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José Granados

L’accompagnamento delle persone in situazione irregolare


secondo Amoris laetitia: un approccio narrativo

L’Esortazione Apostolica Amoris laetitia si riferisce in continuazione al bisogno


di maturazione e di accompagnamento delle persone nel tempo (cf. AL 134),
seguendo la logica dei “piccoli passi” verso la meta (AL 271; AL 305). Questo
approccio si applica, sia alla preparazione al matrimonio (AL 205-216), che
­all’accompagnamento dei giovani sposi (AL 217-230) e all’educazione dei figli
(AL 261). Potrebbe dirsi che una griglia di lettura dell’Esortazione è proprio la
narratività della vita, vale a dire, il fatto che solo coordinando le tappe del proprio
cammino nel tempo ed integrando tutto ciò che ci succede in un racconto
­coerente, è possibile compiere la propria vocazione. In questa luce si comprende
l’interesse di Papa Francesco ad “iniziare processi”, secondo la prospettiva indicata
da Evangelii gaudium: “il tempo è superiore allo spazio” (EG 222-225).1
Può questo approccio narrativo illuminare il modo in cui devono essere accom-
pagnate le persone che si trovano in situazione irregolare? Questa sembra essere
un’ermeneutica giusta, che legge il capitolo VIII dell’Esortazione nel contesto di tutti
gli altri. Inoltre, come cercherò di provare, quest’approccio ci consentirà di vedere
la ragione per la quale questi battezzati hanno bisogno di un accompagnamento
particolare, in quanto la ferita che li affligge riguarda il modo di ­configurare le coor-
dinate basilari della loro identità narrativa. Si potranno allora individuare le tappe
del cammino che, riunificando la storia di queste persone, possa integrarli pienamente
nella comunità ecclesiale che, a sua volta, cammina dietro le orme di Gesù.
Come ben si sa, l’Esortazione apostolica ha ricevuto letture contrastanti sul modo
e sulla mèta di questo accompagnamento. Sembra metodologicamente più sicuro
partire dai punti che nel testo sono chiari, per passare dopo ad esaminare altri aspetti
che possono risultare ambivalenti. Questo ci aiuterà, in primo luogo, a delimitare
i termini dell’interpretazione consentita dal testo, termini che nella discussione
attuale sembrano troppo aperti. Una volta delimitata l’area di ambivalenza che lo
stesso documento permette, risulterà più focalizzato, e più fecondo, il dibattito
interpretativo.

1 Segue questo stesso principio interpretativo, anche se arrivando a conclusioni differenti,


J. ­Sautermeister: “‘Prozesse in Gang zu setzen anstatt Räume zu besitzen…’: Anmerkungen
einer moralpsychologische Relecture des nachsynodalen Apostolischen Schreibens Amoris
laetitia”, in: INTAMS Review 22 (2016), 169-181.

Marriage, Families & Spirituality 23 199-214. doi: 10.2143/int.23.2.3269027199


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Marriage, Families & Spirituality 23 (2017)

1. Uno sguardo “narrativo” sulla vocazione matrimoniale

Perché è necessario accompagnare le persone che vivono in situazione irregolare?


La domanda è importante in quanto, secondo l’immagine della Chiesa come
ospedale da campo (AL 291), ci aiuta a determinare quale sia la malattia per poter
individuare la cura. Secondo Amoris laetitia, infatti, si tratta di persone che vivono
un “amore ferito e smarrito” (AL 291). Quale è la ferita di quest’amore? Quale lo
smarrimento?
Come ho appena segnalato, Amoris laetitia ci invita a gettare uno sguardo
narrativo sull’identità della persona. Si segue così la linea in cui si è mossa la
riflessione filosofica contemporanea, che si trova in consonanza con l’antropolo-
gia biblica. Appunto questo approccio narrativo ci permette di comprendere
la difficoltà specifica delle persone in situazioni matrimoniali irregolari.2
L’identità umana è un’identità narrativa, poiché la persona solo può compren-
dere se stessa tramite il proprio racconto vitale, e solo sulla base di questo racconto
trova le ragioni giuste per agire. Il giudizio sulla incompiutezza o fecondità della
vita dipende dall’unità del proprio racconto, in quanto capace di riconoscere
un’origine, un fine e un percorso coerente tra i due. La mancanza di questo
­racconto vitale unitario porta ad una vita frantumata in episodi isolati, senza
connessione tra di loro e, in conseguenza, senza connessione con i racconti degli
altri e con il percorso della comunità.3
L’approccio narrativo ci interessa, in primo luogo, perché si tratta di un approc-
cio familiare: nella famiglia si riscontrano elementi fondamentali per dare unità
narrativa alla vita.4 Così, dalla memoria familiare conosciamo, tramite l’unione
dei nostri genitori, l’origine da cui proveniamo. Inoltre, la famiglia è anche il
luogo della promessa sponsale, grazie alla quale marito e moglie costituiscono uno
sfondo continuo di presenza mutua che ha la pretesa di conferire unità, non solo
a tutti i giorni della loro vita ma, al di là della coppia, ai giorni della vita del
figlio.5 È, infatti, a partire dalla promessa sponsale che il figlio nato dall’unione
potrà sviluppare il suo senso di unità narrativa della vita. Se il bambino sperimenta
l’appartenenza ad un tessuto temporale stabile, egli potrà, a sua volta, confidare
nella sua capacità di anticipare il futuro, imparando così a promettere.

2 Cf. A. Macintyre: Ethics in the Conflicts of Modernity: An Essay on Desire, Practical Reasoning,
and Narrative, Cambridge: Cambridge University Press, 2016, 231-315, il quale risponde anche
ad alcune critiche sulla teoria narrativa dell’identità; cf. anche C. Taylor: The Language
Animal: The Full Shape of the Human Linguistic Capacity, Cambridge, MA: Belknap Press of
Harvard University Press, 2016, 291-345.
3 Sull’esistenza di tipo episodico in cui manca l’unità narrativa della vita, può vedersi G. ­Strawson:
“Against Narrativity”, in: Ratio 17 (2004), 428-452, con la risposta di A. ­Macintyre: Ethics in
the Conflicts of Modernity, 239-242.
4 Per uno sviluppo più dettagliato delle idee che seguono, mi permetto di riferire a J. Granados:
Teologia del tempo: Saggio sulla memoria, la promessa e la fecondità, Bologna: Dehoniane, 2014.
5 Sulla fenomenologia della promessa, cf. P. Gilbert: “Je te promets”, in: Nouvelle revue
­théologique 136 (2014), 374-389.

