclusione
23 In Italia legge n. 146/1990 Norme sull’esercìzio del diritto di sciopero nei servizi pub
blici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Si
veda: I andolo C., H anau C., Etica ed economìa nella “azienda” sanità, 253-257.
24 Carta degli Operatori Sanitari, n. 53.
193
CAPITOLO II
LA MEDICINA
DEI TRAPIANTI
1Si distinguono il trapianto vero e proprio dalVinnesto: nel primo, il tessuto o l’organo
viene vascolarizzato e diviene parte integrante dell’organismo; nel secondo, il tessuto non
viene vascolarizzato (es. la cornea) e talora funziona solo come protesi, e può anche esser
sostituito da parti artificiali di metallo o plastica.
194 P arte T erza - Le sfide della medicina
2 Con gli opportuni accorgimenti i tempi di resistenza all’ischemia fredda sono di circa 48
ore per il rene, di 24 ore per il fegato, di 12 ore per il pancreas.
C a p it o l o II - La medicina dei trapianti 195
Tale estensione del principio di totalità non può tuttavia essere accet
tata e difatti fu esplicitamente respinta da papa Pio XII.6Mentre, infatti,
un singolo organo non ha un senso e una destinazione se non in funzio
ne dell’organismo di cui è parte, un uomo ha un senso e una vocazione
personale indipendentemente della comunità cui appartiene, anche se la
sua autorealizzazione non può prescindere dalla rete di relazioni entro
le quali ogni persona si trova ad esistere. La risposta alla questione dei
trapianti non può dunque trovarsi in una rischiosa subordinazione del
bene del singolo al bene comune, ma piuttosto nella considerazione del
vincolo di solidarietà che intercorre fra i membri della famiglia umana
e, in prospettiva cristiana, in considerazione della carità che ci orienta
ad amare il prossimo come noi stessi.7
I trapianti sono dunque «legittimati dal principio di solidarietà che
unisce gli esseri umani e dalla carità che dispone al dono verso i fratelli
sofferenti»8 e può essere giusto esporsi a rischi anche mortali per il bene
del prossimo, così può essere giusto rinunciare all’integrità del proprio
organismo per aiutare il prossimo in una grave necessità. Rispettate al
cune condizioni - che esamineremo più avanti in dettaglio - la donazio
ne non solo è ammissibile, ma deve essere ritenuta atto meritorio.
L’integrità fisica, pur essendo un bene prezioso, non è il bene più
alto per la persona che - come insegna il Vangelo - si realizza pie
namente solo nel dono di sé e nell’amore all’altro. «La rinuncia a un
organo o a una funzione non essenziale alla sopravvivenza fisica e al
l’integrità psichica - scrive Chiavacci - non mi impedisce di continua
re a vivere la mia vita di dono, ma diventa conferma e testimonianza
di tale scelta radicale. L’uomo non può disporre ad arbitrio del proprio
corpo, ma deve disporne con sapienza e prudenza, ricercando la volon
tà di Dio che ha creato lui e il suo corpo per amore... L’integrità fisica è
subordinata non solo al bene dell’organismo nel suo complesso, ma al
bene spirituale, alla vera realizzazione nella libertà e nella carità, della
persona: questa piena realizzazione o perfezionamento spirituale può
talora passare proprio per una libera mutilazione non solo per la tute
to al donatore sia ben tollerato e gli garantisca nel tempo una qualità di
vita adeguata.
In base al criterio di non lesività (da riportare in sostanza al principio
bioetico di non maleficenza), di regola non sono eticamente praticabili
i prelievi che compromettono la sopravvivenza del donatore, mentre lo
sono quelli di organi non vitali (non necessari alla sopravvivenza) o di
organi pari (essendo la funzione assicurata dall’altro organo superstite).
In particolare «è moralmente inammissibile provocare direttamente la
mutilazione invalidante o la morte di un essere umano, sia pure per ri
tardare il decesso di altre persone».11
Correlato con il criterio della non lesività c ’è quello della proporzio
nalità’. al danno provocato nel donatore dal prelievo deve corrispondere
un miglioramento proporzionato della qualità di vita del ricevente. Non
ha quindi senso privare di un rene un soggetto per effettuare un trapian
to con scarsissime probabilità di successo o prelevare un rene da un sog
getto sano per trapiantarlo in un anziano cardiopatico.
b. Libertà e gratuità
Il gesto della donazione deve scaturire da libera scelta e da solidarie
tà, escludendo ogni costrizione così che la lesione della propria integri
tà fisica sia deliberata con piena libertà e per vera carità e sia un gesto
davvero libero e consapevole.
Ferma restando l’esclusione di qualsiasi coazione esterna, compresa
quella da parte dello Stato, si può discutere se possa mai esistere un qual
che grado di obbligatorietà morale: si tratterebbe, in ogni caso, di un ob
bligo che sorge dalla carità e che, quindi, va inteso nella prospettiva di
quella responsabilità verso la vita nostra e altrui che sostanzia la bioetica
di ispirazione cristiana. Non si può obbligare positivamente una persona
a ledere la propria integrità fisica per il beneficio di un’altra, ma credia
mo che non offrire cellule o tessuti (es. sangue) quando ciò può essere
fatto senza danno per la salute (“sine gravi incommodo” direbbero i M o
ralisti classici) potrebbe configurare un’omissione.
Per lo stesso motivo, deve essere evitata qualsiasi forma di specula
zione. Opportunamente, perciò, la legge italiana vigente (legge 26 giu
gno 1967 n. 458, art. 1) prescrive che si possa cedere un rene, ma solo a
titolo gratuito e che i donatori possono essere in primo luogo i genitori,
20 L’importanza della volontà dei parenti è sottolineata in un passo del citato discorso di
Pio XII, Ai Delegati, 460: «In generale non dovrebbe esser permesso... senza un accordo
di coloro che ne sono depositari [scil. del cadavere] e fors’anche in contrasto con le obie
zioni anticipatamente formulate dall’interessato». Notare tuttavia la forma vaga dell’affer
mazione “non senza un accordo” e la limitazione “in generale”, che non vogliono stabilire
un diritto assoluto, ma più probabilmente una opportuna armonia di volontà.
21 Cfr. C oncetti G., I trapianti di organi umani. Esigenze morali, Casale Monferrato (Al)
1996, 54; T ettamanzi D., Bioetica. Difendere le frontiere della vita, Casale Monferra
to (Al) 19963, 338.
204 P arte T erza - Le sfide della medicina
Non tutti gli organi sono donabili dal punto di vista etico ed in par
ticolare non lo sono quegli organi, come il cervello e le gonadi, in cui
prende corpo l’unicità irripetibile della persona e la sua identità psico
fisica e procreativa.23
Nel trapianto di encefalo in parte o in toto - un tempo pura ipotesi ed
ora già in fase sperimentale sui primati e presto sugli umani - si avrebbe
il trasferimento nel ricevente della identità psichica del donatore, essen
do il cervello la sede della memoria, dell’autocoscienza, dell’intelletto,
della volizione e questo con grave turbamento dell’identità psichica del
ricevente.24 Si può ipotizzare, per esempio, che un padre di famiglia con
il corpo orrendamente maciullato in un incidente stradale, possa riceve
re il corpo ancora funzionale di un defunto per continuare una esistenza
normale: non è ovviamente il corpo defunto che riceve un nuovo ence
falo, ma è il soggetto maciullato, in pratica ridotto all’encefalo, a rice
vere un corpo di ricambio: è un trapianto di corpo. Dal momento però
che ciascuno di noi prende coscienza di sé, degli altri, del mondo in un
corpo ed attraverso un corpo ben preciso, è difficile stabilire gli effetti
di questo intervento - per ora solo immaginario - sulla personalità del
ricevente, ma sarebbero con ogni probabilità devastanti.
22 Sul problema della commercializzazione degli organi umani, vedere: S apienza R., La
legislazione intemazionale, “Bioetica e Cultura” 5 (1996) 61-67.
23 Cfr. Carta degli Operatori Sanitari, n. 88.
24 W hite R.J. et al ., The isolation and transplantation o f the brain. An historical per
spective emphasizing the surgical solutions to the design o f these classical models, “Neu
rological Research” 18 (1996) 194-203; cfr. S pagnolo A.G., Realtà e fantascienza nel
trapianto tronco/cervello, “Medicina e Morale”47 (1997) 195-197.
C a p it o l o II - La medicina dei trapianti 205
in R e ic h W.T. ed., E n c y c lo p e d ia o f B io e th ic s ,
R e p r o d u c tiv e T e c h n o lo g ie s: E th ic a l I s s u e s ,
voi. 4, New York, 19952, 2238.
29 Cfr. P o n t ific ia A c a d e m ia P ro V it a , L a p r o s p e t t iv a d e g li x e n o tr a p ia n ti, Città del Vati
cano 2001. Abbiamo approfondito il tema in F a g g io n i M .P ., I p r o b le m i e tic i d e g li x e n o t r a
p i a n t i, “Studia Moralia” 41 (2003) 243-275.
30 II problema di trapianti di gonadi con mantenimento della funzione gametogenetica e
quindi con possibile fecondità fra specie diverse non si pone per l’insormontabile barriera
biologica. Se questo potesse darsi, farlo sarebbe un’aberrazione.
31 Questo non vale per trasferimento di singoli gruppi di neuroni o di tessuti neuronali de
putati a svolgere funzioni analoghe sia nell’uomo sia nell’animale (es. sarebbe lecito sosti
C a p it o l o II - La medicina dei trapianti 207
Conclusione
tuire i neuroni malati del lo c u s c o e r u le u s nel caso di morbo di Parkinson con neuroni sani
di provenienza animale).
32 G iovanni P aolo II, A i P a r te c ip a n ti a l P r im o C o n g r e s s o I n te m a z i o n a l e s u i T ra p ia n ti d i
O r g a n i, 20-6-1991, in I n s e g n a m e n ti 14/1, Città del Vaticano 1993, 1711.
209
CAPITOLO III
1 Si pensi alle pagine suggestive dedicate da Sartre al tema della morte come fatto che vie
ne suH’uomo dall’esterno, trasformandolo in esteriorità, nullificandone per sempre le pos
sibilità, inteirompendone radicalmente 1’esistenza che si progetta come libertà: S artre J.-
P., L ’ètre et le néant, Paris 1943, 617-632.
210 P arte T erza - Le sfide della medicina
2 E picuro, Lettera a Meneceo, 125, in ID., Lettere sulla fisica, sul cielo e sulla felicità,
Milano 1994, 145.
3 Nel contesto di una critica penetrante al tema della morte umana, Karl Rahner afferma
che la continua riproposizione dell’idea di morte come separazione di corpo e anima fa
sì che «noi la dobbiamo considerare come la classica descrizione teologica della morte»:
Rahner K., Sulla teologia della morte, Brescia 1966, 18.
4 G iovanni P aolo II, Ai Partecipanti al Convegno della Pontifìcia Accademia delle Scien
ze sulla “Determinazione del momento della morte’’, 14-12-1989, in Insegnamenti, Città
del Vaticano, 1991, voi. 12/2, 1527.
C a p it o l o III - L ’accertamento della morte 211
Esiste una sola “morte della persona”, consistente nella totale dis-integra-
zione di quel com plesso unitario ed integrato che la persona in se stessa è, co
me conseguenza della separazione del principio vitale, o anima, della persona
dalla sua corporeità. La morte della persona, intesa in questo senso radicale,
è un evento che non può essere direttamente individuato da nessuna tecnica
scientifica o metodica empirica.5
Nel corso della storia sono stati individuati diversi criteri per accerta
re che la morte era sopraggiunta a porre fine ad una esistenza umana.7
Per gli Antichi l’elemento essenziale della vita fisica era il respi
ro, per cui la morte dell’organismo veniva identificata con il venir me
5 G iovanni P aolo II, Ai Partecipanti al XVIII Congresso Internazionale sui trapianti, 29-
8-2000, n. 4, in Insegnamenti, Città del Vaticano 2002, voi. 23/2, 282 (trad. it. “Osservato
re Romano”, 30-8-2000, 5).
6 Ibidem, 282-283.
7 Ricostruzioni storiche dell’evoluzione del pensiero in questo ambito: B arker R.P., H ar -
greavas V, Organ Donation and Transplantation: A Brief History o f Technological and
Ethical Developments , in S helton W., B alint J. eds, The Ethics o f Organ Transplanta
tion , Oxford 2001, 1-42; B elkin G .S ., Brain Death and thè Historical Understanding o f
Bioethics, “Journal of History of Medicine”, 58 (2003) 325-361; D efanti A. C., Vivo o
morto? La storia della morte nella medicina moderna, Milano 1999.
212 P arte T erza - Le sfide della medicina
13 II ruolo dell’encefalo nel mantenere la vita animale, già intravisto da Alcmeone di Cro
tone (VI sec.a. C.) e da Aristotele (384-322 a. C.) nell’Antichità, e da Francesco Bacone
(1561-1626) nel Rinascimento, fu chiaramente affermato da S. Bichat (1771-1802) che
parlò di un trìpode vitale, rappresentato da cervello, cuore e polmoni, organi reciproca
mente indispensabili.
216 P arte T erza - Le sfide della medicina
N oi non sappiamo con certezza dove sia linea che separa la vita dalla mor
te, e una definizione non può sostituire la conoscenza.17
16 Ricordiamo che si stanno sviluppando tecniche per prelevare organi (per adesso reni) an
che in soggetti morti per arresto dell’azione cardiaca. Questo permetterà di avere più or
gani a disposizione, oltre che superare ostacoli di natura teorica e talora pratica frapposti
al criterio neurologico.
17 Jonas H., C o n tr o c o r r e n te . O s s e r v a z io n i s u lla d e fin iz io n e r id e fin iz io n e d e lla m o r t e , in
I d ., D a l l a f e d e a n tic a a l l ’u o m o te c n o l o g i c o , Milano 1991, 209-220 (citazione p. 217).
