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2 Cf. A. Macintyre: Ethics in the Conflicts of Modernity: An Essay on Desire, Practical Reasoning,
and Narrative, Cambridge: Cambridge University Press, 2016, 231-315, il quale risponde anche
ad alcune critiche sulla teoria narrativa dell’identità; cf. anche C. Taylor: The Language
Animal: The Full Shape of the Human Linguistic Capacity, Cambridge, MA: Belknap Press of
Harvard University Press, 2016, 291-345.
3 Sull’esistenza di tipo episodico in cui manca l’unità narrativa della vita, può vedersi G. Strawson:
“Against Narrativity”, in: Ratio 17 (2004), 428-452, con la risposta di A. Macintyre: Ethics in
the Conflicts of Modernity, 239-242.
4 Per uno sviluppo più dettagliato delle idee che seguono, mi permetto di riferire a J. Granados:
Teologia del tempo: Saggio sulla memoria, la promessa e la fecondità, Bologna: Dehoniane, 2014.
5 Sulla fenomenologia della promessa, cf. P. Gilbert: “Je te promets”, in: Nouvelle revue
théologique 136 (2014), 374-389.
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6 Cf. H. Arendt: The Human Condition, Chicago, IL: University of Chicago Press, 1958.
7 Cf. A. Neher: “Le symbolisme conjugal: Expression de l’histoire dans l’Ancien Testament”,
in: Revue d’histoire et de philosophie religieuses 34 (1954), 30-49.
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futuro fecondo che porta la vita al di là della morte. Così come ogni figlio eredita
lo schema temporale della sua famiglia, così i discepoli di Gesù, tramite il batte-
simo, entrano in un nuovo modo di configurare il loro tempo, da cui mai potranno
essere staccati.
Questa capacità, portata da Gesù, di raccontare la vita in modo unitario, e la
nuova definitività che essa inaugura, non si realizza nel margine dell’alleanza
creaturale tra l’uomo e la donna, perché Gesù, assumendo la carne, è nato in una
famiglia e ha assunto il tempo delle generazioni dei figli di Adamo. Appunto
il rapporto indissolubile tra il tempo nuovo vissuto da Cristo e il tempo creaturale,
fondato sulla promessa degli sposi, costituisce il fondamento della sacramentalità
del matrimonio. Il sacramento del matrimonio accoglie, nelle stesse coordinate
di “una sola carne” (cf. Gen 2,24), la capacità nuova di Gesù di riunificare il tempo
dei fedeli. Chi si sposa nel Signore trova in questo sacramento la promessa capace
di dare unità a tutti i suoi passi, mantenendo viva la memoria dell’origine per
vincere ogni fragilità e ogni peccato.8 Confessare che il matrimonio è un sacra-
mento vuol dire accogliere il racconto di Gesù, e la sua fedeltà alla Chiesa, come
modulo narrativo della promessa sponsale, che offre nuove coordinate.
In questa luce si comprende l’insistenza di Amoris laetitia sul vincolo coniugale:
“la pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima
di tutto una pastorale del vincolo” (cf. AL 211). In questa visione, il vincolo non
è solo un’astrazione giuridica, ma soprattutto un altro modo di riferirsi alla pro-
messa, nella sua profondità per segnare l’identità personale. Il vincolo esiste per-
ché la promessa non rimane nella superficie della vita ma trasforma l’identità
dell’uomo nel suo profondo, permettendo agli sposi di edificare una storia uni-
taria e comune. Ecco perché si è potuto tracciare un parallelo tra il vincolo
matrimoniale e il carattere sacramentale:9 in ambedue i casi si tratta di un dono
permanente di grazia, che offre delle nuove coordinate all’edificazione della vita
nel tempo, mantenendo sempre aperta la via del ritorno alla sequela di Gesù.
