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MAURIZIO CHIODI
A quarantanni
dallHumanae vitae
Non esagerato dire che lHumanae vitae stato, se non il documento, almeno uno dei documenti del magistero ecclesiastico che ha
fatto maggiormente discutere, suscitando numerose critiche e obiezioni da una parte e un ampio schieramento di difensori dallaltra.
Oggi, almeno nel panorama ecclesiale e teologico italiano, le polemiche e le critiche si sono fatte meno aspre. Ma, al loro posto,
subentrato nei pastori un silenzio difficile da interpretare e nei credenti una pratica di vita che spesso in aperto contrasto e, pi frequentemente, ignora del tutto linsegnamento dellenciclica. Anche
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La Rivista del Clero Italiano
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nei teologi moralisti, dopo una polarizzazione del dibattito tra difensori e oppositori, oggi predomina o un silenzioso dissenso o una difesa a priori. Non sono mancate e non mancano, soprattutto a livello
ufficiale, diverse prese di posizione che hanno ribadito con forza linsegnamento dellHumanae vitae: basterebbe pensare alla Familiaris
Consortio (1981) e a Donum vitae (1987). Tuttavia non mi pare lontano dal vero affermare che nella predicazione ordinaria, cos come
nella catechesi parrocchiale fatta eccezione per alcuni gruppi di spiritualit coniugale o per istituzioni costituite ad hoc o per alcuni consultori cattolici e in parte perfino nei corsi per la preparazione al
matrimonio poco si parli dellenciclica.
MAURIZIO CHIODI
Lo sfondo culturale
Non c dubbio che, sotto un profilo teologico-morale, lHumanae
vitae implicitamente coinvolge la questione sessuale nella sua interezza. Anzi, pi complessivamente ancora, essa rappresenta un documento paradigmatico e significativo per comprendere i nodi, le questioni, le sfide e le difficolt relative a tutta la pratica morale del credente nel contesto della cultura contemporanea.
Lenciclica deve anzitutto essere posta sullo sfondo delle grandi
trasformazioni del costume civile moderno riguardo alla relazione
della coppia nel matrimonio, la sessualit e la generazione. A sua volta
questi cambiamenti vanno inscritti nelle trasformazioni culturali che
negli anni 60 si annunciavano e che oggi sono ampiamente diffuse,
non solo in Occidente, e che riguardano anche le convinzioni e lagire di molti credenti. Per citare soltanto due cambiamenti tipici della
modernit, in un senso molto generale, possiamo qui ricordare lattenzione e la riscoperta del soggetto da una parte e il rischio della sua
riduzione individualistica dallaltra, e la riscoperta del valore degli
affetti e delle emozioni che sono elemento decisivo nellesperienza
personale con il correlativo rischio dellemotivismo che trasforma il
ben-essere in criterio assoluto delle scelte etiche.
Pi in specifico, lesperienza umana del matrimonio e della sessualit oggi attraversata da profondi mutamenti riguardanti tanto lesperienza pratica quanto il sapere riflesso: laccentuazione del modello della famiglia nucleare, la privatizzazione del matrimonio, la netta
separazione tra privato e pubblico, lintimizzazione e la riduzione
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La grande questione che stava sullo sfondo delle discussioni avviate dai personalisti della prima met del Novecento riguardava il rapporto tra la sessualit coniugale intesa come forma di comunione damore e il significato della procreazione. Dopo quei dibattiti, sulla scia
del rinnovamento personalista, con Mounier, Lacroix, Madinier e
molti altri, nella teologia morale e nella filosofia di ispirazione cristiana, alla nozione di natura umana si preferiva sostituire quella di persona. Non si trattava o almeno non avrebbe dovuto trattarsi soltanto di un cambiamento nominalistico: una delle istanze che muovevano il cambiamento di parole, con il passaggio dalla terminologia
della natura a quella della persona, era il superamento del naturalismo
che, dando scarsa considerazione alla centralit del soggetto, finiva
per ricondurre la morale a semplice osservanza di una legge riferita a
una natura biologicamente determinata.