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Da questo punto di vista possiamo capire l’importanza che possiede la stabilità


del matrimonio per l’identità narrativa della persona. Per assicurare che sia p­ ossibile
un racconto unitario della vita, dalla nascita fino alla morte, c’è bisogno di affidarsi
al filo rosso della promessa sponsale. L’indissolubilità appare, da questo punto di
vista, non solo come una proprietà negativa (vale a dire, il fatto che l’unione non
può dissolversi), ma soprattutto in chiave di dono positivo: afferma che la propria
vita può mantenere la sua unità lungo il tempo, maturando verso un futuro
generativo.
A questo è importante aggiungere che la fedeltà alla promessa sponsale, in
quanto assicura il vincolo tra le generazioni, non solo è capace di garantire l’unità
narrativa di una famiglia, ma anche l’unità narrativa del corpo sociale. Eliminare
da una cultura l’indissolubilità significa rendersi incapaci di dare unità al tempo
condiviso, perdendo così una fonte indispensabile di capitale sociale. Hannah
Arendt proponeva, quale unica possibilità per offrire coesione alla società nel suo
cammino temporale, l’esperienza della promessa, inseparabile da quella del per-
dono. Solo una società che perdona può liberare il passato, così come solo una
società che promette può proteggersi dalle incertezze del futuro.6
L’Antico Testamento conferma la forza narrativa della promessa sponsale
quando adopera quest’immagine per dire l’amore di Dio per Israele. Il Dio della
Bibbia, un Dio che si rivela nella storia, e la cui fedeltà all’Alleanza dona unità
al cammino del popolo, ha voluto esprimere quest’unità proprio per mezzo
­dell’amore sponsale.7 In questo modo, Dio non solo ha rivelato il suo amore per
Israele, ma anche la forza della promessa coniugale. Infatti, la promessa è resa
possibile poiché, nell’incontro dell’uomo e della donna si svela la presenza del
Creatore, che ha iscritto nei loro corpi la differenza sessuale e ha permesso
di ­sperimentare nel loro amore il Suo mistero. Solo in quanto uomo e donna
s’incontrano l’un l’altra nella dimensione del Creatore e in alleanza con lui, la
promessa sponsale può pretendere di unificare tutti i giorni della vita e aprirsi
al futuro nuovo del figlio.
L’unità narrativa che contiene questa promessa riceve una nuova misura per i
battezzati, i quali vivono il loro tempo alla luce del tempo di Gesù. In Cristo
l’alleanza di Dio con l’uomo è sigillata in modo nuovo perché, non è solo Dio a
rimanere fedele al patto, malgrado tutto; ma anche l’uomo, in Gesù, può rimanere
fedele, malgrado tutto. Cristo, infatti, lungo la sua vita terrena, ha costituito un
modo di ritmare l’esistenza che unifica pienamente il cammino umano, svelando
la sua origine e il suo destino definitivo nel Padre e istaurando un’alleanza per
sempre che porta unità a tutta la storia. Nell’Eucaristia, sacramento di questa
nuova alleanza, Cristo ha permesso ai suoi discepoli di partecipare alla sua iden-
tità narrativa, donando loro una memoria radicata nel Padre, una promessa che
si mantiene fedele anche davanti al tradimento estremo e la possibilità di un

6 Cf. H. Arendt: The Human Condition, Chicago, IL: University of Chicago Press, 1958.
7 Cf. A. Neher: “Le symbolisme conjugal: Expression de l’histoire dans l’Ancien Testament”,
in: Revue d’histoire et de philosophie religieuses 34 (1954), 30-49.

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futuro fecondo che porta la vita al di là della morte. Così come ogni figlio eredita
lo schema temporale della sua famiglia, così i discepoli di Gesù, tramite il batte-
simo, entrano in un nuovo modo di configurare il loro tempo, da cui mai potranno
essere staccati.
Questa capacità, portata da Gesù, di raccontare la vita in modo unitario, e la
nuova definitività che essa inaugura, non si realizza nel margine dell’alleanza
creaturale tra l’uomo e la donna, perché Gesù, assumendo la carne, è nato in una
famiglia e ha assunto il tempo delle generazioni dei figli di Adamo. Appunto
il rapporto indissolubile tra il tempo nuovo vissuto da Cristo e il tempo creaturale,
fondato sulla promessa degli sposi, costituisce il fondamento della sacramentalità
del matrimonio. Il sacramento del matrimonio accoglie, nelle stesse coordinate
di “una sola carne” (cf. Gen 2,24), la capacità nuova di Gesù di riunificare il tempo
dei fedeli. Chi si sposa nel Signore trova in questo sacramento la promessa capace
di dare unità a tutti i suoi passi, mantenendo viva la memoria dell’origine per
vincere ogni fragilità e ogni peccato.8 Confessare che il matrimonio è un sacra-
mento vuol dire accogliere il racconto di Gesù, e la sua fedeltà alla Chiesa, come
modulo narrativo della promessa sponsale, che offre nuove coordinate.
In questa luce si comprende l’insistenza di Amoris laetitia sul vincolo coniugale:
“la pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima
di tutto una pastorale del vincolo” (cf. AL 211). In questa visione, il vincolo non
è solo un’astrazione giuridica, ma soprattutto un altro modo di riferirsi alla pro-
messa, nella sua profondità per segnare l’identità personale. Il vincolo esiste per-
ché la promessa non rimane nella superficie della vita ma trasforma l’identità
dell’uomo nel suo profondo, permettendo agli sposi di edificare una storia uni-
taria e comune. Ecco perché si è potuto tracciare un parallelo tra il vincolo
matrimoniale e il carattere sacramentale:9 in ambedue i casi si tratta di un dono
permanente di grazia, che offre delle nuove coordinate all’edificazione della vita
nel tempo, mantenendo sempre aperta la via del ritorno alla sequela di Gesù.
È chiaro in questo modo che l’insistenza sul vincolo non vuol dire che si assume
uno sguardo statico sull’unione matrimoniale. Al contrario, in quanto legato ad
una promessa mutua, che poggia su una presenza e un dono di Dio, il vincolo è
dinamico e fonte di dinamismo. Chi promette deve essere continuamente pronto
a cambiare, vale a dire, ad adattarsi al nuovo rapporto con suo marito o sua moglie
e con Dio che ha unito entrambi. Quello che non cambia è l’orientamento
dell’uno all’altro e di ambedue a Cristo, per portare avanti il progetto del Padre.

