Sei sulla pagina 1di 34

D come donne, D come dio

Scienza Politica
Università di Torino
33 pag.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
D come DONNE, D come DIO
S. PALMISANO, A. GIORGI

Introduzione
La religione è diventata un oggetto rilevante per gli studiosi di molti ambiti delle scienze umane e
sociali, anche se troppo raramente gli studiosi si occupano della religiosità e spiritualità femminile. La
cosa non sorprende, soprattutto in quei gruppi religiosi che non permettono alle donne di raggiungere
posizioni di vertice. E tuttavia, per altri versi, è un fatto sorprendente che non si sentano più spesso
voci femminili, dal momento che i credenti, in tutto il mondo, sono per la maggior parte donne.
Nonostante ci siano molte teorie per cui le (o alcune) donne sono più religiose degli uomini (guardando
all’ateismo, gli uomini mostrano una probabilità maggiore di essere atei), le ricerche evidenziano che il
gender gap negli stati a maggioranza cristiana sta diminuendo, indicando nel crescente tasso di
occupazione femminile il fattore causale principale. La religiosità delle donne che lavorano a tempo
pieno è infatti simile a quella degli uomini, suggerendo che l’impiego retribuito ha effetti di
secolarizzazione.
I dati delle indagini Pew mostrano come la ‘religiosità’ e la ‘spiritualità’ si manifestino in molteplici
forme, e singole misurazioni quantitative (partecipazione al culto o l’aderenza a particolari posizioni
dottrinali) non possono essere prese, da sole, come indicatori per capire se qualcuno è religioso e in che
misura. Inoltre, affermazioni che suonano veritiere per alcuni gruppi in alcuni luoghi (“le donne sono
più religiose degli uomini”) sono inaccurate per altri gruppi religiosi o in altri contesti. Fattori come
l’occupazione, l’età, la disabilità e l’origine etnica interagiscono con il genere in maniera complicata.
La dominanza di metodi qualitativi nel campo delle analisi che si occupano di donne, religioni e
rapporti di genere riflette le più ampie tendenze delle studiose femministe e degli studi di genere che
privilegiano studi di piccola scala e qualitativi, considerandoli maggiormente adatti a restituire la
complessità, le ambiguità e le dinamiche di potere all’opera nella vita delle donne.
La religione è una delle istituzioni cardine di ogni società. Si tratta di un tema complesso, che si
intreccia con i processi di migrazione e globalizzazione, portando ad un pluralismo religioso.
Gli studiosi e le studiose devono considerare il fatto che le donne sono la maggioranza, tra coloro che
partecipano alla vita religiosa e spirituale, e devono quindi mettere le donne al centro dell’analisi,
anziché considerarle meno importanti rispetto ai leader religiosi (maschi), riconoscendo l’importante
ruolo che la spiritualità e la religione rivestono per le donne, sia in termini negativi sia positivi.
Se è vero che le istituzioni religiose sono spesso patriarcali e marginalizzano e limitano le donne,
queste possono comunque trovare empowerment all’interno delle comunità religiose e a partire dal
proprio impegno religioso. Inoltre, fornire evidenze empiriche su quegli aspetti della religione che
tolgono potere alle donne può incoraggiare le organizzazioni religiose a cambiare le loro pratiche.
Le attiviste femministe che si sono occupate di religione hanno risposto in modi diversi.

1. D COME DONNE, D COME DIO (Palmisano,


Giorgi)

