•e
l
Leonardo Boff
Chiesa:
•
car1sma e potere
saggio di
ecclesiologia militante
quarta edizione
18mo migliaio
boria
- -- - -~- ' - - -· -- . .. . ' "
Titolo originale
I greja carisma e poder
© Editora Vozes - Petr6polis
© Edizioni Boria (S.I.L. - s.r.l.)
Via dèlle Fornaci, 50 - 00165 Roma
Traduzione di
Piet·ro Brugnoli
ISBN 88-263-0162-X
Ecclesiogenesi
le comunità di base reinventano la Chiesa
5
Raccoglie, questo sì, alcune sfide, ora critiche di fronte a
un certo tipo di tradizione, ore costruttive nella direzione
di un nuovo modello di chiesa. E le ripensa in modo
militante e anche coraggioso. ·
Tra breve, confidiamo di consegnare alla nostra chiesa
brasiliana un lavoro sistematico di ecclesiologia, che renda
giustizia alla ricchezza che qui lo Spirito suscita e insie-
me si ponga al livello delle sfide che da noi vengono vis-
sute e assunte con parrhesia apostolica. Sarà scritto in col-
laborazione con Clodovis Boff e si intitolerà De severina
Ecclesia.
Il presente testo verrà certamente capito da quanti ama..
no la chiesa con le sue rughe e macchie; e dunque da
coloro che hanno già superato una mentalità trionfalista.
Altri, invece, potranno ritenerlo del tutto superfluo, e
perfino inopportuno. Ciò non mi dispiace. Non mi torna
alla mente altro pensiero che quello di sant'Agostino, ri..
petuto dal grande filosofo Ludwig Wittgenstein:
Et multi ante nos vitam istam agentes, praestruxerunt
aerumnosas vias, per quas transire cogebamur multiplica-
to labore et dolore filiis Adam: E molti prima di noi,
vivendo questa vita, hanno costruito strade tormentose,
per le quali eravamo costretti a camminare con fatiche 1
L.B.
Santa Cruz, febbraio 1981
6
capitolo primo
..
·· pratiche pastorali
e modelli di chiesa
•• •
7
La vera ecclesiologia non la troviamo nei manuali o negli
scritti dei teologi. Essa si attua e prende vigore nella
prassi della chiesa e sta nascosta nelle istituzioni eccle-
siastiche. Di conseguenza, se vogliamo identificare le
principali tendenze eoclesiologiche del nostro continente
latino-americano, dobbiamo prima analizzare le varie pra-
tiche con i loro protagonisti e .a partire di lì studiare la
predicazione e le elaborazioni teoriche. ~ quanto cerche..
remo di fare, succintamente.
8
forza dello Spirito, ha accolto il Regno in forma esplicita
nella persona di Gesù -Cristo - il Figlio di Dio incarnato..
si nella nostra condizione di oppressione -, conserva la
memoria permanente e la coscienza del Regno, ne celebra
la presenza nel mondo e in se stessa, e possiede la
grammatica del suo annuncio, a servizio del mondo. La
chiesa non è il Regno, ma il suo segno (concretizzazione
esplicita) e strumento (mediazione) del suo compimento
nel mondo.
I tre termini sono da articolare in modo corretto. Per
primo viene il Regno, quale realtà prima e ultima che
ingloba in sé tutte le altre. Poi viene il mondo, quale
spazio della storicizzazione del Regno e della realizzazione
della chiesa. Infine viene la chiesa, qual~ realizzazione
anticipatrice e sacramentale del Regno nel mondo e me-
diazione perché il Regno si anticipi più densamente nel
mondo. Un'approssimazione esagerata della realtà della
chiesa al regno, o addirittura una sua identificazione con il
Regno, fa emergere un'immagine ecclesiale astratta, idea..
lizzata, spiritualistica e indifferente alla trama della sto-
ria. Per altro lato un'identificazione della chiesa con il
mondo proietta una immagine della chiesa secolarizzata,
mondana, che si contende il potere con gli altri poteri di
questo mondo.
Infine, una chiesa centrata su se stessa e non correlata al
Regno e al mondo fa apparire un'irr1magine ecclesiale
autosufficiente, trionfalistica, di società perfetta; la quale
duplica quelle funzioni che, di norma, competono allo
Stato e alle società civili, senza saper riconoscere l'auto..
nomia relativa della sfera secolare e la validità del di-
scorso della razionalità.
Tutte queste disarticolazioni teologiche costituiscono del-
le forme patologiche che richiedono una terapia. La buona
salute ecclesiologica sta nella relazione esatta tra Regno-
mondo-chiesa, cioè nella concatenazione che abbiamo sopra
abbozzato; e in tal modo che la realtà della chiesa appaia
sempre nell'ordine del segno concreto e storico (del regno
e della salvezza) e dello strumento (della mediazione), in
funzione del servizio di salvezza da rendere al mondo.
9
2. 1 grandi modelli ereditati dal passato
10
accostarsi a ogni cosa, ma come una regione ben delimi-
tata del reale, la cui competenza spetta alla gerarchia.
Non si dà nessuna articolazione, qui, con la realtà del
regno e del mondo . Praticamente, in questa concezione, la
chiesa si identifica con il Regno, poiché solamente in essa
il Regno trova la sua concretezza storica. Del mondo è
alleata, visto che si sente fuori del mondo, sebbene in
funzione del mondo. Questo non implica che la chiesa
non si organizzi nel ·mondo; al contrario, dato che la
salvezza e il soprannaturale passano solo attraverso di lei,
si creano opere che vanno sotto il titolo esplicito di « cat-
toliche »: sindacati cristiani, scuole cattoliche, stampa re-
ligiosa, università cattoliche, ecc. Con queste iniziative
viene garantita la presenza di Dio nel mondo. Come si
vede, la chiesa ·si costruisce in ta~ modo come separata
dal mondo, duplicando i servizi.
Quale futuro ha questo modello di chiesa? Teologicamen..
te esso è già .largamente superato dalla teologia del Conci..
lio Vaticano II. E tuttavia le pratiche tradizionali non si
lasciano smontare facilmente da una nuova teologia. Ma
•
nella misura che altre prassi ecclesiali guadagnano ege. .
monia, questo modello di chiesa - civitas Dei sulla terra
- si va emarginando, facendosi apertamente reazionario
e non solo tradizionalista. Il suo ~uturo sta legato alla
sorte dei suoi stessi vescovi, che con ·la loro scomparsa
p.ermettono di mettersi al passo con la storia. Le chances
· di ricupero sono minime. ·
J 11
seno delle classi dominanti e a partire dai loro interessi:
così i collegi, le università, i partiti cristiani, ecc. Evidente-
mente, si tratta di una visione del potere sacro articolato
con il potere civile. La chiesa dà a questo patto una sua
propria interpretazione: essa vuole servire i poveri e le
grandi masse diseredate. Esse sono bisognose, senza · mez-
zi, istruzione, partecipazione. È per aiutarle che la chiesa
si avvicina a coloro che sono effettivamente ili condizione
di poter aiutare, cioè alle classi agiate. E ne educa i figli,
appunto perché, imbevuti di spirito cristiano, essi liberino
i poveri. Alrinterno di questa strategia si è creata una
vasta rete di opere assistenziali. La chiesa vi appare una
chiesa per i poveri, ma non con i poveri e dei poveri.
Sul piano dottrinale, questo tipo di chiesa si n1ostra
conservatore e ortodosso. È sospettoso di qualsiasi inno-
vazione. La sua dogmatica rigida e la sua visione giuridi-
ca sono tipiche di chi vi occupa i posti di comando
(gerarchia). Il riferimento all'autorità, e specialmente al
papa, vi è sempre presente. Il discorso è sacerdotale,
senza nessun timbro profetico. L'edificio della fede viene
presentato come compatto e perfetto: niente vi si deve
togliere né aggiungere. Se ne devono trarre, invece, delle
conseguenze per la prassi sociale. La chiesa fondamen-
talmente vi emerge come mater et n.1agistra: su tutte · le
questioni" possiede un insegnamento, che tira fuori dal
·proprio d.eposìto fatto di Scrittura, tradizione, insegnaw
menti del Magistero e di un certo tipo di lettura della
legge na turai e.
Quanto all~articolazione Regno-mondo-chiesa, si nota qui,
effettivamente, una certa funzionalità nel rapporto con il
, mondo. La relazione si instaura con i poteri stabiliti e
non con i movimenti storici emergenti (riformatori, inno-
vatori, rivoluzionari); appunto perché la chiesa si auto-
comprende a partire da una visione giuridica e di potere
(po'lestas sacra, comunicata mediante il sacramento dei..
l'ordine). In riferimento al Regno, questo modello conti·
nua a vederlo realizzato esclusivamente nella chiesa, o nel
mondo per la mediazione della chiesa.
Quale futuro ha questo modello? Certamente gode di un
lungo respiro, radicato com'è in un substrato storico mol-
to vigoroso. Inoltre, la concentrazione del potere in poche
mani (corpo gerarchico) facilita il rapporto con gli altri
poteri
.. di questo mondo. Non è così difficile l'intesa tra i
12
«potenti>>, che decidono e fanno aggiustamenti, general-
mente, passando sulla testa del popolo; il quale, nel con-
tinente latino-americano,
•
è nello stesso tempo oppresso e
•
13 .
•
14 ..
della salvezza. Meritano di essere cercate per se stesse, e
non soltanto nella misura in cui si trovano inserite nel
progetto della chiesa. Tale prospettiva dà un carattere
teologico all'impegno dei cristiani nella lotta per la co-
struzione di un mondo più giusto e fraterno.
La chiesa, nel solco di questa teologia, si è articolata con
gli strati moderni della società, e particolarmente con
quelli impegnati per una trasformazione del mondo. Non
necessariamente si è avvicinata allo ·Stato, ma certamente
ai gruppi portatori di scienza, di tecnica, di potere politi-
co nella società civile. La chiesa stessa si è modernizzata
nelle sue strutture, adattate alla mentalità funzionale del-
la modernizzazione, si è secolarizzata in molti suoi simbo-
li, ha semplificato la liturgia rendendola adeguata allo
spirito del tempo. Il discorso della chiesa si è fatto più
profetico, nel senso di denuncia degli abusi del sistema
capitalistico e dell'emarginazione del popolo. Su questo
piano non offriva una prospettiva alternativa, ma rifar-
mista, nei termini tollerabili per i gruppi emergenti d ella
società. Fondamentalmente, essa non chiedeva un altro
tipo di società, ma più partecipazione in questa, che . al
momento presente si colloca all'interno del sistema libe-
rale moderno di capitalismo avanzato e tecnologico ..
Quanto al rapporto Regno-mondo-chiesa, la riflessione teo-
logica è stata qui molto attenta: il Regno costituisce il
grande arcobaleno sotto cui stanno mondo e chiesa. Il
mondo è il luogo dell'agire di Dio che vi v_a costruendo
sin d'ora il suo Regno, aperto all'escatologia che ancora
non si è realizzatà nella sua pienezza. La chiesa è come il
sacramento, ossia il segno e lo strumento ufficiale e pub-
blico, per mezzo del quale Cristo e il suo Spirito attuano
e accelerano il concretarsi del Regno nella storia del mon-
do, in forma esplicita e densa nello spazio della chiesa.
Per mondo, qtli, si intendeva di preferenza il mondo mo-
derno, quale prodotto della grande impresa scien-
tifico-tecnica. Con questo « mondo » la c·h iesa ha avuto un
ravvicinamento~ una riconciliazione, offrendogli la propria
collaborazione diaconale.
Quale futuro è destinato a questo modello di chiesa?
Dobbiamo riconoscerè che questo modello, numericamen-
te,· è il più diffuso in tutta l'America Latina. Praticamente
la grande maggioranza ha assimilato il Vaticano II ·e ha
fatto la virata richiesta, sia in termini di mentalità teolo-
15
gica (teoria), sia Ìll quelli di presenza al mondo (prassi).
La chiesa si è liberata da un carico tradizionale che la
rendeva poco simpatica all'uomo moderno ed è arrivata
ad elaborare una nuova codificazione della fede, rispon-
dente allo spirito critico dell'uomo urbanizzato, assimilato
dall'interno del processo produttivo capitalistico. Gli in..
tellettuali, prima a larga maggioranza anticlericali, sono
ora passati a considerare la chiesa come loro alleata. La
chiesa confida assai più nei centri del potere decisionale
che cercano di impegnarsi in compiti ecclesiali e di im-
pregnarli dello spirito nuovo nato dal Vaticano II . I vari
movimenti, quali i Cursillos de Cristiandad, il Movimen-
to Familiar Cristao, il Movimento Carismatico e altri qel
genere hanno come primo riferimento di interesse i
gruppi sociali benestanti e non il popolo proletario e
povero. Il futuro di questo tipo di presenza della chiesa a
partire dal suo collegamento con gli strati moderni della
società dipende dal destino stesso della società moderna.
La chiesa tenterà di evangelizzare tali strati partendo dai
valori e dall'ottica propri della modernizzazione. La reJa..
zione verso i poveri si definirà a partire dall'ottica dei
ricchi nei confronti dei poveri. I ricchi saranno chiamati a
venire in aiuto, 11ella causa dei poveri; ma senza che ci
sia bisogno, necessariamente, di cambiare posizione socia-
le e comportamento borghese.
16
•
associato allo sviluppo dei paesi ricchi. Una dipendenza
che significa oppressione sul piano economico, politico,
culturale. La strategia a lungo termine è quella di ot~ene
re una liberazione atta a garantire uno sviluppo auto_-
sufficiente, che miri alle necessità reali del popolo e non
al cons.u mismo dei paesi ricchi e degli strati nazionali
associati ai paesi ricchi.
17
avanzato si passa a compiti di aiuto reciproco nei problemi
della vita dei membri. . I quali, nella misura che si orga-
nizzano e approfondiscono la riflessione) si rendono conto
che i loro proJ:>lemi hanno un carattere strutturale. L'e-
marginazione è conseguenza del tipo di organizzazione
elitaria, di accumulazione privata, e, finalmente, della
struttura economico-sociale del sistema capitalistico~ E-
merge allora la questione politica, e il tema della libera-
zione assume contenuti concreti e storici. ·N on si tratta
soltanto di una liberazione dal peccato (dal quale sempre
dobbiamo liberarci), ma anche di una liberazione che ha
dimensioni storiche, (economiche, politiche e culturali).
La fede cristiana mira direttamente alla liberazione ulti. .
ma e alla libertà dei figli di Dio nel Regno. Ma include
anche le liberazioni storiche, come forma di anticipazione
e concretizzazione della liberazione ultima, solo possibile
nel compimento della storia in Dio.
18
ascolta la voce di Dio che lo chiama a esprimersi nella
comunità cristiana. Tanto uno spazio quanto l'altro sono
coperti dalla realtà del Regno di Dio. Il quale si realizza,
anche se sotto segni diversi, in entrambi gli spazi.
In primo luogo la comunità ecclesiale di base significa
qualcosa di più di uno strumento' con cui la chiesa arriva
al popolo e lo evangelizza. È una forma nuova e originale
di vivere la fede cristiana, di organizzarsi come comunità
cristian~ intorno alla Parola, ai sacramenti (quando è
possibile) e ai nuov_i ministeri esercitati dai laici (uomini
e donne). Si ha una nuova distribuzione del potere nella
comunità, assai .più partecipato, che evita ogni centraliz-
zazione e dominio a partire da un centro di potere. L'uni-
tà fede-vita, vangelo-liberazione si realizza concretamente,
senza l'artificio delle difficili mediazioni istituzionali; viene ,
19
sto non è più in gioco, qui, una chiesa « per » i poveri,
bensì una chiesa dei poveri e con i poveri. ~ solo a
partire da questa opzione e inserimento nei ceti poveri e
popolari che la chiesa definisce la sua relazione con g.l i
altri strati sociali. · Con ·questo non perde la propria catto-
licità. Le dà anzi un contenuto reale e non retorico. Essa
si dirige a tutti, ma a partire dai poveri, dalle loro istanze
e dalle loro lotte. Per questo fanno parte della tematica
essenziale di questa chiesa il cambiamento sociale, nella
direzion·e di una convivenza più giusta, i diritti umani
interpretati come diritti delle grandi maggioranze pove-
re, la giustizia sociale, la liberazione integrale che passa
principalmente per le liberazioni socio-storiche, il servizio
concreto dei diseredati, ecc .
•
20
•
•·
21
d) Un appello alla chiesa universale
Concludendo, possiamo dire: ci sono diverse prassi eccle-
siali nel continente sudamericano, ciascuna con la sua
immagine di~ chiesa nel sottofondo. Alcune prolungano
l'immagine della chiesa coloniale. Altre si adattano ai
nuovi fatti della storia, particolarmente davanti alla ne-
cessità di un Inserimento più profondo nel sistema capi-
talistico. Altre ancora, più critiche, chiedono mutamen-
ti che vanno contro la corrente dominante, ma che si
collegano organicamente al fiume sotterraneo e profondo
delle aspirazioni di liberazione dei poveri. Tali prassi
convivono e compongono la vitalità della stessa chiesa di
Cristo, che vive e soffre il suo mistero pasquale alla peri-
feria delle grandi nazioni e delle venerabili chiese euro-
pee. Ma la loro voce grida sempre più alta e può essere
udita nel cuore del centro. Pensiamo anzi che costituisca-
no un appello per tutta la chiesa, perché sia più evangeli-
ca, più serva e più segno di quella salvezza che compe-
n~tra, ·come dono di Dio, l'intero tessuto umano. Esse
incarnano ciò che dev'essere. E ciò che dev'essere ha una
forza storica invincibile.
22
capitolo secondo
pratiche teologiche
e incidenze pastorali
-
1. Dall'unica teologia alle molte tendenze teologiche
La teologia, come sapere sistematico, risulta· da un modo
tutto proprio di considerare la realtà, cioè alla luce di
Dio. Tutte le cose possiedono una dimensione teologale,
dal momento che tutte possono essere viste in riferimen-
to a Dio o contemplate partendo da Dio. In questo senso,
come prospettiva e ottica propria (la ratio formalis degli
scolastici, o il. principio di pertinenza dei moderni), la
teologia è una sola.
Ciò n.onost.a nte, si danno varie forme di realizzazione sto..
rica del compi t o teologico. Così, si può voler rilevare il
carattere sapienziale della teologia e ci imbattiamo nella
t~ologia patristica. Altre epoche sono interessate al carat-
tere scientifico, razionale e sistematico della fede: ed ecco
apparire le somme teologiche della teologia medioevale.
In altri tempi si sente l'urgenza di sottolineare il fattore
esistenziale della fede, o il suo carattere liberatorio e
sociale e ci imbattiamo nella teologia contempotanea.
Emergono così le varie tendenze teologiche. Ogni tenden-
za cerca di ascoltare l'intera verità apostolica; e si sforza
di essere fedele al vangelo enucleando tutti i dati intorno
ad- alcuni nodi decisivi o ad una preoccupazione fonda-
mentale. Di solito sono la storia e la società a proporre le
prospettive di base.
23
a) Portata e limite di ogni tendenza teologica
Nessuna tendenza può monopolizzare la teologia e pre-
sentarsi come la teologia. In tutto ciò eh~ è detto c'è
sempre il non detto. La razionalità, anche quella teologi-
ca, è limitata. Di conseguenza, nessuna generazione cri-
stiana può sistematizzare e risolvere tutte le questioni
poste dalla fede. Ne consegue che ciascuna tendenza teo-
logica deve conoscere la propria portata e principalmente
i propri limiti. Solo con tale umiltà essa può dire tutta la
verità nel frammento del tempo storico. Deve anche re-
stare aperta ad accogliere le altre forme di sistematizza..
zione della fede, sebbene sempre si sollevi la questione di
quali assunti siano i più rilevanti - e perfino decisivi -
da affrontare teologicamente, alla luce delle esigenze
concrete della chiesa concreta e della storia presen~.e.
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di poter fare un discorso totalmente ~eutrale, disimpe-
gnato e « solamente teologico». Nessuno può controllare
pienamente gli effetti delle sue parole o azioni .sui suoi
destinatari.
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citamento delle verità di questo d~posito sacro, cercando
il nesso tra i vari misteri e la loro articolazione con la
•
ragione umana.
In che modo la teologia attua tale compito? Essa tenta di
esporre in forma sistematica le verità, iniziando con il
trattato dell'apologetica (de vera religione, de revelatione,
de ecclesia) e terminando con quello sui novissimi (l).
L'applicazione si fa nel modo seguente: si presentano le
verità proposte o definite dalla chiesa; si identificano i
nemici antichi (ariani, pelagiani, ecc.) e moderni (rifar..
matori, illuministi, esistenzialisti); si adducono le prove
della Scrittura, le prove della tradizione, le ragioni teolo..
giche. La Scrittura viene considerata come un repertorio
di frasi, senza tener conto della teologia interna di eia..
scuna di queste fonti né dei vari strati della loro elabora..
zione storica. Qui ciò che importa è la chiarezza delle
verità della fede, con le sue varie qualificazioni (de: fide,
proxima fidei, opinio theologica, ecc.) e l'identificazione
delle proposizioni erronee (haereticae, pias aures offen..
dentes, ecc.).
L'incidenza di questa teologia nella pastorale è minip}a,
poiché non aiuta molto a illuminare i problemi ecclesiali,
generalmente mescolati con i problemi sociali, politici e
ideologici. Il suo maggior influsso lo ha nella catechesi
per mezzo di una metodologia di indottrinamento, senza
ulteriori ricorsi pedagogici. Nella morale è tuziorista, nel-
l'amministrazione dei sacramenti strettamente ubbidiente
alle prescrizioni canoniche. Suoi «·avversari » sono gli e. .
reti ci e gli innova tori nella teologia e nella pastorale.
Anche la sua incidenza ·n ella società si presenta minima.
Non dispone, infatti, di strumenti teoretici - né teologici
né analitici - per giudicare un sistema sociale o pronun..
ciarsi su questioni secolari. Al massimo è una teologia
delle conseguenze, sullo stile di: « Se ci fosse più mora..
Iità, se ci fosse stato più catechismo nelle famiglie e nella
scuola, non ci sarebbe la valanga di criminalità che c'è
26
adesso ». È una teologia a uso e consumo interno della
chiesa. .
Portata e limiti di questa tendenza: essa è forte nei con-.
tenuti della fede, fo'r mulati con estrema cura e precisione
.tecnica. Il fedele ha l'impressione di sapere ciò che è
certa1nente giusto e certamente sbagliato. Suo limite
principale: è poco esistenziale, non ha mordente storico,
corre il rischio di essere rigida e di creare inquisitori
degli eretici e delatori secondo le varie istanze dottrinali.
(2) Giova qui citare special,m ente Schmaus M., Katholische Dogma-
tik, Monaco, 1956; o dello stesso autore A fé da Igreia~ 4 voli.,
Petr6polis, 1973 s (originale 1970). .
' 27
'
28
- . ... . ,... .. . .
za universalmente, a tutti gli uomini, in tal modo che si
ha una sola storia della salvezza che va da Abel iusto
llsque ad ultimu1n electu;n, ricoprendo l'intera storia del·
l'umanità. La storia dell'Antico e del Nuovo Testamento
vi emerge come una storia sacramentale (segno e stru-
mento), come il momento di coscientizzazione e. di rifles-
sione della salvezza offerta a tutte le genti.. Questa co-
scienza unica, suscitata da una rivelazione specifica di Dio
al popolo di Israele, ha anche una sua storia, che è stata
codificata nella Sacra Scrittura. Questa teologia sta atten-
ta al fenomeno religioso universale, inteso come ris-posta
umana alla pro-posta divina. L'uomo si incontra sempre
sotto l'arcobaleno della grazia e çiel perdono di Dio, no-
nostante il peccato e le continue resistenze.
Il modo in cui questa tendenza fa propria tale visione è
di intendere sempre le fonti della fede (Scrittura e tradi-
zione) all'interno di un contesto più grande (storia della
salvezza/perdizione universale). Nell'argomentazione si
tiene conto anche dei testimoni principali delle altre reli·
gioni. Il dialogo ecumenico non si restringe alle chiese
cristiane, ma si apre alle religioni del mondo.
I .« nemici » di questa teologia sono gli atei teorici che si
chiudono all'apertura innata dell'uomo al Mistero; il seco-
larismo come ideologia delle realtà terrestri, considerate
autosufficienti e senza nessun riferimento a un Più Gran. .
de. .
La sua incidenza sulla pastorale: questa tendenza . ha si-
gnificato una ventata di aria fresca e ossigenata nel vec-
chio edificio dogmatico della chiesa. La sensibilità pasto-
rale vi è grande, perché mostra come la fede sia aperta
alle . altre manifestazioni di Dio nel mondo, insegna a
valorizzare i segni dei tempi - possibili latori della vo-
lontà concreta dello Spirito - , allarga la comprensione dei
sacramenti, più come segni concreti che rendono visibile
la grazia già presente e offerta che non quali strumenti
produttori di una grazia prima inesistente.
La sua incidenza sulla società: essa mostra una chiesa
aperta, capace di imparare dalle scienze moderne; discer-
ne il momento della salvezza/perdizione nelle varie istan-
ze soci~li; si interessa per tutto ciò che fa crescere l'uo-
mo, dal .rriomento che ciò aiuta a preparare la materia del
Regno di Dio, che già ha inizio qui e adesso per compier·
si nell'eternità.
29
Portata di questa teologia: mostra la reale cattolicità ·del-
la chiesa, quale le deriva dall'universalità dell'offerta di
salvezza; incentiva una prospettiva contemplativa della
vita e della storia nella misura in cui si colgono come
«gravide di Cristo e del Mistero»; supera una visione
dualista che separa il sacro e il profano, il naturale e il
soprannaturale, come fossero due realtà giustapposte.
Limite di questa tendenza: privilegia la considerazione
della storia della grazia rispetto alla storia del rifiuto e
del peccato; è esageratamente ottimista, con esaltazione
del lavoro scientifico e tecnico, senza valutare il fatto che,
nella loro concretezza storica.; tali fenomeni si prestano
attualmente ad essere strumenti di dominio -di alcuni
paesi su altri, tecnicamente più arretrati.
30
.
'
31
con le categorie naturale/soprannaturale: cioè la per-
manente apertura e chiamata dell'uomo da parte di Dio.
Limiti di questa tendenza: corre il rischio di non dare
molto peso · agli avvenimenti storici, di non vedere la sto-
ria del male con le sue .strutture e protagonisti; a forza di
sottolineare il carattere trascendentale dell'uomo e dei mi·
steri cristiant ne perde le categorialità (concretizzazioni)
intramondane; non è abbastanza dialettica nel senso che
non tiene in conto sufficiente il carattere cònflittuale della
storia.
32
•
33
Se la chiesa, nell'ultimo millennio, si è prestata a legitti-
mare l'ordine stabilito, essa è oggi chiamata a farsi fau-
trice di cambiamento e forza storica di umanizzazione del
mondo: realtà, questa, che non è indifferente a · una
teologia del Regno. La portata fondamentale di questa
teologia sta nel fatto di aver aperto nuovi campi alla
pastorale e alla riflessione teologica, necessari per la te-
stimonianza di fede nel nostro · mondo.
Suo limite principale è quello di un'analisi delle realtà
profane che non si presenta ancora ben articolata con il
discorso teologico, operando una giustapposizione dannosa
sia per la teologia cl1e per la comprensione della realtà.
34
sofferente Gesù Cristo. In secondo luogo, occorre cono-
scere per quali vie e meccanismi si produce da un lato
11na miseria urlante e dall'altro una ricchezza scandalosa.
<Jui en trana in gioco le analisi storiche, sociali, poli ti che
c.~d economiche. In terzo luogo, bisogna · leggere · questa
realtà di miseria - già decodificata con lo strumeJ).tario
socio-anali ti co - con gli occhi della fede e della teologia,
discernendovi i sentieri della grazia e le buche del pecca-
to. Infine, è necessario stabilire piste di azione pastorale
con le quali la chiesa e i cristiani siano di aiuto nel
processo di liberazione integrale. La fede cristiana porta
il proprio contributo specifico nel processo globale della
llberazione dei poveri, in quanto privilegia i mezzi non
violenti, la forza dell'amore, la capacità inesauribile del
dialogo e della persuasione e cerca anche di capire - alla
luce di criteri etici fissati nella tradizione - la violenza, a
volte inevitabile, perché imposta da coloro che ·non vcr
gliono nessun cambiamento.
I « nemici » di questa tendenza sono quanti non arrivano
a vedere la dimensione liberatoria presente nella fede
cristiana e nella vita di Gesù; quanti riducono l'espres-
sione della fede al solo ambito del culto e della pietà e si
mostrano insensibili alle grida del Giobbe di oggi che
salgono al cielo.
La sua incidenza nella pastorale della chiesa si fa eviden-
te ·n elle varie pratiche di molte chiese periferiche, nel
loro impegno nella difesa dei diritti umani, particolar-
mente dei poveri, nella denuncia delle violenze del siste-
ma capitalistico e nee>capitalistico, nella costituzione di
comunità di base dove il popolo esprime, alimenta e ar-
ticola la sua fede con le realtà di vita che lo oppri..
m ono.
Anche la sua incidenza nella vita sociale non è meno
rilevante:. la chiesa si fa compagna, per ragioni teologi-
che, di tutti quelli che lottano per una società alternativa
e ·più partecipata. La coesione teologica e pastorale del
c9rpo episcopale a favore dei poveri ha collocato la chie-
sa tra le forze più importanti della società sudamericana.
La portata di questa teologia si misura sulla sua risonan. .
.za tra i ceti intellettuali e popolari. Dopo secoli, iii forza
di questa teologia, l'interesse per la riflessione teologica è
tornato nelle strade. Ed è una teologia con una forte
dimensione profetica e missionaria. Non sono pochi quelli
35
che, al suo contatto, tornano alla chiesa per impegnarsi
con gli altri cristiani nelle riforme necessarie.
I limiti di questa tendenza: a forza di insistere sul carat-
tere strutturale del peccato sociale e sulla necessità di
una grazia essa pure sociale e strutturale, si corre il
rischio di schivare la conversione personale e la ricerca
della perfezione della vita cristiana. Si ha anche paura
che il poli ti co straripi dai suoi limi ti e finisca per occu-
pare l'intero orizzonte della fede. ·E innegabile che la
fede ha una ·dimensione politica; e che oggi tale dimen-
sione è urgente, è un'esigenza che lo Spirito fa alla sua
chiesa. Ma essa non esaurisce tutta la ricchezza della
fede, che deve trovare anche altre espressioni all'interno
del process~ di liberazione integrale, quali l'espressione
mistica, liturgica, personale.
36
capitolo terzo
la chiesa e la lotta per la giustizia
- e per il diritto dei poveri
.
(1) Folha de S. Paulo, 2/5/1976.
37
..
milioni affetti da n1alaria, 650 mila tubercolosi e 25 mila
lebbrosi (2).
Perché scandalizzarci di tali cifre? Già le conosciamo e ad
esse ci siamo sfortunamente abituati.
•
Ma questa situazione, diventata presa di coscienza, costi-
tuisce un verme nella coscienza dei ·cristiani che non ci
lascia riposare. È il fermento· che rende dinamico l'im-
pegno crescente delle chiese nella lotta per la giustizia
sociale. È il tema della nostra riflessione. •
38
t~l i
interessi corporativi della chiesa, ma quelli del popolo
spogliato. È un servizio che la chiesa rende agli oppressi
(·ontro il peccato di spogli azione a cui sta sottoposto.
l) pzione preferenziale dei poveri: è l'espressione teologica
che soggiace all'impegno cristiano. I pov~ri sono stati i
prediletti di Gesù, non per· il fatto di essere buoni e aper-
ti, ma perché poveri (Puebla, n. 1.142): «Creati a imma-
gine e somiglianza di Dio per essere suoi figli, tale imma-
gine giace oscurata e anche scarnificata » (dalla povertà).
« Per questo D.io prende la loro difesa. Cosicché i poveri
sono i primi destinatari della sua missione » (n. 1.142).
Facendo propria la causa della_ giustizia dei poveri, la
chiesa si colloca nella sequela più· pura di Gesù. Giovanni
Paolo II ricordò ai vescovi, à"-,fuebla, che l'impegno di
Gesù è stato «un impegno per"i più bisognosi» (3.3).
In questo .scenario si comprendono i vari documenti dei
nostri vescovi, che hanno avuto una risonanza universale
e rivelano il contenuto evangelico delle attività dei cri-
• •
st1an1:
Non opprimere il tuo fratello, dei vescovi di San Paolo
riuniti a Brodosqui, nel 1974;
Ho udito il clamore del mio popolo, documento dei ve-
scovi e religiosi del Nordeste, nel 1973;
Emarginazione di u.n popolo: il grido delle chiese: docu-
mento dei vescovi del Centro-Oeste del Brasile, nel 1974;
Esigenze cristiane di un ordine politico: CNBB 1977, im-
portante documento dei vescovi, che mette .}'accento sul
tema della partecipazione del cittadino e del cristiano alla
costruzione di una società giusta e, per questo, diversa da
quella in cui viviamo e s~ffriamo (3) .
...
Solidarietà dei vescovi di San Paolo e della CNBB agli
scioperi dei metallurgici dell'ABC dello .S tato di San Pao-
lo nel 1980, i maggiori della nostra storia. La ch~esa ha
riconosciuto la legittimità dello sciopero operaio per un
miglioramento degli stipendi e la durata stabile di un an-
no del lavoro. Quando ogni locale veniva proibito alla
39
-- . .. -- .. . -·- - .. - ·-- -· . -· ~- .. - · -- - . .- - . ...
40
ell~llll<·rcssatamente, a favore -de~ più poveri del. suo popo-
t.d t)) ,
(5) Cfr. Mendes De Almeida C., Açao, Justiça e Paz nas opçoes de
Puebla, in Encontro nacional de açao, justiça e paz, Curitiba, 1980,
p. 10.
41
..
.•
b) T te argomenti principali
42
..
rivela se stesso a noi come il liberatore degli oppressi e il
difensore dei poveri,· che esige dagli uomini la fede in lui
e la giustizia verso il prossimo. Soltanto nell'osservanza
dei doveri della giustizia si riconosce veramente Iddio,
quale liberatore degli oppressi» (n. 30)~ Si profferisce
qui una sentenza importante: Dio viene incontrato solo
nel cammino della giustizia. Il Dio vivo non è un Dio di
preghiere, incensi e ascetismi. Da Isaia, capitolo 1,.11-18,
apprendiamo che ciò che Dio gradisce non sono né i
sacrifici né le preghiere, ma « fare ciò che è giusto, soc-
correre l'oppresso, rendere giustizia all'orfano>> (l, 17).
Gesù, allo stesso modo, stabilisce una gerarchia di valori:
più importante dell'osservanza religiosa è « la giustizia, la
misericoidia e la fedeltà» (Mt 23, 23). L'amore è il centro
del messaggio biblico. Ma per essere vero suppone la
giustizia. Per questo i vescovi, nel Sinodo del 1971, ci
hanno insegnato che « l'amore implica di fatto una a$SO·
luta esigenza di giustizia, che consiste nel riconoscimento
della diguità e dei diritti del prossimo. La giustizia, da
parte sua, raggiunge la sua pienezza interiore solo nell'a..
more » (n. 34 ). ·
Pertanto, « amore del prossimo e giustizia non si possono
separare » (n. 34 ). La giustizia è quel minimo di amore,
senza il quale il rapporto tra le persone cessa di essere
umano e si trasforma in violenza. ·
Poiché il Dio vero è il Dio della giustizia e dell'amore, noi ci
facciamo . obbligo di denunciare l'utilizzazione . che i siste-
mi ingiusti fanno del Dio cristiano e della tradizione cri-
stiana. Si dichiarano teisti. . - Ma in realtà sono adoratori.
degli idoli del denaro, del potere, del · capitale. Il Dio vero
non lo si incontra in queste realtà, quando · si fanno e-
sclusive. Per questo D. Pedro Casaldaliga sfida tali equi-
voci con questa piccola poesia: «Quando tu dici legge, io
dico Dio. Quando tu dici pace, giustizia, amore, io dico
Dio. Quando tu dici Dio, io dico libertà, giustizia, amo-
re » ( 6 ). Dio, a p p un t o, sta solo là dove risiede la giustizia,
l'amore . e la libertà. Queste realtà · sono la sua dimora.
Mentre ·non sta automaticamente nelle parole pie. Non
ogni volta che diciamo Dio, includiamo necessariamente
la libertà, la giustizia e l'amore. Ma se non includiamo
43
•
44
.
violenza cui il sistema .economico e politico li costringe.
t·c) Altro argomento decisivo, svolto ampiamente nella E-
vangelium Nuntiandi e ripreso sotto ogni aspetto da
Puebla, è quello dell'inclusione della giustizia n€1 conte-
nuto centrale dell'evangelizzazione (tutta la terza parte
dell'Esortazione Apostolica e la seconda parte del docu- .
rncnto di Puebla, capp. 1-2).
Centro dell'evangelizzazione è «la salvezza in Gesù Cri-
sto ... che ha il suo inizio in questa v~ta e avrà compimen-
to nell'eternità » (En 27). Tale evangelizzazione « compor-
ta un messaggio esplicito ... sulla vita in comune nella
società, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia~ lo
sviluppo; un messaggio, particolarmente vigoroso ai no ..
s tri giorni, sulla liberazione » ( EN 29 ). Il papa sottolinea
con forza che la .liberazione fa parte del contenuto essen-
ziale dell'evangelizzazione ( EN 30, Puebla 351 ). Nel suo
senso più fondamentale, la liberazione è liberazione dal
peccato, dall'ingiustizia e dall'oppressione e liberazione
per la grazia della giustizia e la fraternità.
Questo contenuto non viene aggiunto al vangelo a causa
della nostra congiuntura presente. Appartiene alla sua
essenza, in ogni luogo e in ogni tempo.
45
stizia come un'anticipazione e concretizzazione del Re-
gno di Dio; il quale si trova anche in queste dimensioni,
sebbene in esse non si esaurisca. Le trascende, m~ pene-
trandole e assumendole.
•
46
'
47
Annunciando il vangelo, essa annuncia la Politica che de-
riva dal vangelo. A questa Politica è interessata, e sempre
lo sarà.
Sotto questo aspetto, dunque, la chiesa deve entrare nella
Politica. Come per la giustizia, la politica fa parte della
sua missione e della sua essenza. · La chiesa non può non
fare Politica in senso maiuscolo, appunto perché non può
restare indifferente alla giustizia o all'ingiustizia di una
causa, non può tacere di fronte allo sfruttamento mani. .
· festo del popolo. In questa Politica non si dà neutralit~:
o si è per il cambiamento, nella direzione di una maggio-
re partecipazione sociale, o si è per il mantenimento dello
status quo, che - in molti paesi come. il nostro - emar.. .
gina gran parte della popolazione. L'apoliticità, come di-
sinteresse per il bene comune e per la giustizia sociale,
viene formalmente criticata da Puebla: «La chiesa critica
coloro che tendono a ridurre lo spazio della fede alla vita
, personale e familiare, escludendo l'ordine professionale,
economico, sociale e politico; come se il peccato, l'amore,
l'orazione e il perdono non avessero importanza in tali
settori » (n. 515 ). Un testo ancor più duro afferma: « C'è
una strumentalizzazione della chiesa che può provenire
dai suoi stessi cristiani, sacerdoti e religiosi, quando an-
nunciano un vangelo senza connessioni econonziche, socia-
li, culturali e politiche. In pratica, tale mutilazione equi-
vale a .una certa collusione, benché inconsapevole, con
l'ordine costituito » (n. 558 ).
Va messo in risalto che ogni neutralità è impossibile.
Tutti abbiamo una posizione. Capita solo che alcuni non
se ne rendono conto. E sono quelli, generalmente, che
assumono la posizione ·della classe dominante, dell'ordine
costituito, che in Brasile è apertamente un 9rdine antipo-
. polare di forti disuguaglianze, e perciò ingiusto. A ragione
di questa disuguaglianza, quale si manifesta nella dispari-
tà dei salari, lo stesso Nunzio apostolico, Carmine Rocco,
ha preso posizione con i lavoratori negli scioperi di san
Paolo. Ed è apparso chiaro che con ciò non inaspriva il
conflitto, che invece aveva già un suo inasprimento ogget-
tivo nella stessa differenza brutale dei salari (8 ). La pretesa
apoliticità, secondo Puebla, sfocia in una strumentalizza. .
zione del vangelo e nella sua mutilazione. Siamo chiamati,
•
48 '
oggi, a prendere coscienza della dimensione politica pre..
~ente nel vangelo e nella fede. Lì Dio vuoi essere sèrvi-
to. Tale dimensione è oggetto dell'evangelizzazione («il
c..:ristianesimo deve evangelizzare la totalità dell'esistenza
umana, ivi compresa la dimensione politica»: n. 515) e
della celebrazione liturgica. Suo luogo sono anche il pul-
pito e la messa. Se la nostra omelia non tocca la giusti-
zia, la fraternità, . la partecipazione, se non denuncia le
violenze concrete, mutila il vangelo e maschera il messag 4
49
, _.
50
N. Distribuzione delle competenze nella chiesa
l
n) Competenza della gerarchia
Seguiremo specialmente, qui, il testo di Puebla e del Si-
nodo dei vescovi del 1971, sulla Giustizia nel mondo.
.. Sono
t'ornpiti della gerarchia:
annunciare ( « p~rola trasformatrice della società » Puebla
11. 518) e denunciare la giustizia e le situazioni di ingiustizia
(n iust. n. 36); promuovere e difendere la dignità e i dirit~
f i umani (Giust. n. 37); solidarizzare con i laici e stimo-
tarli alla creatività (Puebla ·n. 525); interpretare in ogni
11azione le aspirazioni del popolo, specialmente le ansie di
quelli che la società tende ad emarginare (Puebla n. 522).
Alla luce di questi criteri possiamo dire che i vescovi di
·;an Paolo (mons. Claudio Hummes, mons. Paulo Evaristo
Arns e la CNBB) hanno agito in modo conforme al loro
stretto ufficio pastorale appoggiando lo sciopero all'ABC
c h e chiedeva il diritto di garanzia del posto di lavoro e la
libertà sindacale (trattativa diretta, senza guinzagli del
Ministero del J....avoro ). La gerarchia non ha una compe-
tenza tecnica; non sa dire il come si deve fare. Ma ha una
competenza etica. Alla luce del vangelo può dire se una
cosa è giusta o ingiusta, se favorisce la partecipazione o
l'esclude . .« Il servizio della pace e della giustizia è un
ministero essenziale della chiesa» (Puebla n. 1304 ).
..
b) Contpetenza dei religiosi .
51
-
scienza sul dramma della miseria e sulle esigenze di giu-
stizia sociale del vangelo e . della chiesa » (s. 18 ). E termi-
na invitando ad avvicinarsi ai poveri nella loro condizione
di .povertà. Puebla insegna che i religiosi « devono anche
cooperare nella evangelizzazione del politico » (n. 528 ),
pure senza cedere alla tentazione di compromettersi in
una politica di partito (n. 528).
52
untt ·tule dei vescovi, non hanno bisogn<;> di nessun avallo
elttl proprio vescovo o parroco, senza il quale il loro mo..
vltu,·ulo non avrebbe un carattere cristiano. Il carattere
l;t·l"liuuo è dato dal fatto che i laici sono membri della
lthlrsu. ~ a titolo specifico della propria dignità di laici
l•hr rssi operano nel campo loro proprio, che è il mondo ·e
1••uuhilo politico, quello della politica di partito. Secondo
ltlu-hla, i vescovi devono «garantire la loro solidarietà,
r-.v~ •rcndone la formazione e la vita spirituale e stimolan-
e1uli alla creatività, perché compiano opzioni sempre più
t • u 1f< ,.rrni al bene comune e alle necessità dei più deboli »
( u. S2.5). « Svolgendo tali attività, agiscono solitamente di
propria iniziativa, senza coinvolgere nella propria decisio-
lu~ la responsabilità della gerarchia ecclesiastica; tuttavia,
111 qualcl1e modo, .e ssi impegnano la respons~bilità d~lla
• h i l'sa, essendo suoi ·membri >,. (Sino do, rì. 38 ). Si fa qui
u11a chiara distinzione tra gerarchia e chiesa,· quale totali-
1ft dei fedeli.
t 'c nn e si
coglie dall'intera esposizione, la politica di parti..
t •' è di competenza dei laici. Ciò non . significa che alla
l11ce del vangelo e della fede qualche partito sia in sé
raccomandabile. Si deve sempre rispettare la decisione di
t·iascuno. Dal vangelo, infatti, non si può dedurre
• •
nessun
partito specifico. Ci sono però alcuni criteri che portano
ud escludere alcuni partiti; e sono criteri che variano~
secondo le diverse situazioni storiche. Nell'America Lati..
na, di fronte a una situazione sociale ingiusta e al livello
di' coscienza che la chiesa ha acquisito, si sono elaborati
particolarmente due criteri.
