2
IL MODELLO TRADIZIONALE
DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE
Il pensiero antico sulla sessualità mantiene nel suo sottofondo una forte
caratterizzazione cosmonaturalistica che permette al mondo classico un
approccio non colpevolizzante e, alla fine, non problematico agli aphrodisia,
ma che non riesce a mettere in risalto le valenze personalistiche della sessua-
lità umana.
L’antropologia cristiana assumerà i motivi conduttori dell’antropologia
sessuale classica (il sesso finalizzato alla procreazione, il sesso come realtà cor-
1 Per approfondire: R. CANTALAMESSA (ed.), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini, Milano 1976; C. MOUNIER, Mariage et virginité dans l’Eglise ancienne (Ier-IIIe siècles), Berne
1987; L. PADOVESE, Cercatori di Dio. Sulle tracce dell’ascetismo pagano, ebraico e cristiano dei primi
secoli, Milano 2002; S. PANIMOLLE (ed.), Dizionario di spiritualità biblico-patristica, 43: Matrimonio-
famiglia nei Padri, Roma 2006; B. PRETE, Matrimonio e continenza nel cristianesimo delle origini. Stu-
dio su 1Cor 7,1-40, Brescia 1979; C. SFAMEMI GASPARRO et al., La coppia nei Padri, Milano 1991.
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ELIADE, Mitul Reintegrarii, Bucuresti 1942 (trad. it. Il mito della reintegrazione, Milano 31989); A. MAR-
CHETTI (ed.), In forma di parole – L’androgino. Invenzioni sul mito, 1995; E. ZOLLA, The Androgyne.
Fusion of the Sexes, London 1980 (trad. it. L’androgino. L’umana nostalgia dell’interezza, Como 1989).
3 PLATONE, Simposio, 189c-193d. Sul tema dell’androgino in Platone: K.J. DOVER, «Aristopha-
nes’ Speech in Plato’s Symposium», in Journal of Hellenic Studies 86(1966), 41-50; G.L. KOUTROUM-
BOUSSIS, «Interpretation der Aristophanesrede in Symposion Platons», in Platon 20(1968), 194-211; C.
SALMAN, «Anthropogony and theogony in Plato’s Symposium», in Classical Journal 86(1990), 214-225.
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sintassi dell’amore come esiste una sintassi del linguaggio, proprio perché la ses-
sualità è il linguaggio del corpo così come la parola è il linguaggio della voce. Se
essa si regola secondo il lògos del mito e della liturgia, è fattore di equilibrio e di
ordine cosmico, altrimenti scoppiano gli uragani, si scatenano le tempeste, il
disordine del caos iniziale si impadronisce ancora delle cose.5
4
L’idea che l’universo derivi da coppie di contrari fu ripresa ed elaborata con rigore filosofico
dai pitagorici; cf. ARISTOTELE, Metafisica 1,5,986a 22-986b 2.
5
R. BASTIDE, «Comportamento sessuale e religione», in R. VOLCHER (ed.), Dizionario di ses-
suologia, Assisi 1975, 618.
6
EPITTETO DI IERAPOLI, Diatribe, 3,7,2; 3,12,7; A.M. LUCANO, Bellum civile, 2,387-391; MUSO-
NIO RUFO, Reliquiae, 67,6; L.A. SENECA, Consolatio ad Elviam matrem, 13,3.
7
Cf. testi in: H. VON ARNIM (ed.), Stoicorum Veterum Fragmenta, Stuttgart 1905 (rist. 1964), III,
nn. 404, 406; cf. A. LAMBERTINO, Valore e piacere. Itinerari teoretici, Milano 2001, 44-54.
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sercizio della sessualità risponde alla sua logica naturale quando è destinato
alla procreazione e non giustificano pertanto l’attività sessuale degli sterili o
dopo la menopausa femminile, né quella con una donna già incinta perché, essi
dicono, sarebbe come seminare in una terra già seminata. Per lo stesso motivo
condannano le pratiche contraccettive.
Questa impostazione esercitò un sensibile influsso sull’elaborazione
dell’etica sessuale cristiana:8 in occidente, dall’inizio dell’era cristiana sino
all’inizio del XX secolo, fu prevalente una concezione della sessualità/genita-
lità come realtà finalizzata alla procreazione nel contesto dell’unione mono-
gamica dell’uomo e della donna. È solo dal XX secolo che «l’Amore diventa
la base del sacramento del matrimonio e del modello cristiano di vita coniu-
gale».9
8 Per il rapporto fra stoicismo ed etica patristica: C. NARDI, L’eros nei Padri della Chiesa. Storia
delle idee, rilievi antropologici, Firenze 2000, 41-62; J.T. NOONAN JR., Contraception. A History of Its
Treatment by the Catholic Theologians and Canonists, Cambridge (Mass.) 1966, 46-85; M. SPANNEUT,
«Le stoïcisme des Pères de l’Êglise, de Clément de Rome à Clément d’Alexandrie», in Patristica Sor-
boniensia, Paris 21969, I; ID., «Les normes morales du stoïcisme chez les Pères de l’Eglise», in Studia
Moralia 19(1981), 153-175.
9 J.F. FLANDRIN, Il sesso e l’occidente. L’evoluzione del comportamento e degli atteggiamenti,
Dalla natura divina vengono la ragione [tò logikòn] e l’intelletto [tò dianoetikòn]
in cui non c’è nessuna distinzione sessuale; dalla natura irrazionale [alògou] ven-
gono questa struttura e questo aspetto corporeo segnato dalla differenza ses-
suale.12
Anche per lui, come più tardi per Giovanni Crisostomo, se l’uomo non
avesse peccato, il genere umano si sarebbe moltiplicato senza l’unione carna-
le, in un modo spirituale. Ma allora perché Dio creò sin dall’inizio i due sessi?
Gregorio risponde sottolineando che, secondo Gen 1,26-27, dapprima fu crea-
to l’homo imago, che non ha distinzione di sesso (autòn al singolare) e in un
secondo momento l’homo somaticus distinto nei due sessi (autòus al plurale):
la distinzione sessuale fu aggiunta dal Creatore all’uomo perché, nell’eventua-
lità che questi fosse decaduto dalla sua condizione paradisiaca e spirituale, non
gli venisse a mancare uno strumento di propagazione della sua specie: l’uomo
«si abbrutì, dopo che cominciò a moltiplicarsi al modo dei bruti, venendo meno
la sua altezza e lasciandosi cadere verso la condizione di una natura più gros-
solana».13 La sessualità umana, non è dunque, per questi autori, una realtà ori-
ginaria ed essenziale, ma secondaria e accidentale.
1.4. Il monosessismo
Era acquisizione pacifica per la mentalità ellenistica che l’espressione
piena e perfetta della persona umana si ritrovasse nel maschio adulto e libero,
e gli stessi filosofi, con l’eccezione forse di Platone, non solo registravano la
situazione politica, sociale e culturale vigente, caratterizzata da spiccato
maschilismo e da forti limitazioni nei diritti della donna, ma spesso cercavano
anche di giustificarla razionalmente.14 Questa impostazione androcentrica del
problema delle differenze fra i sessi, per la quale il maschio è in qualche modo
preminente, compiuto, originario, mentre la donna è subordinata, imperfetta,
derivata (monosessismo maschilista), trovò autorevoli conferme nella medici-
na e nella filosofia naturale.15
L’antropologia sessuale di Aristotele è, a questo proposito, davvero
esemplare.16 Lo stagirita insegna nella Metafisica che uomo e donna, pur rap-
presentando una coppia di contrari, non sono diversi per specie (eidos). «Le
contrarietà che riguardano la forma», egli scrive, «producono differenza di spe-
cie, mentre quelle che esistono solo nel composto concreto non le produco-
no».17 Uomo e donna, pur appartenendo alla stessa specie (eidos) umana, sono
diversi e contrari perché devono svolgere funzioni diverse e complementari in
vista dell’unico tèlos della riproduzione. Non hanno un eidos diverso, ma
hanno un diverso lògos, una diversa realizzazione concreta, del medesimo
eidos: «Maschio e femmina si distinguono rispetto al lògos, per il fatto di avere
ciascuno due facoltà diverse».18
14
L. MALONEY, «Le argomentazioni a favore della differenza delle donne nella filosofia classi-
ca e nel cristianesimo primitivo», in Concilium 27(1991), 819-829.