È chiaro in questo modo che l’insistenza sul vincolo non vuol dire che si assume
uno sguardo statico sull’unione matrimoniale. Al contrario, in quanto legato ad
una promessa mutua, che poggia su una presenza e un dono di Dio, il vincolo è
dinamico e fonte di dinamismo. Chi promette deve essere continuamente pronto
a cambiare, vale a dire, ad adattarsi al nuovo rapporto con suo marito o sua moglie
e con Dio che ha unito entrambi. Quello che non cambia è l’orientamento
dell’uno all’altro e di ambedue a Cristo, per portare avanti il progetto del Padre.
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Questa dinamicità della promessa spiega perché gli sposi si debbano prendere
cura di essa ogni giorno, come sottolinea Amoris laetitia (AL 133-135). Essenziale
per mantenere la promessa è ricordare la sua origine in una chiamata di Dio. Chi
dimentica, infatti, non può essere fedele, come sottolineava Nietzsche quando
chiamava alla promessa la “memoria della volontà”.10 Essenziale è anche l’esercizio
del perdono, che si basa sulla convinzione che la promessa è sempre più profonda
di ogni offesa che minacci di distruggerla, proprio perché essa (la promessa) è
radicata sull’amore di Cristo.11
In altri termini, ciò che gli sposi ricevono nel sacramento del matrimonio è
la sicurezza che la loro vita comune è sostenuta da Cristo, poiché la loro promessa
affonda le radici nel Suo amore redentore. Essi sanno che sempre sarà possibile,
anche davanti alla fragilità propria o dell’altro coniuge, tornare a vivere d’accordo
con questa promessa, “accada quel che accada e nonostante qualsiasi sfida”, come
ci ricorda Papa Francesco (AL 132). Nel sacramento del matrimonio è donata
agli sposi una cornice narrativa, quella di Gesù e la Chiesa, che permette di
raccontare in unità tutti i loro passi, all’insegna quotidiana del perdono e della
promessa.
10 Cf. F. Nietzsche: Jenseits von Gut und Böse: Zur Genealogie der Moral, in: Werke VI/2, Berlin:
Walter de Gruyter, 1968, 308.
11 Per una visione filosofica del perdono, cf. C. Griswold: Forgiveness: A Philosophical Explora-
tion, Cambridge: Cambridge University Press, 2007; cf. anche P. Ricoeur: La mémoire,
l’histoire, l’oubli, Paris: Seuil, 2000.
12 Cf. N. Luhmann: “The Future Cannot Begin: Temporal Structures in Modern Society”, in:
Social Research 43 (1976), 130-152.
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eventuali figli dell’unione, che non disporranno di quel tessuto temporale stabile
fondato sulla promessa dei genitori, e faticheranno a sviluppare la loro capacità
di promettere.
Un’altra caratteristica della convivenza è l’incapacità di inserire il tempo della
coppia nel tempo della società (cf. AL 131-132). Di nuovo si delinea così l’illusione
di rimanere padroni del proprio tempo. Al contrario, quando manca il rapporto
con la comunità più ampia, l’unità narrativa diventa impossibile, sia per il singolo,
sia per la coppia, in quanto il tempo dell’uomo è sempre tempo sociale, bisognoso
di raccontarsi “di generazione in generazione”.13 Neppure le prime righe della
propria biografia possono scriversi senza far riferimento ad altri, in questo caso
ai nostri genitori.
Riguardo ai battezzati che vivono in un’unione meramente civile, il loro
progetto narrativo è anche di portata ridotta, in quanto essi non vogliono sposarsi
davanti a Dio, mettendo il loro rapporto matrimoniale in relazione con il mistero
di Cristo. Il tempo della coppia si scollega dal tempo della loro identità cristiana.
Eppure, come ormai abbiamo segnalato, la promessa sponsale per tutti i giorni
della vita è possibile solo se si riferisce ad un progetto comune che supera ambe-
due gli sposi, e che è loro affidato da Dio. La struttura stessa del matrimonio
civile prevede di solito la possibilità del divorzio, perché non confida nella capa-
cità di costruire l’intera vita sul rapporto comune, in quanto la coesione del
matrimonio dipende solo dalla forza di ognuno di progettare il futuro.
