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Donne e Chiesa

Storia del Cristianesimo e delle Chiese (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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DONNE e CHIESA
UNA STORIA DI GENERE
Negli ultimi quarant’anni si sono sviluppate letture storiche di “genere”, women’s studies e gender studies, che hanno
portato allo sviluppo di studi anche sulla vita religiosa delle donne (storia del cristianesimo vista già di per sé come
secondaria).
La storiografia ha quasi sempre messo in atto una selezione che ha tralasciato il vissuto femminile. Ma la storia è un
intreccio di relazioni nella quale non si può escludere uno o l’altro sesso. Maschile e femminile interagiscono nello
stratificarsi di una vita sociale e culturale, entro spazi di scambio e arricchimento.
In questo caso si specifica “storia di genere” in quanto si pone attenzione sulle donne per dar voce alla loro storia
finora resa invisibile culturalmente e istituzionalmente; si parla delle donne, ma non si escludono le connessioni tra i
due sessi, in una metodologia inclusiva.
Una storia del Cristianesimo dal “punto di vista femminile”, per dar luce al ruolo che le donne hanno avuto nello
sviluppo dell’organizzazione religiosa, nella comprensione dei testi, nel loro codificarsi e tramandarsi – dando avvio
ripensamenti sul rapporto tra testo sacro e dignità della donna.
In modo che l’identità di genere non svanisca fagocitata dall’esperienza maschile elevata a modello universale, ma si
ponga contestualmente, con le relazioni di reciprocità tra uomini e donne.
La questione femminile entra nell’identità culturale, nel sistema sociale e politico, e investe anche aspetti
antropologici, il sistema valoriale, la visione della storia. Vita di fede espressa dal femminile e dal maschile.
Le religioni sono veicoli di appartenenza, a livello profondo dell’essere, ma anche perché assegnano ruoli nel
contesto della fitta trama di relazioni sociali.
Anche le donne hanno messo in atto pratiche di vita religiosa, ma sono viste storicamente più per la presenza
operativa che per una costruzione teorica, più per quotidianità che per grandi azioni.
La politica ecclesiastica, con insegnamenti confessionali poco efficaci nei contenuti, ha svilito l’apporto della
religione cristiana nella costituzione della cultura occidentale, portando a una situazione paradossale per la quale
l’Italia cattolica manca di una solida cultura che riconosca dignità alla storia religiose e al valore del cristianesimo.
Carenza culturale ampliata dall’esclusione delle donne, la cui storia non è integrata nel corpus delle discipline laiche
e teologiche. L’esperienza delle donne nella storia del Cristianesimo, in particolare della Chiesa cattolica,
rappresentavano infatti un vuoto storiografico, anche nei duemila anni di storia della Chiesa si intrecciano
esperienze maschili e femminili.
→ La storia delle donne non segue una linea continua e progressiva, essendo legata alle dinamiche sociali e religiose
del corso della storia.
Il libro analizza, da una parte, le ripercussioni che avvenimenti storici e scelte istituzionali che hanno avuto
sull’universo femminile, dall’altra, le risposte delle donne che hanno reagito e il contributo che hanno dato dalla loro
esperienza religiosa.
In una Storia in cui si è continuamente ripresa la concezione di inferiorità femminile, fisica, morale e giuridica, esiste
una storia fatta dalle vite singole o di comunità di donne, segnate da esperienze con il divino e quotidiane scelte
etiche, che testimoniano dolore e sopruso, ma mettono in luce presenze autorevoli, azioni positive, nuove domande di
fede, operosità teologale e capacità di occupare spazi di libertà pur nei momenti di oscura oppressione.
Le grandi svolte sono contraddistinte da ruoli diversi nel campo dell’esperienza cristiana: discepole, guide
autorevoli, mistiche, profetesse, utopiste, teologhe.
La ricostruzione della rete di rapporti tra uomini e donne ha presentato alcuni “campi d’ambiguità”:
- la questione della paterinità o maternità delle fonti storiche, spesso trascrizioni maschili, o del divieto alla scrittura
femminile e controllo dell’ortodossia degli scritti di autrici donne, spesso “aggiustati” successivamente da uomini.
Intromissioni, correzioni o forse anche manipolazioni.
- rapporti di forza, non vi è solo subordinazione nel modello di vita religiosa femminile. Il monastero, ad esempio, per
molte donne è stato luogo di oppressione, ma per altre anche occasione di crescita umana, culturale e spirituale. E
non sempre gli uomini di Chiesa sono stati oppressori, ci sono casi di preti che hanno sostenuto e incoraggiato le
donne nel loro cammino di fede. Ci sono anche donne che hanno saputo dirigere ed esercitato volontà su uomini (es.
le badesse nei monasteri).
- omologazione o originalità, ambiguità e dubbi tra modelli imposti o scelte, devozione passiva o presenza viva (es. il
nubilato).
- principi teorici e realizzazioni pratiche, tra rappresentazione teorica e vissuto pratico non c’è sempre coincidenza,
anche se la condizione reale della donna non può prescindere dalla posizione giuridica, o dalla visione antropologica
che ha influenzato l’organizzazione sociale e la struttura ecclesiastica. La marginalità femminile si è verificata
nonostante il proclamo del principio di uguaglianza cristiano, per non intaccare i ruoli di potere assunti dagli
uomini, e si è mantenuta portando avanti il concetto di disuguaglianza dei sessi derivato dall’innesto dalla filosofia
greca nella riflessione teologica – androcentrismo di Aristotele.
LA RIVOLUZIONE MANCATA (secoli I-IV)

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Gesù di Nazareth: un riformatore inclusivo


La figura storica di Gesù di Nazareth, e il passaggio tra l’annuncio del Regno e la nascita della religione cristiana,
mancano di una ricostruzione attendibile. Gesù non ha lasciato scritti, ci resta un corpo di tradizioni orali e scritte
che rispondevano ad esigenze identitarie e apologetiche per coloro che ne seguivano gli insegnamenti riconoscendo
in lui il Messia.
Le prime testimonianze in ordine cronologico provengono dalle Lettere di Paolo, scritte tra il 50 e il 58 d.C., ma
queste offrono pochi elementi sugli aspetti storici di Gesù, dato che erano lettere finalizzate all’attività missionaria e
a risolvere problemi delle comunità a cui erano rivolte e a cui Paolo rivolge la sua riflessione cristologia e teologica.
Ci sono poi le ricostruzioni scritte tra il II e il IV secolo, dalla letteratura cristiana, considerata canonica o apocrifa,
in base al canone biblico per il Nuovo Testamento definito nel IV secolo, che comprende 27 testi che presentano
pluralità di tradizioni e esperienze comunitarie.
I Vangeli canonici sono 4 e furono scritti tra il 70 e la fine del I secolo: quelli di Marco, Matteo e Luca, sinottici,
attingono a fonti comuni; e quello di Giovanni. I Vangeli non sono una cronaca storica degli avvenimenti, ciascuno
ha una propria interpretazione e parlano di Gesù e della sua vita pubblica all’interno di prospettive teologiche.
I testi apocrifi danno ulteriori e interessanti prospettive interpretative della figura di Gesù.
Dalle testimonianze si possono evidenziare caratteristiche del messaggio e dello stile di vita di Gesù, a partire da
elementi storici sicuri: appartenenza al popolo ebraico, battesimo, predicazione, pratiche di guarigione, conflitto
autorità religiose, crocifissione imposta dai Romani.
Le fonti, nonostante riportino informazioni parziali e selezionate, sono concordi nel mostrare di lui novità di
dottrina e di comportamento.
Gesù è un ebreo, nato sotto il regno di Erode, che all’età di circa trent’anni inizia a predicare nelle sinagoghe della
Galilea. Profeta escatologica, annunciava l’avvento del Regno di Dio. Riformatore all’interno della cultura ebraica,
che interpreta con radicalità e libertà le prescrizione legali dell’ebraismo, ponendo al centro la dignità della
persona. Predicatore carismatico, leader religioso, che intreccia rapporti e costruisce intorno a sé un gruppo aperto
e antielitario.
I Vangeli sono concordi nell’attestare un seguito femminile che accompagnò il Maestro per tutta la sua vita; figure di
spicco Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, Salome e molte altre. Donne che si distaccarono dal
gruppo domestico per unirsi alla comunità discepolare, inclusiva e non discriminatoria di Gesù. Egli si confronta e
discute con le donne, in dialoghi empatici, ascolto, partecipazione affettiva, spazi di azione e scelte radicali.
Riforme professate da Gesù:
· Legge. Al mondo ebraico che separava in modo netto casta sacerdotale e popolo, degni e indegni, puri e impuri,
giusti e peccatori, uomini e donne, Gesù pone l’alternativa di una convivenza che si fonda sulla prossimità verso
l’altro.
Secondo queste categorie le donne non erano pure a causa delle mestruazioni (per gli ebrei sangue impuro), non
potevano quindi partecipare alle attività di culto, ed erano tenute sotto osservazione per evitare contaminassero il
sacro; allontanate quasi come se contaminassero ciò che le toccava.
Con Gesù il corpo della donna non è più luogo dell’impurità: incontra una donna che aveva continue perdite di
sangue, ridona vita ad una ragazza morta, si fa toccare dal corpo di una prostituta → «Dio sconfigge l’impurità e
niente può rendere immonda una persona, se non il male che compie.» (MC)
All’esasperato rispetto del riposo sabatico che vietava lo svolgimento di innumerevoli attività, Gesù contrappone la
priorità dell’aiuto del prossimo anche in quel giorno.
Gesù non abroga la legge giudaica, ma la rifonda a partire dall’amore come principio.
· Tempio _ Nell’ebraismo il Tempio demarcava la sfera del divino e la sfera dell’umano; era luogo esclusivo di
presenza della divinità e al suo interno aveva una rigida delimitazione degli spazi che consentiva la vicinanza al
sacro per gradi, concentrica (Sancta sanctorum, sacerdoti, uomini, donne, pagani).
Gesù rompe questo schema dicendo che Dio non si incontra solo nel Tempio con l’intercessione dei sacerdoti.
È emblematico un racconto nel Vangelo di Giovanni, che ha come protagonisti Gesù ed una donna della Samaria,
luogo considerato dagli ebrei impuro e scismatico. I due si incontrano al pozzo e Gesù le dice che «i veri adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità». Il vero culto quindi proviene da Dio, o dalla purificazione; il centro della vita
religiosa non è il Tempio, ma attinge dallo Spirito.
· Patriarcato _ Gesù non pronuncia parole sulla gerarchia dei sessi o richiami al peccato originale per mezzo della
donna. Egli attraverso parole e insegnamenti, reinterpreta e attualizza la Torah in un rinnovato rapporto filiale con
Dio.
Le parabole della misericordia riportate nel vangelo di Luca rappresentano Dio in un modo lontano dall’idea di un
padra-tiranno-giudice impietoso; indicano un padre materno, misericordioso, che accoglie.
Il Dio di Gesù non vuole sottomissione, non parla di timore, ma di amore e di perdono. È la Sapienza preesistente alla
creazione, la chioccia che protegge i pulcini.
Nell’apocrifo Vangelo degli ebrei, ha per madre lo Spirito Santo, richiamo al volto femminile di Dio presente già nella
Prima Alleanza – ruah = Spirito, in ebraico è di genere femminile.

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La riforma della fede ebraica indicata da Gesù, colpiva il sistema religioso e comportava nuove dinamiche
relazionali esenti dalle logiche gerarchiche e discriminatorie, le donne hanno quindi possibilità di una nuova
collocazione.
L’ingresso in Gerusalemme, la cacciata dei mercanti dal Tempio provocarono la reazione delle autorità giudaiche e
l’intervento dei Romani, che lo processarono e condannarono come ribelle politico. La morte di Gesù per crocifissione
fu la risposta religiosa e politica alle speranze messianiche confluite nella sua persona.
Le donne che lo seguirono nell’itineranza missionaria, lo accompagnarono fino alla morte, e furono anche coloro che
annunciano la tomba vuota, e quindi la resurrezione. Per il vangelo di Giovanni, in particolare, Gesù appare risorto
Maria di Magdala per prima, e poi agli altri discepoli.
La fede nel Risorto permise al gruppo di ricompattarsi dopo la morte del Maestro.

Dopo la morte di Gesù si formarono diverse cristologie, oggetto di dispute già nei primi secoli del cristianesimo, che
troveranno compiuta formulazione nei primi quattro concili ecumenici (Nicea, 325; Costantinopoli, 381; Efeso, 431;
Calcedonia, 451).

Donne
All’interno di questo quadro è problematico cogliere il peso che le donne hanno avuto alle origini del cristianesimo.
Le narrazioni hanno un punto di vista maschile che ha selezionato e tramandato gli episodi essenziali per la fede. Si
possono tuttavia tracciare segni del ruolo femminile e come si è evoluto dall’analisi delle presunte parole e
atteggiamenti di Gesù – circondato anche da donne –, e le pratiche di vita che le comunità hanno poi assunto –
progressiva emarginazione femminile nella vita delle comunità a man mano che si strutturano.
Un primo momento di svolta, determinante per la storia delle donne, si trova nel NT nelle Lettere pastorali (Prima e
Seconda lettera a Timoteo, Lettera a Tito) erroneamente attribuite a Paolo, ma di una tradizione successiva che fa
emergere un’organizzazione gerarchica che prevede la sottomissione della donna.
«La donna impari in silenzio, con perfetta sottomissione. Non permetto a nessuna donna di insegnare, né di dominare sull’uomo; piuttosto se
ne stia in silenzio. Perché prima è stato fatto Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu
la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di preservare nella fede, nella carità e nella santificazione, con
modestia.»
Processo di evoluzione del cristianesimo determinato dalla separazione dal giudaismo e dal rapporto con la cultura
greco-romana, per il quale prima era perseguitato, poi divenne religione dell’Impero con l’editto di Teodosio nel 380.
Le donne in questo processo assumono ruoli diversi, da discepole, apostole, diaconesse, martiri, monache ecc.

Paolo e le donne
Paolo di Tarso era un cittadino romano che ebbe formazione giudaica, ed era immerso nella cultura ellenistica. Non
conobbe direttamente Gesù, inizialmente ne era oppositore, poi dopo una visione si convertì e divenne uno dei
massimi promulgatori della nuova fede. Le sue Lettere, specchio della vita delle prime comunità, sono i primi scritti
del cristianesimo; 7 sono sue autentiche (Prima lettera ai Tessalonicesi, Prima e Seconda lettera ai Corinzi, Lettera ai
Filippesi, a Filemone, ai Galati, ai Romani), altre 6 sono pseudo paoline, posteriori. Queste ultime vedono riferimenti
a rapporti gerarchici tra i sessi.
Ma se si considera la teologia di Paolo si trovano elementi di novità in rapporto alle donne, in primis il fatto che la
fede in Dio supera ogni disuguaglianza.
Paolo è convinto che la novità cristiana sia un cambiamento della vita dall’interno e non dal punti di vista sociale. Il
cristiano, attraverso il battesimo, entra nella comunità con pari dignità.
«Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina; perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.» (Gal)

L’uomo non deve dominare sulla donna, i rapporti di coppia sono ora all’insegna dell’amore scambievole. Uomo e
donna sono debitori a vicenda e dispongono uno del copro dell’altra nella reciproca dedizione (I Cor).
Non ci sono i criteri di forza, di cultura, di purezza, di etnia: la debolezza della condizione umana acquista forza
nella potenza di Dio, che opera per eleggere ciò che agli occhi del mondo appare fragile (I Cor). Questa prospettiva
teologica sarà un punto di forza per le donne che, anche nella fragilità, possono svolgere compiti missionari.

Alcuni brani presenti nelle Lettere paoline, presentano difficoltà interpretative aperte ancora oggi; tra i più discussi
ci sono i due passi della Prima Lettera ai Corinzi:
- la richiesta alle donne di Corinto di usare il velo
- osservare il silenzio nelle pubbliche assemblee: «Le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano
invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa,
interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in
assemblea.»

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Questi due passi sono stati determinanti nella storia della Chiesa perché furono recepiti e interpretati come divieti
assoluti. La non parola pubblica significava la non autorità e quindi l’esclusione della donna dai ruoli, dal poter
predicare, dalla scrittura.
Le donne di Corinto, attive in una comunità particolarmente vivaci, sentirono con forza la liberazione operata dalla
fede in Cristo, e per affermare la propria emancipazione, rifiutavano l’uso del velo sul capo, avvertito come simbolo
di inferiorità e diversità dagli uomini (le regole di decoro sociale imponevano alle donne sposate di portare in
pubblico un velo, pena l’essere scambiate per prostitute o baccanti). A Paolo interessava solo che l’assemblea si
svolgesse con ordine, e il velo in quest’ottica, solo un segno di dignità e rispetto, in linea con le tradizione delle Chiese
della Palestina.
Nella Prima Lettera ai Corinzi fa riferimento alla diversità tra donne e uomini, in riferimento alla creazione, in
quanto «non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo», aggiungendo però che «né la donna è senza
l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto
poi proviene da Dio».
Alle donne in assemblea, poi, spetta un ruolo riconosciuto da Paolo, quello della Profezia, ruolo che contribuisce al
bene della comunità per esortare, consolare, e comprendere le Scritture.
Il divieto alle donne di parlare in assemblea e la richiesta di silenzio, in senso generale, è incoerente con i ruoli
effettivi esercitati dalle donne, attive collaboratrici anche di Paolo nel movimento missionario.
Le donne vicine a Paolo hanno ruoli attivi nelle comunità, impegnate nel campo della carità, del diaconato, della
catechesi, dell’evangelizzazione, della missione, dell’apostolato. Ciò emerge con evidenza nella conclusione della
Lettera ai Romani, in cui l’apostolo saluta ben dodici donne, di cui dieci chiamate per nome: la diacona Fede; la
missionaria Priscilla; l’apostolo Giunia; le evangelizzatrici Trifena, Trifosa e Perside; Maria, Patroba, Giulia; altre
missionarie che «hanno combattuto per il vangelo»; e altre donne che accolsero Paolo.

Per molti esegeti, quella del silenzio alle donne, si tratta di una pericope aggiunta successivamente per
ridimensionare la facoltà di esercitare il diritto alla parola pubblica, e ciò sarebbe in linea con le posizioni delle
Lettere pseudopaoline e pastorali, in cui alle donne è proibito l’insegnamento.
Se invece si crede che queste parole siano di Paolo, si ritiene che siano state dette per non urtare le comunità giudeo-
cristiane nelle quali le donne avevano ruoli più riservati, o per consentire il corretto svolgimento dell’assemblea e in
tal caso l’apostolo non poneva un freno categorico al parlare delle donne, ma il rispetto dell’ordine.

Contestualmente alle Lettere pastorali che ridimensionavano il ruolo della donna, in Asia Minore circolava un altro
scritto autorevole, gli “Atti di Paolo e Tecla”, l’apostola Tecla, protomartire delle donne, discepola di Paolo, che si
traveste da uomo per seguirlo e non avere impedimenti, e che battezzava e insegnava e predicava; Tecla divenne un
modello per le donne, dagli uomini fu criticata o indicata come esempio di virtù per aver rifiutato il matrimonio. La
sua figura e le sue azioni furono riportate anche da Egeria, pellegrina che scrisse un diario durante il viaggio verso
la Terrasanta.

Subordinazione della donna su interpretazione della Genesi


La condizione della donna nella storia è dovuta anche all’interpretazione che si fa della Genesi.
Ambrosiaster (fine VI secolo), separazione dei ruolo e subordinazione della donna a causa del peccato originale.

COMINITA’ CRISTIANE
Da movimento rurale, si passò alla costituzione di comunità presenti nei centri urbani dell’Impero e che svolgevano
pratiche come il battesimo e il pasto comune, svolti in case, domus ecclesiae, messe a disposizione spesso da donne,
ad esempio Lidia di Filippi, Priscilla, Cloe, Ninfa,
Non mancavano diversità di vedute e conflitti tra le esperienze di fede, in particolare tra il gruppo costituitosi a
Gerusalemme intorno a Giacomo, “fratello del Signore”, e a Pietro, osservante della Legge, del culto del Tempio; e
quello dei giudei-ellenisti, che faceva capo a Barnaba e Paolo, e che metteva in discussione la funzione mediatrice
della Legge mosaica e del Tempio.