8 È un punto ben approfodinto da Joseph Ratzinger nella sua “Introduzione al cristianesimo”,


quando collega la definitività dell’evento Cristo con l’indissolubilità del matrimonio: Ein-
führung in das Christentum, München: Kosel, 1998, 217: “Und abermals wäre zu sagen, dass
gerade diese scheinbare Fixierung auf den Entscheid eines Lebensaugenblickes dem Menschen
ermöglicht voranzuschreiten, sich Stufe um Stufe anzunehmen, während das fortwährende
Annullieren solcher Entscheide ihn immer wieder auf den Anfang zurückwirft und ihn zu
einem Kreisen verurteilt, das sich in die Fiktion der ewigen Jugend verschliesst und so dem
Ganzen des Menschseins verweigert”.
9 Cf. H. Rikhof: “Marriage: A Question of Character?”, in: INTAMS Review 2 (1996), 151-164.

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Questa dinamicità della promessa spiega perché gli sposi si debbano prendere
cura di essa ogni giorno, come sottolinea Amoris laetitia (AL 133-135). Essenziale
per mantenere la promessa è ricordare la sua origine in una chiamata di Dio. Chi
dimentica, infatti, non può essere fedele, come sottolineava Nietzsche quando
chiamava alla promessa la “memoria della volontà”.10 Essenziale è anche l’esercizio
del perdono, che si basa sulla convinzione che la promessa è sempre più profonda
di ogni offesa che minacci di distruggerla, proprio perché essa (la promessa) è
radicata sull’amore di Cristo.11
In altri termini, ciò che gli sposi ricevono nel sacramento del matrimonio è
la sicurezza che la loro vita comune è sostenuta da Cristo, poiché la loro promessa
affonda le radici nel Suo amore redentore. Essi sanno che sempre sarà possibile,
anche davanti alla fragilità propria o dell’altro coniuge, tornare a vivere d’accordo
con questa promessa, “accada quel che accada e nonostante qualsiasi sfida”, come
ci ricorda Papa Francesco (AL 132). Nel sacramento del matrimonio è donata
agli sposi una cornice narrativa, quella di Gesù e la Chiesa, che permette di
raccontare in unità tutti i loro passi, all’insegna quotidiana del perdono e della
promessa.

2. Situazioni irregolari e ferita narrativa

Queste considerazioni sulla narratività ci permettono di capire in modo nuovo


la sofferenza di chi si trova in una “situazione irregolare”. Al di là del significato
canonico del termine, che indica solo che si sta fuori della regola, ci interessa la
difficoltà che si vive e la ferita che essa causa. Si tratta, come vedremo in seguito,
di aver cercato di edificare l’identità narrativa, non attraverso la promessa del
matrimonio, ma secondo forme interrotte di raccontare, che impediscono di vivere
la vita come un tutto e la chiudono su sé stessa.
La convivenza prematrimoniale, ad esempio, significa un rifiuto di pronunciare
la promessa per tutti i giorni della vita. Questo rifiuto offre l’illusione di posse-
dere ancora il proprio tempo, ma significa in realtà che si è incapaci di contare
sul proprio futuro, che resta indefinitamente aperto. In questo caso il futuro,
invece di costituirsi come futuro fecondo di comunione, resta il futuro del pro-
getto personale isolato, un futuro sempre troppo breve e incapace di portare
novità.12 L’esercizio della sessualità, al margine di questa promessa, rimane legato
all’istante e tende ad isolarsi in se stesso, incapace di edificare il tempo comune
della coppia. Inoltre, la mancanza di stabilità narrativa influisce sull’identità degli

10 Cf. F. Nietzsche: Jenseits von Gut und Böse: Zur Genealogie der Moral, in: Werke VI/2, Berlin:
Walter de Gruyter, 1968, 308.
11 Per una visione filosofica del perdono, cf. C. Griswold: Forgiveness: A Philosophical Explora-
tion, Cambridge: Cambridge University Press, 2007; cf. anche P. Ricoeur: La mémoire,
l’histoire, l’oubli, Paris: Seuil, 2000.
12 Cf. N. Luhmann: “The Future Cannot Begin: Temporal Structures in Modern Society”, in:
Social Research 43 (1976), 130-152.

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eventuali figli dell’unione, che non disporranno di quel tessuto temporale stabile
fondato sulla promessa dei genitori, e faticheranno a sviluppare la loro capacità
di promettere.
Un’altra caratteristica della convivenza è l’incapacità di inserire il tempo della
coppia nel tempo della società (cf. AL 131-132). Di nuovo si delinea così l’illusione
di rimanere padroni del proprio tempo. Al contrario, quando manca il rapporto
con la comunità più ampia, l’unità narrativa diventa impossibile, sia per il singolo,
sia per la coppia, in quanto il tempo dell’uomo è sempre tempo sociale, bisognoso
di raccontarsi “di generazione in generazione”.13 Neppure le prime righe della
propria biografia possono scriversi senza far riferimento ad altri, in questo caso
ai nostri genitori.
Riguardo ai battezzati che vivono in un’unione meramente civile, il loro
­progetto narrativo è anche di portata ridotta, in quanto essi non vogliono sposarsi
davanti a Dio, mettendo il loro rapporto matrimoniale in relazione con il mistero
di Cristo. Il tempo della coppia si scollega dal tempo della loro identità cristiana.
Eppure, come ormai abbiamo segnalato, la promessa sponsale per tutti i giorni
della vita è possibile solo se si riferisce ad un progetto comune che supera ambe-
due gli sposi, e che è loro affidato da Dio. La struttura stessa del matrimonio
civile prevede di solito la possibilità del divorzio, perché non confida nella capa-
cità di costruire l’intera vita sul rapporto comune, in quanto la coesione del
matrimonio dipende solo dalla forza di ognuno di progettare il futuro.
La ferita, in questi due casi (convivenze, matrimoni meramente civili), consi-
ste nel fatto che non si riesce, per mancanza dell’integrità della promessa, a con-
ferire unità al proprio racconto vitale. Mentre la promessa sponsale apre la propria
storia in modo generativo (in quanto si è capaci di accogliere le radici del proprio
passato e di anticipare il futuro come un frutto) la mancanza di promessa lascia
il proprio racconto in un’apertura indeterminata e ripetitiva.
Nel caso dei divorziati che vivono in un’unione civile la situazione è più deli-
cata, in quanto si adotta un modo di vita contrario all’unione sacramentale valida.
La ferita nella narratività si esperimenta, in primo luogo, per l’apparente incon-
sistenza dell’amore sponsale a cui gli sposi si erano affidati per edificare in modo
stabile la loro identità. La possibilità di ricuperare la speranza insita nella promessa
(speranza legata intimamente alla propria vocazione) passa, nel caso in cui ci siano
delle gravi offese, attraverso la disponibilità al perdono. Promessa e perdono,
infatti, s’invocano mutuamente, in quanto il perdono poggia sulla sicurezza che
la promessa originaria sia più grande della colpa che ha voluto infrangerla, per
cui sempre è possibile ritornare a vivere secondo essa.
Inoltre, a questa ferita “narrativa” dell’avvenuta separazione, se ne aggiunge
un’altra, più grave, quando le persone, dopo il divorzio, intraprendono una nuova
unione. La ferita è più grave perché adesso, non solo si vive l’amore secondo una
narratività ridotta, ma si vuole negare il fondamento (presente nell’unione sacra-
mentale valida) che permetterebbe di fuggire dalla frammentazione della vita e di