218 P arte T erza - Le sfide della medicina
21 S anchez S orondo M. cur., The signs o f death, Città del Vaticano 2007.
22 Pio XII, Problemi religiosi e morali della rianimazione, 24 -11-1957, AAS 49 (1957) 1033.
23 Ibidem.
220 P arte T erza - Le sfide della medicina
33 Dopo una così chiara presa di posizione del Magistero, ancorché si tratti di un Magiste
ro ordinario e, quindi, riformabile, ha suscitato sconcerto tra i fedeli e, soprattutto, fra gli
operatori sanitari, il fondo pubblicato dall ’O s s e r v a to r e R o m a n o a firma di Lucietta Sca-
raffia nel quale si metteva in dubbio la fondatezza scientifica dell’idea di morte cerebrale:
S caraffia L., I s e g n i d e ll a m o r te . A q u a r a n t a n n i d a l r a p p o r to d i H a r v a r d , “L’Osserva
tore Romano” 6-9-2008, 1. La Sala Stampa Vaticana, prendendo le distanze dall’articolo
della Scaraffia, ha affermato che nulla è cambiato nella posizione della Chiesa sui trapianti
di organo. Non sfugge che negare un sostanziale consenso degli scienziati su questo pun
to renderebbe illecito il ricorso ai criteri neurologici di morte perché verrebbe meno la ne
cessaria certezza morale richiesta dal Santo Padre.
34 Perciò noi preferiamo non parlare semplicemente di morte cerebrale (b r a in d e a th ), ma
di morte encefalica o di morte cerebrale totale (t o ta l b r a in d e a th ) con preciso riferimento
a tutte le strutture encefaliche e non al solo cervello.
224 P arte T erza - Le sfide della medicina
35 In questo senso, con motivazioni diverse: G reen B.M., W ikler D., Brain death and
personal identity, “Philosophy and Public Affairs”, 9 (1980) 105-133; L amb D., Il confine
della vita. Morte cerebrale ed etica dei trapianti, Bologna 1987; M cmahan J., The Ethi-
cs ofKilling. Problems at thè Margins ofLife, Oxford 2002; V eatch R., Death, Dying and
Biological Revolution, New Haven 1989.
36 Sullo stato vegetativo (SV) e in particolare sul caso clamoroso di Nancy Crazan, che di
vise l’opinione pubblica USA alla fine degli anni ’80: C attorini P., Dieci tesi sullo stato
vegetativo persistente, “Medicina e Morale” 44 (1994) 927-954; F aggioni M. R, Stato ve
getativo persistente. Prima parte, “Studia Moralia” 36 (1998) 523-552; I d ., Stato vegeta
tivo persistente. Seconda parte, “Studia Moralia” 37 (1999) 371-411; P uca A., Il caso di
Nancy Beth Cruzan, “Medicina e Morale” 42 (1992) 911-931.
37 R. V eatch per esem p io, identificando la morte cerebrale con la morte corticale, propone di
ridefinire la m orte cerebrale c o sì da potervi includere anche lo S V e l ’anencefalia: V eatch
C a p it o l o III - L ’accertamento della morte 225
Conclusione
Ai limiti estremi della vita, nell’alba incerta del suo sorgere così co
me nell’incerto declinare del suo tramonto, si rivela in modo radicale la
nostra autocomprensione. Spostare la criteriologia che demarca i limi
ti della vita e della morte presuppone un cambiamento delie coordinate
di riferimento entro le quali comprendiamo l ’uomo, perché ogni crite
rio di vita e di morte è un riflesso di ciò che noi riteniamo essenziale nel
riconoscere una vita davvero umana. La posizione che esige la perdi
ta irreversibile di tutte le strutture encefaliche sembra più persuasiva e
si armonizza con una visione globale dell’uomo come unità psicofisica,
nella quale le funzioni fisiche e mentali sono espressioni distinte, ma in
terdipendenti della persona.
R., S picer C.M., Medically futile care. The role o f the physician in setting limits, “American
Journal of Law Medicine” 18 (1992) 15-36. Cfr. F aggioni M., Il feto anencefalico, “Medi
cina e Morale” 46 (1996) 447-467 (sulla questione morte/vita cerebrale, 455-458).
227
CAPITOLO IV
LE BIOTECNOLOGIE GENETICHE
1Per una informazione aggiornata sulla genetica e le biotecnologie: B urkley J., H arris
J., A companion to genetics, Oxford 2002.
228 P arte T erza - Le sfide della medicina
2 P almiter R.D., B rinster R.L., H ammer R.E. E t A l ., Dramatic growth ofm ice that de-
velop from eggs microinjected with metallothionein-growth homione jusion genes, “Na
ture” 300(1982)611-615.
C a p it o l o IV - Le biotecnologie genetiche 229
in via di sviluppo e insistono sul fatto che esse permetteranno alle gene
razioni future di raggiungere la agognata sicurezza alimentare.
Si scontrano, però, con questa visione ottimistica anche aspetti con
traddittori e discussi. Gli alti costi delle ricerche in questo campo fan
no sì che non sia possibile mettere a disposizione del pubblico i frutti
delle biotecnologie senza tener conto del giusto ritorno, in termini di
profitto, per le multinazionali che hanno investito in esse, ma ciò rende
difficile usufruirne proprio a quei paesi poveri che più ne avrebbero bi
sogno. Il lato più paradossale del problema è che i paesi che ospitano i
serbatoi genetici più ricchi, come il Brasile, non ricaverebbero vantag
gi effettivi dallo sfruttamento delle loro risorse genetiche fatto dai pae
si in possesso delle conoscenze e delle tecnologie necessarie. Spinose e
controverse sono poi la questione della brevettabilità dei viventi e quel
la dello sfruttamento commerciale dei brevetti stessi con particolare ri
guardo alla possibilità che i contadini usufruiscano più volte, in diversi
cicli produttivi, delle sementi di piante transgeniche acquistate dalle
multinazionali.4
Si tratta di problemi enormi che devono portarci ad un ripensamento
della nozione stessa di giustizia e di solidarietà. In una visione non an
gusta, ma vasta e mondializzata dell’economia, i beni della terra devo
no essere considerati originariamente come beni al servizio di tutti. La
stessa proprietà privata, contrariamente alle tesi proprie del liberismo
classico, non è un diritto assoluto, ma ha per sua natura una funzione
sociale, che si fonda appunto sul principio delV universale destinazione
dei beni della terra.
N ell’ottica della giustizia e della solidarietà, lo scopo del lavoro
umano è quello di persuadere la terra a sfamare l’uomo e trasformare la
terra in pane sulla mensa dei poveri. A questa destinazione solidaristi
ca devono essere orientate anche le biotecnologie, come è stato chiara
mente stabilito nella Convenzione sulla diversità biologica ratificata da
30 nazioni al Vertice della Terra tenuto a Rio nel 1992. Nella Conven
zione si stabilisce, fra l’altro, di favorire l ’accesso dei paesi poveri al
le biotecnologie, soprattutto a quelle che sfruttano le risorse biologiche
di cui essi dispongono, e di fornire loro l’assistenza tecnica e scientifi
ca per sviluppare istituzioni e conoscenze nell’uso della diversità biolo
gica e nella ricerca biotecnologica.
° Sul rapporto uomo-animale: B ondolfi A., Rapporti uomo-animale. Storia del pensiero
filosofico e teologico, in “Rivista di Teologia Morale” 21 (1989) 57-77; 107-123; C asti-
gnone S., L anata G. curr., Filosofi e animali nel mondo antico, Pisa 1994.
9 Sul meccanicismo cartesiano: B onicalzi E, Il costruttore di automi. Descartes e le ra
gioni dell’anima, Milano 1987. La tesi che Cartesio abbia sostenuto in modo così sem
plicistico l’insensibilità animale non è pacifica: C ottingham, A Brute to the Brutes? De
scartes and the treatment o f animals, “Philosophy” 53 (1978) 551-558.
10 Per una presentazione della questione animale: B attaglia L., Etica e diritti degli anima
li, Roma-Bari 1997. Vedere inoltre: C astignone S. cur., I diritti degli animali. Prospettive
bioetiche e giuridiche, Bologna 19882; R achels J., Created from Animals. The Moral Impli
cation o f Darwinism, Oxford-New York 1990 (Creati dagli animali. Implicazioni morali del
darwinismo, Milano 1996); R egan T., P. S inger eds., Animal Rights and Human Obliga
tions, Englewood Cliffs 1976 (trad, it., Diritti animali, obblighi umani, Torino 1987); S alt
H., Animals’Rights Considered in Relation to Social Progress, London 1980; S inger P. ed.,
In Defence o f Animals, Oxford 1985 (trad. it. In difesa degli animali, Roma 1987).
C a p it o l o IV - Le biotecnologìe genetiche 235
Lungo tutta la sua storia, l’umanità si era sempre posta nei confron
ti del pianeta in un atteggiamento più o meno selvaggiamente predato
rio, ma, mentre qualunque danno ambientale del passato colpiva solo
un ’area relativamente piccola, oggi l ’uomo è in grado di disturbare il
sistema ecologico globale e causare danni irreparabili. L’invasione del
pianeta da parte dell’uomo, armato di mezzi sempre più potenti e di
struttivi, ha seminato desolazione, portando morte dove la vita fioriva
rigogliosa e indisturbata. La consapevolezza dell’enorme potere di in
tervento sulla natura offerto dalle biotecnologie si inserisce in questa si
tuazione di profonda crisi e contribuisce senza dubbio a rendere urgente
il ripensamento del rapporto uomo e mondo naturale. È forse esagerato
propugnare, come fanno certuni, che il biocentrismo o V ecocentrismo
sostituiscano Vantropocentrismo classico, dal momento che il nostro
modo di conoscere e interpretare i dati naturali è pur sempre condizio
nato dal nostro essere uomini e quindi dal nostro punto di vista umano.
Non si esce dalla propria ombra! M a è certo che il modello cosmoan
tropologico di riferimento che ha accompagnato l’uomo fino ad ora ha
bisogno di una seria revisione per essere idoneo ad affrontare le sfide
che ci attendono.
L’uomo moderno, dichiarato da Cartesio «padrone e signore della
natura»,1415si era incamminato sicuro sui sentieri della Terra con l’ambi
zioso progetto di sottometterla al suo benessere. Profeta di questa av
ventura esaltante era stato Francesco Bacone (1561-1626) che aveva
vagheggiato l ’avvento della signoria dell’uomo sul mondo, il Regnum
hominis, attraverso la tecnica e aveva concepito il rapporto dell’uomo
con la natura come una lotta tesa a sottomettere le forze della natura al
servizio del benessere umano, attraverso la costrizione della scienza e
delia tecnica.13 Nei secolo XIX, A. Comte (1798-1857) e i Positivisti
canteranno il trionfo umano ottenuto attraverso la scienza e la tecnica
e oggi, dopo il salto di qualità compiuto dalle scienze nel XX secolo,
l’umanità sta prendendo piena coscienza delle dimensioni del suo pote
re sul mondo. Lo sviluppo delle biotecnologie è un momento altamente
significativo di questa marcia inarrestabile e la conferma di una consa
pevolezza che, diversamente declinata, pervade la letteratura bioetica,
sia laica sia teologica.
16 Cfr. M ori M ., Il filosofo e l ’etica della vita, in Di M eo A., M ancina C. cuit., Bioetica,
Roma-Bari 1989, 94-100.
17 II tema è stato già introdotto nella Bioetica Generale.
238 P arte T erza - Le sfide della medicina
18 Studi e articoli in questo campo sono innumerevoli. Per un primo orientamento: C olon
nello P., G allinaro R., G rjstiniani P. curr., L ’albero della vita. Biotecnologie tra fede
e scienza, Napoli 2002; Di P ietro M.L., S greccia E. curr., Biotecnologie e futuro dell’uo
mo, Milano 2003; S tella M odaffari M.G., Ingegnerìa genetica, Messina 2002; V icini
A., Genetica umana e bene comune, Cinisello Balsamo (Mi) 2008.
19Per approfondire gli aspetti etici del Progetto genoma : B rovedani E., Progetto geno
ma. Aspetti tecnico-scientifici, prospettive e implicazioni etiche, “Aggiornamenti sociali”
C a p it o l o IV - Le biotecnologie genetiche 239
40 (1989) 487-507; T rentin G., Progetto Genoma. Questioni etiche della conoscenza e
manipolazione del patrimonio genetico, “Credere oggi” 17 (1997) 4, 37-54; W ilkie T., La
sfida della conoscenza. Il progetto genoma e le sue implicazioni, Milano 1995; Zucco F.,
Responsabilità etica e ricerca scientifica: il caso della mappatura del genoma, in Di M eo
A., M ancina C. curr., Bioetica, 217-230.
20 P ai A7.7.ANT L. cur., Nuove biotecnologie, biodiritto e trasformazioni della soggettivi
tà, Roma 2007.
21 U nesco , Dichiarazione universale su genoma umano e diritti dell’uomo, 12-11-1997,
in “Regno-documenti” 1998, 305-308. Il documento viene analizzato e le sue tematiche
approfondite in: T uroldo F. cur., La globalizzazione della bioetica, Padova 2007.
22 C avalli-S forza L.L., Il caso e la necessità. Ragioni e limiti della diversità genetica,
Roma 2007.
240 P arte T erza - Le sfide della medicina
23 Uno status quaestionis sul problema dei brevetti: M ele V., Bioetica dell’ambiente, “Me
dicina e Morale” 58 (2008) 695-702.
24 B resciani C. cur., Genetica e medicina predittiva: verso un nuovo modello dì medici
na?, Milano 2000; C onti A., D elbon P., P aternoster M., R icci G., I test genetici. Eti
ca, deontologia e responsabilità professionale, Milano 2007; P ascali L.V., D ’A loja E.,
Il progetto genoma e le conoscenze sui geni normali e patologici dell’uomo. Problemi eti
ci e deontologici, “Medicina e Morale” 42 (1992) 219-323.
C a p it o l o IV - Le biotecnologie genetiche 241
Una delle sfide più grandi che l’artificiale lancia oggi all’etica è co
stituita dalla possibilità di manipolare il patrimonio genetico umano, il
datum originario della persona.