15
T. LAQUEUR, Making Sex. Body and Gender from Greeks to Freud, Harvard 1990 (trad. it. L’i-
dentità sessuale dai Greci a Freud, Bari 1992, 33-81).
16
Aristotele affronta questi temi nel De generatione animalium e nella Historia animalium; cf.
S.R.L. CLARK, «Aristotle’s Woman», in History of Political Thought 3(1982), 177-191; M.K. HOROWITZ,
«Aristotle and Women», in Journal of History of Biology 9(1976), 186-213; J. MORSINK, «Was Aristo-
tle’s Biology Sexist?», in Journal of History of Biology 12(1979), 83-112; S. SAÏD, «Féminin, femme et
femelle dans les grands traités biologiques d’Aristote», in E. LÉVY (ed.), La femme dans les sociétés
antiques. Actes des colloques de Strasbourg (mai 1980 et mars 1981), Strasbourg 1983, 93-123; J. SIHVO-
LA, Aristotle on Sex and Love, in M.C. NUSSBAUM – J. SIHVOLA (eds.) The Sleep of Reason. Erotic Expe-
rience and Sexual Ethics in Ancient Greece, Chicago 2002, 200-221.
17
ARISTOTELE, Metafisica, 10,9,1058b 3; M. DESLAURIERS, Sex and Essence in Aristotle’s
Metaphysics and Biology, in C.A. FREELAN (ed.), Feminist Interpretations of Aristotle, University Park
(Pennsylvania) 1998, 138-167; cf. B.M. GARETH, «Gender and Essence in Aristotle», in Australasian
Journal of Philosophy 64(1986), suppl., 16-25.
18
ARISTOTELE, De generatione animalium, 1,2,716a 47-49. L’espressione «katà mèn tòn lògon»
è controversa. Nella versione italiana curata da Vegetti e Lanza essa è tradotta con l’avverbio «con-
cettualmente» (cf. ARISTOTELE, Opere, a cura di M. VEGETTI – D. LANZA, Roma-Bari 1990, V, 155).
Matthew Gareth spiega: «Essence, to ti en einai, and eidos, form or species, are inextricably linked;
either it is only the species or form itself, the eidos, that has an essence, and its essence is given in the
logos of that eidos, or else individuals do have essences and their essence is given exhaustively in the
logos of their eidos» (GARETH, «Gender and Essence in Aristotle», 20-21).
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stotles […] could not allow the difference in sexual logos to set woman apart from man in a separate
eidos […] He resolved the impasse by saying that although woman belong to the species anthropos,
she did not achieve the perfect eidos as a man did».
24 ARISTOTELE, De generatione animalium 2,3,737a 27-29.
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accidentali sia intrinseci sia estrinseci al seme (ad esempio maggiore o minor
vigore del seme, tempo, luogo, clima), nascano femmine perché sono indispen-
sabili alla riproduzione. La generazione di una femmina è una deviazione, ma
una deviazione necessaria: «La prima deviazione è nascere femmina e non
maschio, ma questo è necessario alla natura, perché si deve conservare il gene-
re degli animali in cui la femmina ed il maschio sono individui distinti».25 La
donna, sotto questo riguardo, è da ritenersi una produzione imperfetta della
natura. La natura, infatti, tende a produrre sempre ciò che è perfetto e, di fatto,
lo produrrebbe sempre se non intervenissero elementi interferenti.
La tradizione medievale, inclusa quella tomista, rimase fedele alla dot-
trina aristotelica e ripeterà che la femmina è un maschio mancato, un maschio
deficitario, un «mas laesus».26 La scuola francescana privilegerà, invece, le opi-
nioni della medicina e, segnatamente, quelle di Ippocrate e Galeno che ammet-
tevano un seme femminile, ancorché più debole, e sarà portata a una valuta-
zione più positiva della femminilità.27
I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli
altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differen-
zia, né conducono un genere di vita speciale […]. Si sposano come tutti e gene-
rano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il
letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne.28
«Filosofia, medicina e teologia. Il concepimento di Maria nella svolta teoretica di Duns Scoto», in M.
CARBAJO NÚÑEZ (ed.), Giovanni Duns Scoto. Studi e ricerche nel VII centenario della morte, Roma
2007, II, 39-89.
28 Lettera a Diogneto 5,1-2.6-8 (cf. A. QUACQUARELLI [ed.], I Padri apostolici, Roma 2001, 356).
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Chi condanna il matrimonio, priva anche la verginità della sua gloria; chi invece
lo loda, rende la verginità più ammirabile e splendente. Ciò che appare un bene
soltanto a paragone di un male, non è poi un gran bene; ma ciò che è ancora
migliore di beni universalmente riconosciuti tali, è certamente un bene al massi-
mo grado.31
29
Per approfondire: CANTALAMESSA (ed.), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini; MOUNIER, Mariage et virginité dans l’Eglise ancienne (Ier-IIIe siècles); PRETE, Matrimonio e con-
tinenza nel cristianesimo delle origini, Brescia 1979; SFAMEMI GASPARRO et al., La coppia nei Padri, 151-
170.
30
Fa eccezione Clemente Alessandrino che, nel presentare l’immagine del cristiano come vero
gnostico, sembra porre sullo stesso piano la vita matrimoniale e la enkràteia (Stromata, 3,102,1-4 in
GCS 52,243,8-20); cf. J.-P. BROUDÉHOUX, Mariage et famille chez Clément d’Alexandrie, Paris 1970.
31
GIOVANNI CRISOSTOMO, De virginitate 10: PG 45,540; citato in Familiaris consortio 16.
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32
L. MALONEY, «Le argomentazioni a favore della differenza delle donne nella filosofia classi-
ca e nel cristianesimo primitivo», in Concilium 27(1991), 819-829.
33
E.A. CLARK, Women in the Early Church (=Message of the Father of the Church 13), Wil-
mington (Del.) 1983; U. MATTIOLI (ed.), La donna nel pensiero cristiano antico, Torino 1992; C. MAZ-
ZUCCO, E fui fatta maschio. La donna nel cristianesimo primitivo (secoli I-III), Firenze 1989; C. OSIEK –
M.Y. MACDONAL, Il ruolo delle donne nella Chiesa delle origini. Indagine sulle chiese domestiche, Cini-
sello Balsamo 2007; F. QUÉRE-JAULMES, La femme. Les grandes textes des Pères de l’Èglise, Paris 1968.
34
NOONAN, Contraception. A History of Its Treatment by the Catholic Theologians and Canoni-
sts; J.M. RIDDLE, Contraception and Abortion fron the Ancient World to the Renaissance, Cambridge
(Mass.) 1994.
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3. SANT’AGOSTINO
ALLE ORIGINI DEL MODELLO TRADIZIONALE
temi della sessualità e del matrimonio.37 Chi vuole attaccare o denigrare l’eti-
ca sessuale cristiana, nella forma che ha assunto storicamente, trova in Agosti-
no il bersaglio privilegiato, com’è ben dimostrato dall’esordio del capitolo su
Agostino di un libro molto corrosivo su Chiesa cattolica e sessualità:
Colui che unì l’avversione al piacere e alla sessualità con il cristianesimo facen-
done un’unità sistematica fu il più grande padre della chiesa, sant’Agostino
(morto nel 430). La sua importanza per la morale sessuale del cristianesimo è
indiscussa ed è stata decisiva per la condanna della pillola da parte di Paolo VI
(1968) e di Giovanni Paolo II (1981). Pertanto, per parlare dell’avversione alla
sessualità, si deve parlare di Agostino.38
37
I principali testi agostiniani in: AGOSTINO, Sessualità e amore, il dono reciproco nel matrimonio,
a cura di A. PIERETTI, Roma 1996 (buona introduzione generale e bibliografia); A. TRAPÈ, Sant’Agosti-
no. Matrimonio e verginità (= Opere di Sant’Agostino VII/1), Roma 1978, pp. IX-CIV (l’introduzione
contiene uno status quaestionis sulle principali problematiche connesse a sessualità e matrimonio). Studi
d’insieme: C. BURKE, «Sant’Agostino e la sessualità coniugale», in Annales Theologici 5(1991), 185-206;
E. CLARK (ed.), S. Augustine on Marriage and Sexuality, Washington 1996; P. LANGA, San Agustín y el pro-
greso de la teología matrimonial, Toledo 1984; L. DATTRINO, Il matrimonio secondo Agostino, Milano
1996; É. SCHMITT, Le mariage chrétien dans l’oeuvre de saint Augustin, Paris 1983; F.-J. THONNARD, «La
morale conjugale selon saint Augustin», in Revue des Etudes Augustiniennes 15(1969), 113-131.