13 Cf. A. Ramelow: “Are There Family Rights?”, in: Angelicum 88 (2011), 201-229.

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riuscire ad unificare il proprio racconto vitale. Si tratta del tentativo di vivere


come se la promessa non fosse esistita o non fosse più in atto. Questa seconda
unione non può avere, quindi, la pretesa di definitività che si accordava alla prima
unione, in quanto è proprio questa definitività che si nega quando si vuole dimen-
ticare il vincolo sacramentale valido.
Poiché a quella promessa sponsale si era affidata definitivamente la propria
identità personale e cristiana, non è possibile rimuoverla, immaginando un altro
possibile fondamento (cf. 1 Cor 3,11). Come insegna Amoris laetitia “l’unione è
reale, è irrevocabile, ed è stata confermata e consacrata dal sacramento del matri-
monio” (AL 218). In termini d’identità narrativa questo vuol dire che la possibi-
lità di riunificare l’intero cammino vitale passa per la fedeltà a quella promessa
sacramentale, fedeltà che sempre è possibile ricostruire per il cristiano con l’aiuto
di Dio, anche se ci vorrà un cammino paziente a cui è chiamata a collaborare
l’intera comunità ecclesiale.
Amoris laetitia, in riferimento alle persone che vivono un amore ferito e
­smarrito, parla di famiglie edificate sulla sabbia, e non sulla roccia (AL 8). Esse
hanno bisogno, quindi, di abbandonare la fragile situazione in cui si trovano per
riuscire a trovare un fondamento stabile. È chiaro, dopo la nostra analisi, cosa
significa edificare sulla sabbia: si tratta dell’incapacità di intessere un rapporto
coerente che sostenga tutti i momenti della storia personale, e riesca a raccontare
una storia di amore fecondo, con radici e frutti.

3. Integrare:
Risanare l’identità narrativa nella Chiesa che cammina dietro a Gesù

Descrivere la ferita, anche se dolorosa, è un compito essenziale della Chiesa


come ospedale da campo, che vuole accompagnare le persone verso la salute
integrale. A quale mèta condurre queste persone che vivono secondo un “amore
ferito e smarrito” (AL 291)? Ci aiuta ricordare (e ci dona speranza sapere) che
l’accompagnamento della Chiesa deve essere compreso come una sequela di
­Cristo. Accompagnare vuole dire sempre “seguire”. L’accompagnamento non può
avere, dunque, altro traguardo che quello di comunicare a questi battezzati il modo
di vita che Gesù ha vissuto e ci ha insegnato a vivere. Bisogna aiutarli a narrare
la loro storia secondo l’unità feconda della storia di Gesù.
È appunto questo che Amoris laetitia insegna nell’affermare che la Chiesa non
può rinunciare a proporre in pienezza il suo ideale, perché esso contiene l’unico
modo di rendere piena la vita umana. Questo ideale consiste, per le persone
sposate, nel vivere in fedeltà al matrimonio indissolubile. Ecco perché, come
abbiamo segnalato, papa Francesco sottolinea il bisogno di una “pastorale del
vincolo” (AL 211). Il Santo Padre riafferma anche con chiarezza l’insegnamento
cattolico sull’indissolubilità del matrimonio (AL 213-214; AL 218), vale a dire, sulla
capacità del matrimonio di dare unità, a partire dal dono di Dio in Cristo, al
cammino degli sposi, includendo tutti i giorni della loro vita (AL 213-214).

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Questo punto si rafforza quando Amoris laetitia conferma l’insegnamento


tradizionale sull’inseparabilità del contratto naturale e del sacramento tra i bat-
tezzati (AL 75), indicando così che la narratività della fede non si edifica nei
margini della narratività quotidiana della nostra vita. Il battezzato, il quale appar-
tiene per il carattere battesimale alla struttura narrativa che Cristo ha inaugurato
con la sua vita, morte e risurrezione (cf. Rom 6,3-11), può raccontare unitariamente
il suo tempo, solo se lo racconta secondo la misura di Cristo.
La conclusione, in termini dell’accompagnamento pastorale, è che la “situazione
irregolare” in cui questi battezzati vivono non può essere in nessun caso un punto
di arrivo. Nel momento in cui si rinunciasse alla mèta, infatti, saremmo fuori
della logica dei piccoli passi che propone Amoris laetitia (cf. AL 305, in riferimento
a Evangelii gaudium, 44). La novità di Amoris laetitia consiste proprio nell’invitarci
ad accompagnare il cammino di tutti, senza escludere quelli che vivono una s­ toria
frammentata, invitandoli a crescere con pazienza per poter porre come fondamento
il Vangelo di Gesù e ridare unità alla loro esistenza. La mèta per i conviventi così
come per gli sposati civilmente sarà, dunque, il matrimonio sacramentale. E la
mèta per i divorziati che vivono una nuova unione, può essere solo una vita in
fedeltà al vincolo sacramentale originario.
Contrariamente a quanto ho appena affermato, qualcuno ha suggerito che,
secondo Amoris laetitia, la situazione irregolare potrebbe proporsi come punto di
arrivo definitivo di un cammino di discernimento. Per sostenere questa conclusione
si dice che, secondo Papa Francesco, chi si trova in situazione irregolare non è
necessariamente in situazione oggettiva di peccato.14 Una seconda unione dopo
il divorzio, ad esempio, sarebbe pienamente legittima in se stessa, se si realizza
con fedeltà al nuovo partner e ci si prende cura dei figli, e potrebbe essere pro-
posta come mèta dell’accompagnamento. Il testo a cui si ricorre è AL 301, dove
si dice: “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situa-
zione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia
santificante”.
Si badi bene, tuttavia, che il passaggio citato non specifica se si tratta di una
situazione oggettiva, oppure soggettiva, mentre l’inciso che immediatamente segue
porta verso la seconda opzione di lettura, in quanto aggiunge “privati della grazia
santificante”, il che si riferisce all’ambito della colpevolezza soggettiva. Per togliere
ogni dubbio, poco dopo, l’Esortazione descrive coloro che si trovano in una
situazione irregolare “entro una situazione oggettiva di peccato” (AL 305).15
Ricordiamo, inoltre, che Amoris laetitia condanna senza mezzi termini la
“­gradualità della legge” (cf. AL 295). Se ci fosse gradualità della legge, allora una
persona che, per debolezza o incomprensione, non potesse compiere la legge, non

14 Cf. E. Schockenhoff: “Thomas von Aquin und die moraltheologische Perspektive von
Amoris laetitia”, in: Anthropotes 33 (2017), 303-311.
15 Cf. V. Fernàndez: “El capítulo VIII de Amoris laetitia: Lo que queda después de la tormenta”,
in: Medellín 43 (2017), 449-468: la situazione dei divorziati in una nuova unione “sigue siendo
una situación objetiva de pecado, porque sigue habiendo una propuesta clara del Evangelio
sobre el matrimonio, y esta situación concreta no la refleja objetivamente” (458).