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Questi contrasti portarono ad un processo di separazione dalla matrice ebraica, con l’affermazione paolina di Gesù
salvatore degli uomini tutti e della fede come unica determinazione di appartenenza al popolo di Dio (non per forza
il rispetto della Torah).
Le comunità proto cristiane iniziarono un complesso processo di adattamento per costituire una propria identità,
per la configurazione della nuova religione attraverso un incontro-scontro con: la cultura ebraica, dal quale
proveniva; la filosofia greca, che offriva strumenti per formulare le verità di fede; la giurisdizione romana, che
proponeva il bagaglio normativo del vivere sociale; poi dopo la caduta dell’impero, con i sistemi familiari e sociali
dei popoli barbarici. Tutto contribuì alla costruzione del cristianesimo.
Ulteriore spinta che portò alla definizione di un’identità religiosa da parte dei cristiani, fu la letteratura apologetica
che venne a crearsi in seguito alle accuse degli autori pagani.
In questo confronto la donna venne messa ulteriormente da parte, in modo da non mettere a repentaglio la
“credibilità” della religione cristiana.
Le opere degli autori cristiani non attutirono l’avversione verso di essi; le persecuzioni si verificarono fino al IV
secolo, ed furono manifestazioni di fede dei cristiani pronti a morire per la propria religione e il proprio Dio.
Le donne ebbero un ruolo fondamentale nel martirio, oggetto di ammirazione per il loro coraggio (es. Blandina,
Vibia Perpetua, Felicita). I martiri, infatti, invece che deterrente, funzionarono da attrazione per i pagani, dato che
comunicavano senso di appartenenza e fiducia nella vita post mortem.
I tentativi degli imperatori cristiani di valorizzare la cultura pagana a scapito del cristianesimo che iniziò a far
breccia anche tra i ceti senatoriali, furono spezzati da Costantino e l’editto del 313 che sanciva la libertà di culto; e
poi con Teodosio che nel 380 proclamò il cristianesimo religione dell’Impero. Da questo momento il cristianesimo si
istituzionalizza.

Concilio di Nicea del 325, convocato e presieduto da Costantino, definì alcune questioni cristologiche e dottrinali,
preoccupato delle ripercussioni politiche che potevano avere le spaccature ideologiche cristiane.
Fu condannata la posizione di Ario che, per difendere l’unità di Dio, contestava il concetto di Trinità e considerava il
Figlio creato dal Padre, e quindi a lui subordinato. La formula elaborata per il quale il Figlio è della stessa sostanza
del Padre, inasprì i conflitti tra Occidente e Oriente e le loro diverse teologie.
L’immagine di Dio uscita dal Concilio, era lontana dal linguaggio della narrazione biblica, era piuttosto la
rappresentazione filosofica di un trascendente legato al potere; Dio come sovrano assoluto, in cui si eliminano gli
elementi di pluralità e gli aspetti di femminilità, che sarà riservata solo a Maria e il suo culto.

DISCEPOLE E APOSTOLE
I Vangeli non registrano chiamate dirette per le donne, ma testimoniano il seguito femminile accolto dal Maestro.
Nei testi canonici e nella letteratura cristiana dei primi secoli le donne appaiono come figure positive e significative.
Alcune figure femminili particolarmente importanti nel cristianesimo delle origini anche per la straordinaria
ricezione che hanno avuto lungo il corso della storia.
· Apostola degli apostoli, Maria Maddalena, riconosciuta non in quanto legata ad un uomo, ma per la sua
provenienza “di Magdala”, città della Galilea. Questa donna aveva una certa importanza, di lei infatti parlano tutti e
quattro i vangeli canonici e altri scritti apocrifi. Dai testi si capisce fosse una donna dalla forte personalità, che
aveva lasciato la famiglia per seguire Gesù, e che faceva parte del gruppo a lui più vicino. Fu a lei che per primo
apparve Gesù risorto e fu dato l’incarico di testimoniarne la presenza.
La sua figura risulta autorevole nelle comunità gnostiche e montaniste. Il Vangelo di Maria, la Pistis Sophia e il
Vangelo di Filippo, testimoniano l’importanza della sua persona, discepola amata da Gesù, simbolo di conoscenza
superiore, e protagonista dello gnosticismo cristiano.
Nonostante figure come questa, l’apostolato femminile fu ridimensionato, e la figura di Maria Maddalena fu mal
interpretata a causa di un errore di papa Gregorio Magno che la identificò come Maria di Betania o la peccatrice
redenta, e a causa si questo alterò la sua persona come quella della prostituta redenta e non più come apostola.
· Tra le discepole ricordiamo Maria e Marta di Betania, due sorelle che vivevano in autonomia. La seconda è definita
da Luca diacona, in quanto accoglie Gesù nella sua casa; Marta modello donna vita pratica, Maria vita
contemplativa.

Di Maria, madre di Gesù, si hanno pochi elementi nei vangeli canonici, qualche notizia in più negli apocrifi. Maria è
una donna ebra inserita nella storia del suo popolo; da Matteo è collegata nella linea genealogica a quattro donne
della Prima Alleanza: la matriarca Tamar, la prostituta Raab, la straniera Rut e l’adultera Betsabea; tutte donne
fuori dalle consuete e legittime relazioni familiari, oggetto dell’amore di Dio che ne ha capovolto i destini.
Luca parla di Maria come una donna giovane e autonoma; fu lei a date il nome al figlio.
In lei si riconoscono coloro che si affidano a Dio e alla sua misericordia, e diviene così modello dell’attesa e
dell’accoglienza della parola divina. In Giovanni viene indicata, sotto la croce, come “madre dei discepoli”.

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Poco si sa del rapporto di Maria con Gesù, certamente avrà avuto un ruolo determinante nella sua formazione in
quanto nella cultura ebraica l’educazione religiosa era affidata alla madre. Ma i Vangeli riportano i rapporti tesi tra
Gesù e i familiari, egli in più occasioni evidenzia come per lui i rapporti di sangue non erano essenziali, ma era
importante una nuova modalità di essere famiglia-comunità.
Gli scritti apocrifi enfatizzano teologicamente la verginità di Maria (solo accennata in Matteo e Luca) per la
funzione cristologica di difendere la divinità di Gesù.
Il culto mariano si svilupperà largamente e costituirà riflessioni teologiche su questioni legate al peccato e alla
salvezza. Vi si fa anche un parallelismo tra Eva, prima donna che vergine viene corrotta, e Maria, vergine sul quale
scese lo Spirito Santo e dal quale nascerà colui che poi rimedierà al peccato.

DONNE AL SERVIZIO DELLA COMUNITA’


Sia nei Vangeli che nelle Lettere paoline, si trova il termine diaconia (servizio) riferito alle donne. È un termine
“ministeriale” che quindi implica compiti da svolgere nell’ambito della comunità con opere di assistenza, di
apostolato, e di aiuto in alcuni riti, tipo il battesimo alle donne. Tra le donne che svolgevano ruoli di servizio nelle
comunità, si trovano spesso vedove e diaconesse.
Le vedove costituivano un gruppo ufficialmente riconosciuto e svolgevano compiti definiti: insegnamento per le
catecumene; assistenza alle giovani donne che ricevevano il battesimo per immersione e alle ammalate; avevano un
posto riservato nelle assemblee liturgiche, sedute attorno al vescovo quando celebrava l’eucarestia. Le vedove,
insieme alle diaconesse, nella “Didascalia degli apostoli”, sono annoverate tra i membri del clero; ma alcuni autori
negavano questa appartenenza e si opponevano ai ruoli ministeriali femminili; tenevano quindi a precisare che per
accedervi occorreva la nomina del vescovo e il proposito a non risposarsi e restare caste.
Le diaconesse, avevano funzioni limitate rispetto a quelle dei diaconi, svolgendo per lo più assistenza femminile.
Erano collaboratrici del vescovo e i loro compiti potevano riguardare la catechesi delle donne, la cura del luogo di
culto, la preghiera, la distribuzione dell’eucarestia a donne e fanciulli, ecc.
Il ruolo delle diaconesse era conferito tramite un rito liturgico. La loro presenza è attestata fino al V secolo, poi il
progressivo ridimensionamento delle funzioni portò al suo estinguersi. Tra le più note si ricorda Olimpia, che
affiancò Giovanni Crisostomo nella sua opera pastorale.

DONO DELLA PROFEZIA


La profezia esercitata dalle donne è un’esperienza accertata e documentata.
Paolo, i Vangeli canonici e apocrifi, Giustino, Ireneo, Tertulliano, parlano di profeti e profetesse, così come si parla di
profetesse vicine agli gnostici e a Marcione.
Questa diffusa esperienza di profezia è anche testimoniata da scritti femminili, tra il II e II secolo, che appartengono
all’ambito profetico. Si trovano esperienze profetiche nella martire Perpetua, con le sue visioni considerate, nella
“Passio Perpetuae”, manifestazioni dello Spirito Santo, e che scrisse un diario, primo esempio di scrittura femminile
in area cristiana, prova del suo dono profetico, del suo veicolo di salvezza e della parola presa in assemblee
pubbliche (libertà parrhesia).
Con Massimilla e Priscilla, due profetesse dalla Frigia che affiancavano Montano e che per i loro “oracoli” assunsero
un tale prestigio da essere oggetto di venerazione da parte dei seguaci, poi considerati eretici. Priscilla racconta di
una visione in cui Cristo appare sotto forma di donna.
La profezia femminile dava ad alcune donne una certa autorità all’interno delle comunità. Tale ruolo verrà
fortemente ridimensionato già alla fine del II secolo, quando il cristianesimo si allontana dalle manifestazioni
profetiche e orienterà le donne al silenzio.
Già Luca presenta l’anziana profetessa Anna come testimone silenziosa, modello di preghiera e ascolto.

CLARISSIMAE FEMINAE
Grazie al ruolo delle donne presenti nelle classi alte dell’Impero, il cristianesimo penetrò nelle famiglie più illustri.
Donne emancipate e dal forte carattere, molte attive nello studio e sostenitrici di opere monastiche e di carità;
intraprendenti fautrici di conversioni e attenzioni verso la nuova religione.
Le scelte audaci delle aristocratiche cristiane, che si separavano da mariti dissoluti, sposavano uomini cristiani di
diverso ceto, o le vedove che volevano mantenere un proprio status, nei secoli successivi vengono ridimensionate, e le
donne cristiane che vogliono prendere una posizione autonoma, sono obbligate a una vita di rinunce (sessuale,
matrimoniale, materna) dato che le vie possibili di vita religiosa sono le scelte monastiche o di emulazione di
tipologie femminili esemplari.
Il gesto dei martiri cancella dalla memoria degli agiografi la vita precedente, che si focalizzano solo sulla
testimonianza di fede e la morte.
Nella vita di fede e non hanno rilevanza condizioni e rapporti sociali, la fedeltà a Cristo è prioritaria.

La martire Blandina
Blandina era una schiava romana; è descritta come una donna gracile, quindi non più giovane, ma che fu oggetto di
particolare odio da parte della folla, del governatore e dei soldati che la sottoposero a tortura.

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Eusebio scrisse che per mezzo di lei Cristo dimostra come ciò che appare vile ai molti, può nel giudizi di Dio essere
degno di gloria. L’agiografo descrive anche il martirio di Blandina: fu legata ad un palo a forma di croce (richiamo a
Cristo crocifisso), ed esposta alle fiere. Il suo martirio incoraggiò i compagni e fu modello di resistenza e di fede
dinanzi all’oppressore.
Il martirio di Blandina rientra nel quadro delle persecuzioni e dei martiri dei cristiani di Gallia, nel II secolo, a cui
appartenevano anche persone di elevata condizione sociale.
L’esperienza del martirio mette in luce il superamento delle differenze di ceto, sesso, etnia, di fronte alla
testimonianze di fede. E anche una donna anziana e schiava, può evocare l’immagine di Cristo. (E. Renan afferma
che fu Blandina a distruggere la schiavitù più che Spartaco, perché lei con il martirio si dimostra capace di virtù e
uguale, se non superiore, al padrone, dal punto di vista del Regno di Dio).

ALTO MEDIOEVO (secoli V-XII)


Dinamiche di potere
Nel 415, per istigazione del vescovo Cirillo, fu brutalmente assassinata la filosofa e matematica Ipazia, maestra
autorevole della scuola platonica di Alessandria d’Egitto. Cirillo aveva già mostrato in più occasioni posizioni
fanatiche, ma l’uccisione della scienziata pagana mette in luce il rancore per il prestigio culturale della donna, ma
anche un conflitto con il paganesimo.
Questo episodio è emblematico per comprendere le caratteristiche che stava assumendo il cristianesimo e che
riguardarono anche il definirsi degli ambiti di competenza maschili e femminili.
La posizione della donna, in seguito all’editto di Teodosio, subì non pochi cambiamenti sia a favore, che contro.
I Padri della Chiesa, così come medici, filosofi, teologi e giuristi, condividevano una cultura che poneva al centro la
superiorità naturale dell’uomo. La donna aveva la possibilità di riscattare la propria debolezza superando il proprio
sesso e, spogliandosi della propria femminilità, assumendo i caratteri virili che la equiparavano alle capacità morali
e spirituali degli uomini.
È proprio intorno al principio del potere che si costruisce l’identità del cristianesimo che per imporsi dovette fare i
conti con l’ambiente in cui si trovava e la diversa cultura d’Oriente e dei popoli barbarici; delineare ortodossia ed
eresia; affermare il primato del vescovo di Roma.
La fine dell’Impero nel 476, il costituirsi dei regni romano-barbarici, la successiva affermazione di Carlo Magno
come primo imperatore del Sacro Romano Impero (800), sono lo sfondo politico e culturale sul quale si innestarono
le divergenze tra Oriente ed Occidente, che portarono alla scomunica reciproca, la supremazia di Roma e la netta
separazione tra laici e chierici.
Strutture gerarchiche e patriarcali.

ASIMMETRIA ANTROPOLOGICA E SESSUALITA’ MORTIFICATA


Gli autori cristiani furono concordi nel confermare l’inferiorità della natura della donna, riprendendo alcuni concetti
della filosofia greco-romana e ad alcuni brani delle Scritture. In particolare la creazione di Eva dalla costola di
Adamo, l’essere sedotta dal serpente e la sua punizione, verranno interpretati letteralmente e costituirono la base
per un’esegesi funzionale alla gerarchia sessuale e di subordinazione.
Anche se per Agostino i due sessi erano stati creati a immagine di Dio in uguaglianza spirituale, la formazione del
corpo indicava l’inferiorità della donna.
In ottica di queste visioni, era da escludere un ruolo femminile autorevole.
Le considerazioni sul femminile erano anche frutto di una visione negativa della sessualità da parte del
cristianesimo. La scarsa conoscenza della fisiologia femminile, la paura dell’utero, la fobia per il corpo della donna
considerato impuro, accrebbero i timori maschili delle capacità sessuali della donna, da tenere a freno. Si imponeva
quindi alla donna, per una degna vita di fede, la verginità e la continenza matrimoniale. In particolare la verginità
diventa un valore prioritario. Mentre all’interno del matrimonio l’atto sessuale è positivo per i fini della
procreazione e per contenere la concupiscenza, il desiderio carnale, e non per il piacere dell’atto in sé, in quanto
frutto del peccato originale.
Numerosi scrittori cristiani si impegnarono nella stesura di opere dedicate alla verginità e indirizzate alle donne che
volevano darsi ad una vita religiosa.
Nei libri penitenziali, si trovano numerose penitenze rivolte a fornicazione (masturbazione, pratiche
anticoncezionali, adulterio, aborto).
Sottoposta a disciplina severa, la sessualità fu l’ossessione della società cristiana che andò radicalizzando i valori
ascetici soprattutto con l’affermazione del modello monastico. L’imposizione giuridica della continenza coniugale
del clero ammogliato, diventò indicazione generale per il clero, sempre più indirizzato alla scelta monastica e
allontanato dalla vita laicale, che imposero a loro volta norme di continenza e ideali austeri a donne e uomini laici.

CLERO E CELIBATO
Il processo di gerarchizzazione e sacralizzazione del clero diventò sempre più marcato dal IV secolo. Si affermarono
imposizioni sempre più pressanti della necessità per il clero di una vita casta, il divieto di rapporti sessuali

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considerati atti impuri. In Occidente gli interventi disciplinari erano molto rigidi; in Oriente le posizioni furono più
sfumate. Il Concilio di Nicea aveva proibito la coabitazione con donne che vivevano al servizio del clero, a meno che
non fossero parenti. Ma alcuni chierici come Paolino da Nola, non rinnegarono mai la moglie; egli scrisse lettere e
carmi rivolte ad altri presbiteri campani e alle loro mogli.
Nel corso dell’Alto Medioevo, però, ci furono numerosi concili regionali che ribadivano la disposizione del celibato
ecclesiastico. L’insistenza per allontanare il clero dalle donne era dovuta a una serie di motivazioni:
· Il monachesimo con la proposta di una vita all’insegna di austerità e castità, si poneva sul grado più alto
dell’esperienza spirituale ed erano modello da imitare. Inoltre i monaci erano entrati nelle gerarchie della Chiesa e
avevano imposto il loro stile di vita.
· Si stavano demarcando la distinzione e la separazione tra gli “ordini” all’interno della società: tra i monaci e i
sacerdoti e i laici impegnati nelle attività mondane.
· La purezza, simbolo di superiorità e sacralità sacerdotali che non potevano contaminarsi nel rapporto con
l’impurità delle donne e del sesso.
Vivere una vita casta significava mettere in atto una serie di normative (imposizione giuridica) e di controlli sulla
sessualità (confessione), accompagnati da un’impalcatura teologico-morale che, poggiata sul senso di colpa e sul
peccato dovuto alla trasgressione, attraverserà la cristianità nei secoli.
Infine la castità richiesta al clero allontanava le donne da ruoli sacramentali e da posizioni di potere. Fino al VIII,
infatti, si hanno testimonianze di presbitere e di episcope, titoli che richiamano non solo lo status di mogli di preti o
di vescovi, ma che indicano anche l’esercizio del ministero o dell’amministrazione dei beni della Chiesa.
La fine del diaconato femminile limita la vita religiosa delle donne solo alla pratica della preghiera e dell’ascesi.
L’imposizione della castità quindi per le donne è stata una limitazione, per gli uomini una questione legata alla
gestione dei poteri.
Ma la rigida divisione dei ruoli e degli spazi, nei confronti delle donne nell’ottica di una visione di loro inferiorità,
nella realtà non aveva una rigida applicazione, spesso smentita dai rapporti che gli scrittori cristiani instauravano
con familiari, amiche e discepole. L’ossessione dei Padri nel proporre alle donne verginità e obbedienza rispondeva
forse alla necessità di arginare un protagonismo femminile che destava preoccupazioni agli uomini, a livello di vita
personale, assetto sociale e disciplina ecclesiale.

MODELLI RELIGIOSITA’ FEMMINILE


Verginità
I Padri della Chiesa posero la verginità al primo posto nella gerarchia dei valori, in particolar modo quella scelta. Le
molte opere sulla verginità sottolineavano i vantaggi che poteva godere una donna priva di marito (no
sottomissione e obblighi matrimoniali, no necessità procreazione, figli, no faccende domestiche) e consigliavano
riservatezza, silenzio, preghiera e studio; offrirono al pubblico femminile ideali di vita e ritratti di donne che
costituirono modelli a cui aspirare.
Vedovanza
La libera scelta di non lasciare lo stato vedovile per una nuova vita all’insegna della fede e della carità.
Le vedove furono sempre oggetto di interesse da parte degli scrittori cristiani, che ritenevano importante
valorizzarne il ruolo all’interno di una pedagogia di elevazione spirituale della cristianità. E le vedove benestanti
contribuivano a finanziare opere religiose e intraprendere attività di studio.
Anna, profetessa e vedova, negli scritti definita come vecchia saggia e non più profetessa.
Matrimonio
Per quanto riguarda le spose, i pensatori cristiani confermarono la famiglia di tipo patriarcale, con richiami a Paolo
che diedero valore all’amore scambievole dei coniugi. Modello l’amore Cristo-Chiesa, che sottolineava la figura del
marito-Cristo a capo della moglie-Chiesa; quindi sottomissione della donna al marito anche se, nell’ambito spirituale
si afferma l’uguaglianza dei due sessi.
Non mancarono esempi di reale amore coniugale, come quello di Paolino di Nola che insieme alla moglie Terasia, o
del teologo prospero d’Aquitania che parla della moglie come compagna di vita e fonte della sua forza.