Primo, la chiesa intera ha fatto un'opzione fondamentale
dei poveri (Puebla, IV parte, cap. II, nn. 1166-1205), come
espressione d~lla propria fedeltà al vangelo e al clamore
degli oppressi. Secondo, in connessione stretta con ~aie
opzione, essa ha fatto pure l'opzione della liberazione
integrale, che mira alla trasformazione dell'attuale situa-
zione in un'altra più fraterna ·)·e più giusta (nn. 470-506 ). ·
Questi due criteri, per uri cristiano cosciente che vuoi
cam1ninare con la sua chiesa, hanno la funzione di criteri
53
orientativi nel proprio giudizio sui partiti: quale di essi
favorisce di più i poveri, che sono la stragrande . maggio·
ranza del popolo? Quale di essi privilegia una liberazione
integrale?
Non si tratta soltanto di mettersi per il popolo, ma di
camminare con il popolo e di far sì che lo stesso popolo
cammini e arrivi alla propria umanizzazione.
•
•
54 •
. capitolo quarto
la questione della violazione
dei diritti umani nell·a chiesa
55
,
guardino bene dall'attribuire troppo potere all'autorità
pubblica » (n.75b ).
Nonostante tale esaltazione, la chiesa è consapevole che
la libertà, nella pratica, viene limitata dalla responsabilità
personale e sociale di fronte ai diritti degli altri, ai doveri
verso gli altri e al bene comune (DH n. 7). E tuttavia,
ogni e qualsiasi discriminazione viene data come ingiu..
stifìcabile: «Qualunque forma di discriminazione dei di-
ritti fondamentali della ·persoria, sia in campo sociale che
culturale, in ragione del sesso, della stirpe, del colore,
della condizione sociale, della lingua o religione, dev'esse..
re superata ed eliminata, come contraria al disegno di
Dio » ( GS n. 29b) (l).
56
t t ti ll~'ssaggio diretto dalla purezza. della dottrina, con la
-...., chiaroveggenza e coesione interna, alla prassi concre-
tu, t'cHI tutte le .mediazioni necessarie e le ambiguità ine-
1''' 11 i a ogni processo storico. Nessuna teoria, del resto, è
tutullnente riversabile in una pratica assolutamente con-
ltt•J.tucntc. Il quadro teorico ha funzione di modello impe..
t~hHvo, e in certo senso utopico. Le concretizzazioni stori-
l;lu· rc..~stano sempre al di qua e per questo si mostrano
1u·rfcttibili. La chiesa non si sottrae a questa difficile
tllnlcttica; in altre parole, anche in essa la teoria è. una
'' •~a c - in certo senso la pratica è un'altra.
Mu a dispetto d~lla sfasatura inevitabile tra proclamazio-
tlc' (' compimento, c'è una seconda sfasatura che deriva da
ltlf'lTanismi di potere, da insufficienze istituzionali, da ·
dhforsioni pratiche e da teorie ereditate da modelli non
plt'r adeguati alla realtà e implicanti la violazione di diritti
f undamentali della persona. Ci sono infatti violazioni di
d i ri l ti umani all'interno della chiesa. E in tendiamo rife..
1 i rei non tanto a quelli che sono frutto di abusi personali
•li potere, e che per questo hanno un carattere fortuito,
quanto a quelli che sono conseguenza di un determinat~
naodo di intendere e di organizzare la realtà ecclesiale e
C'he a motivo di ciò hanno un carattere permanente.
Il nostro lavoro si limiterà a costatare alcuni fatti più
noti, in cui il rispetto dei diritti umani si trova compro-
ltlcsso, per poi ricercarne i meccanismi di spiegazione e
nnnprensione, e infine le vie di superamento.
Non abbiamo nessuna intenzione di denigrare la chiesa,
ita cui ci troviamo con un lavoro che presuppone un'ade-
',ione esplicita al suo valore sacramentale. Ma la volontà
,fi autoaffermazione della chiesa non può dispensare dalla
propria autocritica, anzi la esige, dal momento che, pure
<f essendo santa, essa è nello stesso tempo e sempre bi-
57
ciamo un esame circa il modo di agire, i possedimenti e
Io stile di vita, che si hanno all'interno della chiesa » (n.
40). Non vogliamo, comunque, esagerare la portata della
nostra -riflessione; ma essa deve favorire una maggiore
autenticità ed efficacia all'impegno della chiesa per i dirit·
. ti delruomo; e nel momento. presente la contraddizione
principale non sta all'interno delle stesse comunità di
fede, quanto nel loro confronto con gli Stati autoritari. In
funzione • di ciò, non si deve infiacchire tatticamente la
forza denunciatrice e profetica delle chiese. La loro con.. ·
traddizione è secondaria e sarà dunque da trattare .a
uso interno.
58
'
papato al presbiterato - non sono preceduti da una con-
~1ultazione di base del Popolo di Dio; e quando, per caso,
~d fa una consulta, non se ne tiene poi conto. I dirigenti
vengono scelti per cooptazione all'ìnterno del cerchio ri-
sl retto di persone che detengono il potere ecclesiale, e in
lal 1nodo imposti alle comunità, emarginando dalla scelta
l'irnmensa maggioranza dei laici, anche di quelli che han-
no un'alta qualifica professionale, intellettuale e perfino
teologica. ·
l.a centralizzazione delle decisioni genera inevitabilmente
e 1narginazione; e tocca diritti fondamentali, quali l'infor-
nlazione, la partecipazione alle decisioni in ciò che ri-
~~uarda tutti e le responsabilità ·comunitarie. Per questo il
documento La Giustizia nel mondo, nell'intento di risanare
le ingiustizie dovute all'esclusione dei laici nelle decisioni
t·cclesiali, postulava che « I membri della chiesa, infine,
abbiano una qualche partecipazione nella preparazione
delle decisioni, secondo le norme date dal Concilio Vati-
cano II e dalla Santa Sede,· ad esempio per quanto ri~
guarda la costituzione dei Consigli, a tutti i livelli » (n.
46).
Ciii stessi sacerdoti non sono cons~derati capaci di ~iflet
lere, di organizzarsi e di decidere, nel rispetto dell'unità
nella chiesa, nei problemi che li riguardano. Nei Consigli,
nei Sinodi o in simili incontri ecclesiali, sono i vescovi
che al loro posto pensano, fanno e decidono. Giuridica-
Inente essi sono gli ausiliari del vescovo; ma per quanto
riguarda i diritti dell'« ordo » loro proprio, sono delle
semplici appendici episcopali. Tutte le volte che dei grup-
pi di preti si sono organizzati con espressione propria, si
sono immediatamente imbattuti nel sospetto, nella maldi-
cenza, nelle pressioni superiori, se non nella sospensione
e nella scomunica. La Giustizia nel mondo insiste perché i
diritti umani si realizzino all'interno della èhiesa: « Si
devono rispettare i diritti in seno ~lla chiesa. Di conse-
guenza, qualunque sia il modo con cui uno è associato
alla chiesa, non per questo dev'essere p~ivato di quei dirit-
ti che abitualmeqte gli spettano» (n. 41).
Un attrito manifesto con i diritti fondamentali della
persona umana lo si ha nella legislazione che regola la
riduzione dei sacerdoti allo stato laicale (4 ). La volontà di
'
•
f
59
lasciare il ministero ordinario viene quasi equiparata a un
peccato (5), poiché il documento (nella sua seconda parte,
sotto forma di lettera circolare) considera tali prett facen-
do proprie le parole del papa nell'enciclica Sacerdotalis cae-
libatus (n. 83) «infelicemente infedeli agli obblighi con-
~ratti nella consacrazione » o, pure tassativan1ente, « infe-
lici fratelli nel sacerdozio» (SEDOC 1971, 309). Non si
concede nessuna legittimità morale a una decisione presa
in coscienza. Non è senza ragione che essi vengono puniti
con una seri~ di proibizioni, che li riduce a uno stato
sublaicale. Tra le altre cose, chi viene ridotto allo stato
laicale non può più avere ·nessuna parte liturgica nella
celebrazione con il popolo dove la sua condizione sia
conosciuta, né può tenere l'omelia; non gli è permesso di
esercitare nessun ufficio pastorale; gli è vietato di inse-
gnare nei seminari, nelle facoltà teologiche e in simili
istituti (SEDOC 1971, 308). In un documento posteriore si
chiariscono le restrizioni, che arrivano a toccare la stessa
sussistenza dei colpiti, prescindendo dai danni fatti alla
fede e dal rapporto con la visibilità della chiesa. Non
possono aver accesso a facoltà, istituti, scuole di scienze
ecclesiatiche e religiose, (per esempio, facoltà · di diritto
canonico, · missionologia, storia della chiesa, filosofia; isti-
tuti di pastorale, pedagogia religiosa,· catec.h esi, ecc.), né
agli altri centri ·d i studi superiori, anche se non direttamen-
te dipendenti dall'autorità ecclesiastica, nei quali pure si in-
segnino discipline teologiche o religiose. In questi istituti
non si può affidare a preti sposati l'insegnamento di ma·
terie propriamente teologiche o con esse strettaiJ?.ente
connesse (per esempio, padagogia religiosa e catechesi)
60
- . . . .. .. .. ··-· .
....
(SEDOC 1973, 1049). ~ loro altresì proibito di essere
direttori di una scuola cattolica, o di esercitare l'incarico
di professore di" religione in qualsiasi scuola, cattolica e
non.
Non è difficile capire come tali discriminazioni non toc..
cano i soli sacerdoti ridotti allo stato laicale, ma la
stessa comunità, privata della loro preparazione eccezio·
naie di guida e di spiegazione della fede.
Uno dei punti che più salta agli occhi, come contrario al
senso del diritto, è il perdurare in vigore della discrimi-
nazione della donna in seno alla chiesa. Le donne sono la
metà del numero dei fedeli e le religiose dieci volte di più
dei religiosi. Nonostante ciò, giuridicamente, esse sono
considerate incapaci di esercitare pressoché ·tutte le .fun-
zioni di direzione nella chiesa. Scarsissima è la loro pre-
senza nei Segretariati romani, nelle Commissioni e nelle
Sacre Congregazioni. A causa di una tradizione culturale
attinta anche nell'espressione storica della Parola di Dio,
esse vengono escluse dal poter accedere agli uffici mini-
steriali legati al sacramento dell'ordine. Questa tradizione
è stata costituita in dottrina normativa e recentemente
riaffermata ( 6), tenendo in scarsa considerazione il peso
dell'argomentazione esegetica e dogmatica formulata dai
migliori teologi attuali (7). L'argomento fondamentale ad-
. dotto dalla Dichiarazione della Sacra Congregazione della
Dottrina della Fede non ·sembra essere né il fatto della
tradizione, contraria all'ordinazione sacerdotale delle
donn~, né l'atteggiamento di Cristo, né la pratica degli
apostoli, quanto piuttosto di ordine biologico: cioè il fat-
to che Cristo sia stato un maschio. Dice il testo: «Non si
può tr~scurare il fatto che Cristo è un uomo. E pertanto,
a meno che non si voglia ignorare l'importanza di tale
simbolismo per l'economia della rivelazione, si deve am ..
mettere che in quelle ·azioni che esigono il carattere del·
I'ord"inazione e nelle quali è rappresentato lo stesso Cristo,
autore dell'alleariza, sposo e capo della Chiesa nelreserci-
zio del suo ministero della salvezza - come avviene nel
più alto grado per l'eucaristia ·- il suo ufficio dev'essere
61
disimpegnato (ed è questo il significato originale della
parola persona) da un uomo » (p. 7).
Poiché non esiste l'uomo-maschio in astratto, ma sempre
determinato come razza, caratterizzato come lingua e si-
tuato geograficamente (nasce in posto determinato), noi ci
domandiamo: non, sarebbe allora ugualmente legittimo, e
nella logica dell'argomentazione ufficiale, l'esigere che sol-
tanto. abbia accesso al sacramento dell'ordine chi, oltre a
essere maschio, è anche - come Gesù - giudeo, nato in
Galilea, di. lingua aramaica e circonciso? Non comporta
nessuna conseguenza per la chiesa il fatto che Cristo si
sia scelto 11 apostoli sposati, e solo uno celibe? Perché ·
questo fatto non pesa nelle decisioni, e vi pesa soltanto
l'altro? Il testo reca il segno della discriminazione pre-
sente nel riservare la parola persona solamente al ma-
schio, permettendo di concludere che la donna, in quanto
incapace del sacramento dell'ordine, non è persona.
La Gaudium et Spes è tassativa, quando recrimina qual-
siasi discriminazione come contraria al piano di Dio (GS
29b).
L'arcivescovo di san Paul-Minneapolis L. Bjrne affermava
con vigore, durante il Sinodo del 1971: « Nessun argo-
mento deve servire per escludere la donna da qualsiasi
servizio ecclesiale, che sia basato puramente su precon-
cetti maschilisti e su una cieca dipendenza da tradizioni ·
puramente umane, che si riducono a rappresentazioni a . .
nacronistiche della posizione della donna nella società e a
interpretazioni fragili della Sacra Scrittura» ( 8 ). Mons.
· Paulo Evaristo Arns, arcivescovo di san Paolo, asseriva:
« Come non riflettere sulla situazione della donna nella
società e nella chiesa? Saremmo noi tanto miopi, da atte-
nerci soltanto alle disposizioni e ai costumi del passato,
senza aprirci a nuovi orizzonti su forze tanto decisive per
lo sviluppo umano?» (9).
62
b) Sul piano della formazione del.l'opinione nella chiesa
La partecipazione è legata alla circolazione delle informa-
zioni. Come i membri della chiesa potranno aiutare a
decidere, se gli vengono sottratte le informazioni necessa-
rie per formarsi delle opinioni? Le informazioni circolano
entro un ambito ecclesiale ristretto. La gerarchia è molto
sensibile alla censura che lo Stato impone alle informa·
zioni e ai canali di espression"e. Ma ci sono membri della
gerarchia che sono veri buffoni nel concentrare ogni cosa
sulla loro personale opinione e nell'impedire a qualsiasi
sacerdote o religioso di potersi esprimere tramite i canali
di formazione della pubblica opinione o di prendere posi·
zione su temi rèligiosi. La repressione, non di rado, si fa
sistematica, con la sospensione a divinis e la pressione; e
arriva fino a favorire e facilitare la riduzione allo stato
laicale. Qualunque articolo su riviste teologiche, di carat-
tere scientifico o di spiritualità, che non si armonizzi con
un certo tipo di interpretazione episcopale, o che avanzi
ipotesi teologiche di fronte ai nuovi problemi che sorgono'
nella società, provoca reazioni, spesso violente, con mi-
nacce di destituzione del redattore o di fargli affrontare
un processo dottrinale presso le istanze superiori._
Ci sono diocesi in cui il sacerdote conferenziere può par-
lare ai religiosi o a gruppi di sacerdoti solo dopo aver
compilato un formulario, il cui tenore quasi equivale a un
interrogatorio giudiziario. In altri posti, per il semplice
.
fatto di ·essere teologo, si è già in ~aspetto di eresia, di
difesa di proposizioni pericolose e di contrapposizione al-
l'autorità costituita. L'ignoranza di molti vescovi viene
surrogata dal loro autoritarismo; il quale si sottrae a
ogni razionalità, non ·sapendo ripetere altro che i pronun..
ciamenti pubblicati dall'Osservatore Romano, fino alla
monotonia. L'insicurezza genera violenza e l'abbassamento
dell'altro è la .controfaccia dell'autoaffermazione. Non ci
si deve dunque meravigliare se il servilismo e la piattezza
caratt.erizzano la produzione culturale cattolica~ Dom
Hélder Camara ha coniato un'espressione che riassume
tutto un discorso: gran parte della stampa cattolica è sue-
cube del matrimonio che il diavolo ha introdotto nella
63
chiesa: quello della mediocrità che si unisce al cattivo
gusto. · Tale connubio spurio deriva dall'eccessivo controllo
ideologico sull'intelligenza. La quale soltanto prospera e
produce sull'humus della lib_ertà. Per questo il documento
su L4 Giustizia nel mondo proclama che « La chiesa rico-
nosce a tutti il diritto di una ·conveniente libertà di
espressione e di pensiero, che suppone anche il diritto di
ciascuno di essere ascoltato, in uno spirito di dialogo che
garantisca una legittima diversità nella chiesa » (n. 44).
64
oscure della sofferenza solitaria, alle turbe psichiche e,
come è già accaduto in questo secolo, alla morte fisica. Il
15 gennaio del 1971 è stato pubblicato il regolamento per
l'esame delle dottrine, emanato dalla Sacra Congregazione
per la Dottrina della Fede (l'antico Sant'Ufficio e Santa
Inquisizione). Vi si esercita una forma di autorità che,
per il senso che oggi abbiamo del diritto, taglia alle radici
una serie di diritti. umani perfino. sacrosanti in alcune
società manifestamente atee ( 11 ).
Il processo viene aperto dando ascolto alle accuse, senza
che lo stesso accusato ne sia · a conoscenza. In una fase
posteriore, quando si sono assunte posizio11i all'interno
della stessa Congregazione, l'accusato viene informato e
sollecitato a rispondere ai vari quesiti in questione. Gene-
ralmente si tratta di frasi estrapolate dal contesto loro
proprio, mozzate e, non di rado, mal tradotte (12) in lati-
no dall'originale. L'accu$ato non può accedere agli atti, né
alle accuse concrete, né ai vari pareri dei teologi della
Sacra Congregazione. Per questo c'è un apposito Relator
pro auctore. Ma l'accusato non ne conosce il nome, né
può nominarlo lui stesso. Si tratta di un processo dottri-
nale kafkiano, in cui l'accusatore, il difensore, il legislato-
re e il giudice sono la Sacra Congregazione e le medesime
persone. Non c'è diritto a un avvocato, nessun possibile
· ricorso a un'altra istanza. Tutto si svolge in un segreto
che, per la mancanza di u~ diritto acquisito, provoca
dicerie, dannose alla persona e all'attività dell'accusato~
L'unico diritto dell'accusato è quello di rispondere alle
sollecitazioni che gli vengono dalla Sacra Congregazione
per la Dottrina della Fede. Egli non -~PUÒ contare su una
sua qualunque risposta o domanda, né può essere infor-
mato sull'andamento del processo. La lettera incrimina-
trice già gli arriva, previamente a ogni difesa, con le
qualifiche della condanna. Le proposizioni dell'accusato
sono « theologicae incertae, periculosae, erroneae », non
(11) Cfr. il Regolamento per l'esame della Dottrina, in SEDOC, 3
( 1971), 1075-1076. Cfr. pure l'intervista del Segretario della s.e. per
la Dottrina della Fede, J. Hammer, in Herderkorrespondenz, 28
(1974), Ì38-246. Cfr. le interviste critiche del giurista cattolico J.
Neumann, nella stessa rivista citata, pp. 287-297 e del teologo Hans
Kting, 27 (1973), pp. 422-427.
(12) Cfr. il processo contro il biblista cattolico H. Haag sul peccato
originale, Ein Verfahren der GlaubensKongregation, in « Theologi-
sche Quartalschrift » 153 (1973), pp. 184·192, spec. 190.
65
conciliabili con la « dottrina cattolica» e con la « regula
fidei ». Alla fine, ancor prima della risposta dell'accusato,
già si ha la punizione: egli non può più né scrivere né
parlare sui temi in questione. Ciò che gli resta, .general-
mente, non è altro che firmare la propria condanna, come
ha detto Hans Kilng (13). Il colloquio che chiama a Roma
l'accusato, come sua ultima opportunità di giustificazione,
viene condotto senza le garanzie gi~ridiche che costitui-
scono un'evi~enza negli Stati di diritto: non si ha accesso
agli atti, né ci si può aiutare con un avvocato. A ragione
H. Kling, che ha accumulato amare esperienze in questo
settore, si domanda: « Sembra che un teologo cattolico
debba andare a Roma come i cecoslavacchi vanno a Mo-
sca per un colloquio con il Politburo sovietico ... Ma un
colloquio ha senso quando è vero dia-logo, un mutuo
parlarsi e ascoltarsi, e non un dictat da parte di alcuni
che esigono la ca p i tolazione incondizionata di altri » ( 14 ).
Evidentemente, è con1pito del Magistero ecclesiastico di
presentare la dottrina cristiana e di difenderla contro i
possibili errori. È un impegno e un dovere di aiuto reso
alla comunità dei fedeli, che non esclude - come ultima
ratio - eventuali processi dottrinali. ~ tuttavia, in questi
casi, si deve pur seguire il principio di sussidiarietà. In
.Primo luogo, ci dovrebbero essere degli organi competenti
p_resso le conferenze episcopali, che sottomettano a pro-
va le dottrine teologiche divulgate che fanno attrito con
la dottrina comune ed entrano in conflitto con i fedeli. La
Sacra Congregazione -resterebbe l'istanza superiore e a-
vrebbe una funzione collegata con le· conferenze nazionali.
In secondo luogo, le indagini si dovrebbero effettuare nel
66
quadro di un processo formale e limpido, i cui promotori
dovrebbero essere disgiunti dalle istanze decisionali. I di..
ritti dell'accusato dovrebbero essere assicurati. In terzo
luogo, l'accusato,. fin dall'inizio, dovrebbe avere la possibi. .
lità di esporre la sua dott.rin? e di difendersi. Il che
presuppone un accesso agli atti e la sçelta di un avvocato
teologico competente, che possa aiutarlo a esporre e a spie-
gare la propria dottrina e sia capace di tradurla in un
altro orizzonte e in un'altra grammatica che risultino
comprensibili per coloro che devono decidere.~ Verreb-
bero così chiariti molti problemi di ordine scientifico,
storico-dogmatico ed esegetico, che costituiscono un fre-
quente motivo di accuse e processi presso la Sacra Con- .
gregazione (15).
La regula fidei e la doctrina catholica, sempre brandite
dalla Sacra Congregazione, sono a servizio della fede nella
salvezza apportata e contenuta .in Gesù Cristo. Funzione
della teologia, non meno che del Magistero, è di presenta-
re sempre la sostanza della fede in tal modo, che possa
essere vissuta esistenzialmente dai fedeli e sia pure plau-
sibile per la ragione umana, nella concretezza storica di
ciascuna epoca. La regula fidei vuoi conservare e preserva-
re l'essenza della fede e non, invece, metterla in conserva
entro formule immutabili. Il fatto straordinario della fede
cristiana sta appunto nel conservare sempre la propria
identità nei vari cambiamenti della storia, e nelle _d if..
ferenti formulazioni. È stato così fin dall'inizio, con i
Vangeli. E così sarà finché ci sarà la storia. Ciò che
cambia è il nostro modo di sperimentare il mondo, i
nostri problemi. Se la teologia non considera questi fatto·
ri storici e non li inserisce nella sua presentazione della
fede cristiana, allora la regula fidei diventa una caricatura
di realtà tramontate e vuote. I grandi teologi come san
·G iovanni, san Paolo, Origene, Agostino, Tommaso d'A-
quino, Mohler, Rahner e altri hanno avuto il coraggio di
_far proprie le domande del loro tempo f di cercar di
cavare dall'arsenale della fede delle risposte pertinenti.
Ma questo non si fa còn la pura ripetizione di formule,
bensì tentando di ricreare una nuova grammatica e una
nuova sintassi della fede in ciascuna epoca (16). Di fronte
67
\
ai possibili sviamenti in questo compito - che chiamano
alla responsabilità di difendere la retta comprensione del-
la fede sotto forma di indagine su determinate dottrine
teologiche - si deve procedere in tal modo che non si
violino i diritti essenziali e la qignità della persona. Per
questo La Giustizia nel mondo proclamava: « Nei proces-
si giudiziari si deve concedere all'imputato il diritto di
conoscere i suoi accusatori, come pure il diritto a un'ade-
guata qifesa. La giustizia, per essere completa, deve in-
cludere la rapidità del processo » (n. 45 ).
Sono questi alcuni dei problemi che interpellano la cre-
dibilità della chiesa nella sua proclamazione e lotta per i
diritti umani. Ci sarebbero molte altre questioni, qui non
ventilate, specialmente quella della liturgia, ad esempio.'
Mà queste ci possono bastare, per tenerci avvertiti all'oc-
correnza.
3. Tentativi di spiegazione
...
l . o scarto tra teoria e prassi ecclesiale, riguardo ai diritti
umani, costituisce una sfida alla sua retta interpretazione.
Sarebbe miope un'interpretazione che attribuisse sempli·
cemente tale contraddizione a eventuali deficienze umane
dei detentori dell'autorità nella chiesa, vittime di una
'
comprensione dottrinale della fede o di istinti rudimenta-
li di potere e di autoaffermazione. Tutto ciò si può certo
dare, in casi particolari. Dove c'è autorità, sempre si pos . .
sono avere degli abusi.
Dobbiamo tuttavia riconoscere che nella grande maggio-
ranza dei casi ci troviarno davanti a buona fede, ljmpidità
di coscienza, moralità personale irreprensibile. Il problema
si situa pertanto a un livello più profondo. Tocca un dato
strutturale che, nella sua logica e funzionamento, non
dipende in · larga parte dalle persone. Ci accosteremo al
problema da diversi punti di vista, per svelare n1eglio il
meccanismo che genera la contraddizione di cui trattia-
mo.
69
" · - ;o.•·~ ·=-- ·-,-· ,...... --.... . ·-- --- ... -- -·. -· ·- ·-·· ·- --·· - .. .
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della catechesi, della teologia e dell'esercizio accettato
della struttura del potere garantisce. la gestione della
stessa struttura di generazione in generazione (19. È fuori
discussione che ogni .vera autorità umana soggiace all'au-
torità divina. Questo vale in modo eminente per la chiesa
di Cristo. Ma il problema che si pone è se la struttura
attu~le di potere può invocare direttamente la propria
origine divina, nei vari meccanismi della sua diversifica-
zione (papa-vescovo-presbitero-laico ), o se questi ·mecca-
nismi procedono dall'impatto storico della chiesa e del..
l'autorità divina. È possibile, in buona teologia e con il
supporto di un filone che viene dal Nuovo Testamentot
· sostenere che l'autorità di Cristo è presente, in senso
primario e fondamentale, in tutta la chiesa, corpo di Cri-
sto; e che solo in seguito si differenzia organicamente nei
suoi diversi. gestori (papa, vescovi, ecc.). Le forme di
concretizzazione apparterrebbero al contributo delle di-
verse situazioni culturali.
In realtà, le comunità cristiane primitiye si sono tro-
vate nella ferrea necessità di doversi istituzionalizzare. E
necessariamente e inevitabilmente esse hanno assunto le
forme sociali e politiche del mondo circostante, nelle qua-
li incarnavano l'autorità venuta loro da Dio e da Cristo.
L'attuale struttura di potere della chiesa è debitrice di
rappresentazioni di potere che datano da secoli e che in
essa hanno trovato convergenza. Specialmente sono da
evidenziarne due: l'esperienza del potere romano e quella
della struttura medioevale. Di esse la chiesa ha assimilato
costumi, titoli, espressioni, simboli di potere. La gerarchia
- come parola e come concezione - è un risultato di
questo processo. Questa necessaria « mondanizzazione »
della chiesa era una condizione della sua continuità nel
mondo; e come incarnazione, si può dire teologicamente,
è anche gradita a Dio. Ma questo stile romano e feudale
del potere ecclesiale, senza connotazione peggiorativa,
perdura fino ad oggi, e - a nostro modo di vedere
costituisce una delle fonti principali di attrito con la
coscienza che oggi abbiamo dei diritti •
umani.
L'autorità di stile romano e feudale si caratterizza, in
(19) Cfr. l'analisi particolareggiata del sistema di potere nella
chiesa fatta da C. A. Medina e Pedro A. Ribeiro De Oliveira, Auto-
ridade · e participaçào, Petr6polis, 1973. AA.VV., Macht, Dienst,
Herrschaft in Kirche und Gesellschaft, Friburgo, 1974.
70
•
primo luogo, per una gerarchia piramidale distinta in
differenti « ordines » (Tertulliano ). In secondo luogo co-
stituisce una gerarchia personalizzata. Il portatore del
potere lo è a vita; la sua volontà fa legge (lex animata)
all'interno del. proprio « or do », ma si trova lui stesso
legato per obbedienza all'« or do » superiore. In terzo luo-
go, si tratta di una gerarchia sacrale e cosmica. In altre
parole: la sua legittin1azione non viene dal basso ma
dall'alto, dalla volontà di Dio. Quanto più uno si ·trova in
alto nella piramide, tanto più sta vicino a Dio e partecipa
del suo potere divino. Obbedire al super~ore, fondamen-
talmente, è ubbidire a Dio. L'ubbidienza, anche civile, è
un atto religioso. In quarto luogo, l'autorità di stile ro-
mano e feudale è una gerarchia intoccabile e non soggetta
ad alcuna critica interna. Gli ordini sono buoni perché
vengono dall'autorità, legittimata dall'alto. La critica al-
l'interno di un'istanza è impossibile. Ci si può solo appel-
lare all'istanza superiore. Una rivoluzione nata dal basso
equivarebbe a una rivoluzione nell'universo, a una con-
vulsione universale. Di qui, ogni mentalità trasformatrice
equivarrebbe a un attentato contro Dio, autore dell'ordine
e della piramide del potere sacro (20).
Tale comprensione dell'autorità ha favorito l'ordine e l'in-
tegrazione, e ha dato senso alla vita personale e sociale.
L'esperienza della chiesa nelle marche di questa struttura
di potere è stata tanto profonda e fortunata, da arrivare
a cristallizzarsi fino ai nostri giorni, pass.a ndo quasi inco-
lume attraverso le grandi rivoluzioni moderne, responsa-
bili della nascita di nuove strutture di potere (rivoluzioni
francese, industriale, socialista, ecc). Sotto gli attacchi
provenienti dalle trasformazioni sociali degli ultimi secoli
la chiesa ha dovuto affermare se stessa politicamente e
dottrinaln1ente. Ma ciò che essa difende, in verità, non è
tanto l'autorità divina, quanto una forma storica cl1e tale
autorità divina ha assunto. La sua forma e il suo stile
hanno cambiato ben poco, mentre ha mutato lo spessore
della sua validità e del suo riconoscimento. In altri tempi,
l'intera società la riconosceva; oggi cresce sempre più il
ghetto in cui si vede ridotta. I..a grande società ·non presta
(20) Merton Th., Fede e violenza, Brescia, 1965, p. 59: « Un giorno
a venire, lo storico onesto avrà da dire cose amare sul contri-
buto della chiesa nella creazione della mentalità di massa, del
collettivismo e della dittatura ».
71
attenzione a ciò cl1e accade nella chiesa, in termini di
potere, per il fatto che la sua presenza non è più decisiva
nelle décisioni che modificano la storia di una nazione.
Questa struttura centralizzata di potere genera emargina-
zione, specialn1ente dei laici. Strutturalmente risultano
decurtatè le vie di una partecipazione più effettiva nelle
decisioni che interessano l'intera comunità. I laici non ·
sono considerati dei latori e produttori del materiale
simbolico. Stanno alla base della pirarnide, sprovvisti di
potere. La loro verità e la loro parola è solo eco della
voce delle istanze superiori. Ma è qui che si ledono
strutturalmente (indipendentemente dalla buona o cattiva
volontà dei membri della chiesa) dei diritti sacri della
persona umana.
Come vedremo in seguito, il Concilio Vaticano II si è reso
conto d ella storicità delle forme di potere ecclesiali e ha
elaborato una comprensione teologica dell'autorità più.
collegiale e meno monarchica, in sé più adeguata a ìncen-
tivare nuove strutture di partecipazione alla vita ecclesia-
le. Ciò specialmente nella Lun/zen Genti un'l (chiesa), nella
Christus Dominus (vescovi) nella Apostolicam Actuosita-
tenz (laici) e n ella Gaudium et Spes (chiesa e n1ondo
moderno).
72
trice della rivelazione di Dio al mondo, con la missione di
proclamarla, spiegarla, mantenerla sempre intatta e pura
e difenderla (22). Tale rivelazione è contenuta nelle Sacre
Scritture e la loro interpretazione legittima spetta al ma-
gistero della chiesa. La rivelazione, da parte sua/ viene
intesa dottrinalmente, come un insieme di verità necessa-
rie per la salvezza. ·
Sta qui il nodo gordiano del problema: la comprensione
« dottrinale » della rivelazione. Dio rivela delle verità ne-
cessarie, alcune irraggiungibili dalla ragione, altre com-
prensibili, ma ugualmente rivelate allo scopo di facilita.re
il cammino della salvezza. Pertanto, il magistero possiede
- come ricevuto da Dio - un complesso di verità asso-
lute, infallibili, divine. Il magistero incarna un discorso e
articola una dottrina assoluta, sgombra da qualsiasi dub-
bio. Qualsiasi interrogativo che nasca dalla vita e inter-=
pelli la dottrina può solo essere equivoco, La vita, l'espe-
rienza, tutto ciò che viene dal basso viene sostituito dalla
dottrina (23 ).
Tale corr1prensione della rivelazione divina come comuni·
cazione di verità porta immediatamente con sé una con-
seguenza grave quanto al proble1na dei diritti umani, che
si chiama intolleranza e dogmatismo. Chi è portatore di
una verità assoluta, divina e sicut oportet ad salutem
consequendam non può tollerare nessun'altra verità. « Il
destino di quelli che pretendono di possedere la verita è
l'intolleranza » (R. Al ves). La salvezza, pertando, dipende
dalla conoscenza della verità ortodossa. Discorso ed esse-
re coincidono: chi ha la verità divina è salvo. La verità è
73
più decisiva della bontà. L'inquisizione non si preoccupa-
va dei crimini morali, ma di quelli che si riferivano alla
. verità ortodossa (24 ). Chi commette uno SGjvolone morale
pecca, ma non mette in scacco il quadro di comprensione
e il ·s istema delle verità, con i poteri che essi implicano.
Certo, si contraddice la verità, ma ci si confessa peccato.. ·
ri, riconoscendo il quadro di validità. L'eretico, invece,
nega la validità del quadro delle verità e proclama, senza
mezzi termini né pentimenti, ·un'altra verità. All'interno
della comprensione dottrinale della rivelazione, l'eretico è
colpevole non solo contro l'unità della chiesa, ma anche
contro la realtà stessa della chiesa-portatrice-delle-verità..
divine. Egli equivale a un ateo, e in tal senso viene qua..
lificato da un editto di Costantino (Eusebio, Vita Con-
stantini 3, 64 ). Il rigore implacabile dell'Inquisizione si
impone per la logica ferrea e necessitante dello stesso ·
sistema; esso regola anche oggi la mentalità dottrinaria
dei preposti alla Sacra Congregazione per la Dottrina
della Fede.
Finché durerà questo tipo di comprensione dogmatica e
dottrinale della rivelazione e della salvezza di Gesù Cristo,
si dovrà sempre fare i conti irrimediabilmente con la re-
pressione della libertà del pensiero divergente dentro la
chiesa. La repressione si attuerà all'interno della più pura
coscienza di compiere un dovere sacrosanto e con la mi-
glior buona volontà di preservare il diritto divino della
rivelazione, di fronte al quale ogni diritto umano deve
cedere il posto. Per un superamento di tale comprensione
dottrinale, rimando al mio studio nella « REB » 35 (1975), ·
pp. 853-879: Che vuol dire far teologia a partire dall'Ame-
rica Latina oppressa.
c) Approccio strutturale
I due approcci precedenti non danno una spiegazione
sufficiente dello scarto esistente tra coscienza dei diritti
umani e sua non-realizzazione storica in seno alla chiesa.
Le due approssimazioni interpretative, infatti, si situano
74
sul piano delle idee e delle rappresentazioni. Tale piano
ne occulta un altro più profondo e strutturale, e ad esso
rimanda: quello della prassi concreta degli. uomini, den-
tro condizionamenti ben definiti in termini di potere. Le
idee non sono dei sostantivi che camminino da sé; sono
dei prodotti di una vita concreta e stanno in funzione di
essa. In altre parole: un fenomeno, per capirsi struttu-
ralmente, non deve partire da quello che gli uomini pen-
sano e dicono (anche se, come rilevavamo sopra, esso può
avere una relativa autonomia), ma da quanto gli uomini
effettivamente fanno nel loro processo di vita reale (25).
Nella chiesa i membri che detengono gli strumenti della
produzione religiosa~ che è ~imbolica, detengono pure il
potere e creano e controllano il discorso ufficiale. Sotto
l'angolatura sociologica, nella chiesa vige un'innegabile
divisione e disuguaglianza: un gruppo vi produce il mate-
riale simbolico e un altro soltanto lo consuma. Si ha
l'crdinato che può produrre, celebrare e decidere; e il
non-ordinato che assiste e dà l'assenso. rutta la capacità
degli esclusi di produrre e di partecipare decisionalmente
cessa di venir utilizzata. Il gruppo dententore dei mezzi
di produzione simbolica elabora la propria teologia cor-
rispettiva, che viene così a giustificare, rafforzare e socia-
lizzare il suo potere, con l'attribuire un'origine divina alla
forma storica del suo esercizio. Da qui si ha che la forma
centralizzata, monarchica ed esclusiva del suo funziona-
mento, non meno della concezione dottrinale della rivela-
zione e della salvezza, sono ritenute intoccabili e irrefor-
mabili, perché volute (in tale forma concreta) da Dio.
75
Questa comprensione, tuttavia, va mascherando il conflit·
to reale che le è soggiacente, quello cioè del potere degli
uni sopra gli altri. Un potere che non vuoi abdicare i suoi
privilegi e diritti, anche se entra in attrito con dei diritti
inviolabili della persona umana (di partecipare, produrre
simboli, esprimersi liberamente, ecc.). i\i laici si . fa crede-
re, per il fatto di essere semplici cristiani, che si trovano
davanti a realtà divine che li escludono e li subordinano,
senza appello, a tln gruppo il cui potere viene dall'alto. Il
fatto è tanto più grave, in quqnto tale comprensione vie-
ne dogn1atizzata e resa irrefortnabìle. Altro non resta, al
laico, se non accettare di avere dei diritti che gli sono
riconosciuti dalla gerarchia, e che tuttavia non può eser-
citare perché non trovano copertura nella forma dell'or-
ganizzazione ecclesiale. I diritti umani perdono così il
loro carattere ·inalienabile e si passa a violarli.
Insistiamo: ciò che è in discussione, non è la legittimità
dell'autorità nella chiesa. Essa esiste ed è voluta da Dio.
In questione è la forma storica esclusiva della sua orga-
nizzazione e della teologia che vi si è creata sopra, con
funzione di giustificazione ideologica delle ·relazioni squi-
librate di potere tra i membrf della rnedesirna chiesa.
La disuguaglianza strutturale prodotta dalla detenzione
dei mezzi di produzione simbolica da parte di un gruppo
genera una situazione di conflitto permanente quanto ai
diritti umani.
4. Vie di superamento
76
•
so re globale, ·e la chiesa che ne vive incarnandolo nel
mondo, non sono realtà che favoriscono il dominio degli
uni sugli altri o l'imbavagliamento delle libertà. Al con-
trario, suppongono, garantiscono e · promuovono la libertà,
la fraternità e il servizio mutuo disinteressato. Noi vivia-
mo nella «legge della libertà» (Gc l, 25; 2, 12) e «perché
fossimo liberi, ·cristo ci ha liberati » (Gal 5, l). Questi
imperativi dei testi costitutivi ·non cesseranno di fermen-
tare speranze e di informare dei modi di agire che porti-
no a tali ideali.
In primo luogo bi.s ogna esorcizzare la tentazione idealista,
che b·asti far ricorso. a dei cambiamenti di coscienza per
arrivare a un mutamento strutturale nella chiesa. Più che
le nuove idee sono le prassi diverse (con il supporto delle
rispettive teorie) a modificare la realtà ecclesiale. Tali
modifiche, a loro volta, aprono la strada a una corrispon-
dente comprensione teorica e tematica, favorendo una
nuova lettura del vangelo e della tradizione.
In riferimento alla prassi, dobbiamo riconoscere che in
questi ultimi anni, e con accento particolare a partire dal
Concilio, si sono fatti dei passi estremamente importanti.
Come la chiesa, in altri tempi, ha assunto il regime ro-
Inano e feudale, così sta ora assumendo anche delle far ..
me attinte dalle nostre società civili, che meglio quadrano
con la nostra sensibilità per i diritti umani. Ci riferiamo
qui alla tanto discussa questione della democratizzazione
nella chiesa. Prima di indicare contenuti concreti e forme
di organizzazione del potere, essa significa un titolo per
intenzioni e strutture di tipo diverso (pur rispettando la
figura fondamentale della chiesa con i suoi elementi in-
tangibili, come la rivelazione di Gesù Cristo, le dottrine
fondamentali sulla sua persona e opera, gli imperativi
etici implicati nel suo n1essaggio, la sacramentalità della
chiesa), favorendo una partecipazione la più larga possi-
bile e una comunità libera e fraterna (26). Rari sono i ·
membri della gerarchia che ancora coltivano la figura
.feudale centralistica, mentre si fa sempre più urgente
rimmagine del vescovo e del prete come veri pastori,
leaders religiosi in seno al popolo, in un servizio sgombro
di ogni titolatura e in uno stile di vita che lasci trasparire
77
le orme evangeliche della diaconia. Sarebbe troppo lungo
e fuori luogo, qui, un elenco particolareggiato delle varie
trasformazioni che si stanno realizzando ai vari livelli del
potere ecclesiastico (27). E non solo si vanno modificando
(e umanizzando) vari modi di esercizio del potere stabili-
to; ma stanno anche nascendo nuove forme di essere
chiesa, specialmente nelle comunità ecclesiali. di base, che
ci fanno pensare a una vera e propria ecclesiogenesi.
In secondo luogo, questa prassi diversa di chiesa, più
adeguata a soddi~fare le esigenze dei diritti umani, ci
apre alla comprensione evangelica dell'autorità e ci fa
coscienti dei presuppqsti present'i nel concetto imperante
di autorità ecclesiale, quali derivano da una . metafisica
della creazione, del potere assoluto del Creatore e del-
l'armonia universale: elementi tutti che hanno ben poco a
vedere con la comprensione neotestamentaria d~l servizio.
L'autorità della e nella chiesa viene dall'autorità di Ge-
sù. « Gesù possiede e rivela autorità in tutto ciò che dice
e fa; e appunto perché l'uomo la sente come un'autorità
sollecita, liberante e benefica. In altre parole: l'autorità
di Gesù va intesa come pienezza della salvezza. Ma Gesù
non si è appellato alla sua pienezza di poteri, non si è
preoccupato di Iegittimarla, non vi si è vanagloriato. Ha
cercato il dialogo con la libertà degli uomini. Ha provoca-
to la libertà ... Se Gesù ha autorità, è perché agisce usan-
do l'autorità della libertà e dell'amore, e autorizza gli
uon1i.ni a realizzare azione creative, vivendo l'amore e la
libertà >> ( 28 ).
L'autorità ecclesiale, che si situa nella tradizione di Gesù,
deve fondarsi nell'uguaglianza dei fratelli (Gal 3, 26-29:
siete tutti uno nel Cristo; Mt 23, 8: voi siete tutti fratelli;
Gc 2, 2-4: non fate nessuna distinzione tra voi), nella fra-
ternità che si oppone a qualsiasi culto della personalità,·
con le qualificazioni di maestro, padre, ecc. (Mt 23, 8-9) e
in un servizio che escluda ogni dominazione e pretesa di
ultima istanza (1\1c 10, 42-45; Le 22, 25-27; Gv 13, 14). Tale
autorità si · è incarnata in modo diverso nella chiesa pri-
78
.·
...
mitiva: nelle comunità paoline (Corinto) era strutturata
carismaticamente; nella comunità di Gerusalemn1e aveva
una struttura sinagoga!e (consiglio di · presbiteri); nelle
comunità delle epistole pastorali aveva una st~uttura
centralizzata ·SU dei delegati apostolici con il loro presbi-
terio, riducendo di · molto la partecipazione di ciascun
battezzato, che per Paolo .era portatore dello Spirito. Ma
poco importa la fprma, si trattava sempre di un servizio.