Sono certamente offensivi della dignità della persona e perciò pro
scritti, tutti gli interventi alterativi che, intervenendo sul genoma, mi
rassero a privare l’uomo di alcune sue qualità tipiche per creare stirpi
sub-umane da indirizzare a lavori pericolosi o noiosi, così come gli in
terventi che, appiattendo su uno standard prefissato la naturale varia
bilità genetica, mortificassero la singolarità personale nella ripetitività
della produzione seriale.28
Più articolato deve farsi il nostro discorso in tema di interventi con
scopi migliorativi, nei quali il confine fra l’alterazione illecita e la tera-
peuticità doverosa talvolta non è netto. Il bioetico spagnolo M. Cuyas
distingue, a seconda degli scopi perseguiti, quattro tipi di interventi mi
gliorativi: rimuovere una deficienza non patologica, determinare un po
tenziamento del soggetto, migliorare la progenie, attribuire prerogative
aliene alla specie umana.29
Il primo caso è al limite fra la terapia e il miglioramento: se, per
esempio, si prevede che un bambino potrà raggiungere una statura defi
nitiva ai limiti inferiori della normalità, fonte di frustrazione e forse di
difficoltà di inserimento, può essere giustificata una manipolazione ge
netica che consenta al bambino di raggiungere una statura maggiore. È
facile tuttavia pensare che la pressione sociale, i modelli diffusi dai me
dia, la proiezione delle proprie frustrazioni sui figli possono portare a
cancellare una peculiarità che, pur non rispondendo al sistema delle at
tese sociali, non è patologica, ma esprime la peculiarità della persona.
Si noti poi che, nel caso di terapie prenatali o di minorenni, non ci sa
rebbe possibilità di consenso.
Analogo discorso nel caso del potenziamento, intervento praticato per
portare alcune caratteristiche della persona ai livelli superiori la norma
lità: si potrebbe trattare di caratteri fisici, come la forza muscolare o la
resistenza alla fatica, o di prestazioni intellettuali nelle quali si può ipo
tizzare una base organica geneticamente condizionata. Rispetto al ricor
so a droghe e farmaci, come anabolizzanti o anfetaminici, già gravato di
pesanti ipoteche mediche ed etiche, l’ingegneria genetica produrrà risul
tati virtualmente permanenti, ma soprattutto agirà a livello delle basi bio
logiche della persona con imprevedibili riflessi sulla identità personale: la
creazione di soggetti superabilitati e superspecializzati in un singolo set
tore di attività potrebbe infatti arrivare a snaturare l’identità e individua
lità della persona.
Afortiori questo vale per l’ingegneria genetica posta al servizio del-
30 G iovanni P aolo II, Discorso alla Associazione Medica Mondiale, 29-10-1993, AAS
76 (1984) 389-395 (p. 394). Il discorso, incentrato sul tema delle manipolazioni genetiche,
andrebbe letto per intero.
31 H arris J., Wonderwoman e Superman Manipolazione genetica e futuro dell’uomo, Mi
lano 1997, 38.
244 P arte T erza - Le sfide della medicina
Conclusione
34 E ngelhardt H.T. jr., Manuale di bioetica, 429. Si veda, per confronto: C omm . T eolo
gica I nternazionale , Comunione e sei-vizio: la persona umana creata ad immagine di
Dio, Città del Vaticano 2002.
246 P arte T erza - Le sfide della medicina
35 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 52. Si vedano le stimolanti rifles
sioni di C ompagnoni F., Validità e attualità del concetto di natura umana nella questio
ne dell’ingegneria genetica, in L orenzetti L. cur., Teologia e bioetica laica, 41-53; F or
teB., Considerazioni teologiche intorno a ll’ingegneria genetica, “Medicina e Morale” 42
(1992) 1069-1070.
247
P arte q uarta
CAPITOLO I
La nostra vita non è iniziata col parto, ma circa 280 giorni prima,
quando si è formata la prima cellula di quell’unità vivente che siamo
noi. Dal punto di vista biologico, il nuovo organismo inizia con la fusio
ne di due cellule specializzate dette gameti, provenienti Luna dal padre
(gamete maschile o spermatozoo) e l’altra dalla madre (gamete femmi
nile o ovocita). Durante la vita prenatale, che viene trascorsa nell’utero
materno, il nuovo essere si trasforma progressivamente da una creatura
microscopica formata da una sola cellula, in un neonato più o meno di
3 kg di peso, costituito da circa tremila miliardi di cellule altamente dif
ferenziate e organizzate.
In questo capitolo studieremo prima di tutto le fasi della fecondazio
ne, un processo complesso riconducibile a tre momenti: produzione dei
gameti o gametogenesi, immissione del seme nelle vie genitali femmi
nili, fusione dei due gameti o fertilizzazione. Vedremo quindi le tappe
principali del lungo e affascinante itinerario dell 'embriogenesi che, in
un succedersi ordinato di eventi accrescitivi e differenziativi, conduce
dallo zigote al feto maturo.1
l’ovulazione quel che resta del follicolo si trasforma in corpo luteo che
immette in circolo crescenti quantità di progesterone. Questo ormone
provoca un aumento del numero e delle dimensioni delle ghiandole del
l’endometrio, una imbibizione acquosa del connettivo tra le ghiandole
e un aumento della vascolarizzazione: tutto ciò allo scopo di preparare
l’endometrio a ricevere, in caso di concepimento, l’embrione. Se invece
la fecondazione non si verifica, il corpo luteo riduce progressivamente
la sua attività funzionale e la produzione di progesterone cala per cui il
flusso di sangue all’endometrio si riduce e la mucosa, sfaldata e in di-
sfacimento, viene eliminata attraverso il flusso mestruale.
1.3 La fecondazione
4 B ellieni C.V., L ’alba dell’ “io ’’. Dolori, desideri, sogni e memoria del feto, Firenze
2004.
C a p it o l o I - Fisiologia della fecondazione ed embriogenesi 259
mostrazione visiva delle reazioni del feto agli atti abortivi: egli arretrava
nel momento in cui percepiva il contatto con la pinza ad anelli e con
l’aspiratore del medico che espletava l’aborto. La polemica su questo
punto è tuttora molto accesa perché, considerando la possibilità di do
lore fetale, si è proposto di eseguire gli aborti di feti più maturi in anal
gesia fetale.
Il feto percepisce infine, anche se in maniera attenuata, immerso co
me è nel liquido amniotico, voci e rumori che provengono dall’esterno
e dall’interno e soprattutto la voce della mamma e il ritmico battere del
cuore materno. Numerose esperienze hanno dimostrato come il neona
to si tranquillizzi e smetta di piangere se gli viene fatta ascoltare la vo
ce materna o il battito del cuore materno, anche registrato. Ciò induce
a pensare che il feto avverta il parto come un distacco doloroso e for
se traumatico dall’ambiente materno, ma che conserva allo stesso tem
po memoria dei suoni percepiti durante la vita intrauterina e riascoltarli
lo tranquillizza, ricordandogli una fase oltremodo sicura e confortevo
le della sua esistenza.
Uno degli aspetti più nuovi della medicina prenatale è costituito pro
prio dallo studio del rapporto materno-fetale dal punto di vista non solo
fisico, ma anche psichico. Questa relazione madre-feto esiste ed è me
diata da un linguaggio complesso. Non solo i suoni provenienti dalla
madre, ma anche le posizioni particolari che assume la madre, il fumo,
certi farmaci, l’affaticamento fisico influenzano il comportamento feta
le attraverso numerosi canali di comunicazione, il principale dei qua
li è costituito dagli ormoni. Attraverso di essi anche gli stati emozionali
della madre come ansia, depressione o forti emozioni possono provo
care delle reazioni nel feto, potendo influenzare anche il suo sviluppo
psichico.
Il feto a sua volta interviene come partner attivo in questo dialogo
usando il linguaggio dei movimenti; è merito della psicologia contem
poranea l ’aver sottolineato come non solo il primo biennio della vita
extrauterina, ma anche il periodo della vita intrauterina, sia determinan
te per la vita psichica futura e lo sviluppo mentale di una persona. Alla
nascita la nostra psiche è dunque ben lungi dall’essere una tabula rasa:
ogni uomo porta in sé frammenti o ricordi delle esperienze vissute al
l’interno dell’utero materno.
A partire da questi dati indubbiamente affascinanti, prenderà le mos
se il nostro discorso sullo statuto dell’embrione umano.
261
CAPITOLO II
CHI È L’EMBRIONE?
1 Della sterminata letteratura sul tema citiamo qualche lavoro d’insieme: C arrasco de
P aula J. et al ., Identità e statuto dell’embrione umano, Città del Vaticano 1998; C hiodi
M., Il figlio come sé e come altro. La questione dell’aborto nella storia della teologia mo
rale e nel dibattito bioetico contemporaneo, Milano 2001, 106-269; Ide P., Le zygote est-
il une personne humaine?, Paris 2004; L ucas L ucas R., Antropologia e problemi bioetici,
Milano 2001; M erlo S erani A., El vivente humano: estudios biofilosóficos y antropológi-
cos, Pamplona 2000; S erra A., L ’uomo embrione. Questo misconosciuto, Siena 2003.
262 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
risposta che abbiamo dato alla seconda: infatti lo statuto giuridico del
l ’embrione indica il complesso legislativo intorno all’embrione (sia es
so ritenuto soggetto di diritti o meno) e questo traduce lo statuto etico
in normative obbliganti a livello sociale.
La questione dello status embrionario è essenziale per orientare il
nostro comportamento verso gli embrioni in tema di aborto, di diagno
si e terapia prenatali, di fecondazione in vitro con embryo transfer (FI-
VET), di sperimentazione su embrioni, di conservazione e di utilizzo di
embrioni (es. per prelievi), e nell’affrontare questi problemi emergono
con drammatica evidenza le differenze di fondo fra le diverse imposta
zioni della bioetica.
I sostenitori dell’aborto e della bceità degb esperimenti sugb embrioni,
così come dell’eutanasia e talvolta dell’infanticidio, ricorrono ovviamen
te ad antropologie (e quindi criteri per riconoscere la presenza o meno di
un soggetto umano) che possono legittimare le loro convinzioni ovvero,
anche quando riconoscano la rilevanza etica dell’esistenza embrionale, i
modelli etici impiegati li conducono a conclusioni aberranti.2
2 Penso ad alcuni eticisti, come la J.D. Thomson, che concedono che «il feto è persona fin
dal momento del concepimento», ma avendo una impostazione etica che enfatizza il di
ritto all’autonomia della madre, giungono parimenti ad ammettere l’aborto: T homson J.
D., A Defense ofAbortion, in Philosophy & Public Affairs, Princeton 1971,47-66 (trad. in
F erranti G., M affettone S., Introduzione alla bioetica, Napoli 1992, 4-24). Una critica
puntuale alla Thomson in: C hiodi M ., Il figlio come sé e come altro, 167-172.
C a p it o l o II - Chi è l ’embrione? 263
b. L’embrione non è solo una forma di vita umana, ma è una forma di vita
umana individuale, è un individuo della specie umana. Questa affermazione
si fonda sulle peculiarità e unicità del patrimonio genetico, sulla autonomia
dei suoi processi metabolici rispetto a quelli materni, sul fatto che possieda
una intrinseca tensione a giungere alla sua pienezza maturativa.
Nell’embrione umano si realizza quella qualità fondamentale della
vita che è Vautoorganizzazione secondo l ’idea che sia da considerare
biologicamente vivo c io c h e s i autocostruisce, ciò che si automantiene,
ciò che è autofinalizzato, che è fine a se stesso e non per altro. Nell’in
dividuo umano adulto la struttura preposta a regolare e mantenere il di
namismo organizzativo è l ’encefalo, neH’embrione è essenzialmente il
suo genoma: come l ’adulto è definito un individuo vivente della specie
umana in quanto autorganizzato e autofinalizzato, così l’embrione sin
dallo stadio di zigote.3 Sotto questo punto di vista la qualità di vita uma
na riscontrabile nell’adulto è la stessa riscontrabile nell’embrione.
Nello stabilire un parallelo fra embriogenesi e status individuale del
l’embrione, ci sono fra i bioeticisti due opinioni diverse che portano a
prassi opposte riguardo all’embrione precoce. Per alcuni l’individuazio
ne biologica si ha al momento del concepimento, con la formazione del
lo zigote, sottolineando il fatto che in quel tempo si stabilisce l’identità
genetica del nuovo individuo. Scriveva a questo proposito A. Serra:
8 Cfr. F ord N. M., When did I begin?, 132 ss. Una rinnovata difesa di questa impostazio
ne in: S mith B., B rogaard B., Sixteen days, “Journal of Medicine and Philosophy”. 28
(2003)45-78.
9 Su questa linea, fra gli altri: B attiston F., Lo statuto dell’embrione e il principio di po
tenzialità in bioetica, “Studia Patavina” 40 (1993) 603-604; C aspar R, Individualisation
génétique et gémellité: l ’objection des jumeaux monozygotes, “Ethique” 4 (1992) 81-90;
D amschen G. G ômez-L obo A. S chônecker D. Sixteen days? A reply to B. Smith and B.
Brogaard on the beginning o f human individuals, “Journal of Medicine and Philosophy”
31 (2006) 165-175; Z atti M. Quando un pre-embrione esiste, si tratta di un altro embrio
ne, “Medicina e Morale” 41 (1991) 781-788.
10 Cfr. G iuli A., Inizio della vita umana individuale, 123-127; 229-232. Nel caso delle chi
mere, derivanti dalla fusione di due embrioni abbiamo, al contrario, un sistema vivente che
ne incorpora un altro.
266 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
a. Impostazione sensista
Per alcuni autori, come P. Singer, la categoria di persona è svuota
ta di significato perché ritengono che possa sussistere un soggetto me
ritevole di rispetto e di tutela soltanto quando esso ha la possibilità di
11 C ongr . D ottr. F ede , Istr. Donum Vitae, I, 1; la citazione è tratta da Id., Dich. De abor
tii procurato, nn. 12-13. Lo stesso testo viene ripreso in: G iovanni P aolo II, Lett. enc.
Evangelium Vitae, n. 60.