Maria Theotòkos – Madre di Dio


Maria nei primi secoli fu all’interno dei dibattiti cristologici tesi a dimostrare la natura umana di Cristo: la sua
maternità garantiva l’umanità di Cristo, mentre la sua verginità ne confermava la divinità. Poi con i concili e la
spiritualità bizantina, la sua figura divenne oggetto di devozione e culto per tutta la cristianità, investendo i campi
della liturgia, dell’arte e della letteratura. Il titolo “Madre di Dio”, che riconosceva l’unione della natura umana e
divina di Cristo, fu decisivo per il diffondersi della venerazione mariana.
Maria divenne anche ideale mistico di donna che controbilanciava l’immagine negativa femminile: Maria vergine e
madre divenne archetipo.

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Dopo l’epoca dei concili, la riflessione mariana assunse nuovi connotati e la sua figura acquistò una tale autonomia
da affiancare quella di Cristo.
Nell’Alto Medioevo venne esaltata la sua perpetua verginità, l’assenza in lei del peccato e la sua purezza.
Il rinnovamento religioso dei monaci di Cluny (secoli XI-XII), e poi dei cistercensi, con gli scritti di Bernardo di
Chiaravalle, favorì la devozione mariana con un’attenzione specifica al suo ruolo di mediatrice di salvezza: Maria
era “madre misericordiosa”, che intercede presso Dio, ed è modello di virtù esemplare per la Chiesa e in particolare le
donne consacrate.

SCELTA MONASTICA
La scelta monastica venne presentata come occasione di riscatto per la donna.
Prime protagoniste della vita monastica in Occidente, furono alcune nobili donne dedite alla preghiera e allo studio
che si riunirono a Roma intorno alla vedova Marcella (IV secolo), legata a Girolamo da un’amicizia spirituale. La
domus Marcella, era frequentata da giovani donne, vedove, preti e monaci per studiare le Scritture e divenne un
centro di propaganda monastica, grazie ad Atanasio che fece conoscere loro le esperienza religiose sorte in Oriente.
Altre comunità ascetiche sorsero nella casa di Marcellina, sorella maggiore di Ambrogio; a Betlemme con il gruppo
avviato da Paola, discepola di Girolamo; a Gerusalemme nel monastero doppio fondato da Melania; e altri monasteri
gemellari, maschili e femminili, dove si seguiva la stessa regola e lo stesso sistema di vita – da qui le esperienze di
Pacomio e Maria, Basilio e Macrina, Girolamo e Paola, Rufino e Melania, e coppie di fratelli.
Fino al IX si riscontrano, infatti, varietà di soluzioni e espressioni di scelta religiosa femminile, che andavano
dall’eremitismo, l’isolamento domestico, a far parte di gruppi autonomi riuniti intorno ad una magistra, o di
comunità monastiche più strutturate. Spesso dipendeva dai diversi contesti storici e geografici e le esperienze locali.
Ben presto si avvertì la necessità di dare stabilità all’esperienza femminile, e le regole latine formulate tra il IV e il VI
secolo da uomini come Basilio e Agostino, normative scritte per gli uomini, furono adottate anche dalle donne che si
adattarono accettando lo stesso sistema di vita. La prima regola rivolta esplicitamente alle donne, fu quella
elaborata in Gallia da Cesario di Arles, per la sorella Cesaria, che guidava il monastero di San Giovanni, per il quale
chiedeva la clausura come garanzia di stabilità. Questa regola influenzò il monachesimo fino all’affermarsi della
regola benedettina (534), che nel IX secolo, in età carolingia, ebbe un ruolo preminente, ma era rivolta ai soli uomini
– probabilmente Benedetto non intendeva estendere l’osservanza alle donne, ma a sua sorella, Scolastica, si fa
risalire l’origine del ramo femminile dell’Ordine, che fu poi introdotta ufficialmente nei monasteri femminili solo
dopo la riforma del Concilio di Aquisgrana del 817.
La regola benedettina è stata preziosa nella storia del monachesimo femminile per aver dato la possibilità alle
donne di essere al centro di processi di grande rilevanza culturale e di esercitare ruoli di potere altrimenti
impensabili. Ma essa verrà criticata dalla badessa Eloisa perché fatta da uomini e per gli uomini, che non sapevano
tener conto delle specifiche esigenze del corpo e della spiritualità femminili. A loro penserà poi Chiara d’Assisi con
una regola scritta da una donna per le donne.

CONDIZIONI DI VITA DELLA DONNA E SCELTE ASCETICHE


L’ascetismo femminile era praticato sin dai primi secoli. Si trovano tracce di presenza femminile già nelle esperienze
del deserto dell’alto Egitto, accanto agli uomini, le “Madri del deserto”. Dalle fonti emergono in particolare
testimonianze di Sincletica, Maria sorella di Pacomio, Teodora d’Alessandria, ritratti di donne che abbandonarono la
sicurezza della vita familiare per ritirarsi in solitudine, e divennero esempio e guida per altre donne: si aprì così la
strada del magistero femminile.
Per comprendere le spinte che portarono molte donne alla scelta della vita ascetica, si devono tener conto le
condizioni e le difficoltà della loro quotidianità e del rapporto con gli uomini. Donne costrette a matrimoni e alla
sottomissione, anche sessuale, del marito; gravidanze e parti in cui non era risparmiata alcuna forma di dolore
perché tale era la condanna per espiare il peccato di Eva, e spesso fatali.
Una fonte che parla in prima persona delle angosce materne, è l’opera della nobildonna carolingia Dhuoda (803-
843). Il suo “Manuale per mio figlio”, è considerato il più antico trattato pedagogico del Medioevo: espressione di
affetto materno e di sapienza educativa, una guida laica tesa a proteggere il figlio dai pericoli della vita.

L’età media di una donna era intorno ai 40 anni. Le donne delle classi più basse erano assorte nelle cure domestiche
e nel lavoro dei campi o dell’artigianato. Non meravigliava la scelta di molte ragazze di rifiutare il matrimonio per
aderire alla fede cristiana, e altrettante vedove che rinunciavano a rimaritarsi per dedicarsi alla preghiera.
Molte donne trovarono nella vita consacrata rifugio. Un esempio è la regina Radegonda (VI secolo) che scappò per
sottrarsi al marito violento, si fece ordinare diaconessa e ricostruì nel monastero di Poities un luogo di meditazione e
guida per giovani monache che a lei si affidarono.

Badesse
Il monachesimo poi assunse caratteri più elitari, a partire dall’epoca carolingia, rappresentò un luogo di rifugio per
le figlie dell’aristocrazia, in base alle strategie familiari o per personale scelta di studio, fede e meditazione. Alle
aristocratiche poi spettavano i ruoli più altri all’interno della gerarchia del monastero.

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I monasteri femminili ebbero un alto valore simbolico e un importante ruolo strategico e politico nel rendere stabile
e visibili il prestigio e l’autorità di famiglie nobili in essi rappresentate: tra i primi esempi, il monastero femminile di
Santa Giulia a Brescia, fondato nel 753 da Desiderio e sua moglie Ansa, e quindi legato alla famiglia reale
longobarda.
Nella cultura anglosassone di VII-VIII secolo, le badesse esercitavano una grande influenza: grazie alla loro intensa
missione evangelizzatrice, il cristianesimo si affermò in Inghilterra; e per il loro elevato livello di istruzione (molte di
loro provenivano dall’aristocrazia), i monasteri inglesi divennero luoghi di cultura. Un esempio è la nobile Hilda,
badessa del monastero di Whitby, reso da lei celebre centro di cultura e sede di incontri tra la Chiesa celtica e quella
romana.
Ci fu poi la monaca Lioba, badessa di Wimbourne, guida spirituale e erudita maestra, compagna di Bonifacio
nell’evangelizzazione della Germania, oltre che consigliera di Carlo Magno.
L’attività di scrittura dei monasteri femminili perviene con numerosi codici, manoscritti, raccolte di preghiera, opere
letterarie. Un esempio notevole è quello di Roswitha (935-973), badessa del monastero delle canonichesse di
Gandersheim, di fondazione imperiale e non soggetto all’autorità vescovile, quindi con un proprio esercito e
tribunale. Qui le donne canonichesse avevano il privilegio di conservare il proprio patrimonio, libertà di movimento
e di studiare avendo anche scambi intellettuali con uomini colti. Roswitha compose due poemi che celebravano la
dinastia degli Ottoni; leggende sacre e drammi, con spunti teatrali tratti da autori pagani e dagli scritti canonici e
apocrifi.
Le badesse erano vere e proprie sovrane che controllavano il loro territorio esercitando la giurisdizione sia sul clero,
che svolgeva funzioni ministeriali sotto la loro autorità, sia sulle popolazioni dipendenti direttamente dal
monastero.
I poteri pastorali e giuridici non furono concessi solo per l’autorità che godeva il monastero, ma erano conferiti
attraverso riti di ordinazione/benedizione, a volte per le badesse analogo a quello degli abati, con la consegna delle
insigne episcopali, consentendo di predicare, guidare le comunità e avere giurisdizione sul territorio.
Il rituale di ordinazione nella Chiesa spagnola era ricco di richiami simbolici e dopo aver insignito la badessa, il
vescovo recitava una preghiera nella quale si affermava che Dio non fa discriminazione sessuale e che ha offerto alle
donna la stessa forza spirituale degli uomini.

Regine
La condizione di inferiorità della donna, che la costringeva a vivere sottomessa all’uomo, non era riservata anche
alle nobili, alle quali non era impedito l’esercizio del potere, che veniva elogiato se funzionale al bene della Chiesa,
della fede e dell’ortodossia. Un esempio di sovrana devota è Elena, madre di Costantino; o altre attive in opere di
evangelizzazione di popoli barbarici come Clotilde, Teodolinda, ecc.
In caso contrario il potere femminile veniva demonizzato.
La cultura romana era ostile al potere femminile, mentre quella bizantina riconosceva la regalità femminile,
condividendo la sovranità con il marito; se vedova aveva la reggenza in attesa della maggiore età del figlio maschio
o con un nuovo matrimonio. Un esempio è Galla Placidia (386-450); Teodora.
Amalasunta (500-535), figlia di Teodorico, alla morte del padre regnò per conto del figlio Atalarico, colta,
condottiera, sposò Teodato associandolo al trono ma lui, per rafforzare la sua posizione sui Goti avversi alla regine,
la fece uccidere.
L’imperatrice bizantina Irene (753-803), rimasta vedova, governò dimostrando abilità ed energia, in ambito politico
e religioso; fu lei a convocare il II Concilio di Nicea per ristabilire il culto delle immagini. Carlo Magno, non
riconoscendo il suo potere, in quanto donna, si fece incoronare lui stesso imperatore nell’800, contribuendo al rifiuto
del potere femminile in Occidente.
Molte poi furono le regine di Gerusalemme, dopo il regno formatosi a seguito della prima crociata, che esercitarono
con determinazione il loro ruolo.
I papi, invece, non trascurarono i ruoli delle regine per l’influenza che potevano esercitare sui popoli dal punto di
vista religioso. Un esempio è Berta, che giocò un ruolo nella conversione del marito e delle popolazioni anglosassoni,
e fu promotrice di molte fondazioni monastiche.
Nel Medioevo, con un sistema di tipo familiare, con una famiglia che dominava su territori e città, le donne
costituivano oggetti di scambi matrimoniali, e veicoli di conservazione del potere. Nelle case regnanti le donne
ricoprivano ruoli di reggenti o vicarie in assenza del marito, di madri tutrici, o succedevano al padre se non vi erano
fratelli maschi.

Potere delle donne sul papato


Un caso particolare di autorità femminile è quello conosciuto come la “pornocrazia romana” o “governo delle
prostitute”, verificatosi nella prima metà del X secolo. Roma in quel periodo era dominata dal casato dei Teofilatti, le
cui donne misero in atto strategie per acquisire potere per sé e per i figli, attraverso la politica e il papato. Marozia
ebbe un figlio dal papa, che divenne papa; lei stessa dominò su Roma assumendo il titolo di senatrix Romanorum.

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Le azioni di queste donne furono infamate; il tema dell’adulterio e della lussuria come strumenti di potere femminile
non fu ben visto e, nel XII secolo, offrì spunti per la costruzione della leggende della papessa Giovanna, che narrava
di una donna, travestita da uomo, divenne papa e fu scoperta solo quando partorì durante una processione.
Lo scambio tra favori sessuali e posizioni di privilegio era tipico del potere, maschile e femminile.
La teologia del XII secolo rimosse le donne dai luoghi di potere, e tutti i poteri sacramentali si consolidarono nelle
mani del clero maschile.

IL GOLETO e MONTEVERGINE – la figura di MARIA


L’eremita Gugliemo da Vercelli, intorno al 1135, fondò a Goleto, in Campani, il monastero del Santo Salvatore,
particolare per il fatto che fosse doppio, ovvero aveva due comunità, una maschile e una femminile, guidate da una
sola regola e sotto un’unica autorità. In questo caso la direzione era esercitata da una badessa; la parte maschile,
seppur separata da quella femminile, era concepita in funzione delle religiose, per le quali provvedevano al servizio
liturgico ed economico.
Il monastero doppio a direzione femminile si richiamava al modello della Chiesa primitiva e rispondeva ad una
spiritualità mariana, in quanto Maria era Madre di Cristo, dei discepoli e della Chiesa; il fondatore riconosce questa
visione e di conseguenza affida ad una donna la rappresentanza della comunità religiosa.
Il complesso monastico era piuttosto ampio e le occupazioni molteplici sia all’interno dell’abbazia, tese alla crescita
culturale e spirituale, sia all’esterno, attraverso attività legate all’agricoltura, allevamento e lavoro. Il Goleto
divenne una potenza che possedeva svariati territori.
Le prime tre badesse, Frebonia, Marina, Agnese, appartenenti a famiglie della nobiltà normanno-sveva, si
impegnarono in modo particolare nel consolidamento del potere del monastero, che venne divincolato dalla
giurisdizione del vescovo, rivolgendosi direttamente al papa. Nel 1191, venne dichiarato indipendente, e la badessa
aveva un ruolo di vera e propria sovrana, del clero e del territorio appartenente al monastero. Segno del potere
femminile, affermato anche da affreschi che raffigurano le badesse.
La crisi economica e politica della società feudale meridionale e la decadenza degli ordini benedettini, portarono al
decadimento di questo monastero, che divenne poi solo maschile.
Anche il monastero di Montevergine fu fondato da Guglielmo da Vercelli. Sorge sul monte Partenio, attorno ad una
chiesetta che dedicò alla Vergine Maria.
Qui si venera, dal 1298 la famosa “Odigitria”, la copia occidentale più antica della prima icona bizantina. Il volto di
Maria è scuro, è una delle cosiddette “Madonne nere”: un richiamo alla sposa del Cantico dei Cantici, «nigra sum, sed
formosa»; e alle religioni pagane precristiane. Nero è il colore della terra fertile, di Cerere/Cibele e di Iside, dee il cui
culto era presente in Campania e nelle aree del monte Partenio, dove vi era un tempio dedicato a Cibele, venerata
come “Grande Madre”. I sacerdoti di questo tempio compivano riti in nome della dea, anche cruenti come
l’evirazione, e indossavano abiti femminili. Al suo culto era legata anche la festa pagana della purificazione della
natura, che si teneva il 2 febbraio, che fu abolita dalla Chiesa nel V secolo e sostituita della Candelora, che indicava
la purificazione della Vergine quaranta giorni dopo il parto, come volevano le prescrizioni ebraiche.
In questa data è ancora oggi tradizione che i cosiddetti femminielli vadano in pellegrinaggio al santuario di
Montevergine, richiamando leggende del XII secolo: quella di san Vitaliano, vescovo di Capua del VII secolo che,
ingiustamente accusato e condannato per essersi presentato nelle sue funzioni travestito da donna, si era ritirato sul
monte Partenio; l’altra di due omosessuali che, condannati a morire di freddo sul monte Partenio, furono salvati
miracolosamente dalla compassione di Maria, che accoglie e supera l’ambiguità della sessualità e integra la
diversità.
Il culto di Maria, ultima Grande Madre dell’Occidente, legame ideologico tra la religione cristiana e quelle pagane,
accolse presto i volti delle tante divinità con il quale poteva confrontarsi, assimilando i caratteri di maternità,
fecondità, protezione.
Le due fondazioni medievale del Goleto e di Montevergine sono due facce della rappresentazione di Maria che
portarono a una rivoluzione rispetto al sistema androcentrico e patriarcale. Il primo affermazione della regalità di
Maria; il secondo come esaltazione della sua maternità e accoglienza.

RIFORMA GREGORIANA E IL RINASCIMENTO FEMMINILE (secoli XII-XV)


Questi secoli furono complessi, pieni di fermenti culturali e rivolgimenti politico-religiosi, in cui ci fu un’attiva
partecipazione femminile.
Il XII secolo, con la riforma gregoriana, ribadì la netta subordinazione femminile. Ma le donne non furono esenti
dalle logiche di potere e saranno protagoniste della nascente esperienza monastica, dedite allo studio e alle opere di
carità, impegnate nella scrittura e nel governo di monasteri e territori. A partire dal XII secolo, infatti, compaiono
sulla scena pubblica le donne che, attraverso la scrittura, manifestano una nuova consapevolezza di sé.
La rappresentazione teorica (visione antropologica, immaginario simbolico, modelli) e il vissuto pratico della donna
non sempre coincidevano, e la condizione della donna reale, nell’arco del Medioevo, variano a seconda dei popoli,
delle classi sociali di appartenenza, del contesto urbano rurale, o dello specifico momento storico.

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Due percorsi cronologici segnano la storia delle donne nella definizione dei loro ruoli:
• il primo che va dalla riforma gregoriana (1046-1122) alla pubblicazione del manuale degli inquisitori, il “Malleus
maleficarum” (Il martello delle streghe) del 1486. Periodo che segna l’affermarsi di una teologia che consacra la
subordinazione femminile, giungendo alla creazione ideologica della strega, donna “per natura” incline al Male.
• il secondo percorso parte dalla badessa Eloisa (1101-1164) e arriva alla scrittrice Cristina da Pizzano (1365-
1430), e vede emergere la scrittura femminile in una crescente consapevolezza di identità e dignità.
L’autorevolezza del pensiero delle donne trova proprio in questi secoli una sua specifica manifestazione, e costituisce
un percorso importante la tradizione cristiana.
Queste sono fasi storiche articolate e contraddittorie. Non sempre gli uomini di Chiesa hanno divulgato immagini
negative del femminile.Un esempio è il filosofo Abelardo; Guglielmo da Vercelli che fondò il doppio monastero del
Goleto; Pietro Valdo che era accompagnato da donne nella sua predicazione di una Chiesa riformata che riprendesse
la vita apostolica delle origini.