La linea che ha predominato, però, è stata quella delle
lettere pastorali, dove compare la ·figura del ministro do-
tato di un potere ricevuto mediante l'imposizione delle
ma~i e si dà origine, in tal modo, ai diversi ordini nella
chiesa. Sta qui, in germe, ~ ove non sia presente la
rnistica del servizio - quel fuoco che andrà poi divam-
pando come discriminazione tra fra t e l 1i di fede, a tal
punto che gli ordinati si cattureranno l'intero potere n ~ lla
chiesa. Questo fa certamente a pugni con l'intenzione
fondamentale di fraternità presente n el n1essaggio di Ge-
sù. La forma centralizzata costituisce una forma di potere
che per ragioni storiche (nel caso specifico, la mi_n accia
dell'agnosticismo) si può anche giustificare, mq che non
può pretendere . per sé una vigenza esclusiva per tutti i
secoli a venire. La diversità delle forme di autorità pre-
senti nel Nuovo Testamento suggerisce un'altra direzione.
L'autorità era collegiale prima di essere monarchica (29).
Il Concilio Vaticano II, influenzato da prassi e stili nuovi
di autorità nella chiesa, ha accolto ridea della collegialità
non solo a livello episcopale, ma in· un certo senso anche
a livello dell'intera chiesa. Così, per esen1pio, mentre la
teologia preconciliare escludeva i laici da qualunque
ufficio, in quanto non-ordinati, il Vaticano II insegna che
« col battesimo essi sono r esi partecipi, nell~ loro misu-
ra, dell'ufficio ·s acerdotale~. profetico e r egale di Cristo, per
cui compiono per la loro parte, nella chiesa e nel mondo,
la missione _di tutto il popolo cristiano » (LG 31 ). Mentre
l'enciclica Humani Generis di Pio XII (1950) insegnava
che la gerarchia è l'unica responsabile dell'amministra-
zione della Parola di Dio (n. 18), il Vaticano II, coerente-
79
mente, afferma che anche i laici « annunciano la venuta
di Cristo, spiegano la sua dottrina » ( AA 16 ). .
Infine, nella teologia e nella chiesa, sta avvenendo un
superamento progressivo della comprensione dottrinale
della rivelazione e della fede, che portava a un fatale
dogmatismo. Dio, radicalmente, non ci ha rivelato delle
proposizioni vere su se stesso, sull'uomo e sulla salvezza.
Egli ci ha rivelato se stesso nel suo mistero, nella sua
vita e nel suo disegno di salvezza. È la vita divina che ha
invaso la vita un1ana. Ciò che ci salva non sono le verità
formulate in frasi, ma Dio stesso che si dà a noi come
nostra salvezza. La fede, nel suo senso originario, consiste
nell'adesione totale al Dio vivo e non sen1plicemente nel-
l'accettazione di un credo -fatto di proposizioni.
La dottrina ha una sua funzione, n1a in un mon1ento
derivato. Nella formulazione delle dottrine sulla rivelazio-
ne e sulla salvezza entrano delle varianti che sono di
ordine culturale e che pertanto stanno dalla pa_rte del-
l'uomo. Le dottrine variano, come si può osservare nella
stessa Bibbia; ma sono tutte articolate in tal modo da
lasciar riconoscere la presenza della salvezza e del Dio
•
VlVO.
La chiesa non si presenta solo come portatrice della rive-
lazione e della salvezza; a ragione essa si sente anche
responsabile della dottrina (regula fidei), poiché ci sono
dottrine e modi di articolare la fede e la rivelazione che
portano a una falsa rappresentazione di Dio e del suo
amore. La fede deve poter sempre · riconoscersi nelle dot~
trine e nelle teologie. È il criterio di giustizia di qualun-
que teologia che voglia presentarsi alla comunità ecclesia-
le. Qui entra in gioco la vigilanza della chiesa; la quale
·tuttavia non. può, senza pervertirsi, cadere nella rigidità
dogmatica e nella fissità dottrinale, come se lq dottrina
..
fosse l'ultilna istanza, mentre è sempre una traduzione
storico-culturale della rivelazione di Dio. In definitiva, ciò
che ci fa partecipi della salvezza non sono le nostre dottri-
ne, ma le prassi conseguenti, nate dall'.incontro con il
Dio vivo e vero.
Tale comprensione esistenziale e biblica della rivelazione
e della fede apre gli spazi ad accostamenti molteplici alla
Verità assoluta. La quale sarà un dono escatologico. Nella
storia le nostre formulazioni esprimono la Verità assolu-
ta, ma non arrjvano a esprimere tutto l'assoluto della
80
Verità. In ciò che è detto resta sen1pre il non-detto e ogni
punto di v..i.sta sarà sempre più corto di una spanna. Per
questo ci. sarà sempre la possibilità di esprimere la fede
in dottrine espresse nei termini intelliggibili di un'altra
cultura, anzi, di. un'altra classe sociale.
5. Conclusione
81
·capitolo quinto
il potere e l'istituzione
nella chiesa possono convertirsi?
'
82
.
· · ·· · · -..,-s". z;,g; c 4:•4?,.-1!-:•,, .
. .. .......... .. . ····-· ··· - - · . . ·- .. ·--· -·· ....... ·--·-·· -~- ·- -· ·-- .. - ·--·
83
diamo per chiesa la comunità di · quelli che credono e
testimoniano nel mondo la presenza del Cristo risorto,
come evento anticipatore e pieno di senso della risurre-
zione dell'uomo e dell'universo; ma intendiamo l'organiz-
zazione di questa comunità dei fedeli, con la sua gerar-
chia, i suoi poteri sacri, i suoi dogmi, i suoi riti, i suoi
canoni e la sua tradizione (3 ). Attraverso l'organizzazione
istituzionale, la comunità risponde alle necessità che si
fanno sentire dentro di essa in chiave di stabilità, conser-
vazione della propria identità, propagazione del vangelo,
assistenza interna, governo, ecc. Nessuna comunità può
sussistere senza un minimo di istituzione che le dia unità,
coerenza e identità. L'istituzione non è un « in sé », rr1a
una funzione in favore della comunità di fede. Di conse-
guenza, essa è sempre un dato derivato, deve cam1ninare
allo stesso passo delle trasformazioni storiche per cui
passa la comunità, deve affrontarne le rotture e trovarvi .
risposte istituzionali adeguate. Questo processo storico di
fedeltà e di servizio reso alla comunità e al Signòre in
essa presente, lo chiamiamo « conversione permanente )>.
Essa implica un atteggiamento di spogliamento e di po.:
vertà internaJ che permette all'istituzione di lanciare a
conquiste meravigliose quando percepisce che lo si deve
fare, per servire alla comunità. e al Signore in essa ope~
rante. Solo sulla misura di tale conversione permanente
la comunità con le sue istituzioni si porrà come servizio
di salvezza per il mondo. In caso contrario, essa s~rà un
piccolo mondo a sé dentro il grande mondo, un ghetto
-·-----, ··,, che si autoglorifica salvificamente, tradendo in tal modo la
propria ine~udibile vocazione all'universalità. Quella élite
conoscitiva che è la comunità cristiana, in un mondo che
ancora non ha aderito ad essa, non può, senza tradire la
sua essenza cattolica, considerare come esclusivamente
propria quella salvezza di Dio che appartiene a tutti. Essa
è al servizio della salvezza, di essa partecipa, non tiene
il possesso.
Ogni istituzione si caratterizza per la durata, la stabilità e
le regole del gioco che stabilisce tra i suoi men1bri ( 4 ). Per
84
'
'
.
.
queste caratteristiche, l'istituzione corre il rischio di pel-
t lere il passo della storia, di bastare a se stessa, di di-
ruenticare la propria funzionalità, di generare passività,
1nonotonia, meccanicità e alienazione. Tutto comincia con
il comprendersi ideologicamente quale l'epifania delle
1)rom esse già in essa con1piute. Allora essa si mette sopra
quella comunità cui dovrebbe servire. La verità viene so·
st ituita dalla sicurezza interna del sistema. Si creano
~;cismi nell'amputazione di quei movimenti che non si
lasciano .inquadrare nelle maglie · dell'istituzione. Ogni isti-
luzione tende a ontocratizzarsi, cioè a trasformarsi in un
~"'istema di potere e di repressione che esclude la creativi-
l ù e l'autocritica. L'istituzione ha sempre a che fare con il
potere. Ma, come affermava eccellentemente Lord Acton,
'}gni potere tende a corrompersi, e il potere assoluto a
,·orrompersi assolutamente.
<'tnne vedremo lungo questo lavoro, l'istituzione della
,·fdesa non è restata esente da questa disfunzione. Il po-
fcre è stato per essa una terribile tentazione di predomi-
ltio e di sostituzione di Dio e di Gesù Cristo. E in certe
l'poche essa vi ha ceduto disastrosamente. La sclerosi ·
istituzionale conseguente ha impedito alla chiesa di ri-
,. ,pondere adeguatamente alle sfide che le venivano dalle
rotture del mondo moderno, le ha dato occasione di venir
,·onsiderata come un ridotto di conservatorismo antievan..
J•.elico e ha fatto sì che nella prassi ecclesiale si introdu-
t·esse una spaccatura profç:>nda tra chiesa-Popolo-di-Dio e
,-Jliesa-gerarchia: tra questa chiesa che pensa, dice e non
fa e quell'altra che non deve pensare, non può parlare,
111a che fa. Questa spaccatura pratica è tanto più grave, in
quanto le dichiarazioni proclamatorie del Concilio Vati-
t'ano II sulla chiesa-Popolo-di-Dio e sulla funzione del ·
laicato solo ora stanno superando il livello di un super-
Iici al e verbalismo teologico.
(:h c chance ha, questa chiesa istituzione, di attuare il
v; tngelo e di rispondere, alla sua luce, alle grandi sfide del
1t1ondo d'oggi? Un mondo che si è costruito, ormai da
l
quattro secolC a lato, fuori, in contumacia e, certe volte,
contro la chiesa. Quali speranze possiamo nutrire? Quali
critiche - con la libertà che il vangelo con~ente a ogni
fedele e che Cristo ha inaugurato di fronte alle istituzioni
del suo tempo - possiamo e anche dobbiamo formulare?
Quale tipo di conversione si impone?
86
mitiva, e particolarmente Paolo, ha avuto anche la preoc~
cupazione di interpretare la novità dell'esistenza cristiana
in una prospettiva teologica globale,· in discussiòni sofisti..
cate con la tradizione veterotestamentaria e rabbinica.
Occorreva prendere domestichezza, concettualmente, con
l'irruzione cristiana. ·E fu opera dei vangeli e della teolo~
gia paolina di elaborare delle sintesi impressionanti e
vigorose. Le comunità della terza .generazione, quella delle
Lettere cattoliche, già venivano a trovarsi in una situazio-
ne più tranquilla. Erano già fondate, possedevano le sin-
tesi teologiche precedenti. I loro problemi non sono più
quelli della costruzione, ma della conservazione, del retto·
ordine nella comunità e del mantenimento della dottrina
nella sua purezza. Compaiono allora i primi albori ·di
quegli elementi che saranno poi decisivi per la chiesa
istituzionale posteriore (7).
L'elemento decisivo della chiesa dei primi tre secoli, tut-
tavia, non è stato l'aspetto istituzionale (8). L'unità era
garantita dalla concordanza nella fede e dallo stesso co-
raggio per la martyria pubblica, e non dalle strutture
istituzionali. È vero che l'impatto con l'eresia ha obbliga-
to la comunità a definire il Canone del Nuovo Testamento
e la linea della successione apostolica, due grandi pilastri
dell'istituzione ecclesiale. Ma la chiesa resta libera dal
potere. È povera e fatta di poveri. È ricca di contestato-
ri della religione e della morale ufficiali, e per questo è
consacrata dai martiri. Affermazioni audaci come quelle
di sant'Ignazio « niente senza il vescovo, tutto con il ve-
scovo » (Fil 7, l), o «i vescovi sono portatori di Cri-
sto e portatori di Dio » (Magn 3, l; Sn1 8, 1); o « i dia-
coni si devono venerare con1e i comandamenti di Dio
e lo stesso Cristo » (Tr 3, l; Sm 8, l), sono del tutto
alieni da qualsivoglia episcopalismo posteriore. Perché
qui vige non una visione giuridica e bramosa di potere,
ma la visione mistica che vede il Christus praesens risor-
(7) Per la problematica storico-teologica delle tre · prime generazioni
cristiane, si vedano i libri molto importanti di Hasenhiittl G.t Cha-
risma, Ordnungsprinzip der Kirche, Friburgo, ·1969; Dias P.t Viel~
falt der K irche in der Vielfalt d er JilngerJ Zeugen und Diener, Fri-
burgo, 1968; Kiing H., A I greja 1, Mora es, 1970; Daniélou J. e Mar~
rou H., N o va hist6ria da I gteja, Petr6polis, 1966.
(8) Cfr. Warwick D., A centralizaçao da autoridade eclesiastica:
U1'na perspectiva organizacional, in « Concilium », 91 (1974), pp.
101-109.
87
to farsi presente nelle persone _carismatiche che disim-
pegnano funzioni di servizio e di unità nella comunità.
L'autorità di tali persone deriva dal loro vivere in modo
esemplare il mistero di Cristo e non ancora dal potere
sacro di cui sono state investite.
La situazione si modifica radicalmente con l'avvento della
virata constantiniana. Da religio illicita il cristianesimo si
fa religione ufficiale e pertanto ideologia sacrale dell'Im-
pero. Per la chiesa è la grande opportunità di non restare
più un ·ghetto, ma di farsi veramente ecclesia univer-
salis. La sua grande avventura culturale e politica ha
inizio. Ed essa fa l'esperienza del potere, con tutti i rischi
che questo implica. Aprofitterà del kairos storico per arti-
colare il potere nel senso specifico di Gesù, diverso da
quello dei pagani, con le conseguenze di un modo diverso
di convivenza umana, di un diverso umanesimo, di un
diverso significato per l'apparato politico?
Tutto è avvenuto troppo rapidamente. La chiesa, nono-
stante le persecuzioni, pare che non fosse preparata ad
affrontare evangelicamente le sfide del potere. Essa non
abolì l'ordine preesistente. Lo assunse e vi si adattò.
Offerse all'Impero un'ideologia che sosteneva l'ordine co..
stituito e sacralizzava il mondo pagano: « La religione
che ha contrassegnato l'occidente non è stata propria-
mente il messaggio cristiano, ma una sintesi tra la religio-
. ne antica e quella cristiana ». Così uno studioso moderno
concludeva la sua ricerca sulle origini del regime di cri-
stianità e della. religione di Stato (9). Con l'entrata nella
chiesa dei funzionari dell'Impero che dovevano immettervi
la nuova ideologia statale, si verificò piuttosto una paga-
nizzazione del cristianesimo che non una cristianizzazione
del paganesimo (10). La chiesa, fino al 312 più movimento
che istituzione, passò ad essere la grande erede delle
istituzioni dell'Impero: diritto, organizzazione in diocesi e
parrocchie, centralizzazione burocratica, cariche e titoli.
La chiesa-istituzione si accomodò di buon grado alle rea!- .
tà politiche e alle uniformità inesorabili. Diede inizio a
una traiettoria di potere che dura fino al presente e il cui·
tramonto, pare, non è ancora dato intravvedere.
(9) Hernegger R., Macht ohne Auftrag? Die Entstehung der Staats.-
und Volkskirche, Olten e Friburgo, 1963, p. 431.
(10) Cfr. Comblin J., Théologie de la révolution, cit., p. 244.
88
'
La categoria chiave di autocomprensione della chiesa sarà
lout court quella di potestas. La chiesa comprenderà se
·'' 'essai fondamentalmente, come quella comunità che è
investita di potere (gerarchia) di fronte a un'alt~a comu-
llità destituita di potere (Popolo di Dio dei laici), sulla
quale si esercita il potere. Il potere si instaur erà come
l'orizzonte massimo, a partire dal quale sarà assimilato,
t·ompreso e annunciato il vang~lo. Cristo è 1'/mperator, il
Signore u11iversale, non più il Servo sofferente, colui che
affrontò i poteri di questo mondo e quell'Imper.o di cui il
papa è erede, un Gesù che ha decisamente rinunciato a
<)gni potere e 1nagnificenza terrena ( 11 ). La chiesa-istitu ..
89
logica interna di pretendere più potere, di essere un di-
nosauro insaziabile che sottomette tutto e tutti ai propri
dettami.
Nel secolo XI, con Gregorio VII, si ha una virata decisiva
dentro la stessa struttura del potere ( 12 ). Nel suo Dicta-
tus Papae (1075) il papa si erge contro la prepotenza del
potere secolare, che degenera in simonia, nic_olaismo e in
ogni sorta di sacrilegi, e inaugura l'ideologia del potere
assoluto del papato. Il supporto non è la figura di Gesù
Cristo povero, umile e debole, ma Dio, il Signore onnipo·
tente dell'universo e la fònte unica del potere. Il papa
intende se stesso, misticamente} come l'unico riflesso del
potere divino nell'ordine della creazione. Egli ne è il vica-
rio e il luogotenente. Si posson~ così capire le proposi- ·
zioni seguenti del Dictatu~ Papae: «Solo il Pontefice ro-
mano merita di essere chiamato universale» (2); « Il suo
legato, in un Concilio, comanda a tutti i vescovi, anche se
è di ordine inferiore; e soltanto lui può pronunciare la
sentenza di deposizione » ( 4 ); « Il papa è l'unico uomo a
cui tutti i principi baciano i piedi » (9); << Il suo verdetto
non deve esser riformato da nessuno e lui da solo puq
riformare quello di tutti» (18); « Egli non d eve essere
giudicato da nessuno» (19); «La chiesa romana non ha
mai errato e, come att.estano le Scritture, non potrà mai
errare » (22); « Il Pontefice romano, se sia stato ordinato
·canonicamente, è indubbiamente santo, per i meriti di
san . Pietro » (23 ).
Il Summus Pontifex veniva così ad assumere l'eredità del-
l'Impero romano e a costituirsi come potere assoluto,
sposando nella sua persona il sacerdotiu1n e il regnum.
Era la dittatura del papato. A partire da lì si è elaborata
la teologia della cosiddetta ·« cefalizzazione », cioè del
capo come pienezza di senso e di pote~e. L'espressione .
Caput (capo), nel Nuovo Testarnento riservata soltanto a
Cristo, viene qui applicata al papa, quale detentore di
tutti i valori e i poteri di Dio, di Cristo, della chiesa, del
popolo, dell'Impero, del Collegio episcopale. Commenta
90
•• • ... . .. l . .. ' .,. • ••
(14) Cfr. Meditazioni, vol. I, pp. 89-90; altrettanti esempi sono ad-
dotti da Ki.ing H., Unfehlbar? Bine Anfrage, Zurigo, 1970, passim.
91
..
denziato
. -
in modo paurosamente convincente dalla teolo-
gia ufficiale ai tempi di Pio XII e dalla teologia curiale
che preparò i. testi per il Concilio Vaticano II, poi mas-
sicciamente rigettati perché non traducevano la fede viva
della chiesa-Popolo-di-Dio. La chiesa, in pratica, sarà u-
n'unica· ed enorme diocesi, nella quale il papa~ dal mo~
mento che non può arrivare a tutt~, istituisce dei vicari
( vices suas agentes) che partecipano del suo potere. I
dogmi saranno letti giuridicamente e i canoni giuridici
dogmaticamente. L'unità, intesa come conformità e uni-
formità, impedisce di vedere la conflittualità come un
segno di varietà e di vita, degradandola ad elemento pato-
logico, generatore di divisioni e di scisrni. La soluzione
più semplice e facile sarà quella di eliminarla. È tipico di
ogni struttura di potere di tagliar corto su tutto quanto
non si inquadra· nel sistema (15). La chiesa, sorta come
rottura della sinagoga, corre il rischio di trasformarsi
essa stessa in una sinagoga, in una grande setta chiusa in
se stessa e controllata in tutto dal clero. La logica del
potere è di voler più potere, di conservarsi, preservarsi,
scendere a compro1nessi e , in caso di rischio, fare conces-
sioni pur di sopravvivere. È appunto quanto si può ri-.
scontrare nella storia della chiesa-istituzione.
Il potere ecclesiastico ha sempre inteso se stesso come
potere di legazione divina. Tuttavia il divino, nel potere
della chiesa-istituzione, è solo di origine. Il suo esercizio
concreto ha ben poco di divino, ma si evolve nella logica
di qualsiasi altro potere umano, con tutte le sue astuzie.
Analisi sociologiche recenti hanno rivelato chiaramente il
tipo di estrema centralizzazione, cui è soggetto il potere
decisionale nella chiesa-istituzione ( 16 ). Riportiamo qui u-
na pagina di un brasiliano, in cui si traccia un parallelo
sorprendente tra la forma di governo della chiesa e quel·
la del partito comunista sovietico:
« Quando si studiano le posizioni politiche dell'istituzione,
92
si deve badare all'importanza del tutto particolare che vi
occupano il papa e i vescovi. Essi sono per antonomasia
gli attori della politica ecclesiale. I preti sono gli attori di
supporto - quello che gli inglesi chiamano il supporting
cast - e i laici le comparse. La posizione del papa, in
rapporto agli altri membri della gerarchia, è assai simile
a quella che corrisponde al segretario generale del Partito
comunista sovietico prima della rivoluzione cinese. Il pa..
pa, per tradizione, è la guida infallibile della politica e,
per dogma, l'interprete infallibile della dottrina. Il segra-
tario generale del PCUS era in una posizione equivalente:
egli aveva una sua autorità « teologica » riconosciuta ed era
l'interprete principale del corpo dottrinale, le opere di
Marx e "di Lenin. Tanto l'uno che l'altro erano capi di due
gigantesche burocrazie che inglobavano l'insieme dei fedeli
- le masse cristiane o il proletariato socialista ma che
si definivano come loro avanguardie e si arrogavano il di~
ritto di parlare in loro nome. Esse, pertanto, avevano ttna
libertà analoga nel determinare la linea politica da segui~
re che il compless9 multinazionale degli apparati doveva
seguire sotto il loro comando. Tale linea politica era in-
variabilmente congeniale agli interessi particolari del
centro decisionale, cioè a quelli del Vaticano e rispetti-
vamente dell'Unione Sovietica. La sua ingerenza nei pro-
blemi interni degli apparati locali - chiese ·nazionali,
partiti fratelli - era fondata sugli stessi principi del
riconoscimento gerarchico e della solidarietà internazio-
nalista. La base organizzativa per l'esercizio del potere
era costituita da un gruppo di élite, selezionato dal per-
sonale professionale, a pieno tempo, in seno al quale
vigeva un chiaro predominio nazionale: la Curia romana,
a maggioranza italiana - il Politburo, a maggioranza rusM
sà. Nonostante l'importanza esecutiva e dottrinale del
gruppo di élite, i poteri per l'elezione del capo restavano
nelle mani di un'assemblea i cui componenti nazionali
erano meno omogenei: il Collegio cardinalizio e il. Comi-
tato centrale. In teoria il reclutamento dei quadri non
faceva discriminazioni riguardo a determinati gruppi so-
ciali e offriva a tutti uguali opportunità di ascesa. Tutta-
via si privilegiava la borghesia da una parte e il proleta-
riato dall'altra. Questi quadri avevano l'obbligo comune
di aderire senza critiche alle strutture del potere costitui-
to e di promettergli obbedienza. La loro libertà di espres-
93
sione era limitata dall'appello alle ragioni superiori -
l'interesse del proletariato e d·e lla rivoluzione, o quelle
della chiesa - i cui limiti soltanto gli arbitri supremi
erano in .. grado di definire. La formazione ·dei quadri, in
entrambi i casi, si realizzava in scuole sp~cializzate, la cui
ideologia veniva rigidamente controllata da un apparato
burocratico e i cui professori erano scelti sul criterio
dell'ortodossia, della lealtà e della conoscenza del corpo
dottrinale. Le due burocrazie disponevano di organismi
specializzati. Tra essi, queqi incaricati della vigilanza sul-
la dottrina, della sua propaganda, delle relazioni interna-
zionali, avevano un'importanza particolare. Tanto l'una
che l'altra contavano su assembleè internazionali prepara-
te a lungo per risolvere i problemi teorici, rafforzare 'il
controllo da parte del dirigente supremo e far fronte alle
crisi e alle scissioni: i concili e i sinodi da una parte, le ·
conferenze dei partiti comunisti dall'altra. Lo sviluppo
delle organizzazioni locali era basato su una politica di
esportazione del personale a pieno tempo, specializzato
nel proselitismo e nella propaganda. L'insegnamento ideo-
logico si assomigliava per la sua inflessibilità, che esclu-
deva ogni démarche intermedia e teneva come unica la
propria spiegazione della storia: l'evoluzione mediante la
riconciliazione degli uomini, e rispettivamente il progres-
so attraverso la lotta di classe. L'inflessibilità ideologica
produceva un'uguale intolleranza verso gli scismatici e
stava alla radice degli organismi di polizia; delle regole
limitative della libertà di espressione, dei sondaggi e delle
purghe. La differenza fondamentale · la troviamo nella
maggior solidità del capo della burocrazia più antica. Il
papa, infatti, non ha nessun vis-à-vis nelle chiese naziona-
li, mentre il segretario generale del PCUS era obbligato a
vedersela con i segretari generali .dei partiti fratelli che,
in teoria, avevano la sua stessa importanza. Per questo le
ragioni dottrinali dell'egemonia del papa sono più esplici-
te. Quando la distensione internazionale, favorevole a
Ulf n1aggior pluralismo, e l'evoluzione interna delle istitu-
zioni, favorevole a un'elaborazione teorica più libera,
hanno premuto all'interno delle due burocrazie, è stato il
potere del papa a resistere meglio ai contestatori. Anche
oggigiorno, quando si studia la politica delle chiese na..
zionali, è quasi d'obbligo rifarsi alle parole d'ordine del
Sovrano Pontefice pronunciate trent'anni prima. Cosa che
94
•
95
contro le rivoluzioni ( 1789), contro i valori oggi sacrosanti
della libertà di coscienza - ancora condannata nel 1846
da Gregorio XVI come deliramentum (DS ~730) - della
libertà di opinione - anatematizzata. come . « errore pesti-
lentissimo » dallo stesso papa (DS 2731) - , contro la
democrazia, ecc. ( 19 ).
Forse la chiesa-istituzione, nel pronunciarsi con voce
sempre più chiara a favore della liberazione, a partire dal
1968, arriverà con questo a introdurre una spaccatura
nella storia? In quanto potere, la chiesa-istituz"ione . ·ha
paura di tutte le trasformazioni che mettono in rischio
la sicurezza del potere acquisito. E il potere non ha mai
abdicato da sé. Spartisce solo quando rischia di soccom-
bere. L'istituzione cerca sempre di stare con i vincitori.
Da qui la facilità con cui Roma, centro della chiesa-istitu-
zione, ratifica rivoluzioni vittoriose e diritti conquistati
col lavoro e col sangue. Nella lotta se ne stava ufficial~
mente assente o neutrale; nella vittoria, quando ormai
tutti i rischi sono passati e si sono superate tutte le
ambiguità, essa è presente e proclama una conquista in
più del vangelo. È troppo facile incamerare come proprie
le libertà conquistate da altri. « Allora riconoscerà tali nuo-
ve libertà come prima aveva riconosciuto la validità delle
catene che le impedivano » (20). Perché strutturata in
modo centralizzato e autoritario, essa ·può adeguarsi sen-
za grandi problemi di coscienza ai regimi autoritari, e
perfino totalitari, a condizione di non vedere intaccati i
suoi diritti. «In qualunque situazione cruciale, il compor-
tamento della chiesa cattolica può essere previsto con un
forte margine di sicurezza, riferendoci sia ai suoi interes-
si concreti come organizzazione politica, sia ai suoi dogmi
96
eterni. Possiamo spingerei più oltre e dichiarare che tali
dogmi sono flessibili e ambgui quanto basta, perché la
chiesa si possa accomodare alla grande varietà delle con-
dizioni politiche, che vanno dalla scuola democratica fi-
no alla dittatura totalitaria » (21 ). Giinter Lewy, nel suo
1ninuzioso studio su La chiesa cattolica e la Germania
'
nazista, ha mostrato come la chiesa-istituzione, a confron-
to con un'ideologia estremamente ·totalitaria come il na-
zismo, sia stata capace di separare i suoi obiettivi ideali e
la sua din1ensione evangelica dai suoi interessi di soprav-
vivenza. I vescovi condannarono gli eccessi interni al si-
stema, ma concludendo sempre chiaramente che «la reli-
gione cattolica non si oppone maggiormente al regim~
nazista che a qualsiasi altro » ( 22), benché fosse noto a
tutti che la politica di genocidio praticata dal regime
nazista costituiva parte integrante della dottrina nazional-
socialista. La chiesa-istituzione non agisce profeticamen-
te, a rischio di venir eliminata da una data regione. Pre-
ferisce sopravvivere, comportandosi opportunisticamente,
anche se si trova davanti a violazioni gravissime dei dirit-
ti umani, quali lo stern1inio di milioni di ebrei e di mi-
gliaia di intellettuali cattolici polacchi, com.e nel caso del-
la seconda guerra mondiale.
A questo proposito è da notare la grande differenza tra la
chiesa dei primi tre secoli e la chiesa posteriore, che fa
l'esperienza del potere. La chiesa primeva era profetica.
Andava contenta alle torture e sapeva coraggiosamente
morire nel martirio. Non si curava della propria soprav-
97
vivenza, perché fiduciosa nella promessa del Signore che
le garantiva l'indefettibilità. Questa non costituiva un
problema della raison de l'Eglise. Era un problema di
Dio. I vescovi cam1ninavano a fianco, confermando i fra-
telli a morire per il Signore. La chiesa seguente} invece, si
fa opportunista: cerca di difendere il proprio spazio nel
mondo. L'indefettibilità non è un problema di fede, ma
un risultato della prudenza e dell'accomodamento umano
che le permette, pure con gravi tensioni rispetto alle
esigenze evangeliche, di sopravvivere anche in seno ai
regimi più totalitari. Il vescovo non è colui che percorre
il cammino di libertà della testimonianza e del n1artirio.
Piuttosto, comunemente, è uno spintonato, che va dietro.
al gregge; e, non di rado, assiste alla decimazione dei suoi
profeti pieno di paura, di reticenze e di appelli alla fedel-
tà: non a Cristo m.a alla chiesa-istituzione. Per sopravvi-
vere, la chiesa-istituzione arriverà anche ad adattare le
interpretazioni delle sue dottrine. Esemplare il caso del-
l'uso. della violenza e del diritto all'insurrezione. C'è una
linea che parte dalle encicliche di Gregorio XVI
(1831-1846), Pio IX del Syllabus (1864), passando per Leo-
ne XIII (enciclica Quod Apostolici Muneris del 28 di-
cembre 1878) fino a Paolo VI, n ella Populoru;n Progres-
sio, in cui si condanna la violenza rivoluzionaria, anche
quando sia grande la provocazione che la motiva. Quando,
però, cominciano a bruciare le chiese e i suoi ministri
vengono incarc~rati e uccisi, come nella rivoluzione mes-
sicana dei « Cristeros » nel .1927 e nella rivoluzione spa-
gnola del 1936-1939, allora si n1anifesta un'altra linea di
interpretazione dell'uso della violenza rivoluz~onaria. Vari .
~embr.i dell'episcopato spagnolo appoggiavano il genera-
lissimo Franco e Pio XI tracciava una distinzione tra ·
insurrezioni giuste e insurrezioni ingiuste. Sottoscriveva il
« ricorso alla forza » come atto di « legittima difesa » (23)
contro coloro che trascinavano la nazione alla rovina.
L'interpretazione, ora in una direzione ora in un'altra,
mira sempre allo stesso· risultato: rafforzare la sopravvi..
venza dell'istituzione, senza la quale non ci sarebbe pre-
senza del vangelo nel mondo. La forza del vangelo neces ..
siterebbe dunque del potere, della «prudenza», delle
concessioni e delle astuzie tipiche del potere pagano, cri..
9$
t icate da Gesù Cristo (Mc 10, 42), o invece la sua forza
non sta proprio nella, franchezza, nella rinuncia a ogni
sicurezza e nel coraggio profetico, come esemplarmente lo
ha vissuto la chiesa dei primi tre secoli?
Il risultato di sin1ile articolazione del potere nella chiesa,
generatore di emarginazione ecclesiale, di una tenue ed
anemica oo1nunicazione interna, di un vero sottosviluppo
religioso ed evangelico, è quello di, un'immagine di chiesa
eccessivamente - si direbbe nevroticamente :- preoccu..
pata di se stessa, e pertanto senza un interessamento
reale per i grandi problemi degli uomini.
Non si pensi, , tuttavia, che la chiesa-istituzione non parli e
non faccia appello alla conversione; e che tralasci, even-
tualmente, di riconoscere i propri errori storici. Il Conci-
lio Vaticano II ha esplicitato in vari passi la necessità
permanente di conversione
. da parte di una Ecclesia.
sem-
per reformanda. Con tutto ciò, la conversione riceve u-
n'interpretazione che permette al sistema di potere di
restare esattamente quello che è. Le si dà un senso inti·
1nistico e privatizzante. I rr1embri devono convertirsi, cioè
vivere una vita moralmente santa e tendere alla purezza
delle intenzioni. Le istituz-ioni, con le loro strutture che
perpetuano ingiustizie, discriminazioni, mancanza di par-
tecipazione, ecc. non vengono toccate. Esse hanno uno
spessore proprio e non dipendono dalla buona o cattiva
volontà degli individui. Ma se la co·n versione non tocca
l'istituzione della chiesa, se non mette in questione il
n1odo di esercizio del potere e di come esso si fa presente
nella società, come si può parlare con verità di conver-
sione evangelica? Si hanno fenomeni grotteschi di perso-
ne di estrema buona volontà e di grande purità di inten-
zioni, ma fedeli, leali e acritici di fronte all'istituzione,
che causano per mezzo dell'istituzione stessa i danni peg-
giori alla chiesa e agli uomini. Come ha affermato sag-
giamente Pascal: mai si co.m mette tanto perfettamente il
1nale, come quando lo si fa con buona volontà e purezza
di cuore. ·
Commentando la situazione attuale della riforma della
chiesa-istituzionale, padre Congar afferma: «La nostra e-
poca di rapidi mutamenti, di cambiamento culturale
(fermenti filosofici e condizioni sociologiche diversi da
quelli che la chiesa ha concepito finora) esige una revi-
sione delle forme «tradizionali" che superino il piano del-
99
•
100
rio» (25). Non basta argomentare che si deve intendere la
sloria secondo i criteri dell'epoca. Perché, trattandosi ap-
punto della chiesa, non dovrebbero aver molto più valore
i criteri evangelici? ·
h) Nella svolta costantiniana, il cristianesimo non ha avu-
to altra alternativa che quella di assumere un disimpegno
storico sotto la forma del potere sacrale e politico. Eredi-
tando l'Impero ha avuto l'opportunità· di farsi effettiva- .
1nente ecumenico e universale. Questo risultato è stato
rag'giunto. Il cristianesimo non è contro il potere in se
stesso, ma confro la forma diabolica di cui in genere esso
viene a rivestirsi storicamenté, come dominazione e sog-
giogamento degli altri. Esso ha perso l'occasione di in·
carnare un modo nuovo di rapporto tra gli uomini nelle
vie del potere, come pura funzione di servizio per il bene
di tutti, e non come gestione e alimentazione di élites di
sfruttamento e di emarginazione.
c) Nonostante il fatto di aver prolungato la forma pagana
del potere, il cristianesimo ha segnato cristianamente tut-
to il mondo occid~h{ale, e per suo mezzo tutto il resto
del mondo. La storia Ciel mondo non la si può raccontare
senza la presenza secolare del cristianesimo. Non ci dob-
biamo tuttavia illudere quanto alla qualità del cristiane-
situo pre·s ente nella cultura occidentale: è una qualità
~uperficiale, che presenta sfaccettature profondamente
anticristia11e. Dal cristianesimo è nato l'ateismo come fe-
nomeno culturale. Dal mondo occidentale sono nate le
grandi ideologie totalitarie del nazismo, del capitalismo e
del marxismo, la colonizzazione e la schiavizzazione con
lutti i loro derivati in termini di oppressione, guerre l
101
delle forze sociali e da totem legittimatore dei poteri
correnti. In secondo luogo, la stessa coscienza cristiana
sta rendendosi conto dell'impasse profondo relativo alle
istituzioni ecclesiastiche. Mons. Aloisio Lorsche1der riferiva
· ai Padri sinodali nel 1974: « Si esamini l'attuale struttura
ecclesiastica e ci si domandi fino a qual punto essa po-
trebbe e dovrebbe· essere diversa ai nostri giorni » (26 ).
<< Non sappiamo come creare degli elementi di salvezza cori
i mezzi a nostra disposizione» (27). «Una riflessione teo-
logica più profonda sul rapporto gerarchia-laicato in seno
al Popolo di Dio si impone. L'esercizio della corresponsa- .
bilità partecipata, nel rispetto delle 1nissioni specifiche,
sotto la direzione pastorale della gerarchia, dovrà essere
pensato, sviluppato, organizzato. I fedeli laici sono oggi
molto sensibili a una partecipazione effettiva là dove si
elaborano le decisioni. C'è il desiderio non solo di offrire
dei semplici suggerimenti a -quelli che decidono, ma di
decidere insieme con . loro » (28). Thomas Bruneau, con-
cludendo il suo voluminoso studio· su Il cattolicesimo ·
brasiliano in epoca di transizione fa .quest'affermazione
importante: « La disintegrazione istituzionale è, a mio
avviso, la condizione sine qua non per la partecipazione
dei laici nella chiesa brasiliana ?~. (29) . I membri della ge~
rarchia che non comprendono questo kairos, non stanno
assimilando Ja lezione dei segni dei tempi e cessano di
lavorare per il futuro della chiesa. Anche se con la mi-
glior buona volontà e purezza di intenzioni, che non gli
neghia1no, essi si esauriscono nel tentativo inefficace di ria-
nimare un tipo di presenza della chiesa con un potere che
è alleato dei potenti e che non è evangelico e non rispon-
de alle interpellanze del momento storico. La chiesa si
trova davanti" a una nuova società, con nuove chances · di
presenza. « Chi non riconosce gli errori del passato, sen-
tenziava Hegel, è condannato a ripeterli ». Qui sta il senso
delle nostre riflessioni, per quanto talvolta possano sem-
brare esageratamente negative. L'ascolto del presente e del
futuro che ci si apre non ci concede tempo per decantare
le conquiste del passato, celebrate del resto apologetica..
mente, e fino alla sazietà, dalla stessa istituzione.
(26) Panorama da lgreja Universal a partir de 1971, II, 2, p. 4.
(27) I d., III, 2, p. 6.
(28) Id., III, 3, p. 7.
(29) Op. cit., pp. 416-417.
102
e) D~ fronte alla nuova situazione, la ch~esa deve, secondo
le parole profetiche di K. Rahner, « andare con coraggio
verso il nuovo e il non-ancora-sperimentato fino al limite
estremo, fino al punto in cui una dottrina e una coscienza
cristiana, chiaramente e indiscutibilmente, non possono
andar oltre. Nella vita pratica della chiesa, oggi, l'unico
tuziorismo che ci è permesso è il tuziorismo dell'auda..
eia ... Il sicuro oggi non è più il passato, .m a il futu-
ro» (30). Se c'è un gruP"po che può osare, è il gruppo
cristiano, perché si sa guidato dallo Spirito che lo condu-
ce di verità in verità. Quanto più ci si puntella in se
stessi e nel proprio passato, tanto più si corre il rischio
di essere infedeli agli appelli del Sign<?re presente come
risorto nel mondo e di spegnere lo Spirito Santo.
f) Se riconosciamo il passato poco vivificante della chie-
sa-istituzione, alle prese con l'esercizio del potere, ciò non·
significa che rigettiamo la chiesa-istituzione, realtà con-
creta che rende esplicito il mistero cristiano e che predi-
ca, nonostante tutte le sue contraddizioni interne al si-
stema, Gesù Cristo Liberatore. Ogni cristiano deve assu-
mere questo passato che non si può disconoscere né · ri-
calcare. C'è una form di neurosi che nasce appunto dal
rifiuto di accettare il p rio passato iniquo. Nessuno è
invitato ad essere un cristiai).o nevrotico, ma ad assumere
criticamente il passato della propria chiesa-istituzione e
impedire che esso si perpetui nel presente e nel futuro.
Assumere il passato non vuoi dire giustificarlo. È . un atto
di coraggio verso noi stessi, poiché è il nostro passato, in
quanto siamo membri del Popolo di Dio al cui interno si
situa la chiesa gerarchica. Ma questo non ci tranquillizza.
Ci chiama ad essere corresponsabili per il futuro della
fede cristiana nel cuore del mondo. La causa di Cristo e
del Popolo di Dio· è troppo importante per essere lasciata
nelle ·sole mani della gerarchia. « L'istituzione non è un
n1ale. Potremmo, in larga parte, attribuirle ciò che Paolo
disse della legge: · necessaria, ma insufficiente da sola a
compiere il bene, può anche diventare un'occasione di
peccato é uno stimolo a trovare solo in essa rifugio>> (31) .
.
(30) Handbuch der Pastoraltheologie, 11/ 1, Friburgo, 1966, pp. 275-276.
(31) Liégé P. A., A ./greja diante de seu pecado, in A lgreja do fu-
turo, AA.VV., Petr6polis, 1973, p. 121. Mons. Aloisio Lorscheider,
nel suo Panorama ao Sinodo, ha detto tassativamente: «La conce-
103
Soltanto un amore concreto ed evangelico, e per ciò stes-
so critico e libero, può accogliere la chresa con le sue
limitazioni ed errori; perché saltando amandola ci con-
vertiamo noi stessi e comincia a svelarsi l'affascinante
bellezza della Sposa di Cristo e della Madre di tutti gli
• •
uomini.
zione di una chiesa gerarchica, che concentra nelle sue mani tutti
i diritti e poteri, ha pregiudicato senza dubbio l'espansione della
chiesa »: III/ 3, p. 7. ·
(32) Comblin 1., Atualidade da teologia da missiio, III, in « REB »
33 (1973), p. 582.
104
l
rizzato e spiritua'lizzato dall'istituzione, e in tal modo ·svi-
lito del suo fermento contestativo.
Per una chiesa che cerca una presenza nuova nel mondo
e che non vuole ripristinare forme ed errori del passato è
imprescindibile una rifondazione assai pura del messag-
gio centrale di Gesù Cristo, dell'intelligenza evangelica
della struttura di potere e dell'importanza dello Spirito
nella chiesa. È quanto faremo a tratti rapidi, avendo già
affrontato il tema altrove con maggiore ampiezza (33).
(33) Cfr. Boff L., Libertaçiio de Jesus Cristo pelo caminho da opre,s~
siio, in « Grande Sinal », 28 (1974), pp. 589-615, spec. 594-605.
105
da quella del potere-dominazione. È un potere fragile,
vulnerabile; conquista per la sua debolezza e capacità di
donazione e di perdono. Questa exousia Gesù ha sempre
mostrato nella sua vita (34 ). Per questo ha rinunciato al po-
tere-dominazione. E ha preferito morire debole, anziché
usarne per soggiogare gli uomini e indurii ad accettare il ·
suo messaggio. Con questo ha sdivinizzato il potere. Non
ha dato mai prova della sua trascendenza. Ha sempre
negato la prova del potere miracoloso (Mc 15, 32). Solo
nella debolezza si rivela l'amore di Dio e il Dio dell'Amo-
re ( lCor l, 25; 2 Cor 13, 4; Fil 2, 7).
106 . b
Matteo. Per lui, Gesù dice: « Non fatevi chiamare maestri,
perché uno solo è il vostro Maestro e voi tutti siete
fratelli. E non chiamate nessuno padre sulla terra, perché
uno solo è il vostro Padre che è nei cieli. Né fatevi
chiamare dottori, perché uno solò è il vostro dottore,
Cristo. Il più grande di voi sia il vostro servo» (23, 8-11 ).
È strano constatare come proprio ciò che Cristo non volle,
ha trionfato nella chiesa istituzionale. Dalla volontà di
potere sono sgorgate gerarchie di maestri, dottori, padri,
padri dei padri e servi dei servi. .
Gli apostoli sono i portatori della paradosis, cioè dell'es-
senza del messaggio e degli eventi salvifici di · Cristo.
Questo fatto conferisce loro una speciale _autorità. Ma è
un'autorità che non fonda nessun privilegio, nessun pre. .
dominio sulla libertà degli altri. Devono-essere i servi dei
servi. La exousia fonda la diakonia. Vivere il potere come
servizio e come funzione diaconale costituisce la grande
sfida della chiesa-istituzione. Ci sono tensioni e tentazioni;
nessuna ideologia può giustificare, contro il vangelo, queJ. .
lo che è avvenuto lungo la storia della chiesa, dove le
gerarchie si sono coperte di onori, ti t oli, poteri secolari e
sacri, assai spesso per soddisfare istinti primitivi di pote..
re e di autoglorificazione. .