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
1. Introduzione
Negli ultimi anni, anche in Italia l’interesse per il rapporto tra donne e religione è cresciuto, sia nella
sfera pubblica sia nella letteratura accademica. Le ragioni di tale interesse possono essere ricondotte in
particolare a due processi storico-sociali:
1. Con la crescita dei flussi migratori, il panorama religioso cambia e l’Italia si confronta con
tradizioni religiose non cristiane. Il ruolo delle donne nella religione e i rapporti tra uomini e
donne diventano argomenti cruciali, che pongono domande rilevanti riguardo al ruolo delle
donne nelle diverse religioni e come cambia nel tempo e nello spazio, oppure riguardo alla
leadership e dell’agency del femminismo religioso e dei gruppi femminili nelle diverse
religioni1.
2. Anche in Italia sono sempre più numerose le controversie che vedono i diritti delle donne e i
principi religiosi ai fronti opposti, come i dibattiti che mettono al centro le questioni
riproduttive e la cosiddetta ‘morality politics’.
Alla luce di tali processi, uno sguardo di genere, attento alle esperienze delle donne nelle religioni, e a
come le religioni costruiscono il femminile, il maschile e le relazioni di genere, permette di mettere in
discussione le forme (e le norme) di una sfera pubblica laica e plurale, capace di garantire diritto di
cittadinanza a diverse religioni e opzioni valoriali. Inoltre, le religioni sono esse stesse internamente
plurali. In questo senso, comprendere il pluralismo al quale la sfera pubblica laica deve rispondere
significa, quindi, analizzare il significato, oggi, credere. Il processo di secolarizzazione ha portato ad
una diminuzione della pratica religiosa? Come si trasformano le istituzioni religiose nel loro rapporto
con la società? Molti studiosi usano il concetto di società ‘post-secolare’, per indicare come nelle
società contemporanee abbia poco senso parlare di una rigida separazione tra religione e spazio
pubblico, in- vitando a decostruire l’assunto per cui una società laica sia una società non religiosa.

Questo volume propone una rassegna di recenti studi che si occupano di ‘donne’, al plurale e delle
religioni, al plurale, con tre obiettivi principali:
1. Offrire un’introduzione ad un tema che oggi si trova al centro del dibattito pubblico, in un
Paese, come l’Italia, caratterizzato da una scarsa alfabetizzazione religiosa.
2. Avvicinare studiosi e studenti alla pluralità dello scenario religioso internazionale in rapida
trasformazione.
3. Una lettura critica al ruolo delle donne nelle religioni, spesso considerato, un po’
frettolosamente, come debole e subordinato ad un potere maschile.
In generale, manca una lente di genere nello studio delle religioni in Italia. Solo recentemente il tema è
diventato un oggetto a sé stante, centrale, dell’analisi.

2. Donne e religioni in Italia: tracce di secolarizzazione


al femminile?
In chiave quantitativa, l’attenzione verso il binomio donne e religioni si è sviluppata soprattutto in
relazione al processo di secolarizzazione in un contesto a maggioranza cattolica, focalizzandosi sulla
pratica religiosa cattolica di uomini e donne, sulla permanenza e le trasformazioni di credenze e valori.
Le indagini sulla religiosità in Italia hanno mostrato come, a partire dal 1970, le donne siano state lo
zoccolo duro dei fedeli cattolici. Tuttavia, emerge una crescente distanza dalla Chiesa, in particolare da
parte delle donne più giovani. Quali sono, dunque, le evoluzioni del rapporto tra le donne italiane e la
Chiesa cattolica e, più in generale, la religione?
1 Agency si intende, la possibilità di agire (quindi disponibilità di risorse e di opportunità) e di veder riconosciuti come
validi i motivi che giustificano tali azioni. Oltre all’aspetto dell’azione nel presente, il concetto di agency fa quindi
riferimento alla dimensione del passato che lo mette in forma e al futuro, nella dimensione dell’aspettativa.
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Prendiamo un’indagine nazionale sulla religiosità giovanile volta a mette a fuoco la vita religiosa e
spirituale dei giovani italiani dai 18 ai 29 anni, che vivono nelle più diverse zone della penisola.
Ricerche recenti si interrogano sulla crescente attrazione delle donne verso una dimensione
‘spirituale’2, considerata come alternativa ad una religiosità più tradizionale. Pertanto, i dati inerenti
alla questione di genere riguardano il rapporto tra religiosità e spiritualità, ossia come le giovani donne
interpretano e vivono la ricerca religiosa e, se e in che modo, la collegano con quella spirituale e
viceversa. Sebbene nel dibattito internazionale vi siano numerose proposte che considerano religione e
spiritualità come categorie antinomiche, ricerche recenti rivelano che, in Italia, esse sono domini non
solo compatibili, ma anche sovrapponibili. In altre parole, la ricerca spirituale degli italiani, e i giovani
non fanno eccezione, si coniuga con quella religiosa.