LA RIFORMA GREGORIANA
La riforma del XI, detta “gregoriana” perchè ha trovato nel pontificato di papa Gregorio VII (1073-85), il suo
momento di maggiore forza, ha influito in maniera gravosa sulla storia delle donne, costituendo un punto di svolta
le cui conseguenze si ripercuoteranno su un lungo periodo.
La chiesa di quell’epoca era attraversata da una crisi per i frequenti fenomeni di simonia (vendita di cariche
ecclesiastiche) e di nepotismo (successione di parenti nelle cariche); per la presenza di religiosi senza vocazione, e di
vescovi che, eletti dal potere politico, conducevano una vita libertina.
Questa riforma fu una delle più estese incisive della storia cristiana: per combattere la situazione di degrado morale
e il sistema delle investiture, il contrasto con l’Impero, si trasformò la Chiesa in un’istituzione monarchica del potere
centralizzato, con il primato del vescovo di Roma. L’operazione politica e teologica di rafforzamento del clero fu di
tale portata da implicare un profondo ridimensionamento dei laici e una conseguente marginalizzazione delle
donne.
Alla monasticizzazione del clero, si affianca una teologia dell’Ordine Sacro riservato esclusivamente agli uomini, a
cui venivano riconosciuti tre poteri fondamentali: il potere d’ordine, strumento di grazia per i credenti attraverso i
sacramenti; Il potere di magistero, la facoltà di insegnare ai fedeli; il potere di giurisdizione, giudizio della vita
cristiana per mezzo di leggi. Le disposizioni canoniche non consentivano le donne la predicazione pubblica e
definiva che l’ambito di competenza di laici e donne era sottomesso alla sfera spirituale, riservata ai soli chierici.

CELIBATO
Non c’era ancora un esplicito obbligo di celibato, ma le ordinazioni di uomini celibi furono preferite sempre più a
quelle degli uomini sposati. Fu il Concilio Lateranense II, del 1139, a introdurlo come obbligo.
La difesa della purezza e del celibato per il clero favorivano l’affermazione di una concezione negativa della donna e
della sessualità, considerate immonde e incompatibili con il sacro, visione che avrebbe influenzato per secoli il
pensiero occidentale.
Il celibato ecclesiastico incide anche sulla sfera economica e politica, per il non disperdersi del patrimonio
ecclesiastico, e la conservazione del potere nelle mani del clero. La legge che considerava il matrimonio un
impedimento per l’ordinazione sacerdotale, non aiutò a risolvere i problemi relativi alla castità del clero, ma relegò
la vita sessuale alla clandestinità. Nonostante la considerazione della donna, la frequentazione del clero con il sesso
femminile, anche da parte delle sfere alte, fu di tale portata da richiamare l’attenzione di predicatori, e divenire
facile oggetto di satira, specchio di una dubbia moralità e dei comportamenti sociali disdicevoli diffusi.
Molti furono gli uomini che si espressero contro l’obbligo del celibato, considerandolo contro natura, sterile e poco
umano.

ANTROPOLOGIA ASIMMETRICA
Per difendere il celibato, la Chiesa propinava un’immagine negativa del femminile, modellando una teologia basata
su un’antropologia asimmetrica e una conseguente lettura dei testi sacri, secondo il quale la donna era inferiore dal
punto di vista fisico, perché nata dall’uomo; morale, perché artefice del peccato originale; giuridico, in quanto fu
punita è soggetta all’uomo.
A rimarcare questa visione ci fu l’apporto, al pensiero cristiano, della filosofia greca, specialmente dell’antropologia
artistotelica che considerava la donna “maschio mancato”; e poi della teologia di Tommaso d’Aquino e dell’idea
dell’inadeguatezza del genere femminile a svolgere mansioni esercitate dagli uomini.
Altre riflessioni dei teologi medievali erano: il concetto di immagine di Dio e la sua applicabilità ai due generi, e
l’interpretazione delle parole delle lettere paoline, come affermazioni inconfutabili di sottomissione e colpevolezza
delle donne sulla scia del peccato originale (Genesi).

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Si arrivò all’elaborazione dottrinale di una teologia dell’esclusione; il Decreturm Gratiani, sottolineava come il
maschio, e non la donna, fosse immagine di Dio, per questo a lui spettavano l’esercizio del potere, in quanto vicario
di Dio.
Nella cultura Medievale la Creazione e la Caduta erano considerati fatti storici, quindi le interpretazioni acclarate.
La letteratura e l’arte iconografica trasmisero con forza persuasiva la concezione peccaminosa della donna, tanto
che lo stesso serpente era spesso raffigurato con volto di donna.
Eccezione ci fu con il filosofo Abelardo che, nelle lettere e sermoni rivolti alle donne del Paracleto, fa emergere la sua
considerazione positiva delle donne. Volendo esaltare la dignità femminile, sottolineò l’uguale colpa di Adamo ed
Eva.
Nella Cappella Palatina di Palermo, i due progenitori sono raffigurati che colgono insieme il frutto.

CONTROLLO FEMMINILE E INQUISIZIONE


Nel corso del Medioevo non solo uomini, ma anche numerose donne volevano dare forma un’esperienza religiosa che
ricalcasse le comunità primitive cristiane. Furono molte le donne spinte ad esprimere la propria fede con la
meditazione, la predicazione e la riflessione scritta – valdesi, catare, beghine, erano alcune delle denominazioni per
queste espressioni femminili.
Il tribunale dell’Inquisizione istituì procedure per estirpare le eresie, intervenendo per colpire e condannare
qualunque devianza teologica o morale.
Gli ordini mendicanti, francescani domenicano, nati nel XIII secolo e fatti rientrare all’interno dell’ortodossia per
sviare le pericolose ansia di rinnovamento, ebbero anche la funzione di allontanare le donne da movimenti giudicati
pericolosi ed eretici; per di più, nel 1298, Bonifacio VIII stabilì per le religiose la clausura perpetua, non tollerando
alcune attività esterna che non fosse sotto controllo dell’autorità.
L’opera di repressione del dissenso, di propaganda e avvicinamento alla popolazione, portò ad una Chiesa
clerocentrica che voleva definire la vita dei credenti e ad una società gerarchica e patriarcale.
I predicatori domenicani e francescani (es. Giovanni Dominici e Antonino Pierozzi) spingevano a piegare il testo
biblico alle esigenze etiche e sociali, specialmente verso le donne, prendendo esempi di castità e devozione, modelli
per il ruolo di madre e moglie.

STREGHE
Tra ‘300 e ‘400, nel clima di scisma religioso, disgregazione culturale e politica, aggravata da guerre, carestie ed
epidemie, si rafforzarono le letture dei testi sacri con l’ossessione/avversione del demonio, gli elementi sessuofobici e
la persecuzione delle donne, pericolose, portatrici del peccato, e considerate streghe.
La stregoneria, considerata inizialmente come una superstizione, nella seconda metà del ‘400 acquisì i connotati di
una vera e propria eresia. Furono scritti trattati come il “Malleus maleficarum” del 1486, e prese fonti tratte dalla
Bibbia o dalla letteratura classica, per dimostrare come il femminile fosse soggetto ad attenzioni da parte del
demonio, e quindi giustificare l’azione degli inquisitori che colpivano duramente le donne. Si apriva così, nell’età
moderna, l’epoca della caccia alle streghe.

RINASCIMENTO FEMMINILE
Per la significativa presenza delle donne, nonostante il contesto politico ed ecclesiale, ai processi di riforma e al
pensiero e azione religiosa.
Le aristocratiche furono coinvolte in prima persona alle questioni politiche e religiose. Significativo fu il ruolo di
varie sovrane nell’incrementare la vita religiosa, attraverso fondazioni, opere di carità e scelte personali.
· Matilde di Canossa (1046-1115) governò la Toscana con energia e determinazione, sostenne il palpato e, nella lotta
per l’investiture, fu il punto di collegamento e mediazione tra i poteri laici ed ecclesiastici. Fu lei intervenire nella
scelta dell’abate Desiderio di Montecassino come papa.
· La regina Sancha d’Aragona, moglie di re Roberto d’Angiò, che fondò a Napoli il monastero doppio e la basilica di
Santa Chiara.
Ma fu il ceto medio femminile, a partire dal XII secolo, a rappresentare il moto di una svolta che portò a significativi
cambiamenti. Nonostante in questo periodo ci fosse l’affermazione del potere dei chierici, si pose la base di una
nuova consapevolezza da parte della donna, che entrò nella scena politica e religiosa, cercando di realizzare le
proprie aspirazioni in risposta alle mutate condizioni economiche e culturali dovute all’incremento della
popolazione cittadina, all’affacciarsi della borghesia e al benessere crescente.
Inoltre, nel medioevo i monasteri non furono solo strumento per le strategie politiche adottate dall’aristocrazia, nel
condurre le donne non destinate al matrimonio, ma anche, e soprattutto importanti centri cultura, di esegesi biblica,
studi filosofici, sperimentazione, committenza artistica e creatività musicale.

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· Eloisa (1101-1164), fu «allieva, amante, sposa, sorella» di Abelardo, filosofo medievale, con cui intrecciò un dialogo
su temi teologici e sul principio morale dell’interiorità, capisaldi del pensiero abelardiano. I due si innamorarono,
concepirono un figlio e si sposarono di nascosto, ma la loro relazione non venne accettata e dovettero dividersi
entrando in monastero. Lui prese le distanze per favorire la carriera. Dopo anni si scambiarono lettere in cui emerge
come Eloisa conservi il ricordo del loro amore, non considerandolo peccaminoso in quanto scaturito da un
sentimento d’amore.
Eloisa divenne badessa e criticò come la regola monastica benedettina fosse stata scritta per gli uomini e non
tenesse conto delle esigenze delle donne.
In seguito alle affermazioni di Eloisa su come le donne fossero mortificate, Abelardo enuncia la pari dignità della
donna scrivendo storie sulle donne dell’Antico Testamento.

· Ildegarda di Bingen (1098-1179), profetessa, predicatrice, scienziata, musicista e teologa. Entrò da piccola in
monastero e divenne badessa e svolgendo l’ufficio pastorale di istruzione e di guida. Fu portatrice di un’idea della
profezia non legata al sacerdozio, ma dono attraverso il quale anche le donne, chiamate da Dio, possono intervenire
nelle questioni religiose e politiche. Ildegarda, infatti, fondò e governò l’abbazia benedettina di Rupertsberg, in
Germania, e divenne badessa, ma non si limitò ad amministrare la comunità monastica, avviò un’attività pastorale
esterna scrivendo a papi, abati e monaci con grande autorità; compì viaggi nei quali predicò pubblicamente per
richiamare alla riforma della Chiesa e osteggiare le eresie; compose scritti teologici, musicali, profetici.

· Margherita Porete (1250-1310), colta beghina che tradusse la Bibbia in volgare, si dedicò allo studio e alla
meditazione, e arrivò all’elaborazione del suo “Chiesa grande delle anime semplici”, che le costò poi la vita, finendo
condannata al rogo insieme al testo, che però sopravvisse in anonimo grazie ai templari.
Nel suo scritto dice che Dio è Amore e che le anime tendono ad unirsi a Dio, non vi è quindi la necessità della
mediazione dei sacramenti, considerati “piccola Chiesa” rispetto alla “grande Chiesa” in cui non intercessione, ma si
basa sul rapporto interiore con Dio.
Di seguito nasceranno movimenti mistici, tra cui quello del “Libero Spirito”, che fa riferimento anche allo «Spirito e
Verità» citati nel Vangelo di Giovanni. Nel testo di Margherita traspare una grande familiarità con i testi biblici. Per
lei la Scrittura era una mediazione, e per comprenderla appieno bisognava andare oltre il testo biblico.

· Brigida di Svezia (1303-1373) principessa consapevole del proprio ruolo di profetessa, si autodefinì “canale dello
Spirito Santo”; attraversò tutta l’Italia per poi andare a Gerusalemme; fu consigliera del re e scrisse lettere a vescovi
e preti, impegnandosi a liberare il papato dalla prigionia di Avignone; a Napoli scrisse una lettera alla regina
Caterina sul come governare, e contro l’attività dello smistamento degli schiavi nel porto della città; organizzò una
nuova comunità religiosa: l’Ordine del Santissimo Salvatore, un monastero doppio a guida femminile nel quale la
badessa rappresentava caput et domina, come Maria Madre di Gesù e guida della Chiesa.
l’Ordine fu approvano, ma l’impostazione di Brigida non fu attuata.

· Caterina da Siena (1347-1380) nelle sue lettere con l’espressione «io Caterina», manifesta la volontà di una donna
che si sentiva chiamata alla missione di guida di una comunità cristiana lacerata. Caterina, come altre profetesse,
cercò di mettere fine alla lontananza del papa da Roma. Non risparmiò contestazioni e critiche ai rappresentanti del
potere, sperando in una riforma della Chiesa e un ordine di giustizia e riconciliazione. Ma nel 1378, il Grande scisma
d’Occidente infranse le sue speranze e morì delusa dal comportamento del papa.
Per impulso di Caterina da Siena, l’ordine domenicano venne riformato. Lei proponeva il ritorno al rispetto delle
antiche regole di povertà, preghiera, studio. A Caterina si rivolgevano le donne che vedevano in lei un modello di
impegno profetico che, per richiamare a conversione ed unità, trova centralità nella parola di Dio.

DONNE E STUDIO
Nel medioevo la percentuale delle donne alfabetizzate era molto bassa, ma incontriamo nei secoli XII-XV, donne che
emergono per la loro cultura, erudite, teologhe e scrittrici.
· Le badesse Relinda e Herrada, del monastero di Hohenburg intorno alla metà del XII secolo, idearono l’“Hortus
delicarum”, la più antica enciclopedia pensata, composta realizzata da sole donne, che ripercorreva la storia del
mondo e dell’umanità, dal peccato fino al giudizio, al fine di educare ed elevare spiritualmente le monache.
· Nel filone di creatività poetica si inserisce anche Giuliana da Norwich (1342-1416). La mistica inglese meditò
sulle tre Persone divine, trasferendo la maternità a livello della trinità. In Giuliana paternità e maternità
connotavano la pienezza dell’azione divina; e la maternità nega la possibilità di una punizione eterna, perché un
Dio-Madre non può tollerare la perdita di un figlio, quindi l’inferno non può esistere.

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Nei nuovi movimenti, sono numerose le testimonianze di un rapporto rinnovato che alcune donne ebbero con il testo
sacro.
Il movimento dell’osservanza aveva favorito la produzione e la circolazione di un’ampia letteratura devota in
volgare. Ne danno testimonianza Cecilia Coppoli di Perugia, che con molta autorità commento la sacra scrittura; e
Caterina Vigri da Bologna secondo la quale occorreva rapportarsi alla Scrittura, una delle “armi spirituali indicate
nella sua opera “Sette armi spirituali”, piena di citazioni richiami della Bibbia.
· Camilla Battista da Varano, dell’Ordine delle clarisse, era inserita nell’atmosfera umanistica e rinascimentale della
corte dei Varano; praticava la musica e acquisì un’ampia cultura letteraria. La Bibbia orientava il suo pensiero e
ogni tappa del cammino spirituale da lei proposto. Nutrì un particolare amore per Paolo e Giovanni, che attraverso i
temi della passione e della sapienza della croce, costituirono il quadro di riferimento entro cui si articolò la sua vita
di fede.

· C’è poi il caso della scrittrice Cristina da Pizzano (prima scrittrice professionista, in quanto retribuita), che con la
sua “Città delle donne”, nel ‘400, progettò idealmente una città utopica, costruita e fortificata sui pregi delle donne
del passato. Qui i rapporti gerarchici tra femminile e maschile non si misuravano sul concetto di natura, ma
sull’esercizio delle virtù, i cui modelli si ritrovano nelle fonti pagane e cristiane.
Cristina con la sua opera diede inizio a quella che viene definita querelle des femmes, trattatistica che percorrerà
l’intera età moderna argomentando sul uguaglianza, disparità o differenza tra i sessi, attingendo alla sacra
scrittura e alla letteratura classica.

· Nell’ambiente umanistico vi è anche Isotta Nogarola. Nota per la sua cultura, rifiutò il matrimonio per dedicarsi
allo studio. Partendo dalla riflessione sulla limitata condizione femminile, si interrogò sulla responsabilità di Adamo
ed Eva nella caduta del genere umano. Le riflessioni, per riscattare la donna dal peso del peccato originale,
avvenuto, a suo avviso, per brama di conoscenza, del bene e del male, e non per sete di potere rispetto a Dio.

Le scelte e il pensiero di alcune donne e di alcuni personaggi ci fanno comprendere che, se nell’epoca medievale la
personalità del singolo era assorbita nella coralità della comunità, religiosa o civile, non poche volte emersero
soggettività personali.

MOVIMENTI PAUPERISTICI
Gli sviluppi economici del XII secolo e la corruzione del clero e dei cristiani, ebbe come reazione la ricerca di
alternative di vita più vicine ai dettami del Vangelo e alle prime comunità cristiane.
Le domande che questi movimenti si posero, riguardo come si dovessero intendere e vivere il cristianesimo, costò a
molte comunità l’essere giudicate eretiche (valdesi, catari, libero spirito).
Numerose donne aderirono a forme radicali di vita cristiana, che implicavano povertà, castità, carità, apostolato.
In tale contesto, in Belgio a partire dal 1170, si sviluppò il movimento delle beghine, una comunità laica di donne
devote (in napoletano “bizzoche”), che vivevano autonomamente in povertà; lavoravano, leggevano, pregavano,
predicavano e scrivevano – vita attiva e vita contemplativa.
Lasciarono scritti di riflessione teologica e di interpretazione dei testi sacri, esposti in lingua volgare. Una delle
esponenti delle beghine scrissi canti d’amore in cui Dio/Amore era rappresentato come immagine femminile, in
quanto, nell’antica lingua olandese “amore” era al femminile.
Ci furono poi le proposte pauperistiche di Valdo di Lione, considerato eretico, e di Francesco d’Assisi.
Francesco con le sue scelte di vita superò la gerarchia tra chierici e laici: la sua era una fraternitas nella quale
trovavano accoglienza chiunque lo volesse seguire.
Francesco presentava sé stesso non come padre, ma come madre e altre immagini e metafore femminili, in quanto
accoglie e non giudica (es. la chioccia che riunisce sotto di sé i pulcini).
Relativamente alle donne non ipotizzò uno specifico percorso di vita, anzi manifestò difficoltà nei loro confronti, ma
nonostante ciò ne aveva un seguito, a iniziare da Chiara, che lo seguì con passione e dedizione nonostante le
restrizioni riservate alle donne, che non potevano esercitare l’apostolato itinerante.

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Chiara d’Assisi (1193-1252), difese il privilegio della povertà opponendosi al papa; scrisse una regola monastica su
misura delle donne, e volle uniformare la vita il più possibile a quella povera di Cristo, formando una comunità priva
di relazioni gerarchiche, che riprendeva elementi del pensiero di Francesco: vita di comunione spirituale;
femminilità che rimanda ai valori simbolici legati alla povertà, la cura, la protezione; attenzione rivolta agli
emarginati e a quelli che non hanno potere, ribaltandolo i ruoli sociali; Cristo visto nei suoi due momenti di fragilità,
alla nascita della morte, momenti che richiedono la presenza amorevole delle donne. La misericordia è l’elemento
caratterizzante della Sequela Christi.
Tutti questi elementi hanno aperto per le donne la via verso forme di vita religiosa e hanno rappresentato una svolta
significativa chi ha segnato profondamente la storia della cultura religiosa.