La questione di fondo, tuttavia, riguarda il senso del passaggio dallidea di natura a quella di persona: poich lidea di persona richiede
lelaborazione di un metodo e di unantropologia differente rispetto a
quella che ruota intorno alluomo inteso come natura umana, fino a
che punto doveva essere condotta questa svolta antropologica? In
altri termini, qual il rapporto tra lidea di natura umana e quella di
persona umana?
Alla questione antropologica si collega anche il tema, specificamente etico, della legge naturale. In modo estremamente sintetico a
questo proposito si pu porre un duplice problema: se la nozione di
natura umana viene sostituita, perch ritenuta troppo reificata, con
quella di persona umana, come si pu continuare a far uso della
nozione di legge naturale, che invece riposa evidentemente sulla
nozione di natura umana come dice lassioma: agere sequitur esse ?
E daltra parte, se si rinuncia alla terminologia della natura umana e
della legge naturale, come evitare un approccio etico che, rinviando al
soggetto, rischi di cadere in un soggettivismo che rinuncia allaffermazione della verit morale?
Un altro problema, legato ai precedenti, concerne levidente equivocit della nozione di natura, che effettivamente appare problematica: che cos la natura? Che cosa si vuol designare quando si parla di
natura? Con tale termine si intende la creazione, intesa come lambiente o il complesso della bio-geo-sfera oppure si intende la natura
delluomo come corpo, nella sua biologicit? Ma il corpo umano
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Come si vede, anche se in modo non tematizzato, sullo sfondo di questa problematica sta il rapporto tra il naturale e lartificiale e dunque
tra la natura e la tecnica. Che cosa naturale per luomo? E che
cos tecnico? Fino a che punto la tecnica, insieme con la scienza,
pu modificare il dato naturale e biologico senza modificare radicalmente loriginario che caratterizza lesperienza dellumano? Che
cosa significa dire che il rapporto sessuale, nella relazione della coppia, deve restare naturale e dunque naturalmente aperto alla generazione della vita? Fino a che punto pu spingersi luomo nel modificare e nel trascendere il suo limite corporeo, visto che questo non
coincide con il biologico, anche se lo include? In ultima analisi: che
rapporto c tra il facere della tecnica e lagere della libert?
Si pone qui un interrogativo riguardo al senso della tecnica, che
il fenomeno epocale che caratterizza la modernit. Non si pu certo
trovare il criterio della tecnica nel rimando a un naturale che identifica la natura della persona umana con la biologia del corpo. Ma
daltra parte non si pu prescindere dal corpo del soggetto, con le
relazioni nelle quali questi impegnato, per valutare eticamente il
senso di un intervento tecnico.
La questione impegnativa. Ma la sua soluzione non impone necessariamente unalternativa secca, tra naturale e artificiale. Lagire umano
infatti non rifiuta la tecnica, ma la riconduce entro il quadro di una
responsabilit personale, perch il sapere scientifico e il facere della tecnica implicano e si integrano, pur supponendone lautonomia, in un
pi ampio sapere sulluomo, che il sapere relativo al senso inscritto
nelle esperienze buone della vita la cui elaborazione compito dellantropologia e delletica. Anche qui si tratta di evitare degli eccessi:
luno consiste nellassegnare alla tecnica il potere di trasformare indiscriminatamente o assolutamente le condizioni del vivere umano, perch questo porterebbe a esiti inaccettabili. Il rifiuto di questo eccesso
per non pu significare la demonizzazione della tecnica, cosa che condurrebbe a unambigua esaltazione di un dato puramente naturale che
in realt nelluomo non esiste mai a uno stato puro.