12 Si veda: P alazzani L., Il concetto di persona fra bioetica e biodiritto, Torino 1996; Sa-
vagnone G., Metamorfosi della persona, Leumann (Torino) 2004.
C a p it o l o II - Chi è l ’embrione? 267
ca, emerge quindi che l ’altro esiste come persona solo nella relazione
e quindi la sua esistenza personale dipende da me, dalla mia relazione
con lui. Al contrario, l’individualità biologica dell’embrione testimonia
che l ’embrione è un altro da me e proprio in quanto esistente al di fuo
ri di me diventa un appello a riconoscere il suo valore intrinseco, il suo
valore di soggetto.
c. Impostazione funzionalista
L’impostazione funzionalista cerca di definire la persona a partire dai
signa personae, cioè da alcune sue funzioni e operazioni ritenute parti
colarmente qualificanti. Infatti, a partire dalla identificazione cartesiana
della realtà personale con la funzione pensante svolta dalla res cogitans
e ancor più dopo la critica kantiana alla categoria filosofica di sostanza
(ciò che esiste in sé), si è verificato nel pensiero filosofico moderno un
progressivo allontanamento da una nozione sostanziale dell’essere per
sonale a favore delle qualità operative che lo caratterizzano: il pensiero,
la coscienza, la libertà, la relazione. Il noumenon si rivela soltanto nel
phaenomenon e l’idea di sostanza si dissolve così nell’idea di funzione.
H.T. Engelhardt - come si è visto nella Parte Generale - definisce la
persona attraverso i caratteri dell’autocoscienza, della autonomia, della
razionalità, del possesso del senso morale. In questa prospettiva funzio
nalista scompare l’Io soggettivo, un nucleo ontologico radicale, centro di
esistenza, libertà e vita, ultimo luogo di inerenza delle funzioni. Diven
ta decisiva per le conclusioni normative la distinzione fra essere umano
e persona : in base all’assunto che la persona viene individuata dalla pre
senza di capacità autoriflessive e da un minimo senso morale che ne qua
lificano l ’integrità, ne segue che alcuni esseri umani, come gli idioti, gli
embrioni, i pazienti in coma irreversibile, non sono persone; e converso
si possono immaginare persone che non sono esseri umani, come Dio,
gli angeli e forse alcune specie di mammiferi superiori.15
Anche la teoria della persona definita in base ai suoi stati psichici
comporta conseguenze conturbanti, legate principalmente al fatto che,
in un orizzonte empirista, le differenze di essenza sono ricondotte a dif
ferenze di grado o di quantità, di modo che lo spirituale è ridotto allo
psichico e questo al neurologico. Si vengono così a perdere gli stessi
confini fra l’uomo e le altre specie animali, perché fra i rispettivi stati
quanto ha voluto storicamente lo stato di diritto, come comunità nella quale alle
ragioni della forza si sostituisce la forza della ragione.17
d. Impostazione personalista
Il personalismo ontologico ricerca una determinazione non attuali-
stica dell’essere persona, ma sostanziale. In questa ottica i signaperso-
nae non sono trascurati, ma si ritiene che l’essere persona o anche, se
si vuole, il diventare persona non possono essere argomentati sulla ba
se dei dati empirici, ma all’interno di una concezione dell’essere e dei
suoi gradi di perfezione. Ci muoviamo lungo la linea classica che non
si accontenta di una definizione nominale o convenzionale di persona,
né di una descrizione delle sue operazioni, ma tenta di coglierne l’ele
mento costitutivo, di raggiungerne l’ultima verità e la radice essenziale.
La persona possiede un suo actus essendi che la rende ontologicamen
te incomunicabile e insieme possiede una comunicabilità intenzionale
nell’ordine dell’operare, cioè una apertura trascendentale al conoscere,
all’amare, al dialogare, al Tutto.
Boezio, in questa prospettiva, aveva definito la persona rationalis
naturae individua substantia e, in continuità con lui, san Tommaso par
Non ci sono diverse anime, ma diversi stadi della medesima anima, della
medesima energia che trascende l ’espressione corporea. Quindi, nell’anima
vegetativa è contenuta in potenza l ’anima sensitiva, poi quella razionale, infi
ne quella spirituale. Ne viene che sopprimendo l ’embrione o il feto, si soppri
me una vita umana con tutta la sua potenzialità, non ci può essere il minimo
dubbio al riguardo.25
25 M ancuso V., L ’anima e il suo destino, Milano 2007, 107. Ricordiamo che per Mancu
so l’anima altro non è che l’ordine assunto dall’energia vitale e che essa può presentarsi a
cinque livelli ontologici: anima vegetativa, sensitiva, razionale, spirituale e spirituale uni
ficata dall 'intendo verso il bene e il giusto.
C a p it o l o II - Chi è l ’embrione? 275
26 Cfr. S. T ommaso, Scriptum super Sententiis, II, d. 18, q. 2, art. 3: «Concedimus ani
marli sensibilem et vegetabilem ex traduce esse»; I d ., Summa cantra Gentiles. IL c. 86:
«Igitur anima nutritiva et sensitiva esse incipiunt per seminis traductionem, non autem
intellectiva».
27 Padre Flannery, in un articolo molto acuto, dà una lettura diversa rispetto a quella di Ber
ti (e nostra) del rapporto e successione delle tre anime in Aristotele e concorda con coloro
che negano che per Aristotele il concepito sia un individuo umano, anche se, applicando
Aristotele alla biologia moderna, conclude che «thè human soul can be present in thè con-
ceptus from thè beginning, that is, from thè moment when thè two gametes meet»: F lan
nery K.L., Applying Aristotle in contemporary embryology, “The Thomist” 67 (2003)
249-278 (cit. p. 270).
28 Una trattazione dettagliata in: C hiodi M., Il figlio come sé e come altro, 4-97.
29 Vedere: C aspar P h ., Laproblématique de l ’animation de l ’embtyon. Survoi historique et
enjeux dogmatiques, “Nouvelle Revue Théologique” 113 (1991) 4-17; 400-413; C hollet
A., Animation, in Dictionnaire de Théologie Catholique, voi. 1, Paris 1923, coll. 1306-1320;
H ering P, De tempore animationis foetus humani, “Angelicum” 28 (1951) 18-29; L anza
A., La questione del momento in cui l ’anima razionale è infusa nel corpo, Roma 1940.
276 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
della dottrina stoica, ritenevano che l’anima dei neonati derivasse dalla
sostanza dell’anima dei genitori attraverso il seme corporeo ( traducia-
nesimo, dal latino tradux, tralcio di vite).30 Altri, come Origene, pensa
vano che le anime fossero state tutte create da Dio all’inizio del mondo
e fossero dunque preesistenti ai corpi nei quali cadono, come in un car
cere, per il raffreddarsi del fuoco spirituale. Il traducianesimo fu ab
bandonato perché oscurava la fede nella spiritualità dell’anima umana,
mentre il preesistenzialismo fu condannato nel Sinodo costantinopoli
tano del 543 perché, troppo legato all’antropologia platonica, sembrava
contraddire l’unità del composto umano e la bontà del corpo.31
Prevalse, non senza controversie, l’idea che Dio concorra coi genito
ri nella formazione di un essere umano creando e infondendo l’anima,
così come si legge nel libro di Genesi intorno alla infusione di uno spi-
raculum vitae in Adamo. Riguardo ai tempi di questo intervento divino
le idee non erano univoche, anche in dipendenza delle diverse conce
zioni antropologiche dei Padri. San Gregorio di Nissa (335-394) pensa
va alla presenza di un’anima spirituale sin dagli inizi del nuovo essere
e così più tardi san Massimo il Confessore.32 Propendevano più o me
no apertamente per una infusione tardiva dell’anima san Basilio Magno
(329-379), Teodoreto di Ciro (393ca-458), san Girolamo (347ca-419),
il quale scriveva:
Gli embrioni poco a poco prendono forma nell’utero e non vengono ritenu
ti un uomo finché le varie parti confuse non assumono il loro aspetto e la lo
ro strutturazione.33
Agostino, dapprima traducianista e poi creazionista, dichiarava la
questione del tempo dell’infusione dell’anima umanamente insolubile.
Negava però la rilevanza dirimente di un testo biblico dell’Esodo nel
la traduzione della Settanta e della Latina antica : nelle due traduzioni
si distingueva il few animato dal feto inanimato, suggerendo, così, che
30 Cfr. S panneut M., Le stoïcisme des Pères de l ’Église, de Clément de Rome à Clément
d ’Alexandrie, tom. 1, Paris 19692, 177 ss.
31 Cfr. DS 403.
32 C anevet , M., L ’humanité de l ’embryon selon Grégoire de Nysse, “Nouvelle Revue
Théologique” 114 (1992) 678-695; C ongourdeau , M.H., L ’animation de l ’embryon hu
main chez Maxime le Confesseur, “Nouvelle Revue Théologique” 111 (1989) 693-709.
33 S. G irolamo, Ad Algasiam 4 (PL 22, 1015): «Sicut enim semina paulatim formantur
in uteris, et tamdiu non putantur homo donec dementa confusa suas imagines membra-
que suscipiant».
Su Basilio Magno: P etrà B., Vita del feto, aborto ed intenzionalità omicida in Basilio il
Grande (329-379), “Studia Moralia” 2 (1981) 177-193.
C a p it o l o II - Chi è l’embrione? 277
34 Es. 21, 22-23. Cfr. S. A gostino, Quaestìonum in Heptateucum libri septem, lib. 2, q 80
(Corpus Christìanorum Series Latina 33, Turnhout 1958. 1111. Il testo di Es 21, 22 - così
come suona nelle antiche versioni - distingue fra uccisione preterintenzionale di embrio
ne animato e inanimato: «Qui percusserit mulierem pregnantem et illa abortum fecerit, si
foetus erat formatus, dabit animam prò anima, si nondum erat formatus, mulctabitur pecu
nia». Invece di «si foetus erat formatus» e di «si nondum erat formatus» la Vulgata tradu
ce più correttamente, in riferimento alla madre: «sed ipsa vixerit» e «sin autem mors eius
fuerit subsecuta».
35 Sul dibattito embriologico medievale: C ova L .,1 principi della generazione umana: tra
dizione medica e filosofia aristotelica nelle discussioni teologiche del XIII secolo, “Eser
cizi filosofici” 6 (2002) 45-58; P angallo M., La filosofia di San Tommaso sull’embrione
umano, in S greccia E., Laffitte J. curr., L ’embrione umano nella fase del preimpianto,
Città del Vaticano 2006, 209-239; Vico M artorelli R., Per una storia dell’embriologia
medievale del XIII e XIV secolo, Napoli 2002.
36 V inaty T., Sant’Alberto Magno, embriologo e ginecologo, “Angelicum” 58 (1981) 151-
180; H ossfeld P., Albertus Magnus iiber die Frau, “Trierer Theologische Zeitschrift” 91
(1982) 221-240.
278 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
37 S. T ommaso D’A quino, Stimma Theologiae, I, q. 78, art. 1; cfr. I, q. 118, art. 1 e art. 2.
Vedere, oltre al succitato intervento di Pangallo: H eaney , S.J., Aquinas and the Presence
o f the Human Rational Soul in the Early Embryo, “The Thomist” 1 (1992) 19-48; M ar
tin , J.T.H., Aquinas as a Commentator on De Anima 3,5, “The Thomist” 57 (1993) 621-
640; R egan A., The Human Conceptus and Personhood, “Studia Moralia” 30 (1992) 97-
127; W allace W.A., St. Thomas on the beginning and ending o f human life, in A a .V v .,
Sanctus Thomas de Aquino Doctor hodiemae humanitatis (Studi tomistici 58), Città del
Vaticano 1995, 394-407.
38 Immediatamente va inteso in senso tecnico e non in senso comune (=istantaneamente):
immediato è ciò che avviene senza la mediazione di alcun ente presupposto. Così la crea
zione immediata del coipo del primo uomo (S Th I, q. 92, art. 2) e della sua anima (S Th
I, q. 90, ari. 5) e deiianima ai ciascuno (S Th 1, q. 118, art. 2). In questo senso va intesa
l’espressione usata da Pio XII nell’enciclica Humani Generis: “Animas enim a Deo imme
diate creari catholica fides nos retinere iubet” in AAS 42 (1950) 575.
39 Cfr. S. T ommaso D ’A quino, Scriptum super Sententiis, lib. 3, dist. 3, q. 5, art. 2: «Maris
conceptio non perficitur nisi usque ad quadragesimum diem, ut Philosophus in IX De Anìmal-
ìbus [De historia animalium 3.583b, 2-5] dicit; feminae autem usque ad nonagesimum».
40 II tempo dell’animazione non influisce sui due dogmi connessi con l’atto generativo,
l’incarnazione del Verbo e l’immacolata concezione di Maria. È vero che nella bolla Inef-
fabilis Deus si legge; «B.V.M. in primo instanti suae conceptionis fuisse ab omni culpae
labe praeservatam immunem» (DS 2803), ma, come già notava Duns Scoto, non bisogna
confondere la concezione fisica con la concezione personale: il dogma si riferisce all’im
munità da colpa della persona di Malia e la persona inizia con l’animazione. Cfr. B alic C.,
De significatione interventus Ioannis Duns Scoti in historia dogmatis Immaculatae Con
ceptionis, in Virgo Immaculata. Actus Congressus Intemationalis Mariologici et Mariani
Romae anno MCMLIV celebrati, voi. VII, fase. I, Romae 1957, 35-36.
C a p it o l o II - Chi è l ’embrione? 279
44 DS 2134. Molti moralisti autorevoli, come Th. Sanchez, sostenevano la liceità dell’abor
to diretto del feto non ancora formato se fosse stata in pericolo la vita della madre. La con
danna era contro chi - come F. Amico - ammetteva l’aborto del feto non ancora formato
per motivi diversi da quelli del pericolo di vita per la madre.
45 DS 2135. Questa opinione era stata sostenuta come “probabile” da G. Caramuel che poi,
però, l’aveva abbandonata.