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sarebbe obbligata alla sua osservanza. Rifiutando la gradualità della legge, Amoris
laetitia afferma che le persone in situazione irregolare sono anche in peccato
oggettivo.
Come vedremo, la via percorsa dall’esortazione esamina piuttosto le conse-
guenze della non imputabilità soggettiva della colpa, per cui può succedere che in
una situazione oggettiva di peccato, “si possa vivere in grazia di Dio, si possa
amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale
scopo l’aiuto della Chiesa” (AL 305).
L’integrazione piena nella Chiesa si potrà compiere, quindi, quando queste
persone siano capaci di vivere secondo la verità del loro matrimonio valido nel
Signore. Amoris laetitia intende avviare processi, in modo paziente, ascoltando e
tenendo conto dei piccoli passi che le persone fanno, ma in nessun momento
rinuncia a proporre la pienezza del Vangelo, che identifica con il matrimonio
indissolubile, in quanto capace di offrire un racconto completo all’esistenza della
persona, ricuperando l’unità narrativa della sua vita. Solo questo racconto unita-
rio, che poggia sulla fedeltà di Cristo alla Chiesa, è compatibile con il racconto
cristiano che la Chiesa vive e confessa nei sacramenti.
Abbiamo identificato, quindi, leggendo Amoris laetitia, sia la ferita narrativa
di questi battezzati, sia la mèta a cui bisogna accompagnarli. Resta da precisare
il cammino che si deve seguire per arrivare a questo traguardo. È qui che si trovano
punti di ambivalenza nella stessa Esortazione, che possono dare luogo a interpre-
tazioni diverse. Come metodo propongo, secondo ciò che ho fatto fino adesso,
di stabilire prima quello che è insegnamento chiaro di Amoris laetitia, e lasciare
per ultimo i passaggi ambivalenti, discutendoli alla luce di ciò che è palese.

4. Discernere: Quali le strade possibili?

È chiaro che per guarire una ferita profonda nell’identità narrativa delle persone,
sarà necessario proprio del tempo. Ecco perché si apre la sfida di accompagnare
questi battezzati fino a che riescano ad assumere nella loro vita l’unità del tempo
fecondo di Gesù. Vediamo alcuni momenti importanti in questo processo.
(a) In primo luogo è decisivo ribadire che l’accompagnamento non è respon-
sabilità soltanto del sacerdote o degli operatori pastorali, ma che il compito prin-
cipale ricade sulle famiglie cristiane stesse. Papa Francesco le considera, infatti, i
principali soggetti della pastorale familiare (AL 200). Proprio coloro che nella
Chiesa camminano nella vocazione matrimoniale sono chiamati a sostenere quelli
che vivono un amore “ferito e smarrito” (cf. AL 291).
Questo significa che l’accompagnamento nei casi difficili è possibile solo all’in-
terno di una riforma della pastorale familiare, come chiede la stessa esortazione
apostolica, seguendo il Sinodo dei vescovi (cf. AL 200). È necessario innanzitutto
insistere che la pastorale familiare non è una pastorale settoriale in più (come, ad
esempio, la pastorale dei giovani o quella dei malati), perché la famiglia è l’ambito
in cui si mette in gioco la vocazione della persona all’amore, e in cui si sviluppa

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in unità tutta la sua storia. Solo alla luce di famiglie che vivono il ritmo della
promessa e del perdono, all’interno del tempo della comunità ecclesiale, può
ridarsi fiducia a quelli che si sono smarriti, annunciando loro che è possibile
smettere di camminare in cerchi chiusi per ritornare alla sequela di Gesù, pienezza
del tempo.
Da tutto questo si può trarre una conseguenza. Anche se l’attivazione nella
parrocchia di gruppi specifici di separati o divorziati può aiutare in determinati
casi, non si deve dimenticare che l’integrazione deve darsi all’interno di tutta la
comunità ecclesiale. L’appartenenza a questi gruppi non può essere il punto di
riferimento primario per le persone in una situazione irregolare, in quanto si
correrebbe il rischio di isolarli in un’esperienza frammentata, senza beneficiare
dalla testimonianza di vita dell’intera comunità. Questo significa, inoltre, che la
pastorale per reintegrare le persone in situazioni irregolari va collegata all’accom-
pagnamento di tutte le tappe della vita familiare: la preparazione al matrimonio,
l’aiuto nei primi anni di matrimonio, l’educazione dei figli, le coppie anziane…
È per questo che nell’accompagnamento a questi divorziati è necessario inter-
rogarsi sull’influsso della loro nuova unione su tutte le famiglie (AL 300). In
positivo, si potrebbe invitare queste persone a capire come possono aiutare altre
coppie e, specialmente, i giovani che vogliono sposarsi. Ad esempio, riconoscere
la necessità che hanno di reintegrarsi nella Chiesa e accettare le tappe pazienti
della strada fino ad arrivare alla mèta è un modo di assumersi una loro respon-
sabilità concreta per il bene comune della Chiesa. Accettando la disciplina eccle-
siale riguardo alla loro situazione, e l’impossibilità di accostarsi ai sacramenti,
rendono testimonianza alle altre famiglie sulla indissolubilità del matrimonio
come un bene comune. Si tratta di un elemento decisivo di quella via caritatis di
cui parla Papa Francesco (AL 306).
Ricordiamo che il modo in cui la Chiesa accompagna i divorziati nella nuova
unione incide direttamente sul modo in cui essa accompagna i fidanzati al matri-
monio. Se si desse l’impressione, ad esempio, che il divorzio e la nuova unione
possono diventare un punto di arrivo dell’accompagnamento, allora sarebbe dif-
ficile presentare ai giovani l’indissolubilità come cammino reale di vita. Gli effetti
sui giovani fidanzati non si riverserebbero solo sul futuro, ma già nel momento
del matrimonio, in quanto nel loro immaginario esisterebbero strade possibili al
di là della fedeltà per tutta la vita. Si opererebbe così una riduzione di speranza
per i giovani sposi, poiché la Chiesa stessa non si farebbe più garante della loro
unione in ogni situazione. Ricordiamo che i giovani che iniziano il cammino,
data la fragilità odierna delle relazioni, sono i più vulnerabili e poveri: la pastorale
familiare non deve dimenticare l’opzione preferenziale per essi.
(b) Come accompagna la Chiesa questi suoi figli affinché siano capaci di ricu-
perare l’unità narrativa della loro vita? La prima consolazione è quella di invitarli
ad intraprendere una strada di conversione, prepararli poi a fare dei piccoli passi,
a camminare insieme con la Chiesa pellegrina e quindi a partecipare ormai in
certo modo del racconto di Cristo, come il figliol prodigo che si è messo in ritorno
verso casa. A questo riguardo Amoris laetitia sviluppa l’idea di Giovanni Paolo II