La exousia degli apostoli di ieri e di oggi non consiste
soltanto in un tipo . di autorità diaconale di predicazione e·
trasmissione del messaggio, ma anche di costruzione e
difesa della comunità. Paolo ha coscienza della « autorità
che il Signore mi ha dato per edificare e non per distrug-
gere » . (2 Cor 13, 10). A motivo di Cristo, egli non ha paura
di ·entrare in conflitto çon la comunità per difenderla
(non per punirla). Si ~ente anche obbligato a ·espellere
alcuni membri (l Cor 5, 3-5). Ma non dimentica mai il
senso diaconale della sua autorità: « Non vogliamo domi-
nare la vostra fede, ma contribuire alla vostra gioia» (2
Cor . 1, 24; 2. Cor 13, 10) (36). '.
107
'
108
La considerazione dei comportamenti della santa umanità
di Gesù Cristo deve costituire la norma critica per la
chiesa} che su di essa si trova costruita. Il vivere concre-
tamente e coerentemente questo senso diàconale dell'au-
torità farebbe certamente della chiesa lo spazio della li-
bertà della fraternità, della comunicazione libera tra tutti,
tra gli incaricati dell'unità della comunità e gli altri
membri. La chiesa si farebbe simbolo di vera liberazione
e libertà, e non di un'omogeneo allineamento di tutti a un
sistema chiuso ecentralizzato, con l'esclusione di quanti
se ne distanziano; con termini, a volte, che solo si appli..
cano ai depravati morali e ai crin1inali.
(38) Cfr. Proafio L., Pour une Eglise libératrice, Paris, 1973, spec.
pp. 133~159; Dumas B., Los dos rostros alienados de la I glesia una,
B. Aires, 1971, pp. 125-172; Gregory A., Comunidades eclesiais de
base, Petropolis, 1973.
109
....
proprio là dove la struttura istituzionale mostra segni
visibili di stanchezza e di dissoluzione. Il vangelo · non sta
ormeggiato a un tipo classico e consacrato di articolazio-
ne, ereditata da un passato istituzionalmente glorioso. Es-
so può essere vissuto di nuovo come movimento e creare
da sé le strutture più adeguate per il nostro tempo; senza
polemiche con la vecchia chiesa, senza lamenti e senza lo
spirito farisaico di chi si giudica in possesso di un cri-
stianesimo più vivo e più genuino. Una simile chiesa
comprende che non esiste per sé; che la sua funzione è di
essere segno . di Cristo per il mondo e spazio dell'attua-
zione esplicita dello Spirito. Il segno non esiste per se
stesso, ma per gli altri. Essa è di Cristo e per il mondo.
Perché non si giudica mai compiuta, ma sempre in dive-
nire verso ciò che dev'essere ---=- e cioè sacramento di
Cristo e dello Spirito - essa ferve di dinamismo interno,
creativo, autocritico, con un cuore tanto sensibile da per-
cepire come già presente nel mondo il Risorto con la sua
grazia, anche prima che ne avvenga l'esplicitazione me..
diante l'annuncio del vangelo.
Questa chiesa nuova, come tutti i movimenti di rinnova-
mento, emerge dalla periferia. Perché solo qui c'è la pos-
sibilità di una vera creatività e libertà di fronte al potere.
La fede nasce e si fa presente nella testimonianza perso-
nale. Non è protetta né velata dall'istituzione. Per questo
-si crea l'occasione di una purezza e autenticità evangeliche,
quali non si possono dare all'interno dell'istituzione già
fatta, con le sue preoccupazioni di autoassicuramento,
con la burocrazia che esige e il tempo che richiede per
autoconservarsi ed ·espandersi, autogiustificarsi e autodi-
fendersi.
Evidentemente la vecchia chie-sa guarderà con sfiducia a
questa nuova . chiesa periferica e alle libertà evangeliche
che essa si prende. Potrà scorgervi una concorrente; gri-
derà a una chiesa parallela, a un magistero parallelo, a
una mancanza di ubbidenza e di lealtà verso il centro! La
•
chiesa nuova dovrà saper usare di una strategia e tattica
intelligenti: non dovrà entrare negli schemi delle condan-
ne e dei sospetti, come il centro potrebbe fare. Dovrà
essere evangelica, comprendere che l'istituzione, in quan-
to potere, potrà soltanto usare quel linguaggio che non
mette in rischio Io stesso potere che sempre avrà paura
1
110
..
centro stesso e che lo ' vedrà come una slealtà. Anziché
cercare di capire tutto ciò, la nuova chiesa dovrà restare
fedele a} proprio cammino: dovrà essere lealmente di-
subbidiente. Mi spiego: dovrà cercare una profonda lealtà
verso le esigenze del vangelo; dovrà ascoltare la voce del
centro per interrogarsi sulla verità della propria interpre-
tazione evangelica; e nel caso che resti criticamente e
profondamente convinta della· sua strada, dovrà avere il
coraggio di essere disubbidiente nel Signore e nel vangelo
alle imposizioni del centro, senza rancori né lamentele,
ma in una adesione profonda alla stessa volontà di es-
sere fedele a quello Spirito che non può essere canaliz·
zato secondo gli interessi umani. L'apertura alla comu-
nione con il tutto, l'esclusione quanto meno della possibi..
lità di una rottura cl1e distrugga l'unità e la carità -
anche se ciò significa isolamento, persecuzione e condan-
na da parte del centro - costituisce la garanzia dell'au..
tenticità cristiana e il sigillo dell'ispirazione evangelica.
Il futuro della chiesa-istituzione, così almeno crediamo
fermamente, sta in questo piccolo germe che è la chiesa
nuova e nascente negli ambienti poveri, sprovvisti di po..
tere. Essa servirà, sul piano dei modi di presenza della
fede cristiana nel mondo, da alternativa adeguata e pos-
sibile per una nuova incarnazione delle · istituzioni eccle..
siali nella società, il cui potere sarà una semplice funzio-
ne di servizio.
Il papato, l'episcopato, il presbiterato non perderanno la
loro funzione; guadagneranno altre· funzioni, anche più
pure e vicine all'ideale evangelico, di confermare i fra te l-
Ii nella fede, di essere principio di unità e di riconcilia-
zione nella comunità e guide religiose capaci di inter..
-pretare alla luce del mistero di Cristo il significato degli
avvenimenti e degli aneliti profondi dell'umanità, e spe-
cialmente dei poveri. Riferendosi a questa nuova situa..
zione della chiesa, il noto sociologo americano Andrew
Grely affermava, a proposito della funzione del papa: « Il
papa, per attitudine personale, per i tipi di domande che
for1nula, per l'atmosfera che crea nella chiesa, e, last' but
not least, per l'efficacia della sua amministrazione, deve
far sì che la chiesa cristiana faccia brillare la sua luce
sulla cima del monte più che per il passato: una luce che
renda testimonianza della convinzione cristiana che Dio
è un Dio di amore e che il suo amore viene procla-
111
mato dalla qualità dei rapporti che gli uomini instaurano
gli uni verso gli altri ... Dev'essere il più aperto, il più
amante, il più collfidente di tutti i cristiani. La sua fiducia
nelfimpegno cristiano, la sua apertura ver.so tutti gli uo..
mini, .la sua gioia davanti alla Buona Novella e la sua
fiducia nel lavoro ·dello Spirito devono essere trasparenti:
esse devono brillare nelle sue parole, azioni e stile di
Zeadersflip. Il papato, esercitEl:tO da un uomo dalle convin-
zioni tanto trasparenti, si farà necessariamente e inevita-
bilmente la posizione di guida più influente del mon-
do» (39). Ciò che vale per il papa, mutatis mutandis, vale
per il livelli più bassi del vescovo, del prete e degli altri
ministri o responsabili incaricati dell'unità e della dire-
zione di una comunità. Gli ultimi papi della chiesa, fon-
damentalmente, si situano all'interno di questi confini
ideali.
112
la condizione di pellegrini e viandanti in cammino verso il
riposo dinamico di Dio (41 ). A misura della conversione
della chiesa a una sempre più adeguata incarnazione del
vangelo, essa può esser~ segno di liberazione e farsi capa-
ce di entrare in un processo reale di liberazione insieme
con tutti gli uomini.
Talvolta la chiesa-istituzione, sperimentata e prudentt;
come tutti gli anziani, all'udire queste riflessioni sorride
come la vecchia Sara, colei che era sterile. Essa ancora
non crede nella possibilità di concepire. Sorride. E tutta·
via, ci sia permesso di sognare e di metterei nel l?Osto
dove Abramo udì la domanda di Dio: « Perché Sara ha
riso? C'è forse qualcosa di impossibile per Dio?» (Gen
18, 14 ). Sorridi, Sara, perché da sterile ti sei fatta fecon-
da, da vecchia sei stata trasformata in nuova! Sara già ha
concepito. E già cominciano ad apparire, nel grembo del-
la vecchia Sara, i segni della nuova vita. Una chiesa nuo-
va sta nascendo, nei sottofondi dell'umanità. •
..
(41) Si veda questa espressiva poesia di Lothar Zenetti, che citia·
1no in tedesco: « Fra g hundert Katholiken, was das Wichtigste ist
in der Kirche. Sie werden antworten : die Messe. Frag hundert
Katholiken, was das wichtigste ist in der Messe. Sie werden ant\vor·
ten : die Wandlung. Sag hundert Katholiken, dass das Wichtigste in
der Kirche die Wandlung ist. Sie werden empor t sein: Nein, alles
soll bleiben wie es ist » f ( « Chiedi a cent o cattolici: qual è la cosa
più importante nella chiesa? Risponderanno: la messa. Chiedi a
cento cattolici: qual è la cosa più importante nella messa? Rispon~
deranno: la mutazione (del pane e vino in Corpo e Sangue di Cri-
sto). Di' allora ai cento cattolici che la cosa più importante della
chiesa è la mutazione. Si infurieranno: No, tutto deve rcsl ~,n~
com'è»!
Il.'
' ·--
_ ____ - ··--
,._ .. - ... - .
capitolo sesto
il cattolicesimo romano:
struttura, salute, patologia
114
mo protestante (l). «Cattolico» era sinonimo di decaden-
te. E. Troeltsch ha coniato nel 1908-1909 l'espressione te-
cnica di Frilhkatholizismus, o cattolicesimo primitivo, per
esprimere il decadimento del vangelo, gi~ constatabile
nelle prime comunità del Nuovo Testamento (2). Su. tale
decadimento si sarebbe costruito storicamente il cattolice-
simo posteriore.
Il cosiddetto cattolicesimo, da parte sua, non ha posto il
problema in termini tematici. Né si è sentito costretto a
farlo. fer una fede cattolica tranquilla bastava sapere che
ciò che oggi esiste era in continuità storica con il vangelo
e con la chiesa primitiva. Ma la nascita del protestante-
simo, contestando tale continuità e accusandolo di aver
deteriorato il vangelo, ha obbligato il cattolicesimo a una
riflessione sulla propria identità.
im Wandel der Zeiten und Volker, I Bd., 1. TeilL Bonn 1935; Loisy
A., L'Evangile et l'Eglise, Paris, 1902; Batiffol P., L'Eglise naissante
et le catholicisme, Paris, 1909; De Lubac H., Catholicisme. Les
aspects sociaux du dogm e, Paris 1952, pp. 241-260; De Certeau M.-
Domenach J. H., Le christianisme éclaté, Paris, 1974; Hernegger, R.,
Macht ohne Auftrag. Die Entstehung der Staats~ und Volkskirche,
Olt en~Friburgo, 1963; Stockmeier P., Glaube und R eligion in der
frii.her Kirche, Friburgo, 1973. Ulteriore bibliografia sarà citata nel-
la discussione dei singoli autori.
(2) Die Soziallehre der christlichen Kirchen und Gruppen ( Gesam· ·
rnelte Schriften, Bd. 1), Tubinga, 1911 (Fruhkatholizismus, pp.
83-178). La prima pub}?licazione del testo è del 1908-1909 .
•
.
115
tato di dimostrare che lui e il suo movimento si trovano
in perfetta continuità con la chiesa antica (3). Da qui
l'illegittimità della pretesa cattolica. La quale è. frutto di
un'apostasia. Simile tesi ha avuto la sua elaborazione mi· .
nuziosa nella grande opera storica collettiva pubblicata a
partire dal 1559 sotto l'egida di Matthias Flacius Illyricus·,
Magdeburger Zenturien. Lì fu consacrata la teoria della
decadenza ( 4 ).
11.6
Al suo· posto subentrò l'ecclesiologia» ( 6 ). Ora, questo si
mostra chiaramente in I.Juca e con certezza anche in Mat-
teo. Gli stessi vangeli, come espressioni teologiche delle
co1nunità ·primitive, significano in questo senso cattoli-
cismo, poiché in esse si erano fissati il messaggio, le
dottrine, le cadenze pareneticl).e, ecc.
Altri protestanti radicalizzano an~or più la retroproiezio-
ne della nascita del cattolicesimo. Lo situano nello stesso
Gesù Cristo. AncB.e lui ha tradotto la rivelazione ricevuta
dal Padre nei termini di determinati contenuti, di un
n1essaggio fissato linguisticamente e di rappresentazioni
derivate dal mondo culturale circostante. Se per « cattoli-
co » si intendono le mediazioni storiche, giuridiche, ideo-
logiche, soc~ali, ecc., nelle quali e per le quali si concre-
tizza il cristianesimo o la salvezza del peccatore, allora si
deve concludere che lo si trova già nella stessa parola e
opera di Gesù di Nazareth ..
Come si vede, dietro un tema confessionale e polemico
come questo - quando è nato il cattolicesimo? - si
nasconde un grave segnale e un ancor più grave problema
ermeneutico della fede ...cristiana:
. come combinare l'assu-
luto della sua pretesa con il relativo delle sue mediazioni
storiche? Come comprendere una Parola di Dio che si
concreta in parole umane? Come captare il Vangelo che
si trova testimoniato nei quattro vangeli? Come confessa-
re l'identità della medesima fede .n ella pluralità delle teo-
logie e delle confessioni cristiane?
Prima di addentrarci in queste questioni fondamentali,
vogliamo ripqrtare la problematica storica,· come atta a
tlecodificare il problema di cui ci occupiamo.
117
Per lui, il cattolicesimo è il risultato di varie forze coniu-
gatesi lentamente, fino a convergere verso la fine del I
secolo. La prima forza è il giudaismo, fattosi presente
nella forma di organizzazione delle prime comunità cri-
, stiane dentro una ·struttura giuridica di tipo familiare e
patriarcale. La chiesa primeva si sentiva erede del Popolo
di Dio dell'Antico Testamento, che era una comunità or-
ganizzata giuridicamente. Il diritto del Popolo di Dio era
diritto divino. Anche nelle comunità cristiane, quindi, il
diritto fu considerato come divino. Dal che Harnack
conclude: « Il cattolicesimo, pertanto, nella sua forma
embrionale, è tanto vecchio quanto la chiesa; in essa
difficilmente si trova la mancanza di questo e / o di quell'e-
lemento » (8). Tuttavia, se il diritto divino costituirà l'es-
senza del cattolicesiiJ?.O posteriore, non la costituisce an-
cora per il cattolicesimo primitivo. In tale momento, vi è
solo presente in germe. L'elem ento carismatico,. infatti,
· predomina su quello giuridico, ereditato dal giudaismo.
Alla forza del giudaismo si era aggiunta la presenza della
struttura carismatica, impersonata negli apostoli e nei
profeti itineranti, le cui determinazioni legavano giuridi-
camente. Nel secolo II, dice Harnack, i carismatici erano
morti. Le comunità restavano consegnate ai capi, respon-
sa1Jili dell'ordine. Sotto la pressione di circostanze ester-
ne, come il montanismo, si arrivò a una confederazione
cattolica. Qui attecchì l'idea della succesione ·apostolica,
· che emarginò Ja, struttura carismatica nelle comunità. I
vescovi, ritenuti quali successori degli apostoli, tenevano
il potere religioso nelle loro mani, prefigurando già in
miniatura quella che sarà poi la caratteristica del cattoli-
cesimo. La cui forma completa fu raggiunta con la terza
grande forza costitutrice del cattolicesimo e della sua
opera maestra - il dogma - quale cerniera della ch~esa ·
romana: l'ellenismo. Per ellenis.m o si intende, comune-
mente, _l'intellettualizzazione del cristianesimo, risultante
dall'incontro del me~saggio giudaico-cristiano con la · filo-
118 :
119
camente come azione del Risorto, in essa operante. Non
aveva sacramenti nel senso moderno, di gesti determinati
che comunicano la grazia ( 13 ). Tutto era sacramentale e
tutto si traduceva in sacramento dell'opera di Cristo nel
suo corpo ecclesiale. Perché allora, si domanda Sohm, ne
sono usciti i sette sacramenti e il diritto che li ordina?
Egli risponde: i sacran1enti sono sorti e dove_v ano sorgere
«per necessità ferrea» (14 ). La comunità cominciava a
crescere. Da corpo di Cristo si trasformava in corpora-
zione di cristiani. Nascevano necessità specifiche di orga-
nizzazione, bisogno di sicurezza, ansie di certezza. La fede
nel vangelo cominciò a dare spazio alla fede nel diritto
divino. Così irruppe nella storia il cattolicesimo. <<Con la
·nas_c ita del diritto divino ( cattoli.c o ), si davano fondamen-
talmente due cose: primo, il principio formale .del cattoli-
cesimo, cioè l'identificazione della chiesa visibile, organiz-
zata giuridicamente, con la chiesa in senso religioso (Ec-
clesia); ·secondo, il principio materiale del cattolicesimo,
ossia la redenzione (giustificazione) ottenuta mediante i
sacramenti (della chiesa e· del sacerdote). per mezzo di
determinazioni estèrne, ordinate giuridicamente. Le quali_,
se amministrate, danno la grazia; se negate, ne impedi-
scono la comunicazione» (15).
Il cattolicesimo è.· dunque una costruzione umana e stori-
ca, dice Sohm; non è più la chiesà in senso teologico,
· perché questa è creazione dello Spirito ( 16 ). La vita del
cattolicesimo è una parte della vita degli uomini e tra gli
uomini. La vita della chiesa è vita spirituale, vita dei
credenti per mezzo di Cristo con Dio. Sulla relazione tra
« queste due chiese », afferma Sohm, regna molta confu-
sione. Ma l'importante è mantenere la distinzione di en-
trambe ( 17). E ancora: · « L'essenza della chiesa sta in
contraddizione con l'essenza del diritto. La chiesa, in vir-
tù della sua essenza, non può tollerare un diritto ecclesia-
le >> ( 18 ). L'essenza del cattolicesimo, secondo questo auto-
re, consiste «nel suo non far distinzione tra la chiesa in
senso religioso (chiesa di Cristo) e la chiesa in' senso
120
•
giuridico ... La presenza della distinzione significa il prin-
cipio protestante. L'assenza della distinzione il principio
cattolico » ( 19~.
Sohm colpisce nel punto nevralgico della questione, ma si
astiene dall'approfondire il problema di come si ordinino
e come d ebbano pensarsi teologicamente la dimensione
giuridica, dottrinale e istituzionale della chiesa rispetto a
quella spirituale (dello Spirito Santo) e trascendente. Non
basta contrapporle e farle due chiese. Occorre, e qui sta
propriamente il problema, studiare come si rapportano.
Né Sohm né Harnack portano luce sulla questione. Si
attengono a un'affermazione dogmatica della tradizione
protestante: la chiesa giuridica, il cattolicesimo, è deca..
dimento e perversione della chiesa del Vangelo.
Nondimeno, riconosce Sohm (20), il diritto ha un aspetto
positivo, poiché permette la persistenza s tor~ca della ch.ie-
sa; ma non per questo cessa di costituire il suo « peccato
originale» e una falsificazione del messaggio di Cristo.
Contro simile 'semplificazione di Sohm insorge lo storia-
grafo Harnack. Egli tenta di dimostrare che sulla base
delle fonti storiche non si può non constatare la presenza
dell'aspetto organizzativo fin dai primordi del cristiane-
•
SlffiO.
121
zione concreta, Troeltsch polemizza con la tradizione pro-
tèstante. Per lui la chiesa antica si basa su tre pilastri
fondamentali; il vangelo, il paolinismo e il cattolicesimo
primitivo. Questi tre elementi non si ordinano cronologi-
camente, ma VI• sono presenti• come principi
• • • • • •
costitutiVI
dell'organizzaziòne della chiesa concreta. Ciò che iden-
tifica tale organizzazione è il suo . carattere religioso, e
non un qualche ideale sociale o politico. Ciò che resta
sempre identico, nelle varie forme che assume la chiesa, è
il suo aspetto religioso. Tuttavia essa non ha mantenuto,
lungo i secoli, questa sua identità. La distinzione tra jus
divinum e jus humanum ha secolarizzato la chiesa e l'ha
consegnata a dinamismi di organizzazione (23 ), facendola
d.e cadere a una forza politica e non più specificamente
religiosa. Tale tendenza si è fatta notare già dai . primordi
della chiesa primi tiva.
Il merito di Troeltsch è stato di aver situato il problema
nel suo luogo ermeneutico esatto: ciò che esiste in concre-
to non è il cristianesimo, ma il cattolicesimo. Il cristiane-
simo non lo si può incontrare fuori della ·storia. Non
esiste né sussiste fuori delle concretizzazioni storiche, ma
esattamente in esse e per esse. Per questo non si può
accentuare in tal modo la distinzione tra cattolicesimo e
vangelo, da arrivare a ipostatizzare i due termini e a
contrapporli. Solo dentro tale concretezza si dovrà opera-
re la distinzione.
122
in quanto traduzione dottrinale, catechetica, liturgica, e
parenetica del Vangelo, secondo le ·varie condizioni e ne-
cessità delle diverse comunità cristiane. Partendo da si-
mile constatazione, come già notavamo, si nota senza
difficoltà una presenza di cattolicesimo nei quattro vange-
li e nel resto dell'intero Nuovo Testamento.
Dove allora trovare il Vangelo, quale sgorgò dal Verbo di
vita? Si· è cercato di individuare, con procedimenti stori-
co-esegetici rigorosi, gli ipsissilna facta et verba di Gesù.
Sono noti gli intenti di J. Jeremias, M. Dibelius e altri.
Questo sarebbe « evangelico»; e tutto il resto cattolico,
cioè sua interpretazione e traduzione, Ma tale intento è
irrealizzabile: da un lato corriamo il ·rischio di far dipen-
dere il messaggio autentico di Gesù dai criteri degli sto-
riografi e degli esegeti, e come questi variano, così varia
anche il messaggio · autentico di Gesù; dall'altro c'è un
intoppo ermeneutico ineludibile: identificando storica~
mente gli ipsisshna facta et verba di Gesù non ci trovia-
mo ancora, senza mediazione, davanti al messaggio di
Gesù, dal momento che anche lui ha interpretato la sua
esperienza messianica e ha tradotto il suo messaggio nel
quadro simbolico della cultura del suo tempo. Ora que-
sto,· ermeneuticamente, è da considerare cattolico e non
evangelico.
Altri autori più avveduti hanno imboccato un cammino
diverso nella ricerca di un canone nel canone (24 ). Si
impugna l'imperativo che si debba poter identificare il
Vangelo sotto i vangeli. Lì ci sarebbe la rivelazione che ci
lega a Dio e il messaggio rivelato al mondo. Tutto il
resto, invece, sarebbe solo interpretazione teologica. La
questione di che cos'è il cattolicesimo sfocia, dunque,
nell'interrogativo fondamentale su che cos'è il Vangelo,
che cos'è il messaggio, qual ·è la causa di Gesù e qual è
quell'unica cosa necessaria senza la quale perdiamo la
nostra relazione con Cristo, con il Padre e in definitiva con
la · nostra salvezza. Que.s to sarebbe il canone nel canone.
Non J?OSsiamo tuttavia stringerlo in una frase, in un testo
o in un nucleo di verità. Perché ci troveremmo davanti · a
(24) Cfr. Lonning 1., Kanon im Kanon, Osio-Monaco, 1972; Frank I.,
Der Sinn der Kanonbildung, Friburgo, 1971, spec. pp. 203-211; Ap-
pel N., Kanon und Kirche, Paderborn, 1964, pp. 333 s.; Kasemann E.
(a cura), Das Neue Testament als Kanon, GOttingen, 1970.
123
·-------------·--···-- ---· ·-
124
protestanti. Entrambi hanno a che vedersela insieme con
le mediazioni.
W. Marxsen, consapevole di tale trqsformazione del pro-
blema, afferma nel suo scritto Il cattolicesimo primitivo
nel Nuovo Testamento (26) che ciò che caratterizza il cat·
tolicesimo primitivo (e posteriore) non sono certe affer·
mazioni del Nuovo Testamento, o un certo tipo di scritti
(le lettere cattoliche), ma il modo dogmatico di leggere
i testi del Nuovo Testamento (27). T~le modo considera
puramente e ·semplicemente, senza rendersi conto delle
mediazioni storiche, che il Nuovo ·T estamento è senz'altro
Parola di Dio. Utilizza i testi dogmaticamente, per giu-
stificare dottrine e fondare senza appello mezzi discipli·
nar.i della chiesa. Qui, pertanto, il cattolicesimo prende di
nuovo una connotazione peggiorativa, di un modo patolo-
gico di vivere e sentire il messaggio cristiano, che può
ritrovarsi sia tra i cattolici che tra i protestanti.
·'
125
e agli apostoli è in qualche modo apostolico, cristiano e
divino. Ma non lo è in recto. Perché, ·se così fosse, ci
troveremmo immediatamente davanti al divino, in una
specie di teofania. Lo è solamente in obliquo, in quanto
la mediazione fa presente in sé e per -sé il divino e
l'evangelico. Di conseguenza, una forma patologica è . stata
rivendicata come fosse il cattolicesimo tout court. Ha
conquistato i fori ufficiali ed è entrata nei manuali della
dogmatica post-tridentina, prol.u ngandosi fino all'avvento
del Concilio Vaticano II. Ad esempio, la chiesa veniva
presentata in questo modo: Cristo, prima di salire al
cielo, ha lasciato la chiesa bell'e pronta con le sue strut-
ture, il suo corpo dottrinale, i suoi vari ministeri e i sette
sacramenti. Il problema della chiesa era di come conser-
vare tutto ciò allo stato puro, pure a costo di un'esplici-
tazione liberatrice ma pericolosa. La chiesa doveva resta-
re inalterabile nella storia; andare in linea retta verso l'in-
contro con il Signore nella parusia, con un'evoluzione ret-
tilinea e una crescita meramente orizzontale. Il possibile
sviluppo posteriore era già contenuto nelle direttive ch.e
Cristo aveva dato agli apostoli, come cons.e rvate sia nella
Scrittura che nella tradizione. Così si giustifica teologica-
mente, e si consacrava, per tutti i tempi, una determinata
forma storica della chiesa sorta in un tempo determinato,
nella quale tuttò veniva considerato istituito da Cristo.
Come J. A. Mohler diceva di alcuni teologi del suo tempo:
«Per essi, Dio ha creato la gerarchia. E questo per la chie-
sa è più che sufficiente per garantirla fino alla fine del mon-
do » (28 ).
Oggi ci sembra un'evidenza palmare che è proprio dell'i·
deologia di presentare come naturale ciò che è storico, e
come divino ciò che è umano. In tal modo l'umano viene
a guadagnare un valore indiscutibile imposto a tutti e lo
storico un elemento di dominazione che congela la stessa
storia. Si apre qui Io spazio per parlare dell'aspetto pato-
logico del cattolicesimo e della sua capacità di trasfor-
marsi in elemento di oppressione dell'uomo, di cui parle-
remo in seguito.
126
....... ._ , __ ......................................
::__-"--;....._;.;;_~ _____________________
aa) Ricerca di una normalità teologica
""
(29) Cfr. Ratzinger J., Das ueue Volk Gottes. Entwurfe zur Ekkle-
siologie, Diisseldorf, 1970, pp. 75-87; Appel N., Kanon und Kirche,
Paderborn, 1964, pp. 351-380. .
(30) Die Kirche, in Theologische Traktate, Monaco, 1951, p. 17.
127
Santo e noi ... » (A t 15, 28 ). Per questo Ratzinger, che ha
fatto proprie le tesi di Peterson nella sua concezione
ecclesiologica, afferma che: «Appartiene alla chiesa il po-
tere di decisione, il dogma; essa con1incia a esistere solo a
partire dalla fede in questo potere e senza di e.sso resta
del tutto incomprensibile. L'intera forma della tradizione
biblica è espressione di questa fede, poiché le parole di
Gesù non sono staie conservate con1e fossero un reliquia--
rio da museo, ma appartengono al presente della chiesa e
in sua funzione sono state interpretate» (31 ). Peterson
asseriva ancora} con più enfasi: «Una chiesa senza diritto
ecclesial~ apostolico, senza la capacità di prendere deci-
. sioni dogmatiche, non si può in nessun modo chiamare
chiesa» (32).
H. Schlier, altro esegeta passato dal protestantesimo al
cattolicesimo, ha scritto un saggio pertinente dal titolo:
· Das bleibende Katholische (La costante cattolica) (33),
ponendo come sottotitolo: Saggio su un principio cattoli-
co. Anche per lui, uno dei principi del cattolicesimo, forse
quello più fondamentale, è quéllo della decisione. Dio ha
preso la . decisione in Gesù Cristo a favore del mondo.
Tale decisione divina si esterna nella decisione della chie-
sa, nella Parola e nel Sacramento. La chiesa vive in quan·
to permanentemente si decide di far propria la decisione
divina nel confronto con le esigenze decisive della storia.
In tal modo, la fede cristiana vive incarnandosi di conti-
nuo nella realtà del mondo, delle idee, delle ideologie e dei
costumi (34 ). Essa non esiste in sé, ma solo concretizzata in
una teologia e in una comprensione del mondo all'interno
di istituzioni ecclesiali. E ciò non costituisce l'appannag-
gio del cattolicesimo .Posteriore, perché così è stato fin
dal principio. Il Nuovo Testamento è il libro della predi-
cazione della chiesa: è un prodotto della dogmatica, della
liturgia, della catechesi, dell'innologia e delle tradizioni e
correnti teologiche delle ·comunità primitive. Il cattolice-
sirno attuale non fa che continuare il processo iniziato
dal Nuovo Testamento.
128
________________ . -
___._ --
bb) Il problenza del cattolicesimo è un problen,za di ec-
clesiologia
Come risulta dalle discussioni precedenti: l'interrogativo
sul cattolicesimo sfocia nella questione ecclesiologica. È
possibile un cristianesimo senza mediazioni storiche? In
altri termini: possia:IJ?.O pensare il cristianesimo senza le
sue apparizioni nel mondo? La concretizzazione del cri-
stianesimo nella storia si chiama cattolicesimo_ e chiesa.
Come allora dobbiamo pensare alla chiesa? Non possiamo
più restare nella vecchia questione della chiesa . di Cristo
invisibile e spirit.u ale da un lato, e delle varie istituzioni
ecclesiali visibili - prodotti umani - dall'altro. La chiesa
vive sempre dell'unità concreta e viva del divino e del-
I'timano, della fede e della storia .. ~a q1:1estione si fa ancor
più palpitante se guardiamo alle discussioni ecclesiologi-
che ed ecuméniche attuali, riguardanti la relazione tra
Cristo e la chiesa. Era nel pensiero del Gesù storico la
fondazione di una chiesa organizzata nelle sue strutture
essenziali? O invece l'istituzione particolareggiata della
chiesa è nata come risultato storico dell'incontro di vari
fattori che si sono coniugati, come il messaggio di Gesù
sul Regno, alcune strutture escatologiche presenti nella
sua attuazione (come i dodici), la sua morte e resurrezio-
ne, il fatto del dilazionamento della parusia, l'entrata dei
pagani nella fede, eèc.? ·
Nell'attuale ambiente cattolico si delineano due correnti
fondamentali: la prima afferma, con una visione più
dogmatica, la presenza della chiesa già nell'annuncio del
Regno e nell'attuazione di Gesù insieme con i dodici, in
tal modo che essa poté mantenere una c_erta continuità
che scavalca il fossato creato dalla morte di croce e dalla
distruzione momentanea della .primissima comunità. Altri,
appoggiandosi sugli studi esegetici e all'interno di una
visione più strettamente storica, tendono ad affermare
che la chiesa come istituzione non stava nel pensiero. del
Gesù storico, ·ma è sorta come evoluzione posteriòre alla
risurrezione, specialmente con il progressivo processo di
disescatologizzazione. Autori come R. Sèhnackènburg (35),
JltJ
c) Conclusione: vangelo-cattolicesimo,
identità e non identità ..
Concludendo questa parte storica, riprendiamo le que-
stioni sistematiche emerse:
aa) Il cattolicesimo non si è evidenziato come ·Un deca-
dimento o un processo di deterioramento di qualcosa ad
esso storicamente anteriore, puro e c.ristallino, che sareb-
be il messaggio di Gesù o il vangelo. Il cattolicesimo è
·apparso come un principio, il .principio dell'incarnazione
del cristianesimo nella .storia. È la mediazione del cri..
stianesimo.
bb) Il problema fondamentale sta nel come intendere tale
(36) Der historische Jesus und die Kirche, in « Wort und Wahrheit »,
26 (1971), pp. 291-307.
(37) Jesus und die Kirche, in Begegnung der Christen, Stuttgart-
. Friburgo, 1960, pp. 54-81.
(38) Peterson E., Die Kirche, in Theologische Traktate, Monaco,
1957, pp. 411-429.·
(39) O destino de Jesus e a lgreja, in A !greja em nossos dias, S.
Paolo, 1969, pp. 9~29. ·
(40) Ki.ing H., A I gréja, I, Lisbona, 1969, pp. 65~150.
( 41) O l esus hist6rico e a I greja, in « Perspectiva teol6gica », 5
(1973), pp. 157-171.
130
. .. _ __________________________________
,, .-....~
. . - .
- - ~- -~ - - . .. - _..... . - . .. -
...... - ..... .... ······ -- ·- .. .·.
131
cc) In rapporto all'identità e non identità tra chiesa e ·
. vangelo, si possono dare fondamentalmente due stili di
vita cristiana: l'uno assumerà con entusiasmo e senza
grandi prevenzioni le mediazioni storiche, perché vede in
esse la presenza del vangelo e la forma concreta di attua-
zione di GesiÌ Cristo e della sua causa. L'altro sottoporrà
continuamente tutte le mediazio'ni a una critica vigi-
le, perché non vede in esse il vangelo e il Cristo vivo: vi
vedrà la costruzione dell'uomo e cercherà insaziabilmente
una purezza se1npre maggiore del vangelo. Entràmbi gli
stili si trovano ancorati in dati oggettivi di un problema
altrettanto reale, qual è quello della identità e non identi-
tà del vangelo con la chiesa, del cristianesimo con il
cattolicesimo. Entra1nbi possono anche degenerare patolo-
gicamente, nel momento in cui affermino soltanto la noi).
identità dimenticando l'identità. Ci sembra che il nodo
problematico centrale tra il cattolicesimo romano e il
protestantesimo si situi qui. Non sono tanto le dottrine
differenti a separarli, quanto gli stili diversi· di vivere il
• • •
cristianesimo.
132
a Gesù e delle tradizioni; secondo, vi si verifica una
straordinaria molteplicità di correnti teologiche nei sinot-
tici e negli altri scritti del Nuovo Testamento; terzo, vi si
constata ugualmente l'irriducibilità di varie posizioni teo-
logiche: ci sono contraddizioni tra esse, ad esempio tra
san Matteo e la lettera . ai Galati, tra la lettera ai Romani
e la lettera di san Giacomo. Perfino all'interno del corpus
paulinum si constatano contraddizioni tra Rm 7, 12 e Gal
3, 13, riguardo alla valorizzazione della legge giudaica.
E tutti, ciononostante, stanno dentro uno stesso canone.
Da· questa verifica E. Kasemann, ad esempio, conclude
che storicamente, sul piano dell'analisi dei testi, il Nuovo
Testamento non fonda l'unità della chièsa, ma la diversità
delle conféssioni ( 43 ). E tuttavia, perché una confessione
si giustifichi, non basta trovare il suo fondamento in
qualche testo o corrente teologica del Nuovo Testamento.
Ci si deve aprire alla totalità, e non soltanto a una parte
delle testimonianze neotestamentarie. L'unità della chiesa
è una realtà teologica fondata nell'ascolto e nell'ubbidien-
za all'unico vangelo di Gesù Cristo che sta oltre i testi
evangelici. Dove non è la storia a decidere, ma la fede. ,
Senza volerei addentrare più profondamente nella que- .
stione, diremo in primo luogo che il testo del Nuovo
Testamento ha un'autorità particolare non per il fatto di
essere un testo, ma perché è il primo testo-testimonianza
di coloro che per primi furono i testimoni del Verbo di
vita. Il testo come tale non farebbe autorità, come invece
il messaggio che esso trasmette. La stessa ispirazione non
altera la grammatica e la semantica della lettera. 'Tuttavia
il .messaggio, storicamente, è legato al testo. Il quale fun-
ziona carne chiave di decrifrazione del messaggio. Senza il
testo-testimonianza perderemmo la via di accesso storico
al messaggio e al Gesù che è vissuto tra noi. Perciò la
fede, che si pone come forza storica, resta legata a questi
primi testi. Dovrà sempre leggerli e rileggerli, interpretar-
li e reinterpretarli ·nel confronto e alla luce degli interro..
gativi posti dal presente. Così si libera il messaggio pri-
gioniero nel testo; e viene attualizzato nella nuova incar..
nazione testuale, al fine di produrre quell'impatto della
fede che ha prodotto al suo nascere.
133
In secondo luogo, i contenuti dei testi hanno anche una
autorità speciale. Essi provengono da coloro che hanno
testimoniato· la storia di Gesù nella quale Dio ci ha re-
denti. I contenuti, allo stesso modo dei testi, si trovano
legati alla cultura e al tempo storico. In tal senso parte-
cipano del limite storico. E tuttavia, funzionano anch'essi
come chiave di decifrazione del messaggio. I contenuti
sono delle rappresentazioni che la riflessione usa per
concretare l'inconcretabile, che è la verità di Gesù Cristo,
. Dio-uomo, il suo messaggio di liberazione e il suo avve-
nimento salvifico. La chiesa deve avere il coraggio del
dogma, della formulazione comunitaria del messaggio, che
· capta nella fede e cerca di viverè nell'amore e di testimo-
niare nella speranza. Può e deve avere anche il coraggio
di denunciare quelle formulazioni in cui giudica di non
poter identificare il messaggio Iiberatorio di Gesù. Per
questo Paolo poteva dire che con gli entusiasti gnostici
della 1 Cor era impossibile far co~unità. Ed era anche
impossibile con i nomisti giudaizzanti, che non avevano
compreso la novità del cristianesimo rispetto al giudai-
smo. Tuttavia i contenuti e le rappresentazioni, in quanto
rappresentazioni (non in quanto chiavi di decifrazione)
non si possono dogmatizzare in forma esclusiva, chiuden..
do alla storia posteriore lo stesso compito di creare altre
chiavi di decifrazione, alla luce e come prolungamento di
quelle originarie del Nuovo Testamento. L'affermazione
dogmatica è legittima, e anche necessaria; a causa delle
minacce di eresia e di pervertimento dell'esperienza cri-
stiana. Ma nella sua formulazione essa è una chiave di
decifrazione, valida per un determinato tempo e· per de-
terminate circostanze. Quando si dimentica questa istanza
temporale e storica e si pretende, nelle formulazioni, di
farle valere per tutti i tempi e in modo esclusivo, allora
ciò si trasforma in ostacolo per le necessarie e nuove
incarnazioni del cristianesimo. La dogmatizzazione esclu-
sivista del testo è sempre la forma patologica di una
verità. L'obbligatorietà del dogma si trova legata alla ve- ·
rftà che enuncia, e non all'esclusività del suo modo di
enunciarla.
C'è un'utilizzazione del testo del Nuovo Testamento che
diventa dogmatizzazione; e la si ha quando il testo in
quanto tale viene elevato a ultima istanza. Il testo fa
autorità solo in un primo momento di un processo più
134 J,
ampio, in quanto ci apre al messaggio. In un secondo
momento dello stesso processo dialettico il testo deve ~
potere essere superato, per dare spazio all'altro testo del-
l'oggi della fede. Il testo del cattolicesimo primitivo con-
serva la sua autorità come primo testo apostolico,· termi-
ne di riferimento per tutti gli altri, ma non lo si può
considerare esclusivo e congelatore della storia.
In terzo luogo, si deve prendere molto sul serio il fatto
che il Nuovo Testamento accoglie la pluralità di teologie
e di posizioni dottrinali persino contraddittorie. Tutto si
racchiude nello stesso canone e costruisce la medesima
unica chiesa. Tale atteggiamento fonda uno stile di vivere
la fede cristiana. Il punto decisivo, in essa, non si esau-
risce nel solo aspetto dottrinale (un momento del proces-
so dialettico), ma nel comune riferimento e nella stessa
volontà di voler essere fedeli all'unico messaggio di- Gesù
Cristo Liberatore. Questo . stile, testimoniato nel Nuovo
Testamento, costituisce un appello perrnanentè al . cattoli-
cesimo perché non si chiuda nel godimento delle sue
conquiste, né si lasci affascinare dallo sfavillio di una
formulazione beri fatta. Come dice Paolo in termini pro-
grammatici: «Chi è Apollo? Chi è Paolo? Servi, attraver..
so i quali siete venuti alla fede, e ciascuno nella misura
che Dio gli ha concesso ... Quanto al fondamento, nessuno
può porne uno diverso da qùello che fu posto, che è Gesù
Cristo » ( 1. Cor 3, 5.11 ). .
Quale sarebbe, allora l'atteggiamento veramente cattolico?
Quello di restare fondamentalmente aperti in tutte le di-
rezioni, senza escluderne una sola, di .quelle che il Nuovo
Testamento permette. Essere autenticamente cattolici
vorrebbe dire restare liberi e aperti alla totalità del van-
gelo (44). E viceversa: essere patologicamente cattolici
vorrebbe dire esclusivizzarsi ·in alcune linee, o chiudersi
in alcune correnti soltanto di espressione della fede. È
una patologia che può manifestarsi tanto nel cattolicesi-
mo romano quanto nel protestantesimo, come in ogni
altra forma di incarnazione del messaggio cristiano.
135
3. L'identità del cattolicesimo
136
' -·-·· - . ··-· ..-:-·. -· ··-··-: -· . -···· .. '. - ... .. - .. ' ·-· .... - ... --····· ..
137
138
. ' '
- - " -- ~ * . -·
4 . . Cattolicesimo romano:
•
affermazione coraggiosa dell'identità sacramentale
.
Come si · sono comportati i cristiani di fronte · a questa
dialettica sacramentale che caratterizza l'identità del cat..
tolicesimo? Si può avere una tendenza che accentua con
più vigore l'identità nel sacramento e un'altra che ne
accentua la non-identità. Esse danno origine a due stili
diversi ·di cattolicesimo. A noi pare che il cristianesimo
romano (cattolicesimo) si distingua per l'affermazione co-
raggiosa- dell'identità sacramentale e il cristianesimo pro-
testante per un'affermazione intrepida della non-identit~.
Il primo accentua l'incarnazione, la storia, il coraggio del
provvisorio, mentre l'altro rivela la libertà del vangelo,
l'assoluto e il suo non trovarsi vincolato agli schemi di
questo mondo. Evidentemente l'uno non esclude, anzi in-
clude l'altro. Si tratta di accentuazioni, e conseguente-
mente di ·s tili di vivere la totalità del cristianesimo.
Vogliamo ora illustrare con la storia dei primi secoli
come il cattolicesimo sia segnato decisamente dalla volon-
tà di accogliere, assimilare e non imporre niente che non
sia di fede. È capitato al cattolicesimo romano un po'
come capita alle prime esperienze infantili, che segnano
l'intera evoluzione successiva di una persona. Le prime
esperienze -storiche del cristianesimo hanno determinato
139
la sua evoluzione posteriore. Ogni grande struttura e con..
giuntura storica è servita da materiale per incarnarvi il
cristianesimo, arrièchendolo, compromettendolo, éompJi..
candolo. Il cattolicesimo romano attuale è erede di tutta
questa esperienza profondamente complessa e insieme
ambigua. Il germe, come principio di incarnazione, lo
troviamo già nel Nuovo Testamento, quale espressione
giudaico-ellenistica del messaggio di Gesù. Esso ha assun-
to categorie precedenti, né poteva essere diversamente.