La ferita, in questi due casi (convivenze, matrimoni meramente civili), consi-
ste nel fatto che non si riesce, per mancanza dell’integrità della promessa, a con-
ferire unità al proprio racconto vitale. Mentre la promessa sponsale apre la propria
storia in modo generativo (in quanto si è capaci di accogliere le radici del proprio
passato e di anticipare il futuro come un frutto) la mancanza di promessa lascia
il proprio racconto in un’apertura indeterminata e ripetitiva.
Nel caso dei divorziati che vivono in un’unione civile la situazione è più deli-
cata, in quanto si adotta un modo di vita contrario all’unione sacramentale valida.
La ferita nella narratività si esperimenta, in primo luogo, per l’apparente incon-
sistenza dell’amore sponsale a cui gli sposi si erano affidati per edificare in modo
stabile la loro identità. La possibilità di ricuperare la speranza insita nella promessa
(speranza legata intimamente alla propria vocazione) passa, nel caso in cui ci siano
delle gravi offese, attraverso la disponibilità al perdono. Promessa e perdono,
infatti, s’invocano mutuamente, in quanto il perdono poggia sulla sicurezza che
la promessa originaria sia più grande della colpa che ha voluto infrangerla, per
cui sempre è possibile ritornare a vivere secondo essa.
Inoltre, a questa ferita “narrativa” dell’avvenuta separazione, se ne aggiunge
un’altra, più grave, quando le persone, dopo il divorzio, intraprendono una nuova
unione. La ferita è più grave perché adesso, non solo si vive l’amore secondo una
narratività ridotta, ma si vuole negare il fondamento (presente nell’unione sacra-
mentale valida) che permetterebbe di fuggire dalla frammentazione della vita e di
13 Cf. A. Ramelow: “Are There Family Rights?”, in: Angelicum 88 (2011), 201-229.
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3. Integrare:
Risanare l’identità narrativa nella Chiesa che cammina dietro a Gesù
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14 Cf. E. Schockenhoff: “Thomas von Aquin und die moraltheologische Perspektive von
Amoris laetitia”, in: Anthropotes 33 (2017), 303-311.
15 Cf. V. Fernàndez: “El capítulo VIII de Amoris laetitia: Lo que queda después de la tormenta”,
in: Medellín 43 (2017), 449-468: la situazione dei divorziati in una nuova unione “sigue siendo
una situación objetiva de pecado, porque sigue habiendo una propuesta clara del Evangelio
sobre el matrimonio, y esta situación concreta no la refleja objetivamente” (458).
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sarebbe obbligata alla sua osservanza. Rifiutando la gradualità della legge, Amoris
laetitia afferma che le persone in situazione irregolare sono anche in peccato
oggettivo.
Come vedremo, la via percorsa dall’esortazione esamina piuttosto le conse-
guenze della non imputabilità soggettiva della colpa, per cui può succedere che in
una situazione oggettiva di peccato, “si possa vivere in grazia di Dio, si possa
amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale
scopo l’aiuto della Chiesa” (AL 305).
L’integrazione piena nella Chiesa si potrà compiere, quindi, quando queste
persone siano capaci di vivere secondo la verità del loro matrimonio valido nel
Signore. Amoris laetitia intende avviare processi, in modo paziente, ascoltando e
tenendo conto dei piccoli passi che le persone fanno, ma in nessun momento
rinuncia a proporre la pienezza del Vangelo, che identifica con il matrimonio
indissolubile, in quanto capace di offrire un racconto completo all’esistenza della
persona, ricuperando l’unità narrativa della sua vita. Solo questo racconto unita-
rio, che poggia sulla fedeltà di Cristo alla Chiesa, è compatibile con il racconto
cristiano che la Chiesa vive e confessa nei sacramenti.
Abbiamo identificato, quindi, leggendo Amoris laetitia, sia la ferita narrativa
di questi battezzati, sia la mèta a cui bisogna accompagnarli. Resta da precisare
il cammino che si deve seguire per arrivare a questo traguardo. È qui che si trovano
punti di ambivalenza nella stessa Esortazione, che possono dare luogo a interpre-
tazioni diverse. Come metodo propongo, secondo ciò che ho fatto fino adesso,
di stabilire prima quello che è insegnamento chiaro di Amoris laetitia, e lasciare
per ultimo i passaggi ambivalenti, discutendoli alla luce di ciò che è palese.