L’ALTERNATIVA MISTICA: caritas e profezia


Per le donne medievali, l’intelligenza della fede non si fondava su conoscenze a speculazioni teoriche, bensì
maturava nell’incontro che l’ascolto della Parola suscitava. Vi furono infatti critiche nei confronti dei teologi che si
limitavano a scorgere il vero messaggio della scrittura piuttosto che farne esperienza.
Le mistiche esercitavano un’esperienza religiosa interiore, di rapporto d’amore con Dio. Erano attente ai testi sacri,
ma anche consapevoli della necessità del loro superamento. La verità sta al di sopra del testo sacro che, alla luce
dell’esperienza mistica, risultava essere un mero strumento; la mistica era unione perché arrivava a Dio.
L’esperienza di Dio è la chiave interpretativa che le donne del medioevo adottarono per la comprensione del testo
sacro, il messaggio di salvezza ascoltato e meditato per l’incontro d’amore. Solo il mistico poteva intendere la
Scrittura perché la portava a compimento.
Tale esperienza comportava anche integrare, attraverso le visioni, quello che la Bibbia non diceva. Brigida di Svezia,
ad esempio, introdusse particolari nel racconto della Natività e della passione che influenzeranno l’iconografia.
Nelle donne l’ascolto diventava non sono estasi e preghiera, parole scrittura, ma anche pensiero e pratiche di vita,
luogo di intersezioni di sentimenti e ragione. Quello che espressero le mistiche fu un intellectus amoris, tema
ricorrente per le donne, per le quali l’amore era forma di conoscenza, ricerca intellettuale e spirituale. Non è quindi
una concezione metafisica di Dio.
La profezia era una pratica riconosciuta alle donne, come ricorda Tommaso d’Aquino «la profezia non è un
sacramento ma un dono di Dio, e rispetto alle cose dell’anima la donna non differisce dall’uomo», o come afferma poi
Girolamo Savonarola, «la profezia non si dà al sesso, ma alla purità di cuore».
Le mistiche esprimono l’incontro con Dio, indicibile, attraverso lo scritto profetico, poetico, con figure retoriche
evocatrici.
Attraverso l’esperienza religiosa femminile i credenti entrarono in una nuova relazione anche con Maria. La
diffusione del culto, favorì una lirica mariana in volgare, dei cicli mariani che attingevano dalla tradizione dei testi
apocrifi, facendo di Maria un’immagine ideale. Ruolo di madre amorevole e compassionevole, che con gioia dà alla
luce il Bambino, e dolosa dolorosamente affronta la sua Passione. Le mistiche rivivevano i momenti della vita di
Maria identificandosi con essa; imitazione di Maria come corrispettivo femminile dell’imitazione di Cristo.
Nel consegnarci la loro esperienza, queste mistiche hanno voluto comunicare una presenza, una relazione di amore.
E la loro esperienza si tradusse in gesti di carità. Questa peculiare vita di fede offrì alle donne una legittimazione
carismatica che diede forza alle loro parole.
· Guglielma di Milano (1210-1282), fu ritenuta incarnazione dello Spirito Santo e le sue seguaci annunciavano
l’arrivo di una nuova Chiesa a direzione femminile.
Molte donne ebbero impegno profetico nell’idea dell’avvento di un’età dello Spirito, e di una riforma della Chiesa che
avrebbe unificato e convertito tutti i popoli. Tra queste vi era anche una necessità di considerare che Dio possa
incarnarsi anche in un corpo femminile.

Angela da Foligno
Angela nacque a Foligno, in Umbria, nel 1248 circa. Si sposò ed ebbe dei figli, ma sono poche le notizie relative alla
sua vita prima della conversione. Nel 1285 ricevette un’apparizione di Francesco d’Assisi, che la spinse verso intense
opere di carità. In poco tempo morirono madre, marito e figli, così che Angela decise di vendere i suoi beni ed entrare
nel Terzo ordine francescano.
Pellegrina ad Assisi nel 1291, visse una crisi mistica nella basilica di San Francesco, dove sperimenta in sé la
presenza di Dio Trinità. Il suo confessore Arnaldo, presente all’accaduto, mise per iscritto, in latino, l’esperienza
spirituale dettata da Angela, che viene posta oltre la Chiesa e la Scrittura, in quanto il suo rapporto con Dio non ha
mediazione e, avendo assimilato l’intellectus evangelii, ha una comprensione più profonda, con visioni e
purificazione ascetica che porta ad un’unione con Dio “Ognibene”, ma il linguaggio umano non è adeguato a
comunicare esperienza divine di tale portata.
Angela sperimenta Dio nell’amore, nell’oscurità in quanto assenza di Dio contrapposta alla presenza, nella Passione
e nella resurrezione. Esercita la carità in quanto sono il mezzo attraverso il quale la Misericordia di Dio si realizza.
Per questo rapporto di identificazione in Cristo/Dio, Angela è considerata la più alta erede di Francesco. Intorno a lei
si formò un gruppo di spirituali, teologi, frati e laici, dal qule veniva chiamata magistra thologorum.

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Angela da Foligno mostra un percorso particolarmente significativo di spiritualità femminile legata al modello di
Francesco d’Assisi per alcune caratteristiche che ritroviamo, come il tema della laicità, esperienza religiosa che non
passa necessariamente attraverso la vita monastica, e nel quale si incontra Dio e si inizia un cammino interiore di
conversione e salvezza; nel conformarsi al Cristo come esperienza e incontro d’amore nel condividere il dolore della
Passione; il voto di povertà e carità; l’idea che Cristo si ritrova nei poveri, gli emarginati, i malati, i bisognosi.

CHIESA TRIDENTINA E RIFOMA DELLE DONNE (secoli XVI-XVII)


Il Cinquecento rappresenta una svolta nella storia dell’Occidente, segnando anche la condizione femminile.
Erano ancora presenti in stanze di riforma nella cristianità lacerata dallo scisma d’Occidente. I papi rinascimentali
si comportarono dare i guerrieri concubini, la Chiesa vedeva continua episodi di nepotismo simonia; religiosi poco
osservanti e monache perlopiù costrette delle famiglie ad entrare nei monasteri, e quindi poco rispettose della
clausura. Per questi motivi si sollevarono interventi volti a una renovatio della Chiesa, a cui contribuirono voci
profetiche di donne e mistiche.
La condizione sociale e giuridica delle donne, non impedì loro di percorrere strade di intensa esperienza religiosa.

LE DONNE E LE ISTANZE DI RIFORMA


L’Umanesimo aveva espresso una particolare sensibilità nell’approccio al testo biblico, con traduzioni e predicazioni
che fossero più vicine al popolo.
A Firenze nell’ultima parte del ‘400, Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, scrisse una traduzione in
volgare del “Magnificat”, cinque poemetti sacri su alcune figure femminili.
Sempre a Firenze, intensa fu la riforma avviata da Girolamo Savonarola, profeta che formò un centro di studi
esegetici delle Scritture. Savonarola denunciava la Chiesa corrotta, affermando che una riforma non poteva venire
da chi è al potere, ma dal basso, in particolare da due gruppi di persone, quelle che hanno meno a che fare con il
potere: giovani e donne. Infatti indirizzava le sue prediche in modo semplice, a tutti, uomini e donne. Riforma delle
donne, in quanto proprio la fragile condizione femminile poteva essere elemento significativo per una
trasformazione della cristianità libera dai giochi di potere e dalla corruzione.
Savonarola per le sue posizioni riformatrici fu messo al rogo, ma le idee furono portate avanti.
Tra i suoi discepoli vi era la mistica Domenica Narducci da Paradiso (1477-1533), una contadina che riteneva
Savonarola un martire e che dopo la vocazione profetica, iniziò a predicare e avere un piccolo seguito.

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Per Domenica la Bibbia era la fonte prima di nutrimento spirituale e missione profetica. Acquisì un forte ruolo
carismatico e magistrale, sulla strada di rinnovamento spirituale e sociale avviata da Savonarola.
Le opere di Domenica Narducci, lettere, visioni, profezie, trattati, dimostrano la presa della donna carismatica nel
complesso contesto urbano e religioso della Firenze di primo Cinquecento.
Domenica dimostra un’inconsueta capacitò di ascoltare e ripropone la comprensione di alcuni passaggi biblici.
Scrisse un commento alle lettere di Paolo, in particolare del passo della Prima lettera ai Corinzi «le donne taccino in
assemblea», criticando l’esegesi tradizionale che vietava la predicazione femminile, partendo dal racconto di una
visione di Paolo che le dice che «mai avrebbe potuto mettere il bavaglio allo Spirito Santo», e che «i teologi che
credevano di conoscere, non hanno capito nulla»; Paolo le dice di aver detto alle donne di tacere, perché in quel
momento le donne facevano chiasso. Sulla base di questo Domenica afferma che l’apostolo aveva vietato alle sole
cristiane di Corinto di non parlare all’assemblea liturgica perché chiassose, non aveva posto un divieto universale
come interpretato dalla Chiesa.

In Spagna, invece, ci fu un gruppo di visionarie spagnole, le alumbradas, le illuminate che, nonostante la dura
repressione dell’Inquisizione spagnola, rielaborarono interpretazioni bibliche alla luce della propria esperienza
spirituale e delle parole di Paolo «la lettera uccida, ma lo Spirito dà vita» – religiosità interiore aperta alla salvezza
di tutti i popoli.
Degli alumbrados, faceva parte anche Juan de Valdés (1500-1542), che dalla Spagna approdò esule in Italia in
seguito alla condanna a causa della sua opera “Dialogo della dottrina cristiana”. A Napoli costituì un cenacolo di
donne e uomini alla ricerca di una dimensione interiore della fede a discapito delle forme esteriori dei riti.
Animatrice del gruppo napoletano fu la sua erede spirituale, la contessa Giulia Gonzaga.
Il valdesianesimo in Italia fu segnato dalle relazioni tra le donne colte che svolgevano ruoli di protezione e diffusione
delle nuove istanze di rinnovamento. Tra queste la marchesa di Pescara Vittoria Colonna, autorevole protagonista
dell’evangelismo italiano, nonché attiva intraprende degli aneliti di riforma nella Chiesa rinascimentale, in contatto
i cenacoli italiani ed europei. Scrisse epistole, rime d’amore e rime spirituali.
Le sue meditazioni bibliche avevano un approccio al testo sacro come guida per il rinnovamento spirituale. Il
Vangelo di Giovanni era lettura privilegiata.
Vittoria Colonna, usando l’audace espressione «Et io ardisco dire il contrario», propose l’interpretazione
dell’episodio dell’adultera tremante dinanzi a Gesù, non perché visto in quanto giudice come la tradizionale
interpretazione, ma per aver avvertito l’amore salvifico di Cristo.
Anche la figura di Maria Maddalena fu interpretata al di là della tradizionale immagine di peccatrice e penitente.
L’amore della Maddalena che non abbandona Gesù , al contrario degli uomini, fu in lei tema ricorrente e divenne
occasione di più ampie riflessioni intorno al genere femminile. È per il suo «cor fermo» che la Maddalena ricevette il
primo incontro con il maestro resuscitato, non riconosciuto con gli occhi, ma con la fede che nasceva dall’amore.
Sensibile ai fermenti religiosi nel ‘500, fu anche Caterina Cibo, colta e raffinata duchessa di Camerino, che fu figura
determinate per la nascita dell’Ordine dei Cappuccini, ospitandone le prime comunità. Scrisse sui temi della fede e
della giustificazione.
Margherita di Navarra, regina, donna erudita, scrittrice e protettrice di artisti e letterati, nel ‘500, fu personalità di
rilevo nell’ambito della riforma religiosa francese sviluppatosi dalle idee di Erasmo, nelle quali confluirono elementi
di misticismo e neoplatonismo rinascimentale.
La sua opera più celebre è l’“Heptaméron”, una raccolta di novelle di ispirazione boccaccesca il cui argomento è
l’amore trattato nei suoi aspetti sensuali e mistici da un gruppo di giovani riuniti in un’abbazia per sfuggire ad un
tempesta; questi ogni mattina, prima del racconto delle novelle, leggevano e riflettevano sulla Scrittura. Attraverso
questi racconti, pur nella forma ludica, Margherita esprime la sua visione spirituale del cristianesimo come religione
d’amore, nella quale è Dio e la sua grazia a salvare.
A contatto con il circolo di Margherita vi fu Renata di Francia, figlia di Re Luigi XII, che data in sposa a Ercole II,
duca di Ferrara, aveva creato a corto un luogo di accoglienza per gli esuli francesi e i dissidenti riformatori, dando
vita a dibattiti su una rinascita religiosa che avevano come temi l’autorità del papa, la presenza reale di Cristo
nell’ostia consacrata, la validità dei sacramenti, la mediazione di Maria e dei santi e l’esistenza del purgatorio.

Tra le donne di primo piano della scena europea vi era anche Maria d’Ungheria, attenta lettrice del Vangelo, nutrì
simpatie per i luterani, per i quali fu spesso protettrice. Come anche Isabella Bresegna, una spagnola educata a
Napoli da Giulia Gonzaga, incline al calvinismo.
Ma questa inquietudine fu manifestata da molte aristocratiche europee, tra pensiero critico, dissenso, ricerca di una
spiritualità interiore e religiosità più autentica, dimostra che siano al centro di proposte di riforma al di là dalle
appartenenze confessionali.
All’interno del fenomeno di profetismo e misticismo che attraversò la Spagna barocca, ruolo importante lo ebbe
Marina de Escobar, legata alla corona spagnola, spesso vicina a donne carismatiche e dotte che con le esperienze

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mistiche e visionarie, supportavano la legittimazione trascendente del potere. Marina tracciò percorsi spirituali
orientati verso la riforma della cristianità.

RIFORME E BIBBIA
L’Umanesimo, con l’attenzione alla dimensione storica, e la filologia, creò confronti e scontri sullo studio e la
comprensione della Bibbia, e le sue diverse interpretazioni, crearono conflitti tra le confessioni religiose e le
conseguenti diverse elaborazioni dottrinali. In particolare la Riforma protestante di Lutero, creò una frattura nel
cristianesimo che portò a un riassetto geopolitico e religioso del continente. I paesi cattolici furono segnati da due
eventi che influirono sulla dottrina e sulla vita di quei credenti, soprattutto delle donne: la nascita della Compagnia
di Gesù, i gesuiti, del 1539, e il concilio di Trento che si chiuse nel 1563. Le conseguenze attuate in risposta alla
riforma di Lutero, la Controriforma, incisero in profondità.
Età del “controllo delle coscienze”, che vedrà il suo epilogo nella condanna del quietismo come esperienza di puro
abbandono in Dio.
Nell’Umanesimo si accentuò il bisogno di rapportarsi direttamente ai testi sacri, per una comprensione filologica del
testo e una devozione più completa, e a farlo nella lingua volgare, per renderlo accessibile a tutti. Oltretutto la
rivoluzione dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, favorì la diffusione del testo sacro.
Si aprì quindi in Europa il dibattito del consentire o meno l’uso della Bibbia in volgare ai laici, soprattutto dopo le
esperienze eretiche che attingevano da essa le loro basi. Il rapporto diretto del credente con il testo, infatti, creava
preoccupazioni all’istituzione ecclesiale, che temeva interpretazioni personali che potevano ledere l’autorità della
Chiesa.
La lettura diretta dei Vangeli avrebbe liberato i credenti dalle sovrastrutture teologiche e le allegorie dovute alla
deriva della scolastica, e li avrebbe aiutati a riscoprire la centralità del messaggio evangelico, fondato su semplicità
ed uguaglianza.
Molti intellettuali ritenevano necessario avvicinare il testo sacro ai fedeli, traducendo la Bibbia nelle lingue
nazionali, affinché tutti potessero comprenderla. La prima traduzione integrale della Bibbia in italiano risale al
1470. Ma nel ‘500, in poco tempo fu pubblicata nelle varie lingue nazionali, a partire dal tedesco da parte di Lutero.
Ciò mise in moto un cambiamento nella Chiesa, e un avvicinamento dei laici, ma non portò alla riforma della Chiesa
in positivo come si sperava.
Lutero, ripartendo da una rilettura del testo sacro, aveva indicato modalità diverse dell’essere cristiano e di
concepire la Chiesa, finendo con il separarsi da Roma. La Riforma protestante aboliva la legge del celibato per il
clero, sopprimeva i monasteri femminili e svuotava il sacerdozio dalle prerogative di casta, ponendo sullo stesso
livello dei laici.

CONCILIO DI TRENTO (1545-1563)


Il Concilio di Trento fu convocato per reagire alla Riforma luterana.
La frattura protestante aveva spinto la gerarchia cattolica a restringere i margini di lettura e interpretazione
diretta della Bibbia, ritenuta «fonte di eresie». Pertanto la Chiesa, sempre più chiusa nella sua gerarchia, si pose
come unico garante dell’interpretazione dei testi sacri.
Per evitare il diffondersi della Bibbia in volgare, fu inserita nell’Indice dei libri proibiti dell’Inquisizione, e si
avviarono provvedimenti per il ritiro dal mercato e il sequestro nelle case e nei monasteri. Nei paesi cattolici non ci
si poteva avvicinare al testo sacro se non attraverso i filtri dell’istituzione, o indirettamente con le iconografie e le
particelle di testi autorizzati.
Gli interventi del concilio prevedevano compresero anche la condizione del clero, la riforma dei monasteri femminili,
la definizione e gestione dei sacramenti.
Il Concilio confermò il divieto di matrimonio per il clero di rito latino, stabilendo la superiorità del celibato;
allontanare le donne non era sufficiente, occorreva una severa impostazione educativa che tenesse sotto controllo le
“insidie della carne”, e fu quindi istituito il seminario, con l’obiettivo di formare chierici esemplari.
Ma il fenomeno del concubinato non si attenuò, e anche in clima di Controriforma, gli alti prelati non nascosero i
propri figli, pedine di strategie politiche e ambizioni personali; mentre per il clero delle classi più basse le pene erano
lievi in modo da non dare scandalo.
Al contrario, le donne che non rispettavano la castità, erano punite severamente.
Il Concilio di Trento avviò azioni di riforma che ebbero come esito la chiusura e l’irrigidimento della struttura
gerarchica ecclesiastica, accentuando la polarizzazione tra chierici e laici.

RIPERCUSSIONI DEL CONCILIO SUL MONDO FEMMINILE


La riforma avviata dal Concilio ebbe considerevoli ripercussioni anche sull’universo femminile. Attraverso attività
pastorali, formative, normative e repressive, la Chiesa intervenne nei confronti delle donne con azioni rivolte in più
direzioni: per arginare le unioni irregolari e clandestine, si tentò di regolarizzare la vita sociale attraverso l’istituto
matrimoniale; controllo delle coscienze mediante l’istituto della confessione e della direzione spirituale,
specialmente per azione dei gesuiti.

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L’avvio della riforma dei monasteri avviò il riordinamento degli istituti religiosi locali. Per le donne si confermò
l’imposizione della clausura, provvedimento che però aveva visto margini di trasgressione, specialmente per le
donne aristocratiche, indirizzate alla vita monastica per strategie familiari, al quale erano concessi spazi di libertà
per alleggerire la condizione imposta.
La stretta clausura fu imposta per porre fine a uno stile di vita amorale e indisciplinato di molti monasteri, ma
anche per avviare una politica di controllo verso le spinte innovatrici della riforma luterana e l’inquietudine
spirituale che l’Umanesimo aveva suscitato in molte donne. La clausura venne giustificata come “incarceramento
volontario”, e si scomunicava chi lo violava; ciò comportò una riorganizzazione degli spazi monastici e un
adeguamento dell’architettura alle nuove norme che, dall’esterno, dovevano rendere invisibili le donne, attraverso
spazi separati: alte mura, finestre murate, cancellate con apertura solo dall’esterno, grate strette, le ruote per il
passaggio delle cose necessarie. Per il controllo morale, avevano l’obbligo di presentarsi con costanza a confessori e
visitatori apostolici. Inoltre alle monache venne imposto un drastico ridimensionamento delle spese, con l’abolizione
della servitù, divieti di fasto e mondanità, degli oggetti legati alla cura personale, limitazione della vendita dei dolci,
al diletto come la musica e l’arte.
Il monastero diventava una sorta di fortezza, dal quale non si poteva né entrare né uscire. Gli spazi furono
riorganizzati come dormitori e refettori comuni che confinavano le donne di spazi definiti, che livellavano e
mortificavano le monache, ogni apertura verso l’esterno era chiusa, vietando loro la vista del mondo al di fuori.
Ascoltavano la messa da una posizione rialzata e nascosta agli occhi dei fedeli attraverso le “gelosie”, griglie e teli
che schermavano le monache, munite di una piccola serratura per conferire l’eucarestia.
Per tutto il Seicento e Settecento, a interventi repressivi si susseguirono atti di ribellione.
Il corpo femminile diventò oggetto di particolare attenzione da parte degli organi istituzionali, civili e religiosi,
attraverso una politica di controllo della sessualità, esercitata soprattutto dai gesuiti con le confessioni continue
come azione di guida e vigilanza, con specifiche e umilianti domande, rivolte alle sole donne, sulla vita sessuale.
Mentre gli uomini erano esortati a confessarsi una volta all’anno, la donna frequentemente.
Per le donne, le norme di continenza o di astinenza, gli impulsi sessuali all’interno della vita matrimoniale, l’unione
coniugale solo come rimedi di concupiscenza dell’uomo, il diniego del piacere, il decoro nell’abbigliamento, sono gli
aspetti che orientarono alla formazione della “buona cattolica”, il cui corpo era funzionale alla procreazione e alle
necessità del marito. La condizione di peccato portava a penitenza e sorveglianza.
La confessione dei peccati della carne, diventava occasione di eccitazione e peccato da parte dei confessori, che
restavano perlopiù impuniti, per il ruolo che ricoprivano, per la poca credibilità data alle donne.
L’ossessione per il corpo della donna, desiderato e allo stesso tempo respinto, si manifestò in maniera ancora più
drammatica nella letteratura demonologica. I trattati sulla stregoneria a partire dal Quattrocento acuirono il
concetto di inferiorità naturale e fisiologica delle donne, «predisposte a cedere alle lusinghe del demonio», e
portarono alla crudeltà delle torture e delle persecuzioni alle donne definite “streghe”, nel quale veniva canalizzato il
Male e le colpe dei disastri del mondo e delle lotte religiose.
Le donne sole, malate, eccentriche, a volte curatrici o levatrici, vennero considerate pericolose, e mentre nel
Medioevo venivano considerate superstizione, in età moderna, venivano perseguitate come eretiche. Prese e, se non
confessavano, costrette a terribili torture.
La fobia sessuale e la presenza del Maligno che si lega carnalmente al corpo femminile, contribuirono
drammaticamente alla messa in atto di una violenza di genere.
Per le donne possessione diabolica e pretesa di santità furono oggetto di indagine, speculazione e sperimentazione
durante tutta l’età moderna; i confessori dovevano valutare l’esperienza femminile e spesso alle donne veniva
imposto l’obbligo di scrivere, come atto di obbedienza al confessore, così da poter entrare nei più intimi segreti
dell’animo femminile.