38 U. RANKE-HEINEMANN, Eunuchi per il regno dei cieli. La Chiesa cattolica e la sessualità, Mila-
È la vostra una vera pazzia. Come fate a dire che Cristo apparve fra gli uomini
con una carne falsa e che la Chiesa appartiene a Cristo mentre, quanto ai corpi,
appartiene al diavolo? E che il sesso maschile e femminile sono opera del dia-
volo e non di Dio, e che la carne è unita allo spirito come una sostanza cattiva a
una sostanza buona?40
Gioviniano invece metteva sullo stesso piano «il merito delle vergini
consacrate e la pudicizia coniugale» e accusava la Chiesa cattolica di avere una
visione negativa del matrimonio e della sessualità. La sua predicazione era
molto persuasiva e a Roma era riuscito a far sposare alcune donne che aveva-
no professato la verginità. Per questo motivo fu condannato da papa Siricio nel
392 e fu attaccato da Girolamo e Agostino. Nelle opere contro Gioviniano,
soprattutto nel De sancta virginitate (400-401) e nel De bono viduitatis (414),
Agostino difese la superiorità della verginità, evitando però di disprezzare il
matrimonio e mostrandone il significato nel progetto di Dio sull’uomo. Nel De
bono coniugali (400), anzi, giunge a ridimensionare alcune affermazioni un po’
forti contenute nell’Adversus Iovinianum di Girolamo e spiega in che cosa
consista il bene del matrimonio.41
I pelagiani, in sintonia con la loro attitudine ottimista sulla natura
umana, sostenevano che non si possono dare vere nozze senza l’esercizio della
genitalità e inoltre che l’istinto o desiderio sessuale non ha in sé alcun male, ma
che anzi, proprio perché naturale, è in sé buono. Polemizzando con loro e
soprattutto con Giuliano di Eclano, nel De nuptiis et concupiscentia (419) e nel
Contra Julianum (421), Agostino sarà portato a sottolineare gli effetti deva-
39 Cf. AGOSTINO, De moribus ecclesiae catholicae 2,28,65. Qualcuno ha pensato che Agostino
volesse fare una condanna ante litteram dei metodi naturali ma, in effetti, egli stigmatizzava l’intenzio-
ne antiprocreativa dei manichei, non il metodo in quanto tale. Si veda: D. COVI, «El fin de la actividad
sexual según san Agustin», in Augustinus 17(1972), 47-65 (soprattutto 59); D. FAUL, «St. Augustine on
the marriage», in Augustinus 12(1967), 165-180 (soprattutto p. 170).
40 AGOSTINO, De continentia 9,23.
41 D.G. HUNTER, «Augustinian Pessimism? A New Look at Augustine’s Teaching on Sex, Mar-
42
P. BROWN, «Sexuality and Society in the Fifth Century a.D.: Augustine and Julian of Eclanum»,
in E. GABBA (ed.), Tria corda. Scritti in onore di Arnaldo Momigliano, Como 1983, 49-70; M. MESLIN,
«Sainteté et mariage au cours de la second querelle pélagienne», in Mystique et Continence, 293-307.
43
AGOSTINO, De bono coniugali 16,18: «Quod enim est cibus ad salutem hominis, hoc est con-
cubitus ad salutem generis».
44
D. COVI, «L’etica sessuale paradisiaca agostiniana», in Laurentianum 13(1972), 340-364; J.
DOIGNON, «Une définition oubliée de l’amour conjugal édénique chez Augustin: piae caritatis adfectus
(Gen. ad litt. 3,21,33)», in Vetera Christianorum 19(1982), 25-36.
45
AGOSTINO, De Genesi ad litteram 9,5,8; cf. TOMMASO D’AQUINO, STh I, q. 92, a. 1.
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2,18, Agostino insegna che «la procreazione dei figli è la ragione prima e legit-
tima delle nozze».46 Essa viene anche corroborata – com’era l’uso dell’orato-
ria latina – con il richiamo al consenso dei popoli e in particolare con la tradi-
zione giuridica romana delle tabulae nuptiales. Agostino non manca a questo
proposito di far notare che la stessa etimologia di «matrimonio», derivante da
matris munus («dovere della madre»), richiama il dovere di procreare: «il
matrimonio è così chiamato perché per nessun altro motivo si deve sposare
una donna se non per diventare madre».47
Mi pare che [il valore del matrimonio] non sia legato solo alla procreazione dei
figli, ma alla stessa società naturale fra i due sessi. Altrimenti non si potrebbe
parlare di matrimonio tra i vecchi, soprattutto nel caso che avessero perduto i
figli o non ne avessero avuti del tutto.
In un buon matrimonio, anche se gli sposi sono avanti negli anni, quantunque sia
venuto meno il giovanile ardore passionale tra il maschio e la femmina, tuttavia
persiste vigoroso l’affetto reciproco tra marito e moglie.49
Per lo stesso motivo devono essere ritenute vere, anzi esemplari per gli
sposi cristiani le nozze fra Maria e Giuseppe, benché vissute nell’assoluta con-
tinenza. Si legge nel De consensu evangelistarum:
Con questo esempio [delle nozze fra Maria e Giuseppe] si mostra ai fedeli spo-
sati che, anche conservando di comune accordo la continenza, si possa restare ed
essere chiamati coniugi, non a motivo dell’unione del sesso corporeo, ma per la
custodia dell’affetto spirituale.50
La caritas coniugalis, che è l’amore cristiano fra gli sposi, per attuarsi ed
esprimersi non ha bisogno assoluto della fecondità fisica e neppure dell’eser-
cizio della sessualità. Tuttavia, anche per Agostino, l’ideale della continenza nel
matrimonio deve restare subordinato al debitum coniugale. Perciò, nella lette-
ra A Ecdicia egli rimprovera la moglie di aver imposto al marito una scelta di
astinenza che dovrebbe, invece, nascere dalla volontà concorde dei coniugi.51
50
AGOSTINO, De consensu evangelistarum 2,1,2; cf. DOIGNON, «Une définition oubliée de l’a-
mour conjugal édénique chez Augustin: piae caritatis adfectus (Gen. ad litt. 3,21,33)», 25-36.
51
AGOSTINO, epistola 262 Ad Ecdiciam (traduzione e breve commento in SFAMEMI GASPARRO
et al., La coppia nei Padri, 134-135; 335-340).
52
Agostino considera la procreazione nella prospettiva della bontà o valore morale e non,
come farà più tardi san Tommaso, nella prospettiva della finalità; cf. TETTAMANZI, Il matrimonio cri-
stiano. Studio storico teologico, 109.
53
Su questo punto: F. GIL HELLIN, Il matrimonio e la vita coniugale, Città del Vaticano 1996, 15-
37; A. REGAN, «The perennial value of Augustine’s theology of the goods of marriage», in Studia Mora-
lia 21(1983), 351-377.
54
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 6,6.
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ciò che nel matrimonio diventa simbolo non è tanto l’unione dell’uomo e della
donna, quanto l’indissolubilità di quest’unione. Così la realtà partecipata non è
tanto l’unione di Cristo e della Chiesa, quanto l’indissolubilità assoluta di questa
unione.57
55
Gli autori concordano che Agostino è per l’indissolubilità dei matrimoni cristiani, e alcuni
passi nei quali egli allude a un’oscurità della Scrittura riguardo al caso di fornicatio non inficiano que-
sta posizione. Se per Agostino anche il matrimonio naturale sia sempre indissolubile è controverso:
mentre Joyce sostiene di no, padre A. Trapè propende per il sì; cf. G.H. JOYCE, Matrimonio cristiano.
Studio storico-dottrinale, Alba 1964, 163; TRAPÈ, Sant’Agostino. Matrimonio e verginità, XLIV-XLV.
56
TRAPÈ, Sant’Agostino. Matrimonio e verginità, XLIII.
57
M. ALIOTTA, Il matrimonio, Brescia 2002, 76-77.
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58
AGOSTINO, De bono coniugali 7,7.
59
AGOSTINO, De nuptiis et concupiscentia 21,23.
60
E. SCHILLEBEECKX, Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, Cinisello Balsamo
4
1986, 263.