L’analisi sulla vita spirituale dei giovani italiani rivela importanti differenze e somiglianze tra i generi.
Il genere non discrimina:
A. Nel gruppo di quanti coltivano la vita spirituale secondo i principi della religione di
appartenenza (ossia femmine e maschi seguono o meno i precetti religiosi nello stesso modo).
Ci saremmo attese che più femmine che maschi optassero per una disciplina spirituale normata
dai principi della religione istituzionale.
B. Nelle concezioni di spiritualità che non rimandano esplicitamente alla religione: la stessa quota
di ragazze e ragazzi intende la spiritualità come ricerca di armonia e consenso.
Le differenze di genere riguardano invece il fatto che
• più ragazze che ragazzi sono interessate a coltivare una vita spirituale ma sempre nell’alveo
cattolico.
• le donne, più degli uomini ammettono di vivere la ricerca religiosa e spirituale in modo
personale (discontinuità rispetto al passato), e questo porta ad applicare anche in Italia la
categoria della designer religion - Rountree espressione coniata di recente (“religione
ritagliata su misura”), che secondo l’autrice che l’ha proposta costituisce una prerogativa
femminile. Le donne non sono necessariamente più creative degli uomini, ma per via della
particolare situazione di ‘formale subalternità’ in cui si trovano, sono più propense allo sviluppo
di forme di creatività, che ha portato alla nascita di movimenti liturgici femministi. La designer
religion, per le giovani italiane, si esplica sostanzialmente in una rielaborazione personale delle
fede cattolica.

Comparando i dati relativi alla credenza in Dio di uomini e donne si scopre che mentre in passato la
quota di ragazze che credevano in Dio “senza alcun dubbio” era maggiore di quella dei ragazzi, oggi
questo divario tende a colmarsi, proiettando una nuova luce sul futuro del cattolicesimo in Italia. Se
altre ricerche dovessero confermare che le giovani italiane non sono più propense a farsi portavoce e
garanti dei principi della religione di chiesa, occorrerà rivedere la rappresentazione tradizionale
dell’Italia cattolica che fa delle donne le custodi della trasmissione religiosa.

3. Più religiose che alternative


Questa ricerca fa luce su un’importante trasformazione nel cattolicesimo italiano: le giovani donne non
sono più propense dei maschi a disciplinare la ricerca religiosa e spirituale in accordo ai dettami della
chiesa, e tendono di più dei loro coetanei a personalizzare il rapporto con il sacro (designer religion),
pur rimanendo nell’alveo del cattolicesimo. Il fatto che non si avventurino nel milieu olistico mette in
discussione la percezione diffusa secondo cui yoga, meditazione, ecc, sarebbero maggiormente
appetibili per il pubblico femminile.

2 Spiritualità intesa come il versante dell’esperienza soggettiva e della rielaborazione personale della fede ufficiale.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
È interessante il dato sull’equanime partecipazione di ragazzi e ragazze al milieu olistico dal momento
che negli studi internazionali la tendenza ricorrente è, invece, opposta, con le donne più attive e
coinvolte degli uomini. Come si spiega la controtendenza italiana? Una ragione può essere rintracciata
nella giovane età delle donne coinvolte in questa ricerca. Nel dibattito internazionale è infatti
accreditata l’idea che siano soprattutto le ‘over 35 anni’ a fruire delle proposte della spiritualità
alternativa, per 4 motivi:
1. La rispondenza del milieu olistico ai bisogni espressivi di un femminile adulto. Le offerte
del mercato spirituale, che mirano alla cura della persona nella sua interezza incoraggiano le
donne ad abbandonare la logica del “sacrificio del sé” a favore di un “egoismo espressivo”, un
messaggio apprezzato in una fase della vita in cui magari faticano a trovare spazi propri, tra
l’attività professionale e la cura delle esigenze familiari. Inoltre le spiritualità alternative,
soprattutto quelle di stampo femminista, promuovono uno sguardo positivo sui processi che
interessano il corpo delle donne (come, ad esempio, il ciclo mestruale, il parto, l’allattamento e
la menopausa) e propongono celebrazioni ad hoc per onorare questi eventi.
2. Il milieu olistico come sbocco professionale. Gli uomini esplorano questa offerta come le
donne, ma nel corso della loro carriera di praticanti spirituali si congedano in percentuali più
elevate di queste, sentendosi “pesci fuor d’acqua” in un mondo “di donne fatto per donne”,
perché, nonostante nelle attività proposte non venga fatto alcun riferimento al potenziamento di
energie femminili, spesso sono incoraggiate forme espressive considerate, tradizionalmente, più
affini all’universo femminile. Queste condizioni producono un processo di genderizzazione del
campo olistico, anche in termini professionali: le donne finiscono con l’essere più impegnate
degli uomini in veste di fornitrici di beni e servizi. Concorre a perpetuare questa disparità la
tendenziale preferenza delle donne a “reclutare altre donne”.
3. La possibilità di ricoprire ruoli di leadership, negati alle donne in molte religioni
tradizionali, cui si lega la possibilità di innovare il rapporto con il sacro elaborando nuovi
legami simbolici e spirituali, secondo i principi della designer religion.
4. La disponibilità economica. I servizi, le pratiche, i trattamenti dell’offerta olistica sono in
vendita, un dato banale, ma che contribuisce a spiegare la soglia adulta di accesso al campo.
Sulla scorta di queste considerazioni, ci aspetteremmo di trovare, anche nel milieu olistico italiano, più
donne “over 35” che uomini, ma il dato non è confermato, non troviamo alcun gender gap.