CHIESA TRIONFANTE
Con la Controriforma la Chiesa cementò la sua struttura monarchico-piramidale, con a capo il papa. Chiesa
militante il cui trionfo storico apparve come garante di autenticità.
Si applicava la teologia del cardinale Roberto Bellarmino, in cui Dio era chiuso nella dimensione della Chiesa; Cristo
era mediatore; lo Spirito era custode di ciò che la vera Chiesa annunciava e dichiarava.
La salvezza passava per la sola obbedienza ai dettami della fede dati dall’autorità ecclesiastica.
Per questi motivi furono condannati pensatori come Giordano Bruno (‘600), o Galileo Galilei, la cui condanna ebbe
un peso determinante nella storia della Chiesa cattolica, e anche sulle donne. Lo scienziato nel 1615 inviò una lettere
a Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, illustrando la metodologia da usare nell’interpretazione della
Scrittura, laddove essa risulta in contrasto con le scoperte scientifiche. Per Galilei era possibile conciliare indagine
scientifica e verità di fede, perché rispondono a due modi diversi di acquisizione della verità; il testo biblico
riguardava il piano della salvezza e non rispondeva a questioni che richiedevano approcci diversi.
La condanna nei confronti della ricerca scientifica comportò un’enorme arretratezza culturale nel mondo cattolico
ed ebbe ripercussioni anche sull’evoluzione della condizione femminile. Non consentire alcun dubbio interpretativo
sui testi sacri, bloccò quelli che erano gli stereotipi, rivolti alle donne, derivati dall’interpretazione letterale di Eva e
dei passi delle lettere di Paolo.

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Anche le arti furono al servizio della dottrina; l’arte doveva svolgere un ruolo educativo e rappresentare quella che
era la visione della Chiesa, censurando il resto.
Le figure femminili dell’Antico Testamento, ad esempio, furono reinterpretate alla luce di Maria, come
rappresentazione allegorica e prefigurazione.
Alle rappresentazioni si aggiunse il culto delle reliquie e dei santi che, attraverso una grande produzione
iconografica, caratterizzò la cultura religiosa della Controriforma e spostò l’attenzione dal testo sacro alle pratiche
devozionali.

RESISTENZE E OPPOSIZIONI
Dopo la riforma dei monasteri femminili, le donne opposero non poche resistenze, spesso con atti di esplicita
ribellione. Oltre i Concili, per tutto il ‘600 e ‘700, furono molti gli interventi dei vescovi mirati a limitare i monasteri
ed evitare irrequietezze.
Le memorie della benedettina napoletana Fulvia Caracciolo, ne sono un’eloquente testimonianza. Fece una
cronaca dei giorni di cambiamento dopo il Concilio di Treno e l’imposizione della clausura: alcune donne non
ritentarono, altre cercarono di ribellarsi, cercarono strategie per uscire con buchi dei giardini o sacchi di farina. E
racconta di come, per ripristinare la disciplina del monastero di San Festo a Napoli, fu posto sotto stato d’assedio per
mesi, e le monache maltrattate reagirono violentemente.
Sempre a Napoli furono emanati editti che vietavano alle monache di ricevere visite, di abbellire gli altari, di cantare
e far musica senza autorizzazione, di introdurre bambini e di far spese superflue, relegandole ad una vita di
austerità e totale clausura; furono innalzati mura, con aree aperte solo mediante delle logge o dei chiostri.
Ci furono anche esperienza innovatrici, come quella di Paola Antonia Negri, che nel ‘500 fondò una comunità
religiosa per il quale diventò guida carismatica. Riconosciuta come donna dalla profondità teologica e di scrittura,
esercitò autorità pastorale, spirituale e disciplinare suoi discepoli, e per questo fu colpita da provvedimenti
disciplinari, ridotta al silenzio e segregata nel convento di Santa Chiara.
Nonostante la repressione, all’interno delle comunità religiose si verificano margini di autonomia spazi di libertà.
Si fondarono molte comunità che cercavano un’innovativa esperienza apostolica, come quella di Angela Merici; le
Dame inglesi di Mary Ward, dirette all’educazione delle ragazze; le Figlie della carità, e altre società femminili di
vita apostolica dalla forte impronta attiva e caritativa.
Ci furono anche esperienze innovative di vita contemplativa, come Teresa d’Avila, Bernardini Floriani.

Ai monasteri si affiancarono altri istituti che risposero alle situazioni di disagio sociale presenti nella società e che
toccavano le donne. Conservatori, ritiri, ospizi, ospedali costituirono iniziative, spesso avviate e sostenute da donne,
tese ad arginare la povertà ed aiutare orfani, vedove, ragazze che non avevano il sostegno della famiglia,
vagabonde. Una rete di istituzioni che organizzavano il mondo femminile, sistemando e educando.
Questi furono elementi importanti per la rigenerazione della società cattolica, e testimoniano la straordinaria
velocità del popolo cristiano alla cui spiritualità si configurava sempre più come esercizio visibile di carità.

CORPO DELLE DONNE


L’oblazione, offerta, del corpo femminile non fu richiesto solo alle monache affinché si donassero allo sposo celeste,
ma anche alle mogli che non potevano sottrarsi alle richieste dei mariti, alle madri, alle donne in genere. Sì è il
sistema familiare sociale che la Chiesa, operava un controllo del corpo femminile.
Il corpo delle donne, però, lascia traccia di sé attraverso la scrittura mistica. La spiritualità femminile negli anni di
controllo e repressione, si colloca all’interno dell’analisi introspettiva degli stati d’animo e dell’esperienza personale
come fonte di conoscenza.
La spiritualità di Teresa d’Avila, ad esempio, non nasce dallo studio accademico, ma della vita quotidiana, fatta di
incontri e sensazioni, esperienza e riflessione. Affidò alla scrittura mistica una proposta di teologia spirituale che
superava la materialità del testo sacro per approdare a un’esperienza contemplativa. Con l’uso di metafore, che
meglio rendono, attraverso la loro forte e poetica carica espressiva, il mistero della vita del divino; Teresa dice
l’indicibile con un linguaggio fatto di ambiguità e trasparenze.
Teresa, nella descrizione del divino usa i codici del femminile per dire che vi è l’accoglienza e la tenerezza, Dio si fa
grembo, cura. Il linguaggio di Teresa, corporeo e carnale, comunica esperienza spirituale.
Ma il mistico incontro con il divino non la isola, la contemplazione per lei porta all’azione, e ogni esperienza
religiosa deve essere in rapporto con l’impegno apostolico. Attraversò la Spagna per tessere relazioni, fondare
monasteri.
Teresa d’Avila mise anche in evidenza la situazione di difficoltà sociale de ecclesiale delle donne, che non potevano
evangelizzare al pari degli uomini.

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Al centro dell’esperienza religiosa del Seicento barocco, troviamo soprattutto la croce: il dolore di Dio che entra nel
corpo femminile che patisce, che si dona e si annulla al dolore.
Si sviluppa la corrente del quietismo, una dottrina mistica che ha lo scopo di indicare la strada verso Dio e la
perfezione cristiana e che consistente in uno stato di quiete passiva e fiduciosa dell’anima, in continua unione con
Dio. Questa ricerca di perfezione, ha di conseguenza la necessità di purificazione, attraverso la vita raccolta e
contemplativa, e la sperimentazione del dolore di Cristo.

La benedettina Arcangela Tarabotti nel ‘600, destinata dal padre la vita religiosa, denunciò con aspra lucidità il
sistema delle monacazioni forzate, scrivendo varie opere: “L’Inferno monacale”, “Paradiso monacale”.
Scrisse “Che le donne siano della spezie degli uomini”, in risposta alle affermazioni di Orazio Plata, secondo cui
uomini e donne non appartenevano alla stessa specie e che il peccato originale era passato solo attraverso di
Adamo, per cui Cristo non avrebbe patito per le donne, né le avrebbe salvate. Arcangela rispose criticando l’uso
distorto della Bibbia, confutò le affermazioni per ribadire, alla luce della Genesi, la medesima natura dell’uomo e
della donna, la creazione di entrambi a immagine di Dio e la pari responsabilità di Adamo ed Eva nel consentire
l’ingresso del peccato del mondo. Paradossalmente proprio per sottolineare l’uguale libertà concessa da Dio,
Tarabotti richiamò i peccati delle donne presenti nella Bibbia, e attraverso riconoscimento della colpa, la donna
diventa soggetto etico, entra nel piano di salvezza e riceve la remissione dei peccati. Gesù nato da una donna è
venuto a redimere tutti.

Emblematica è la tragica storia di Juana Ines de la Cruz, suora messicana che scriveva poesie, si interessava di
matematica, astronomia, musica. Acquisì notevole capacità critica, e nel difendersi dall’accusa di dedicarsi allo
studio, sviluppò una riflessione intrecciando ricordi autobiografici e richiami biblici e profani, riflessioni storico-
dottrinali. Difesa il diritto allo studio per lei e per tutti coloro che ne avevano talento e virtù, uomini e donne che
fossero. Nel 1692 suor Juana fu costretta ad abiurare davanti al tribunale dell’Inquisizione e obbligata a disfarsi dei
suoi strumenti di studio, per dedicarsi una vita ascetica che la portò in breve alla morte.
Il diritto allo studio per le donne si facciamo anche in Europa: la benedettina Elena Cornaro Piscopia, anche se aveva
chiesto invano di laurearsi in Teologia, era riuscita ad ottenere a Padova, prima donna al mondo, il riconoscimento
di laurea in Filosofia. Tuttavia il diritto allo studio, ancor più l’accesso per le donne la facoltà teologiche dovranno
aspettare ancora tre secoli.

Maria Lorenza Longo giunse a Napoli dalla Spagna, nel primo Cinquecento. Due eventi segnarono la sua vita negli
anni immediatamente successivi: morì il marito e le conseguenze di una malattia le impedivano di camminare. Nel
1510, versando in gravi condizioni, decise di visitare la Santa Casa di Loreto, dove miracolosamente, riacquisì l’uso
delle gambe. Decise allora di aggiungere “Lorenza” al suo nome, prese l’abito francescano e fece voto di dedicarsi ai
malati.
Madama Longa, così veniva chiamata, inizia un percorso esistenziale che la condusse, assieme ad altre donne nella
sua opera caritativa di cura dei malati napoletani. Il lei ritroviamo la ricerca di una religiosità più intima e austera,
e la necessità di porre al centro della propria esperienza di fede l’esercizio della carità.
Era vicina alla spiritualità della Compagnia del Divino Amore, fondata qualche anno prima a Genova da Caterina
Fieschi Adorno, che si dedicava all’assistenza dei malati di sifilide, una malattia contagiosa probabilmente giunta in
Europa dopo ritorno di Cristoforo Colombo dal Nuovo Mondo.
A Napoli, sotto la spinta di Ettore Vernazza, figlio spirituale di Caterina Fieschi, Maria Longo fondò la Santa Casa di
Incurabili, un’istituzione di assistenza medica e spirituale aperta tutti coloro che non potevano permettersi di essere
curati. In breve diventò la Cittadella degli Incurabili e la Longo ricopriva la carica di rettora, affiancata da
rappresentanti delle autorità civili e religiose che la sostenevano.
In occasione della peste applicò misure igieniche strettissime, all’epoca per lo più trascurate, organizzando di
adeguatamente gli spazi.
Il dilagare della piaga delle malattie veneree era legato al fenomeno della prostituzione e Longo aveva tentato di
arginarlo attraverso un’intensa attività di recupero, cercando con ogni mezzo di convincere le prostitute ad
abbandonare il loro stile di vita: ne fece sposare alcune, altre vennero impiegati al servizio delle malate, e si formò
una piccola comunità di convertite che si prendevano cura delle donne inferme e delle malate di mente. Altra
peculiarità dell’opera fu il non essere riservata ai soli cittadini partenopei, ma tutti malati, anche stranieri, cristiani
non, che diede una caratteristica universalistica all’istituzione impressa nell’insegna rivolta alle donne e ancora oggi
visibile: «Qualsiasi donna ricca o povera, indigena o straniera, purché incinta, bussi e le sarà aperto». Longo fece
dell’Ospedale anche un luogo di incontro e centro di rinnovamento civile e religioso.
Desiderosa di condurre una vita di preghiera e penitenza, Maria Longo fondò il primo monastero di donne
Cappuccine intitolato a Santa Maria di Gerusalemme, aperto a ragazze di tutte le classi sociali. Qui si ritirò
affidando all’amica Maria Ayerba la direzione della Cittadella degli Incurabili, che l’epoca comprendeva l’ospedale,

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una spezieria, diventata una famosa farmacia nel ‘700, una casa di cura per malati mentali, una chiesa, un cimitero
e tre monasteri, di pentite, riformate e cappuccine.
Anche se inizialmente c’era libertà di movimento, dopo la morte di Maria, lo stile di vita cambiò all’insegna di una
particolare severità, nel momento in cui entravano in monastero, le religiose vivevano di elemosina, a nessuno era
consentito l’accesso al monastero, tanto che il medico le visitava solo tastando il polso attraverso la grata; i
sacramenti erano amministrati attraverso lo sportello del confessionale. A metà del ‘500, la comunità passò dal
Terzo Ordine di Francesco, al primo di Santa Chiara.
La vita e l’esempio di Maria Lorenza Longo, portarono a variegate opere di carità, ad esempio l’istituzione nel 1589,
del Banco di Santa Maria del Popolo all’interno dell’ospedale, forniva credito in forme accessibili.
Molte nobili napoletane si impegnarono nelle opere di cura presso l’Ospedale.
Verso questo ministero esercitato dalle donne, però insorsero presto opposizioni, e considerato errore l’assistenza dei
malati, l’estrema unzione e confessione da parte delle donne. Nel giro di pochi anni le donne vennero allontanate dai
ruoli rilevanti.
“Teatro della Carità”.

RIVOLUZIONI E MOVIMENTI (secoli XVIII-XIX)


Frutto dell’Illuminismo, la Rivoluzione francese è stata allo spartiacque tra l’antico regime e l’età contemporanea,
portando l’epoca dei diritti, della cittadinanza, dei popoli, uomini e donne, e dei valori di uguaglianza, libertà e
fraterinità.
Il nuovo scenario geopolitico, dopo la Rivoluzione, la Restaurazione e le conseguenti guerre risorgimentali italiane
che ne scaturirono, portarono alla fine del potere temporale della Chiesa.
Aspirazione politica all’indipendenza e fedeltà al papato, non conciliabili.
Le donne non restarono passive spettatrici: parteciparono alla Rivoluzione; entrarono con più determinazione negli
ambiti del sapere, nei salotti culturali e nelle accademie; intervennero nella definizione dei diritti umani; si
mobilitarono nelle guerre risorgimentali; inventarono nuove modalità di vita religiosa dopo la soppressione dei
monasteri.
In questo periodo la Chiesa, nei confronti delle donne, si pose a condanna della lettura della Bibbia da parte delle
donne e di ogni richiesta femminile che potesse mettere in discussione il loro ruolo domestico e subalterno; ma allo
stesso tempo, ci fu una valorizzazione del femminile in quanto creava un pretesto contro la modernità. Le
apparizioni mariane furono interpretate in chiave antirivoluzionaria e si rafforzò la “teologia della riparazione” a
espiare i peccati rivoluzionari.
La strada delle donne, fu segnata da quattro percorsi:
· uno culturale, che vide le donne impegnate in ambito accademico, come la prima teologa Elena Cornaro Piscopia,
che conseguì la laurea in Filosofia a Padova nel 1678; Gaetana Agnesi, che nel ‘700 su lettrice onoraria di
Matematica all’Università di Bologna; Cristina di Belgioioso, che propose un’interpretazione liberale del
cristianesimo in quanto dottrina della “redenzione umana attraverso la storia”.
· un secondo con esperienze mistiche e visioni legate alla storia politica e alla Chiesa da salvare e riformare,
riformiste o antirivoluzionarie.
Suzette Labrousse, a favore della Rivoluzione come opportunità per l’umanità di realizzare la pace e la tolleranza, e
per la Chiesa per purificarsi con la fine del potere temporale.
Anna Maria Taigi, antirivoluzionaria e a favore del trionfo del papato.
· un terzo segnato dal lento affermarsi di una religiosità misurata che, allontanandosi dalle pratiche di penitenza del
periodo barocco, si orientò verso un’esperienza di fede più controllate e aperta ai bisogni della società, e soprattutto

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alla questione dell’educazione con la formazione di scuole come quella delle Ancelle del Sacro Cuore di Caterina
Volpicelli (nel napoletano)
· un quarto percorso, che vede le donne impegnate nella possibilità di coniugare fede cristiana e principi
rivoluzionari, che pensati per gli uomini, potevano essere estesi anche al femminile. Ma non fu così, e nonostante le
donne combatterono per la Rivoluzione, non furono concessi loro i diritti del cittadino e il ruolo politico.
Olympe de Gouges, nel 1792 scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, che richiedeva anche
per le donne la libertà e l’uguaglianza promesse dalla Rivoluzione.
Elizabeth Cady Stanton, nell’800, scrisse la “Dichiarazione dei sentimenti”, ispirata alla Dichiarazione
d’indipendenza americana, sottolineando che la donne è uguale all’uomo. (E la “Bibbia delle donne”).
In Italia vi fu il ruolo di Enrichetta Caracciolo che, lasciato il convento per aderire alla causa garibaldina, e divenne
membro attivo del Comitato femminile napoletano per l’emancipazione della donna italiana. Nel 1866 scrisse un
“Proclama alle donne d’Italia”.

Nel Settecento non pochi uomini di Chiesa sostennero e incoraggiarono le donne negli studi, ma mai mettendo in
discussione i ruoli e le gerarchie, e le aperture all’istruzione femminile non furono mai a discapito dei doveri di
moglie e madre. La preoccupazione che l’autonomia della donna fosse elemento destabilizzante per l’assetto della
società, è orizzonte culturale di lunga durata, anche in contesti come quello dell’Illuminismo.
Le istanze illuministe, inoltre, furono condannate con durezza dalla Chiesa che rilanciò l’immagine di una “società
cristiana” autosufficiente, che non accettava istante di riforma e cambiamento.
Anche l’età post-rivoluzionaria, per preservare l’ordine sociale, volle assicurare la stabilità morale della famiglia
attraverso il una separazione dei ruoli e degli spazi, pubblico per gli uomini, privato per le donne, che ribadiva la
subordinazione femminile.