46 Questa idea era contenuta nel volume I d e a r m i o p e r a tr ic iu m id e a , pubblicato nel 1636.
Sull’embriologia di Jan Marek Marci (lat. Johannes Marcus Marci): P agel W., L e id e e
b io lo g ic h e d i H a r v e y . A s p e t ti s c e lt i e s fo n d o s t o r i c o , Milano 1979, 338-388.
C a p it o l o II - Chi è Vembrione? 281
Nel caso [della generazione dell’uomo] non basta il concorso ordinario con
cui Dio coopera con ogni attività creaturale, né si può pensare che Dio crei l’ani
ma dal nulla e poi l’infonda nel corpo preparato dai genitori. Essendo l’uomo
non un conglomerato di due sostanze compiete ma un unico soggetto incarnalo,
Dio non si limita a dare una spinta ad un essere inferiore, perché questo ne pro
duca uno superiore, ma in quanto causa principale si serve di esso come di stru
mento, in modo che la nuova persona umana è frutto dell’azione immediata di
Dio e dei genitori. Questi la producono in quanto è una persona viva avente una
dimensione corporale (corpo), Dio la produce come persona avente una dimen
sione spirituale (anima). Il concorso di Dio nei riguardi dell’anima è propria
mente creativo e si distingue sia da quello ordinario con cui fa produrre ad ogni
essere effetti a loro connaturali, sia dalla creazione propriamente detta di sostan
ze complete, in cui egli non si serve di creatura alcuna.47
Conclusione
50 C ongr . D ottr. F ede , D e a b o r tii p r o c u r a to , nota n. 19. Cfr. C ongr . D ottr. F ede , Istr.
D o n u m v ìta e , I, 1:«Il Magistero non si è espressamente impegnato su un’affermazione
d’indole filosofica, anche se ribadisce in maniera costante la condanna morale di qualsia
si aborto procurato». Notiamo, però, che l’istruzione D o n u m v ita e nel citare in I, 1 il n. 13
della D e a b o r tii p r o c u r a to , («A questa evidenza di sempre, perfettamente indipendente, la
scienza moderna fornisce preziose conferme») opportunamente omette l’inciso «perfetta
mente indipendente dai dibattiti circa il momento dell’animazione» perché non è vero che
l‘ ’ aronmpntn
O tra rh- -71
" .................................................' . - onci le «ni
- ........................... - . risnettn
L -
del n eoe ori ceni
J. to è “perfettamente
X indipendente” dal-
la questione dell’animazione.
51 G iovanni P aolo E, Lett. enc. E v a n g e liu m V ita e , n. 61. Cfr. B enedetto XVI, A l c o n
g r e s s o s u l l ’e m b r io n e in f a s e p r e i m p ia n ta to r ia , 27-2-2006: «Anche in mancanza di espli
citi insegnamenti sui primissimi giorni di vita.del nascituro, è possibile trovare nella Sacra
Scrittura preziose indicazioni che motivano sentimenti d’ammirazione e di riguardo nei
confronti dell’uomo appena concepito, specialmente in chi, come voi, si propone di stu
diare il mistero della generazione umana. I libri sacri, infatti, intendono mostrare l’amore
di Dio verso ciascun essere umano ancor prima del suo prender forma nel seno della ma
dre. “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu venissi alla luce,
ti avevo consacrato” (G e r 1,5), dice Dio al profeta Geremia. E il Salmista riconosce con
gratitudine: “Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci
fino in fondo” (S a i 139,13-14). Sono parole, queste, che acquistano tutta la loro ricchezza
di significato quando si pensa che Dio interviene direttamente nella creazione dell’anima
di ogni nuovo essere umano».
285
CAPITOLO III
1 C ongr . D ottr. F ede , Istr. Donum Vitae I, 1; cfr. G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evan-
gelium Vitae, n. 60.
286 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
Basta che questa presenza dell’anima sia probabile (e non si proverà mai il
contrario) perché toglierle la vita significhi accettare il rischio di uccidere un
uomo non soltanto in attesa, ma già provvisto della sua anima.3
2 Pio XII, Al Congresso dell’Unione Cattolica Italiana Ostetriche, AAS 43 (1951) 838.
3 C ongr . D ottr. F ede , Dich. De abortii procurato , nota 19; cfr. G iovanni P aolo II, Lett.
enc. Evangelium Vitae, n. 60.
C a p it o l o III - Inverventi sulla vita prenatale 287
con sid erazion i ch e p rescin d ono in tutto o in parte dal su o valore. L’e m
brione sarebbe tutelato c o sì co m e tradizionalm ente si tutela l ’integrità
di una foresta o la purezza di una fonte, in vista c io è d ei b en efici m a
teriali o spirituali ch e da questa tutela derivano, anche a lun ga scad en
za, per la società. In tal ca so lo statuto g iu r ìd ic o d e ll’em brione sarebbe
per nulla o so lo p arzialm ente fondato su llo statuto on tologico: b en ch é
n on sia ancora una persona o, alm eno, b en ch é n on rientri n ella com u n i
tà m orale d elle persone, tuttavia la società, co m e com un ità civ ile, g li at
tribuisce alcuni diritti, frai quali q uello d ella esisten za e d e ll’integrità.4
4 II dibattito su i diritti del non nato è molto vivo: C asini M ., Il diritto alla vita del conce
pito nella giurisprudenza europea, Padova 2001; D avid V., La tutela giuridica dell’em
brione umano, Acireale 1999.
5 Vedere: C ongr . D ottr. F ede , Istr. Donum Vitae I, 2-6; cfr. G iovanni P aolo II, Lett,
enc. Evangelium Vitae, n. 63.
288 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
b. Gli interventi che possono essere rischiosi per V integrità fisica del
concepito possono essere eseguiti se sono finalizzati all’interesse prima
rio del concepito stesso. In particolare gli interventi diagnostici più inva
sivi e rischiosi (come l’amniocentesi o il prelievo dei villi coriali) sono
leciti se rischio è proporzionato ai benefici ragionevolmente prevedibili
per il nascituro (criterio della risk/benefit ratio) e se, in caso di anomalie
o difetti di sviluppo, non si prevede come possibile esito l’aborto.7
L’amniocentesi, così come alcuni test non invasivi compiuti sul san
gue materno (es. il bi-test) o lo studio ecografico della translucenza
nucale, vengono eseguiti allo scopo di individuare i soggetti affetti da
trisomia 21 o sindrome di Down. Se sono compiuti dietro precise indi
cazioni mediche (es. età avanzata della madre) e solo per meglio tute
lare la salute del bambino sono leciti, ma l ’esperienza clinica mostra
che molto raramente i nascituri con problemi malformativi e i soggetti
Down vengono accettati dalle gestanti. Nella cultura anti-vita in cui vi
viamo ricorso all'aborto eugenetico sembra esser ritenuta la prassi più
ragionevole e raccomandabile. L’atto diagnostico che, in quanto atto di
conoscenza, è in sé buono si viene a collocare all’interno di un proget
to etico inaccettabile.
Esiste ancora un grande scarto fra capacità diagnostiche prenatali
e. Non sono accettabili infine tutti quegli interventi - sui quali tor-
nermo più avanti - che possono ferire la dignità dell’embrione e feto
umano come il venire
- concepito fuori del contesto umano (es.nella fecondazione in vitro);
- venduto o ceduto come un oggetto nell’ambito, per esempio, degli
accordi di maternità surrogata;
- utilizzato come semplice materiale biologico;
- introdotto e fatto sviluppare in un utero animale o artificiale.
3.3. La legislazione
13 La sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 28 maggio 1993 che afferma il diritto
alla vita tanto per il concepito non nato quanto per il bambino già nato e quindi la illiceità
dell’aborto è un grande successo della ragione e del buon senso, ma il passaggio dal piano
dei principi a quello delle norme pare ancora molto lontano. Vedere: D eutsch E., F o e tu s
p r o t e c t i o n in G e rm a n y . T h e F o e tu s P r o te c tio n A c t o f 1 3 D e c e m b e r 1 9 9 0 , “Medicai Law”
12 (1993) 535-545; Di P ietro M.L., Fuso M.B., L a tu te la d e l l ’e m b r io n e u m a n o in G e r
m a n ia . D a l l a le g g e d e l 1 9 9 0 a l la s e n te n z a d e lla C o r te C o s titu z io n a le d e l 2 8 m a g g io 1 9 9 3 ,
“Vita e pensiero” 77 (1994) 269-283.
293
CAPITOLO IV
L’ABORTO
1Per la legge italiana il feto è considerato v ita le dopo il 180° giorno dopo la mestruazione
e la sua espulsione è considerata un p a r t o p r e m a tu r o .
2 Ci sono casi di aborto spontaneo connesso non con una patologia o un incidente, ma con
atti posti dall’agente, come nel caso di un aborto che segue una indagine diagnostica par
ticolarmente rischiosa.
3 Gli antichi moralisti, in base alle loro nozioni embriologiche e le visioni antropologiche
allora correnti, parlavano si semplice e fflu x io se la gravidanza veniva interrotta nei primi
giorni dal concepimento, di a b o r tu s o v u la r is nelle prime tre settimane, di a b o r tu s e m b r y o -
n a lis fino al terzo mese e f e t a l i s dal terzo mese in poi.
294 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
Dal punto di vista clinico, la scelta della tecnica con cui interrompe
re una gravidanza dipende dall’epoca nella quale è avvenuta la fecon
dazione.
- Entro il 30° giorno
a. intercettivi, che impediscono l ’annidamento (spirale o IUD, pillo
la del giorno dopo)
b. contragestativi, che interferiscono con il progesterone (es. RU486)
- Entro il primo trimestre
dilatazione del canale cervicale e raschiamento
aspirazione endouterina per via vaginale con cannule flessibili (me
todo di Karman)
- Dopo il primo trimestre
dilatazione cervicale e svuotamento con pinza a anelli (il feto viene
fatto a pezzi)
alte dosi transvaginali di prostaglandine E2
Dopo la 16a settimana lo svuotamento è preceduto dalla sommini
strazione di farmaci che stimolino le contrazioni uterine e la dilatazione
cervicale (es. soluzione salina ipertonica intramniotica).
Molti, quando parlano di aborto, non vi comprendono gli aborti pre
coci procurati con vari mezzi nelle prime due settimane di gravidanza.
Prima dell’annidamento, infatti, essi ritengono che non si possa parla
re di gravidanza in senso proprio perché affermano che lo stato di gra
vidanza richiede l ’instaurarsi di un rapporto fisico tra madre e figlio e,
in base alle vecchie conoscenze sulla fase del preimpianto, oggi supe
rate, negano l’esistenza di questo rapporto prima dell’annidamento. Es
si, inoltre, negano la piena umanità e, quindi, il diritto di esser tutelato
all’embrione preannidatorio. La persuasione - sostenuta anche dai da
ti biologici - che si debba riconoscere una vita umana in relazione con
a. Nella Tradizione
Sin dall’Antichità le pratiche abortive (spesso non ben distinte da
quelle contraccettive) erano diffuse, soprattutto fra le prostitute, e spesso
tollerate.7 L’etica medica, anche per le migliori nozioni embriologiche
possedute dai medici, aveva assunto invece una posizione apertamente
contraria, benché non mancassero anche allora medici disposti a procu
rare l’aborto. Il Giuramento di Ippocrate, risalente al V secolo a.C., pre
zioso testimone dell 'ethos del medico antico, dice:
Non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bim
bo già nato.9
«L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo
concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono rico
noscere i diritti della persona, trai quali anzitutto il diritto inviolabile di
ogni essere umano innocente alla vita» (.Donum Vitae 1,1). L’aborto è,
per definizione, estinzione di una vita umana allo stato nascente e noi
sappiamo, per ragione e per fede, che sopprimere una vita umana inno
cente non è mai giustificato.
Il pensiero della Chiesa su questo grave problema è rimasto costante
nel tempo, essendo in gioco un valore altissimo, quello della vita uma
na, come è stato più volte ribadito in documenti solenni del magistero e
riproposto con sostanziale unanimità dalla teologia cattolica. Un testo di
grande valore dottrinale è la Dichiarazione sull’aborto procurato della
Giovanni Paolo II, una vera e propria «struttura di peccato contro la vi
ta umana non ancora nata».13
A proposito di responsabilità collettive, dobbiamo segnalare - al
meno di sfuggita - un problema attuale e tragico, quello dell’utilizzo
dell’aborto come strumento di pianificazione familiare in paesi ad alto
tasso di incremento demografico, come l’India e la Cina.14 Quello che
è ancora più sconcertante è che durante la Conferenza del Cairo si sia
cercato di far approvare come raccomandabile ed eticamente giustifica
ta questa pratica abominevole, accusando il Vaticano, che si opponeva,
di insensibilità ai problemi della sovrappopolazione.15
Fino a questo punto la vita umana ha perso valore agli occhi dei
Grandi del mondo.
4.41 casi-limite
a. L ’aborto terapeutico
L’aborto terapeutico è l’aborto praticato per salvare la vita della ma
dre o per evitare un grave e irreversibile danno della sua salute. La gra
vidanza può diventare pericolosa per la madre se l’embrione si annida in
sedi anomale (gravidanza ectopica, es. tubarica, con pericolo di emor
ragie letali), o se si manifestano patologie della gravidanza, come la
preeclampsia gravidica (con innalzamenti pressori e gravi danni ocula
ri e renali, talora sino alla morte) o della corioamnionite o si aggravano
malattie già presenti (es. insufficienza cardiaca). In questi casi e in casi
analoghi l’interruzione della gravidanza sembra l’unica terapia pratica
bile donde il nome di aborto terapeutico.
13 Ibid., n. 58. Uno studio documentato in: S paziante E., L ’aborto nel mondo. Aggiorna
mento statistico-epidemiologico in tema di aborto legalmente registrato, “Medicina e Mo
rale” 48 (1998)313-368.
14 Per approfondire il tema vedere: P ont . C ons. P er L a F amiglia , Evoluzioni demografi
che dimensioni etiche e pastorali, 25-3-1994.
15 A ngulo A., La conferenza mondiale del Cairo sulla popolazione, “Civiltà Cattolica”
153 (1994) 494-501.