Riepilogando: sebbene le giovani italiane siano più interessate dei loro coetanei a vivere in modo
personale il viaggio spirituale e religioso, l’attitudine alla designer religion non si esplica in un no-
madismo spirituale fuori dai confini ufficiali, risultando ‘più cattoliche’ che ‘spirituali’. Noi
ipotizziamo che almeno tre siano le ragioni per cui il milieu olistico italiano non sia affollato da donne:
1. Lo scarso interesse delle ragazze per la spiritualità alternativa riflette il più ampio disinteresse
generale del Paese, dovuto all’imprinting storico della religione, ossia il suo radicamento
temporale in un certo territorio.
2. La formazione religiosa in famiglia ha il suo baricentro nella madre che si adopera per replicare la
fede che le è stata trasmessa.
3. Una scarsa problematizzazione dell’identità di genere e dei ruoli tradizionali. Questo modello di
socializzazione religiosa ha tutte le probabilità di influenzare le giovani che, in linea di massima,
si sentiranno spinte a seguire le orme delle madri, in un Paese che è conservatore negli
atteggiamenti di genere.
L’analisi mostra che anche in Italia il gender gap nella religiosità giovanile va affievolendosi, ma, a
differenza di altri Paesi del Nord e Centro Europa, la secolarizzazione femminile non è accompagnata
da una rivoluzione spirituale capeggiata da donne.

4. Alcune domande aperte


30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
I risultati emersi pongono interrogativi rilevanti, sul nesso tra religione e secolarizzazione o tra
spiritualità e religiosità tradizionale, ma, più ancora, in relazione all’attuale società che si vuole laica e
plurale. In particolare, ci preme mettere in luce due questioni, tra loro interconnesse.
A. Se le donne sono da sempre lo zoccolo duro del cattolicesimo in Italia, custodi e leader nella
trasmissione di una cultura religiosa e valoriale, è possibile che le trasformazioni evidenziate
non possano essere foriere di cambiamenti culturali più ampi? In particolare, le posizioni della
Chiesa cattolica nello spazio pubblico emergono chiare ed evidenti, e potrebbero essere
interpretate in antagonismo all’affermazione dei diritti delle donne. Come si pongono le giovani
donne rispetto a tali posizioni?
B. È possibile fare un parallelismo tra l’affermazione di una pratica di designer religion e una
pratica politica che sempre più potremmo definire come designer politics? Come nel campo
religioso, anche in quello politico cresce la fortuna di quelle formazioni che promuovono un
rapporto diretto con l’autorità, ad esempio tra leader e ‘popolo’. Nelle società contemporanee
crescono inoltre le questioni nell’agenda politica che sfuggono ai tradizionali inquadramenti in
termini di destra e sinistra e che riguardano primariamente questioni inerenti alle politiche della
vita o politiche della morale. Il religious design, in questo senso, si accompagna ad un più
generale individual design.