Il culto del Sacro Cuore di Gesù, già presente nella mistica femminile medievale, fu rilanciato a fine ‘600.
Il culto mariano, poi, fu uno straordinario mezzo di consenso popolare, favorito sia per sostenere il papato in
difficoltà, sia per riconquistare le masse cattoliche attraverso la messa in campo di uno stretto rapporto tra
esperienza religiosa, strumentalizzazione politica e ricompattamento sociale. Le apparizioni della Vergine nell’800,
furono strumentalizzate come di risposta a preoccupanti fenomeni di secolarizzazione e che trovarono strumento
principale la dogmatica dell’Immacolata Concezione, il concepimento senza peccato custodiva la Chiesa e garantiva
la purezza contro il degrado del mondo caduto nel peccato.
La laicizzazione che separava sfera civile e religiosa comportò che gli Stati, per avere un controllo sulla vita dei
cittadini, intervenissero in prima persona nei settori che per secoli erano stati della Chiesa: l’istruzione, l’assistenza,
la libertà di stampa.
Per fronteggiare questo processo, la Chiesa romana reagì con un programma di ricristinizzazione, con iniziative
pastorali e per conservare il dominio sulla morale sociale.
L’Ordine della Compagnia di Gesù fu centrale nella strategia di difesa della Chiesa contro il liberalismo. La scuola fu
uno dei principali progetti portati avanti dalla Chiesa nell’’800; e l’evangelizzazione delle donne, anche da scuole
gestite da religiose, era ora funzionale, grazie all’uso di modelli legati a pratiche devozionali e sottomissione dei
superiori.

L’INERRANZA DELLA BIBBIA


Nel 1757, l’abate Antonio Martini, su richiesta di Benedetto XIV, avviò la traduzione in italiano della Bibbia. L’opera
ebbe grande successo editoriale e fu considerata traduzione ufficiale della Chiesa cattolica. Ebbe influenza su clero e
teologi che la usarono per la loro formazione.
Questa traduzione contribuì alla costruzione dell’immagine femminile: a piè di pagina vi erano note a commento dei
passi e spesso metteva in evidenza la debolezza femminile e la sua inferiorità di natura rispetto all’uomo.
Nell’‘800, dopo l’applicazione del metodo storico-critico applicato ai testi sacri in area tedesca e francese, si accese
un dibattito relativamente al rapporto Bibbia e scienza, e sull’ispirazione del testo sacro. La Chiesa rifiutò ogni
criterio e con il Concilio Vaticano I, mise a punto il principio dell’inerranza della Bibbia, in quanto ispirata da Dio e
scritta sotto l’azione dello Spirito Santo, e quindi priva di errori – non erano possibili ricerche e contestualizzazioni
storiche del testo sacro.
Il ritardo degli studi biblici in Italia, tagliati fuori dai dibattiti e sottoposto a censura, diventò più marcato con Pio X
che fermò ogni istanza di apertura alla ricerca.
Ciò limitò molti movimenti femminili che compresero come una differente interpretazione dei testi sacri, potesse
dare nuova considerazione alle donne.

CREPUSCOPO DELLE MISTICHE


Questo periodo si verifica il disagio che attraversava il sentimento religioso, combattuto tra una spiritualità di
raccoglimento, favorita dalle correnti mistiche, e un devozionismo esteriore. La condanna del quietismo e altri
movimenti mistici, avviarono un processo di sfiducia nei confronti degli atteggiamenti “irrazionali”. La fede, con

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l’influenza dell’età dei lumi, iniziava a diffidare dal passivo abbandono a Dio, l’annientamento della propria
personalità alla ricerca di una sofferenza espiatrice; piuttosto si invitava ad assumere un contegno virtuoso, di fede e
carità.
Eppure fenomeni di esperienze mistiche femminili – estasi, visioni, simulata santità – continuarono a verificarsi.
Questi episodi suscitavano preoccupazioni e interventi di guida e controllo da parte delle autorità ecclesiastiche.
Resoconti, autobiografie e deposizioni fanno emergere i disagi interiori, spazi di autonomia e riscatto, nei rapporti
tra confessori/inquisitori e le donne.
Maria Antonia Colle (1723-1772), ad esempio, accusata di simulazione di santità, processata e incarcerata più
volte, riuscì a costituire a Mulazzo (tra Liguria e Toscana), sotto la protezione della marchesa Dianira Malaspina,
una comunità segreta, una “Chiesa invisibile” alternativa e contrapposta, nel quale svolgeva funzioni sacerdotali.
Maria Antonia parlava con voce profetica annunciando la venuta di un’età di nuova unificazione religiosa e
reclamando una riforma della cristianità, che poteva mettersi in atto grazie a lei, trasformata in uomo da Cristo e
fatta papa.
Lucia Roveri, venerata nel modenese come ”incarnazione di Dio Padre”, era ritenuta chiamata a compiere l’opera di
redenzione del Figlio per fondare una nuova era di purificazione universale: la caduta del genere umano avvenuta a
causa di Eva, sarebbe stata cancellata da Dio incarnandosi in un corpo femminile.
Maria Virginia Boccherini, francescana, che riceveva rivelazioni celesti che la spingevano a parlare di una necessità
di riforma della Chiesa, ma venne percossa e relegata per questo.
Per Alfonso Maria de’ Liguori, la perfezione era un vissuto d’amore, virtù e sobrietà. Egli era legato da rapporti
spirituali con la napoletana Maria Celeste Crostarosa (1696-1755), che fu ispiratrice e promotrice della comunità
dei Redentoristi, e nonostante ciò l’accusò di superbia e insubordinazione, facendola sottomettere ad un confessore.
Suor Celeste, accusata di essere una “monaca visionaria”, non era disposta a rinunciare alla propria personalità, si
sottrasse all’obbedienza cieca del confessore e si rifugiò a Foggia, dove fondò un conservatorio per l’educazione delle
ragazze.
La spiritualità di Maria Celeste Crostarosa, testimonia una svolta nell’esperienza religiosa femminile per il rivolgersi
alle classi più povere, e per lo spazio dato alla coscienza, luogo dell’ascolto di Dio e della ricerca della sua volontà –
in linea con il clima culturale della Napoli riformista che ricercava come metodo d’indagine la chiarezza delle idee e
anteponeva la ragione all’autorità. In lei non vi è più la penitenza corporale o l’esuberanza mistica.
La consapevolezza e la necessità dell’istruzione per le donne spinse molte religiose a rivolgere la propria vocazione
verso i luoghi di formazione. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’‘800, ci furono molte esperienze dedite all’educazione
femminile.
La spiritualità di queste donne, segna un svolta di autonomia rispetto alla sofferenza redentiva delle religiose
dell’epoca. La donna all’interno della Chiesa iniziava a delineava come un soggetto attivo e responsabile, con ruoli di
animazione e formazione della comunità ecclesiale, di evangelizzazione nella società. Il rinnovamento della Chiesa
passava attraverso l’educazione delle donne.

CONSEGUENZA RIVOLUZIONE PER LE MONACHE


La Rivoluzione e i processi di laicizzazione, travolsero la vita religiosa con le leggi di soppressione che colpirono tutti
gli istituti considerati non socialmente utili: se ne incamerarono i beni, si dispersero persone e cose, si operò
l’abbattimento o il mutamento dell’uso della struttura; si smembrò il patrimonio archivistico, si sperperarono i beni
economici e dispersero i beni artistici.
I monaci e le monache vennero indirizzati in altri monasteri, o invitati ad abbracciare la vita laica, reintrodotte
bruscamente in un mondo dal quale erano state precluse. Le consacrate dovettero inventare nuove modalità di vita
religiosa, con forme diverse di identità comunitaria, meno contemplative e più dedite ad attività sociali: una rete
d’istituti femminili cercavano di arginare la situazione di degrado sociale in cui si trovavano molte donne.
I monasteri furono sottoporti a controlli istituzionali per regolare le esuberanze femminili e i fenomeni mistici; fu
delineato il profilo della religiosa secondo un modello di sobrietà e moderazione.
Nel ‘700 riformatore si manifestarono non poche contraddizioni. Se il modello di vita religiosa doveva essere
semplice e modesto, i riti di monacazione erano manifestazioni dell’eccesso, con feste ricche, per rendere meno
amaro l’ingresso delle giovani aristocratiche alla vita monastica. A Napoli, ad esempio, il monastero di Santa Chiara
si distingueva per il fasto di queste celebrazioni, con esecuzioni musicali, rappresentazioni, tavole imbandite,
decorazioni.
Le indicazioni di sobrietà portarono alla ripresa del fenomeno profetico, i casi di simulate santità si moltiplicarono e
di conseguenza si intensificarono gli interventi di controllo sulla scrittura femminile e sui comportamenti disdicevoli
per uno stile di vita decoroso e onorabile.

Fine ‘800, Matilde Serao racconta le vicende e la tragedia umana delle tante donne colpite dalle soppressioni e
abbandonate al loro destino, una di queste Giovanna della Croce.

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Altre donne, come la napoletana Enrichetta Caracciolo, videro nell’abolizione della clausura una desiderata
libertà di scelta e la fine di un’esperienza chiusa e ipocrita, raccontata nel suo “Misteri del chiostro napoletano”,
(monastero di San Gregorio Armeno) che narra delle gelosie, i dispetti tra le educande e le suore, convivenza forzata,
poca ricerca spirituale, scarpa educazione. Il testo ebbe un grande successo editoriale, con molte traduzioni,
apprezzato per la scrittura vivace, gli intenti pedagogici e patriottici, che si inseriva nei dibattiti risorgimentali. Fu
anche occasione di riflessione sulla condizione femminile e della vita monacale spesso obbligata.
In più occasioni lei presentò richieste per lo scioglimento dei voti o una dispensa temporanea, le fu concesso di
soggiornare presso la sorella che la introdusse nei circoli massonici. Fu poi arresta e dopo varie vicende, riuscì a
ottenere, per motivi di salute, permessi che le consentirono di muoversi, anche se controllata a causa dei contatti con
le reti cospirative. Nel 1860, quando Garibaldi entrò a Napoli, lei gli andò incontro e nel Duomo depose il suo velo da
monaca. Sposò un garibaldino, divenne membro attivo del Comitato femminile napoletano per l’emancipazione della
donna italiana, e nel 1866 pubblicò un “Proclama alla donna italiana” esortando le donne a sostenere la causa
nazionale e promuovere l’istruzione, il lavoro e le proposte di Salvatore Morelli, primo in Europa a proporre in
Parlamento il riconoscimento di diritti civili e politici alla donna, il suffragio esteso e un diritto di famiglia che
prevedeva l’eguaglianza e il divorzio. Ma il Parlamento italiano approvò solo una legge che riconoscesse alle donne
la capacità giuridica del diritto di testimonianza.
A Napoli partecipò all’Anticoncilio.

CATTOLICESIMO INTRANSIGENTE
Con encicliche che denunciavano gli “errori moderni” la Chiesa prendeva formalmente distanza e condannava le
istanze di cambiamento che le filosofia illuminista aveva portato, come la libertà di pensiero e l’autonomia dei
popoli.
Il periodo post-rivoluzionario è segnato da una serie di eventi sociali, religiosi e politici che contrapponevano le
aspirazioni di un’èlite del popolo italiano a costituire una nazione, e la gerarchia cattolica che vi si contrapponeva -
caduta dello Stato Pontificio con la Presa di Roma nel 1870, il papa Pio IX si dichiarò “prigioniero” e vietò i cattolici
di partecipare alla vita politica, marcando ancora di più la lacerazione della società. La Chiesa, dopo la perdita del
potere temporale, si poneva come unico garante di verità, stabilità e sicurezza.
Il Concilio Vaticano I, del 1869, dichiarò il dogma dell’infallibilità papale, contribuendo ulteriormente alla
spaccatura tra i cattolici che vivevano il Risorgimento; molti presero distanza da Roma, non riconoscendo il primato
del pontefice, e diedero vita nel 1873 alla Chiesa veterocattolica.
Molti papi in questo periodo si opposero a ogni cambiamento significativo della condizione della donna.
I movimenti rivoluzionari furono visti come cause di una distruzione dei valori tradizionali dell’ordine sociale,
morale e religioso, difesero quindi la struttura patriarcale come mezzo di conservazione sociale e politica.
Con Pio IX, a metà ‘800, in articoli pubblicati sulla rivista “La Civiltà Cattolica”, si ribadirono i tradizionali compiti
della donna cattolica, sottomessa, obbediente e fuori dalla vita sociale e religiosa, in quanto solo all’uomo
apparteneva il diritto e l’uso della cittadinanza.
Anche arti liberali e scienze erano precluse alle donne: il sapere non era da tutti ed era pericoloso e disdicevole per
una donna.
Leone XIII, pur approvando il formarsi di un movimento cattolico femminile, lo limitò all’ambito assistenziale,
escludendo occupazioni sociali.
I movimenti femminili laici, per l’emancipazione sociale e politica della donna, furono vissuti come una minaccia.

Le donne davanti le direttive della Chiesa seppero, da un parte, esprimere conflitti e dissensi, dall’altra, favorire
mediazioni e compromessi, svolgendo un ruolo attivo nei processi di cambiamento.

In polemica con le posizioni antimoderniste che si stavano affermando con il Concilio Vaticano I, si riunì a Napoli
l’Anticoncilio, un’assemblea di liberi pensatori convocati dal patriota Giuseppe Ricciardi; fra i tanti che
parteciparono, logge massoniche, associazioni, politici, intellettuali, fu presente anche una delegazione del Comitato
di Napoli per l’emancipazione delle donne italiane, e molte donne singolarmente, tra cui Enrichetta Caracciolo.

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Ricciardi rivendicava l’indipendenza dell’uomo dal despotismo della Chiesa e dello Stato, l’emancipazione della
donna dai vincoli religiosi e legislativi, la necessità dell’istruzione laica.

RISPOSTA DONNE
La Rivoluzione francese e i suoi valori suscitarono in molte donne una volontà di riscatto e consapevolezza della
propria condizione. Numerosi furono gli scritti che dimostrano questo sentimento, e il disagio culturale e di
irritazione nei confronti dell’educazione religiosa mortificante.
L’educazione femminile più elevata era riservata alle classi alte e dipendeva spesso dall’interesse dei padri di
famiglia che promuovevano gli studi delle figlie esibendole nei salotti. Tra Settecento e Ottocento, i salotti furono
luoghi di incontro e scambi di idee, passioni politiche, considerazioni filosofiche e religiose; le donne furono spesso
promotrici e protagoniste di dibattiti e riflessioni, ciò portò ad un’apertura sul ruolo femminile e sulla propria
identità, che andava oltre la sfera domestica.
A Napoli la filosofa Giuseppa Eleonora Barbapiccola, membro dell’Accademia degli Arcadi e frequentatrice dei
salotto culturale di Giambattista Vico, difese l’accesso alle donne alla cultura superiore, convinta che la fragilità
femminile dipendesse dalla cattiva educazione e che per questo occorreva mettere in campo un programma
formativo che aprisse orizzonti culturali.
Nel 1891 Adelaide Pignatelli ridiede vita all’Istituto Suor Orsola Benincasa, nel solco dell’opera educativa avvitata
dalla suora tre secoli prima, e adottando un metodo educativo che inserì la “storia delle religioni”, e diventando
primo istituto nel Mezzogiorno volto alla formazione delle giovani.
In America, invece, le suffragiste, impegnate all’interno delle Chiese riformate per l’affermazione dei diritti femminili
insieme a quelli delle schiave afroamericane, interrogavano i testi sacri con un diverso sguardo.
Le predicatrici di colore usarono la Scrittura come strumento di emancipazione, aprendo la strada a Elizabeth
Cady Stanton che, insieme ad altre donne, diede vita all’opera “La Bibbia delle donne”, del 1895-98, che legava la
condizione delle donne alla scorretta interpretazione della Bibbia. Muoveva così i primi passi per quella che
diventerà l’esegesi femminista.
Bibbia messaggio di salvezze che non può escludere le donne.

Leopoldina Naudet – geusiti e formazione delle donne.


Nata a Firenze nel 1773 da padre francese e madre tedesco-slovacca, partecipa a tre diverse aree linguistiche e
culturali che le fecero acquisire una buona istruzione, tra l’Italia, la Francia e poi in contatto con la corte austriaca.
Donna colta e attenta, nel suo percorso spirituale e intellettuale incontra e intreccia rapporti. Partecipò ai dibattiti
del tempo con scambi di notizie e riflessioni.
Leopoldina fu coinvolta nei grandi avvenimenti che attraversarono l’Europa come i moti rivoluzionari e la
soppressione della Compagnia di Gesù, che la impegnarono sia nella protezione degli esuli rivoluzionari, sia
dell’appoggio ai gesuiti.
Entrò nella società segreta “Amicizie cristiane”, composta da uomini e donne attivi nella difesa della diffusione del
libro cattolico per combattere le “false dottrine”, l’apostolato del libro.
Appassionata allo studio e alla lettura, per un impegno culturale, sociale e politico, la sua biblioteca era composta
da più di 1500 volumi di varie epoche rispondenti a un criterio logico-spirituale; il libro come fonte di cultura e
formazione spirituale e morale. Per questo si impegnò nell’avviare istituti di formazione in cui le donne potessero
studiare, incontrarsi, discutere, crescere umanamente e spiritualmente. Riteneva importante per i cristiani la
conoscenza dei testi sacri e un modello di contemplazione e apostolato.
Insieme al fondatore della Compagnia dei Padri della Fede Niccolò Paccanare, Leopondina creò un istituto femminile
di istruzione gesuita, in cui le donne non fossero obbligate alla clausura e potessero emette voti temporanei: le
Dilette di Gesù.
Più tardi Leopoldina si spostò con le sue compagne a Verona, in un ex monastero dove collaborò con Maddalena di
Canossa nella sua opere di educazione delle ragazze povere. Dopo otto anni, si separarono e crearono due comunità
che rispondevano a diverse vocazioni: quella di Leopoldina, di ispirazione ignaziana/gesuita (con formazione che
comprende storia, grammatica, aritmetica, geografia, lingue, disegno, pittura, economia domestica, religione),
preposta alla formazione delle maestre e all’educazione delle ragazzi delle classi medio-alte – Sorelle della Sacra
Famiglia; quella di Maddalena di Canossa, di più marcata spiritualità, orientata verso le classi povere e un’istruzione
base – Figlie della Carità.
Poco dopo l’approvazione papale dell’istituto, Leopoldina morì, nel 1834.