300 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
b. L ’aborto eugenetico
È l’aborto eseguito per evitare la nascita di un soggetto affetto da
grave malattia congenita (malformativa, genetica ecc.). Anche questo
tipo di aborto è detto da alcuni terapeutico cioè curativo, ma a torto,
perché non cura né la madre né il figlio. Viene anche propagato come un
modo per prevenire le malattie genetiche: la prevenzione in verità con
sisterebbe nell’impedire il concepimento di individui malati, non nel
sopprimere quelli che già esistono.
Ragioni emotive (pietà per un futuro infelice) e personali (disagio
per i familiari) non sono davvero sufficienti per sopprimere una vita.
«Nessuno, neppure il padre e la madre - afferma la Congregazione per
la Dottrina della Fede - può sostituirsi [al bambino] neanche se è ancora
allo stato embrionale, per preferire a suo nome la morte alla vita».19
È certo contraddittorio che le leggi degli Stati avanzati tutelino gli
handicappati mentali e fisici, ma permettano di abortire un feto di 4
mesi perché portatore di quegli stessi handicap. Nell’Italia democra
tica che ostenta un rispetto scrupoloso per l’inserimento dei disabili o
- come si preferisce - dei diversamente abili nella società, ormai non
nascono quasi più bambini Down perché vengono individuati con l’ese
cuzione di amniocentesi a tappeto nelle donne che, per età o storia cli
nica, hanno il rischio di avere un feto affetto da trisomina 21. Mettere al
mondo un figlio Down non è certo proibito, ma il comportamento rite
nuto più ragionevole e medicalmente “indicato” è l’aborto, anche oltre
la soglia di viabilità fetale.
17 La discussione su questo caso fu lunga e accesa e culminò nel 1932-1933 nello scontro
fra padre Gemelli e padre Vermeersch. Gemelli riteneva l’isterectomia di utero gravido un
aborto diletto, mentre Vermeersch lo giustificava come un aborto indiretto. La controversia
è ricostruita in: B oschi A., Q u e s tio n i m o r a li s u l m a tr im o n io , Torino, 1963, 249-254 (con
ampie referenze bibliografiche).
18 L’applicabilità del principio dell’atto a duplice effetto al caso della g r a v i d a n z a e c to p ic a
fu chiarita all’inizio degli anni ’30: B ouscaren T.L., E th ic s o f E c to p ie O p e r a tio n s , Mi
lwaukee 1933, 19442. Questa è ora la c o m m u n is o p i n i o : G iovanelli G., L a g r a v id a n z a tu-
b a r ìc a . U n c o n tr ib u to a l d i b a tt i to a ttu a le , “Medicina e Morale” 58 (2008) 1013-1048; S il
vestre« E., L ’e m b r io n e u m a n o in g r a v id a n z a e c to p ic a , Milano 2007; S pagnolo A.G.,
Di P ietro M.L., Q u a le d e c is io n e p e r l ’e m b r io n e in u n a g r a v id a n z a t u b a r ic a ? “Medicina
e Morale” 45 (1995) 285-310.
19 C ongr . D ottr. F ede , D ich. D e a b o r tii p r o c u r a to , n. 14.
302 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
20 Bisogna fare una precisazione. Molti moralisti cattolici accettano l’uso preventivo di
mezzi veramente contraccettivi come autodifesa di donne che sono in serio pericolo di su
bire violenza sessuale, come in certe aree di guerra. Nella contraccezione d’emergenza, in
vece, la cosiddetta contraccezione viene praticata dopo l’atto subito e non si può esclude
re una azione intercettiva sull’embrione precoce.
21 Cfr. C ongr . D ottr . F ede , D ich. D e abortii procurato, n. 62.
C a p it o l o IV - L ’aborto 303
4.6 La legislazione
a. Legalizzare o depenalizzare ?
Attualmente, all’interno delle società democratiche e pluraliste, si
riscontrano due atteggiamenti fondamentali nei riguardi dell’aborto: la
depenalizzazione o la legalizzazione e il confine fra i due atteggiamen
ti non è sempre chiaramente definito.
Chi sostiene la depenalizzazione, pensa che si debba continuare a rite
nere l’aborto un atto moralmente grave, ma propone, nel contempo, di non
considerarlo un reato perseguibile penalmente, almeno in certe circostanze
angosciose e drammatiche. Una motivazione spesso ribadita per la depena
lizzazione è l’eliminazione delVaborto clandestino, causa non infrequente
di morte e di sterilità nella donna e occasione per sfruttamento e ricatto.
In effetti, la legge - afferma la Dichiarazione sull’aborto procura
b. Legge e morale
Nel giudicare le leggi che regolamentano questa delicata materia bi
sogna evitare tanto un integralismo ottuso quanto un insignificante re
lativismo etico.
Nel caso dell’aborto vale il principio generale che la legge civile de
ve conformarsi alla legge morale o almeno non opporsi ad essa, perché
la legge umana trova la sua forza vincolante nella conformità alla retta
ragione e quindi, in ultima analisi, alla legge eterna. «La legge umana
- si legge nella citata Dichiarazione - può rinunciare a punire, ma non
può dichiarare onesto quel che sarebbe contrario al diritto naturale, per
24 Sul dibattito italiano al tempo del re fe r e n d u m abrogativo della legge 194, vedere: D ’A go
stino F., L ’a b o r t o c o m e p r o b l e m a d i a lte r ità , “Rivista di Teologia Morale” 13 (1981) 193-
195; D ella T orre G., L e g g e d i a b o r t o e p r i n c i p i d e l l ’o r d in a m e n to ita lia n o , “Medicina
e Morale” 29 (1979) 45-62; L orenzetti L., P e r u n a v a lu ta z io n e e tic a d e ll a le g g e in m a
te r ia d i a b o r t o , “Rivista di Teologia Morale” 13 (1981) 183-186. Un bilancio, a trent’an
ni dalla legge, in: C asini C., A t r e n t ’a n n i d a l la L e g g e 1 9 4 s u l l ’in te r r u z io n e v o lo n ta r ia d i
g r a v id a n z a , Siena 2008.
306 P arte Q uarta - L'inizio della vita
ché tale opposizione basta a far sì che una legge non sia più legge».25
La intangibilità della vita innocente è un imperativo della ragione pri
ma ancora che essere un esplicito comandamento del Decalogo, per cui
una legge che ammettesse l’aborto come diritto si troverebbe in totale e
insanabile contraddizione con l ’autentico e inalienabile diritto alla vita
di ogni uomo e violerebbe l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. «Ne
segue che, quando un legge civile legittima l ’aborto... cessa, per ciò stes
so, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante».26
L’atteggiamento dei cristiani verso le legislazioni abortiste sarà dun
que di completa dissociazione, infatti «qualunque cosa a questo riguar
do venga stabilito dalla legge civile, l’uomo non potrà mai ubbidire ad
una legge intrinsecamente immorale, e questo è il caso di una legge che
ammettesse, in linea di principio, la liceità dell’aborto».27 Lo stesso at
teggiamento dovrà essere tenuto per quanto riguarda la partecipazione a
campagne di opinione a favore dell’aborto o l ’assegnazione del proprio
suffragio elettorale a partiti politici che prevedono la liberalizzazione
dell’aborto nel loro programma.28 Diverso è il caso di un gruppo politi
co che si impegnasse a far approvare una legge che ammettesse alcuni
casi di aborto, ma in alternativa a una legge esistente. Dichiarate aperta
mente le proprie convinzioni, questo impegno sarebbe giusto e ragione
vole perché servirebbe a limitare i danni di una legge ingiusta e quindi
a rendere meno iniqua la legge stessa.29
c. Obiezione di coscienza
Alcune legislazioni, come quella italiana, riconoscono al singo
lo operatore sanitario la possibilità di non intervenire nelle procedure
abortive se queste contrastano con le sue convinzioni personali, secon
do quanto auspicato dalla citata Dichiarazione:
della sessualità, dell’amore, del dono della vita e non basta incrementa
re la semplice informazione sui metodi contraccettivi e rendere più fa
cile l’accesso ad essi. In vista di una prevenzione immediata del ricorso
all’aborto sarà necessario, piuttosto, organizzare consultori e centri di
aiuto alla vita pubblici e privati (consulenza, ospitalità, aiuti economici,
tutela dei diritti soprattutto per le madri nubili...) ed eliminare le cause
sociali di aborto (es. difficoltà a trovare casa, scarsezza di sussidi per fa
miglie numerose) con una politica a favore della famiglia. Non ci si de
ve illudere che liberalizzare o depenalizzare l’aborto sia sufficiente, se
non c’è una seria opera di educazione al valore della vita e della mater
nità ed un fattivo sostegno della famiglia da parte degli Stati.
Conclusione
CAPITOLO V
LA PROCREAZIONE ASSISTITA
1 Gen. 30, 1.
2 Per approfondire, proponiamo una scelta in una letteratura sterminata: B ompiani A., Le
tecniche di fecondazione assistita: una rassegna crìtica, Milano 2006; C attorini R, R ei -
chlin M., Bioetica della generazione, Torino 1996; Di P ietro M.L., S greccia E., Pro
creazione assistita e fecondazione artificiale tra scienza, bioetica e diritto, Brescia 1999;
V ial C orrea J., S greccia E., La dignità della procreazione umana e le tecnologie ripro
duttive. Aspetti antropologici ed etici, Città del Vaticano 2005.
312 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
3 Si noti che Spallanzani negava l’azione fecondante degli spermatozoo individuati nel
1677 da L. Ham, ritenendoli parassiti del seme e attribuiva al fluido seminale un’azione
semplicemente attivante sull’uovo.
C a p it o l o V - La procreazione assistita 313
ro della madre.
Nel 1963 iniziava a lavorare a Cambridge il gruppo di R. G. Edwar-
ds e R C. Steptoe: dal 1969 essi tentarono Rimpianto uterino di embrio
ni umani generati in vitro e, nel 1977, riuscirono finalmente ad ottenere
con questa tecnica la prima gravidanza a termine, quella della piccola
Louise Brown.
F econdazione intracorporea
- Inseminazione artificiale (IA) intracervicale, intraperitoneale, in-
tratubarica, intrauterina.
- GIFT (Gamete Intra Fallopian Transfer) e tecniche analoghe (GIPT
con transfer intraperitoneale, GIUT con transfer intrauterino).
F econdazione extracorporea
- FIVET (Fecondazione in vitro e embryo-transfer) e tecniche ana
loghe (TEST, transfer intratubarico; ZIFT, zigote intratubarico; PRETT,
preembrione intratubarico).
- ICSI (iniezione dello spermatozoo dentro l’ovocita) e tecniche ana
loghe.
c. Interventi particolari
Il progredire degli studi e delle conoscenze sta imboccando strade
ancora poco note, ma che fanno prevedere esiti inquietanti.
La clonazione consiste nella moltiplicazione di un individuo in più
copie, per fissione gemellare artificiale dell’embrione precoce (ripro
ducendo, in pratica, ciò che la natura fa quando si producono i gemel
li monozigoti) o per trasferimento di nucleo da una cellula somatica
a un ovocita fertilizzato e denucleato (dando origine ad un organismo
embrionale geneticamente identico ad un organismo adulto preesisten
te). Dopo i successi della clonazione animale, è ormai concreta anche la
possibilità della clonazione umana.6
L ’ectogenesi, ancora in fase di studio, è lo sviluppo dell’embrione
fuori del corpo materno, in un utero animale o in un utero artificiale.7
La fecondazione interspecifica è una ipotesi ancora fantascientifica
perché esistono barriere naturali che si oppongono alla fusione di gameti
di specie diverse, anche se biologicamente vicine. Allo stato attuale del
tanto fra le cose che la persona fa, ma tra gli atti che esprimono V esse
re stesso della persona che agisce. «L’origine di una persona umana - si
legge in Donum vitae - è in realtà il risultato di una donazione. Il conce
pito dovrà essere il frutto dell’amore dei suoi genitori. Non può essere
voluto né concepito come il prodotto di un intervento di tecniche medi
che e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l’oggetto di una
tecnologia scientifica. Nessuno può sottoporre la venuta al mondo di un
bambino a delle condizioni di efficienza tecnica valutabili secondo pa
rametri di controllo e di dominio».11
Generare un figlio significa fare un atto di fede nella vita attraverso il
quale la vita si dischiude alla sua verità più profonda: le nostre esisten
ze non sprofondano nel nulla, ma sono capaci di perpetuarsi esprimen
do e donando vita. Senza la capacità di compiere questo atto di fiducia
la vita stessa rischia di trovarsi priva di senso: una chiusura pregiudizia
le alla generazione comporterebbe infatti negare fiducia alla vita consi
derandola come qualcosa non degna di essere vissuta e quindi di essere
trasmessa. Questo atto di fiducia comporta anche che si accetti il figlio
senza nessuna condizione: solo così la procreazione realizza la fecondi
tà dell’uomo come accoglienza che fa vivere l’altro così come egli è.
Contro la riduzione della fecondità a un fatto biologico bisogna riaf
fermare che essa è coinvolgimento delle persone in atteggiamento di ac
coglienza perché richiede il dono reciproco delle due libertà personali
del padre e della madre: «Essi non si sono cercati fin dall’inizio, si so
no invece prima di tutto trovati. Soltanto ricordando questo originario e
sorprendente evento, essi possono e devono poi anche cercarsi, volersi,
amarsi, in un senso che non è più psichico, ma libero e spirituale».112
La procreazione di una nuova persona avviene nel contesto dell’amo
re coniugale come frutto e segno della mutua donazione personale de
gli sposi, del loro amore, della loro fedeltà. L’atto procreativo è posto da
due persone che diventano per amore una caro, una persona coniuga-
lis, per cui non può mai essere ridotto ad atto puramente fisico. In esso
sono coinvolte le dimensioni fisiche, psichiche e spirituali della perso
na: si genera con il corpo, con l’intelletto e la volontà, con il desiderio
e l’accoglienza.13
La connessione della genealogia della persona con l ’amore coniu
gale si attua per mezzo dei gesti coniugali che di quell’amore sono il
simbolo e l’incarnazione. La generazione umana mantiene la pienezza
18 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 43: «L’uomo è fatto in qualche modo
partecipe della signoria di Dio. E questo si manifesta nella specifica responsabilità che gli
viene affidata nei confronti della vita propriamente umana. È responsabilità che tocca il suo
vertice nella donazione della vita da parte dell’uomo e della donna nel matrimonio».