5. Prospetto del volume


Nel complesso, emerge un quadro approfondito e sfaccettato delle molteplici forme di relazione tra le
donne e le religioni. Molti sono i temi che meritano attenzione:
• il ruolo, spesso ambivalente, delle donne nell’amministrazione del culto e riflessioni importanti
per l’analisi dell’agency religiosa femminile;
• l’analisi del rapporto tra corpo e spazio pubblico e privato, con un’attenzione alla dimensione
della sessualità e della castità;
• la questione dei dati, delle fonti, e degli strumenti di analisi, in particolare in relazione al
complesso rapporto tra il femminismo e il tema delle donne nelle religioni;
• il nodo del complesso rapporto tra i processi di ibridazione e riconoscimento di tradizioni
religiose diverse in un contesto sociale in cui il ruolo della donna è in continuo mutamento.
Rispetto allo stereotipo che vuole le donne in posizione subordinata nelle religioni, gli studi presentati
in queste pagine gettano luce su una realtà più complessa e sfumata. Molti dei contributi presentati
esplorano la religiosità femminile come elemento di rottura rispetto ad un ordine sociale e religioso,
mostrando come la libertà e l’agency religiosa femminile, che emergono da scelte di rottura simbolica
dell’ordine prestabilito, non siano scevre da ambiguità.
Nell’analisi del ruolo femminile rispetto all’amministrazione e alla pratica del culto, il rapporto con il
maschile emerge come un punto di riferimento costante e rilevante. Alcuni contributi sottolineano
come talvolta le donne che amministrano il culto venerino divinità femminili, si occupino della
gestione e catalizzazione dell’energia femminile e, di fatto, amministrino un sacro femminile, delle
donne per le donne. Più frequentemente, tuttavia, le tensioni con il maschile si rilevano
nell’amministrazione del culto, nel ruolo delle donne come mediatrici del sacro, più che non
nell’oggetto del culto. Il ruolo delle donne nell’amministrazione del culto, in effetti, è sfumato e
complesso e nel volume si evidenziano una pluralità di situazioni. In definitiva, dai contributi del
volume emerge come sia importante non solo esplorare l’agency femminile, ma anche ridefinire tale
concetto in rapporto alla specificità della religione analizzata e al più ampio contesto sociale, per cui la
parità di genere assume forme diverse in contesti (religiosi) diversi.
Oltre alla questione dell’autonomia del soggetto femminile, emerge un secondo rilevante tema
trasversale, che riguarda il complesso rapporto tra corpo, pratiche e spazio, fisico e simbolico. Le

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
donne analizzate in queste pagine, persino quelle coinvolte in pratiche ascetiche, hanno un corpo, fisico
e sessuato, che ne definisce l’identità.
Un terzo tema trasversale che emerge riguarda l’importanza delle più ampie trasformazioni che
informano il campo religioso. Molte delle analisi presenti in queste pagine raccontano un mondo in
transizione e in trasformazione.
Infine, l’ultimo elemento che prendiamo in considerazione in questa introduzione riguarda il complesso
intreccio tra l’oggetto del volume, donne e religioni, e la letteratura femminista. Si tratta, infatti, di
mettere in luce e dare voce ad un soggetto, quello femminile, che si considera escluso dalla narrazione.

2. UNA RIVOLUZIONE FALLITA: MONACHE, MA


PUR SEMPRE SPOSE, MADRI E FIGLIE.LA
FAMIGLIA MONASTICA NELL’EGITTO TARDO-
ANTICO (M. C. Giorda)

Premessa: lo status giuridico della donna nella Tarda


Antichità
Il ruolo della donna cristiana nella Tarda Antichità è una questione studiata con un’attenzione
particolare ai legami tra donne e uomini. Senza dubbio il cristianesimo giocò un ruolo fondamentale
nel definire lo status della donna e, a livello giuridico, il corpus legislativo di Giustiniano segnò un
momento di svolta all’interno di questo periodo storico, poiché mise al centro la necessità di tutela e di
protezione della donna, da cui ne emerge che la donna ha poca influenza sulla sua vita, che è
dipendente dagli uomini e la cui posizione di inferiorità nei confronti del padre e del marito è
continuamente asseverata dalla legge. Tuttavia la libertà nel rapporto con i figli garantisce una sfera di
maggior indipendenza e il ruolo di madre è senza dubbio più determinante, autonomo e autorevole di
quello di moglie o figlia.
Il quadro legislativo riflette il prescritto ed il desiderato e non la realtà, per come essa poteva essere
multiforme e sfaccettata: si può dunque credere che le effettive pratiche sociali diffuse nell’Impero ed
in particolare in Egitto fossero più variegate. Tuttavia, la legislazione, le fonti canoniche, letterarie e
documentarie, concordano tutte sulla eccezionalità dello status delle donne che entravano nella vita
religiosa. Per ciò che concerne l’ambito religioso:

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
• l’autonomia di decisione sul proprio destino era riconosciuta a pieno dalle leggi, il potere
paterno era limitato, dunque, anche se il vero obiettivo della legge non pare l’emancipazione e
la liberazione della donna, quanto piuttosto la rimozione di ogni ostacolo all’espansione della
fede cristiana.
• non vi è alcuna differenza tra uomo e donna, trattati e tutelati alla stessa maniera.
• È la vita religiosa, soprattutto quella ascetica, accompagnata dalla scelta virginale e di castità
per le vedove, a permettere alle donne di riscattarsi dalla sottomissione alle figure paterne o,
peggio ancora, dalla messa ai margini della società.

L’obiettivo del capitolo è quello di mostrare come l’abbandono spirituale e fisico del ruolo sociale di
mogli, madri e figlie abbia come effetto collaterale la ricostruzione di legami simili che ripropongono i
rapporti familiari nello spazio del monastero. Nel primo paragrafo analizzerò alcuni casi di vergini
ascete, spose di Cristo, nel secondo paragrafo il caso di donne che scelsero di diventare monache
separandosi fisicamente dall’ambiente domestico per vivere in ambienti monastici e nel terzo paragrafo
tenterò di mettere in luce come il linguaggio famigliare sia utilizzato ampiamente nelle fonti letterarie
e documentarie per indicare il ruolo delle donne nei monasteri. Attraverso l’analisi di differenti modi di
separazione, pur vivendo una vita ascetica o monastica, vorrei dimostrare come le donne non
poterono mai rinunciare, fino in fondo, alle strutture della famiglia patriarcale.

1. Vita ascetica domestica e familiare


La prima categoria di donne oggetto di analisi è formata da quelle che scelsero la vita ascetica,
spezzando in questo modo, al pari degli uomini che facevano la medesima scelta, gli equilibri
matrimoniali e familiari su cui era basata la società in quell’epoca.
In Egitto, la prassi relativa a vergini che abitavano in casa era diffusa ed accettata: alcuni canoni
(336-340) parlano di vergini che devono portare un velo in chiesa e devono, insieme alle vedove,
digiunare spesso e pregare per la chiesa. Le vergini e le vedove sono integrate nella comunità, accudite
e remunerate; donne di tutte le età possono vivere nella verginità restando all’interno dei loro villaggi
e conducendo una vita religiosa rigorosa.
In altri canoni, emerge prima distinzione anche fisica tra le donne ascete e le altre donne, mogli e
madri, che segnerà il trapasso dall’ascetismo femminile al monachesimo femminile. Nei canoni si
legge che una vergine è essenziale per la salvezza dell’intera casa. È assegnata al Signore dai genitori.
La donna votata alla verginità, capace di obbedire, di essere sempre mansueta, di essere morigerata nel
cibo e di digiunare, indossa l’abito della vergine. In caso contrario, se all’età di trent’anni non pare
adatta a questo stile di vita, la donna si sposa. Dal momento in cui riceve l’abito, la vergine conduce
una vita un poco distinta da quella dei familiari. Alla vigilia di feste speciali tutte le vergini sono
chiamate a servire nelle comunità di vergini o in una comunità monastica. Le donne ricche possono
eleggere una donna come vergine personale e trattarla come una figlia, mai come una serva. Occorre
precisare che, in questo quadro di accompagnamento e promozione della scelta ascetica, il matrimonio
è pur sempre tutelato e reputato legittimo, e al contempo è rifiutata e condannata la pratica della
coabitazione di uomini e donne dediti all’ascesi. Le mogli di coloro che decidono di compiere una
scelta ascetica possono a loro volta intraprendere un itinerario monastico separandosi dal coniuge, ma
non è ammesso in alcun caso l’abbandono del coniuge da parte della donna che desideri dedicarsi
all’ascesi.
Gli ambienti ecclesiastici tradizionali tutelano lo status della donna moglie e madre, e l’atteggiamento
nei confronti delle donne e delle scelte ascetiche femminili è spesso ambiguo. Tuttavia, i bisogni
spirituali delle donne che praticano l’ascesi a casa fanno nascere un genere letterario, portando ad
immaginare che vi fossero numerose donne ad aver compiuto la scelta della verginità.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
L’ascesi monastica domestica non andò esaurendosi con la diffusione del modello monastico
femminile. Infatti, la letteratura canonica del tempo testimonia una presenza importante delle vergini
consacrate a Dio (canone di Calcedonia). Queste, quando si separano dal loro padre, devono essere
accolte tra le donne onorevoli o vivere in comunità; i chierici non possono rendere visita da soli alle
vedove o alle vergini (tutela della loro castità e il divieto della coabitazione). Il matrimonio è interdetto
alle vergini consacrate, e la fornicazione rappresenta un adulterio perché rompe il rapporto privilegiato
con Dio di cui esse sono spose. Sembra che si tratti, ancora in questa fonte canonica, di forme di
ascetismo domestico o comunque familiare, che non prevedeva necessariamente un distacco fisico
definitivo dalla quotidianità della vita in famiglia e l’entrata in un vero e proprio monastero femminile.
Le vergini sono accostate alle vedove e sono consacrate a Dio. Nonostante la positiva “normalità” dello
status di donna sposata, il legame matrimoniale è palesemente superato da uno stile di vita giudicato
diverso e superiore, che rendeva la donna libera da vincoli. Non è un caso che le vergini fossero
chiamate le spose di Cristo: il loro legame matrimoniale si consumava soltanto su un piano religioso-
spirituale.