61
AGOSTINO, De Genesi ad litteram 11,32,42.
62
Sulla complessa concezione agostiniana della concupiscenza in rapporto alla sessualità: G.I.
BONNER, «Libido and Concupiscentia in St. Augustine», in F.L. CROSS (ed.), Studia Patristica VI (TU
81), Berlin 1962, 303-314; D.F. KELLY, «Sexuality and Concupiscence in Augustine», in Annual of the
Society of Christian Ethics, Dallas 1983, 81-116; E. SAMEK LODOVICI, «Sessualità, matrimonio e concu-
piscenza in sant’Agostino», in CANTALAMESSA (ed.), Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini, 212-272.
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Nella vita umana – spiega Agostino – alcune cose sono buone in sé, come
la salute, e altre sono buone in quanto mezzo per ottenere le prime, come l’a-
limentazione e il riposo lo sono in vista della salute. Se il mezzo è usato per il
fine buono si agisce bene, se il mezzo è invece usato dissociandolo dal fine
buono si pecca. L’atto coniugale è un mezzo per un fine buono che è la salus
generis, cioè la perpetuazione della specie umana, ed è lecito se è usato come
mezzo per un fine buono, la procreazione.66
In sostanza, l’atto coniugale è senza colpa se è finalizzato alla procrea-
zione; se, invece, è finalizzato a soddisfare la concupiscenza è peccato, un pec-
cato veniale se l’atto è compiuto con la moglie, un peccato mortale se compiu-
to con un’altra donna.67 La condizione più meritoria è quella degli sposi che
rinunciano liberamente e di comune accordo agli aspetti genitali del matrimo-
nio, non esponendosi alla trappola della concupiscenza carnale.
66
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 16,18: «Quod enim est cibus ad salutem hominis, hoc est
concubitus ad salutem generis, et utrumque non est sine delectatione carnali, quae tamen modificata
et temperantia refrenante in usum naturalem redacta libido esse non potest; quod est autem in susten-
tanda vita illicitus cibus, hoc est in quaerenda prole fornicarius vel adulterinus concubitus; et quod est
in luxuria ventris et gutturis illicitus cibus, hoc est in libidine nullam prolem quaerente illicitus concu-
bitus».
67
Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 6,6: «Coniugalis enim concubitus generandi gratia non
habet culpam; concupiscentiae vero satiandae, sed tamen cum coniuge, propter tori fidem, venialem
habet culpam; adulterium vero sive fornicatio letalem habet culpam». La purezza dell’atto coniugale
in queste condizioni non appare facile, cosicché è comprensibile la conclusione che ne trarrà Gregorio
Magno che l’atto coniugale, pure buono in sé, di fatto non è mai del tutto esente da colpa; cf. S. GRE-
GORIO MAGNO, Responsio ad interrogationes: «Voluptas illa sine culpa esse nullatenus potest».
68
C. BURKE, «A postscript to the “remedium concupiscentiae”», in The Thomist 70(2006),
481-536.
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specie di austerità nel fervore del godimento poiché, nell’atto di unirsi sessual-
mente, uomo e donna si figurano di diventare padre e madre.69
3.6.3. Contraccezione
A partire dai suoi presupposti, Agostino non poteva non condannare la
contraccezione, sia quella ottenuta mediante venena, sia i tentativi di evitare la
prole messi in atto dai manichei con metodi naturali.71 Egli, insieme a Cirillo
di Alessandria e a Cesario di Arles, offre alcuni dei testi patristici più chiari
sulla illiceità della contraccezione. Un primo testo, noto dalle prime parole
come Si aliquis, si trova nel De coniugiis adulterinis:
69 AGOSTINO, De bono coniugali 3,3. Sull’idea del remedium, cf. EPIFANIO, Panarion 51,30.
70 Cf. AGOSTINO, De bono coniugali 15,17; Contra Iulianum 5,16,62. Questa, almeno, è l’inter-
pretazione difesa da padre Trapè: TRAPÈ, Sant’Agostino. Matrimonio e verginità, XXXIV-XXXV.
71 Cf. NOONAN, Contraception. A History of Its Treatment by the Catholic Theologians and Cano-
nists, Cambridge 1986; RIDDLE, Contraception and Abortion fron the Ancient World to the Renaissance,
Cambridge 1992.
72 AGOSTINO, De coniugiis adulterinis 2,12.
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dal principio, non si unirono in matrimonio ma nella lussuria. Se poi non sono
tutti e due a comportarsi così, io oserei dire che o lei è in un certo senso la pro-
stituta del marito o lui è l’adultero della moglie.73
3.6.4. Omosessualità
Infine, la sua visione sulla sessualità porta Agostino a prendere una posi-
zione molto dura sull’omosessualità in quanto profanazione della natura crea-
ta da Dio.
I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devo-
no essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li
commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio
infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stes-
si. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio
ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata.74
73
AGOSTINO, De nuptiis et concupiscentia 1,15,17.
74
AGOSTINO, Confessionum libri III, 8.
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valore in relazione alla comunione, senza perdere nello stesso tempo la ric-
chezza delle intuizioni agostiniane sulla novità del matrimonio cristiano, sarà
uno dei compiti più ardui – e non del tutto adempiuti – della teologia morale
post-agostiniana.
75 Si vedano: C.N.L. BROOKER, Il matrimonio nel Medioevo, Bologna 1992; P.S. REYNOLDS, Mar-
riage in the Western Church: The Christianization of Marriage during the Patristic and Early Medieval
Periods, Leiden 1994.
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monio. Sia il patto fra uomo e donna, sia l’unione carnale tra gli sposi conten-
gono un profondo significato simbolico perché rimandano, rispettivamente,
all’unione di Dio e dell’anima e all’unione ipostatica del Verbo con la natura
umana in virtù della quale la Chiesa può diventare veramente sposa del Verbo
incarnato. Tanto il matrimonio in sé, quanto l’unione sessuale – che è compito
e dovere (officium) degli sposi – sono portatori di una sacramentalità.76
Nel De beatae Mariae virginitate egli mostra di attribuire grande valore
all’amore coniugale e alla societas coniugalis: al centro del matrimonio sta il
reciproco adhaerère degli sposi per la mutua dilectio e l’unione sessuale ne è il
compagno (comes) e il compito (officium).77 Anch’egli ritiene però – in sinto-
nia con l’ideale dell’amor cortese cantato dai trovatori del suo tempo e in con-
tinuità con l’ideale agostiniano – che un amore tutto spirituale sarebbe più
santo e più desiderabile.
Nel secolo seguente, san Bonaventura (1217-1274) offre in questo senso
una dottrina originale, anche se non sistematica. Dopo aver ricordato i due
scopi tradizionali del matrimonio e cioè la procreazione e il remedium concu-
piscentiae, aggiunge, nel solco di Ugo, un terzo scopo che è l’unione degli sposi,
simbolo di realtà spirituali.78 Il dottore serafico fa l’elogio dell’amore coniuga-
le con termini squisiti e spiega il simbolismo dell’unione sessuale con parole
audaci:
Il matrimonio si dice consumato nella susseguente unione dei corpi, perché allo-
ra divengono una sola carne e un corpo solo, significando pienamente l’unione
che passa tra noi e Cristo.79
socialis, officium coniugii constabat in copula carnis. Coniugium sacramentum fuit cuiusdam societatis
spiritualis quae per dilectionem erat inter Deum et animam, in qua societate anima sponsa erat et
sponsus Deus. Officium coniugii sacramentum fuit cuiusdam societatis quae futura erat per carnem
assumptam inter Christum et Ecclesiam, in qua societate Christus sponsus futurus erat et sponsa Eccle-
sia»; cf. G. SALMERI, «Simboli e natura. La sacramentalità del matrimonio nel Medioevo», in Anthro-
potes 20(2004), 23-41.
77 UGO DI SAN VITTORE, De beatae Mariae virginitate: PL 176,860; cf. C. GNEO, «La dottrina del
matrimonio nel “De B. Mariae Virginitate” di Ugo di S. Vittore», in Divinitas 17(1973), 374-394; J.
LECLERCQ, I monaci e il matrimonio. Un’indagine sul XII secolo, Torino 1984, 62-63.