Nel processo storico non si dà mai un inizio assoluto. È
utopica ogni volontà di assoluta distruzione o di assoluto
inizio ab ovo. Il nuovo si presenta sempre come sintesi e
assunzione diversa del precedente e dell'antico. Il cattoli-
cesimo occidentale romano, tuttavia, si configura meglio
nelle sue principali tendenze nella Lettera ai Corinti di
san Clemente Romano. Nel 1966 K. Beyschlag ha scritto
un saggio su Clemente Romano e il cattolicesimo primiti..
vo (Friihkatholizismus) ( 48). Vi si dice: «Quasi tutto ciò
che costituisce il cattolicesimo primitivo di conio occi-.
dentale si ritrova già nell'analisi della prima lettera di
Cle'mente, e cioè: il fondamento giudaico della chiesa sul-
l'Antico testamento, il confronto apologetico con Israele,
la valorizzazione a fondo di tutto ciò che è apostolico, e
specialn1ente legato al nome di Pietro, il dogma dell'unità
ecumenica della chiesa, il primato del primo articolo di
fede sul secondo e sul terzo, la sintesi tra la storia profa..
na e la storia sacra, l'ideale di pace e di ordine nel
mondo, la trasformazione dell'apocalittica nella dottrina
dei novissimi, l'idea della sicurezza infiltrata nelle istitu-
zioni ecclesiastiche, la relativa ambiguità del problema
escatologico, il primato della soteriologia e del Gesù si-
nottico, l'interpretazione cattolica della teologia paolina, il
messaggio orientato alla conquista missionaria del mondo,
l'organizzazione delle chiese mediante la gera·rchia e il di..
ritto canonico, la sintesi tra la struttura gerarchica e la di-
mensione carismatica, tra cristianesimo e chiesa, le nori-n,e
concrete della vita cristiana elevate a Nuova Legge, la
confessione sacramentale reiterata, il martirio interpreta-
to come lotta quotidiana per la perfezione in seno alla
140
• • 1 .
14!
simpatia nuove forme di .culto; e che il paganesimo si
trovava in una · fase notevole di spiritualizzazione (52).
Il cattolicesimo primitivo si presentò al mondo sotto la
forma di una religione, perché tutta la cultura di allora
era religiosa. Per il giudaismo era un odos, una via (At
9, 2; 19, 23), o un gruppo particolare di giudei che venera..
vano il Nazzareno (hairesis: At 24, 5.14). Con sant'Ignazio
di Antiochia (t 110) apparve per la prima volta il neoJo..
gismo Christianismos, cristianesimo, come contrapposto
allo judaismos (53). Per lui cristianesimo è sinonimo di
cattolicesimo, nel senso che gli diamo ·noi. Significa la
comunità dei fedeli con i suoi riti, le sue dottrine e il suo
cammino concreto di vita. Per questo sant'Ignazio chiede
che « Impariamo a vivere secondo il cristianesimo» (kata
christianismon). Ciò nonostante, non era riconosciuto
come religione lecita (54). Possedeva un'inferiorità giuri. .
dica ed era soggetto alla repressione. Di qui la tendenza
degli apologeti a dimostrare il cristianesimo come una
religione che poteva svolgere una funzione utile. per l'Jm..
pero, non meno degli altri culti. Si arrivò a presentarlo
come la vera filosofia e pedagogia dell'uomo. Minucio Fe. .
lice, nel suo Ottavio, poteva ·dire: «La gente potrebbe
pensare che i cristiani siano i filosofi d'oggi e che i filosofi
di un tempo siano stati cristiani» (55). Difendendo il cri. .
stianesimo come religione da accogliere con vantaggio per
l'Impero, gli apologeti assumevano il modepo vigente del
rapporto tra Religione e Stato. A ciò si arrivò nel 311,
con l'editto di tolleranza di Galerio. Il primo atto giuridi. .
co che dichiara il cristianesimo religio licita Io fa sotto
l'aspetto di con1unità di culto, integrandolo nei quadri del
diritto . romano. Costantino (306-337), subito dopo la sua
vittoria su Massenzio al ponte Milvio (28-10-312), concede-
va delle immunità ai sacerdoti cristiani e così li eguaglia..
va ~gli altri sacerdoti pagani. Non solo: concesse loro
142
,.:,
- ·-· .
143
.l
dell'ideologia pagana, delle funzioni pagane, della liturgia
pagana. Crea meno cose nuove 'di quante non ne assuma.
Ciò si rileva assai bene dal modo in cui si è comportato il
cristianesimo di fronte alla religiosità popolare pagana,
che era, a fianco dei culti ufficiali, assai viva e pluralistica.
I convertiti o quelli che passavano al cristianesimo per-
ché l ex civilis, portavano alla fede il peso della loro co-
smovisione magica, piena di angeli e di demoni, .di riti e
di trad~zioni (59). Tali realtà non vennero sradicate; furo-
no invece battezzate, accolte e integrate, senza a volte una
conversione interiore da parte di fedeli che nel loro cuore
e nella loro vita personale continuavano a essere pagani.,
Tertull~ano ci testimonia della religiosità del popolo: «Al-
l'uscire ed entrare in- casa, all'inizio e alla fine di qualche
azione, nel vestirsi, nel mettersi le scarpe~ pri1na del ba-
gno, prima di coricarsi o di sedersi, per ogni atto quoti-
diano noi cristiani ci facciamo il segno di croce al ca·
po » (60). Probabilmente il segno della croce sostituiva
gesti magici pagani. C'era più trasposizione che conver..
sione. Tale fenomeno collettivo ha portato Agostino. a
operare una interpretatio christiana dei riti pagani: « la
stessa realtà che ora si chiama cristiana, era già presente
negli antichi » ( 61 ). Per lui la realtà cristiana era da sem-
pre presente nel mondo sotto segni diversi: mutata sunt
sacramenta, sed non fides! Il paganesin1o è stato un modo
diverso di articolare la medesima sostanza cristiana. Per
questo non ci sono ostacoli di fondo nell'assumerne le
manifestazioni. Questo stesso ottimismo sacramentale
troviamo in papa Gregorio il Grande (t 604 ), quando invia
i missionari tra i popoli sassoni: « Non si devono di-
struggere i templi dei vari popoli, ma solo i loro idoli. Si
prendà dell'acqua benedetta e la si getti sugli idoli, si
costruiscano degli altari e vi si mettano le reliquie. Que-
sti templi già ben costruiti devono essere i luoghi del
144
sacrificio non per gli spiriti del male, ma per il vero Dio.
Il popolo, vedendo che i suoi templi non vengono distrut-
ti, si volgerà con gioia al riconoscimento e all'adorazione
del Dio vero >> ( 62 ).
Tali misure non nascevano da interessi economici. Erano
frutto di una comprensione sacramentale di fondo, stori-
co-salvifica, che vede come Dio e la sua grazia utilizzano
sempre le realtà della storia per incontrare gli uomini.
Nonostante que.s to ottimismo invincibile, si faceva sentire
anche la necessità del discernimento degli spiriti. Non
tutto veniva senz'aliro accolto e integrato. Sant'Agostino,
davanti a ogni sorta di aggettivazioni magiche, stabiliva
per i suoi fedeli le seguenti direttive: « Tutte quelle cose
che non trovano fondamento nella Sacra Scrittura, né
nelle risoluzioni dei sinodi dei vescovi, né hanno guada-
gnato autorità neHa tradizione di tutta la chiesa, ma ap-
paiono lì per lì secondo i luoghi e i costumi, in un plura-
lismo di manifestazioni tale che non si riesce a vedere
quali scopi perseguano, si devono semplicemente abolire,
ovunque ciò sia possibile. Sebbene non contraddicano la
fede, appesantiscono la religione, che dev'essere, secondo
il disegno di Dio, libera da sovraccarichi che la rendono
sçhiava e di forme cultuali semplici e chiare» ( 63 ).
Tu.t to questo processo va inteso ermeneuticamente. Nel
suo incarnarsi, il cristianesimo, in un primo momento
dialettico, si identifica con ciò che assume, lo valorizza, lo
perfeziona. In un secondo momento se ne distanzia criti-
camente, si disidentifica da esso, per tenersi libero per
nuove assunzioni. Il primo momento caratterizza profon..
damente il cattolicesimo romano~ segnato da una volontà
irriducibile di assumere, di fare sintesi con le realtà che
gli si offrono, di conquistare e pianificare il futuro. Nel-
l'espressione ammirabile di sant'Agostino, il cristiano dice:
« Ego in omnibus linguis sum; mea est graeca, mea est
syra, mea est hebraea, mea est omnium gentium, quia
in unitate sum omnium gentium » (64). Poiché niente è
alieno al Regno di Dio, pure niente dev'essere estraneo al
cristianesimo, che si sente chiamato a fermentare l'intera
massa del mondo. Erede di tale spirito, Newman poteva
-
(62) Ep. XI, 76: PL 77, 1215.
(63) Ep. 55, 19, 35 (CSEL 34, 2, 210); cfr. pure Ep. 54, 1, 1.
(64) Agostino, In Psalm. 147, 19: PL 37, 1929.
145
dire: « Si obietta: queste cose si trovano nei pagani,
dunque non sono cristiane. Noi preferiamo dire: queste
cose si trovano nel cristianesimo, dunque non s0no paga-·
ne» ( 65). La storia dei secoli successivi alla svolta costan-
tiniana non ha fatto che confermare un cammino già
cominciato. L'aspetto di negatività, derivante dalla co-
scienza della non~identità, sarà presente qui e là, ma sen-
za arrivare a caratterizzare il cattolicesimo romano.
'
146
- - -- k~ ~ • - -- - -
147
'
•
'
tralizzando tutte le decisioni in una piccola élite gerarchi-
ca, di un modo di presenza della chiesa nella società, ha
portato a forme _inimmaginabili di oppressione dei fedeli.
L'indurimento istituzionale ha portato all'assenza di fan-
tasia, di spirito critico, di creatività. Il nuovo viene subi-
to sospettato, mentre predominano le tendenze di apolo-
gia dello status quo. ecclesiastico, gli appelli alla lealtà
verso l'istituzione ben più che verso il messaggio e le
esigenze evangeliche. L'idea di sicurezza si fa molto più ·
forte di quello di verità e di veracità. Le tensioni vepgono
spesso soffocate e represse, per cui non è raro che si
violino dei diritti fondamentali della persona umana, ri-
spettati perfino dalle società aconfessionali o ufficialmente
atee.
Il ca~tolicesimo romano non è stato abbastanza negativo,
ossia critico. « Molte volte . specialm.ente nel periodo co-
stantiniano, non ha annunciato abbastanza i suoi ideali di
bontà, giustizia e amore a una società e a uno Stato
ingiusti. Ha invece preferito di starsene positivamente a
fianco dei grandi proprietari e degli eserciti più forti. Ha
comperato con l'aura della giustizia eterna i signori in-
giusti della società, dando loro legittimità e motivando
molti a sacrificarsi di buon grado e con .:u miltà per una
minoranza, sia nel processo di produzione che sui campi
di battaglia. Il cattolicesimo ha perduto il suo sale escato..
logico e si è trasformato in un'ideologia che gittstificava
gli ordini di strapotere costituiti. In tal modo ha solo
allargato la dicotomia tra il particolare e l'universale e ha
evitato la loro riconciliazione in una società più libera. Si
è fatto reazionario » ( 69).
A fianco di queste manifestazioni deturpate si è elaborata
una giustificativa teologico-ideologica. Con facilità si è at-
tribuito al diritto divino ciò che era semplice diritto
storico. Si è chiamata legge naturale ciò che era semplice
costruzione culturale. In questo modo si salvaguarqavano
l'istituzione, le leggi e le dottrine da qualsiasi critica o
tentativo di cambiamento sociale. Da qui sono nate le
varie mitologie oppressive, sostenute ideologican1ente dal
cattolicesimo, come il mito del potere assoluto dei re,
quello della sacralità dell'Impero e tanti altri.
'
'
(69) Siebert R., A religiao na perspectiva da sociologia critica, in
« Concilium» 91 (1974), pp. 45-57, qui 51.
148
L'assolutizzazione di un tipo di chiesa e di una forma di
presentazione del messaggio evangelico dà vita a una spe-
cie curiosa di patologia, quella di una mentalità apocalit.
tica. Quando lo status assolutizzato entra in crisi, le per-
sone che vi si trovano coinvolte hanno la netta sensazione
della fine del mondo . e dell'imminenza dell'escatologia
finale. ·Pare che tutto finisca. Anche teologi e santi potero-
no cadere in simile illusione. San Gerolamo, ad esempio,
vedeva nella caduta dell'Impero romano il segno evidente
della prossima fine del mondo (Ep 123, 15-17: PL 22,
1057-1058);. san Gregorio papa leggeva nei cataclismi
del suo tempo e nella presa di Roma il segno della fine
imminente. (Rom. in Evang. 1, 5: PL 76, 1080-1081). E, in
realtà, era arrivata la fine di un mondo, del suo ordina-
mento e del suo potere. Ma questo mondo non è tutto
il mondo, né assorbe in sé la totalità del processo storico~
La storia continua. Sorgeranno altri mondi e altre possi-
bilità per la fede di incarnarsi, e di rendere possibile
'l
l'incontro di salvezza dell'uomo con Dio.
t
t
Le manifestazioni patologiche del cattolicesimo romano
l hanno avuto .libero corso con l'espulsione dal proprio seno
l
1
del pensiero negativo, che manteneva viva la coscienza
't
'' della non-identità. Fu un errore storico l'esclusione del
~
'~ protestantesimo; poiché non si è escluso solo Lutero, ma
'
i'
~·
anche la possibilità di una vera èritica, di una contesta-
zione del sistema in nome . del vangelo. II cattolicesimo
può così trasformarsi in un'ideologia totale, reazionaria,
violenta, repressiva, oggi invocata da noti regimi totalitari
installati in vari paesi dell'America Latina. Niente è più
lontano e alieno .dallo spirito evangelico di questa pretesa
del sistema cattolicistico di infallibilità illimitata, di in-
questionabilità, di certezze assolute, di questo incapsula-
mento del cristianesimo in una espressione unica ed e ..
sclusiva, di questa incapacità di riconoscere il vangelo se
non in un'unica dottrina, in un'unica liturgia, in ~n'unica
norma morale e in tln'unica organizzazione ecclesiastica.
L'esperienza cristiana viene sostituita dell'indottrinamen·
to del sistema cavalcato. Si vive-' nell'inferno dei significa-
ti, sempre di nuovo interpretati e reintepretati ideologi-
camente per mantenerli sempre in vigore, in una catena
senza fine di interpretazioni delle interpretazioni, perden-
do. il riferimento all'-unico necessario che è il vangelo. Il
feticismo della mediazione, nel cattolicesimo, è responsa-
149
bile della sua sclerosi e lentezza storica nel captare i segni
dei tempi., tradùrre alla loro luce e incarnare sempre dac-
capo il messaggio liberatoriQ di Gesù.
A conclusione di questa parte, vogliamo di nuovo eviden·
ziare come tali manifestazioni patologiche sono patologie di
un principio vero, patologie che non arrivano a inghiotti- •
re la forza positiva dell'identità del cattolicesimo. Il nega·
tivo vive di un positivo ancor più fondamentale; e la criti-
ca, per quanto contundente e verace, si ispira a qualcosa
di più grande e di più sano. Senza questa impostazione
del problema cadremmo in giudizi senza discernimento
degli spiriti e finiremmo col confondere il cristianesimo
con il cattolicesimo e l'identità con le sue concretizzazioni
storiche.
150
cattolicesimo ufficiale (70). Costituisce solo un diverso si-
stema di tradizione del cristianesimo, all'interno di condi-
zioni con·crete dell'esistenza (71). Il suo linguaggio si fon-
da nel .pensiero spontaneo e la sua grammatica segue i
meccanismi logici dell'inconscio. Per questo, per capirlo,
occorre uno strumentario adeguato e diverso da quello
con cui si analizza il cattolicesimo ufficiale, tutto orienta-
to al pensiero riflesso e al rigore logico della sua sistema-
tizzazione dottrinale.
3. È· cattolicesimo popolare romano. Sebbene abbi~ un'i-
dentità sua propria, e il riconoscimento di tale identità
sia condizione .indispensabile per uno studio corretto~ il
cattolicesimo popolare, appunto perché popolare, si trova
sempre rapportato al cattolicesimo ufficiale romano. Le
dottrine fondamentali, i santi, i sacramenti, ecc. sono ri-
cevuti dal cattolicesimo ufficiale, che lo alimenta inces-
santemente, conferendogli una non-legittimità. Gli stessi
cattolici del cattolicesimo popolare si confessano dentro
la chiesa ufficiale del clero. Per questo non si può capire
il cattolicesimo popolare senza la manutenzione del suo
rapporto dialettico con il cattolicesimo ufficiale. Il quale
controlla la parola, le dottrine e le leggi, ma lascia le
pratfche al popolo, abbastanza libere. Qui il popolo ·ha
spazi di creatività e ha modo di esprimere l'esperienza
religiosa senza impedimenti. Questa esperienza, a sua vol-
ta, alimenterà la teologia ufficiale, iJ rinnovamento delle
istituzioni ufficiali e aprirà a nuove forme di presenza del
151
•
cattolicesimo ufficiale nella cultura erudita del tempo.
Non senza ragione i grandi movimenti . innova tori, le nuo...
ve forme di pietà, i grandi profeti, santi e mistici hanno
fatto irruzione dall'ambiente popolare, dove l'esperienza
çli Dio e di Gesù Cristo, libera dai superego della dottrina
ufficiale, poteva tentare delle nuove mediazioni. Senza il
cattolicesimo popolare, il cattolicesimo ufficiale non vive,
come senza il cattolicesimo ufficiale il cattolicesimo popo..
lare non si legittima nel suo carattere cattolico.
4. Il cattolicesimo popolare romano, come anche quello
ufficiale, può presentare delle manifestazioni patologiche.
Per la sua stessa struttura si trova più esposto a devian-
ze, essendovi un predominio dell'esperienza .sulla critica,
del simbolo che nasce dal profondo inconscio sul concet-
to elaborato dalla ragione cosciente. Non di rado emergo-
no dall'inconscio collettjvo degli archetipi dell'esperienza
religiosa dell'umanità, che possono mettere in pericolo
l'identità cristiana; come, per esempio, l'ansia di sicurezza
e di certezza, che possono dar origine a pratiche feticist~
che e magiche. Il cattolicesimo popolare può significare
una vera liberazione interna, in quanto alimenta il corag-
gio della sopravvivenza, tiene salda la speranza contro
tutte le contraddizioni del presente e conserva lumiJ?.OSO
il senso trascendente dell'esistenza. Ma per il fatto che
non si preoccupa di sottoporre al vaglio critico. le sue
pratiche, può subire infiltrazioni da parte di schemi
. oppressivi e da tutta un'interpretazione teologica dei con..
flitti umani che attraverso la religione manipolata cerca
di perpetuare i rapporti di forza e di ingiustizia costituiti.
Da qui la necessità di analizzare con cura ciò che riel
cattolicesimo è davvero popolare, e ciò che invece è antit.
popolare.
.
7. Conclusioni: il cattolicesimo romano dev'essere
più tradizionale e meno tradizionalista
Cattolicesimo, come è . risultato dalla nostra analisi, si-
gnifica fondamentalmente un atteggiamento ottimista di
fronte alla realtà della storia, una disposizione di apertu-
ra ad accogliere forme culturali, tradizioni, modi di vita,
per esprimervi la fede cristiana e il vangelo. Questo at-
teggiamento costituisce la grande tradizione catto~ica, la
152
'dUt gloria e il suo appannaggio. Ridonda nella gioia · e
J~iovialità dei cattolici e nella ·c ostruzione della storia sot-
1,) il vessillo cattolico. In ogni luogo dove si è impiantato
il cattolicesimo, ne è nata una cultura cattolica, con i
MIOi monumenti, le sue chiese, la stia arte ~aera, la sua
letteratura. A fianco di questa di;mensione positiva sta
lntto l'aspetto patologico, da non esagerare ma da tenere
hen cosciente.
In funzione dell'atteggiamento cattolico, il cattolicesimo
ultuale - tanto radicato in un tipo di incarnazione e
tanto ben disposto a difenderla contro ogni cambiamento
clte non sia di sola modernizzazione della stessa struttura
·~ dovrebbe mantenere più pura e cristallina la propria ·
l radizione: aprirsi a nuovi tentativi, assumere criticamen-
te nuove esperienze religiose, come ad esempio quelle
realizzate nella grande religiosità popolare brasiliana or-
<l i t a con elementi africani, indoamericani, iberici e delle
153
capitolo settimo
in favore del sincretismo:
la produzione della cattolicità
del cattolicesimo
154
1. Che cos'è il sincretismo
La valutazione del sincretismo (l), in positivo o in negati-
vo, rimanda al luogo dove si mette chi lo osserva. Se
'
l'osservatore si mette nel posto béneficiato dal cattolice-
;
'
simo - inteso come una grandezza già fatta, costituita e
!
!
chiusa - allora egli tende a considerare il sincretismo
'
r' come una minaccia da evitare. Se invece si situa a un
'
i
' livello più basso - là dove si hanno i conflitti e le sfide,
in mezzb al popolo che vive la sua fede in osmosi con
altre espressioni religiose e intendendo il cattolicesimo
come una realtà viva e per questo aperta, che fa propri
clementi differenti e si trasforma creando nuove sintesi
155
- allora il sincretismo viene considerato come un pro-
cesso normale e naturale.
Noi siamo eredi di un'elaborazione fatta da chi occupava
di preferenza il primo posto di osservazione, dalla parte
che deteneva il sapere teologico e istituzionale. Per costo-
ro il sincretismo ha un senso peggiorativo. Per l'antico
segretario del Concilio ecu1nenico delle chiese, W. A. Vis-
ser't Hooft, il sincretismo costituisce la grande tentazione
di questo secolo, poiché l'anima umana non è naturaliter
christiana, ma naturaliter syncretista,· e arriva ad affer..
mare che esso è molto più pericoloso dell'ateismo totale.
G. Thils, noto professore di Lovanio, ha fatto eco all'al..
larme di Visser't Hooft, in un libro il cui titolo già indi..
·cava l'alternativa: Sincretismo o cattolicità? Con meno
rigidità, ·egli fa proprie fondamentalmente le critiche del-
l'antico segretario del Consiglio ecumenico d~lle chiese.
Lo stesso Concilio Vaticano II mette in guardia « contro
ogni specie di si.ncretismo e di falso particolarismo » (Ad
. Gentes, n . 22)~
Che cos'è, dunque, il sincretismo? Se ne danno diverse
definizioni: •
156
tcro accomodare alle istituzioni, feste, riti, credenze del
cattolicesimo coloniale. Questo processo di dominazione
non implica ancora una destrutturazione dell'identità re--
ligiosa originaria, ma adotta degli elementi che possono
essere incompatibili con il proprio ethos e generare con. .
flitti e tensioni nell'esperienza religiosa. Così molte divini-
tà degli schiavi negri hanno dovuto accomodarsi ai santi ·
cattolici, far coincidere le feste e adattarvi degli elementi
rituali.
157
spressioni in vista di una religione utile a tutti. Questa
visione non scende nella struttura del religioso, nella sua
esperienza e identità, ma si ferma ai significati esteriori.
Alimenta l'illusione che l'armonizzazione delle espressioni
armonizzi pure le esp~rienze radicali. Ma si tratta di .una
cura semplicemente esteriore e superficiale. II risultato
sarebbe quello di una religione montaia, una specie di
esperanto religioso. Sincretismo, qui, equivarrebbe a giu-
stapposizione, senza nessuna organicità.
•
158
•
Possiamo dire che tutte le grandi religioni che hanno
raggiunto uno sviluppo sistematico, sono state il risultato
di un immenso processo di sincretizzazione.
Il processo continua. Una religione come il cristianesimo
conserva e arricchisce la propria universalità nella misura
in cui è capace di parlare tutte le ling11:e e di incarnarsi,
rifondendosi, in tutte le culture umane. È questo il sin-
cretis~o che rivendichiamo come valido, sebbene possa
avere · anche delle manifestazioni patologiche.
~ un processo che include e oltrepassa gli altri significati
di sincretismo sopra elencati~ .
Nostro compito è di mostrare la legittimità di simile
sincretismo, inteso come processo :vitale di una religione.
La sua rilevanza in Brasile è grande, data la profonda
sensibilità religiosa del popolo e l'effervescenza delle e-
spressioni ·religiose esistenti, di diversa provenienza: quel-
la dell'Africa, degli indigeni,. dei cabocli, del cristianesimo
coloniale-medievale, riformato e modernizzato, delle varie
congregazioni cristiane. Qui il cattolicesimo può, incarnan-
dosi e aprendosi a questa ricchezza religiosa, creare un
volto nuovo.
159
milano gli influssi ambientali della cultura propria e al~
trui. I testi neotestamentari contengono elementi sostan•
ziali di Gesù e degli apostoli; ed elementi giudaici, glu,
deo-cristiani, tipicamente cristiani, romani, greci, gnos,....-
stoici ecc. Tali elementi non vi si trovano giustapposti
per questo non si tratta di un tipo qualunque di s .·. . . .""'
tismo - ma assim~lati a partire da una forte identi .
cristiana, den.t ro criteri di ordine particolarmente cris
logico.
Il risultato non è quello di una religione che è uscita ed
. stata ricevuta bell'e pronta dalle mani di Dio o di Cris
Essa si presenta come un artefatto culturale prodot
dall'attività culturale dell'uom·o, mosso dall'interpe. . . . _.......,,
di Dio. Da un lato è un dono di Dio - e a ragione si dice
che essa è di origine soprannaturale - e dall'altro sl
configura come una costruzione umana, i cui passi e pro• ·
cessi si possono studiare e dettagliare. Il dono di .Dio 1!1
costituito dalla fede e dalla rivelazione divina definitiva in
.. Gesù Cristo. Ma tutto questo viene testimoniato e vis· .
suto entro parametri .religiosi e culturali preesistenti.
La clìiesa, concretamente, si presenta tanto sincretistica
nella sua .struttura, quanto qualsiasi altra espressione re-
ligiosa.
In uno studio abbastanza minuzioso, abbiamo mostra-
to (3) come il cristianesimo puro non esista, né mai sia
esistito, né possa esistere. Il divino si comunica sempre
dentro le mediazioni umane. Le quali gli stanno davanti
dialetticamente: costituiscono il divino nella concretezza
della storia . (identità), rivelandolo - negandolo - nella
sua limitatezza intrinseca (non-identica) e velandolo. Ciò
che in concreto esiste è sempre la chiesa (le chiese), come
espressione storico-culturale e come oggettivaziòne reli-
giosa del cristianesimo, che vive la dialettica dell'afferma-
_zione e della negazione di tutte le concretizzazioni.
~ stato merito di storiografi delle origini cristiane della
portata di un A. Von Harnack, F. J. Dolger, A. Mohler; Fr.
Heiler e recentemente P. Stockmeier ( 4) di aver dimo-
strato come il cattolicesimo rappresenti un « sincretismo
grandioso e infinitamente complesso ». E. Hoornaert ha
(3) Cfr. Boli L., Catolicismo popular: que é catolicismo, in « REB »,
36 ( 1976), pp. 19-52.
(4) Stockmeier P., Glaube und Religion in der fruhen Kirche, Fri-
burgo i. Br., 1973.
160
d· ',(·ritto e valorizzato i tre tipi di cattolicesimo esistenti
twlla nostra patria, frutto ugualmente di un non meno
l~• utH.lioso sincretismo: il cattolicesimo guerriero, quello
puf riarcale e quello popolare (5). Nella chièsa troviamo
1u·u•pre due atteggian1enti: quello dell'autoaffermazione
&h·lla propria•
identità, fino allo spirito apologetico, nell'in-
tt·nto di dimostrare la sua specificità cristiana; e quello di
npt·rtura e simpatia per i valori preesistenti alla venuta
ch·ll'annuncio cristiano, da assumere redentivamente, e-
,.primendo per mezzo di essi e in essi il messaggio e
c1nuùo così origine a un nuovo sincretismo.
: J l sincretismo, pertanto, non costituisce un male necessa..
do, né rappresenta una patologia della religione pura. ~
Invece la sua normalità, quale momento di incarnazione,
t·spressione e ogget.t ivazione di una fede o esperienza reli-
J•.iosa. Può, come vedremo, presentare delle patologie, Ma
f'• •ndamentalmente emerge come fenomeno universale co-
s/ilutivo di ogni espressione religiosa.
..
ziale del messaggio divino. I11 queste categorie appare la
'
l
positività del sincretismo.
i
Appartiene alla sostanza della fede cristiana l'affermazio-
j
l ne che Dio, come è· il Creatore dell'universo, è anche il
'i' Salvatore universale. Egli stesso si offre come salvezza e
pienezza umana, per tutti collettivamente e per ciascuno
161
in particolare. Egli non si nega a nessuno. La perdizione è
opera esclusiva.. di una libertà che rifiuta l'amore salvifico
di Dio. L'amore di Dio è un concreto-concretissimo; non
resta in una semplice velleità universalistica e astratta.
Cala nel concreto. Incontra l'uomo là dove l'uomo si tro-
va. Utilizza come mediazioni gli elementi della sua vita,
della sua cultura, della sua religione. In altre parole, la
volontà salvifica universale di Dio si storicizza e si incar-
na nei riti, nelle dottrine e nelle tradizioni di una religio-
ne, nei codici etici di una società, nelle forme della convi-
venza sociale.' Si dà pertanto, a partire da Dio, una storia
di salvezza che è autocomunicazione salvatrice di Dio al-
l'uomo; e si dà pure, corrispondentemente, una rivelazio-
ne universale di Dio, che fa sì che tutti possano arrivare
alla conoscenza di quella verità esistenziale che li pone
nel cammino della salvezza.
In questa prospettiva storico-salvifica, la religione non
appare mai c-ome un'opera puramente umana. La sua ori-
gine è sempre soprannaturale, per il fatto che l'iniziativa
appartiene solo a Dio. La religione è già una risposta
dell'uomo all'appello divino.. Nella religio11e concreta si
incontrano, in un'unità senza mistura né separazione, la
proposta divina e la risposta umana. La religione è per
essenza sincretista, perché si configura come momento di
incarnazione e di storicizzazione della salvezza universale
e dell'esperienza della grazia salvatrice ( 6 ).
Su questo piano di riflessione, il sincretis:rno appare chia..
ramente come una grandezza teologica positiva. Poco im-
porta la forma di organizzazione degli elementi e la sua
provenienza: le realtà religiose concrete funzionano come
possibili sacramenti di comunicazione ed espressione del-
la grazia. .
Alla luce di questa comprensione storico-salvifica univer..
sale, i primi apologeti cristiani, confrontandosi. con i va-
lori .religiosi e culturali dell'Impero romano, vedevano in
essi delle forme della presenza del Verbo che « illumina
ogni uomo che viene a questo màndo » (Gv 1, 9); Ii chia-
mavano « sernenti del Verbo» (16goi spermatik6i) (7). E
ripetevano anch'essi il detto di Seneca: « Quod verum est,
16~
meum est ... Sciant omnes quae optima sunt, esse com-
munia » (8). Nelle parole di san· Giustino: «Tutto ciò che
è stato detto di buono, noil importa da chi, è cristia-
no» (9). Il problema si fece veramente acuto quando il
cristianesimo, sotto Teodosio il Grande, fu trasformato in
religione ufficiale (28-2-380). Obbligati per legge ad essere
cristiani, i vari gruppi religiosi si fecero cristiani portan-
do nelle comunità cristiane il peso di ogni sorta di riti,
credenze, dottrine e abitudini religiose. Unitamente a uno
sforzo di purificazione, portato avanti alla luce dell'identi-
tà cristiana e delle esigenze evangeliche minime, si osser-
va tra i teologi la cura di procedere a un'interpretazione
storico-salvifica delle varie religioni. Vedono il mistero. di
Cristo presente e all'opera fin dalle origini del mondo. La
chiesa universale ·copre l'intera storia da Abele il giusto
fino all'ultimo eletto, assumendo forme differenti in cia-
scun tempo e cultura, ma comunicando sempre la stessa
grazia di salvezza (lO). Agostino dice paradigmaticamen-
te: « Quella stessa realtà che ora si chiama cristiana era
già presente tra gli antichi » ( 11 ). Origene, alla luce della
fede nella presenza del Logos universale tra gli uomini,
pensava che non si deve tanto badare ai riti e alle ceri-
monie dei pagani, quanto alle loro intenzioni di incon-
trarsi con la Divinità. Tale interpretazione ottimistica ha
favorito l'elaborazione del grandioso sincretismo cattoli-
co: feste, riti, tradizioni, contenuti religiosi furono assi-
milati, incorporati, reinterpretati all'interno dell'orizzonte
cristiano e vennero a comporre la ricchezza simbolica
della chiesa cattolica. Il Vaticano II, nel valorizzare teo-
logicamente le religioni non cristiane, si rifà alla stessa
argomentazione: vede negli elementi di verità in esse
contenuti «una segreta presenza di Dio» (Ad Gentes, n.
9), un « seme occulto del Verba >> (n. 11), dei (( bagliori della
Verità cl1e tutti illumina» (Nostra Aetate, n. 2) (13).
163
Tuttavia, quando ci riferiamo alla storia universale della
salvezza, non dobbiamo pensare soltanto all'offerta gratuita
da parte di Dio. Poiché vi si trova incluso un altro ele-
mento: l'accettazione o il rifiuto dell'uomo. La salvezza
non è mai fatalità. Non si presenta come un'imposizione,
ma come una proposta fatta alla libertà dell'uomo. La
quale, nel suo esercizio, conosce anche il rifiuto di Dio. ~
la storia del peccato del mondo, che ha anch'esso le sue
concretizzazioni in cui si formalizza e prende corpo il
rifiuto umano al convito divino.
La presente situazione si most'ra profondamente ambigua .
Al dire di sant'Agostino: omnis homo {ldam, omnis homo
Christus (14): ciascuno è simultaneamente Adamo e Cri-
sto, giusto e peccatore. Questo significa che nessuna me-
diazione è pura, libera da ogni contaminazione di peccato.
Sia il giudaismo biblico che la chiesa si presentano come
santi e peccatori. Solamente in Gesù Cristo si dà l'incon-
tro assoluto dell'offerta di Dio con l'accoglimento perfetto
dell'uomo. Solo lui può essere presentato come il novis-
simus Ada1n, creazione e gesto totalmente incontaminati.· ,
Per questo egli è venerato come la presenza della realtà
escatologica anticipata nel tempo. In altre parole: il sin-
eretismo, che è insito in ogni manifestazione religiosa,
non solo traduce la p·r esenza dell'amore di Dio, ma anche
la occulta, calpesta e ostacola nella 1nisura in cui chiude
l'uomo in se stesso, confonde la mediazione con la realtà
divina, schiavizza l'uomo in un ritualismo e legalismo
che gli fanno dimenticare che l'essenziale è Dio e la
•
sua grazia.
Nonostante tale ambiguità, la fede cristiana ha sempre
affermato la sovrabbondanza dell'autocomunicazione di
Dio sull'abbondare del peccato. Ossia, per quanto patolo-
gico si possa presentare il sincretismo, e a dispetto di
ogni magicismo, feticismo e · ritualismo, la grazia di Dio
non viene mai ostacolata definitivamente. Dio, nonostan-
te la condizione disastrata dell'umano, trova le vie del
cuore p.er redimer.lo.
Simile affermazione, la teologia dovrà sempre ricordarse..
la; e questo le impedirà di considerare le depravazioni
164
religiose del paganesimo, e dello stesso cristianesimo,
come pura opera di satana. La ricerca umana del tra-
scendente, di una salvezza al di là della storia, non resta
mai assolutamente frustrata: anche se la coscienza della
storia della perdizione, nel suo permeare .1a storia della
salvezza, esige uno spirito critico permanente, capace di
discernere l'elemento sim-bolico dall'elemento dia-bolico
presente nelle espressiqni religiose ( 15 ).
165
L'esperienza della vita come apertura si può descrivere
rigorosamente con una riflessione filosofica, non necessa-
riamente legata in modo positivo a una determinata
confessione religiosa. Lo ha fatto magistralmente .Sartre,
quando ha dimostt:ato l'uomo come sentimento di etre de
· trop, Heidegger quando ha rivelato l'uomo come e-sisten-
za (essere ec~centrico, proiettato e gratuito), o Hegel con
l'uomo quale « animale cronicamente dolente ». L'uomo si
scopre riferito ~ rapportato a una realtà il· cui senso, in
tale primo momento, non riesce ancora a decifr~re. Egli è
lì, gratuitamente. Si imbatte nel mistero della propria
esistenza come rapportata a un Mistero (a un non so che
ancora indecifrato).
Il teologo, in questa angustia e in questo vuoto, ·vede una
forma di presenza di Dio; il grido dell'uomo non è altra
cosa che l'eco della voce di Dio stesso che lo interpeJ..
la ( 17). Tale dimensione è strutturale e caratterizza il mo-
do di essere dell'uomo.
In un secondo momento, quello della libertà, l'uomo può
accogliere liberamente, oppure negare, il proprio riferi-
mento a un Trascendente. Può accettare la propria esi-
stenza come si presenta fenomenologicamente o accoglie-
1
166
ltll.azione assoluta, felicità infinita, amore eterno, realtà
tulalmente riconciliata, ecc.
t'onte atteggiamento di rispetto: si riconosce l'alterità ra-
;
>
'
di(·ale del trascendente, non più visto in funzione delle
;-.
,;'
'·
ttt·ccssità dell'uomo. È l'uomo a sentirsi in funzione del
i.·
''
Mistero, poiché è verso di esso che punta la bussola del-
' l'' ·sistenza.
.•'
•
t'urne dono di se~ all'altro: l'uomo religioso si decentra da
•,c.'· stesso e si abbandona e dona fiduciosamente ai disegni
del. Mistero. Consacra la sua vita al trascendente e gli
dedica l'amore fontale dell'esistenza. Appare qui, in tutta
cristallinità, quell'attività della libertà disinteressata che
t·hiamiamo amore.
Tutti questi passi dell'articolazione responsoriale dell'esi-
stenza mostrano un dinamismo di progressiva . maturazio-
Jte. Si passa da una risposta interessata ad · una funziona-
le, per arrivare infine alla risposta disinteressata dell'a-
lBOre. Il tutto costituisce un processo unico, che abbrac-
cia i sentimenti, le minacce vitali, le aspirazioni segrete
del cuore e infine lo stesso ambito della libertà come do-
nazione di sé all'altro. A ciascun momento-tappa corri-
sponde una rappresentazione del Mistero (Dio). Preve-
nendo ·quanto poi diremo, si vede qui la possibilità di
un'immagine magica di Dio, che bada alle necessità vitali
dell'uomo, e altri possibili svigorimenti, quando il proces-
so si cristallizzi soltanto in una determina t a tappa. La
continua vigilanza critica su se stessi, la continua conver-
sione all'Assoluto - mettendo in questione tutti i modelli
rappresentativi e di sicurezza - liberano l'esperienza re-
ligiosa dall'accusa frequente di non essere che un'illusio-
ne o un'alienazione dalla verità dell'esistenza.
Il terzo momento è quello dell'aggettivazione. L'uomo
è essenzialmente corporeità, che con-vive con altri nel
mondo. Le sue esperienze si esprirnono per mezzo di
realtà psichiche, intellettive, materiali, sociali, culturali,
ecc.. L'apertura trascendentale e il suo accoglimento non
avvengono mai a secco, ma si incorporan-o nelle media-
zioni e in un universo simbolico, mettendo radici in quel
mondo concreto in cui si trovano inserite la persona e la
comunità, con il loro statuto di classe, conflitti, ricerche,
ecc. La teologia chiama fede l'accoglienza dell'apertura
167
trascendentale al Mistero e religione la · sua espressione
storico-culturale. « La religione è la fede espressa e istitu-
zionalizzata; e la fede è il nucleo e la sostanza della re-
ligione » ( 19 ).
Il fenomeno del sincretismo nasce a questo livello espres-
. sivo. Nell'esprimersi, l'esperienza prende gli strumenti
che trova nella cultura, nella ·società, nello statuto di
classe. La fede si esprime nella dimensione sociologica; e
allora appare la religione, con le sue istituzioni, . tradizio-
ni, costumi,
.. poteri sacri, forme di incarnazione. La fede si
fa visibile sul piano della corporeità e della materialità,
mediante i riti e i simboli. Mette radici nell'affettività
dell'uomo, prestando ascolto alle pulsioni di pienezza,
riconciliazione, immortalità e felicità. Si immerge nella
dimensione etico-pratica, stabilendo codici di comporta-
. mento e ideali orientatori delle prassi personali e sociali.
Si esprime a livello intellettivo, elaborando la compren. .
sione dottrinale della fede, con i suoi credo e i suoi dogmi.
Tutto questo complesso di elementi, che compongono la re-
ligione, configura un vero sincretismo. Tutti i dati servono
come mediazione per la fede e costituiscono l'universo
· sacramentale-simbolico della religione. Come fenomeno
culturale, questo complesso simbolico è oggetto dell'at-
tenzione scientifica, che può scoprire nelle espressioni
della fede i riflessi dei con fii t ti sociali, le derivazioni dei
materiali rappresentativi e le strutture psicosociali che in
esse si ritrovano. Il nucleo da cui la religione promana e
che le dà consistenza, cioè la fede, sfugge a~I'analisi scien-
tifica. Questa· attinge solo i fenomeni. La fede che vi
soggiace non è raggiungibile, perché non la· si può ogget-
tivare in se stessa, oltre al suo essere frutto della libertà.
L·a fede è un,esperienza originaria, irriducibile a qualsiasi
al tra esperienza.
168
to statistico, di una cl1iesa quantitativamente popolosa.
Neppure è un concetto sociologico, di una chiesa incarna-
ta nell~ varie culture. Infine, non è neanche un concetto
storico, di una chiesa che conserva la propria continuità
nella st.oria. La .cattolicità consiste nella
.
stessa identità
della chiesa, conservata, confermata e manifestata «per
tutti, sempre e in ogni parte ». L'identità della chiesa sta
nell'unicità della sua fede in Dio Padre, che ha inviato il
suo Figlio per salvare, nella forza dello Spirito Santo,
tutti gli uomini:· una fede che è mediata dalla chiesa,
quale sacramento universale della salvezza. Una medesi-
ma fede, un medesimo Dio, un medesimo Signore, un
medesimo Spirito, un medesimo vangelo, un medesimo
battesimo, una medesima eucaristia: qui sta la cattolicità,
unità e universalità della chiesa.
Questa identità, tuttavia, si oggettiva nei parametri del
tempo e dello · spazio. La chiesa universale (cattolica) s.i
concreta
.
nelle chiese
. particolari, che sono tali perché
dentro i condizionamenti culturali, linguistici, psicologici,
classisti di una regione vivono e testimoniano la stessa
identità di fede. La cattolicità costituisce una caratteri-
stica per ciascuna chiesa particolare, in quanto ciascuna
chiesa particolare, appunto nella sua stessa particolarità e
non suo malgrado, si apre all'universalità presente anche
nelle altre chiese particolari.
Appartiene alla cattolicità della chiesa di potersi incarna-
re senza perdere la sua identità, nelle differenti culture.
Essere cattolico non significa espandere il sistema eccle-
•
siastico, ma poter vivere e testimoniare la stessa fede .in
Gesù
•
Cristo salvatore e liberatore dall'interno di una cul-
tura determinata. Afferma il Concilio con eleganza: « Co-
me Cristo, per la sua incarnazione, si è legato alle condi-
zioni sociali e culturali degli uomini con cui è vissuto,
così la chiesa deve inserirsi in tutte queste società (che
ancora non si sono aperte al messaggio evangelico), per
poter offrire a tutte il mistero della salvezza e la vita
comunicata da Dio» (Ad Gentes, n. 10) (21). Si apre qui lo
spazio per un vero sincretismo. Non sarebbe cattolica una
chiesa che non fosse africana, cinese, europea, latino-ame-
(21) Cfr. altri testi: Lumen Gentium 13 17; Gaudium et Spes 42;
1
169
ricana. Paolo VI, nel suo messa ggio Africae Terrarum (22),
afferma, con valore anche per i culti afro-brasiliani:
«Molti costumi e riti, prima considerati soltanto come
eccentrici e primitivi, oggi, alla luce delle conoscenze et-
nologiche, si rivelano quali elementi integranti di parti-
colari sisten1i sociali degni di studio e di rispetto >> (23 ). E
valorizzando la cultura africana , manifestamente politei-
stica, afferma:
« La visione spirituale della vita è un fondamento costan-
te e generale della tradizione africana. Non si tratta
semplicen1e~te della cosiddetta tradizione ((animista",
nel senso dato a questo termine dalla storia delle re~
ligioni verso la fine del secolo scorso. Si tratta, invece,
.di una concezione più profonda, più ampia e universale,
secondo la quale tutti gli esseri . e la stessa natura visibi-
le si trovano legati al mondo invisibile e dello spirito.