2. Monachesimo femminile: donne che si separano


Con un distacco fisico maggiore dal nucleo di abitazione quotidiano come tratto peculiare, il
monachesimo tendenzialmente mette in discussione i legami familiari. Le testimonianze relative ad una
scelta di vita monastica femminile sono abbondanti nelle fonti monastiche fin dagli albori degli
sviluppi di questo genere letterario: nei detti femminili è interessante notare che i contenuti sono per la
quasi totalità completamente combacianti con quelli maschili, non vi è una peculiarità, né nei temi, né
nei modi, esse trattano i classici argomenti ascetici.
Per quanto concerne le fonti letterarie, si può dedurre che si tratta inequivocabilmente di monasteri di
monache e sottolineando la separazione del monastero femminile da quello maschile. Le donne che li
abitano possono frequentare in gruppo le celebrazioni che si svolgono in chiesa (no feste o notte),
digiunano fino al tramonto, non possono parlare con le donne sposate e possono andare a fare visita
alle loro famiglie solo in compagnia di altre vergini. Sulla base dei contenuti e della terminologia usata,
sembra si tratti di un’attestazione di un modello monastico vero e proprio. Già durante il IV secolo,
dunque, stando ai canoni attribuiti ad Atanasio, dovevano esserci non solo le vergini che abitavano con
le loro famiglie e nelle loro case, ma anche le donne che avevano scelto la vita monastica.
Le donne di cui si parla nella legislazione di Giustiniano sono innanzitutto le spose degli uomini che
decidono di entrare in un monastero, poteva accadere che si diventasse monaci dopo avere costruito
una famiglia, spezzando dunque l’equilibrio sociale fondato sui legami moglie e marito, padre/madre e
figli. Non è esplicitata la sorte delle mogli dopo la scelta monastica dei mariti, ma si dice che lo stesso
che è stato detto per gli uomini che diventano monaci deve valere per le mogli che compiono la scelta
monastica. I monaci uomini devono abitare insieme, ma è necessario separare i monasteri degli uomini
dai monasteri delle donne e le monache non devono entrare in comunicazione con loro; per ogni
necessità esse si rivolgeranno alla loro superiora. Come per gli uomini, anche per le donne vi è
l’obbligo di lasciare parte dei propri beni al monastero, all’atto di entrata nella vita monastica. Nessuno
può interferire nella scelta di vita ascetica di una donna e, nel caso di rimozione forzata di una monaca
dal suo ruolo, si puniranno i colpevoli con la pena di morte e la confisca dei beni.
Si tenta di regolamentare le visite della famiglia al monastero, per evitare relazioni troppo frequenti. I
monaci, uomini e donne, sono morti alla loro famiglia, o almeno la legislazione tenta di imporre che
essi lo siano; il luogo della loro sepoltura non appartiene alla famiglia, ma alla comunità, che impone la
sua legge alla famiglia.
Un gruppo di papiri datati tra il III e il IV secolo offre informazioni su queste forme di ascetismo
femminile monastico, anche se restano poco chiari i tipi di tali comunità di donne, la loro
identificazione con dei monasteri tout court e le modalità di ascetismo ivi praticato: che si tratti di un
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
passaggio dell’ascetismo domestico in ascetismo monastico, o che si tratti di una sorta di confraternita
che continuava a vivere nei villaggi e magari anche nelle loro case, siamo comunque davanti ad uno
sviluppo comunitario dell’ascetismo, che rappresenta senza dubbio un ulteriore passo verso la
diffusione sul territorio egiziano di monasteri femminili, separati dal mondo. A partire dal dato
terminologico e dal contenuto dei documenti, propendiamo per vedere in questi documenti delle
testimonianze della prassi monastica femminile, praticata in luoghi separati dalla casa e dalla famiglia
di provenienza.