78 S. BONAVENTURA, Breviloquium 6,13,1; cf. F. TARGONSKI, «Il matrimonio nel pensiero di san
L’amicizia quanto è più grande, tanto più è stabile e duratura. Sembra che fra
l’uomo e la donna ci sia l’amicizia più grande: si uniscono infatti non solo nel-
l’atto dell’unione fisica, che anche tra gli animali produce una certa dolce
società, ma anche in vista della condivisione di tutta quanta la vita. Perciò, come
segno di questo, l’uomo a motivo della moglie lascia anche il padre e la madre,
come si legge in Gen 2,24.80
Ciò che è amato con amor amicitiae, è amato semplicemente e per se stesso; ciò
che è amato con amor concupiscentiae, non è amato semplicemente e di per sé,
ma è amato per l’altro […]. Di conseguenza l’amore con cui si ama un oggetto
per il suo stesso bene è amore nel senso più vero, mentre l’amore con cui si ama
un oggetto per il bene di un altro, è amore in senso relativo.83
80
TOMMASO D’AQUINO, Contra gentiles 3,123,6. Il tema dell’amicitia coniugalis è approfondito
in: TOMMASO D’AQUINO, Sententia in ethicorum libros 8,12,18-24.
81
In particolare: TOMMASO D’AQUINO, STh I-II, q. 26, a. 4; STh I-II, q. 28, a. 1, in corp.
82
TOMMASO D’AQUINO, STh I-II, q. 28, a. 1, in corp.: «Cum enim aliquis amat aliquid quasi con-
cupiscens illud, apprehendit illud quasi pertinens ad suum bene esse. Similiter cum aliquis amat ali-
quem amore amicitiae, vult ei bonum sicut et sibi vult bonum: unde apprehendit eum alterum se,
inquantum scilicet vult ei bonum sicut et sibi ipsi. Et inde est quod amicus dicitur esse alter ipse [ARI-
STOTELE, Etica Nicomachea, 9,4,1166a 31; 9,9,1169b 6]; et Augustinus dicit in IV Confessionum: «Bene
quidam dixit de amico suo, dimidium animae suae» [4,6: PL 32,698]».
83
TOMMASO D’AQUINO, STh I-II, q. 26, a. 4: «Id quod amatur amore amicitiae, simpliciter et per
se amatur; quod autem amatur amore concupiscentiae, non simpliciter et secundum se amatur, sed
amatur alteri […]. Et per consequens amor quo amatur aliquid ut ei sit bonum, est amor simpliciter;
amor autem quo amatur aliquid ut sit bonum alterius, est amor secundum quid».
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84 Cf. TOMMASO D’AQUINO, Sententia in ethicorum libros 8,12,20: «In aliis animalibus est com-
municatio inter marem et feminam in tantum sicut dictum est, idest solum ad procreationem filiorum;
sed in hominibus mas et femina cohabitant non solum causa procreationis filiorum, sed etiam propter
ea quae sunt necessaria ad humanam vitam».
85 D. TETTAMANZI, I due saranno una carne sola, Leumann 1986, 25-26; 29-30.
86 GIONA D’ORLÉANS, De institutione laicali 2,1: PL 106,169.
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87
TETTAMANZI, I due saranno una carne sola, 30.
88
Nel secolo XII, secondo quanto afferma il cancelliere parigino Prepositino († 1210), c’è chi
sostiene che, essendo la Terra già molto abitata, non c’è più il dovere della procreazione e il matrimo-
nio è dunque solo ad remedium. Per la terminologia officium e remedium, si veda AGOSTINO, De Gene-
si ad litteram 9,7,12.
89 Ricordiamo uno studio classico e completo sul tema: C. SCHAHL, La doctrine des fins du
pletur, cioè iscritto nella natura, ma si compie attraverso una libera scelta della
persona. Ebbene, il matrimonio è naturale non in senso fisico-biologico, ma in
senso metafisico: esso è naturale perché risponde alla natura della persona
umana e si compie attraverso la sua libertà. La natura dell’uomo lo orienta al
fine primario del matrimonio, il bonum prolis, che per l’uomo non può ridursi
alla semplice generazione, ma consiste nell’accogliere e nell’educare il figlio
fino a renderlo un uomo degno di questo nome. La stessa natura umana lo
orienta anche verso il fine secondario del matrimonio, che è l’ossequio vicen-
devole che i coniugi si danno nella vita familiare e questo corrisponde al biso-
gno dell’uomo, naturalmente socievole (politicus), di stringere società con i
suoi simili.90
La geniale teoria della gerarchia dei fini, comprensibile soltanto all’inter-
no della visione antropologica tomista, non si fonda su una gerarchia assiologi-
ca, ma su una successione nell’ordine dell’essere e dipendente dal modo con cui
ogni ente partecipa all’essere stesso. L’uomo passa dall’ambito della legge natu-
rale generica, che lo interessa in quanto ente animato (animal), alla legge natu-
rale specifica, che interessa gli enti dotati di libero arbitrio e chiamati a vivere
in società. Nell’unitas multiplex del composto umano anche la procreazione –
che l’uomo ha in comune con gli animali non umani – è come attratta nella sfera
dell’umanità, così che l’uomo vive, mediante il libero arbitrio e in modo tipica-
mente umano, l’istinto procreativo che avverte operare in sé.91
Il modello tomasiano cerca così di superare il naturalismo sessuale e di
integrare in una visione sintetica le dimensioni o fini essenziali del matrimo-
nio. Sarebbe, perciò, un errore di prospettiva pensare che il fine primario rap-
presenti il polo biologico del matrimonio e il fine secondario il polo antropo-
logico, così come sarebbe erroneo ritenere che il fine primario sia da conside-
rarsi preminente in senso assiologico sul secondario.92
90
TOMMASO D’AQUINO, STh, Supplementum, q. 41, a. 1, resp.: «Et hoc modo matrimonium est
naturale: quia ratio naturalis ad ipsum inclinat dupliciter. Primo, quantum ad principalem eius finem,
qui est bonum prolis. Non enim intendit natura solum generationem prolis, sed et traductionem et pro-
motionem usque ad perfectum statum hominis in quantum homo est, qui est status virtutis […] Secun-
do, quantum ad secundarium finem matrimonii, qui est mutuum obsequium sibi a coniugibus in rebus
domesticis impensum. Sicut enim naturali ratio dictat ut homines simul cohabitent, quia unus non suf-
ficit sibi in omnibus quae ad vitam pertinent, ratione cuius dicitur homo naturaliter politicus, ita etiam
eorum quibus indigetur ad humanam vitam, quaedam opera sunt competentia viris, quaedam mulieri-
bus. Unde natura monet ut sit quaedam associatio viri ad mulierem, in qua est matrimonium».
91
Si vedano: G. PERINI, «Il confronto tra l’uomo e gli animali nell’antropologia sessuale di S.
Tommaso e nei moderni», in San Tommaso e il pensiero moderno. Saggi (Studi tomistici 3), Roma 1974;
L. SILEO, «Natura e norma. Dalla “Summa Halensis” a Bonaventura», in Etica e politica: le teorie dei
frati mendicanti nel Due e Trecento, Spoleto 1999, 29-58.
92
Cf. L. JANSSENS, «Le grandi tappe della morale cristiana del matrimonio», in Alle sorgenti
della morale coniugale, Perugia 1968, 109-110: «Nelle innumerevoli discussioni che queste tematiche
hanno suscitato (speriamo che appartengano definitivamente al passato dopo che la Gaudium et spes
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ha accuratamente evitato l’espressione: fine primario e fine secondario) non si è sempre tenuto conto
della portata della concezione di S. Tommaso. Per lui non si tratta affatto di gerarchia di valori. Tutta
la sua opera testimonia che egli riconosce il valore superiore di ciò che e specificamente umano su ciò
che abbiamo in comune con gli animali […]. Ecco cosa vuole sottolineare: nello sviluppo della loro col-
laborazione a servizio della famiglia, i coniugi devono rispettare assolutamente l’ordine naturale che
Dio stesso ha creato nella loro struttura biologica».
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93 Sul tema del piacere sessuale nella Scrittura e nella tradizione morale, si veda: S.G.
KOCHUTHARA, The Concept of Sexual Pleasure in the Catholic Moral Tradition, Roma 2007.