19 C ottier G., Scritti di etica, Casale Monferrato (Al) 1994, 171: «L’artificialità è presente
fin dal momento in cui l’uomo ha inteso intervenire sull’organismo sofferente per guarire
o dare sollievo al malato, perché ogni attività che ha a che vedere con la téchne implica un
intervento esterno nello sviluppo o nel funzionamento del soggetto malato».
20 Ibidem.
C a p it o l o V - La procreazione assistita 321
Una libertà che pretende di essere assoluta finisce per trattare il corpo uma
no come un dato bruto, sprovvisto di significati e di valori morali finché es
sa non l ’abbia investito del suo progetto. Di conseguenza, la natura umana e il
corpo appaiono come dei presupposti o preliminari, materialmente necessari
alla scelta della libertà, ma estrinseci alla persona, al soggetto e all’atto uma
no. I loro dinamismi non potrebbero costituire punti di riferimento per la scel
ta morale, dal momento che le finalità di queste inclinazioni sarebbero solo
beni fisici, detti da taluni pre-morali.21
24 Pio XII, Discorso al IV Congresso dei Medici Cattolici, AAS 41 (1949) 560. Cfr. C ongr.
D ottr. F ede, Istr. Donum Vitae E, B, 6.
25 G iovanni P aolo E , Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 14: «(Diversi modi generationis artifi-
ciosae) procreationem ipsam ab humana prorsus coniugalis actus complexione segregant».
26 B ompiani A.,Bioetica dalla parte dei deboli, Bologna 1994, 147, nota 1.
C a p it o l o V —La procreazione assistita 323
a. Procedure eterologhe
Indipendentemente dalle tecniche impiegate, le procedure eterolo
ghe ledono il nesso fra amore sponsale e trasmissione della vita, con
traddicendo il senso del procreare come espressione dell’unità degli
sposi (il figlio trae infatti origine fuori della coppia), oscurano la com
ponente personale del generare (i donatori sono sconosciuti), creano in
fine squilibri all’interno dei rapporti familiari dissociando gli elementi
fìsici, psichici e morali che li costituiscono (cfr. Donum Vitae II, A, 1-
2).28 Di conseguenza anche l ’istituzione di banche del seme e di ovuli
finalizzata all’eterologa è eticamente inaccettabile.
Per le stesse ragioni si deve ritenere come immorale e contraria alla
dignità della persona la maternità sostitutiva, anche se compiuta senza
fini di lucro, comportante o meno l’impegno di gameti della madre so
stitutiva (cfr. Donum Vitae II, A, 3).
29 Cfr. S greccia E., Manuale di bioetica, voi 1, 625: «Nel caso dell’inseminazione artifi
ciale “impropriamente detta” viene messo in atto un aiuto tecnico, affinché il seme eiacu
lato nell’ambito e in coincidenza con l’atto coniugale, possa unirsi alla cellula uovo ed at
tuare cosi la fecondazione».
30 Non è sempre immediato scorgere dove finisce l’aiuto e inizia l’artificio disumanizzan
te e ciò causa incertezza di giudizio anche frai moralisti cattolici: M cC arthy D ., Gift?
Ves/, “Ethics & Medics” 18 (1993) 3-4; D oerfler J.F., Is GIFT Compatible ith the Teach
ing o f Donum Vitae?, “Linacre Quarterly” 64 (1997) 16-29; H aas J.M., Gift? No!, “Eth
ics & Medics” 18 (1993) 1-3.
326 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
31 Dopo selezione eugenetica, si trasferiscono solo due o tre embrioni per ciclo, onde evi
tare gravidanze plurime, rischiose per la madre e per la prole. Se gli embrioni impianta
ti sono troppi, si ricorre alla riduzione embrionaria, che è l’aborto di uno o più embrioni:
B ompiani A. et al., La cosiddetta riduzione embrionale sotto il profilo assistenziale ed eti
co, “Medicina e Morale” 45 (1995) 223-258.
32 Almeno il 60% degli zigoti non prosegue nello sviluppo e in più della metà dei casi la
causa dell’aborto è riportabile a gravi alterazioni del cariotipo: J acobs P.A., H assold T.
J., Chromosome abnormalities: origin and aetiology in abortions and livebirths, in V ogel
F. ed., Human Genetics. International Congress, Berlin 1986, 223.
33 R oberts C.J., L owe C.R., Where are all the conceptions gone?, “Lancet” 1975, 1, 498-
499. Sul significato morale dell’aborto spontaneo: M urphy T.F., The moral significance
o f spontaneous abortion, “Journal of Medical Ethics” 11 (1985) 79-83. Cfr. C inque B. et
al., Aborto ripetuto spontaneo. Aspetti scientifici e obbligazioni morali, “Medicina e mo
rale” 42 (1992) 889-910.
C a p it o l o V - La procreazione assistita 327
37 C asini C., C asini M., D i P ietro M.L., La legge 19 febbraio 2004, n. 40. Commenta
rio, Torino 2004.
330 P arte Q uarta - L ’inizio della vita
Conclusione
P arte Q uinta
CAPITOLO I
IL MALATO TERMINALE
FRA ACCANIMENTO E ABBANDONO
1 Sulla morte nel passato e nel contesto socio-culturale attuale: A ries P h ., L ’uomo e la
morte dal medioevo ad oggi, Roma-Bari 1980; B izzotto M., Esperienza della morte e
speranza. Un dibattito sulla morte nella cultura contemporanea, Milano 2000; S chuma
cher B.N., Confrontations avec la mort. La philosophie contemporaine et la question de
la mort, Paris 2005; V ovelle M., La morte e l ’Occidente, Roma-Bari 1986.
334 P arte Q uinta - La fine della vita
2 Cfr. D e H ennezel M., La morte amica. Lezioni di vita da chi sta per morire, Milano
1998; Id., Morire a occhi aperti, Torino 2006.
3 K übler-R oss E., On Death and Dying, New York 1969 (trad. it. La morte e il morire, As
sisi 199610). Cfr. M antegazza R., Pedagogia della morte. L ’esperienza della morte, Trai
na (En) 2004; M archioro G., Dentro il dolore. Psicologia oncologica e relazione d ’aiuto,
Milano 2007; O staseski F., Saper accompagnare. Aiutare gli altri e se stessi ad affronta
re la morte, Milano 2006.
C a p it o l o I - / / m a la to te r m in a le f r a a c c a n im e n to e a b b a n d o n o 335
Il malato terminale è una persona che sta vivendo una esperienza esi
stenziale dolorosa e sgomentante, che dipende ormai del tutto, come un
bambino, da coloro che lo assistono, che presenta non di rado gli aspetti
più ripugnanti della decadenza fisica e psichica e che, in preda all’ango
scia e al dolore, talvolta sembra aver perso ogni dignità. La vita umana
conserva il suo altissimo valore anche se la sua qualità è scarsa e sem
pre si devono riconoscere alla persona i suoi inalienabili e fondamen
tali diritti.
Vale, anche per il malato terminale, il fondamentale principio del
la medicina centrata sulla persona in base al quale non si cura mai
soltanto un organo o una malattia, ma una persona: la cura del mala
to terminale deve essere perciò una cura totale, nella quale l’interven
to analgesico ha importanza quanto l’accompagnamento psicologico e
la detersione di un ulcera da decubito quanto un sorriso ed uno sguardo.
Solo una medicina che sappia prendersi cura della persona nel suo in
sieme può pensare di affrontare in modo adeguato le problematiche as
sistenziali del malato terminale.
Il gesuita spagnolo, M. Cuyas ha enunciato un serie dettagliata di di
ritti che si riferiscono alla situazione della persona nella fase terminale
della sua vita e il cui riconoscimento da parte di tutti è condizione perché
il malato possa morire con dignità, cioè in modo degno dell’uomo:
- diritto a non soffrire quando il dolore può essere attenuato
- diritto alle cure ordinarie e sintomatiche
—diritto alla verità
- diritto alla libertà di coscienza
- diritto all’autonomia
- diritto al dialogo confidente
- diritto a non essere abbandonato
- diritto alla comprensione.5
che questa accoglienza della sofferenza non può essere mai imposta e
che esiste, anzi, un preciso dovere di carità ci obbliga ad offrire ai malati,
per quanto possibile, adeguato sollievo dal dolore, secondo l’antico ada
gio che “opus divinum est sedare dolorem”, “lenire il dolore è un’opera
divina”. Opportunamente il Catechismo della Chiesa Cattolica qualifica
le cure palliative (“curae lenientes” nella editio typica) come «una for
ma eccellente di carità disinteressata» (n. 2279). La Carta degli Opera
tori Sanitari afferma che le terapie analgesiche, «favorendo un decorso
meno drammatico, concorrono all’umanizzazione e all’accettazione del
morire».9 Dal momento che la devastazione fìsica e psichica causata dai
dolori che accompagnano molte patologie e, in modo particolare, la con
dizione di terminalità oncologica sono uno dei moventi principali per la
richiesta di eutanasia, una appropriata terapia del dolore deve essere uno
dei cardini di una assistenza centrata sulla persona.
L’uso degli analgesici è lecito anche se ne derivassero torpore o mi
nore lucidità nei malati, ma «non bisogna privare della coscienza il mo
rente, se non per gravi ragioni»101quali potrebbero essere dolori violenti
e insopportabili e in ogni caso dopo avergli dato la possibilità di soddi
sfare - se lo vuole - i suoi doveri morali, familiari e religiosi. Il malato
ha infatti diritto a vivere la propria morte con dignità e libertà e a prepa
rarsi ad essa dal punto di vista umano e cristiano.
Un tempo l ’impiego di analgesici molto potenti e poco maneggevoli
poteva avere come effetto secondario Vaffrettarsi della morte. Secondo
l’opinione dei teologi cattolici e l’insegnamento autorevole del Magi
stero, è permesso utilizzare analgesici che allevino la sofferenza fìsica,
anche se si prevede che questo possa portare più rapidamente alla mor
te, se l ’unico scopo dell’intervento è lenire il dolore, se la morte non è
ricercata né voluta in nessun modo, se il dolore è di violenza tale da giu
stificare il rischio.11 È una applicazione classica del principio dell’atto a
duplice effetto. È bene tuttavia sottolineare che gli enormi progressi del
le terapie antalgiche rendono questo rischio molto più gestibile.
Né dal punto di vista medico, né da quello morale esistono, quindi,
impedimenti insormontabili ad un uso corretto e generoso dei farmaci
analgesici. Eppure esistono ancora molta ignoranza e incomprensibili
preclusioni, persino fra i medici, nei confronti della terapia del dolore.
12 B illings J.A., Recent advances: palliative care, “B ritish Medicai Journal” 321 (2000)
556.
13 La categoria di adeguatezza terapeutica è stata elaborata da don Maurizio Calipari in un
lavoro ben fondato sulla Tradizione cattolica: C alipari M., Curarsi e farsi curare: tra ab
bandono del paziente e accanimento terapeutico. Etica dell’uso dei mezzi terapeutici e di
sostegno vitale, Cinisello Balsamo (Mi) 2006. Si parla spesso di proporzionalità delle cure
in senso analogo, ma con minor precisione.
340 P arte Q uinta - La fine della vita
14 Cfr. E ngelhardt H.T., The Foundations o f Bioethics, New York 19962 (trad. it. Manua
le dì bioetica, Milano 1999, 288). Avvertiamo che questo algoritmo viene proposto dal
l’Autore in una prospettiva antropologica in cui la bassa qualità di vita rende irragionevo
le investire in cure e tutela.
C a p it o l o I — Il malato terminale fra accanimento e abbandono 341
fase della malattia nella quale non ha più senso, per esempio, insiste
re con estenuanti e ormai inutili terapie antiblastiche, gravate oltre tutto
da insopportabili effetti collaterali, o sottoporre il paziente a esami cli
nici indaginosi o ad interventi chirurgici che servono solo a rendere più
dolorosi gli ultimi giorni della vita. Chi rifiuta Vaccanimento terapeu
tico non facilita né affretta la morte della persona, ma semplicemente
accetta i limiti della vita umana. Obbligo morale del medico è quello di
conservare la salute e la vita, non quello di prolungare l ’agonia o di in
fliggere sofferenze causate dalle stesse terapie e non dalla malattia.
Una medicina umana deve saper tenere per mano chi se ne va, ac
cettando di curare senza guarire e coprendo con un pallium, un man
tello misericordioso la devastazione del male e della paura e ricordando
che quando tecnicamente “non c’è più niente da fare”, umanamente c’è
spesso ancora molto che si può fare.18
18 Cfr. U rso E, S apio A. curr., L ’accompagnamento pastorale del morente e le cure di fine
vita, Roma 2007.
19Cfr. B ankowski Z., B ryant J.H. eds., Health Policy and Human Values: European and
American Perspectives, Geneve 1988.
C a p it o l o I —Il malato terminale fra accanimento e abbandono 343
20 P uca A., Economia e politica come ideologia. Il problema del razionamento delle cure
sanitarie, “Medicina e Morale” 43 (1993) 307-330.
344 P arte Q uinta - L a fine della vita
21 Cfr. S aunders C., Vegliate con me. Hospice un’ispirazione per la cura della vita, Bolo
gna 2008; S carcella P., C alamo-S pecchia P., Il problema del malato terminale nella so
cietà attuale, “Medicina e Morale” 38 (1988) 69-87; IID. L ’assistenza ai malati terminali:
realtà intemazionali e prospettive italiane, “Medicina e Morale” 38 (1988) 411-431.