È chiaro che per guarire una ferita profonda nell’identità narrativa delle persone,
sarà necessario proprio del tempo. Ecco perché si apre la sfida di accompagnare
questi battezzati fino a che riescano ad assumere nella loro vita l’unità del tempo
fecondo di Gesù. Vediamo alcuni momenti importanti in questo processo.
(a) In primo luogo è decisivo ribadire che l’accompagnamento non è respon-
sabilità soltanto del sacerdote o degli operatori pastorali, ma che il compito prin-
cipale ricade sulle famiglie cristiane stesse. Papa Francesco le considera, infatti, i
principali soggetti della pastorale familiare (AL 200). Proprio coloro che nella
Chiesa camminano nella vocazione matrimoniale sono chiamati a sostenere quelli
che vivono un amore “ferito e smarrito” (cf. AL 291).
Questo significa che l’accompagnamento nei casi difficili è possibile solo all’in-
terno di una riforma della pastorale familiare, come chiede la stessa esortazione
apostolica, seguendo il Sinodo dei vescovi (cf. AL 200). È necessario innanzitutto
insistere che la pastorale familiare non è una pastorale settoriale in più (come, ad
esempio, la pastorale dei giovani o quella dei malati), perché la famiglia è l’ambito
in cui si mette in gioco la vocazione della persona all’amore, e in cui si sviluppa
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in unità tutta la sua storia. Solo alla luce di famiglie che vivono il ritmo della
promessa e del perdono, all’interno del tempo della comunità ecclesiale, può
ridarsi fiducia a quelli che si sono smarriti, annunciando loro che è possibile
smettere di camminare in cerchi chiusi per ritornare alla sequela di Gesù, pienezza
del tempo.
Da tutto questo si può trarre una conseguenza. Anche se l’attivazione nella
parrocchia di gruppi specifici di separati o divorziati può aiutare in determinati
casi, non si deve dimenticare che l’integrazione deve darsi all’interno di tutta la
comunità ecclesiale. L’appartenenza a questi gruppi non può essere il punto di
riferimento primario per le persone in una situazione irregolare, in quanto si
correrebbe il rischio di isolarli in un’esperienza frammentata, senza beneficiare
dalla testimonianza di vita dell’intera comunità. Questo significa, inoltre, che la
pastorale per reintegrare le persone in situazioni irregolari va collegata all’accom-
pagnamento di tutte le tappe della vita familiare: la preparazione al matrimonio,
l’aiuto nei primi anni di matrimonio, l’educazione dei figli, le coppie anziane…
È per questo che nell’accompagnamento a questi divorziati è necessario inter-
rogarsi sull’influsso della loro nuova unione su tutte le famiglie (AL 300). In
positivo, si potrebbe invitare queste persone a capire come possono aiutare altre
coppie e, specialmente, i giovani che vogliono sposarsi. Ad esempio, riconoscere
la necessità che hanno di reintegrarsi nella Chiesa e accettare le tappe pazienti
della strada fino ad arrivare alla mèta è un modo di assumersi una loro respon-
sabilità concreta per il bene comune della Chiesa. Accettando la disciplina eccle-
siale riguardo alla loro situazione, e l’impossibilità di accostarsi ai sacramenti,
rendono testimonianza alle altre famiglie sulla indissolubilità del matrimonio
come un bene comune. Si tratta di un elemento decisivo di quella via caritatis di
cui parla Papa Francesco (AL 306).
Ricordiamo che il modo in cui la Chiesa accompagna i divorziati nella nuova
unione incide direttamente sul modo in cui essa accompagna i fidanzati al matri-
monio. Se si desse l’impressione, ad esempio, che il divorzio e la nuova unione
possono diventare un punto di arrivo dell’accompagnamento, allora sarebbe dif-
ficile presentare ai giovani l’indissolubilità come cammino reale di vita. Gli effetti
sui giovani fidanzati non si riverserebbero solo sul futuro, ma già nel momento
del matrimonio, in quanto nel loro immaginario esisterebbero strade possibili al
di là della fedeltà per tutta la vita. Si opererebbe così una riduzione di speranza
per i giovani sposi, poiché la Chiesa stessa non si farebbe più garante della loro
unione in ogni situazione. Ricordiamo che i giovani che iniziano il cammino,
data la fragilità odierna delle relazioni, sono i più vulnerabili e poveri: la pastorale
familiare non deve dimenticare l’opzione preferenziale per essi.