94
M.G. COTTIER, «“Libido” de Freud et “appetitus” de saint Thomas», in L’Anthropologie de
saint Thomas, Fribourg (Suisse) 1974, 91-123; A. LAMBERTINO, Valore e piacere. Itinerari teoretici, Mila-
no 2001, 35-75; L. MASSARA, «La “delectatio” dans la psychologie de Saint Thomas d’Aquin», in Archi-
ves de philosophie 31(1964), 186-205; 36(1969), 639-663; C. REUTEMANN, The thomistic concept of Plea-
sure, as compared with the Hedonistic and Rigoristic Philosophies, Washington 1953; S. TUMBAS, «La
moralità del piacere secondo san Tommaso d’Aquino», in Educare 4(1953), 158-170.
95
TOMMASO D’AQUINO, Sententia in ethicorum libros 8,12,22: «[Amicitia coniugalis] habet
etiam delectationem in actu generationis, sicut et in ceteris animalibus».
96
TOMMASO D’AQUINO, De malo q. 15, a. 2, ad 17; STh I-II, q. 34, a. 1, corp.
97
TOMMASO D’AQUINO, STh I, q. 98, a. 2.
98
TOMMASO D’AQUINO, STh, Supplementum, q. 41, a. 4 («Utrum actus matrimonialis sit meri-
torius»). Secondo Tommaso non esistono atti indifferenti, per cui anche l’atto coniugale o è buono o è
cattivo, a seconda che persegua o no i bona matrimonii, ma se è buono, allora è anche meritorio.
99
Questa posizione viene ripetuta fedelmente dalla teologia dei secoli seguenti, come risulta
chiaramente in questo testo di sant’Antonino da Firenze (1389-1459): «In secondo luogo chiedere il
debito coniugale per piacere, ma entro i limiti del matrimonio, è sempre peccato veniale, come il fatto
di mangiare per piacere. Infatti ciò che è il cibo per la salute dell’uomo, cioè quanto è necessario all’in-
dividuo, lo è il coito per la salute della specie, dice sant’Agostino» (S. ANTONINO, Summa theologica, p.
3, c. 20, § 1,3).
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100
Una presentazione sintetica della sessualità nell’Alto Medioevo e nella letteratura peniten-
ziale: J.A. BRUNDAGE, Law, Sex, and Christian Society in Medieval Europe, Chicago 1987, 124-175.
101
Si veda, soprattutto: G. CAPPELLI, Autoerotismo. Un problema morale nei primi secoli cri-
stiani?, Bologna 1986; D. ELLIOTT, Fallen Bodies: Pollution, Sexuality, and Demonology in the Middle
Ages, Philadelphia (Penn.) 1998.
102
Sullo sviluppo della categoria di contra naturam nell’Alto Medioevo: V.L. BOLLOUGH, The
Sin against Nature and Homosexuality, in V.L. BULLOUGH – J. BRUNDAGE, Sexual Practices and the
Medieval Church, Buffalo 1982, 55-71; J. CHIFFOLEAU, Contra naturam. Pour une approche casuistique
et procédurale de la nature médiévale, Micrologus 4(1996) 265-312. Su san Pier Damiani e il LIber
Gomorrhianus: K. SKWIERCZYŃSKI, L’apologia della Chiesa, della società o di se stesso? Il Liber
Gomorrhianus di s. Pier Damiani, in M. TAGLIAFERRI (ed.), Pier Damiani. L’eremita, il teologo, il rifor-
matore (1007-2007), Bologna 2009, 259-279.
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5. LA MORALE SESSUALE
NELLA TEOLOGIA POST-TRIDENTINA
103
S. TOMMASO D’AQUINO, S Th II-IIae, q. 154, art. 12, ad 4: «Gravissimum autem est peccatum
bestialitatis, ubi non servatur debita species… Post hoc autem est vitium sodomiticum, ubi non servatur
debitus sexus. Post hoc autem est peccatum ex eo quod non servatur debitus modus concumbendi».
104
S. TOMMASO D’AQUINO, S Th II-IIae q. 154, art. 12. Utrum vitium contra naturam sit maxi-
mum peccatum inter species luxuriae. Nella risposta alla prima obiezione egli spiega che nei peccati
sessuali, in generale, c’è una lesione dell’ordo rationis che è “ab homine”, mentre nei peccati contro
natura si aggiunge una lesone dell’ordo naturae che è “ab ipso Deo” e ne conclude che «in peccatis con-
tra naturam, in quibus ipse ordo naturae violatur, fit iniuria ipsi Deo».
105
S. TOMMASO D’AQUINO, S Th II-IIae q. 154, art. 12, resp.: “Magis autem repugnat rationi
quod aliquis venereis utatur non solum contra id quod convenit proli generandae, sed etiam cum
iniuria alterius”.
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Bisogna spiegare per quali motivi l’uomo e la donna debbano unirsi. La prima
ragione è questa stessa società di sesso diverso, ricercata per istinto di natura,
[haec ipsa diversi sexus naturae instinctu expetita societas] che, cementata dalla
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cati mortali, anche quelli occulti e che violano i due ultimi comandamenti del Decalogo, come pure le
circostanze che cambiano la specie». Sessio, XIV, c. 7 (DS 1707); cf. J.A. DO COUTO, De integritate con-
fessionis apud Patres Concilii Tridentini, Roma 1969.
108 Cf. Sessio, XXIII, Decretum de reformatione, c. 18.
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pura casistica, che si prefiggevano di esaminare caso per caso le varie situa-
zioni umane attraverso l’applicazione di regole e di principi generali. Per indi-
viduare gli spazi di libertà che si aprivano alla coscienza nei confronti delle
leggi e dei precetti, con particolare riferimento all’uso di opinioni morali di
maggiore o minore probabilità, si elaborarono diversi sistemi morali in con-
correnza fra loro.
Nel XVI e XVII secolo le problematiche sessuali si trovarono largamen-
te coinvolte nelle polemiche tra i vari sistemi morali, soprattutto quelle tra
rigoristi e lassisti.109 Se il rigorismo fu coinvolto nella condanna del gianseni-
smo, diverse proposizioni di etica sessuale ispirate al lassismo furono condan-
nate dal Sant’Uffizio sotto i pontefici Alessandro VII (1655-1667), Innocenzo
XI (1676-1689), Alessandro VIII (1689-1691). Tra le altre, Alessandro VII nel
1666 condannò alcune proposizioni tratte da opere di Giovanni Caramuel
(1606-1682), detto il principe dei lassisti: secondo una di esse la fornicazione è
cattiva solo perché proibita, ma non in sé;110 secondo un’altra la masturbazio-
ne non sarebbe proibita per legge di natura, ma solo per legge divina positiva,
e se non fosse stata proibita avrebbe potuto essere buona e talvolta obbligato-
ria sub mortali.111
In questo contesto, un tema molto dibattuto fu quello della «parvitas
materiae in re venerea» (materia lieve in ambito sessuale).112 San Tommaso
aveva insegnato che nell’ambito della sessualità non si dà mai parvità di mate-
ria per cui tutti i peccati contro la castità, essendo la materia in ogni caso grave,
devono considerarsi mortali.113 Il motivo di questa severità era comprensibile
per quanto riguardava l’uso della facoltà generativa fuori del matrimonio, ma
era più difficile spiegare come semplici sguardi o toccamenti, se compiuti con
piena avvertenza e deliberato consenso, fossero sempre peccati mortali. Il
motivo – piuttosto discutibile – è che il consenso al piacere illecito connesso
con i peccati di lussuria (come la fornicazione) è peccato mortale, e questo non
vale solo per il consenso in atto, ma anche per il consenso ordinato a tale pia-
cere che si esprime negli sguardi e nei toccamenti.114
109
L. VEREECKE, «L’etica sessuale dei moralisti post-tridentini», in ID., Da Guglielmo
d’Ockham a sant’Alfonso de Liguori, Cinisello Balsamo 1990, 657-678.
110
Propositiones LXV damnatae, 2 mart. 1679, n. 48 (DS 2148).
111
Propositiones LXV damnatae, 2 mart. 1679, n. 49 (DS 2149).
112
Secondo l’impostazione classica, il peccato mortale è un atto umano deordinato rispetto al
fine ultimo dell’uomo. In esso intelletto e volontà abbracciano con piena avvertenza e consiglio inte-
gro un oggetto che è materia grave. L’oggetto, considerato in sé e nelle circostanze, è materia grave,
quando priva l’anima della sua ordinazione al fine ultimo, che è la carità; cf. O. LOTTIN, Principes de
Morale, Louvain 1947, 297-299.
113
TOMMASO D’AQUINO, STh II-II, q. 154, a. 2.