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J. Granados

in Familiaris consortio 34, sulla legge della gradualità come via pedagogica (cf.
AL 295). Secondo quanto abbiamo già segnalato, ci vuole del tempo per poter
ridare forma all’identità narrativa che si è frantumata: tempo per guarire le ferite
del passato e per imparare a progettare in modo nuovo il futuro.
Nel caso dei conviventi sarà necessario indirizzarli verso il matrimonio, pren-
dendosi carico delle condizioni sociali che rendono difficile sposarsi, specialmente
la visione emotiva dell’amore, contro cui ci previene Amoris laetitia (cf. AL 145).16
Bisognerà anche discernere se la situazione in cui si trovano i conviventi contenga
modi sbagliati di relazionarsi, verifica necessaria per provvedere ad un accompa-
gnamento più attento dopo il matrimonio. È possibile, ad esempio, che la loro
decisione di sposarsi risulti forzata, dovuta ai vincoli che hanno inconsapevolmente
assunto durante la convivenza, e non si dia un consenso pienamente libero e
deciso.17
Il caso più difficile è quello dei divorziati che vivono in una nuova unione,
perché si chiede loro una trasformazione più radicale nel modo di strutturare il
loro racconto vitale, il che includerà una trasformazione profonda del desiderio.18
Sappiamo che il passo ultimo del cammino sarà quello di abbracciare una vita
conforme al vincolo valido che hanno stabilito, abbandonando la nuova unione,
o, se questo non fosse possibile, accettando di vivere in continenza. È un orizzonte,
come abbiamo indicato, a cui Amoris laetitia mai rinuncia.
Amoris laetitia parla di “un radicamento della preparazione al matrimonio nel
cammino di iniziazione cristiana” (AL 206) e, in parallelo, si potrebbe pensare
anche ad un nuovo itinerario di conversione, ispirato a quelli usuali nella Chiesa
antica. È necessario sapere che questi itinerari non potranno avere un tempo
determinato, perché non dipendono da piani umani, ma dall’azione paziente
di Dio nel cuore delle persone, per rigenerarle, trasformando il desiderio secondo
il Vangelo. Può essere buono, iniziando questo cammino, istituire qualche segno
concreto, ad esempio l’imposizione del segno della croce da parte dal sacerdote.
In questo itinerario è essenziale invitare queste persone a praticare altre forme
di partecipazione al corpo di Cristo, tra cui Amoris laetitia segnala l’importanza
della via caritatis (AL 306). La carità, infatti, è la pienezza della legge, come ci
ricorda l’Apostolo Paolo, nel suo altro inno alla carità (cf. Rom 13,8-10). La sua
pratica aiuta a superare una visione privatizzata del proprio desiderio, per riuscire
a cogliere quella logica comunitaria che è propria della Chiesa, imparando a
“discernere il corpo” (cf. 1 Cor 11,29; AL 185-186).
(c) Nel caso dei divorziati che vivono in una nuova unione è necessario che
l’accompagnamento aiuti a guarire le ferite che, come si è indicato, sono molto

16 Cf. XIV Assemblea Generale Ordinario del Sinodo dei vescovi sulla vocazione e la
missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo: Relatio finalis, n. 29.
17 Cf. S. Stanley/G. Rhoades/H. Markman: “Sliding Versus Deciding: Inertia and the
­Premarital Cohabitation Effect”, in: Family Relations 55 (2006), 499-509.
18 Cf. A. Diriart: Le désir qui fait cheminer: Communion spirituelle et divorcés remariés, Paris:
Cerf, 2016; sulla trasformazione del desiderio, cf. il classico studio di H. Frankfurt: “Freedom
of the Will and the Concept of a Person”, in: The Journal of Philosophy 68 (1971), 5-20.

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Marriage, Families & Spirituality 23 (2017)

profonde, in quanto toccano l’unità narrativa della vita personale. Quando si è


arrivati ad una separazione matrimoniale o ad un divorzio, sembra che fallisca il
fondamento sul quale ogni persona è chiamata ad edificare la propria vita.
In questa luce, Amoris laetitia invita ai fedeli a interrogarsi sul comportamento
verso i loro figli e il loro marito o moglie, e sulle conseguenze sul resto della
famiglia e sulla comunità, specie sui giovani che si preparano al matrimonio
(cf. AL 300). Tornare su momenti dolorosi della vita è certamente delicato, ma
anche necessario, proprio per poter reintegrare ogni tappa della storia nell’insieme
del racconto vitale. Infatti, chi dimentica il passato non riuscirà a dare unità ai
propri passi, ed è condannato a vivere nell’istante isolato che, in ultimo termine,
diventa ripetitivo.
La memoria cristiana può esercitarsi senza paura solo alla luce dell’amore
originario di Dio, ravvivando la fede nella redenzione di Gesù. Si può compren-
dere, allora, che, anche se tutto sembra essere crollato, la promessa originaria che
il Signore ci ha fatto nel matrimonio è più profonda e più resistente, come
roccia ultima sulla quale si edifica l’unione coniugale. Si vedrà allora che le offese
provocate o sofferte non negano la verità della promessa sponsale, e possono
risvegliare nel penitente la fiducia che “la misericordia di Dio non viene negata
a nessuno” (AL 300) e che continua ad essere possibile tornare a vivere secondo
la fedeltà alla promessa. È questo anche il momento idoneo per verificare se
l’unione precedente fosse valida, oppure se sia necessario iniziare un processo di
nullità.
(d) Questo itinerario, come succedeva anche nel catecumenato antico, è un
cammino di ascolto della Parola di Dio, la quale sempre provoca e sfida il credente.
Le persone in situazioni irregolari che si avvicinano alla Chiesa lo fanno, in molte
occasioni, dopo anni di pratica insufficiente religiosa, in cui hanno trascurato
l’ascolto del Vangelo. Un cammino di crescita nella fede è essenziale perché
­possano abbracciare di nuovo lo stile cristiano di vita.
Questo ascolto riguarderà, in modo singolare, l’insegnamento di Cristo
­sull’amore umano, il matrimonio e la famiglia. La vicinanza alla Parola di Dio
aiuterà a conoscere “la verità dell’amore” (cf. AL 70; AL 77), e consentirà di
superare l’emotivismo contemporaneo, che invita a prendere le emozioni come
criterio ultimo del nostro agire. È un superamento specialmente necessaria per
chi vive in una situazione matrimoniale irregolare, vale a dire, per chi ha bisogno
di riconfigurare la propria storia in modo unitario. L’emotivismo, infatti, tende
ad imprigionare la persona nell’istante isolato, in quanto un’emozione non può
garantire la continuità nella storia.
Amoris laetitia contiene una critica chiara a questo emotivismo: “credere
che siamo buoni solo perché ‘proviamo dei sentimenti’ è un tremendo inganno”
(AL 145). Inoltre, l’Esortazione si riferisce alla verità dell’amore quando propone
di seguire il metodo di Gesù con la Samaritana: “rivolse una parola al suo desi-
derio di amore vero” (AL 294). Conoscere la verità dell’amore significa riconoscere
il suo fondamento nella promessa matrimoniale e ricuperare la fiducia che, con
la grazia di Dio, è possibile vivere in fedeltà alla sua alleanza.