(b) Come accompagna la Chiesa questi suoi figli affinché siano capaci di ricu-
perare l’unità narrativa della loro vita? La prima consolazione è quella di invitarli
ad intraprendere una strada di conversione, prepararli poi a fare dei piccoli passi,
a camminare insieme con la Chiesa pellegrina e quindi a partecipare ormai in
certo modo del racconto di Cristo, come il figliol prodigo che si è messo in ritorno
verso casa. A questo riguardo Amoris laetitia sviluppa l’idea di Giovanni Paolo II
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in Familiaris consortio 34, sulla legge della gradualità come via pedagogica (cf.
AL 295). Secondo quanto abbiamo già segnalato, ci vuole del tempo per poter
ridare forma all’identità narrativa che si è frantumata: tempo per guarire le ferite
del passato e per imparare a progettare in modo nuovo il futuro.
Nel caso dei conviventi sarà necessario indirizzarli verso il matrimonio, pren-
dendosi carico delle condizioni sociali che rendono difficile sposarsi, specialmente
la visione emotiva dell’amore, contro cui ci previene Amoris laetitia (cf. AL 145).16
Bisognerà anche discernere se la situazione in cui si trovano i conviventi contenga
modi sbagliati di relazionarsi, verifica necessaria per provvedere ad un accompa-
gnamento più attento dopo il matrimonio. È possibile, ad esempio, che la loro
decisione di sposarsi risulti forzata, dovuta ai vincoli che hanno inconsapevolmente
assunto durante la convivenza, e non si dia un consenso pienamente libero e
deciso.17
Il caso più difficile è quello dei divorziati che vivono in una nuova unione,
perché si chiede loro una trasformazione più radicale nel modo di strutturare il
loro racconto vitale, il che includerà una trasformazione profonda del desiderio.18
Sappiamo che il passo ultimo del cammino sarà quello di abbracciare una vita
conforme al vincolo valido che hanno stabilito, abbandonando la nuova unione,
o, se questo non fosse possibile, accettando di vivere in continenza. È un orizzonte,
come abbiamo indicato, a cui Amoris laetitia mai rinuncia.
Amoris laetitia parla di “un radicamento della preparazione al matrimonio nel
cammino di iniziazione cristiana” (AL 206) e, in parallelo, si potrebbe pensare
anche ad un nuovo itinerario di conversione, ispirato a quelli usuali nella Chiesa
antica. È necessario sapere che questi itinerari non potranno avere un tempo
determinato, perché non dipendono da piani umani, ma dall’azione paziente
di Dio nel cuore delle persone, per rigenerarle, trasformando il desiderio secondo
il Vangelo. Può essere buono, iniziando questo cammino, istituire qualche segno
concreto, ad esempio l’imposizione del segno della croce da parte dal sacerdote.
In questo itinerario è essenziale invitare queste persone a praticare altre forme
di partecipazione al corpo di Cristo, tra cui Amoris laetitia segnala l’importanza
della via caritatis (AL 306). La carità, infatti, è la pienezza della legge, come ci
ricorda l’Apostolo Paolo, nel suo altro inno alla carità (cf. Rom 13,8-10). La sua
pratica aiuta a superare una visione privatizzata del proprio desiderio, per riuscire
a cogliere quella logica comunitaria che è propria della Chiesa, imparando a
“discernere il corpo” (cf. 1 Cor 11,29; AL 185-186).
(c) Nel caso dei divorziati che vivono in una nuova unione è necessario che
l’accompagnamento aiuti a guarire le ferite che, come si è indicato, sono molto
16 Cf. XIV Assemblea Generale Ordinario del Sinodo dei vescovi sulla vocazione e la
missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo: Relatio finalis, n. 29.