114
TOMMASO D’AQUINO, STh II-II, q. 154, a. 4.
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Tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII si fece strada un’opinione
diversa che ammetteva anche in re venerea la possibilità della parvità di mate-
ria, almeno per alcuni oggetti ritenuti non gravemente disordinati, come un
pensiero o un bacio.115
Papa Clemente VIII (1592-1605) e papa Paolo V (1605-1621) avevano
ordinato di denunciare all’Inquisizione coloro che sostenevano che baci,
abbracci e toccamenti in vista della delectatio carnalis non erano peccati mor-
tali.116 Nel 1612 Claudio Aquaviva, generale dei gesuiti, era intervenuto con un
decreto che proibiva d’insegnare l’opinione della parvità di materia. È signifi-
cativo il fatto che nell’edizione del 1607 del De sancto matrimonii sacramento
del gesuita T. Sánchez venisse dichiarata «veracissima sententia» l’opinione
della parvità di materia nel piacere sessuale, quando questo provenga esclusi-
vamente dal tatto e dal pensiero. Secondo lui, infatti, non c’erano ragioni con-
vincenti per ammettere la parvità di materia negli altri comandamenti ed
escluderla, invece, nel sesto comandamento.117 A partire, però, dall’edizione
successiva, pubblicata nel 1614, morto l’autore, questa opinione possibilista
sulla parvità di materia scomparve.118
Al tempo di Alessandro VII, il Sant’Uffizio, rispondendo a un dubium
sulla sollicitatio, ribadiva nel 1661 che «in rebus venereis non datur parvitas
materiae»119 e nel 1666 condannò una proposizione che considerava probabi-
le l’opinione che era un peccato soltanto veniale il bacio desiderato per il pia-
cere carnale che ne nasce, escluso il pericolo di consenso ulteriore e di pol-
luzione.120
115 Ampio studio sull’argomento in: J.M. DIAZ-MORENO, «La doctrina moral sobre la parvedad
de materia “in re venerea” desde Cayetano hasta San Alfonso», in Archivio Teológico Granadino
23(1960), 5-138.
116 Cf. F. GIUNCHEDI, Eros e norma. Saggi di sessualità e bioetica, Roma 1994, 49, nota 5.
117 T. SÁNCHEZ, De sancto matrimonii sacramento, IX, disp. 47, nn. 7.9.16.
118 Si discute se la rettifica sia stata introdotta dall’autore stesso o da un correttore (come fareb-
sta sostanzialmente a questo punto, anche se la stessa nozione di materia è stata recentemente messa
in discussione da alcuni moralisti tacciandola di fisicalismo. Nella prassi pastorale attuale si mantiene
l’idea della materia oggettivamente grave, ma – forti dei progressi delle scienze psicologiche – si ten-
dono ad attenuare avvertenza e consenso. Cf.: J.P. BOYLE, Parvitas Materiae in Sexto in Contemporary
Catholic Thought, Washington DC 1987; K.H. KLEBER, De parvitate materiae in sexto. Ein Bietrag zur
Geschichte der katholischen Moraltheologie, Regensburg 1971; E. ORSENIGO, «La parvità di materia
nella lussuria: riflessioni storico-dottrinali», in La Scuola Cattolica 92(1964), 425-442.
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121
Cf. R. BROUILLARD, «Sánchez Th.», in Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris 1939,
XIV/1, 1078-1079.
122
L. VEREECKE, «Matrimonio e piacere sessuale nei teologi dell’epoca moderna (1300-1789)»,
in ID., Da Guglielmo d’Ockham a sant’Alfonso de Liguori, 679-701.
123 Propositiones LXV damnatae, 2 mart. 1679, n. 9: «Opus coniugii ob solam voluptatem exer-
citum omni penitus caret culpa ac defectu veniali» (DS 2109). La proposizione condannata è in: G.
SÁNCHEZ, Selectae et practicae disputationes, disp. 23, n. 14; cf. VEREECKE, «Matrimonio e piacere ses-
suale nei teologi dell’epoca moderna (1300-1789)», 696-700.
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124 M. BEVILACQUA, La realtà corporea dell’uomo nel pensiero di Sant’Alfonso e degli autori
di sant’Alfonso in morale matrimoniale, sostenuto dal primo e negato dal secondo; cf. M. ZALBA, «S.
Alfonso in contrasto con la tradizione e con S. Agostino? (sfogliando B. Häring)», in Rassegna di Teo-
logia 10(1969), 369-388.
127 ALFONSO M. DE’ LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2, dub. 2, a. 1, n. 912 (a cura di L.
GAUDÉ, Roma 1912, t. 4, 95).: «Certum est esse illicitum habere copulam propter solam voluptatem; ut
patet ex propositione 9 damnata ab Innocentio XI. Commune est tamen, apud omnes id non esse mor-
tale […] sed tantum veniale peccatum […] ita ex D. Thoma».
128 ALFONSO M. DE’ LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2, dub. 2, a. 1, nn. 882-883 (a cura di L.
GAUDÉ, Roma 1912, t. 4, 59-65). Egli distingue fini intrinseci essenziali («traditio mutua cum obliga-
tione reddendi debitum et vinculum indissolubile»), fini intrinseci accidentali («procreatio prolis et
remedium concupiscentiae») e fini estrinseci accidentali («plurimi esse possunt ut pax concilianda,
voluptas captanda» ecc.). Chi esclude i fini intrinseci essenziali contrae invalidamente il matrimonio,
mentre chi (come un vecchio) non potesse perseguire i fini intrinseci accidentali non lo contrae né
invalidamente né illecitamente; cf. L. VELA, «La doctrina de S. Alfonso M.a de Ligorio sobre los fines
del matrimonio», in Sal Terrae 61(1973), 599-621.
129 ALFONSO M. DE’ LIGUORI, Theologia moralis, tr. 6, c. 2, dub. 2, a. 1, n. 927,3 (a cura di L.
6. LA MANUALISTICA
Scritti in latino, utilizzati nei seminari di tutto il mondo, riprendono con maggior
logica e con gli adattamenti canonici la dottrina delle Institutiones morales
secondo l’ordine del Decalogo. Gli autori si ispirano in primo luogo al sistema
alfonsiano o al probabilismo, ma di fatto queste opzioni di principio hanno
poche conseguenze pratiche.130
131 M. ZALBA, Theologiae moralis compendium, Madrid 1958, I, 734: «Virtus morali specialis,
pars subiectiva temperantiae, quae inclinat ad moderandum usum facultatis generativae secundum
rectam rationem fide illustratam».
132 G. MAUSBACH, Teologia morale, Alba 1959, 948-949.
133 ZALBA, Theologiae moralis compendium, 761-802.
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riae, sulla base dell’idea che da Agostino, attraverso Tommaso, giunge fino a
oggi sull’intrinseca gravità delle colpe in questo ambito. L’ordine e il disordine
sessuale vengono, ancora una volta e molto rigorosamente, compresi in rela-
zione alla fecondità, almeno virtuale, degli atti sessuali.
La morale manualistica mostra nel campo dell’etica sessuale la sua insuf-
ficienza: molto più angusta e povera antropologicamente rispetto ai vasti oriz-
zonti della sintesi agostiniana e scolastica, molto meno vivace e creativa, per il
suo desiderio di uniformità e certezza, rispetto alla morale post-tridentina,
sempre più lontana dalla vita concreta dei cristiani e spiritualmente arida
rispetto alla grande tradizione.
Il paradigma che interpreta la sessualità in prospettiva naturalista e pro-
creazionista, con l’accento posto sulle dimensioni fisico-biologiche della ses-
sualità, l’enfasi unilaterale sul legame tra sessualità e procreazione, l’appiat-
timento della vita coniugale sul tema dell’istituzione e dei doveri coniugali, si
mostrava, perciò, sempre più inadeguato a rispondere ai bisogni dei cristiani e
a orientare la loro vita nel delicato ambito della sessualità.
Nella prima metà del XX secolo, sotto la spinta dei progressi della medi-
cina e delle scienze umane, di grandi rivolgimenti sociali e culturali e di un rin-
novamento negli studi teologici, il dibattito sul matrimonio e sulla sessualità si
fece intenso. Uno dei temi più vivacemente dibattuti fu la dottrina dei fini del
matrimonio, preparato, alla fine dell’Ottocento, da suggestioni del Durier e del
Ballerini i quali, per primi, avevano introdotto l’affetto tra i fini del matrimo-
nio e quindi dell’unione sessuale.134
Nel 1928 Dietrich von Hildebrand pubblicò il suo Die Ehe nel quale
distingue tra Zweck o scopo primario del matrimonio e Sinn o senso di esso: lo
scopo è la procreazione, il senso è l’amore, la fusione d’amore. Tale struttura è
applicata alla comprensione dell’atto coniugale il cui senso è appunto l’amore,
e lo scopo la procreazione.