L'uomo, in particolare, non vi è mai inteso come sola
materia, limitato alla vita terrena, ma riconosce se stesso
nella presenza e nell'efficacia dell'altro elemento spirituale
che rende la vita umana incessantemente relazionata alla
vita dell'al di là. Di tale concezione spirituale, elemento co~
mune importantissimo è l'idea di Dio, come causa prima e
ultima di tutte le cose. Questo concetto, percepito più che
analizzato, vissuto più che pensato, si esprime in modo
abbastanza diverso da cultura a èultura. In realtà~ la
presenza di Dio compenetra lfl: vita africana, come presen-
za di un essere superiore, personale e misterioso. A lui si
ricorre nei momenti più solenni e critici della vita, quan-
do l'intercessione di qualche altro intermediario viene ri--
tenuta inutile. Quasi sempre, messo da parte il timore
dell'onnipotenza, Dio viene invocato come Padre. Le pre..
ghiere a lui dirette, individuali o collettive, sono sponta-
nee e talora commoventi. E tra le forme di sacrificio
sorprende per la purezza del significato il sacrificio delle
primizie » (24 ). E il testo conclude: <{La chiesa considera
con molto rispetto i valori morali e religiosi della tradi~
zione africana, non solo per il loro significato, ma anche
perché in essi vede il fondan1ento provvidenziale su cui
- - ---
(22) Cfr. il testo completo in « REB », 27 (1967), pp. 976-989.
(23) N. 7.
(24) N. 14.
170
rasmettere il messaggio evangelico e cominciare la co..
1
struzione della nuova società in Cristo» (25).
A motivo di tale comprensione della cattolicità della chie..
sa, Bonaventura Kloppenburg, ad esempio, chiede una far-
le valorizzazione in positivo dei riti, usi, danze, costumi
della religione umbandista del Brasile (26). I negri hanno
diritto di essere cristiani dall'interno del loro universo
significativo.
Queste riflessioni mostrano chiaramente come il sincre..
tismo sia il compimento dell'essenza concreta della chie..
sa. Da un Iato la fede cristiana, nell'esprimersi dentro
una determinata cultura, partecipa del suo destino, delle
sue glorie e miserie, del suo spessore espressivo e dei
limiti strumentali di cui essa dispone. D'altro lato, nel
confrontarsi con le altre culture in cui non si è mai
oggettivata, - per rendersi comprensibile nella sua stessa
1nissione e rispettare quel bene che Dio stesso ha profuso
in esse - deve e non può non elaborare un nuovo sin..
eretismo, mediante un'incarnazione nuova del messaggio
cristiano. Di conseguenza, il sincretismo non appare solo
un segno inevitabile, ma costitusce. in positivo la forma
storica e concreta con cui Dio raggiunge gli uomini e li
salva. Il problema sta nel tipo di sincretismo da realizzare,
c in che modo cercarlo: quale sincretismo è ~rero e tra..
duce l'identità cristiana? quale, invece, la deteriora e di-
(25) N. 14.
(26) Kloppenburg B., Ensaio de uma nova posiçiio ... , art. cit.,
. « REB », 28 (1968), p. 410: « L'africano, quando si fa cristiano, non
rinnega se stesso, ma riprende gli antichi valori della tradizione
in spirito e verità. Noi però, perché europei, occidentali, della
chiesa latina, di rito romano, noi che cantavamo al suono dell'or-
gano e pregavamo · raccolti in sacro silenzio, noi che eravamo in·
rapaci di immaginare una danza sacra al ritmo dei tamburi, noi
volevamo che l'africano, solo perché stava al nostro fianco, ces-
.o.; asse di essere africano, adottasse una m entalità europea e occi-
dentale, si integrasse nella chiesa latina, pregasse in rito romano,
cantasse al suono e al ritmo solenne dell'organo, abbandonasse il
hatuque, il ritmo, la danza, la preghiera movimentata. Era l'etno-
centrismo totale e orgoglioso degli europei e della chiesa che ve-
nicva dall'Europa. Ma il negro, quando si fece libero, non accettò
più il nostro rito, non si commosse più con il nostro armonium,
non parlò più con i · nostri concetti, ma si rivolse alla spianata, al
lamburo, al ritmo della sua origine e ai miti del suo linguaggio.
Dalla ·profondità del suo essere, dove vivi e inquieti palpitavano
gli archetipi religiosi delle generazioni passate, irruppe la tradi-
zione antica dell'Africa Nera . E nacque l'Umbanda in Brasile ... ».
171
strugge? Si tratta, dunque~ di stabilire dei criteri, per
quanto problematico ciò possa sembrare. . .
172
. .
173
Reclama per sé un purismo impossibile, come se l'uomo
non fosse an·che corpo e mondo. L'equilibrio lo si trova
soltanto nella tensione dialettica tra la fede che alimenta ·
la religione e la religione che esprime, concretizza e
configura lo spessore· storico della fede.. La religione ha
senso se non si slega dalla fede. La fede, a sua volta, ha
senso se rompe tutte le maglie delle aggettivazioni, con- ·
servando così la propria trascendenza ma sempre a:t:ti·
mata dalla volontà di incarnarsi.
Questi due criteri. universali ci avvertono come tanto neJ. .
la chiesa quanto nei cult! afro-brasiliani si verificano non
poche patologie. Patologia che, non occorre ripeterlo, non
è mai soltanto tale, e ha senso in quanto riferita a una
normalità.
174
Per questa ragione si capisce come nell'attività missiona-
ria, in un primo mom.ento, la fede cristiana ·Si ri-affermi
nella sua identità, contraddistinguendosi dalle. altre e-
spressioni religiose. Proclama il vangelo, invita alla con-
versione. Una volta operata la conversione, inizia il pro-.
cesso sincretistico. In questo secondo momento l'identità
cristiana, come dice il Vaticano II, « dalle consuetudini e
daJle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e
dalle scienze. dei popoli sa ·ricava re ·tu t ti gli elernen ti che
valgono a render gloria al Creatore, a mettere in luce la
grazia del Salvatore e a bene organizzare la vita cristia..
na » (Ad Geri'tes, n. 22). Inizia così un vero sincretismo~
che ha come nucleo sostanziale l'identità cristiana.
Ma può capitare il processo inverso: una religione entra
in contatto con il cristianesimo; e, invece di essere con-
vertita, è essa a convertire il cristianesimo alla propria
identità. Elabora un sincretismo utilizzando degli elemen-
ti della religione cristiana. Non diventa certo cristiana,
per il fatto di aver sincretizzato dei dati cristiani. Resta
pagana e articola un sincretismo pagano con connotati
cristiani. Pare che alcune ricerche abbiano rivelato tale ·
fènomeno nella religione yoruba (camdomblé o nago) del
Brasile. Essa ha accomodato, assimilato e trasformato
. delle caratteristiche cristiane, ma conservando la propria
~dentità yoruba. Il cristianesimo-~ anziché convertire, ne è
rimasto convertito (28).
Ciò non significa che la ;-eligione yoruba sia sprovvista di
valore teologico. Significa solo che essa dev'essere inter-
pretata non secondo parametri interni al sistema del cri-
stianesimo, come se fosse una concretizzazione dello stes--
so cristianesimo come nel caso del cattolicesimo popo-
lare - bensì nell'orizzonte della storia della salvezza
universale. La religione yoruba concretizza, a suo 1nodo,.
l'offerta salvifica di Dio. Non è ancora cristianesirno te-
matico, che tale si nomina da sé, e tuttavia, a causa del
piano salvifico di Dio Padre · nel · Cristo, costituisce un
cristianesimo anonimo. Benché abbia ~incretizzato, all'in-
terno del proprio sistema, degli elementi cristiani, nel suo
nucleo si trova ancora teologicamente nell'avvento, nella
fase pre~edente l'ever1to cristiano esplicito_
175
f)a questa considerazione si può capire come la chiesa si
si lui in una posizione missionaria davanti alla religione
yoruba: dovrà proclamarvi l'identità della fede cristiana e
fare appello p erché essa si converta a tale identità. Una
volta realizzato tale compito, potrà ·sincretizzare tutta la
ricchezza yoruba compossibile con la fede cristiana. Ma
occorre precisare ancor meglio che cosa l'identità cristia-
na comprenda.
.176
interruzione; fino ad oggi, che è la chiesa. Tuttavia, per
.partecipare di questa salvezza offerta in Gesù Cristo, non
basta incorporarsi nella comunità ecclesiale: bisogna vi-
vere la stessa esperienza di Gesù Cristo, di radicale figlia-
zione e di profonda fraternità. È: l'etica della sequela di
Gesù Cristo che dà origine alla comunità e ci fa capaci di
partecipare alla salvezza che egli ci offre.
Tale esperienza, raccontata nella prassi, costituirebbe l'i-
dentità cristiana. Essa deve potersi identificare in qua-
lunque sincretismo religioso e culturale. In caso contra-
rio, non ci è più lecito parlare di sincretismo essenzial-
mente cristiano.
177
posizioni qui solvunt Christum (l Gv 4, 1-6; l Cor 12, 3);
« (:onserva il deposito; evita le vuote discussioni della
falsa gnosi, perché alcuni sono andati molto lontano ... »
(l T.m 6, 20-21; 13-4; 4, 7; 2 Tm l, 13-14; 4, 2-4 ). Nella tradi-
zione troviamo testimonianz~ di profonda condiscendenza
(sinkatabasis) verso le religioni esistenti, assumendo di
esse quanto è possibile, come nell'atteggiamento di papa
Gregorio Magno (t 604) che nell'inviare missionari tra i
sassoni raccomanda loro: « Non si devono distruggere i
templi di ciascun popolo, ma solamente i loro idoli. Si
prenda dell'acqua benedetta e la si getti sugli idoli, si
costruiscano altari e vi si collochino le reliquie. Questi
templi, così ben costruiti, devono essere luoghi di sa-
crificio non per gli spiriti cattivi ma per il vero Dio. Il
popolo, vedendo che i suoi templi non sono distrutti, si
volgerà con gioia al riconoscimento e all'adorazione del
vero Dio» (31 ). Altre volte si verifica un puro e semplice
processo di sostituzione: invec~ degli amuleti pagani si
usano croci di metallo; al posto di formule con effetti
terapeutici si usano parole e frasi della Scrittura (32), e .
· così di seguito.
Ma c'è anche la viva preoccupazione di un vero sincre-
tismo, che escluda ogni sorta di magia, feticismo e poli-
teismo. Così il sino do di Ancira (314) ordina, al canone
24, che gli indovini e altri che seguono costumi pagani
ospitando dei maghi nelle loro case, siano per cinque
anni soggetti al canone della scomunica. Il sinodo di El-
vira (intorno al 312) determina al canone 6 che se qual-
CUllO, per mezzo di arti magiche che implicano idolatria,
uccide qualcuno, sia escluso dalla comunità cristiana per
tutta la vita. Il sinodo di Laodicea (seconda metà del
secolo IV) comanda nel canone 36 che « i sacerdoti e gli
altri chierici non possano essere maghi, fattucchieri, in-
dovini, astrologi. Non possono fabbricare amuleti di pro-
tezione, che sono più catene dell'anima che protezione
della vita. Ordiniamo che quelli che li portano siano e~
spulsi dalla chiesa» (33 ).
In una spiegazione del Credo, tra gli anni 360 e 400, si
17M
legge: «Non si permetta a 1~essuno di cercare, in caso di
sofferenza, dolore o preoccupazione, un fattucchiera, o
qualcuno che applichi sortilegi. Non faccia mai questo, né
permetta che altri lo facciano » ( 34 ).
Sant'Agostino distingue sempre, in questo tema del sin-
eretismo, ciò che la fede insegna e ciò che la fede tolle-
ra (35). E stabilisce alcuni criteri che risultano utili anche
•
oggi:
« Tutte quelle cose (costumi, riti, formule venute dal pa-
ganesimo) che non trovano fondamento nella Sacra Scrit-
tura, né nelle risoluzioni dei sinodi dei vescovi, né hanno
guadagnato autorità nella tradizione di tutta la chiesa, ma
appaiono lì per lì conformi secondo i luoghi e costumi,
con una pluralità di manifestazioni tale, che non si riesce
a cogliere quali obbiettivi perseguano, si devono sempli-
cemente abolire, dove ciò sia possibile. Sebbene non
contraddicano la fede, caricano di pesi la religione; la
quale invece, secondo il disegno di Dio, dev'essere libera
da sovraccarichi che rendono schiavi ed esprimersi in
forme cultuali semplici e chiare » ( 36 ).
Si adducono qui, fondamentalmente, i criteri della prassi
cristiana nel comportamento sincretista .. In primo luogo
si prende a criterio la stessa Scrittura. Essa già rappre-
senta una purificazione, dentro lo stesso giudaismo e cri..
stianesimo primitivo, di fronte a formulazioni e pratiche
non molto adeguate al Mistero di Dio e alla dignità del-
l'uomo. In secondo luogo, ci si appoggia sulla tradizione
della chiesa universale, che pure ha proceduto a uno
sfrondamento dei vari elementi e ha conservato ciò che di
meglio esprimeva l'esperiènza cristiana. In terzo luogo, ci
si appella . alle decisioni dei sino di episcopali, che pt1re a ·
loro volta, come sopra si è accennato brevemente, hanno
sempre proceduto a un discernimento critic~ nel garbu-
glio di aggettivazioni elaborate dal Popolo di Dio. Infine,
si adduce un argomento preso dalla tradizion.e profetica c
di Gesù, a difesa della libertà e spontaneità dell'uomo di
fronte all'universo cultuale: non si dev'essere ipocriti co-
me i farisei (Mt 6, 5), né loquaci come i gentili nelle loro
179
lunghe orazioni (Mt 6, 7), né si debbono creare fardelli
religiosi· che nessuno può portare, con un'infinità di nor-
me, leggi e riti (Mt 23, 4.23). Sinteticamente possiamo di-
re: tutto ciò che favorisce la libertà, l'amore, la fede e la
speranza teologali, rappresenta un vero sincretismo e in-
carna nella storia il messaggio liberatore di Dio.
Come si vede, cerchiamo di parlare dell'identità cristiana
non in termini di universalizzazione di un concetto di
identità, come si è fatto spesso in una certa epoca della
teologia, in cui si identificava la fede con la dottrina. Un
cristianesimo dottrinale non tollera il sincretismo; anzi
dogmatizza lo stesso sincretìsmo già realizzato e rifiuta
nuovi tentativi. Logicamente ·questo tipo di comprensione
dovrebbe uccidere la storia. Se la storia continua, l'identi-
tà non può essere pensata nei tern1ini di un concetto
universale, ma in quelli di un'esperienza sempre e di
nuovo ripetuta e conservata, che però si esprime in modo
diverso secondo i tempi, i luoghi, le classi sociali e le
situazioni geopolitiche. L'esperienza cristiana, perché co-
sciepte di essere cattolica, resta aperta all'universalità;
non è lei a scegliere la cultura in cui incarnarsi. Ogni
cultura è buona, per testimoniarvi da dentro la salvezza a
tutti offerta in Gesù Cristo. Da qui la necessjtà di avere
un cristianesimo yoruba, umbandista, amerindio, ecc .
.
cc) Due criteri fondamentali: il culto dello Spirito e
l'impegno etico
Vogliamo qui evidenziare due criteri fondamentali, pre-
senti nella Scrittura e fatti propri anche da Gesù Cristo.
Oltre a conservare l'identità dell'esperienza cristiana - ·
che nel fondo è l'esperienza del Mistero assoluto come
comunicato nella grazia, nell'amore e nel per9-ono all'uo-
mo, nella sua stessa realtà di uomo (incarnazione) - ·.. .
occorre anche esprimere tutto questo nei parametri di un
culto spirituale e di un impegno etico, che testimonino
nella vita la ·verità della sua comprensione.
l HO
•
181
Il Dio di Gesù Cristo non licenzia l'uomo, lo fa partecipe
nella costruzione dell~ rel~zioni oggettive di giustizia, fra-
ternità e amore tra gli uomini, perché è questo il cammi..
no sicuro per accedere a Dio e alla sua salvezza.
Questi criteri, nell'orizzonte della positività cristiana. aiu-
tano a discernere
•
il vero dal falso sincretismo, sia all'in-
terno della chiesa, sia nell'incontro con altre forme cultu-
rali e religiose. La vera fede redime la religione e il falso
sincretismo, rendendoli veri. Poicl1é essa, la fede . esprime
la dime11sione di trascendenza e universalità e significa
l'accoglimento del Dio vivo che interpella nel èoncreto
della storia; e si apre a Lui in quella concretezza che lo
media. Così la fede può elaborare un sincretismo atto a
esprimere l'incontro con Dio.
Oggi, ogni giorno di più, .si impone la convinzione che l'at-
tuale sincretismo cristiano e cattolico si sono fatti inca-
paci di rendere giustizia ai diritti di una· cultura diversa e
di rispondere adeguatamente alle esigenze dell'anima ne- j.,
..
gra. Afferma a ragione Bonaventura Kloppenburg: « Né il
cattolicesimo ufficiale di Roma, né il protestantesimo pu-
ro dei riformatori, né Io spiritismo ortodosso di Allan
Kardec sembrano dare spazio sufficiente alle necessità
religiose della nostra gente. L'umbanda dà l'impressione
di essere una protesta popolare contro tutte le forme
religiose importate e non adattate sufficientemente al-
l'ambiente» (37). Da qui si comprende come il futuro del
cristianesimo in Brasile si trovi subordinato alla sua ca-
pacità più o meno grande di formulare un nuovo sincre-
tismo. La sua attuale espressione culturale, nei quadri
della cultura greco-romana-germanica, appartiene alle glo-
rie del passato. E tutto sta a indicare che essa sarà
definitivamente superata dalla nuova cultura che sta affio-
rando tra noi.
(37) Kloppenburg B., Ensaio de uma nova posiçào ... , op. cit.,
pp. 404-405.
l Xl
impone un serio coraggio missionario ed evangelizzatore,
che si orienti alla conversione a Gesù Cristo come al Dio
comunicato definitivamente agli uomini. Una conversione
che solo è possibile se la fede cristiana abbia il coraggio
di rinunciare al suo stesso sincretismo, con le glorie cul-
turali e teologiche che esso ha accumulato, per prendersi
il rischio di un nuovo sincretismo, che assuma, assin1ili,
integri, purifichi i valori delle religioni afro-brasiliane.
Senza una vera esperienza pasquale non nascerà una
nuova chiesa, come non sarebbe nata quella originaria
degli apostoli. Noi temiano che manchi, nel momento
attuale della chiesa, la coscienza chiara di quest'urgenza.
È ben più facile espandere il sisterria ecclesiale dominante,
che permettere e favorire che ne nasca un altro. Da que-
sta parte l'urgenza non solo non è attesa, ma viene diffe. .
rita.
Perché nasca, e perché abbia pienezza di vita, occorre
condiscendenza. La «condiscendenza» (katabasis) è stata
per la teologia antica - nel momento ·preciso in cui si è
operato quel grandioso sincretismo di cui siamo eredi, nei
secoli IV e V - una categoria teologica fondamentale.
Dio ha· mostrato un'infinita condiscendenza verso gli uo-
mini, assumendone tutta la realtà, con le sue irrevocabili
limitazioni e pesanti ambiguità. Non ·m algrado esse, ma
dentro di esse e per mezzo di esse ci ha redento. Anche la
chiesa nascente si è rivestita di · una condiscendenza co-
raggiosa verso i greci, .i ron1ani e i barbari, con le loro
lingue, costumi, riti, espressioni r eligiose. Niente più esi-
geva da loro, della fede -in Cristo salvatore. Era convinta
che lui avrebbe conquistato i cuori degli uomini e le loro
religioni, fino a farli raggiungere la pienezza della verità,
nascosta nell'affermazione: Gesù Cristo è il salvatore.
Simile condiscendenza la coscienza cristiana dovrà testi-
moniare ai nostri giorni. Tollerare e non condannare. In-
centivare la vera esperienza cristiana, anziché zelare per
le sue formulazioni dottrinali e liturgiche. Confidare nel·
l'esperienza religiosa dell'uomo afro-brasiliano significa
donarsi a quello Spirito che è pii1 saggio di. tutta la
prudenza ecclesiale e che ne conosce meglio le vere vie di
tutta la sollecitudine teologica per la purezza dell'identità
cristiana. Se la pastorale non si coniugherà con la profe-
zia, se l'ascolto contemplativo non· si alleerà con il senso
della realtà, difficilmente la chiesa potrà armarsi del co..
183
.
r;.tggio necessario per spogliarsi di se stessa e assumere
una nuova carne consacrata.
Con1e Dio ha assunto l'uomo quale lo ha trovato, così
anche la fede cristiana lo dovrà cercare là dove si trova e
quale si presenta culturalmente. A partire da questa si. . \
tuazione dovrà strutturare una pedagogia di crescita e di
maturazione della fede (38). La quale, quanto più è pro-
fonda, tanto più si apre a quel vero sincretismo, in cui
Dio e Gesù Cristo liberatore non appaiono come un og-
getto di soddisfazione della carica pulsiva dell'uomo in
cerca di sicurezza e di conforto, ma come il Cuore dell'e. .
sistenza e l'Amore che tutto attrae e compenetra .
•
(38) Boff Clodovis, Religiao contra a fé?, op. cit., pp. 112-114.
184
capi1:olo ottavo
caratteristiche della chiesa
in una società cl.assista
185
fcssionale: in quale gruppo si realizza la vera chiesa di
Cristo? Come discernere la vera chiesa dalla falsa? Tale
questione si rifece cruciale nel secolo XVI, nelle contro-
versie ecclesiologiche con Huss e Luterò. I teologi, acca-
den1icamente, . facevano distinzione tra note e proprie-
tà (2). Le note, come la stessa parola suggerisce (ciò che
rende noto, percepibile) sarebbero quelle qualità della
chiesa che: a) sono accessibili a tutti (compresi i rudi);
b) per questo devono essere più conosciute della stessa
chiesa, e atte a far conoscere quale chiesa è vera; c) devo-
no essere inseparabili dalla vera chiesa, al punto da non
poterle trovare fuori di essa (nel suo insieme).
Le proprietà sarebbero invece quelle qualità della chiesa
che appartegono senza dubbio ad essa, ma che non con-
sentono di riconoscere la vera chiesa a prima vista, o da
quelli che si trovano fuori di essa. Così, per esempio,
la qualità dell'indefettibilità, o della necessità per la sal-
vezza, ecc.
Le note sarebbero le quattro sopra riferite: unità, santità,
cattolicità e apostolicità. Più tardi, specialmente sulla ba-
se delle . polemiche contro gli eretici valdesi del secolo
XIII (sotto il papa Innocenza III: DS 792), , e con la
massima intensità negli ecclesiologi della fine del secolo
XIX (Passaglia, Mazzella, Perrone) si è venuta ad aggiun-
gere una quinta nota, quella della romanità. La chiesa, è
una, santa, cattolica, apostolica, romana.
Il risultato dimostrativo delle note (per viam notarum) è ' .
186
Jlt·lla base. Nemmeno vogliamo fare distinzione - del
,.,:sto accademica e sterile - tra note e proprietà. Parle-
1r·1no, semplicemente, di « caratteristiche » della chiesa,
'1ssia delle qualità che rivelano i tratti della chiesa, quale
nasce dal popolo per la forza dello Spirito, conferendole
''(H1cretezza storica in mezzo alla realtà sociale. Ci met-
tiamo così nella tradizione dei primi elaboratori medioe-
vali del trattato sulla chiesa, che parlavano delle condi-
t·iones Ecclesiae, o condizioni concrete della chiesa. Ora,
rhi oss~rvi, con occhi di fede e con simpatia, tale avve-
n iinento ecclesiale ( ecclesiogenesi), quali tratti ecclesiali
vi può scorgere? In qual modo le caratteristiche d~lle
t·omunftà cristiane di base traducono le caratteristiche di
<ìesù Cristo e del suo messaggio? Poiché, in definitiva, è
questa la funzione della chiesa: di farsi visibile e di
rendere storico il significato salvifìco di Gesù Cristo e del-
la sua missione; e, facendolo, di farsi essa stessa sacra-
lnento-segno e sacramento-strumento di liberazione.
Prima di affrontare la questione, occorre situare la chie-
sa nel mondo, così come esso si trova organizzato social-
lnente. Da quando si prende coscienza (e la Gaudium et
Spes ha canonizzato tale impostazione) che è la chiesa a
essere nel mondo~ e non il mondo nella chiesa, la que-
stione .è diventata fondamentale. Dimenticarsene - come
capita in. quasi t~tti i trattati di ecclesiologia, anche re·
centi, tipo La chiesa di Hans Kiing ( 4) - impedisce di in-
tendere concretamente la chiesa e apre la strada a un idea-
lismo che occulta la complessa realtà ecclesiale. L'inter-
rogativo che · occorre affrontare, pure brevemente, è que-
sto: come intendere la chiesa all'interno di una società
classista? Le caratteristiche della chiesa dipendono dal
modo in cui si imposta tale problema. Per la chiesa ·Che
nasce dal popolo si tratta .di una questione ineludibile.
Non impostarla, significa rendersi incapaci di capire il
significato autentico delle comunità ecclesiali di base.
187
2. Le caratteristiche di una chiesa
articolata con la classe egemone
(5) Per tutta questa parte, siamo debitori a Boff Clovodis, lgreja
e politica·, in Comunidade eclesial - comunidade politica, Petr6po-
lis, 1978, pp. 64-84; Bourdieu P., A economia das trocas simb6licas11
S .. Paolo, 1974; e principalmente Maduro Otto, Campo religioso y
conflictos sociales. Marco teorico para el andlisis de sus interrela-
ciones en Latinoamérica. Travail de fin d'études, Lovanio, 1978.
(6) Cfr. Bourdieu P., Genese ·e estrutura de campo religioso, in
A economia ... , op. cit.-, pp. 27-28; Maduro 0., Campo religioso ... ,
op. cit., p. 47, 111, passim.
.;
188 t'·•
i
fatta dal cielo; è anche frutto di una determinata storia e,
al contempo, prodotto della fede che assimila a suo n1odo
le incidenze della storia. Vediamo, in breve, ciascuna di
queste forze produttive.
•
a) Campo religioso-ecclesiastico
e n1odo di produzione della società
La chiesa non opera in un terreno abbandonato, ma in
una società situata storicainente. Ciò significa che la chie-
sa, nolens v9lens, si trova lim.itata e orientata dal conte-
sto sociale, con una popolazione e dei ricorsi limitati e
strutturati in un detern1inato modo. Il campo religio-
so-ecclesiastico è una porzione del campo sociale, che
influisce su di esso dialetticamepte, e non solo meccani-
camente. Diamo per sco·ntato - senza fondare e giu-
stificare tale opzione, in quanto esigerebbe 11:na trattazio-
ne specifica - che il perno organizzatore di una società
sta nel suo modo specifico di produzione. Per « modo di
produzione>> intendiamo la forma secondo la quale una
determinata popolazione si organizza in r_a pporto alle ri-
sors~.
'
materiali accessibili, al fine di elaborare quei beni
che ne permettano la sussistenza e la riproduzione, sia
biologica sia culturale. Questa attività è infrastrutturale.
Su di essa si costruisce tutto il resto nella società. Essa è
costante, perché si riferisce a necessità sempre presenti;
è universale, perché comune ·a tutte le società di tutti i
ten1pi; ed è fonda1nentale, perché costituisce la condi-
zione di possibilità, in ultima istanza, di qualunque altra
iniziativa. Anche la chiesa è condizionata, limitata e o-
rientata dal modo specifico di produzione. In altri termi-
ni, il modo di produzione condiziona quali azioni religioso-
ecclesiastiche siano impossibili, indesiderabili, tollerabili,
accettabili, convenienti, prioritarie: ossia conferisce delle
caratteristiche proprie alla chiesa (7). Non per que_sto le
attività religioso-ecclesiastiche sono meri prodotti sòciali,
sotto un codice religioso; esse hanno una loro specificità.
Ma, nell'esprimersi socialmente, esse sono attraversate,
limitate e orientate dal modo di produzione peculiare di
un determinato tipo di società.
(7) Maduro 0., op. cit., pp. 51-54; cfr. Touraine A., Production cle
la société, Paris, 1973, pp. 145 s.
189
Si d~tnno vari modi di produzione, alcuni più si1nmetrici
e altri più asimmetrici. Nel nostro caso, dell'Occidente e ·
dell'America Latina, abbiamo una società organizzata se·.·
condo un· modo di produzione dissimmetrico, quello capi·
talista, che si caratterizza per l'appropriazione privata dei
1nezzi di produzione da parte di una minoranza stabile, la
distribuzione disuguale della capacità di lavoro (c'è chi
non esercita nessuna funzione produttiva) e la distribu.. ·
zione disuguale dei prodotti finiti del lavoro. Tale modo
dissimetrico di produzione dà luogo a una s_ocietà divisa
in classi,. con il potere dissimmetricamente distribuito, con
rapporti di dominio tra le classi e con interessi divergen-
ti. Si verifica così una notevole disuguaglianza nell'ali-
mentazione, ·nel vestiario, nella casa, nelle condizioni sani- ,
tarie, nell'occupazione, negli svaghi, ecc. Simile struttura
di classe limita e orienta, come si può capire, tutte le
attività, indipendentemente dalla• volontà delle persone:
anche l'attività religioso-ecclesiastica. I fedeli occupano og-
gettivamente distinti posti sociali, secondo la rispettiva
collocazione di classe. Tale collocazione li porta a recepì- ,
re la realtà nel modo corrispondente alla propria condi-
zione sociale, facendogli interpretare e vivere il messaggio
evangelico secondo la propria funzione di classe, dal mo-
mento che ciascuna classe ha necessità, interessi, abitu-
dini e modelli di comportamento propri. Da una classe
all'altra variano le azioni possibili o impossibili, tollerabi-
li e raccomandabili, necessarie e urgenti. Non dobbiamo
immaginare, tuttavia, che le attività di classe siano mecca-
niche e statiche. La classe sì trova continuamente in un
processo di costruzione (o de-costruzione), secondo la posi-
zione che occupa nella divisione sociale del lavoro,. la con-
giuntura concreta in cui si trova, la strategia specifica che
si impone. Come il tnodo di produzione è asim.metrico, così
è asim1netrica anche la dinamica delle classi, cioè essa è
conflittuale e disuguale, con forze diverse in lotta tra loro
(indipendentemente dalle volontà e come dinamica insita
nella collocazione oggettiva che ciascun attore occupa ··nel-
la struttura di classe). In una società di classi, c'è sempre
una classe (o un blocco di classi) dominante, responsabile
della gestione di tutta la società. Essa cerca sempre di
consolidare, approfondire e ampliare il proprio potere,
persuadendo i dominati ad accettare il suo dominio, con.. ·
190
quistandone il consenso ideologico (8). Ne consegue che
la classe si guadagna l'egemonia - ossia un consenso
generale dato alla propria dominazione - creando, nel
linguaggio di A. Gramsci, un blocco storico (9). Tale do~
minio, tuttavia, non è mai completo. Costruito su un pro-
cesso più o meno lungo, sempre rispuntano le resistenze da
parte dei dominati, con le loro strategie di sopravvivenza
e di rafforzamento del proprio potere sequestrato. Un
conflitto pern1anente, aperto o latente secondo le diverse
congiunture storiche, vige tra do1ninati e dominanti. La
resistenza impone alle classi egemoni limiti e orientamen-
ti specifici, per il fatto che le classi subalterne possono
trasformarsi in classi rivoluzionarie.
Le classi dominanti, nella loro strategia egemonica, hanno
cercato di incorporare la chiesa a servizio dell'allarga-
mento, consolidamento e legittimazione del proprio do-
minio, e specialmente al fine di far accettare la propria
egemonia a tutti gli individui e gruppi sociali.
Il campo religioso-ecclesiastico si trova sottoposto a forti
pressioni, perché si organizzi in tal modo da adattarsi
agli interessi delle classi egemoni, con vari tipi di strate. .
gie economiche, giuridico-politiche, culturali e perfino
oppressive. La chiesa disimpegna allora una funzione con-
servatrice, di legittimazione del blocco storico dominante.
Non è però detto che la chiesa si adatti fatalmente al
blocco storico egemone. Anche le classi subalterne, da
parte loro, sollecitano la chiesa, nella loro strategia per
un maggior potere e atttonomia di fronte alla dominazio..
ne patita. La chiesa può assecondare e giustificare la
rottura del blocco storico e prestarsi a un servizio rivolu-
zionario. I fedeli sono presenti sia da un lato che dall'al-
tro. La chiesa, inevitabilmente, si trova attraversata dai
conflitti di classe, e può tanto assumere una funzione
rivoluzionaria, quanto una funzione di rinforzo del blocco.
egemonico. Le due possibilità non sono oggetto di colpi di
testa o di opzioni che in qualche modo essa può prender-
si ad libitum. Dipendono, infatti, dal tipo di rapporto che
nel processo storico-sociale il campo religioso-ecclesiastico
191
· ha stabilito con le varie classi. Può capitare che in tale
•
processo la chiesa lentamente abbia riprodotto nel suo
corpo la struttura del blocco egemone. Il campo religio..
so-ecclesiastico, però, può anche essersi strutturato in
forma dissimmetrica, espellendo da sé il campo sociale
egemone. Non si tratta, evidentemente, di una riprodu-
zione meccanica. Infatti, resta sempre salva l'autonomia
relativa del campo religioso-ecclesh:tstico. Affermando tale
autonomia relativa, vogliamo dire che esso non , viene to-
talmente determinato dal campo sociale. Ma non è nem..
meno del tutto indipendente; a partire dalla sua speci..
ficità irriducibile (l'esperienza cristiana, la sua espres-
sione oggettiva i11 discorsi e pratiche, il suo carattere
istituzionale per cui si riproduce, conserva e . diffonde, in
particolare mediante un corpo di espèrti e di n1embri
della gerarchia) esso immediatamente assimila e rilavora
gli influssi sociali. ·
Vediamo dunque rapidamente come la chiesa si sia artico-
lata ora con il blocco egen1onico, ora con le classi subal-
terne. Un modo di produzione dissimmetrico, che lenta-
mente ha preso piede nella formazione sociale, attribtlendo-
si un processo di espropriazione dei mezzi di produzione
materiale simbolica, è arrivato a predominare anche nella
chiesa; si è così creato, in un lungo processo storico che
sarebbe anche possibile descrivere (10), un rn.odo dissim-
metrico di produzione religiosa. Si è pure verificato, per
espri1nerci in un linguaggio analitico (s~nza connotazioni
di ordine morale), un processo di espropriazione dei mez-
zi di produzione religiosa da parte del clero contro il
popolo cristiano. Agli inizi il popolo cristiano partecipava
del potere della chiesa, nelle decisioni e nell'elezione dei
suoi ministri; poi cominciò ad essere appena consultato;
e alla fine, in termini . di potere, fu del tutto emarginato
ed espropriato da quella capacità che pure possedeva.
Come si aveva una divisione sociale del lavoro, così si
introdusse anche una divisione ecclesiastica del lavoro
religioso. Si creò un corpo di funzionari e di esperti, in-
caricati di occuparsi degli interessi religiosi di tutti per
(10) Cfr. Faivre A., Naissance d'une hiérarchie: les premières éta·
pes du cursus clérical, in « Théol. Hist. », 40, Paris, 1977, riassunto
da Hoornaert E., nell'articolo sopra citato; cfr. AA.VV., Macht,
Dienst, Herrschaft (a cura di Weber W.), Friburgo i. Br., 1973;
AA.VV., Autoritat (a cura di Ttirk J.), Magonza, 1973.
>
f
192
•'
(11) Per tutta questa parte, cfr. Maduro 0., Campo religioso, cit.,
pp. 104-122.
(12) Cfr. lo studio di Richard · P., Mort des chrétientés et naissancc~
de I'Eglise. Analyse historique et interprétation théologique de
l'Eglise en Amerique Latine, . Centre Lebret « Foi et Développe~
ment », Paris, nov. 1978 (mimeogr.), spec. !e tre prime parti.
193
ti costituiscono il dato positivo della fede; non un inter·
pretandum, ma dei criteri che giudicano incessantemente
Ja chiesa, le sue pratiche, i suoi discorsi, il suo modo di
produzione religiosa.
Appare dunque che il campo religioso~ecclesiastico rac·
chiuda in sé un'innegabile contraddizione: da un lato esso ·
si realizza storicamente nei quadri di un modo dissimme-
trico di produzione simbolica, accogliendo la società capi-
talistica; mentre dall'altro il suo complesso idealé di base
lo chiama a un modo di produzione simmetrico, parteci..
pato e fraterno. Perché la chiesa vive tale contraddizione,
è sempre possibile in essa l'irruzione del profeta e dello l
dJ produzione religiosa
La chiesa, in America Latina, è stata presente nel proces- ·~t
so di consolidamento del blocco egemone; agendo, ten- t .•.
.194
pronunciato. Il discorso sarà un discorso unitario c atn··
biguo: unitario, in quanto occulta i conflitti che genere~
rebbero una diversità di discorsi diversi; ambiguo in
quanto presta attenzione alle varie domande e .c onserva
poi il blocco ben saldo. Un discorso sfaccettato introdur-
rebbe la possibilità di una manifestazione del conflitto. Il
discorso unitario e ambiguo si concentra generalmente su
temi non conflittuali, privilegia l'armonia, nega esplicita-
mente l'esiste~za o l'importanza delle divisioni di classe,
nega la legittimità delle lotte dei dominati, in cerca della
loro libertà confiscata, si inflaziona negli appelli al so-
prannaturale e all'osservanza morale. L'unificazione delle
classi, all'interno della chiesa stessa, è puramente simbo-
lica, con funzione di favorire socio-politicamente le classi
dominanti.
La santità, come caratteristica di questo tipo di chiesa,
vi appare nel modo dissimmetrico di produzione reli-
giosa a misura che il fedele si inserisce in essa e os-
serva fedelmente l'ethos del blocco storico-religioso, sot-
to l'egemonia della gerarchia. Le grandi virtù del santo
cattolico sono l'ubbidienza, la sottomissione ecclesiastica,
l'umiltà, il riferimento totale alla chiesa (si è battezzati o
religiosi per servire la chiesa). Per questo la quasi totali-
~à dei santi moderni (nei quali si è realizzato pienamente
il . monopolio gerarchico) sono santi del sistema, preti.,
vescovi, religiosi; pochi sono i laici, e anche questi cattu-
rati dal potere egemonico centrale (analiticamente par-
lando). Il profeta, il riformatore che, in nome della posi-
tività della fede, critica o chiede una · mobilitazione circa i
rapporti di potere nella chiesa, si trova esposto a ogni
sorta di violenza simbolica (processo canonico, scomuni-
ca) e non caratterizza mai santità della chiesa.
L'apostolicità, in questa chiesa strutturata in modo dis-
simmetrico, viene aggiudicata a una sola classe (i vescovi,
successori degli apostoli) e non viene considerata come una
caratteristica di tutta la chiesa. La successione apostolica
·viene sempre più ridotta alla successione del potere apo-
stolico e sempre meno alla dottrina apostolica, come era
nel senso originario. Si nasconde il fatto che « il laico è
come il vescovo un successore degli apostoli >> (Pao·l o
VI) ( 13 ).
19.1
J. . a cattolicità si rapporta strettamente all'unità (uniformi..
1~t). Vi si privilegia l'aspetto quantitativo, di una chiesa
presente nel mondo intero (per totum orbem terrarum
diffusa). La cattolicità non viene difinita per i ·suoi ele· ::"
..
.
-:.i
..
.
.·r,J
.
Sarebbe anche opportuna una valutazione teologica di tale
strutturazione dissimn1etrica della chiesa. Fino a che pun-
to essa rende visibile e trasmette l'esperienza straordina-
.r ia di Gesù Cristo e degli apostoli, e serve da « cavallo »
per gli ideali dì fraternità, partecipazione, comunione,
presenti nella prassi e nel messaggio di Gesù? Per ragioni
di brevità non possiarno affrontare la questione. Vogliamo
solo rilevarne l'importanza e render conto del sentimento
~
.197
dell'intellettuale organico religioso di avviare una nuova
cucjtura in tale rottura; da un lato, per il suo legame con
le classi subalterne, egli aiuta a recepire, sistematizzare.
cd esprimere i loro grandi aneliti di liberazione; e dal-
l'altro li assume all'interno del progetto religioso (teologi-
co), mostrandone la coerenza con gli ideali fondament~li
di Gesù e degli -apostoli. Alla base di questo sblocco,
frazioni importanti dell'istituzione ecclesiastica possono
allearsi con le classi subalterne e rendere possibile l'affio-
rare di una chiesa popolare dalle caretteristiche popolari.
Noi crediamo che con le comunità ecclesiali di base si
stia verificando, appunto, un simile fenomeno: si tratta di
. una vera ecclesiogenesi (nascita di una nuova chiesa, non
però diversa da quella d.egli apostoli e della tradizione),
che si realizza alla base della chiesa e alla base della
società, ossia nelle classi subalterne, senza potere né reli-
gioso né sociale. Analiticamente, importa afferrare .bene la
loro novità: queste comunità significano una rottura ri-
spetto al monopolio del potere sociale e religioso, e l'i-
naugurazione di un nuovo processo religioso e sociale di
strutturazione della chiesa e della società (14), con una
diversa divisione sociale del lavoro e ugualmente con una
çliversa divisione religiosa del lavoro ecclesiastico. Vedia·
mo ora alcune caratteristiche di tale chiesa di base. A
nostro avviso, la chiesa incarnata nelle ·c lassi subalterne
presenta quindici caratteristiche. San Roberto Bellarmi-
no, famoso ecclesiologo della chiesa incarnata nelle classi
egemoni, presentava anche lui quindici note della chiesa
(1591): la coincidenza ha certamente un ·suo preciso si-
gnificato.
a) Chiesa-Popolo-di-Dio
Prendiamo la categoria « popolo » non nel senso di nazione,
che ingloba tutti indistintamente e nasconde le dissim-
metrie interne, bensì nel senso di popolo-classe subalter-
na, che si definisce per il suo trovarsi escluso dalla parte-
cipazione e ridotto a un processo di massificazione (co-
sificazione ). · « Popolo » dice una categoria analitica, ma
198
anche una categoria assiologica. Analiticamente definisce
un gruppo in contrapposizione ad un altro. Assiologica-
mente propone un valore che tutti devono vivere. In altri
termini, tutti sono chiamati ad essere popolo, e non sol. .
tanto la classe subalterna; questa realizza il popolo nella
misura in cui, per la mediazione delle comunità ( 15), cessa
di essere massa, · elabora una coscienza di sé, delinea un
processo storico di giustizia e di partecipazione di tutti, e
non solo di se stessa, e tenta delle prassi che portano a
una realizzazione approssimativa di tale utopia. La strate-
gia di liberazione del popolo si orienta al superamento del-
l'attuale struttura monopolistica, sia del potere civile che di
quello sacro, nella direzione di una società la più parteci..
.Pata possibile. Questo popolo si fa Popolo di Dio a misu-
ra che formando delle comunità di battezzati, di fede
speranza e carità, animati dal messaggio di assoluta fra-
ternità di Gesù Cristo, si propone storicamente di concre- ·
tar~ un popolo di persone libere, fraterne e partecipanti.
1
200
doveri (cittadini), fatti a immagine e somiglianza di l>io,
figli del Padre, templi dello Spirito e destinati alla perso-
nalizzazione totale nel compimento della storia, da antici-
pare fin d'ora in una prassi liberatrice.
Le comunità ecclesiali di base costituiscono, a nostro av-
viso, la formà adeguata di chiesa per le vittime dell'ac-
cumulazione capitalistica, in contrapposizione alla chiesa
tradizionale, gerarchizzata, con le sue associazioni classi-
che (Apostolato, Vincenziani) e moderne (Cursillos, TLC,
MFC, Renovaçao· Carismatica), più adatte a una società di
classi, integrata nel progetto delle classi egemoni.
d) Chiesa di laici
Laico, nel significato originario greco, significa membro
del Popolo di Dio. In questa acc_ezione anche il prete, il
vescovo e il papa · sono laici. Tuttavia, nella divisione ec-
clesiastica del lavoro, laico è chiunque non partecipi del
potere sacro. Per questo motivo non era considerato por-
tatore di ecclesialità, nel senso della produzione dei beni
simbolici e di creazione della comunità ecclesiale: era
solo un beneficiario di quanto il corpo dei funzionari
sacri produceva e un esecutore delle loro decisioni. Nelle
comunità di base, costituite quasi esclusivamente da laici,
si fa manifesto come essi siano veri creatori di realtà
ecclesiale, di testimonianza comunitaria, di organizzazione
e responsabilità missionaria. Detengono 1a parola, creano
simboli e riti, reinventano la chiesa con i . materiali di
base.
