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della ragione predomina sino al XVII° secolo, sino al 1600: c’è una filosofia
razionalistica dove la dottrina dell’uomo e della natura è capace di svolgere la
funzione che una volta era svolta dalla religione. Questa convinzione di poter
attingere ad una struttura intelligibile comprensiva di tutta la realtà viene meno
con l’età moderna: la ragione rivela una tendenza a dissolvere il proprio
contenuto oggettivo. Si rivela più debole del concetto religioso di verità e più
facile ad arrendersi a interessi prevalenti, a subordinarsi ad essi e adattarsi alla
realtà qual è. Torna il tema della secolarizzazione del Cristianesimo. Inizialmente
la filosofia non si propone di negare l’esistenza di una verità oggettiva e questa è
la ragione del conflitto tra Illuminismo e mito e filosofia e religione: entrambe
pretendono di formulare una verità globale e oggettiva. Il pensiero vuole dare
fondamenti razionali a quella verità: c’è un terreno comune che spiega la
conflittualità tra religione e filosofia, tra Cristianesimo e Razionalismo europeo.
Poi questa lotta evapora nel momento in cui si decide che religione e filosofia
sono due branche della cultura totalmente distinte tra di loro: questo fa venir
meno il conflitto tra le due ma al tempo stesso la religione è ridotta ad un bene
culturale tra gli altri e viene negata quella pretesa di verità assoluta che aveva in
precedenza. In questo modo, però, secondo Horkheimer, si arriva a negare il
concetto stesso di oggettività della ragione, capace di una verità universale,
totale ed omnicomprensiva. Gli illuministi attaccarono la religione in nome della
ragione ma in definitiva - secondo Horkheimer - uccisero il concetto oggettivo di
ragione, quello da cui le loro stesse idee traevano forza. Oggi l’idea che ci sia una
ragione che possa percepire la natura eterna vera della realtà, che sia capace di
stabilirne i principi ultimi è giudicata una ragione metafisica e la metafisica è
equiparata a mitologia e superstizione. La ragione ha liquidato se stessa in quanto
strumento di comprensione etica, morale, religiosa e questo non ha prodotto un
ritorno alla religione perché è venuta meno la convinzione che ci potesse essere
una ragione depositaria della verità assoluta, qualsiasi forma essa assumesse. È
una verità che precedentemente si credeva comune alla religione, all’arte, alla
filosofia, alla politica e che si credeva uguale per tutto il genere umano: questo
viene meno. La morte della ragione speculativa si rivela catastrofica anche per la
religione. A questa ragione oggettiva si sostituisce una ragione formalizzata,
relativistica e nell’era industriale prende il sopravvento il principio dell’interesse
egoistico, principio basilare del Liberalismo. Questo però non è un principio
razionale di coesione sociale: il Liberalismo, per ottenere l’ordine, deve ricorrere
alla forza. Il Liberalismo è alleato del fascismo: nell’apparente libertà degli
interessi plurali, non riuscendo ad avere una base comune per uniformare, per
coordinare questi interessi, deve imporre l’ordine con la forza e diventa pertanto
fascista. Avendo rinunciato alla sua autonomia, la ragione diventa strumento che
si piega a contenuti eteronomi, altri. Il pensiero diventa parte del processo di
produzione. C’è un filosofo (Toenbie) che dice una frase attualissima: “nel mondo
dell’azione sappiamo che trattare animali ed esseri umani come se fossero cose
inanimate ha conseguenze disastrose. Perché supporre che trattare nello stesso
modo le idee sia meno sbagliato?”. Il rischio per il pensiero teoretico è quello di
trattare le idee come cose, come mezzi a disposizione. Di fatto è così: le idee
sono considerate come cose ed il linguaggio come strumento. Una volta che il
significato è soppiantato dalla funzione si usano concetti e parole come cose non
più da pensare: il pensiero rinuncia a pensare a se stesso. È il paradosso della
“Dialettica dell’Illuminismo”. Si impone una sorta di economia intellettuale dove
bisogna fare a meno di pensare i pensieri, le parole e limitarsi a utilizzarli come
semplici strumenti. La ragione soggettiva è adattativa: si adatta a ogni tipo di
contenuto e si lascia usare sia dagli avversari che dai difensori dei tradizionali
valori umani; fornisce tanto l’idea del profitto e della reazione quanto l’idea del
progresso e della rivoluzione. Si adatta ad ogni fine: per questo è così pericolosa.