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J. Granados

(e) Resta una domanda che abbiamo lasciato per la fine, proprio per essere
quella più dibattuta. Come si è mostrato, Amoris laetitia non rinuncia all’ideale
del Vangelo, contenuto nella dottrina cristiana: le “situazioni irregolari” si conti-
nuano a considerare situazioni di peccato oggettivo. Il cammino di accompagna-
mento, dunque, possiede una mèta chiara. Tuttavia possiamo ancora domandarci
se, prima di arrivare a quella mèta sia possibile ormai amministrare a questi
battezzati i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
C’è un punto in cui Amoris laetitia potrebbe sembrare aprire questa possibilità.
Si tratta della nota 351, in AL 305, dove si dice che l’aiuto della Chiesa a chi vive
in situazione oggettiva di peccato “in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei
Sacramenti”.
Una prima interpretazione della nota è subito da scartare, quella secondo cui
l’accesso ai sacramenti sarebbe possibile come mèta definitiva di un lungo cam-
mino di discernimento. Quando Amoris laetitia, infatti, seguendo il Sinodo dei
vescovi, parla di processo di discernimento (AL 300), non parla di comunione
eucaristica; e quando, andando al di là del Sinodo, parla di accesso ai Sacramenti
(AL 305, nota 351), non parla di un processo di maturazione, ma piuttosto delle
circostanze che attenuano la responsabilità (AL 302), sia per difetti della persona
(come l’immaturità affettiva o la forza delle abitudini: cf. AL 302), sia per influsso
dell’ambiente. Or bene, questi condizionamenti diminuiranno man mano che
andrà avanti il processo di discernimento e di accompagnamento pastorale.
Scartata questa possibilità, restano altre due interpretazioni della nota. La prima
legge in essa un cambiamento della disciplina eucaristica stabilita da san Giovanni
Paolo II in Familiaris consortio, 84 e da Benedetto XVI in Sacramentum caritatis,
29. La nota si applicherebbe a coloro che non hanno responsabilità soggettiva per
le loro azioni. Il testo di AL 305, dove si trova la nota 351, si riferisce infatti a dei
battezzati in uno stato tale, che non sono responsabili (o non lo sono pienamente)
dei propri atti, per cui questi atti potrebbero non essere imputabili.
Una difficoltà di questa interpretazione è che il procedimento non sembra
molto coerente. In primo luogo, sarebbe strano consentire di ricevere l’Eucaristia
proprio all’inizio dell’itinerario d’integrazione, quando più lontani ci si trova dalla
vita cristiana, spesso anche con un grande deficit nella conoscenza della fede, per
poi, una volta che si cresce nel cammino di fede, smettere di riceverla.
Inoltre, e soprattutto, un accesso all’Eucaristia che si basi solo sulla conside-
razione dello stato di grazia del soggetto, sembra partire da una visione intimi-
sta del sacramento, aliena alla struttura dell’economia sacramentale. La grazia,
nel sacramento, attraversa sempre la carne e i rapporti concreti in cui vive la
persona, e solo così tocca e trasforma l’interiorità del fedele. Che una persona
si trovi in grazia di Dio non significa che può ricevere i sacramenti, perché qui
c’è in gioco anche la visibilità e corporalità dell’evento cristiano. È un punto su
cui ha insistito a lungo la teologia del Novecento, quando ha indicato, ad
esempio, che la grazia sacramentale della riconciliazione con Dio veniva mediata,
nel sacramento della Penitenza, dalla riconciliazione con la Chiesa. Continua
ad essere vero ciò che insegnava Karl Rahner: “Gli atti del foro sacramentale,

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Marriage, Families & Spirituality 23 (2017)

come tutti i sacramenti, agiscono direttamente nel campo della coscienza, però
non si compiono solo nella sfera privata dell’intimo della coscienza, ma nella
Chiesa visibile.”19
Resta una seconda possibilità di lettura, la quale insiste sul fatto che la formu-
lazione della nota 351 è troppo vaga per poter applicarsi al caso specifico dei
divorziati in nuova unione civile.20 Essa non menziona situazioni irregolari mani-
feste e nelle quali si vuole rimanere, proprio le due condizioni segnalate dal canone
915 del Codice di Diritto Canonico per poter negare la comunione. Inoltre, non
si tratta, in questo caso, di una situazione irregolare come le altre, perché qui si
vive apertamente contro il vincolo sacramentale, e quindi in contraddizione con
la logica propria del Battesimo e dell’Eucaristia. È necessario, quindi, riferire la
nota ad altre situazione, e non precisamente al caso dei divorziati in una nuova
unione, di cui parla Familiaris consortio, 84 e Sacramentum caritatis, 29. In ogni
caso, basta sollevare un dubbio ragionevole sull’interpretazione, perché il testo
deva essere interpretato in coerenza con l’insegnamento chiaro e costante di altri
documenti magisteriali.21
Il vantaggio di questa lettura sta nella sua coerenza, non solo con il Magistero
precedente, ma anche con l’approccio narrativo che abbiamo sviluppato a partire
da Amoris laetitia. I sacramenti sono, infatti, il luogo dove nel quale vengono
comunicati i punti focali del racconto cristiano: la memoria dell’origine nell’amore
di Dio manifestato in Cristo, la fedeltà della sua alleanza, e l’apertura feconda
verso la pienezza di vita eterna. Se un battezzato non vuole ancora accettare­
queste coordinate basilari del racconto cristiano, sarebbe per lui un’incoerenza
riceverli e, per la Chiesa, un gesto di violenza amministrarglieli. Al contrario,
l’attesa nel desiderio della loro recezione è, da una parte, un invito verso un passo
ulteriore per ricuperare l’unità intrinseca della vita; e, d’altra parte, custodisce il
riferimento visibile di tutta la comunità ecclesiale verso il tipo di unità narrativa
vissuta da Gesù, riferimento essenziale per il bene comune della Chiesa.