Anche nella situazione specifica del rapporto tra matrimonio e sessualit, tra sessualit e generazione, e tra senso unitivo e procreativo
del rapporto sessuale nella relazione coniugale, il difetto consiste a
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mio parere nel cadere in due estremi che sono allo stesso modo problematici: da una parte c il rischio di ridurre la norma morale alla
legge biologica, in fondo riconducendo lamore coniugale a un
comandamento che si riduce a osservanza di una legge fisica, e dallaltra il rischio di ridurre la norma dellamore a un principio talmente astratto e intellettualista da prescindere dalle forme concrete
della relazione, e dunque dal darsi del corpo proprio nelle sue esperienze concrete. Il rischio speculare dunque duplice: o una
morale naturalista, che identifica losservanza di una legge biologica
con la norma morale, o una morale intellettualistica, nella quale ci si
appella genericamente al valore dellamore, e in specie dellamore
coniugale, in un modo tanto astratto da prescindere da qualsiasi sua
forma e determinazione pratica.
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Si potrebbe obiettare che questa soluzione di fatto gi stata adottata quando, in molteplici sedi basterebbe pensare ad alcuni dei
numerosi commenti emanati, nei primi mesi successivi allHumanae
vitae, dagli Episcopati cattolici di tutto il mondo (38 in tutto) oppure
al Documento (Official Communication) edito dalla Congregazione
per il Clero il 26 aprile 1971 per risolvere una controversia sorta nella
diocesi di Washington si distinto tra la oggettivit della norma e la
eccezione della coscienza: ci che oggettivamente continua a restare
illecito, si dice, potrebbe diventare soggettivamente difendibile o
per lo meno non gravemente peccaminoso: ma qui si aprirebbe laltra
questione, relativa alla valutazione della gravit morale dellagire.
Sotto il profilo pratico, certo, questa argomentazione sortisce il risultato di lasciare invariata la norma universale e oggettiva, affidandone
la applicazione qui di fatto in modo non puramente deduttivo
alla coscienza, considerata appunto nella tradizione manualistica la
norma proxima moralitatis. Ma questo approccio non risulta convincente, sotto il profilo teorico. Esso apre facilmente il campo a una
sorta di doppia morale, quella pubblica e oggettiva e quella privata
e soggettiva, legata al phoro interno, con il rischio reale che ci che
ufficialmente negato venga ufficiosamente permesso o tollerato.
Ma la vera questione teorica, assai viva nella morale tradizionale,
unaltra: ci che fa problema, la divisione tra loggettivo e il soggettivo. Classicamente, loggettivo veniva identificato con la formulazione
della norma, appunto considerata sempre oggettivamente valida, e il
soggettivo veniva identificato con lambito riservato alla decisione
della coscienza. Ci che fa problema in questa separazione tra oggettivo e soggettivo che in modo non reale in termini scientifici si
direbbe in modo non ermeneutico essa divide la coscienza, e cio il
soggetto morale, dal suo atto. Ora ci che si deve chiarire che latto,
che nella tradizione tomista era lobjectum o la materia, sempre latto del soggetto: e dunque latto (oggetto) sempre soggettivo, poich
la coscienza si attua e decide di s solo nella determinazione pratica
dellagire. Ci significa che la valutazione del significato morale dellagire quella che viene chiamata loggettivit dellatto non pu in
nessun modo prescindere dalla coscienza agente, e dunque dallesperienza personale e culturale, dalle circostanze e dalle relazioni nelle
quali essa coinvolta. La divisione tra oggetto e soggetto, assegnando
loggettivit alla norma e la soggettivit alla coscienza, separa nelluni525
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ca esperienza morale il profilo esteriore (materiale) dellagire e lintenzione soggettiva. In realt, lagire sempre unintenzione incarnata e
lintenzione unazione anticipata e/o immaginata. Questo implica di
riconoscere che la norma morale riguarda lagire intero del soggetto e
non soltanto il profilo esteriore della sua azione: altrimenti si cadrebbe in una sua interpretazione legalistica. Ma, ugualmente, la valutazione morale dellazione non pu procedere per semplice applicazione di
una norma oggettiva al soggetto, perch essa non pu non tener
conto del contesto, e si opera sempre a partire dalla coscienza stessa
nel discernimento concreto della sua ragion pratica.