L’Illuminismo, giunto ad un certo punto di sviluppo, tende a trasformarsi in
superstizione e paranoia, in nuova mitologia. A fine ‘800 era ancora possibile
riconoscere delle sacche di resistenza a questo modo uniformante di pensare:
Horkheimer si rifà ai simbolisti francesi (Baudelaire). Ci sono ancora reazioni di
non conformismo rispetto alla realtà: il soggetto esprime la volontà di resistere
all’adattamento imposto e all’irrazionalità della logica utilitaria. Ma nel XX°
secolo – secondo Horkheimer - si è raffinata la capacità di inglobare anche queste
forme di resistenza: viene meno il rimpianto per lo svanire della ragione
oggettiva, in realtà non si percepisce nemmeno il venir meno del significato della
realtà. Si accetta e ci si rassegna al fatto che non ci sia più un significato. Su
queste basi la filosofia vincente è il pragmatismo: idee, concetti e teorie sono
solo schemi di azione veri solo quando hanno successo. Le nostre idee sono vere
perché le azioni che le seguono hanno successo. Se falliscono, sono false. Il
pensiero, per dimostrare il proprio diritto a esistere, deve dimostrare la sua
utilità pratica: ecco l’astio del pensiero speculativo, che di fatto non serve a
nulla da un punto di vista pratico. Deve avere questa libertà interiore che magari
lo porta ad avere una ricaduta sulla realtà, ma di non rispondere
immediatamente alla domanda: a che cosa serve? Non è questa la domanda che
muove il pensiero filosofico. L’effetto è una umiliazione della ragione e qua
Horkheiemer fa un’osservazione acuta. Noi siamo – anche oggi – pieni di uomini
intelligenti, ma Horkheimer dice che l’uomo intelligente, per essere tale, non
deve solo saper ragionare in modo esatto: non è la capacità del ragionamento.
Intelligente è colui la cui mente è aperta alla percezione di contenuti oggettivi. Il
pensiero incontra qualcosa che non è pensiero, che è una forma di oggettività,
che non è la verità assoluta degli inizi, il valore assoluto: per i francofortesi è il
non identico, è ciò che si sottrae. L’uomo intelligente è aperto alla percezione di
contenuti oggettivi, di cui sa vedere le strutture essenziali e sa parlarne, sa
portarle al linguaggio, anche se in maniera mai esaustiva, mai risolutiva,
dirimente, perché non sono oggetti a disposizione.
Axley, autore de “Il mondo nuovo” del 1932, illustra bene questo processo di
formalizzazione della ragione. È un autore che va nella stessa direzione dei
francofortesi: riesce ad individuare quel processo in cui la ragione si trasforma in
stupidità, riesce ad individuare questo processo di rincretinimento generale.
Ripudiare ingenuamente questa degenerazione in nome della cultura di una volta
secondo Horkheimer è inutile, inefficace e non produce nessun effetto. Non ci si
può porre fuori e dire che cosa è meglio perché questo porta solo al disprezzo per
le masse, al cinismo e rafforza quella tendenza che la critica vorrebbe ripudiare.
Inizia in modo simile al precedente, dicendo che quasi tutti ritengono che oggi,
per la società, non sia stata una grande perdita quella del pensiero filosofico
perché il suo posto è stato preso da un mezzo ancora più potente che è il
pensiero scientifico. Naturalmente, anche in questo stato di cose, ci si rende
conto del bisogno di dare un fondamento teorico alle proprie gerarchie valoriali.
Vi è allora questa diffusa tendenza a rimettere in circolo delle filosofie di una
volta, della ragione oggettiva: ci sono dei revivals filosofici. Possono avere diversi
livelli: ci possono essere sistemi spirituali pseudo-scientifici, semi-scientifici o
pseudo-religiosi: lo yoga, lo spiritualismo, l’astrologia e il misticismo. Horkheimer
avverte che è un’operazione illegittima e fallimentare: il passaggio dalla ragione
soggettiva alla ragione oggettiva è un passaggio avvenuto non per caso. Questo
processo non si può invertire a nostro piacimento. Indietro non si torna. Se la
ragione soggettiva ha potuto soppiantare la ragione oggettiva, ha potuto
distruggere le fondamenta di convinzioni che erano state parte essenziale della
cultura occidentale, ciò significa che quelle fondamenta erano troppo deboli.
Fossero state forti e radicate non ci sarebbe stato questo processo. Se la ragione
oggettiva si è fatta sopraffare dalla soggettiva, di per sé più debole, più legata al
soggetto umano finito, allora questo significa che non si può tornare a riprenderla
dopo la sua crisi, il suo passaggio nella ragione soggettiva. La ragione della sua
debolezza è che le idee, le cose non restano mai uguali a se stesse: una cosa che
poteva valere ed essere forte in quel contesto, in quel tempo, in altri contesti e
realtà sociali non vale più nella stessa maniera. Quindi Horkheimer dice: non si
possono riprendere vecchie dottrine per salvarci dal caos perché significa solo
cercare di colmare le proprie lacune (è il Dio tappabuchi bonhofferiano): è l’idea
di qualcosa di forte che serve a colmare ciò che non c’è. Quello però non è Dio, è
la proiezione del soggetto.
Qual è il paradosso? In questo caso all’assoluto si fa ricorso come ad un mezzo.
Quell’assoluto è un mezzo e la ragione oggettiva diventa un metodo utile a scopi
soggettivi. Questo è l’esito dello stravolgimento.
Gli avversari dei neo-tomisti sono i neo-positivisti che sanno che prima o poi il
dogmatismo, di cui accusano i neo-tomisti, porta il pensiero ad un punto morto.
adattarsi. C’è un carico enorme di frustrazione che comunque viene utilizzato dal
sistema.
forza cogente in sé, ma mi sono stati imposti. E qui si danno due possibili
reazioni: o la ribellione o la rassegnazione.