17 Cf. S. Stanley/G. Rhoades/H. Markman: “Sliding Versus Deciding: Inertia and the
Premarital Cohabitation Effect”, in: Family Relations 55 (2006), 499-509.
18 Cf. A. Diriart: Le désir qui fait cheminer: Communion spirituelle et divorcés remariés, Paris:
Cerf, 2016; sulla trasformazione del desiderio, cf. il classico studio di H. Frankfurt: “Freedom
of the Will and the Concept of a Person”, in: The Journal of Philosophy 68 (1971), 5-20.
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(e) Resta una domanda che abbiamo lasciato per la fine, proprio per essere
quella più dibattuta. Come si è mostrato, Amoris laetitia non rinuncia all’ideale
del Vangelo, contenuto nella dottrina cristiana: le “situazioni irregolari” si conti-
nuano a considerare situazioni di peccato oggettivo. Il cammino di accompagna-
mento, dunque, possiede una mèta chiara. Tuttavia possiamo ancora domandarci
se, prima di arrivare a quella mèta sia possibile ormai amministrare a questi
battezzati i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
C’è un punto in cui Amoris laetitia potrebbe sembrare aprire questa possibilità.
Si tratta della nota 351, in AL 305, dove si dice che l’aiuto della Chiesa a chi vive
in situazione oggettiva di peccato “in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei
Sacramenti”.
Una prima interpretazione della nota è subito da scartare, quella secondo cui
l’accesso ai sacramenti sarebbe possibile come mèta definitiva di un lungo cam-
mino di discernimento. Quando Amoris laetitia, infatti, seguendo il Sinodo dei
vescovi, parla di processo di discernimento (AL 300), non parla di comunione
eucaristica; e quando, andando al di là del Sinodo, parla di accesso ai Sacramenti
(AL 305, nota 351), non parla di un processo di maturazione, ma piuttosto delle
circostanze che attenuano la responsabilità (AL 302), sia per difetti della persona
(come l’immaturità affettiva o la forza delle abitudini: cf. AL 302), sia per influsso
dell’ambiente. Or bene, questi condizionamenti diminuiranno man mano che
andrà avanti il processo di discernimento e di accompagnamento pastorale.
Scartata questa possibilità, restano altre due interpretazioni della nota. La prima
legge in essa un cambiamento della disciplina eucaristica stabilita da san Giovanni
Paolo II in Familiaris consortio, 84 e da Benedetto XVI in Sacramentum caritatis,
29. La nota si applicherebbe a coloro che non hanno responsabilità soggettiva per
le loro azioni. Il testo di AL 305, dove si trova la nota 351, si riferisce infatti a dei
battezzati in uno stato tale, che non sono responsabili (o non lo sono pienamente)
dei propri atti, per cui questi atti potrebbero non essere imputabili.
Una difficoltà di questa interpretazione è che il procedimento non sembra
molto coerente. In primo luogo, sarebbe strano consentire di ricevere l’Eucaristia
proprio all’inizio dell’itinerario d’integrazione, quando più lontani ci si trova dalla
vita cristiana, spesso anche con un grande deficit nella conoscenza della fede, per
poi, una volta che si cresce nel cammino di fede, smettere di riceverla.