19 Cf. K. Rahner: “Verità dimenticate intorno alla Penitenza”, in: K. Rahner: La penitenza
della Chiesa, Roma: Paoline, 1968, 86, n. 17.
20 Cf. D. Biju Duval: “Après Amoris laetitia”, in: Nova et Vetera 91 (2016), 393-415.
21 V. Fernández: “El capítulo VIII de Amoris laetitia”, 451-452, ha cercato di provare che la
lettera di Papa Francesco ai vescovi della regione di Buenos Aires (lettera in cui il Santo Padre
approva le loro linee guida per l’applicazione di Amoris laetitia, segnalando che “non c’è
un’altra interpretazione”) sarebbe un esercizio del ministero petrino. Il fatto, però, che siamo
venuti a conoscenza di questa lettera attraverso il filtro della stampa, getta un’ombra forte sulla
conclusione di Fernández. Inoltre, se questa conclusione fosse vera, si dovrebbero ritirare tutte
le altre interpretazioni che fino alla data sono state offerte dai vescovi nelle diverse diocesi, e
non sembra essere questo lo stile di un Papa che ha parlato di una “sana decentralizzazione”
(cf. Evangelii gaudium, 16). Per togliere ogni dubbio ragionevole al riguardo (l’onere della
prova ricade su Fernández, dato che il testo, prima facie, non è rivolto alla Chiesa universale),
si deve parlare di una lettera privata, in cui Francesco non ha voluto impegnare la sua autorità
petrina. La questione sull’interpretazione di Amoris laetitia resta dunque aperta alla legittima
discussione teologica.

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J. Granados

5. Conclusione

Davanti alla sfida della cura pastorale delle persone che vivono in situazioni
irregolari, Amoris laetitia percorre la strada dell’accompagnamento paziente.
­L’approccio narrativo che abbiamo proposto, seguendo le linee guida dell’Esor-
tazione, ci ha permesso di individuare la ferita di questi battezzati proprio in una
mancanza di unità narrativa della loro vita, a motivo della rinuncia ad edificare
il loro amore sul fondamento della promessa sponsale. In questa luce si comprende
ciò che segnala Papa Francesco all’inizio del documento (AL 8), quando parla
di persone che hanno edificato sulla sabbia i loro rapporti familiari. Identificato
il problema abbiamo descritto un itinerario che, all’interno di tutta la comunità
ecclesiale, offra la possibilità di ricomporre la propria storia, ricuperando la fede
nella promessa, per conformarla alla storia di Cristo, in cui si trova il “sì” a tutte
le promesse di Dio (2 Cor 1,21).

Summary
The Accompaniment of People in Irregular Situations according to Amoris laetitia:
A Narrative Approach
Amoris laetitia proposes, as a key to an integral family pastoral ministry, a patient
long-term accompaniment through the different steps of the development of the life
of a couple. Inspired by this dynamic perspective, the article applies a narrative analy-
sis of personal identity in order to understand both the wound that afflicts people
living in irregular situations and the possible stages in a path of healing. First, it describes
the difficulty common to all of these cases, identified as a lack of a narrative unity in
life arising from the refusal to build one’s existence upon the foundation of the spousal
promise. It then sets out the principal elements of a process that can give to these
baptized people the hope of reforming the temporal cloth of their personal story to
conform it to the story of Christ in which can be found the “yes” to all the promises
of God (2 Cor 1,21). Among the principal elements of the process, the author draws
attention to the participation of the entire ecclesial community such that families
themselves are the principal subjects of the pastoral accompaniment; the proclamation
of the truth of love that avoids an emotionalism that traps the person in an isolated
moment and does not allow them to see the whole of their life; the concern for
the ­common good of the Church, keeping in mind particularly the young people
who are just beginning their marriage journey. In this context, the article also offers
a possible interpretation of the most-debated point of the Exhortation, regarding access
to the sacraments by people in irregular situations.

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Marriage, Families & Spirituality 23 (2017)

José Granados è sacerdote religioso dei Discepoli dei Cuori di Gesù e Maria. Lui
è Vice Preside e professore ordinario di Teologia Dogmatica del matrimonio e la
famiglia presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Sezione Centrale (Roma).
È stato nominato da Papa Francesco consultore della Congregazione per la dottrina
della fede (aprile 2013) e consultore della Segreteria del Sinodo dei Vescovi (maggio
2015). Dal 2017 è membro del consiglio scientifico della rivista Gregorianum. È stato
Professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana (Roma) e all’Università
Cattolica di Santiago di Cile. Ha conseguito il Dottorato in Teologia alla Pontificia
Università Gregoriana, Roma (Premio Bellarmino). Egli è anche Laureato in
­Ingegneria Industriale presso l’Universidad Pontificia de Comillas (ICAI), Madrid.
Tra le sue pubblicazioni: Tratado general de los sacramentos, Madrid: BAC, 2017;
Una sola carne en un solo Espíritu: Teología del matrimonio, Madrid: Palabra, 2014;
Teología del tiempo: Ensayo sobre la memoria, la promesa y la fecundidad, Salamanca:
Sígueme, 2012; Signos en la carne: El matrimonio y los otros sacramentos, Burgos:
Monte Carmelo, 2011; La carne si fa amore: Il corpo, cardine della storia della salvezza,
Siena: Cantagalli, 2010; Teología de los misterios de la vida de Jesús: ensayo de una
cristología soteriológica, Salamanca: Sígueme, 2009; Called to Love: Approaching John
Paul II’s Theology of the Body, New York: Doubleday, 2009, con C.A. Anderson,
Betania: una casa para el amigo: Pilares de espiritualidad familiar, Burgos: Monte
Carmelo, 2010, con J. Noriega, Los misterios de la vida de Cristo en Justino Mártir,
Roma: Analecta Gregoriana, 2005.

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