• Il conformismo servizievole.
Hitler si rese conto che i metodi di persuasione razionale non erano efficaci
perché non in sintonia con la parte istintuale e repressa a cui lui si rivolgeva.
Quella parte andava colpita perché era quella di un popolo civilizzato solo
superficialmente. Così era il popolo tedesco in particolare, ma il discorso vale
sempre e ovunque. La nostra civiltà è fatta di individui superficialmente
civilizzati in cui è facile, grattando un po’, raggiungere gli istinti profondi che
rendono le persone manipolabili perché risvegli in loro esattamente la cosa che
interessa, che non è l’adattamento, il conformismo. La nostra civilizzazione è
fragile: per quello l’olocausto e il totalitarismo sono sempre possibili. Nel
fascismo moderno la razionalità ha toccato un punto in cui non si accontenta più
solo di dominare la natura ma sfrutta la natura incorporando nel proprio sistema
gli istinti ribelli latenti nell’inconscio.
I nazisti utilizzarono gli istinti repressi del loro popolo e il fascismo presenta
questa sintesi satanica di ragione e natura. In America la situazione è uguale per
quanto riguarda il rapporto della ragione con la natura: c’è ugualmente la
tendenza molto forte a dominare la natura che in America ha assunto la forma di
un darwinismo popolare, proprio di una cultura di massa. È quindi la mentalità
della sopravvivenza del più adatto: questa sta alla base dell’etica e della norma
di comportamento. In questa mentalità la ragione diventa un organo: lo spirito e
la mente diventano cose della natura. In altre parole la ragione pure mentre
svolge la funzione di dominare la natura si riconosce parte di essa: è qualcosa di
organico che sopravvive solo perché più efficace. L’idea implicita in tutta la
metafisica idealistica (il mondo è prodotto dello spirito) in questo caso si rovescia
nel suo opposto: lo spirito è un prodotto del mondo, dei processi naturali. Questa
equazione di ragione e natura fa sì che la ragione venga svilita e la natura
esaltata nella sua primitività: è uno dei paradossi dell’epoca della
razionalizzazione. Anche nel caso in cui la natura venga esaltata nella sua
primitività, la natura è misconosciuta: non considerata – dice Horkheimer – un
testo che la filosofia dovrebbe interpretare: in questo caso essa racconterebbe
una storia infinita di sofferenze. L’umanità può riconciliare ragione e natura,
sicuramente non commettendo l’errore di metterle sullo stesso piano. Occorre
salvare il rapporto ma mantenendo la distinzione: l’errore sta nell’identificarle
perché questo snatura entrambi i termini: e la ragione e la natura. Le dottrine
che esaltano la natura in realtà non favoriscono la riconciliazione con essa e, al
contrario, aumentano la cecità nei suoi confronti. Ogni volta che la ragione
sceglie la natura come principio – dice Horkheimer – regredisce agli impulsi
primitivi. È naturale che ci siano delle esperienze in cui questo è giusto: i bambini
e gli animali esprimono degli impulsi naturali e possono anche essere crudeli. La
lettura della natura non è mai sempre univocamente positiva per la Scuola di
Francoforte perché la natura è anche la prima entità che pone un dominio
sull’uomo, è anche una natura matrigna, ha degli elementi di malvagità o di
freddezza verso l’uomo: la natura è tale anche senza l’uomo, per cui non tiene
conto dell’uomo. C’è allora un aspetto positivo e un aspetto negativo: esistono in
natura dei comportamenti anche umani, nel caso del bambino, che sono previsti,
fan parte della crescita degli esseri umani. Il bambino può anche essere malvagio
in ragione della sua spontaneità però per Horkheimer sono innocenti perché non
ragionano. Se la stessa cosa avviene nell’uomo adulto, questo ha il significato di
una regressione colpevole. C’è una responsabilità nel caso in cui il filosofo o il
politico abdicano alla ragione arrendendosi alla realtà. Il capitolo si conclude
dicendo che bisogna riconoscere che siamo eredi dell’Illuminismo e del progresso
tecnico: questo è qualcosa che ci appartiene come eredità ed è inutile rinnegare
quest’eredità regredendo a stadi primitivi perché in questo caso non faremmo
altro che sostituire delle forme ragionevoli di dominio sociale con altre forme di
dominio assolutamente barbariche. Quando l’uomo torna alla natura e lo fa dopo
essersi emancipato da essa, l’esito è sempre il regresso, la barbarie. L’unico
modo per agitare la natura sta nel pensare, nel togliere ogni vincolo a quello che
sembra il suo avversario: il pensiero indipendente. Solo il pensiero può
riconoscere la distinzione e la relazione tra ragione e natura. Questo rimedio lo si
trova nei francofortesi e in Hannah Arendt: il male è sempre legato all’assenza di
pensiero, alla distorsione dell’attività del pensare. Se gli uomini si riappropriano
di questa capacità che è per i francofortesi anzitutto una capacità critica, è
possibile sperare qualcosa di diverso.