Inoltre, e soprattutto, un accesso all’Eucaristia che si basi solo sulla conside-
razione dello stato di grazia del soggetto, sembra partire da una visione intimi-
sta del sacramento, aliena alla struttura dell’economia sacramentale. La grazia,
nel sacramento, attraversa sempre la carne e i rapporti concreti in cui vive la
persona, e solo così tocca e trasforma l’interiorità del fedele. Che una persona
si trovi in grazia di Dio non significa che può ricevere i sacramenti, perché qui
c’è in gioco anche la visibilità e corporalità dell’evento cristiano. È un punto su
cui ha insistito a lungo la teologia del Novecento, quando ha indicato, ad
esempio, che la grazia sacramentale della riconciliazione con Dio veniva mediata,
nel sacramento della Penitenza, dalla riconciliazione con la Chiesa. Continua
ad essere vero ciò che insegnava Karl Rahner: “Gli atti del foro sacramentale,
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come tutti i sacramenti, agiscono direttamente nel campo della coscienza, però
non si compiono solo nella sfera privata dell’intimo della coscienza, ma nella
Chiesa visibile.”19
Resta una seconda possibilità di lettura, la quale insiste sul fatto che la formu-
lazione della nota 351 è troppo vaga per poter applicarsi al caso specifico dei
divorziati in nuova unione civile.20 Essa non menziona situazioni irregolari mani-
feste e nelle quali si vuole rimanere, proprio le due condizioni segnalate dal canone
915 del Codice di Diritto Canonico per poter negare la comunione. Inoltre, non
si tratta, in questo caso, di una situazione irregolare come le altre, perché qui si
vive apertamente contro il vincolo sacramentale, e quindi in contraddizione con
la logica propria del Battesimo e dell’Eucaristia. È necessario, quindi, riferire la
nota ad altre situazione, e non precisamente al caso dei divorziati in una nuova
unione, di cui parla Familiaris consortio, 84 e Sacramentum caritatis, 29. In ogni
caso, basta sollevare un dubbio ragionevole sull’interpretazione, perché il testo
deva essere interpretato in coerenza con l’insegnamento chiaro e costante di altri
documenti magisteriali.21
Il vantaggio di questa lettura sta nella sua coerenza, non solo con il Magistero
precedente, ma anche con l’approccio narrativo che abbiamo sviluppato a partire
da Amoris laetitia. I sacramenti sono, infatti, il luogo dove nel quale vengono
comunicati i punti focali del racconto cristiano: la memoria dell’origine nell’amore
di Dio manifestato in Cristo, la fedeltà della sua alleanza, e l’apertura feconda
verso la pienezza di vita eterna. Se un battezzato non vuole ancora accettare
queste coordinate basilari del racconto cristiano, sarebbe per lui un’incoerenza
riceverli e, per la Chiesa, un gesto di violenza amministrarglieli. Al contrario,
l’attesa nel desiderio della loro recezione è, da una parte, un invito verso un passo
ulteriore per ricuperare l’unità intrinseca della vita; e, d’altra parte, custodisce il
riferimento visibile di tutta la comunità ecclesiale verso il tipo di unità narrativa
vissuta da Gesù, riferimento essenziale per il bene comune della Chiesa.
19 Cf. K. Rahner: “Verità dimenticate intorno alla Penitenza”, in: K. Rahner: La penitenza
della Chiesa, Roma: Paoline, 1968, 86, n. 17.
20 Cf. D. Biju Duval: “Après Amoris laetitia”, in: Nova et Vetera 91 (2016), 393-415.
21 V. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris laetitia”, 451-452, ha cercato di provare che la
lettera di Papa Francesco ai vescovi della regione di Buenos Aires (lettera in cui il Santo Padre
approva le loro linee guida per l’applicazione di Amoris laetitia, segnalando che “non c’è
un’altra interpretazione”) sarebbe un esercizio del ministero petrino. Il fatto, però, che siamo
venuti a conoscenza di questa lettera attraverso il filtro della stampa, getta un’ombra forte sulla
conclusione di Fernández. Inoltre, se questa conclusione fosse vera, si dovrebbero ritirare tutte
le altre interpretazioni che fino alla data sono state offerte dai vescovi nelle diverse diocesi, e
non sembra essere questo lo stile di un Papa che ha parlato di una “sana decentralizzazione”
(cf. Evangelii gaudium, 16). Per togliere ogni dubbio ragionevole al riguardo (l’onere della
prova ricade su Fernández, dato che il testo, prima facie, non è rivolto alla Chiesa universale),
si deve parlare di una lettera privata, in cui Francesco non ha voluto impegnare la sua autorità
petrina. La questione sull’interpretazione di Amoris laetitia resta dunque aperta alla legittima
discussione teologica.
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5. Conclusione
Davanti alla sfida della cura pastorale delle persone che vivono in situazioni
irregolari, Amoris laetitia percorre la strada dell’accompagnamento paziente.