345
CAPITOLO II
L’EUTANASIA
1Alcune indicazioni in una letteratura vasta e in crescita: B ellieni C., M altoni M. cuit.,
La morte dell’eutanasia. I medici scelgono la vita, Firenze 2006; B ondolfi A., Malattia,
eutanasia, mone nella discussione contemporanea, Bologna 1989; C oncetti G., L ’euta
nasia. Aspetti giuridici, teologici e morali, Roma 1987; C uyas M., Eutanasia. L ’etica, la
libertà e la vita, Casale Monferrato (Al) 1989; D e H ennezel M., La dolce morte, Mila
no 2002; R auzi P.G., M enna L., La morte medicalizzata. Una ricerca sul comportamento
medico nei confronti dell’eutanasìa, Bologna 1993; P essina A., Eutanasia. Della dignità
del morire nell’epoca delle tecnologie, Siena 2007; S pinsanti S., P etrelli F., Scelte eti
che ed eutanasia, Milano 2003; T ambone V., S acchini D., C avoni C.D., Eutanasia e me
dicina. Il rapporto tra medicina, cultura e media, Novara 2008.
2 C arrick P , Medicai Ethics in thè Ancient World, Washington 2001, 147-172; P elliccia
G., L ’eutanasia ha una storia?, Cinisello Balsamo (Mi) 1977.
3 P latone, Repubblica, 460B.
346 P arte Q uinta - La fine della vita
Io ritengo che dovere del medico non sia solo di restituire la salute, ma an
che di alleviare sofferenze e dolori e non solo quando tale sollievo può condur
re alla guarigione, ma anche quando può servire a un felice e sereno trapasso.
Che non è piccola felicità quella che Cesare Augusto soleva augurarsi, Veuta
nasia... Viceversa i medici si fanno una sorta di scrupolo e di religione di non
intervenire più sul paziente quando hanno dichiarato inguaribile la malattia,
mentre a mio modo di vedere non dovrebbero escludere nessuna possibilità e
insieme dare l ’assistenza atta a facilitare e rendere meno gravi le sofferenze e
l’agonia della morte.4
I malati fi curano con grande affetto e non tralasciano nulla che li restituisca
alla salute, regolando le medicine e il vitto, e danno sollievo agli incurabili con
l’assistenza, con la compagnia e porgendo loro ogni aiuto possibile. Se poi il
male non solo è inguaribile, ma dà al paziente di continuo sofferenze atroci, al
lora i Sacerdoti e i Magistrati - visto che è inutile per qualsiasi compito, molesto
agli altri e gravoso a se stesso, sopravvive insomma alla propria morte - lo esor
tano a non pensare di prolungare ancora quella malattia funesta e, giacché la sua
vita non è che tormento, a non esitare a morire e che anzi, fiduciosamente, si li
beri lui stesso da quella vita amara come da una prigione o un supplizio, ovvero
acconsenta di sua volontà a farsela togliere dagli altri. Sarebbe questo un atto di
saggezza, se con la morte porrà fine non ai piaceri, ma ad un martirio ... Morire
a questo modo, quando lo hanno convinto della cosa, è onorevole.5
4 Bacone E, La dignità del progresso del sapere divino e umano, in Rossi R cur., Scritti
di filosofia, Torino 1975, 248.
5 M oro T., De optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia, lib. 2, 5.
C a p it o l o II - L ’eutanasia 347
2.2 Distinzioni
6 La parola eutanasia dovrebbe indicare una morte cercata per fuggire il dolore (l’accen
to è sullo scopo), ma sta diventando una morte data con dolcezza, senza che l’ucciso se ne
avveda o ne soffra, una morte dolce (l’accento è posto sui mezzi/modi). Questo spiega per
ché, parlando della pena di morte, si parla di eutanasìa criminale per indicare un metodo
di esecuzione che non causi dolori strazianti o agonia prolungata al condannato.
348 P arte Q uinta - L a fine della vita
7 Nella bioetica nordamericana alla voluntary e non-voluntary euthanasia nel senso qui
spiegato, si aggiunge anche la involuntary euthanasia per indicare i casi in cui il soggetto
desidererebbe vivere, ma viene egualmente ucciso (es. per evitargli gravi sofferenze).
8 Ricordiamo che l’atto volontario è l’atto con il quale la volontà si rivolge liberamente ad
un fine particolare da conseguire ed è sua volta distinto in diretto o indiretto a seconda che
l’intenzione dell’agente morale sia diretta a conseguire quel certo effetto o questo stesso
effetto consegua come semplice effetto collaterale non direttamente voluto.
C a p it o l o II - L ’eutanasia 349
9 Lo sfondo culturale dell’eutanasia e i suoi riflessi nella pratica medica in: T ambone V.,
S acchini D., C avoni C.D., Eutanasia e medicina. Il rapporto tra medicina, cultura e me
dia, Novara 2008.
10A plea fo r beneficìent euthanasia, “The Humanist” 34 (1974) July-August, 4-5: «We
hold that the tolerance, acceptance, or enforcement of the unnecessary suffering tho others
is immoral» (p. 4).
11 A ramini M., Testamento biologico. Spunti per un dibattito, Milano 2007; B ompiani A .,
Dichiarazioni anticipate di trattamento ed eutanasia. Rassegna del dibattito bioetico, Bo
logna 2008; C attorini R, Malato terminale. Una Carta per Tautodeterminazione, in Id.,
Sotto scacco. Bioetica di fine vita, Napoli 1993, 83-96; C asini C., C asini M., D i P ietro
M.L., Eluana è tutti noi. Perché una legge e perché no al “testamento biologico”, Firen
ze 2008; P ennacchini M., S acchini D., S pagnolo A.G., Evoluzione storica delle “Car
te dei diritti dei morenti”, “Medicina e Morale” 51 (2001) 651-675.
350 P arte Q uinta - L a fine della vita
12 D ’O razio E., Autodeterminazione, diritto alla vita e autonomia della persona di fi-on
te alla propria morte, “Politeia” 24 (1991) 3-5; R isicato L., Dal “diritto di vivere” al
“diritto di morire”. Riflessione sul ruolo della laicità nell’esperienza penedistica, Torino
2008; V eronesi U., Il diritto di morire. La libertà del laico di fronte alla sofferenza, Mi
lano 2005.
13 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 64.
C a p it o l o II - L ’eutanasia 351
qualità della vita , che ritiene intangibili solo le esistenze che raggiun
gono un certo standard di benessere e di prestazioni, e la bioetica della
sacralità della vita che, indipendentemente da ogni altra considerazio
ne o convenzione, ritiene degna di rispetto e di tutela ogni vita umana.
La dignità della persona e il valore della sua vita non possono essere
vanificate dalle sue esperienze, neppure da quelle più penose, perché,
quando parliamo della dignità della vita umana, non parliamo di un “va
lore per la persona” che, in determinate circostanze può rivelarsi un di
svalore e non un bene per la persona, ma parliamo di un valore che è
nella persona, un valore, cioè, che non è funzionale alla persona, ma in
trinseco ad essa.14
Considerata nella luce della fede, «l’inviolabilità del diritto alla vita
dell’essere umano innocente dal concepimento alla morte è un segno e
un’esigenza dell’inviolabilità stessa della persona, alla quale il Creatore
ha fatto il dono della vita».15 L’eutanasia è la soppressione deliberata di
una vita umana: essa viene attuata in una situazione particolare di sof
ferenza e talvolta con la convinzione di fare un gesto di pietà, ma nes
suno può attentare alla vita di un uomo senza porsi in dissonanza con il
rispetto dovuto alla vita personale, per cui ogni forma di eutanasia di
retta non è moralmente giustificabile.
Il Magistero papale si è espresso nella enciclica Evangelium Vitae
con autorevolezza assai prossima alla irreformabilità:
b. Il suicidio assistito
Si pone con crescente insistenza la questione se una persona possa
decidere di darsi la morte per sfuggire intollerabili sofferenze fisiche e
psichiche e, quindi, se sia giusto collaborare a questo tipo di suicidio
(suicidio assistito).
Sono noti gli esempi di medici antichi che aiutavano a morire i ma
lati incurabili o coloro che preferivano la morte all’esilio o al disonore,
14 Su questa linea, rimandiamo alle preziose riflessioni ispirate alla posizione kantiana in:
R eichlin M., L ’etica e la buona morte , Torino 2002.
15 C ongr. D ottr. F ede, Istr. Donum Vitae, Introduzione, n. 4.
16 G iovanni P aolo II, Lett. enc. Evangelium Vitae, n. 65.
C a p it o l o II - L ’eutanasia 353
Non è mai lecito uccidere un altro, anche se lui lo volesse, anzi se lo chie
desse perché sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare
l’anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è le
cito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere.18
c. L ’eutanasia neonatale
Un ultimo inquietante aspetto da considerare è quello della euta
nasia neonatale, consistente nell’uccisione di un neonato malforma
to o seriamente handicappato ottenuta mediante la somministrazione di
una sostanza letale o, più spesso, mediante l’omissione di una procedu
ra medica essenziale per la sua sopravvivenza (nutrizione, idratazione,
antibioticoterapia, interventi chirurgici).20 Si tratta di una eutanasia eu
genetica testimoniata in culture antiche e moderne (ricordare a Sparta
l’uso di esporre sul Taigeto i neonati malformati, pratica raccomanda
ta anche da Aristostele nella Politica e prescritta dalla Legge delle Do
dici Tavole a Roma) e giustificata sia dall’onere sociale costituito da un
handicappato sia da considerazioni pseudoumanitarie sulla povera qua
lità di vita che attende un soggetto di questo tipo.21
Fece scalpore nel 1982 il caso di Baby Doe, bambina affetta da sin
drome di Down con una fistola esofago-tracheale e altri problemi.22 No
nostante la praticabilità dell’intervento chirurgico, i genitori decisero
di non dare il consenso all’intervento di chiusura della fistola. Di fron
te al rifiuto dei medici curanti di seguire l’indicazione astensiva dei ge
nitori, la questione fu portata davanti alle corti locali e, infine, davanti
alla Corte suprema degli Stati Uniti. Nel frattempo la neonata morì,
ma l’aspro dibattito pubblico indusse l’Amministrazione del Presiden
te a stabilire delle regole di comportamento per situazioni similari. Le
linee guida, note con il nome di Baby Doe rules, affermavano che gli
interventi medico-chirurgici che sono efficaci nell’alleviare una invali
dità fisica sono eticamente obbligatori se l ’unica controindicazione ad
essi, nel caso in esame, è un deficit dello sviluppo che rientra nell’am
bito caratteristico di quella certa patologia (es. sindrome di Down) e si
dichiarava illegale «non somministrare a un bambino handicappato le
sostanze nutritive e il trattamento medico e chirurgico necessario a cor
reggere situazioni che ne minacciano la vita».23
Va certamente evitato Vaccanimento terapeutico, in cui il ricorso a te
rapie straordinarie (sia mediche sia chirurgiche) non è proporzionato ai
costi sociali e umani e soprattutto non ha altro effetto che quello di pro
lungare oltre i limiti naturali una esistenza segnata dalla sofferenza,24 ma
ripugna alla coscienza l’uccisione di creature innocenti e incapaci di di
fendersi la cui unica colpa è di non rispondere ai desideri dei genitori e
agli standard qualitativi imposti da una società egoista e chiusa ai valo
ri più nobili. L’uccisione del neonato handicappato germoglia dallo stes
so terreno nefasto in cui prospera la mentalità abortista e purtroppo sta
facendo strada in campo etico e legislativo l’idea di una sua legittimità,
«ritornando - commenta con amarezza Evangelium Vitae - a uno stato
di barbarie che si sperava di aver superato per sempre».25
Conclusione
P er una conclusione
La vita è il più grande dono di Dio. Sgorgata dal Padre, fonte del
la vita, attraverso il Figlio si comunica alla moltitudine degli esseri e
in modo singolare viene comunicata alla creatura umana. La vita uma
na, unica ad esistere in un rapporto personale e costitutivo con il suo
Creatore, è affidata da Dio alla nostra responsabilità, perché, ricono
scendone l’altissimo valore, siamo capaci di prendercene cura, tutelar
la, sostenerla, soprattutto quando si presenta più indifesa e debole. La
vita di cui abbiamo trattato nel nostro corso è stata appunto la vita del
l ’uomo, creato a immagine del Verbo della vita, di tutto l’uomo, nella
sua pluridimensionalità corporea e spirituale, nella sua storicità e insie
me nella sua tensione ad autotrascendersi nella totalità, nella sua chia
mata a compiersi nella vita eterna.
Gli stupefacenti progressi in campo scientifico e tecnologico per
mettono oggi di intervenire con efficacia a sostegno della vita umana
e prospettano orizzonti d ’azione mai neppure immaginati. Allo stesso
tempo, all’alba del nuovo millennio, idee un tempo rifiutate come aber
ranti si sono fatte strada nell’opinione pubblica, hanno trovato il soste
gno di intellettuali e scienziati, hanno guidato le scelte dei politici e si
sono tradotte in leggi che legalizzano l’illecito e giustificano l’ingiu
sto: dall’eutanasia all’aborto, dall’uccisione dei neonati handicappati
all’abbandono dei malati terminali, dalla sterilizzazione coatta allo ster
minio programmato degli embrioni congelati.
Come il primo Adamo, l ’uomo del nostro tempo vuole essere signo
re senza il Signore e si è appropriato del dono di Dio, ma così facendo si
è trasformato in un tiranno che stravolge e inquina la vita con i suoi in
terventi dissennati e orgogliosi, come testimoniano il disastro ecologico
che si sta consumando sotto i nostri occhi e la riduzione della persona a
materiale biologico plasmabile a piacimento attraverso le biotecnologie
che ne manipolano l ’identità corporea, la diagnosi prenatale compiuta
con scopi eugenetici, le tecniche di fecondazione artificiale che disso
ciano la trasmissione della vita dall’amore incarnato degli sposi. Per la
prima volta nella storia dell’umanità la scienza e la tecnica permettono
all’uomo di tendere le mani ai rami dell’albero della vita e di influire
sugli intimi meccanismi della vita umana e non umana: questo incredi
bile dilatarsi delle conoscenze e questa inedita potenza di mezzi potreb
bero diventare fonte di immensi benefici per l’umanità, ma purtroppo,
messi al servizio di una cultura di morte, stanno portando nel mondo de
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