MAURIZIO CHIODI
Teologia e magistero
Il personalismo stesso, al di l della sottolineatura dellistanza della
persona, con le sue varie elaborazioni teoriche, si mostra insufficiente a propiziare il superamento di tali complessi problemi. A tuttoggi,
dunque, il compito della teologia morale di riflettere sulle esperienze umane fondamentali buone perch originarie che danno senso
al vivere delluomo, perch lo costituiscono nella sua identit, che
da sempre in relazione con altri da s, come lidentit e la relazione
filiale, la relazione di coppia tra uomo e donna, la relazione fraterna,
la relazione sociale. Tra queste esperienze, certamente, la relazione tra
uomo e donna, nella forma della coniugalit, appare paradigmatica
per interpretare il senso stesso della relazione umana in generale: essa
rivela in tutta evidenza che la propria identit (maschile o femminile)
si costituisce nella relazione con laltro/a da s, allo stesso modo in cui
proprio nellimpegno suscitato da questa relazione che il soggetto
decide della qualit etica della propria libert.
in questo quadro che la riflessione teologica dogmatica, eticoantropologica, pastorale, spirituale, giuridica, canonica sul matrimonio come sacramento acquista unimportanza centrale. questa la
vera posta in gioco delle questioni aperte dallHumanae vitae. Nel
sacramento appare in modo chiaro come limpegno delluomo a decidere di s (etico), si fonda sul dono che Dio gli ha anticipato (teologico), affidando tale dono alla decisione della sua stessa libert, affinch esso possa davvero essere buono per lui. Come sacramento, il
matrimonio latto nel quale gli sposi celebrano nella Chiesa lagire
salvifico di Dio in Cristo nei confronti dellumanit tutta, affidando
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nel caso specifico a Lui la propria relazione di sposi. Essi, accogliendosi in una dedizione totale, fiduciosa e per ci stesso feconda,
si aprono a un dono di amore luno per laltro: e questo stesso amore
riceve il dono del figlio, nellatto generante, nel quale essi stessi accolgono lopera del reciproco amore come un dono ricevuto da Dio.
Quanto qui stato solamente accennato, ovviamente, richiederebbe di essere pensato in modo pi ampio e organico. In ogni caso, il
compito di una tale riflessione teologica non solo etica e antropologica, ma anche dogmatica, pastorale e canonica non pu in nessun
modo essere pensato in alternativa allistanza del magistero ecclesiastico, alla quale va riconosciuto il compito di giudizio supremo della
conformit o meno di unaffermazione teologica con la verit della
Rivelazione cristiana. Ma questo esercizio di discernimento suppone
il dibattito, anche vivace, della teologia.
Sotto questo profilo il compito del magistero ecclesiastico si pone
in relazione circolare e virtuosa con la riflessione teologica: lobiettivo comune quello di favorire le forme concrete della testimonianza
cristiana, tenendo conto in modo non accidentale delle diverse situazioni personali e culturali, non semplicemente per adeguarsi a esse,
ma per interpretare le esigenze universali delletico nelle mutate situazioni storiche.
Se questo vero, sarebbe un errore pensare che il magistero ecclesiastico, in rebus morum, non solo non sia passibile di interpretazioni
nuove, ma anche che un cambiamento di unindicazione normativa
dovrebbe significare il crollo delletica e della comprensione antropologica in essa implicata. In questa linea il compito del magistero
non anzitutto di fissare, una volta per sempre, le singole norme
morali: del resto, la stessa storia della tradizione mostra la possibilit
di questi cambiamenti, laddove non fosse in gioco un pronunciamento infallibile. Questo compito consiste soprattutto nel garantire e
orientare, con la specifica autorevolezza del magistero ecclesiastico,
una riflessione capace di condurre i singoli credenti e qui alla fine
la convinzione della coscienza risulta decisiva a interpretare nelle
diverse situazioni culturali, anche grazie al contributo sempre critico
della teologia e allo stesso sensus fidei, le forme della testimonianza
cristiana.
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