L’approccio narrativo che abbiamo proposto, seguendo le linee guida dell’Esor-
tazione, ci ha permesso di individuare la ferita di questi battezzati proprio in una
mancanza di unità narrativa della loro vita, a motivo della rinuncia ad edificare
il loro amore sul fondamento della promessa sponsale. In questa luce si comprende
ciò che segnala Papa Francesco all’inizio del documento (AL 8), quando parla
di persone che hanno edificato sulla sabbia i loro rapporti familiari. Identificato
il problema abbiamo descritto un itinerario che, all’interno di tutta la comunità
ecclesiale, offra la possibilità di ricomporre la propria storia, ricuperando la fede
nella promessa, per conformarla alla storia di Cristo, in cui si trova il “sì” a tutte
le promesse di Dio (2 Cor 1,21).
Summary
The Accompaniment of People in Irregular Situations according to Amoris laetitia:
A Narrative Approach
Amoris laetitia proposes, as a key to an integral family pastoral ministry, a patient
long-term accompaniment through the different steps of the development of the life
of a couple. Inspired by this dynamic perspective, the article applies a narrative analy-
sis of personal identity in order to understand both the wound that afflicts people
living in irregular situations and the possible stages in a path of healing. First, it describes
the difficulty common to all of these cases, identified as a lack of a narrative unity in
life arising from the refusal to build one’s existence upon the foundation of the spousal
promise. It then sets out the principal elements of a process that can give to these
baptized people the hope of reforming the temporal cloth of their personal story to
conform it to the story of Christ in which can be found the “yes” to all the promises
of God (2 Cor 1,21). Among the principal elements of the process, the author draws
attention to the participation of the entire ecclesial community such that families
themselves are the principal subjects of the pastoral accompaniment; the proclamation
of the truth of love that avoids an emotionalism that traps the person in an isolated
moment and does not allow them to see the whole of their life; the concern for
the common good of the Church, keeping in mind particularly the young people
who are just beginning their marriage journey. In this context, the article also offers
a possible interpretation of the most-debated point of the Exhortation, regarding access
to the sacraments by people in irregular situations.
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José Granados è sacerdote religioso dei Discepoli dei Cuori di Gesù e Maria. Lui
è Vice Preside e professore ordinario di Teologia Dogmatica del matrimonio e la
famiglia presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Sezione Centrale (Roma).
È stato nominato da Papa Francesco consultore della Congregazione per la dottrina
della fede (aprile 2013) e consultore della Segreteria del Sinodo dei Vescovi (maggio
2015). Dal 2017 è membro del consiglio scientifico della rivista Gregorianum. È stato
Professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana (Roma) e all’Università
Cattolica di Santiago di Cile. Ha conseguito il Dottorato in Teologia alla Pontificia
Università Gregoriana, Roma (Premio Bellarmino). Egli è anche Laureato in
Ingegneria Industriale presso l’Universidad Pontificia de Comillas (ICAI), Madrid.
Tra le sue pubblicazioni: Tratado general de los sacramentos, Madrid: BAC, 2017;
Una sola carne en un solo Espíritu: Teología del matrimonio, Madrid: Palabra, 2014;
Teología del tiempo: Ensayo sobre la memoria, la promesa y la fecundidad, Salamanca:
Sígueme, 2012; Signos en la carne: El matrimonio y los otros sacramentos, Burgos:
Monte Carmelo, 2011; La carne si fa amore: Il corpo, cardine della storia della salvezza,
Siena: Cantagalli, 2010; Teología de los misterios de la vida de Jesús: ensayo de una
cristología soteriológica, Salamanca: Sígueme, 2009; Called to Love: Approaching John
Paul II’s Theology of the Body, New York: Doubleday, 2009, con C.A. Anderson,
Betania: una casa para el amigo: Pilares de espiritualidad familiar, Burgos: Monte
Carmelo, 2010, con J. Noriega, Los misterios de la vida de Cristo en Justino Mártir,
Roma: Analecta Gregoriana, 2005.
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