Come il matrimonio – egli scrive –, nel suo significato, è anzitutto fusione d’a-
more, così anche l’unione fisica non ha semplicemente il significato di procrea-
134 Si vedano: C. BURKE, «Fini del Matrimonio: visione istituzionale o personalistica?», in Anna-
les Theologici 6(1992), 227-254; S.D. KOZUL, Evoluzione della dottrina circa l’essenza del matrimonio
dal C.I.C. al Vaticano II, Vicenza 1980.
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zione. Certo non vi è maggior mistero, nell’ordine naturale, che la nascita di una
nuova creatura dotata d’anima immortale, appunto attraverso questa intima
unione […]. Ma tale scopo primario non è l’unico senso dell’unione corporea e,
soggettivamente, non ne è mai il senso primo.135
Sulla scia di von Hildebrand si colloca Herbert Doms che, nel 1935, pub-
blicò il celebre e controverso Significato e scopo del matrimonio.136 Doms insi-
ste sull’idea del Sinn del matrimonio come «unità dei due» a livello fisico e spi-
rituale; la rappresentazione e l’attuazione concreta di esso sono costituite dal-
l’atto coniugale.137 Non è escluso il fine procreativo o biologico (come egli lo
chiama) né quello personale o di compimento dei coniugi, ma tali fini sono
parte del connaturale orientamento dell’unità dei due che si attua.
Su una linea non dissimile si colloca più tardi B. Krempel che sostiene la
comunità di vita come essenza del matrimonio e che riconosce il fine proprio
di esso nel perfezionamento delle persone.138 Per lui «l’atto coniugale è la
parola del matrimonio».
Di fronte ai tentativi di revisione della dottrina dei fini, il magistero
interviene in vario modo. Le tesi estreme, che alcuni avevano dedotto este-
nuando le posizioni di von Hildebrand e Doms, furono condannate, ma gli ele-
menti più vitali della discussione cominciarono a entrare, sia pure timidamen-
te, nello stesso magistero.
Nel 1930 l’enciclica Casti connubii mostra di essere al corrente della
disputa intorno ai fini del matrimonio e si muove in una linea di cauta revisio-
ne del dettato tradizionale. Era l’ultimo giorno del 1930. In quell’anno per la
prima volta una Chiesa cristiana, quella anglicana, aveva accettato, sia pure
come male minore, la contraccezione e in quello stesso anno Pio XI volle far
uscire la sua enciclica sul matrimonio cristiano.139 In essa giungono a matura-
zione gli interventi magisteriali dei pontefici di fine Ottocento, tra i quali l’en-
ciclica Arcanum divinae sapientiae di Leone XIII (1880). Domina in Casti con-
nubii la preoccupazione per lo sfaldarsi dell’istituto matrimoniale nel contesto
135 D. VON HILDEBRAND, Il matrimonio, Brescia 1959, 28 (originale tedesco Die Ehe, 1928).
136 H. DOMS, Vom Simm und Zweck der Ehe, Breslau 1935 (trad. it. Significato e scopo del matri-
monio, Roma 1946). Gli interventi polemici furono molti, segnaliamo: E. BOISSARD, Questions théologi-
que sur le mariage, Paris 1948; A. LANZA, «De fine primario matrimonii», in Apollinaris 13(1940), 57-83.
137 Cf. H. DOMS, «Conception personnaliste du mariage d’après S. Thomas», in Revue Thomiste
45(1939), 76: «L’acte conjugal est plein de sens et se justifie dejà en soi-même, abstraction faite de son
orientation vers l’enfant».
138 B. KREMPEL, Die Zweckfrage der Ehe in neuer Beleuchtung, begriffen aus dem Wesen der bei-
den Geschlechter im Lichte der Beziehungslehre des hl. Thomas, Einsiedeln-Köln 1941.
139 PIO XI, Casti connubii: AAS 22(1930), 539-592. Testo italiano in P. BARBERI – D. TETTAMAN-
ZI, Matrimonio e famiglia nel magistero della Chiesa. I documenti dal concilio di Firenze a Giovanni
Paolo II, Milano 1986, 107-154; cf. D. TETTAMANZI, «L’attualità del magistero di Pio XI sulla pastorale
del matrimonio e della famiglia», in La Famiglia 17(1983), 49-71.
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Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l’assiduo impegno di
perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come insegna il Catechismo
romano, si può anche dire «primaria ragione e motivo del matrimonio», purché
s’intenda per matrimonio, non già, nel senso più stretto, l’istituzione ordinata alla
retta procreazione ed educazione della prole, ma, in senso più largo, la comu-
nione, la consuetudine e la società di tutta quanta la vita.
Consolidata infine con il vincolo di questa carità la società domestica, fiorirà in essa
necessariamente quello che è chiamato da sant’Agostino «ordine dell’amore».141
Due tendenze sono da evitarsi: quella che nell’esaminare gli elementi costitutivi
dell’atto della generazione dà peso unicamente al fine primario del matrimonio,
140
PIO XI, Casti connubii 10.
141
PIO XI, Casti connubii 25.27: «Haec mutua coniugum interior conformatio, hoc assiduum
sese invicem perficiendi studium, verissima quadam ratione, ut docet Catechismus Romanus, etiam pri-
maria matrimonii causa et ratio dici potest, si tamen matrimonium non pressius ut institutum ad pro-
lem rite procreandam educandamque, sed latius ut totius vitae communio, consuetudo, societas acci-
piatur […] Firmata denique huius caritatis vinculo domestica societate, floreat in ea necesse est ille, qui
ab Augustino vocatur ordo amoris» (DS 3707-3708).
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come se il fine secondario non esistesse o almeno non fosse finis operis stabilito
dall’Ordinatore stesso della natura; e quella che considera il fine secondario
come ugualmente principale, svincolandolo dall’essenziale sua subordinazione al
fine primario, il che per logica necessità condurrebbe a funeste conseguenze.142
[Si chiede] se si possa ammettere la dottrina di alcuni [autori] moderni che nega-
no che il fine primario del matrimonio sia la generazione ed educazione della
prole e insegnano che i fini secondari non sono essenzialmente subordinati al
fine primario, ma sono parimenti principali e indipendenti. Risposta: No.143
Ancora nel 1951, nel famoso Discorso alle ostetriche italiane, Pio XII
ribadisce la stessa tesi che la funzione primaria del matrimonio è «il servizio
per la vita nuova» e mette in rapporto interno l’amore coniugale con la pro-
creazione nel tentativo di riproporre la dottrina tradizionale in un contesto più
personalista:
Non soltanto l’opera comune della vita esterna, ma anche tutto l’arricchimento
personale, lo stesso arricchimento intellettuale e spirituale, persino tutto ciò che
vi è di più spirituale e profondo nell’amore coniugale come tale, è stato messo
per volontà della natura e del Creatore al servizio della discendenza.144
142
PIO XII, «Allocuzione ai giudici della Rota Romana»: AAS 33(1941), 423. Merita sottoli-
neare la novità di questo insegnamento che inserisce anche i fini non procreativi tra quelli intesi dalla
natura come parte, quindi, del finis operis e non solo del finis operantis.
143
«Decretum S. Officii, 1-4-1944»: AAS 36(1944), 103 (cf. DS 3838): «An admitti possit quo-
rundam recentiorum doctrina, qui vel negant finem primarium matrimonii esse prolis generationem et
educationem, vel docent fines secundarios fini primario non esse essentialiter subordinatos sed esse
aeque principales et independentes. Resp. Negative»; cf. F. HUERTH, «De finibus matrimonii. Adnota-
tiones ad Decretum S. Officii, die 1 apr. 1944», in Periodica 33(1944), 207-234.
144 PIO XII, «Allocuzione alle congressiste dell’Unione cattolica italiana ostetriche, 29-10-
1951»: AAS 43(1951), 849-850; cf. B. PETRÀ, «Principi fondamentali di morale coniugale», in Vivens
Homo 1(1990), 45-47.