201
irnpostazione di fondo, sono sospettose nei confronti di
qualsiasi terminologia che denoti autoritaris1no e con-
centrazione di potere (dirigente, animatore, capo, coordi-
natore).
•
f) Chiesa tutta m.inisteriale
Le comunità ecclesiali di base, per il loro carattere più
comunitario che societario, facilitano la circolazione del
potere. I vari servizi non sono prefabbricati a mo' di
perpetuazione di una struttura preesistene, ma di risposta
alle necessità insorgenti. L'intera comunità è ministeriale,
e non solo alcuni suoi membri. Si supera in tal modo
ogni irrigidimento della divisione del lavoro religioso: ge-
rarchia~direzione, . laicato-esecuzione. Teologicamente par-
lando, si dirà che, in primo luogo, la chiesa è rappresen-
tante di Cristo ·e i ministri rappresentanti della chiesa.
Sono anche rappresentanti di Cristo, nella misura in cui
sono chiesa. Così si dovrà pensare al potere come deposi-
tato nell'intera comunità. A partire dalla comunità si spe-
cifica in forme diverse, secondo che le necessità lo esiga-
no, fino al supremo pontificato. In tal modo i servizi non
stanno mai al vertice della chiesa ma al suo interno,
come espressione del sacramento della chiesa e in funzio-
ne dell'intera comunità ecclesiale.
( 17) Richard P., Mort des chrétientéS op. cit.: è la tesi centrale
1
del lavoro.
202
pendenza e sottosviluppo. A par~ire dal 1960 appaiono le
-
'
' condizio~i storiche per una chiesa che nasca del popolo,
'
~·
dalle classi dominate. L'opposizione che si verifica at-
tualmente-- bisogna capirlo bene - non è tra una chie-
sa ufficiale e una chiesa popolare, ma tra cristianità
(chiesa incarnata nelle classi egemoni) e chiesa popolare.
Questa chiesa si rapporta alla chiesa gerarchica, ma si
contrappone antagonisticamente a ogni progetto di nuova
cristianità che tenterebbe (come si intravvede nel docu-
mento di consultazione, preparatorio della III conferenza
episcopale latino-americana di Puebla) di subordinare l'a-
zione pastorale della chiesa a una sua articolazione con le
classi egemoni.
Ciò che vediamo realizzarsi nelle comunità di base è la
chiesa dentro la società (di preferenza nelle classi subal-
terne), e non la società dentro la chiesa. Esse significano
una diaspora cristiana disseminata nel tessuto sociale. Ol-
tre al suo valore ·e cclesiologico (teologico), esse acquisi-
scono un eminente valore politico. Aiutano infatti a ri-
costruire cellularmente la società civile, continuamente
spezzata e atomizzata dalla divisione in classi e dagli
assalti della classe egemone antipopolare. Esse danno vita
a un mistica di · aiuto reciproco, sperimentano concreta~
mente una prassi comunitaria e di solidarietà, che antici-
pa e prepara un nuovo modo di convivenza sociale, con~
trapposto a q_uello della società borghese.-
h) Chiesa liberatrice
203
però notare che si tratta solo di un primo passo, cui ·
seguirà la fase dell'analisi.
Allora la politica apparirà come un campo di autonomia
relativa. La fede non ne esce dimissionaria, ma acquista
la sua vera dimensione autentica di mistica animatrice, in
tensione verso una liberazione che trascende la storia e
permette di vederla già anticipata storicamente nel pro-
cesso di liberazione sociale, che dà vita a forme meno
inique di convivenza.
204 '.
i!l
.
.
... ~....
poveri - che è sempre esistita, ma la cui storia non è
stata quasi mai narrata - si prolunga nell'esperienza at..
tuale delle comunità ecclesiali di base. Le quali non solo
riproducono schemi ·del passato, ma altri ne creano in
funzione degli appelli della storia. La chiesa nella base è
più un avvenimento di persone che si riuniscono a causa
della Parola di Dio, che non un'istituzione con strutture
stabilite in precedenza (sacrament~, dottrine, gerarchie).
Non che tali realtà le siano indifferenti o che non esista-
no. Ma esse non fanno da asse centrale della comunità
come tale. Prima c'è la parola di Dio, ascoltata e riletta
nel contesto dei propri problemi; l'esecuzione dei compiti
comunitari, l'aiuto reciproco e le celebrazioni stanno alla
base di queste comunità.
ltJ~i
trasformazione globale della società verso forme più so...
cializzate.
''
206
munità di base hanno una nitida collocazione sociale. di
classe (poveri, sfruttati); ma nello stesso tempo esplicano
una vocazione universale: giustizia per tutti, diritti per
tutti, partecipazione per tutti. I diritti di tutti passano
per la mediazione dei . diri t ti assicura ti e ricupera ti de i
poveri. ·L e cause rivendicate dalle comunità sono cause
universali, e che si fanno universali nella misura in cui
vengono fatte proprie (19). Per questo non sono delle co~
munità chiuse sui propri interessi di classe: tutti coloro,
di qualunque classe, che optano per la causa della giusti-
zia, e si rapportano alle sue lotte, trovano posto nel loro
seno. Lottando per la "liberazione economica, sociale e
politica, che apre alla prospettiva di una liberazione tota-
le nel Regno di Dio, esse si trovano al servizio di una
causa universale. Il capitalismo, come sistema di conviven-
za dissimmetrica, si presenta come un impedimento all'uni-
versalità della chiesa, nella misura che esso realizza gli in·
teressi di una sola classe. Una società democratica e sociali-
sta offrireb'be migliori condizioni oggettive per ttn'espres-
sione più piena della cattolicità della chiesa. In altre parole,
nel capitalismo la cattolicità della chiesa corre il rischio di
restare mera intenzionalità, di utilizzo degli stessi simboli
ma con contenuti diversi, corrispond~nti alla collocazione.
di classe. Ricchi e poveri insieme comunicano nella chiesa,
ma si scomunicano · reciprocamente nella fabbrica . . Se nel-
la fabbrica ci fosse comunione, la comunione eucaristica
esprimerebbe non solo la comunione escatologica alla fine
della storia, ma già fin d'ora la comunione reale della
società. ,
t
;
(19) Cfr. con più particolari il mio lavoro Missiio universal e li/Jer-
taçiio concreta, in A fé na periferia do mundo, Petr6polis, 1978,
pp. 76-94.
207
.
t o da Gcstt ai primi dodici seguaci (20). Nell'essere inviati
al Jnondo, per continuare la sua missione di rivelazione e
4lnnuncio del Regno, i dodici sono stati chiamati apostoli.
Ma l'appellativo non è esclusivo dei dodici, come si può
vedere in Paolo, chiamato pure apostolo nonostante la
sua vocazione tardiva.
Ogni inviato - e ogni battezzato riceve il compito di
annunciare e testimoniare la novità di Dio in Gesù Cri-
sto - è un apostolo e prolunga la missione dei p_rimi
dodici apostoli. I Dodici sono ancora quelli che svelano il
mistero· di Gesù come Figlio di Dio incarnato. Siamo
legati alla fede apostolica e alla loro dottrina, conservata-
ci nei testi fondamentali e nella memoria viva delle comu-
nità. Per tale funzione rivelatrice gli apostoli saranno i
coordinatori delle ·comunità. In tale contesto si parla nel-
la tradizione di vita apostolica, vita di sequela di Gesù,
nella partecipazione alla sua vita e nella condivisione del
suo destino.
Il- problema sorse quando i dodici apostoli, nella rifles-
sione canonico-teologica, furono considerati individual-
merue. Si perse allora il senso simbolico dei dodici, come
' '
(20) Dupont J., Le nom d 'Apotre a-t-il été · donné aux Douze par
Jésus?, Lovanio, 1957; Congar Y., A lgreja é apostolica, in Myste-
riurn Salutis IV/3, pp. 157~159; classica e monumentale è l'opera
di Klostermann F., Das christliche Apostolat, Innsbruck, 1962, nel
caso nostro pp. 119-128.
20~
·:
posteriore, e poggia sulla base di una profonda fratcrn i t ;'t
ed uguaglianza: tutti sono portatori della retta dottrina
degli apostoli e tutti sono partecipi dei tre· uffici fonda-
mentali di Cristo, che sono di testimoniare, santificare cd
. essere responsabili dell'unità e del funzionamento della
comunità. Nelle comunità di base si ha questo ·equilibrio
tra i vari elementi,' senza determinati preconcetti contro
una divisione simn1etrica delle varie funzioni e responsa-
bilità ...
209
caratterizzano l'esperienza ecclesiale nuova che sta matu-
rando alla base de1la chiesa e della società. Ciascuno di
essi può venir messo in discussione; ma l'insieme conver-
ge in un senso rivelatore di uno spirito nuovo,. di una
rnaggiore fedeltà alle origini liberatrici del messaggio e-
vangelico, come pure di una fedeltà al destino trascen-
dente della terra, con le sue ricerche e aneliti. La fede
non allontana dal mondo. Non crea delle comunità appar-
tate dagli altri uomini. È un fermento di speranza e di
amore mai vinti, che scommettono sulla forza dei deboli
e sull'infallibilità della causa della giustizia e della frater-
nità. L'interesse per il cielo non fa impallidire la terra. Al
contrario, il cielo dipende da ciò che facciamo in terra e
con la terra. Una chiesa così impegnata nelle cause degli
sfruttati di questo mondo dà credibilità a ciò che la fède
proclama e la speranza promette; svela un volto di Cristo
ancora capace di affascinare spiriti attenti e insoddisfatti ·
dell'ordine di. questo mondo. Le comunità dimostrano che
si può essere cristiani senza essere conservatori; che si
può essere uomini di fede e insieme impegnati nel desti-
no della società; che si può sperare contro ogni speranza
e nella vita eterna, senza perdere terreno sulla terrafer-
ma, né impegno nella lotta per un domani migliore, già
all'interno della nostra storia. ..,..
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210
capitolo nono
la comunità ecclesiale di base:
il minimo del minimo *
211.
n1cmhri delle comunità ecclesiali di base. Essi costitui-
scono la base della società (classi popolari) e della chiesa
(laici).
h) La comunità ecclesiale di base è in genere costituita
da 15-20 famiglie. Una o due volte la settimana si riunisco-
no per ascoltare la parola di Dio, mettere in comune i
propri problemi e risolverli ispirando~i al vangelo. Esse si
fanno i propri commentari biblici, si inventano le proprie
preghiere e decidono comunitariamente, sotto il coordi-
namento di qualcuno, i co1npiti da eseguire. Dopo secoli
di silenzio, il Popolo di Dio prende la parola: non è più
un semplice cliente della parrocchia, ma un portatore
di valori ecclesiologici. Egli riinventa, . concretamente, la
chiesa di Dio, nel suo senso storico reale. Certamente la
chiesa è un dono di Cristo, da ricevere con riconoscenza;
ma è anche una risposta u1nana piena di fede. Per questo
si è coniata l'espressione, che ben compresa ·è del tutto
vera e ortodossa: la chiesa che nasce dalla fede del Popo-
lo di Dio; o, ancor più semplicemente, la chiesa che nasce
dal popolo c·r edente e oppresso, per lo Spirito di Dio.
Prirr1a, il popolo si incontrava, nei nostri paesi latino-a-
mericani1 una o due volte all'anno, quando veniva il prete
a battezzare, celebrare i matrimoni e ann1Jnciare il vange-
lo. Si sentiva chiesa in questi momenti. ' Ora, ogni volta
che si incontra - settimanalmente o ancora più spesso
- si sente con1unità dei fedeli, nella quale è presente
Gesù Cristo risorto. È la realizzazione del mistero della
chiesa universale alla base, in questa concretezza umile e
piccola di uomini, donne e bambini, generalmente molto
poveri, ma pieni di fede, di speranza e di an1ore, in
comunione con tutti gli altri cristiani. La comunità eccle-
siale di base fa concreta la vera chiesa di Gesù Cristo.
c) Attualmente rileviamo il seguente quadro: da un lato
abbiamo la grand~ chiesa istituzione, che sta lì con la sua
diocesi e il rispettivo vescovo, con le sue parrocchie, chie-
se, cappelle ecc. Dall'altro, abbiamo una vasta rete di
1
213
ceti poveri, il vangelo appare qual è: .buona-notizia, mes-
saggio di speranza, di promessa e di gioia.
b) Il rapporto tra vangelo e vita implica un processo
lento e difficile. Agli inizi, la Parola porta a interessarsi
dei problemi interni al gruppo, una sofferenza, un caso di
disoccupazione, ecc. Col tempo, il gruppo si apre alla
problematica sociale dell'ambiente, della vita o del quar-
tiere. Sono problemi di acqua, luce, fogne, strade, ambu-
latorio medico, scuole, ecc. In una fase ancora più evolu-
ta, il gruppo si colloca politicamente di fronte al sistema
sociale. Ci si interroga allora sul sistema vigente dell'or-
ganizzazione sociale. L'azione corrispo!ldente a tale livello.
di coscienza è la partecipazione agli strumenti di lotta del
popolo: sindacati, movimenti popolari diversi, partito,
ecc.
fk.
i
$.
~) Per il popolo di base, la fede rappresenta la grande
porta di }ngresso alla problematica sociale. L'impegno
1
sociale poggia sulla propria visione di fede. Non si tratta .·t~·.
di un cambiamento della fede. È che la fede, nel con- ;.~
214
t
~
'
.
"f
entrato nella via del vangelo ... ». Nelle comunità di base
il vangelo si mostra davvero una parola trasformatrice.
215
della maggior partecipazione ed equilibrio tra le varie
funzioni ecclesiali. I laici riscoprono la loro importanza:
anch'essi sono successori degli apostoli, nella mis~ra che
sono eredi della dottrina apostolica; anch'essi sono cor..
responsabili dell'unità della fede e della comunità. Questo,
evidentemente, nori significa che i vescovi perdano la loro
funzione insostituibile. Bisogna corr1prendere come l'apo..
stolicità non sia la caratteristica di alcuni membri della
chiesa (papa e vescovi), bensì di tutta la chiesa; e come
t.
tale apostolicità sia partecipata in modo diverso nel seno ·~
'•
crescita.
c) La forma comunitaria di vivere la fede permette l'e-
mergere di molti ministeri laicali. Il popolo li chiama
semplicemente « servizi », quale, effettivamente, è il senso
che Paolo dava ai carismi. Tutti i servizi vengono intesi
come doni dello Spirito Santo. C'è chi sa visitare e con..
solare i malati. Altri insegnano a leggere e scrivere. Altri
coscientizzano sui diritti umani e sulla legislazione del
lavoro. Altri preparano i bambini ai sacramenti, o si eu..
rano dei problemi familiari, ecc. Tutt~ queste funzioni
sono rispettate, incentivate, coordinate dai responsabili,
perché tutto cresca in funzione dell'intera comunità. La
chiesa, più che organizzazione, è un organismo vivente,
che si ricrea, alimenta e rinnova a partire dalle sue basi.
216
.-
217
5. Le comunità ecclesiali di base:
celebrazione della fede e della vita '·
21M
blemi, le oppressioni, gli oppressori, le difficoltà; ma an-
che le conquiste, i risultati raggiunti, i progetti in corso.
Quando, dopo molt~ lotte, si è arrivati ad avere il centro
sanitario di quartiere, o la scuola o l'omnibus, la comuni-
tà nelle sue riunioni ne celebra l'avveniincnto. Essi sono
i veicoli dei beni del R~gno di Dio, sono· parabole della
grazia liberatrice nel mondo. Non solo vi si celebrano i
sacramenti, ma anche la dimensione sacramentale della
vita, sempre pervasa dalla grazia di Dìo. Il popolo è
dotato di questo senso fine della dimensione del religioso,
che pervade tutte le istanze della vita umana. La quale
non è mai totalmente profana e chiusa a Dio.
219
cnrlitolo decimo
le ecclesiologie soggiacenti
alle comunità ecclesiali di base
1 . Ecclesiogenesi:
nasce la chiesa dalla fede del popolo
La prima impressione che si ha è che qualcosa di nuovo
. - dello Spirito è in azio11:e in questo fenomeno, nel
quale il popolo credente e povero si organizza per vivere
comunitariamente la fede. Non si ripete un passato. Non
si riforma una struttura presente. Si apre un futuro nuo..
vo, ancora non sperimentato negli ultimi secoli di pre-
dominio clericale. Si tratta di una vera · ecclesiogenesi,
cioè della genesi di una chiesa che nasce dalla fede del
popolo. Un fatto insolito, di spessore autenticamente teo-
logico, si realizza in questi incontri. La chiesa vi è rap-
presentata con i suoi vescovi, confessori, profeti, martiri
(molti sono stati torturati a causa della loro fede), dotto-
ri, vergini e rappresentanti del Popolo di Dio. Pare che si
renda presente la storia delle origini, con la mistica che
la caratterizzava. Si discute il cammino che si sta facen-
do, alla luce della fede e dell'attuazione dello Spirito ivi
presente. Ciò non diminuisce il calore delle discussioni,
né esime dall'ardua fatica di cercare le strade migliori.
Questi incontri nazionali si inseriscono a puntino nella
220
tradizione sinodale della chiesa antica, di Cartagine, di
Toledo, dell'Arausicano, e di tanti altri sinodi che ·hanno
segnato indelebilmente l'ulteriore sviluppo dottrinale e di-
sciplinare della chiesa.
Alla fine, tutte le conclusioni danno prova della coscienza
comune circa 1'importanza spirituale e teologica di tale
evento dello Spirito. Vige la stessa. mentalità apostolica:
« ~ parso allo Spirito Santo e a noi di ponderare e
decidere il seguente ... ». Oppure: « In ubbidienza al van-
gelo e fedeli alle grida del popolo sofferente ... ».
In questi incontri il teologo ascolta c impara assai più di
quanto parli ed insegni. Ed è un bene che sia così. Di
norma, la prassi precede la sistematizzazione teorica. La
quale è sempre una riflessione sulla realtà. Tale realtà di
base resta l'esperienza riflessa della comunità. Se la teo-
logia non ascolta e non impara, c'è da temere che, più
che illuminare, essa non oscuri le vie della nuova chiesa,
nata dall'antica. In questa prospettiva presenterò alcune
tracce di riflessione sull'ecclesiologia soggiacente alle co-
munità ecclesiali di base. Quasi tutte le comùnità ·hanno
percorso o stanno percorrendo una strada che riassu-
miamo schematicamente nel grafico riportato a p. 222.
221
1'-.l
N
N
Critica .....
7 Ricerca \,.
7 Tema-riflessione ....
7 Prassi
1) Chiesa dei preti: cle- Chiesa del popolo; non Chiesa popolo di Dio Dialogo aperto, ugu~glian
ricaìisrno per il popolo, ma con il za, ascolto· del popolo,
popolo partecipazione. Modifica
del prete. Concilio Vatica-
no IL
223
sta <.li 1nolti, è una gerar'"'uiog1a, cioè quella di una chiesa
che solo considera la gerarchia. Graficamente, la differen-
za è la seguente:
Dio Cristo-Spirito Santo
t
Cristo
i
Apostoli
Comunità-Popolo di Dio
t
Vescovi
Vescovi-preti-coordinatori
t
Preti
t
Fedeli
224
h) Problemi del tema-riflessione:
chiesa-comunità e segno di liberazione
La chiesa come comunità ha dato occasione a una nuova
esperienza della vita di fede, in chiave di partecipazione
non solo alla liturgia, ma anche alle decisioni, all'impe-
gno di conservare e far crescere la chiesa, ai compiti
• • •
missionari, ecc.
Si è verificata una decentralizzazione positiva: le comuni-
tà di base sono ben più che delle semplici cappelle. Han-
no una loro autonomia, dei valori loro propri.
La liturgia è l'espressione della fede, e non la realizzazicr
ne di un rito sacro.
La Parola non è più . una proprietà . privata del prete. Il
popolo vi partecipa. Tutto ciò esprime impegno per la
comunità.
In primo luogo ·si tratta di vivere del sacramento fonda-
mentale, che è la chiesa, come condizione per ricevere i
Sacramenti. I quali sono delle concretizzazioni del Sacra-
mento fondamentale, la chiesa, per le situazioni concrete
della vita (figura della mano, la chiesa, che ha delle dita, i
sette sacramenti). Non si può volere le dita, senza volere e
coinvolgere la mano.
Importante, è pure la formazione di una guida stabile, sia
mediante un consiglio, sia per mezzo di un coordinatore
formato per garantire l'unità e l'armonia della comunità.
Nella concezione della chiesa-comunità si deve prendere
coscienza di alcuni pericoli e limiti. Qual è il senso di
questa comunità di fede? e importante che la comunità
approfondisca, in termini di vita e di nuova prassi dei
rapporti comunitari, alcuni valori imprescindibili del cri-
. stianesimo: fraternità, aiuto reciproco, solidarietà, parte-
cipazione a ogni attività della comunità, circolazione delle
informazioni.. decisioni maturate nella base ...
È importante che si crei una mistica della fede, dell'ade-
sione a Gesù Cristo, che si fa presente nella comunità e
allo Spirito Santo presente nei vari servizi (i carismi, nel
linguaggio di Paolo). Bisogna creare convinzioni di fede
profonde e irremovibili, capaci di sopportare difficoltà e
persecuzioni. Senza questa mistica, creata nella comunità,
il fedele non avrebbe la. forza di sopportare affronti, per-
secuzioni, forse anche la prigionia a causa del suo impe-
gno, fondato nella fede.
225
,.
226
stata al problema, già sta prendendo coscienza dei di·
ritti umani violati, della povertà strutturale, delle in-
giustizie sociali che sono il frutto non della volontà del
padrone ma dell'organizzazione di tutto un sistema, che
generalmente viene presentato come buono, cristiano,
democratico, ecc. La fede cristiana scuote alla macrocari..
tà, alla giustizia sociale, al significato autentico della libe..
razione globale di. Gesù Cristo, che esige la trasformazio-
ne non solo delle persone ma 'anche delle strutture.
m
Qui nascono vari problemi specifici. Si deve riflettere sui
1nczzi che danno alla fede e all'amore cristiano un'efficacia
di trasformazione. La persuasione non basta. Occorre una
nuova prassi liberatrice.
Sul piano della comprensione della gente, si fa necessaria
un'analisi scientifica della realtà. Per scientifico non · si
intende l'uso di . parole tecnich~ e di ricerche dettagliate.
Scientifico significa conoscenza di ciò che sta dietro i
fenomeni. Ad esempio, abbiamo una favela e vi ·regna la
povertà. Scientifica è la scoperta della causa oggettiva che
genera. questo stato di povertà; che non è né il pregiudizio,
né la mancanza di opportunismo, ma un comportamento
di uomini che si dividono tra loro i proventi del lavoro.
Tutti lavorano, ma alcuni prendono per sé la grande fetta
del lavoro di tutti, perché possiedono il capitale. Com-
prano lavoro e creano emarginazione; e questa produce
povertà. Il povero è un impoverito, un sottoprodotto della
società capitalistica. Conoscere scientificamente, significa
portare la comunità a capire i meccanismi della società in
cui si vive: come funziona lo Stato, che non dà a tutti le ·
opportunità di lavorare, ma difende gli interessi di chi ha
in mano i mezzi di produzione, i ricchi, ecc. E così per i
mezzi di comunicazione, la polizia, il diritto, i sindacati, i
partiti. Questo permette al popolo di essere critico ...
Di fronte all'organizzazione e al predominio del sistema
costituito, che tutto determina e controlla, nasce nel po-
vero il sentimento dell'impotenza: non c'è via di scampo.
Contro questo sentimento bisogna suscitare una grande
speranza e una fede profonda che la giustizia, la parteci-
pazione, ecc., ·hanno più futuro dello sfruttamento. Da ciò
deriva l'importanza che nei circoli non ci si fermi ai soli
problemi sociali: senza un approfondimento di fede, spe-
ranza, fiducia, pazienza, la gente o si dispera o si butta
nella violenza e nel terrorismo. Il terrorismo è un atto di
disperazione e di dolore incontrollato. t3. frutto di una
sete insaziabile di giustizia, ma senza senso storico, senza.
pazienza, senza senso dell'opportunità. Dobbiamo svellere
il senso di impotenza, perché distrugge la persona. Vna
coscientizzazione che lasci viva l'impressione della pro-
pria impotenza è irresponsabile, e finisce con lo svuotare
le chiese e allontanare dalle nostre file i credenti impe-
gnati.
I3isogna invece mostrare che la liberazione è il frutto di
228
una lunga marcia. Ci sono tappe da percorrere, che non
si possono bruciare. Bisogna iniziare dalla prassi della
comunità, come prassi che libera. La comunità dev'essere
lei stessa non oppressiva, simbolo della libertà di parola,
di azione, di partecipazione. Altrimenti, come potrebbe
essere segno e strumento di liberazione?
.La nuova prassi porta a modificare gli atteggiamenti, e
non ·solo le idee delle persone. È un cambiamento che
può dar luogo a persecuzioni. Le forze della repressione
vi vedono il pericolo di sovversione. Sistema a parte,
anche molti fedeli, preti e vescovi della chiesa tradiziona-
le trovano che si tratta di atteggiamenti sovversivi, o
troppo spinti; e finiscono per fare il gioco del sistema,
anche senza volerlo e senza saperlo.
Come reagire di fronte alla possibile repressione? Si deve
avere una profonda mistica della fede e dell'imitazione di
Gesù Cristo e degli apostoli. Si deve creare nella comuni- ·
tà il senso della solidarietà. Se qualcuno viene preso, gli
altri si prendono cura della sua famiglia, fanno ricorso
alla legge, gli · sono vicini e gli infondono coraggio con
visite e attenzioni... come si faceva nella chiesa delle
• • •
origini.
Come sopravvivere in un mondo che noi non vedremo
trasformato? Bisogna coniugare l'impegno di liberazione
con la prudenza, il rischio misurato con l'audacia non
violenta. Agire senza provocare, necessariamente, le forze
della repressione. Creare una mistica del martirio, che
. accetti come dato normale, per chi segue di fatto Gesù
Cristo, la diffamazione, la prigione e anche, forse, la stes:.
sa morte. Non è facile. Esige molta convinzione e for-
za, per vivere emarginati senza essere degli emarginati
e dei rifiutati, sentendo profondamente i problemi reali
che rendono questo mondo infelice e sfruttato.
Bisogno del~ perdono di Dio per la nostra mancanza di
•
coraggio.
229
capitolo undicesimo
si giustifica la distinzione
tra chiesa docente e chiesa discente? ..
l
l
j
!
'
~
230
della fede. Essa è la comunità di quelli che hanno dato ·
una ris-posta alla pro-posta di Dio. Tutta la chiesa, per-
tanto, è Ecclesia discens, alunna dell'unus Magister, Ge-
sù Cristo (M t 23, 8; cfr. 10, 24; 13, 13) e discepola . dello
« Spirito di verità . che insegnerà tt1tta la verità » (Gv
16, 13) e che fa sì che da parte di Dio «non abbiamo
necessità che nessuno ci insegni» (l Gv 2, 27). Se qualcuno
nella chiesa (papa o vescovi). non si autocomprende, pri..
ma di qualunque divisione di compiti, come membro del-
la chiesa discens, cessa di essere un membro sacramenta-
le della communitas fidelitun, avendo perduto quella so-
stanza che fa teologicamente chiesa, cioè la fede. La di-
stizione tra Ecclesia docens e Ecclesia discens è solo
valida, se mai lo è, come condizione di privilegiamento
della polarità discente (chiesa che ascolta la Parola) su
quella docente (chiesa testimone degli eventi salvifici). La
ragione fondamentale la troviamo formulata nella grande
dossologia della messa, il Gloria: « Perché tu solo il San-
to, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo ».
Una lode che implica il « Tu solo il Mae.stro »; e noi tutti
tuoi discepoli, che anche oggi abbiamo ascoltato il tuo ap-
pello: « Vieni e seguimi » (Mc l O, 21 ). Lo Spirito continua
ancora ad annunciarci le cose a venire >> (Gv 16, 13) e a
« insegnarci ogni cosa » ( Gv 14, 26 ).
231
scono la Ecclesia docens, di coloro che proclamano agli
uomini ciò che Dio ha fatto a beneficio di tutti .
•
3a tesi: Docens e discens sono due funzioni
e non due frazioni nella chiesa
Nella con1unità che nasce dalla fede c'è il momento del-
l'ascolto e il momento del parlare, il tempo di imparare
dalla rivelazione e il tempo di testimoniare la rivelazione.
Docens e discens non sono che due cadenze dell'unica e
medesima comunità. Sono due aggettivi che qualificano
due modi di agire dell'intera comunità. Non sono due so-
stantivi che introducono una dicotomia nella stessa co-
munità. Essere discens e docens esprime due funzioni del-
l'unica e medesima chiesa, e non due parti della o nella
chiesa.
C'è un reciproco apprendistato nella chiesa: c'è il mo-
mento in cui la gerarchia deve udire, ascoltare le Scrittu..
re, stare attenta ai segni dei tempi, prestare attenzione al
clamore dei poveri che sale al cielo e discernere qual è la
volontà di Dio per tutti; e c'è il momento in cui il laico
deve parlare . e testimoniare la verità del vangelo dentro il
sistema sociale in cui vive, anche quando si fa meritevole
del privilegio delle persecuzioni. Allora la gerarchia si
sente membro della Ecclesia discens e il laico membro
della Ecclesìa docens. Ciascuno è maestro e discepolo,
l'uno dell'altro; e tutti sono seguaci del vangelo. Nella
coesistenza e simultaneità delle due funzioni si deve capire
il richian1o di Gesù che nessuno si deve chiamare mae-
stro, padre o direttore spirituale, perché siamo tutti fra-
telli (cfr. Mt 23, 8-10).
!
1
'
4a t es i: La distinzione tra ecclesia docens
e ecclesia discens è teologicamente valida,
solo quando si sia previamente assunta
li
l
232
insegnare. Qui non si tratta più di testimoniare e inse-
gnare in senso generale, ma in senso particolare, o come
si dice tecnicamente, in modo ufficiale e autentico. Ab-
biamo dunque a che vedere con il potere di insegnare, di
cui papa e vescovi si sentono particolarmente investiti.
Assieme a tale potere compare anche la gerarchia del
potere. Come si è giunti a questa specializzazione? La
manualistica teologica e canonìstica affer1na che la chiesa
di Cristo è per istituzione divina essenziahnente gerarchica.
« Ciò significa, ci spiega Salaverri, che in essa esiste, per
volontà del suo divino fondatore, una discriminazione per
la quale alcune persone devono essere chiamate a eserci-
tare i poteri essenziali, a esclusione degli altri, secondo la
legge stabilita dallo stesso Cristo » ( 1). Cristo, si argomen-
ta, è il Messia-maestro, dotato di ogni potere.. Egli ha
trasmesso tutto questo potere agli apostoli (Mt 28 1 18-20),.
in tal modo che «Chi ascolta voi ascolta me e chi rigetta
voi rigetta me» (cfr. Le 10, 16 ). Ci troviamo di fronte a
una visione epifanica della chiesa, che esce direttamente
strutturata dalla volontà del suo fondatore.
Si deve osservare che tale interpretazione si basa su una
lettura letterale dei testi, come essi si trovano codificati,
senza badare alle tappe del loro farsi e alle teologie che
vi si riflettono nei vari strati. Inoltre, chi fa tali afferrna-
zioni sono gli stessi interessati (la gerarchia). Sul pian~
critico, il discorso dell'attore viene considerato un discor-
so ideologico. Per questo, e cioè per garantire la verità
del magistero autentico, bisogna oltrepassare tale visione
semplicemente epifanica della nascita della chiesa e arri-
vare a una concezione teologica che tenga conto delle
varie mediazioni presenti nell'affermazione di fede: Gesù
ha fondato la chiesa. ·.
In primo luogo bisogna incorporare i risultati storico-cri. .
tici dell'esegesi. L'esegesi ci dice che la chiesa non occupa
in nessun modo il centro delle preoccupazioni di Gesù;
gli elementi risalenti a Gesù che riguardano la struttura..
zione della con1unità sono estremamente parchi (2). Ciò non
. l
233
signifìca che l'affermazione « G~sù è il fondamento della
chiesa >> sia priva di senso. Semplicemente, essa non può
porsi ingenuamente, éioè prescindendo dal considerare gli
apporti dell'esegesi critica.
In secondo luogo, si devono considerare le conoscenze
socio-religiose riguardanti la nascita delle gerarchie (3) e la
divisione religiosa del lavoro (4 ). Le grandi religioni, come
il cristianesimo, si trovano associate alla comparsa delle
città, che ha introdotto la separazione tra città e cam..
pagna e la prima divisione sociale tra lavoro manuale e
lavoro intellettuale. È stato merito di Max Weber di aver
mostrato come l'urbariizzazione abbia contribuito alla
« razionalizzazione » della religione, ossia abbia favorito il
sorgere di un corpo di espertf incaricati della preserva-
zione, codificazione ed esegesi ufficiale e autentica del
capitale religioso comune a tutti i fedeli. Affiora così una
Ecclesia docens e un'altra discens. Nelle parole di Bour-
dieu: « Il clero ha a che vedere direttamente con la razio-
nalizzazione della religione e deriva il- principio della pro- · .
pria legittimità da una teologia eretta a do-g1na, della cui
validità e perpetuazione si fa egli stesso garante » ( 5 ). Dal
seno di una comunità di uguali si stacca la gerarchia, con
un servizio per tutti che è quello di produrre e riprodurre
una visione globale e coerente della fede cristiana.
Per la nostra episteme moderna, una riflessione teologica
che non tenga conto di questi dati rischia di svolgere un
compito ogget~ivamente ideologico e di mistificare dei fe. .
nomeni che possono venir chiariti da ragioni stòricamen-
te ben identificabili. In altre parole, anche se Cristo. non
avesse detto niente circa il potere di insegnare autenti-
camènte, ci sarebbe stata ugualmente nella chiesa una
tale istanza magisteriale. Allora, teologicamente, dobbia-
mo dire: la volontà fondatrice di Cristo non toglie - anzi ~··
234
naria mediante un corpo di esperti, in comunione con
tutti i fedeli. Emile Durkheim ha mostrato che la divisio-
ne del lavoro non porta necessariamente al~a sostanzializ-
zazione delle funzioni, ma può mantenere una solidarietà
interna con la base comune (6), prestaridole un servizio
utile e necessario di preservazione, codificazione, amplia-
tnento e chiarificazione. In tal modo la distinzione tra
Ecclesia docens e discens si giustifica, per il fatto che
conserva la sua funzionalità verso la comunità dei fratelli.
Si tratta di una distinzione interna alla comunità~ e non
di una istanza che si pone fuori o sopra di essa.
San Matteo esprime bene tale dialettica: da un lato il
potere di legare e sciogliere appartiene a tutta la comuni-
tà (Mt 18, 18); dall'altro, risiede particolarmente nel suo
principio di unità che è Pietro (M t 16, 16 ). Nell'ecclesiolo-
gia primitiva si diceva: la potestas sacra è stata data
generaliter alla ecclesia (universitas fidelium) e specialiter
ai vescovi e sacerdoti (7). Il soggetto portatore, pertanto,
resta la comunità, al cui interno emerge la funzione ma.
gisteriale come suo organo espressivo.
235
una società di disuguali, in cui Dio ha destinato gli uni
come governanti e gli altri con1e servitori. Costoro sono i
laici, quelli i chierici». Pio X è ancor più rigido: <<Sola-
mente il collegio dei pastori ha il diritto e l'autorità di
dirigere e di governare. La massa non ha
diritto alcuno,
che non sia quello di .lasciarsi governare, quale gregge
obbediente che segue il proprio pastore» (8).
Paulo Freire ha dimostrato il carattere patologico di
questo tipo di rapporto che disumanizza entrambe le po-
larità (9). Da un lato abbiamo la Ecclesia docens, che
tutto sa e tutto interpreta. Dall'altro abbiamo il laicato,
che niente sa, niente produce e tutto riceve, appunto
quale Ecclesia discens. La gerachia non impara nulla nel
contatto con i laici. Questi non hanno nessuno spazio ec- l
i
25).
(8) Cfr. Schmaus M., Der Glaube der Kirche, Bd. II, Monaco, 1970,
p. 102.
(9) Pedagogia do oprimido, Rio de Janeiro, 1975, pp. 63 s.; Id., Edu-
caçao como prdtica de libertade, Rio de Janeiro, 1974, pp. 85-99.
236 ·~
...\.:
.
~
a beneficio quasi sempre del docens (gerarchia), ha porta-
to a situazioni di autoritarismo inaccettabili alla luce dei
criteri evangelici. (Le 22, 25-28). La via era quella di una
strada a senso unico, dalla gerarchia che insegnava al
popolo che solo doveva ascoltare. È necessario ricreare
un percorso a doppio senso di marcia, dal discens al
docens e dal docens al discens. A tal fine si dovranno
osservare le · regole , seguenti:
·a) Un dialogo franco da entrambe le parti: tutti devono
ascoltare, e specialmente quelli che devono parlare auten-
ticamente (gerarchia); e tutti devono avere uno spazio
garantito· per parlare. Si deve avere uno scambio di co. .
noscenze, senza che nessuno voglia dominare su nessuno;
tu t ti attenti gli uni per gli altri, perché lo Spirit o è in
tutti.
b) Un atteggiamento di mutua critica, come mezzo per
impedire ogni assolutizzazione-dominazione e quale « uni-
co modo in ctli l'uomo può realizzare la sua vocazione
naturale di integrazione, superando ogni atteggiamento di
aggiustamento o di accomodamento» (10), discernendo nei
segni dei tempi la volontà concreta di Dio per la chiesa.
c) Un polo di riferùnento extra nos: la chiesa non esiste
per se stessa ma in t funzione del mondo, che dev'essere
evangelizzato e salvo. Tanto la Ecclesia docens quanto la
Ecclesia discens devono mantenere sempre vivo questo
riferimento al mondo, non meno che allo Spirito che
ingloba in sé sia la chiesa che il mondo. Solo in questa
interazione verticale e orizzontale può garantirsi un sano
e valido rapporto tra il parlare autenticamente e l'ascol-
tare in ubbidienza, dentro un'unica e medesima chiesa.
(10) Freire P., Educaçiio como pratica de libertade, op. cit., p. 44.
2J7
.~·
238
,
ipostaticamente unita al Verbo, come lo è l'umanità di
Gesù. Essa è insieme giusta e peccatrice e sempre biso-
gnosa di conversione e di riforma.
239
no conto del fatto decisivo realizzatosi in Gesù Cristo, che
è la sua risurrezione. Con la risurrezione il corpo di
Cristo non è stato solo rianimato. Esso si è assolutamente
realizzato e liberato da ogn : ")fta di limitazioni, spaziali e
temporali. Non è più semplicemente un corpo carnale, -~-.. ":' '
240 .:.
...
11
l~
ha una dimensione dinamica e funzionale, che la definisce
in termini di energia, carisma, costruzione del mondo,
poiché «Lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3, 7) e «dov'è
lo Spirito del Signore, lì regna la libertà » (2Cor 3, 17).
L'origine cristologica e pneumatica della chiesa merita un
approfondimento maggiore .
• l
l
2. La chiesa fondata da Cristo e dagli apostoli, l
l
mossi dallo Spirito l
l
l
La dottrina comune afferma che Cristo ha fondato la
chiesa. Tale verità appartiene al nucleo inalienabile della
fede cristiana ed ecclesiale. Dobbiamo tuttavia stabilire il
modo concreto in cui Cristo ,ha voluto e fondato la sua
chiesa. Non tutti gli elementi istituzionali della chiesa
risalgono a Gesù. Se guardiamo bene - e ciò è dimostra-
to dall'esegesi più seria ed esigente - Gesù non ha pre-
dicato la chiesa, ma il Regno di Dio ( 4 ), come totale e
globale ribaltamento dei fondamenti di questo vecchio
mondo, da trasformare adesso, per l'intervento di Dio, in
un mondo nuovo, di superamento del peccato, delle soffe-
renze, dell'odio e di tutte le alienazioni che straziano la
vita umana e il cosmo. Nella predicazione e nella realiz..
zazione di questo Regno, Cristo ha introdotto delle realtà
che più tardi avrebbero costituito il fondame~to della
chiesa: la scelta dei dodici (Mc 3, 13-19 par), l'istituzione
del battesimo e della cena eucaristica. Ma tali elemènti
non costituiscono ancora tutta la realtà della chiesa. La
stessa chiesa solo esiste a condizione che il Regno di Dio
non venga accolto dai giudei e che Gesù sia rigettato dal
241
popolo. Se il Regno predicato da Cristo si fosse realizzato
(e non lo fu per la colpa e l'indurimento dei giudei), non
ci sarebbe stato posto per la chiesa. La quale ha essen-
zialmente una funzione sostitutiva del Regno e deve
definirsi, teologicamente, come lo strumento per la realiz..
zazione piena del Regno e come il suo segno di realizza-
zione reale, benché ancora imperfetto, nel mondo. Inoltre,
la chiesa esiste solo a condizione che la fine del mondo
non sia imrr1inente, ma che ci sia una storia della fede e
dell'accettazione di Gesù e del suo messaggio. L'escatolo-
gia, o dottrina della fine ultima dell'uomo e del mondo, si
è trasformata così nel trattato teologico sui novissi-
mi: morte, giudizio, inferno, paradiso. Agli inizi i dodici e
i discepoli speravano ancora nell'irruzione prossima del .
1
. '
243
a) Il Gesù nella .carne era già la prese_nza
dello Spirito Santo nel mondo
~ questa la concezione della teologia di san Luca. Per
Luca Gesù non è un uomo di spirito, che possiede lo
Spirito co~e di passaggio. Ma è il Signore che lo possie-
de stabilmente e lo porta senza interruzioni (Le 4, 1.14.18;
At 10, 38). Gesù «non è portato dallo Spirito» ma· segue
la sua via «nello Spirito» (Le 4, 14, diversamente da Mc
1, 27). Fin dal suo primo momento, Gesù è opera dello ...
..
Spirito e dallo Spirito viene consacrato (Le 1, 35; 4, 18-21; ~:
Der Geist als Person, Miinster, 1963; Id., Una mystica persona, Mo-
naco-Paderborn-Vienna, 1964; Id., Die Kirche als die geschichtliche
Erscheinung des ii.bergeschichtlichen Geistes Christi, in « Theolo-
gie und Glaube », 55 (1965), pp. 270-289; Kasemann-Schmidt-Prenter,
Geist, in « RGG >~ II (1958), 1272R1286; Congar Y., L'Esprit dans
l'Eglise, in « Lumière et Vie», 10 (1953), pp. 51·74; Bardy E., Le
Saint-Esprit en nous et dans l'Eglise d'après le Nouveau Testament,
Albi, 1950; Wendland H. D.,· Das Wirken des H eiligen G.eistes in
den Gliiubigen bei Paulus, in « Theologische Literaturzeitung », 77
( 1952), pp. 457-470; Stirni~mann H., Die Kirche und der Geist Christi,
in « Divus Thomas », 31 (1953), pp. SM17; Rahner K., Das Dynamische
in der Kirche (QD, 5), Friburgo, 1958; Volk H., Das Wirken des
lleiligen Geistes in den Gliiubigen, in « Catholica », 3 (1952), 13-35.
(6) Cfr. Schweizer E., Pneuma, in « ThWNT », VI (1959), 402.
(7) Tyrrel G., Das Christentum am Scheideweg, (a cura di F . Hei-
Jcr), Monaco, 1959, p. 177.
244
gia di san Luca, Gesù possiede da sempre la pienezza di
forza dello Spirito e ciò che fa, lo fa di forza propria. Per
mezzo di Gesù lo Spirito viene comunicato alla comunità
(Le 24, 49; At 2, 33 ). È lui a istituire la chiesa· missionaria
(At 15, 28) e a fondarne le funzioni (At 20, 28). In lui
vengono stabilite delle direttive canoniche (At 15, 28) e
distribuiti i diversi compiti (At 6, ~; 13, 2). Chi lo inganna,
pecca contro la fede ed è pure da lui giudicato (At 5). Lo
Spirito è la caratteristica del tempo della chiesa. I molti
prodigi ed estasi che troviamo negli Atti degli apostoli
hanno l'obiettivo di mostrare che la chiesa è piena dello
Spirito di Cristo ed è l'organo di attuazione del Risorto.