DONNE, DIRITTI, DEMOCRAZIA (secoli XX-XXI)

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Il femminismo è stato un fenomeno di elaborazione teorica e movimento politico, che ha attraversato l’America e
l’Europa dalla metà dell’Ottocento, e per tutto il Novecento.
Ebbe diversi esiti e varie prospettive. La capacità politica e il diritto al voto, ad esempio, vennero riconosciuti in
Norvegia nel 1913, in Inghilterra nel 1917, in Italia nel 1946, e man mano in altri paesi.
Nel XX secolo vi è l’esito della presa di coscienza da parte delle donne della propria dignità e della reale possibilità di
accedere ai diritti civili e politici. Se nella storia laica si possono individuare vari passaggi dal femminismo di fine
‘800, a quello di metà ‘900 e poi fino al Duemila, è complesso cogliere visibili cambiamenti nella storia religiosa della
Chiesa cattolica, attraversata da conflitti e contraddizioni.
Il principio di uguaglianza e la nozione di diritti umani furono visti dalla Chiesa come una minaccia. I papi che
governarono la Chiesa fino al Concilio Vaticano II, del 1962, non mostrarono alcuna apertura nei confronti delle
richieste femminili, per ruoli e diritti, chiusa nella visione tradizionalistica e patriarcale. Il principio
dell’uguaglianza (pur nella loro diversità, uomini e donne, godono di uguale dignità umana e diritti), capovolgeva la
visione antropologica di differenze naturali e quindi di ruoli.
Sul principio di uguaglianza si basa anche la questione della democrazia e della cittadinanza, che apre il confronto
con la Chiesa con le istanze del mondo occidentale.
Già dalla metà dell’Ottocento, i movimenti suffragisti ed emancipazionisti lottavano per un allargamento alle donne
dei diritti civili e politici, sollevando questioni complesse e tematiche che mettevano in discussione strutture sociali
consolidate da secoli – famiglia, istruzione, lavoro, voto – ed entravano in collisione con la dottrina cattolica che
aveva privilegiato un’antropologia asimmetrica che relega l’identità della donna solo nel privato e in subalternità
con l’uomo.
Il Novecento e mise in discussione la tradizionale concezione della donna, relegata dalla natura a ruoli subordinati,
mettendo in campo nuove dinamiche identitarie. I movimenti femministi, insieme ai processi di democratizzazione,
nelle loro diverse aspirazioni culturali (liberali, socialiste, cristiane), hanno rappresentato la presa di coscienza da
parte delle donne della propria dignità, di uguaglianza ed emancipazione - diritto allo studio, di voto, parità
retributiva, tutela, diritto di famiglia.
Nascita di una donna nuova, e una compatibilità tra femminismo e cattolicesimo, aspirato da molte donne attive in
tal senso già del primo Novecento, poi più tardi con maggiori riconoscimenti di autonomia morale, e poi con le
teologhe che elaborarono nuovi paradigmi tropologici e teologici.

Nei primi del Novecento ci fu una condanna del modernismo e dei fermenti derivanti, che chiuse ogni spazio al
dibattito teologico e culturale per circa cinquant’anni.
La Chiesa, timorosa di un sovvertimento dell’assetto dottrinale e sociale, condannava le rivendicazioni dei diritti
delle donne, assimilandole al laicismo, al libero pensiero, al socialismo. Pio X, nei primi anni del ‘900, intervenne in
più occasioni a ribadire l’incapacità delle donne di esercitare uffici liturgici, e negando la libertà di parola alle
laiche. Lo stesso papa spinse a istituire l’Unione tra le donne cattoliche d’Italia (1909), movimento moderato che
avrebbe dovuto arginare le richieste del femminismo laico e tutelare il ruolo tradizionale della donna, con un azione
prettamente caritativa e religiosa.
La tragedia delle due guerre mondiali, intervallate dall’affermazione dei regimi totalitari, mise in evidenza il ruolo
fondamentale delle donne nella tenuta del tessuto sociale, ma anche la loro strumentalizzazione in funzione
ideologica per la cultura nazifascista. I concordati che la Santa Sede stipulò con Hitler e Mussolini, Salazar e Franco,
rispondevano alla preoccupazione di difendere la cattolicità dall’avanzata socialista e liberale.
Nel dopoguerra, la nascita delle Democrazia cristiana, delle Associazioni cristiane dei lavoratori e del Centro
italiano femminile, fece emergere la vitalità delle donne cattoliche nel lavoro di tessitura sociale per la formazione di
una nuova identità nazionale. Pio XII accettò il voto dato alle donne nel ’46.

Due date significative nel Novecento per la storia delle donne cattoliche è il 1907, con la condanna del modernismo
da parte della Chiesa, che chiuse ogni spazio al dibattito teologico e culturale; e il 1912 con la condanna della
teologhessa modernista Antonietta Giacomelli.

RELIGIOSE
In seguito alle radicali trasformazioni portate dalle leggi di soppressione dei monasteri, le donne dovettero
individuare o creare nuove forme di identità comunitaria, meno contemplative e più rivolte a opere in ambito
sociale. Le nuove comunità misero in atto una serie di iniziative che superavano la clausura, consentendo mobilità
per l’azione sociale. Pur trovando forti resistenze, si afferma un apostolato diretto e attivo delle donne. Tra i
fermenti più vivi Tecla Merlo.
Si pose una necessità di un “apostolato della stampa” per diffondere il messaggio cristiano e di comunità missionarie
con contatti in tutto il mondo.

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La libertà di movimento che portò ad una certa autonomia alle donna parte delle comunità che, attraverso
istruzione, lavoro e impegno missionario, trovarono una propria individualità.
La condivisione dolori della croce e la sofferenza vicaria, alle quali le religiose, fino all’800, si sentivano chiamate per
riparare le colpe private e pubbliche, non furono più strumenti di ascesi di difesa della fede. La vita religiosa entra in
dialogo con il mondo.

Femminismo ultima eresia dei tempi moderni


Una nuova sensibilità si andava affermando circa la necessità dello studio per le religiose. Le donne, con la loro fede
operosa, seppero proporre nuovi elementi di crescita culturale, innescando significativi elementi di rottura nei
confronti del passato
· Si formò la federazione universitaria cattolica italiana delle laureate cattoliche, da Luigia Tincani, mentre
Maddalena Wolff, in America fondò la prima scuola di dottorato di Teologia per le donne, nel 1944.
· Dora Melegari, diede il valore del primato della conoscenza e del libero esame e il concetto di una fede semplice
sincera.
· Antonietta Giacomelli riforma sociale cristiana, fermenti culturali.
· Valeria Paola Pignetti, conosciuta come sorella Maria e fondatrice dell’eremo di Campello, fu a lungo osteggiata
dalla Chiesa a motivo delle sue amicizie, ad esempio Gandhi, Buonaiuti ed altri. Per tali rapporti e per la presenza
nella sua comunità di donne non appartenenti alla Chiesa cattolica, le fu vietata la partecipazione all’eucarestia per
anni, ma lei continuò la sua esperienza attraverso una fitta rete epistolare.
In un periodo di censure e scomunicati, sorella Maria non rinnegò mai le sue frequentazioni e non perse nemmeno la
sua fede, affermando la libertà e il primato della conoscenza. Si definiva “panica”, partecipe del tutto, vicina a tutti.
· Vicina a esponenti del modernismo, Elisa Salerno può essere considerata la prima femminista cattolica italiana,
impegnata in campo politico ed ecclesiale; scrittrice che affrontò le questioni sociali più scottanti – lavoro, maternità
e studio – e ritenne necessario smascherare la falsità dei presupposti esegetici e filosofici che legittimavano la
discriminazione della donna nella società italiana e nella Chiesa. Nella sua ricerca di una fide antidogmatica,
intraprese una riflessione teologica che cercava di scardinare le “eresie antifemministe”, attraverso la rilettura del
testo sacro per recuperare la reale figura biblica della donna, deturpata dalla cattiva e malevola interpretazione
degli uomini della Chiesa.
Lei aveva individuato nella cattiva interpretazione della Scrittura, i fondamenti dell’esclusione femminile che ha
caratterizzato la storia umana. Nel rileggerla colse la forte presenza delle donne nella storia della salvezza e del
messaggio di Gesù che le aveva liberate dalla marginalità, dando loro dignità.

· Nel 1931 un’altra cattolica, Marie Lenoel, in occasione dell’apertura della sezione francese dell’Alleanza Giovanna
d’Arco, disse che era il momento di dimostrare che si può essere «femminista benchè cattoliche», ma soprattutto
«femministe perché cattoliche». L’Alleanza era nata, nel 1910 in Inghilterra, con l’obiettivo di dar vita un gruppo
cattolico che potesse ottenere parità di trattamento per le donne.
L’appello di Giovanni XXIII rivolto ai laici affinché esprimessero le loro richieste in vista del Concilio, fu
un’opportunità per l’Alleanza che, ritenendo che l’impedimento alla partecipazione delle donne al ministero
sacerdotale non avesse base scritturistica, richiese un diaconato per i laici aperto alle donne e l’apertura agli studi
teologici.
· Un gruppo di donne e teologhe, inglesi, tedesche ed americane, sulla base di questi presupposti, pubblicarono il
libro “Non possiamo stare più in silenzio! Le donne esprimano il loro parere al Concilio”. Che forniva un’analisi
critica dell’antropologia di Tommaso d’Aquino, e delle varie giustificazioni bibliche e dottrinali relative all’esclusione
della donna dal sacerdozio; trattava della mancata uguaglianza delle donne nella Chiesa cattolica, e sulla necessità
di una riforma del linguaggio liturgico profondamente segnato al maschile.
· In Italia Adriana Zarri, scrisse “La Chiesa nostra figlia”, con cui criticò il trionfalismo clericale e ripensò ai rapporti
e ruoli di tutti membri della Chiesa, a cominciare dal laicato e dalle donne.

IL CONCILIO VATICANO II (1962-65)


Papa Giovanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II, che avrebbe rappresentato una svolta di apertura della Chiesa nei
confronti della società; da quel momento la Chiesa doveva porsi in ascolto del mondo, in senso pastorale e non
monarchico.
Pur legato ad un’immagine tradizionale del ruolo femminile, riconobbe la loro emancipazione come importante
segno dei tempi e orientando la riflessione verso gli elementi di liberazione. L’enciclica Pacem in terris, indicava che
per raggiungere la pace occorreva creare una società poggiata sulla giustizia e sulla difesa della dignità delle
persone, per questo la donna entrava nella vita pubblica.
• Il Concilio esplicitò tale apertura nei confronti delle donne con la costituzione pastorale Gaudium et spes, che
affermava che l’essere umano, maschio e femmina, è a immagine di Dio, schierandosi contro le discriminazioni

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sessuali e a sostegno dell’uguaglianza e del riconoscimento della partecipazione femminile alla vita culturale e
sociale. Grande apertura anche se si conservava la visione della donna legata al ruolo materno e funzionale.
• Papa Paolo VI, trattò tre temi che toccavano il mondo femminile, e che videro posizioni diverse tra i conciliari:
- la regolazione delle nascite, che non l’enciclica Humanae vitae, dichiarò illeciti alcuni metodi di contraccezione;
- l’ammissione delle donne al ministero ordinato, che fu negato categoricamente, creando dissapori all’interno della
commissione che valutava la questione, cinque donne che ne facevano parte se ne distaccarono per protesta alle
limitazioni di ricerca e discussione;
- la legge del celibato ecclesiastico, che venne riconfermata nonostante le richieste da parte del clero di revisionarla,
e che perpetuò la concezione negativa della sessualità e della figura femminile da tenere a distanza.
• Il Concilio Vaticano II concesse lo studio della teologia ai laici e alle donne.
• Nella terza sessione del Concilio, dopo l’esplicita richiesta del cardinale belga Suenens, le donne vennero invitate
come uditrici al concilio, come rappresentanti della parte femminile dell’umanità. Ventitré uditrici, laiche e religiose,
poterono prendere parte al Concilio e dare il loro contributo. Furono scelte secondo criteri di internazionalità e
rappresentatività di altri riti, congregazioni religiose, o associazioni laiche. A queste si aggiungono una ventina di
esperte in vari campi come la fame nel mondo, il pacifismo, il controllo delle nascite.
La partecipazione delle donne lasciò tracce importanti. Si espresse il primato della parità, conferita al battesimo,
che attribuiva a tutti i principio della corresponsabilità apostolica. I laici, donne e uomini, non erano più passivi, ma
dovevano esercitare un ruolo attivo nella Chiesa.
Di grande rilevanza fu il superamento della tradizionale concezione contrattualistica della famiglia e il recupero del
valore del amore coniugale; importante fu il contributo della coppia laica messicana di Luz Maria e Josè Alvarez-
Icaza Manero, che cambiarono l’attitudine dei vescovi nei confronti del sesso nella coppia coniugale, da considerare
non più come rimedio alla concupiscenza, ma come atto di amore. Il fine del matrimonio non come procreazione
della specie e i figli non come solo scopo di procreazione e concupiscenza, ma come frutto dell’amore.

Il Concilio ha segnato una svolta di apertura nei confronti della modernità e delle donne, aprendo nuovi spazio di
studio, confronto e libertà, la Chiesa continua presenta come un’istituzione monarchica, gerarchica, clericale e
maschile.
Kari Elizabeth Børresen, norvegese presente al Concilio, portò avanti le sue ricerche relative all’influenza
dell’antropologia asimmetrica, data da Agostino e Tommaso d’Aquino, sulla dottrina cristiana. Lavoro di grande
impatto per la messa in discussione del modello antropologico utilizzato dalla Chiesa.
Fu lei a coniare il termine “androcentrismo”, per sottolineare una dottrina maschile che subordinava la donna.
Giovanni Paolo I propose l’immagine materna di Dio e presentò Maria come guida degli uomini e dei popoli.
Questa fu ripresa da Giovanni Paolo II. Egli prestò particolare attenzione alle donne, seppur con contraddizioni.
Uguaglianza uomini e donne, ma con una doppia dimensione: un principio giuridico pietrino, di esercizio
dell’autorità maschile; e un principio mariano, materno-spirituale, con il ruolo accogliente della maternità
femminile. Principi non intercambiabili e quindi modelli di due diverse identità.
Negli anni ’80 Giovanni Paolo II, affermò la reciprocità del maschile e del femminile chiamati a vivere in relazione;
con una differente vocazione per la donna, in quanto porta avanti l’umanità.
Negli anni ’90 un gruppo di suore, per voce di Klara Sietman, richiese che le religiose fossero ammesse a ricoprire
ruoli decisionali all’interno delle proprie congregazioni e occupassero ruoli all’interno della Curia pontificia, ma il
papa mantenne ferma la sua posizione di non inclusione delle donne in posizioni di autorità all’interno
dell’istituzione.

Le pacifiste iniziarono a riflettere, anche grazie al pensiero di Virginia Woolf (Le tre ghinee, 1936), a come la guerra
nascesse dalla sopraffazione e dalla violenza, proprie del “codice maschile”, che si era imposto in ambito religioso,
economico e politico.

TEOLOGIA FEMMINISTA
Nel ’65, durante il Concilio, convinta della chiusura paternalistica della Chiesa, Mary Daly, prima americana a
conseguire il dottorato in teologia, iniziò la stesura del libro “La Chiesa e il secondo sesso”, una rivisitazione in chiave
cattolica del celebre testo di Simone de Beauvoir, che aprì dibattiti sulla questione femminile.
Negli anni post-conciliari si sviluppò una teologia femminile, che valorizza la presenza della donna e il ruolo delle
teologhe che offrirono, sulla base dei loro studi, elementi per ripensare a nuovi criteri interpretativi e l’apertura di
dibattiti ancora aperti su tematiche come:
- l’uso del concetto filosofico di natura, in quanto fattore biologico o identitario;
- la visione antropologica della Chiesa, prevalentemente androcentrica e gerarchica, da sostituire con una visione
antropologica dell’uguaglianza, della differenza, della reciprocità.;
- l’interpretazione della Scrittura che ha legittimato il concetto di natura e di antropologia patriarcale, e quindi su
un uso della Bibbia priva di strumentalizzazione;

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- la struttura della Chiesa, monarchica e gerarchica in risultato dell’assimilazione delle istituzioni patriarcali
incontrate (giudaismo, filosofia greca, Stati, ecc), è l’unica Chiesa possibile, o può essere soggetta a cambiamenti in
senso democratico come è avvenuto per le altre istituzioni – il messaggio di Gesù non dovrebbe creare problemi in
questo senso, perché rispecchia proprio idee inclusive e di uguaglianza;
- quale contributo e ruolo potrebbero assumere figure femminili.
Le problematiche teologiche sono intrecciate con le questioni di genere, che riguardano l’identità femminile e la
relazione tra i sessi.
Nell’ambito delle ricerche storico-teologiche, gruppi di teologhe si riunirono nell’European Society of Women in
Theological Research, e in progetti internazionali, interconfessionali e interreligiosi come La Bibbia e le donne.
Esegesi, storia e cultura. Quest’ultimo si avvale di specialisti cattolici, protestanti, ebrei, che mettono a confronto
l’approccio esegetico delle varie religioni, con quello storico, per un dialogo tra le diverse culture, un confronto sulle
tradizioni e una messa in discussione dei parametri interpretativi e le conseguenti applicazioni, con i comuni
presupposti patriarcali ed androcentrici.
Verso la costruzione di una nuova immagine della religiosità con una pari dignità dell’uomo e della donna, e che si
interroghi sui mutamenti culturali.

Il teologo Yves Congar, durante il Concilio voleva inserire nel documento dell’apostolato un’elegante espressione che
paragonava le donne alla delicatezza dei fiori e alla luminosità dei raggi del sole; l’uditrice australiana Goldie,
intervenne con fermezza dicendo «Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è essere
riconosciute come persone pienamente umane».
Parole emblematiche per il percorso di riflessioni, studi e ricerche proposto dalle donne dalla secondo metà del
Novecento.

Antonietta Giacomelli, teologhessa modernista


Nacque a Treviso nel 1857. A Roma conobbe la scrittrice italo-svizzera Dora Melegari, con la quale fondò l’Unione
per il bene, un’associazione interconfessionale aperta a donne e uomini, laici e preti, per favorire incontri culturali e
filantropici. Meditando sul Vangelo e praticando la carità, per una fede attiva e condivisa, la Giacomelli era convinta
che l’educazione religiosa dei credenti avrebbe consentito una riforma sociale e cristiana, e che la fede non dovesse
rimanere a livello interiore, ma essere professata e celebrata.
Per questi presupposti, in un periodo di crisi della cattolicità a causa dei movimenti modernisti, l’Unione fu
fortemente criticata. Nonostante ciò, Giacomelli continuò nella sua opera e nel 1902 a Treviso, aprì il suo salotto a
intellettuali favorevoli a istanze di cambiamento e di apertura. In quest’ambiente scrisse “Adveniat Regnum Tuum”,
una trilogia composta da “La Messa”, ”Il Rituale cristiano”, “L’Anno cristiano”, tesa ad aiutare i cattolici a partecipare
consapevolmente alla vita liturgica, e che ripercorre le tappe dell’anno liturgico spiegando cosa rappresentavano e
come dovessero essere vissute (rito ancora in latino). Analizza le preghiere e confronta i diversi riti e le modifiche
subite nel tempo.
La necessità di quest’opera dimostra l’ignoranza dei fedeli e la lontananza della Chiesa, che rispose con la proposta
di mettere il testo nell’Indice dei libri proibiti, e ammonire l’autrice, accusata di aver auspicato una riforma del culto.
Le linee di riforma giudicate moderniste erano: ravvivare la fede nei divini misteri e lo spirito di fraternità; esaltare
la giustizia e la carità; “unire la navata al presbiterio”; avvicinare il popolo agli altari secondo gli ideali della Chiesa
primitiva; rifare il popolo cristiano...
Amareggiata per la reazione della Chiesa al suo tentativo di essere attiva per la comunità rendendo più
comprensibile la liturgia ai fedeli, arrivò a pensare ad un distacco dalla Chiesa cattolica, dando origine alla Chiesa
cattolica apostolica evangelica con un programma di riforma liturgica, ma abbandonò questo progetto.
In risposta alla condanna, nel 1913, scrisse “Per la riscossa cristiana”, la cui prefazione divenne suo manifesto contro
le inadeguatezze dell’istituzione cattolica, che non era al passo con i tempi e non vedeva lo smarrimento dei fedeli,
bisognosi di una riforma che li riportasse sulla strada della fede.
Anche questo libro fu messo all’Indice, condannata per modernismo, e Antonietta, in quanto donna, fu denigrata
come “teologhessa”, amazzone, povera esaltata.
Nel 1916, animata da una reale spiritualità che aspirava alla riforma della Chiesa, ritrattò i suoi libri.
Durante la Prima guerra mondiale, si dedicò all’assistenza come dama della Croce Rossa e nel dopoguerra
s’impegno nella riforma della scoutismo italiano, fondando gli Espolaroti cattolici e mutando il nome

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dell’associazione scoutistica femminile in Unione nazionale giovinette volontarie italiane, con un nuovo
regolamento.
Sotto il regime fascista si ritirò in un pensionamento di suore, conducendo una vita povera. Morì nel 1949.

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