Nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario del Sinodo dei Vescovi (17
ottobre 2015) Papa Francesco ha detto che la sinodalità è «il cammino che Dio si
aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Sono bastate queste poche parole a porre
il tema della sinodalità al centro della riflessione ecclesiologica odierna.
Mentre la Chiesa latina nel suo sviluppo storico ha mutuato dalle istituzioni
giuridiche romane l’istituto del collegium che sottolinea la dimensione associativa,
la tradizione orientale attraverso la prassi sinodale ha coltivato il rapporto tra le
varie membra del corpo ecclesiale sottolineando la dinamica partecipativa e
deliberativa. La sinodalità, nella misura in cui è strettamente legata alla questione
della partecipazione, chiama in gioco il rapporto tra Chiesa e democrazia. Il
Concilio Vaticano II non usa mai la parola “democrazia”, anche se in Gaudium et
Spes (n. 31) ne troviamo una definizione descrittiva: «È [...] da lodarsi il modo di
agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe
degli affari pubblici, in un’autentica libertà».
Se il termine sinodalità non è presente esplicitamente nel corpus dei documenti del
Vaticano II esso rappresenta di fatto una via di ricezione dello stesso evento
conciliare. Si realizza, infatti, una circolarità ermeneutica secondo la quale non si
può acquisire la prospettiva sinodale senza tenere presenti i principi che
provengono dal Vaticano II e, a sua volta, il magistero conciliare resterebbe
incomprensibile senza la chiave interpretativa della forma sinodale che esso stesso
celebra. «La sinodalità - ricorda Papa Francesco - non è […] la ricerca del
consenso della maggioranza, […] essa è uno stile da assumere». Discorso alla
delegazione dell’Azione Cattolica di Francia (13 gennaio 2022). Chiesa sinodale è
chiesa dell’ascolto: chiesa che nell’ascolto scorge l’orizzonte della triplice
dimensione della «comunione, partecipazione e missione».
Antonino Pileri Bruno