245
•
246
c) Una Persona in due Persone
Questa unità primordiale tra il Signore risorto e lo Spiri-
to Santo trova il suo fondamento ultimo nella realtà in-
fratrinitaria. Lo Spirito è .spirato (originato) dal Padre e
dal Figlio, ·come ·da un unico principio (DS 704 ). Per que-
sto lo Spirito Santo è una Persona in due Persone~ nell'u-
nità della stessa natura. Per questo, secondo l'espressione
di san Tommaso d'Aquino, egli è il nesso comune di
entrambi (13) o il bacio di entrambi. Se il Figlio è stato
. inviato, come lo è stato, per la salvezza e liberazione degli
uomini e dell'universo, ne consegue che anche lo Spirito
Santo è stato inviato insieme con lui. Alcuni teologi come
Scheeben ( 14 ), e di recente H. Miihle.n ( 15), arrivano a par-
lare di una specie di incarnazione dello Spirito Santo.
Come nel processo trinitario egli è una persona in due
persone, così nell'economia della salvezza egli è una per-
sona in molte persone, ossia in tutti i giustificati e spe..
cialmente in tutti i cristiani. Come nella Trinità costitui-
sce l'unione del Padre e del Figlio, così· nella creazione è
il principio dell'unione, della comunione e della riconci-
liazione di tutto con tutto e con Dio. Bene lo esprimeva il
grande teologo Cari Feuerer intorno al 1939: «egli fa della
chiesa il sacramento delle relazioni infratrinitarie e dei
grandi misteri. Ciò che avviene nella vita infratrinitaria
trova eco nella vita intima della chiesa. Nelle profondità
della chiesa si fanno visibili le missioni intradivine » ( 16 ).
Ciò posto, pos~iamo ora riflettere in quale senso la chiesa
è il sacramento dello Spirito Santo, che è lo Spirito di
Cristo.
247
inoltre, dev'essere compresa a partire dallo Spirito Santo,
non tanto come terza persona della SS. Trinità, quanto
con1c forza e modo di attuazione, per cui il Signore ri..
1nanc presente nella storia e continua la sua opera di
inaugurazione di un nuovo mondo (17). La chiesa è il
sacramento, cioè il segno e lo strumento del Cristo viven-
te e risorto, cioè dello Spirito (18).
(17) Cfr. Valeske U., Votum Ecclesiae, Monaco, 1962, p. 163; Wiken-
hauser A., Die Kirche als der mystiche Leib Christi nach dem
Apostel Paulus, Mlinster, 1937, pp. 119 s.
(18) Cfr. Alfaro J., Cristo, Sacramento de Dios Padre; la lglesia,
Sacramento de Cristo Glqrificado, in « Gregorianum », 48 (1967),
pp. 5-27; Schillebeeckx E., Cristo, sacramento do encontro com
Deus, Petropolis, 1967, 53-91. ·
( 19) Cerfaux L., Le symbolisnte attaché au miracle des langues, in
<< EphThL », 13 (1936), pp. 258 s; Davies J. G., Pentecost and Glos-
solaia,· in « JThSt >>, 3 .(1952), pp. 228 s; Weinstock S., Zum Pfìng-
stwunder Act 2, 9~11, in « Journal of Roman Studies », 39 (1948),
pp. 43-46; Boff L., Simbolismo no milagre de Pentecostes, in « Vo-
zes », 64 ( 1970), 325-326.
248
preghiera (A t 2, 1-4 ). Con ciò egli intende trasmettere la
verità che con Gesù risorto e con la chiesa gli uomini
sono ormai entrati nella fase ultima della rivelazione.
Non dobbiamo aspettarci più niente di sostanziale da par-
te di Dio. Dio, in Gesù, ci ha detto il suo Sì e il suo
Amen definitivo, e già noi siamo salvati (cfr. 2 Cor l, 20).
Si credeva pure, allora, che alla fine dei tempi la con-
fusione delle lingue, nata dall'orgoglio umano (torre di
Babele, Gen 11 ), sarebbe stata abolita e vinta. Era il
segno della riconciliazione e comunione fraterna ài tutti
con tutti. Lé lingue non sarebbero più un motivo di sepa-
razione e di incomprensioni, ma di incontro e di unione .
.Nel racconto della Pentecoste, san Luca fa scendere lo
Spirito sotto forma di lingue di fuoco. Tutti i presenti,
arabi, giudei romani, ecc., comprendono nella loro pro-
1
249
risorto che agisce nel mondo. Dallo Spirito la chiesa è
nata nel mondo, per portarlo alla sua ultima perfezione
in Dio. Con sant'Ireneo possiamo dire: « Dove c'è la chie-
sa, lì c'è lo Spirito di Dio; e dove c'è lo Spirito di Dio, Il
c'è la chiesa e la pienezza della grazia» (20). La chiesa
vive dello Spirito. Non è dunque senza senso il testo del
Padre nostro nella variante del testo di Cesarea, contenu-
to nel codice D, dove, invece di dire «venga a noi il tuo
Regno » si prega: << venga su di noi il tuo Spirito e ci
purifichi » (cfr. le varianti al testo di Le 11, 2 ). Questo
testo è considerato da buoni esegeti (21) come il più
antico del vangelo di Luca e quello che bene esprime la
comprensione teologica che egli aveva de.lla chiesa e della
sua relazione con lo Spirito Santo .
•
250
uomini tra loro (Ef 2, 15-18), ha abolito ogni separazione
tra razze e religioni, tra . sacro e profano. Niente può
limitare la sua·ineffabile e pneumatica comunicazione. Ma
dove si manifesta tale realtà del Cristo? Per Paolo è la
chiesa locale a costituire il luogo della manifestazione
sociale del Cristo risorto, specialmente quando viene ce-
lebrata la cena eucaristica. Mangiando il corpo del Signo-
re. risorto, il Popolo di Dio riunito si fa esso pure Corpo
di Crist.o : « in uno stesso Spirito siamo tutti battezzati in
un solo corpo ... e a tutti ·noi è stato dato di bere di
un unico Spirito» (1 Cor 12, 13). Se però il Cristo pneuma-
tico (risuscitato) non conosce più le limitazioni e i limiti
chiusi, allora il suo corpo che è la chiesa non può in-
1 capsularsi nei limiti della propria dogmatica, riti, litur-
gia, diritto canonico. La chiesa ha le stesse dimensioni del
Cristo risorto. E queste dimensioni sono cosmiche. Le sue
funzioni e ministeri, le sue strutture e servizi, che pure ci
sono e devono esserci, devono però· mantenersi sempre
aperti allo Spirito che soffia dove vuole e che è una costan-
te forza dinamica nel mondo. Tutti gli uomini salvati e
che vivono nello Spirito Santo dovr~bbero perciò sentirsi
membri della chiesa e avere un posto dentro le sue strut-
ture visibili. Nessuno sta fuori ·della chiesa, perché non .
esiste nessun «fuori», come nessuno sta fuori della real-
tà di Dio e del Cristo risorto. L'uomo può tuttavia negarsi
all'apertura; può soggettivamente rifiutare di accoglierne la
realtà. Ma non p er questo egli cessa di .esserci dentro.
Perciò può sempre convertirsi e aderire alla salvezza., già
da lui acquisita come possibilità.
251
l
uomini la salvèzza di Cristo. Ma sorge qui l'interrogativo:
le decisioni che la chiesa ha preso nel passato hanno un
valore assoluto, tale da renderle intoccabili anche quando
non si dimostrino più funzionali?
Se guardiam<? bene gli scritti del Nuovo Testamento, ve-
diamo come sia s~ata grande la libertà degli apostoli e dei
r~ .,•
discepoli nell'introdurre nuove istituzioni, nel tradurre il
messaggio di Cristo in altri linguaggi ·e filosofie ( 23 ). Ave-
vano s.empre in mente non tanto l'ascolto del passato, o
la ripetizione di quanto Cristo aveva fatto e detto, quan-
to l'ascolto del presente e il lasciarsi ispirare dallo Spiri-
to Santo e dal Risorto,_ prendendo quelle decisioni che
meglio si prestavano al servizio della salvezza, e della
comunicazione della causa di Cristo.· In questo senso san
Giovanni e san Paolo devono essere considerati come i
principi della libertà cristiana. Non hanno predicato il
messaggio di Cristo dentro la veste linguistica e culturale
utilizzata da Cristo, che era il mondo e la visione apoca-
littica del tardo giudaismo. Ma hanno avuto il coraggio di
tradurlo per la mentalità del mondo greco. Per .esempio,
noi sappiamo che il contenuto essenziale della predicazio-
ne di Cristo si era concentrata sulla predicazione della
venuta del Regno di Dio. San Giovanni, che scrive il suo
vangelo intorno agli anni 90 e ha come uditori molti greci
e altri imbevuti di mentalità gnostica, non annuncia più il
messaggio di Cristo in termini di Regno di Dio. Ma tra-
duce in modo eccellente il contenuto di tale messaggio in
. termini esistenziali, come Senso (Logos, Verbo), pane, vi·
ta, acqua viva, via, verità, porta, ecc. Allo stesso modo
san Paolo .traduce il concetto fondamentale del seguire
Cristo per vivere nel Cristo., ecc.
Essi non erano caduti in un fissismo dottrinale, motivan..
dolo con il fatto che tale o tal'altra parola er~no state
pronunciate dal Verbo di Vita; ma, nella fedeltà fonda-
mentale allo spirito di Cristo e al suo messaggio, li hanno
tradotti in concetti ed espressioni che i loro uditori pote..
vano capire, e capendoli aderire, e aderendo convertirsi.
alla fede in Gesù Cristo salvatore. Altrettanto potremmo
dire delle istituzioni ecclesiastiche. Solo se stanno aperte
252
a un continuo perfezionamento, riforma e adattamento
risultano servizi dello Spirito, nelia chiesa e nel mondo.
Altrimenti esse si sostantivano, correndo il rischio di far·
: si dei . ridotti di conservatorismo e degli strumenti di
: potere . oppressivo nei confronti dello sviluppo liberante
.della grazia e della fede.
Tutte le istituzioni e i linguaggi teologici, nella chiesa,
possono e devono essere sacramenti (segni e strumenti}
al servizio dello Spirito, con i quali il Risorto oggi opera
e si fa presente nella visibilità storica dègli uomini. Se si
arricchiscono troppo, se si. ipostatizzano sacralmente e si
rifiutano alla funzionalità della fede .e della grazia, posso-
no farsi dei contro-segni del Regno e della presenza del
r
253
capitolo tredicesimo
una . strutturazione alternativa:
il carisma come principio di organizzazione .
.
i
.
l
:1.\
•
'.
:· ~.
.
255
vo. La chiesa, come Popolo di Dio, ha certamente tutto
questo; ma in una prospettiva religiosa, soprannaturale e
tra.scendente. Tutti appartengono al popolo antecedente-
mente a qualsiasi distinzioiJ,e interna. Così, in un ..primo
momento, tutti nel Popolo di Dio sono uguali, cittadini
del Regno. La missione non è affidata ad alcuni, ma a
tutti. Portatori del potere sacro sono inizialmente tutti, e
solo secondariamente i ministri sacri. Tutti sono inviati
ad annunciare la buona novella, rigu~rdante la felicità
futura della storia e il senso del mondo, già garantiti e
aqticipati nella resurrezione, che fa storica -l'utopia di
Gesù relativa al Regno.
Secondo lPt 2, 5-10 la chiesa tutta è una nazione eletta,
una dimora regale (basileion), una comunità di sacerdoti
(hierateuma), una nazione santa, un popolo che Dio si è
acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui a
favore dell'umanità (cfr. Ap. l, 6; 5, lO). Pertanto, secondo
tale visione, portatore storico della causa di Gesù e del
suo Spirito è tutto il popolo. Certamente, si tratta di un
pppolo organizzato. Ma le istanze organizzative si giu-
stificano solo come servizio in favore di tutti, e non come
un'espropriazione di quel potere sacro di Cristo di cui
tutti i membri sono eredi e depositari. La distinzione tra
laicato e corpo gerarchico, tra chiesa discente e chiesa
do~ente, solo si giustifica, come abbiamo visto in un pre-
ced~nte capitolo, quando si salvaguardi là funzionalità
interna delle polarità e si eviti ogni mentalità ontocratica
e classista. Si deve dunque dire che la collegialità, ac-
centuata dal Vaticano II, non riguarda solo i vescovi e i ·
sacerdoti, ma coinvolge anche i laici. Come l'apostolicità,
anch'essa costituisce una nota di tutta la chiesa e non
appen~ di alcuni suoi membri.
Bisogna ritenere, come concezione fondamentale, che si
dà un'uguaglianza di base nella chiesa. « Siamo tutti fra- •
telli » (Mt 23, 8). Tutti siamo figli. Tutti · siamo immersi
nel Cristo risorto. Tutti siamo consacrati dallo Spirito
Santo. ~ un'idea che si avvicina a quella della democra-
zià, con la differenza che il potere ecclesiale è da intende..
re come derivazione e partecipazione al potere dello Spi..
rito e del Risorto, presenti e vivi nella comunità; e non
soltanto come un potere del popolo., in senso profano.
La presenza dello Spirito si rivela in una vasta « pluralità
di doni», o « carismi » (l Cor 12, 5). Nel linguaggio di
256
Paolo, essi significano semplicemente dei modi di ·servire,
elencati dall'apostolo in abbondanza (l Cor 12, 8-10; Rm
12, 6-7; Ef 4, 11-12) (3 ). Se analizziamo la diversità di que·
sti doni-di-servizio, ci rendiamo conto che alcuni di essi si
riferiscono alle necessità congiunturali della comunità,
come il servizio della misericordia o dell'esortazione (Rm
12,·8 ), delle cure dei malati e dei miracoli ( 1 Cor 12, 9 );
mentre altri alle necessità strutturali, come quello di in~
segnare, dirigere, discernere gli spiriti (l Cor 12, 10; Ef 4,
11; Rm 12, 8), da svolgere stabilmente.
Si delinea qui un modello alternativo di organizzazione
comunitaria, diverso da quello delineato nelle lettere cat-
toliche, e poi chiaramente esplicitato da sant'Ignazio di
Antiochia, in cui tutto ruota intorno alla triade vesco-
vo-prete-diacono. Per questo modello, essi sono dei porta-
tori privilegiati dello Spirito e su di loro si costruisce la
comunità; stabilendo, per principio, una. divisione tra i
membri, che cessano di essere uguali. Di fatto, è questo
modello che ha fatto storia, non tanto per ragioni di
ordine teologico, quanto per ragioni extrateologiche, in
quanto si adeguava più pacificamente alle forme autorita..
rie di potere proprie del mondo antico, e poi di quello
feudale.
Ma ciò .che è importante, è prendere coscienza del fatto
che, nei primordi, si è sperimentato 'l'altro modello di
comunità, più fraterno, circolare, partecipato da tutti.
Quest'esperienza di altri tempi è sempre rimasta nella
memoria della chiesa. Movimenti carismatici, gruppi di
forte evangelismo religioso, utopisti, hanno sempre e di
nuovo tentato di realizzarlo. Né mai ha cessato di alimen-
tare l'onirico cristiano, come non ha mai cessato di venir
sperimentato dal cammino della vita religiosa. Oggi, per
l'effervescenza delle comunità di base, dove il popolo si
esprime e realizza Ia sua volontà di partecipazione, quan-
do membri del clero ritrovano il cammino del popolo e si
spogliano delle varie titolature della loro carica eccle-
siastica, e in un momento storico in cui si fa sentire una
volontà generale di comunione e di · uguaglianza, questo
modello sta guadagnando una straordinaria chance stori-
•
257
l
ca. Qui la ragione del nostro interesse e della nostra
riHl~ssionc.
258
risma ·costituisce la struttura strutturante della comunità.
La giustificazione teologica, .per Paolo, sta nella credenza
che con la comparsa della chiesa aveva fatto ormai irru-
zione la fine dei tempi. Per questo era anche esplosa, in
tutta la sua potenza, la pienezza dello Spirito.
In tale. lettura, il carisma non si iscrive più nell'ambito
dello straordinario ·o dell'inusitato, ma fa da registro co-
mune alla strutturazione comunitaria. Per questo il cari-
sma ~ignifica semplicemente la funzione concreta che cia-
scuno svolge nella comunità per il bene di tutti (cfr. l Cor
12, 7; Rm 12, 4; Ef 4, 7).
Paolo precisa questo modello, dicendo che la chiesa è un
corpo con molte membra, tutte vivificate dal medesimo
Spirito e ciascuno con la sua propria funzione. Non si• dà
nessun membro che non sia carismatico, e dunque ozioso,
senza un suo posto deter1ninato nella comunità. « Cia-
scun membro sta a servizio di un altro me1nbro » (Rm
12, 5). Tutti godono di uguale dignità. Non si danno privi-
legi che destrutturino l'unità del tutto. «L'occhio non può
dire alla mano: io non ho bisogno di te; né il capo può
dire ai piedi: io non ho bisogno di voi » ( 1 Cor 12, 21 ). La
regola d'oro che salvaguarda la b·uona salute del corpo, la
sua circolarità fraterna, è così formulata da Paolo: « Tutti
i membri abb{ano uguale sollecitudine gli uni per gli
altri» (l Cor 12, 25).
Quanto diverso è questo stile di vivere la vita cristiana,
da quello in cui la gerarchia si impossessa di tutto il
potere sacro e di ogni mezzo di produzione religiosa e
praticamente detta al laico: « tu, ascolta, obbedisci, non
•
•
domandare, fa' ». È la completa dominazione del capo su1_
piedi, sulle mani e perfino sul cuore.. La gerarchia aggiu-
dica se stessa quale carisma unico fondamentale, che
comprende tutti gli altri, dimenticando che la chiesa, fa-
miglia di Dio, è costruita sul fondamento degli apostoli e
anche dei profeti (Ef 2, 20) e dei dottori ( Ef 4, 11; l Cor
12, 28). La gerarchia è un dato carismatico nella chiesa
' .
che non puo ricalcare, come capita a volte, altri carismi
. .
che lo Spirito suscita nella comunità. Alcuni carismi pos-
sono riuscire anche scomodi a un gerarca dallo spirito
militarizzato, che confonde l'unità del Popolo di Dio con
la disciplina di un esercito, che scaccia dalla sua diocesi i
preti che non attingono al suo catechismo, che toglie la
parola ai teologi, al minimo sospetto, che fonda istituti
259
filosofico-teologici alternativi per far ripetere a stento la
dottrina dei concili, per disprezzo verso la riflessione teo-
logica che accetta le sfide del tempo oltre che per pusil-
lanimità, mostrandosi non solo poco intelligente, ma ne..
mica della stessa intelligenza. Tratta la diocesi come fosse ~
un suo feudo, considerandosi l'unico responsabile di tut-
to, come se non· ci fosse Io Spirito nella chiesa.
La conseguenza pastorale che ne deriva è di rigidità e di
m~ncanza di gioia evangelica. Il volto della gerarchia è
generalmente tanto triste come se fosse al proprio fune-
rale, tanto grave come se dovesse portare da sola tutto il
peso di salvare il mondo~ Essa si impoverisce nel suo
stesso spirito capitalistico, di volere accumulare tutto,
tutta la chiesa, affogando i possibili carismi e dando ori-.
gine a un ambiente e a una massa di mediocri dallo
spirito servile, pronti a qualsiasi cenno del proprio pa-
drone ecclesiastico.
Quanto diversa è la chiesa in cui lo Spirito non viene
soffocato! Vi prosperano i diversi carismi, vi affiora la
creatività che dà il carattere di buona novella al mes-
saggio di Gesù; le persone si · sentono effettivamente mem-
bri della comunità e non solo suoi clienti, viene fa-
vorito lo sp~zio per la realizzazione religiosa di tutti,
secondo le varie capacità (carismi) messe al servizio di
tutti e del vangelo.
Come si vede, tanto l'elemento quotidiano quanto quello
straordinario vengono ricoperti dalla categoria del cari..
sma. Nella chiesa tanto l'uno quanto l'altro hanno diritto
di cittadinanza. Il vero .carisma affiora dovunque ci siano
uomini che mettono tutto ciò che sono, hanno e possono
al servizio 'di Dio e dei fratelli. Riferiscono le loro doti al
vangelo e le fanno fruttificare come i talenti evangelici.
Una simile forma di organizzazione della comunità eccJe..
siale è capace di conservare il suo alto tasso di integra-
zione, · di evitare le forme di dominazione e di impedire
che spiriti poco evangelici si approprino del potere sacro,
per collocarsi come perno di tutto l'amore. Anche Paolo -
lo ha compreso bene. Dopo aver enumerato i carismi e
servizi più eccelsi, conclude dicendo che l'importante è
cercare una via ancor più eccellente (l Cor 12, 31). E fa
l'apologia dell'amore, con le caratteristiche virtù necessa..
rie per la convivenza fraterna: pazienza, benevolenza,
superamento dell'invidia, della superbia, dell'ambizione,
260
dell'irritazione, del sospetto malevolente, della ricerca di
se stessi e dei propri interessi (cfr. l Cor 14, 4-8; 14, 1).
Questo amore, così concretato e semplice, è il carisma dei
carismi, il servizio di tutti i servizi che mai si possano
prestare a qualcuno: « l'amore non finirà mai» (l Cor
14' 1 ). .
Che cos'è, dunque, un carisma? 1! una manifestazione
della presenza dello Spirito nei membri della comunità,
che fa sì che tutto ciò che essi sono e fanno sia fatto e
ordinato a beneficio di tutti. Ki.ing così lo definisce: « t!:
l'appello che Dio fa a ciascuno per un determinato servi-
zio nella comunità, rendendolo atto per questo stesso ser-
vizio » ( 6 ). Un altro grande specialista in questo campo Io
precisa in questi termini: <<"Carisma è la chiamata con-
creta, ricevuta per mezzo dell'evento di salvezza ed eser..
citata nella comunità, che· fa questa comunità, costruen-
dola incessantemente e facendola servire gli uomini nel-
l'amore» (7).
261
tanto potente da far abbondare in voi ogni bene, perché
abbiate sempre tutto ciò che è necessario » (2 Cor 9, 8).
Questo significa che si dà una simultaneità di carismi.
Ciascuno al suo posto, nella sua funzione, secondo le sue
capacià, si metta al servizio degli altri. Ogni interferenza
nel carisma dell'altro è una interferenza nell'unità della
chiesa. Il che vale tanto per quelli che parlano in lingue, i
sapienti, quanto per quelli che governano. Benché si dia
· simultaneità di carismi, esiste evidentemente una gerar. .
chia tra di essi, secondo le necessità della chiesa. Ci sono
dei carismi · più · urgenti. Ma questo non fonda il diritto
che il carisma più importante, nella situazione concreta,
calpesti l'altro carisma, o ne impedisca l'esercizio. Anche
il più piccolo dei carismi appartiene alla struttura della
chiesa e promana dallo stesso Spirito che ne suscita un
altro più urgente. ~
262
5. Il carisma come struttura della comunità
Se il carisma significa il modo concreto in cui Io· Spirito e
il Risorto si fanno presenti al mondo, dobbiamo conclu..
dere che il carisma appartiene alla struttura stessa della
chiesa. Senza di esso la chiesa non si pone come realtà
religiosa e teologica. Il caris1na non è stato un privilegio
dei primi tempi della chiesa. È la situazione permanente
della chiesa, come comunità con diverse funzioni e servi..
zi. Il carisma non esclude l'elemento gerarchico (lo ve-
dremo presto più in particolare), anzi lo include. Il ca-
risma è più fondamentale alla chiesa dell'elemento istitu-
zionale. Esso è la forza pneumatica (dynamis tou Theou),
che ..fa le istituzioni e le tiene vive. In esse si articola. Per
questo il principio di strutturazione nella chiesa non sono
le istituzioni, né la gerarchia, bensì il carisma che sta alla
radice di ogni istituzione e di ogni getarchizzazione. Non
c'è nella chiesa una classe di governanti e una di governati.
Ma c'è un gruppo di credenti. Tanto chi governa come chi
è governato deve credere. La fede, o il carisma della fede,
è il prius natura e il dato comune, che tutti fa comunica-
re tra loro e che a tutti dà una fondamentale uguaglianza
fraterna.
Non c'è chiesa senza carisma, ossia senza la presenza
dello Spirito e del Risorto che si manifestano concreta-
mente nei vari membri e nelle loro funzioni. Per questo
non si può immaginare una chiesa priva_ di carismi. Sa-
rebbe come pensare a una chiesa senza grazia e senza
salvezza, senza il Risorto, e perciò senza vita. Un museo
di morti, un relitto archeologico agonizzante su ricordi di
un passato vivo, ma sempre passato. Lo diceva bene uno
specialista: « La struttura fondamentale carismatica della
chiesa significa che ciascuno possiede il proprio posto
nella comunità, nel quale è stato costituito in virtù del
proprio carisma. Significa pure che lui, in questo suo po"
sto, costitui~ce la chiesa. Se perde questo posto, o questo
posto gli viene tolto, allora la comunità non solo viene .
colpita da un pregiudizio morale, ma viene attaccata nella
sua stessa essenza e anche pervertita » ( 8 ).
Se si ha repressione dell'uno sull'altro, volontà di potere,
allora subentra lo spirito « umano » al posto dello Spirito
263
di Cristo. Allora si soffoca la libertà per la quale Cristo ci
ha chiamati e dato vocazione (Gal 5, 1 ). Si ricade nel lega-
lismo, nel farisaismo, nel giudaismo decadente. Per que-
sto l'ammonizione di Paolo è tanto severa: « Non soffoca-
te lo spirito» (1 Ts 5, 19).
La permanente tentazione della chiesa e dei suoi membri
è quella del potere di alcuni sugli altri; di un carisma che
l
·J
l
·i
pretende di prevalere sull'altro, e persino di ridurlo al '
silenzio. Allora non c'è più po.s to per l'ascolto ma per la
parola imperiosa, e gli imperativi della legge si fanno ·,
264
come costitutivi (cioè appartenenti alla natura e· all'es·s en..
za), e non soltanto integrativi, della vita della chiesa, di
cui Cristo e Io Spirito sono i Signori. Essi, per mezzo dei
servizi e carismi dei vari membri della comunità, si an-
nunciano e si compiono. Una mentalità dedita al potere e
vittima · di una comprensione autoritaria della vita della
chiesa non. può capire questo modo più mistico e spiri-
tuale del mistero della chiesa. Tale visione pe1;mette di
giudicare il carattere evangeliço dell'esercizio del coman-
do all'interno della chiesa. Non basta l'appello al carisma
permanente, di cui si è investiti in forza dell'ordinazione
con il sacramento dell'ordine. Bisogna vedere come viene
esercitato, poiché ci sono delle forme che sono di domi-
nazione - stigmatizzate da Cristo come appartenenti ai
signori di questo mondo (Mt 20, 25) - che si devono
criticare, e in casi estremi rifiutare. Infatti «bisogna ub-
bidire prima· a Dio che agli uomini» (At 5, 29; 4, 19). Il
fatto che nella chiesa ci siano strutture di potere non
significa che se ne violi la struttura carismatica essenzia-
le. II potere può essere un carisma, se si fa servizio dei
fratelli e strumento di costruzione della giustizia nella
. .
co munita.'
265
..
266 ·,
'
267
servizio o un lavoro viene da Dio. Basta che ne vediamo
la funzionalità e utilità per la .comunità. Dev'esserci
profitto ed edificazione, e non solo purezza e bontà di
intenzioni. Ci possono essere doni che sono effettivamente
doni, ma che superano le necessità e domande della co-
munità. Allora tali doni-carismi-servizi sappiano contener-
si e aspettare il loro kairos.
La norma normans è la seguente: « Nessuno cerchi l'utile
proprio, ma quello altrui» (l Cor 10, 24 ). Su questa base
possiamo osservare che la rigida strutturazione gerarchi- ·
·ca della chiesa reca profitti e vantaggi di ogni ordine
(religioso, meritocratico, finanziario, sociale, di traffico di
influenze e di privilegi pubblici) ai suoi latori. Vi affiora il
· carrierismo, il servilismo che vi è connesso, le dichiara-
zioni diplomatiche, il disimpegno, l'occultamento della ve-
rità, la rinuncia e la morte. di ogni spirito profetico -
quella parrhesia che tanto contrassegnava gli apostoli.
Archetipi di potere, di scalata sociale tramite il percorso
religioso, vi hanno libero corso. Allora, invece di avere
nella chiesa dei pastori che edificano la comunità, abbia-
mo degli spiriti mediocri smidollati, preoccupati più della
propria immagine che della verità del vangelo e dell'amo-
re per gli uomini e per i poveri, per i quali Cristo ha
tutto rischiato.
Dobbiamo dirlo a piena voce: quando il carisma non si
conserva come carisma, subentra la concupiscenza, che è ~~':
'l••'.
cupidigia di potere e di avere. Essa viene dal peccato (Gv '.
8, 44) e porta al peccato (Rm 1, 24). Essa distrugge la
comunità, a volte per pura vanagloria e comandismo del
· suo parroco o vescovo. Paolo mostra l'equivalenza sub
contrario delle ·opere della carne e delle opere dello Spiri-
to, delle pratiche della concupiscenza e delle pratiche
pneumatiche (cfr. Gal 5, 16-25).
Può capitare che un'intera comunità si veda pervertita da
« odi, discordie, risse, dissensi, divisioni e invidie » (Gal ..;
''
.,
l
1l
~
268 l
J)
?
7. Il carisma deli 'unità dei carismi:
il coordinàto·r e, il prete, il vescovo e il papa ·
In ogni comunità è fondamentale il problema della coe-
sione interna e dell'unità, particolarmente quando spunti-
no fattori di disgregazione. C'è un carisma - uno tra gli
altri ma di importanza capitale - che è quello responsa-
bile dell'armonia tra i vari e molteplici carismi. Questo
carisma è proprio di chi occupa l'istanza di direzione dell~
comunità. Con1unemente lo chiamiamo gerarchia.
Il Nuovo Testamento non conosce un'espressione equiva-
lente a ciò che noi oggi intendiamo per funzione gerar-
chica. Il termine più vicino, secondo il famoso esegeta .
tedesco Hans Kasemann, è questo stesso di carisma (10).
Per capire il carisma dell'ordinazione nella comunità,
dobbiamo astrarre dai modelli storici da noi conosciuti,
sia a livello profano (monarchico, feudale, democratico) sia
a livello ecclesiastico (modello di vescovo, di papa, d.i
parroco), e specialmente da quest'ultimo, avendo esso ri-
cèvuto storicamentè una carica fortissima di autosacraliz-
zazione. Il Nuovo Testamento ne evita tanto la nomencla-
tura pròfana, quanto quella sacra. Secolarizza totalmente
la nomenclatura, per non avere nessuna forma di conta-
minazione con la dominazione (potere profano), o con la
glorificazione e il privilegio (potere sacro). Con grande
scandalo dei nostri orecchi, abituati alle titolature bizan-
tine, esso utilizza dei · termini che significano semplici
funzioni profane e di servizio: diakonia e oikonomia, cioè
servizio e direzione della casa. Coine si è già detto, nel
Nuovo Testamento non si danno propria1nente dei minis_te-
ri, ma dei ministri. E per i ministri, responsabili della
conduzione della comunità, si parla semplicemente di
«carisma di direzione, presidenza, assistenza e governo»
(l Cor 12, 28; 1 Ts 5, 12; Rm 12, 8; 1 Cor 16, 16). Si parla
anche degli episkopoi (vescovi) e diakonoi (diaconi: Fil
1, 1). Vescovo e diacono, contrariamente alla nostra
comprensione odierna, non hanno niente a che vedere con
il sacramento o con il culto. Al vescovo, nella sua acce-
zione diretta e semplice, compete di vigilare, controllare
269
che tutto funzioni bene. Il diacono è un inserviente, o un
assistente, che sono cariche secondarie. Il presbitero
(prete) proviene da un'altra tradizione, quella giudaica: si
trattava di un gruppo dei più venerabili e anziani della
comunità, che avevano la funzione di assistenza e di or-
• •
gan1zzaz1one.
Come si vede, il senso dominante non si trova legato al
sacro, ma al servizio di vigilanza e di conduzione, di
assistenza.
Funzione esplicita della gerarchia, cioè di chi occupa cari-
che di direzione, non è dunque di accumulare, ma di
integrare, favorire l'unità e l'armonia tra i vari servizi,
senza che l'uno calpesti, affoghi o si sovrapponga all'altro.
A partire da ·questa funzione si scarta la subordinazione
immediata di tutti ai gerarchi; non è a scopo di subordi-
nazione che sono lì, bensì per alimentare esattamente lo
spirito contrario, che è quello della fraternità e del-
l'unità attorno a un servizio (gerarchia) suscitato dallo
Spirito, allo scopo di mantenere la circolarità e impedire
ogni divisione e sovrapposizione. Questo carisma di unità,
come si vede, implica altri carismi, come quello del dia-
logo, della pazienza, dell'ascolto, della serenità, della co-
noscenza del cuore umano e dei suoi mecc~nismi di pote-
re e di autoaffermazione. Tale funzionè gerarchica viene
disimpegnata sia dal coordinatore della comunità di base,
sia dal prete nella parrocchia, sia dal vescovo nella sua
diocesi, sia dal papa nella chiesa universale, quale comu-
nione di tutte le chiese tra loro. A motivo del carisma
dell'unità sono essi a presiedere le celebrazioni della co-
munità, sono essi i primi responsabili dell'ortodossia del-
la dottrina e dell'ordinamento della carità. A ragione del
retto ordine e del funzionamento del tutto spetta partico-
larmente ad essi di discernere gli spiriti e di aver cura
che i carismi conservino la loro natura di carismi commi-
surati al bene della comunità (Lumen Gentium 12; Apo·
stolicarn Actuositatem 3).
Questo modello organizzativo può oggi informare tutto. un
modo di vivere il vangelo realizzato in piccoli gruppi; i
quali costituiscono una rete sempre più vasta di comuni-
tà, in cui si trovano coinvolti laici, religiosi, sacerdoti e
vescovi. C'è la chance che la chiesa che nasce dalla fede
del popolo, per la forza dello Spirito di Dio, possa attua-
lizzare questa forma di chiesa ideata da Paolo. Quanto
270
meno potrà essere uno spirito cheJ nella forza dello Spiri-
to, rivitalizzerà le istituzioni tradizionali e gerarchiche
della chiesa. La storia della salvezza ci mostra che dove il
vangelo è in azione possiamo contare sull'Insperato e sul
Nuovo non ancora avvenuto.
,.
271
indice
Introduzione pag. 5
Capitolo primo
Pratiche pastorali e modelli di chiesa » 7
l. L'articolazione col'lretta: Regno-mondo-chiesa 8 ~.
·. ~
Capitolo secondo
Pratiche teologiche e incidenze pastorali ))
23
1. Dall'unica teologia alle molte tendenze teologiche » 23
a) Portata e limiti di ogni tendenza teologica » 24
b) Quali sono « gli avversari» o i concorrenti di cia-
scuna tendenza teologica » 24
c) Funzionalità di ogni tendenza teologica in riferimento
alla chiesa e alla società » 24
d) Qual è la teologia utile e necessaria per la nostra chiesa
e la nostra società » 25
2. Prima tendenza teologica: teologia come esplicitazione
del « deposi tum fide i » » 25
3. Seconda tendenza teologica: teologia come iniziazione
all'esperienza cristiana » 27
272
4. Terza tendenza teologica: teologia come riflessione sul
« mysterium salutis » » 28
S. Quarta tendenza teologica: teologia come antropologia
trascendentale » 30
6. Quinta tendenza teologica: teologia dei segni dei tem~
p i (del politico, della ~ecolarizzazione, della speranza) » 32
7. Sesta tendenza teologica: teologia della cattività e della
liberazione » 34
8. Qual è la teologia adeguata e necessaria per la nostra
chiesa brasiliana? 36
Capitolo terzo
La chiesa e la lotta per la giustizia e per il diriHo dei
poveri » 37
l. L'urgenza della lotta per la giustizia sociale oggi » 37
•
2. Le reazioni più significative da parte delle chiese c n-
stiane 38
. 3. Fondamenti teologici dell 'impegno per la giustizia )) 41
a) A·ffermazione fondamentale, · tesi centrale » 42
b) Tre argomenti principali » 42
c) Evitare ogni riduzionismo )) 45
~· Lotta per la giustizia e politica » 46
a) Significati di « politica ». Politica con la maiuscola e
politica con la minuscola » 46
b) Politica e lucidità: la politicizzazione autentica » 49
5. Distribuzione delle competenze nella chiesa » 51
a) Competenza della gerarchia » 51
b) Competenza dei religiosi » '51
c) Competenza dei laici » 52
6. Due criteri per l'impegno dei laici in un determinato
partito 53
7. Conclusione: comprendere, appoggiare, partecipare 54
Capitolo quarto
La questione della violazione dei diritti umani nella chiesa » .55
·1. Impostazione del problema: teoria e pratica dei diritti
umani nella chiesa 56
2. Prassi ecclesiali in attrito con la proclamazione dei
diritti umani » 58
a) Sul piano istituzionale )) 58
b) Sul piano della formazione dell'opinione nella chiesa )) 63
c) Sul piano d ella dottrina e d ella disciplina )) 64
3. Tentativi di spiegazione » 68
a) Approccio storico-sociologico )) 69
b) Approccio analitico.· l'idea che l'autorità si fa di se
stessa » 72
c) Approccio strutturale » 74
273
•
4. Vie di superamento )) 76
S. Conclusione )) 81
Capitolo quinto
Il potere e l'istituzione nella chiesa possono convertirsi? » 82
L Speranze frustrate ma non distrutte dawanti alla chiesa-
istituzione 82
2. La chiesaMistituzione è passata per la prova del potere? » 86
3. Lo scopo delle riforme: l'urgenza di ri-creare » 100
4. Ritorno alle fonti: il senso evangelico dell'autorità » 104
a) II progetto fondamentale di Gesù: liberazione e libertà » 105
b) Critica di ogni potere di dominazione » 106
S. Ecclesiogenesi: dalla vecchia chiesa nasce la nuova )> 109
6. Sara, la sterile, ha concepito » 112
Capitolo sesto
Il cattolicesimo romano: strutture, salute, patologia » 114
l. Tappe nella formulazione del problema » 114
a) N ei protestanti: un preconcetto alla ricerca di un .con-
cetto » 115
b) Nei cattolici: una patologia in cerca di una normalità » 125
c) Conclusione: vangelo-cattolicesimo, identità e non iden·
tità » 130
2. Quale autorità ha il cattolicesimo primitivo su quello
posteriore? » 132
3. L'identità del cattolicesimo }) 136
4. Cattolicesimo romano: affermazione coraggiosa dell'iden-
tità sacramentale » 139
5. Patologie del cattolicesimo romano » 146
6. Cattolicesimo romano ufficiale e cattolicesimo popolare » 150
7. Conclusione: il cattolicesimo romano dev'essere più tra~
dizionale e meno tradizionalista » 152
Capitolo settimo
In favore del sincretismo: la produzione della cattoli-
cità del cattolicesimo » 154
l. Che cos'è il sincretismo? ~ 155
a) Sincretismo come addizione )) 156
b) Sincretismo come accomodamento )) 156
c) Sincretismo come ·mescolanza )) 157
d) Sincretismo come concordismo » 157
e) Sincretismo come traduzione )) 158
f) Sincretisrno come rifusione » 158
2. Il cristianesimo è un grandioso sincretismo )) 159
3. La legittimazione teolo~ca del sincretismo religioso » 161
274
'
a) L'offerta universale della salvezza e le sue storicizza-
• •
ztont )) 161
b) La religione come espressione sincretistica della fede » 165
c) Cattolicità come la identità nella pluralità )) 168
4. Veri e falsi sincretismi » 172
a) Criteri intrinseci allo stesso fenomeno del sincretismo )) 172
b) Criteri at tinti dall'autocomprensione cristiana )) 174
5. Una pedagogia della condiscendenza » 182
Capitolo ottavo
Caratteristiche della chiesa In una società classista )) 185
1. Che cosa si·gnifica << caratteristiche della chiesa-» (note,
proprietà) 185
2. Le caratteristiche di una chiesa articolata con la classe
. egemone » 188
a) Campo religioso-ecclesiastico e modo di produzione
d ella società 189
b) L'esperienza cristiana con il suo contenuto di rive-
lazione » 193
c) Caratteristiche della chiesa in un modo dissimetrico
-d i produzione religiosa » 194
3. Caratteristiche di una chiesa articolata con le classi
subalterne » 196
a) Chiesa-Popolo-di-Dio )) 198
b) Chiesa dei poveri e deboli (ridotti a sottouomini) » 200
c) Chiesa degli spogliati (disumanizzati) )) 200
d) Ch iesa di laici » 201
e) Chiesa come koinonia di potere » 201
f) Chiesa tutta ministeriale )) 202
g) Chiesa della diaspora » 202
h) Chiesa liberatrice » 203
i) Chiesa che sacramentalizza le liberazioni concrete )) 204
l) Chiesa prolungameno d ella grande tradizione )) 204
m) Chiesa in co munione con la grande chiesa )) 205
n) Chiesa che costruisce l'unità a partire dalla missione
liberatrice )) 206
o) Chiesa con una nuova concretezza della propria cat-
tolicità )) 206
p) Chiesa tutta apostolica )) 207
q) Chiesa realizzatrice di un nuovo stile di santità )) 209
4. Conclusione: la credibilità della speranza cristiana » 209
Capitalo nono
La comunità ecclesiale di base: il minimo del minimo » 211
l. Le comunità ecclesiali di base: incontro del popolo op- •
presso e credente )) 211
2. Le comunità ecclesiali di base nascono dalla parola di
Dio » 213
3. Le comunità ecclesiali di base: un modo nuovo di esse-
re chiesa » 215
275
4. Le comunità ecclesiali di base: segno· e strumento di li-
berazione 216
S. Le comunità ecclesiali di base: celebrazione della fede e
della vita 218
Capitolo decimo
Le ecclesiologie soggiacenti alle comunità ecclesiaJi di
base » 220
l. Ecclesiogenesi: nasce la chiesa dalla fede del popolo » 220
2. Problemi specifici di ciascun tipo di chiesa )) 221
a) Problemi del tema-riflessione: chiesa-Popolo·di-Dio » 221
b) Problemi del tema-riflessione: chiesa-comunità e segno
di liberazione J) 225
c) Problemi del tema-riflessione: chiesa· profetica e stru-
mento. di liberazione 227
Capitolo undicesimo
Si giustifica la distinzione tra chiesa docente e chiesa
discente? )) 230
l a tesi: Tutta la chiesa ( communitas fidelium) costituisce
la Ecclesia discens 230
2a tesi: Tutta la chiesa (communitas fidelium) costituisce
la Ecclesia docens 231
3a tesi: Docens e discens sono due funzioni e non due fra-
zioni nella chiesa » 232
4a tesi: La distinzione tra Ecclesia docens e Ecclesia di-
scens è teologicamente valida solo quando si sia previa-
mente assunta e superata la riflessione socio-analitica ri-
guardante la divisione religiosa del lavoro 232
Sa tesi: La comprensione dicotomica della Ecclesia do-
cens e discens nasce da una rvisione patologica della realtà
della chiesa 235
6a tesi: L'interazione dialettica come stato di buona sa-
lute della distinzione tra Ecclesia docens ed Ecclesia
· discens 236
., ...'
Capitolo,:,_(lodict:..S.i mo
Una visi,l~ ·àt~~rnativa: la chiesa sacramento dello Spi·
rito Sant~~-~::vf~
. ' .. » 238
l. L'incarnazione, modello della chiesa? 239
2. La chiesa fondata da Cristo e ·dagli apostoli, .mossi dallo
Spirito ,. 241
3. L'unità originaria tra elemento cristologico ed elemento
pneumatico nella chiesa 243
a) Il Gesù nella carne era già la presenza dello Spirito
Santo nel mondo · ·. 244
b) Lo Spirito Santo nella chiesa è già la . presenza del
'
Cristo risorto 245
276
c) Una Persona in due Persone » 247
4. La chiesa sacratnento dello Spirito Santo » 247
a) Il simbolismo nei miracoli della Pentecoste: lo Spi-
rito è presente nella chiesa 248
b) La chiesa corpo del Cristo risorto: sua di·mensione
•
cosmtca » 250
c) Spirito Santo e strutture: segno o controsegno? » 251
Capitolo tredicesimo
Una strutturazione alternativa: il carisma come princi·
pio di organizzazione 254
l. Alla· chiesa tutta, Popolo di Dio, sono dati lo Spirito
• •
e 1• cansmt )l) 255
2. Che cos'è un carisma? ,. 258
3. La simultaneità dei carismi » 261
4. Ciascuno è portatore di uno o più carismi )} 262
S. Il carisma come struttura della comunità » 263
6. I criteri di verità nei carismi: quando sappiamo che il
car-isma è carisma? » 265
a) Carisma e doti umane )) 266
b) Il carisma è per la costruzione della comunità }) 267
7. Il carisma dell'unità dei carismi: il coordinatore, il
prete, il vescovo e il papa 269
277