3. Madri, sorelle e figlie: un linguaggio famigliare


Al di là di una presenza di monache e di monasteri femminili, ci interessa sottolineare qui che le donne
sono pronte non soltanto a rinunciare alla loro sessualità, votandosi alla verginità o alla castità, ma
anche a rinunciare alle loro famiglie, ai mariti e ai figli per entrare a far parte di una nuova famiglia,
quella monastica, come madri, sorelle, figlie. Per la verità, in alcuni casi si assiste anche alla
conservazione di legami familiari “nella carne”, per cui i figli e le figlie possono seguire le loro madri
nella scelta monastica, o le donne seguono i loro figli, mariti e, più facilmente, i fratelli.
In gioco è la costruzione di nuovi legami familiari: le leggi matrimoniali e familiari sono superate da
una scelta di vita che crea nuovi vincoli, non tanto matrimoniali quanto più ampliamente familiari. Il
linguaggio famigliare infatti è utilizzato ampiamente per indicare il ruolo delle donne nei monasteri.
Sul piano terminologico, le fonti parlano spesso di “comunità”, di “paternità” e “fratellanza”, e del
luogo fisico del “monastero”, anche se il più fecondo da un punto di vista analitico è il concetto di
“famiglia”.
Vorrei concentrarmi quindi sui ruoli femminili all’interno di questa famiglia monastica ricostruita a
partire da una vecchia famiglia naturale distrutta: è senza dubbio una famiglia non biologica, una
costruzione sociale, una trasformazione dei legami in vincoli familiari spirituali. Il termine “moglie” o
“sposa”, centrale nell’esperienza delle ascete vergini, spose di Cristo, è superato dalla nuova funzione
che ricoprono le donne nella famiglia monastica: esse sono essenzialmente madri o figlie e tra loro
sorelle. L’epiteto di “madre” è ampiamente utilizzato in contesti monastici cenobitici in riferimento
alle superiori dei monasteri e Maria è madre delle vergini per tutta la sua vita. Nella maggior parte
delle occorrenze il termine “madre” si trova al singolare, vi è un’autorità femminile per un gruppo di
monache. Le madri non sono tuttavia l’unica autorità dei monasteri: esse sono quasi necessariamente
accompagnate e sorrette, a volte sottomesse, ad un uomo capofamiglia, massima autorità della famiglia
monastica (nel caso di monasteri doppi, dove la parte femminile è al fianco di una parte maschile).
Le donne monache sono tra di loro sorelle; il termine greco “sorella” è usato al singolare ad indicare
genericamente una monaca, ma soprattutto al plurale, in riferimento alla comunità per sottolineare le
relazioni interpersonali tra monache.
Infine, nella categoria di “figlie” spirituali rientrano tutte le monache che sottostanno alle madri e ai
padri a capo delle comunità monastiche; sono comprese anche le donne che gravitano intorno a questa
nuova famiglia che si rafforza e si radica nello spazio fisico del monastero ed è pronta ad accogliere
anche nuove persone.
Assistiamo dunque alla creazione di una nuova familia non biologica ma spirituale, dove vi sono
legami più stretti e meno stretti, ma dove alcune caratteristiche sono molto diverse dal modello
familiare esistente non monastico, come ad esempio la separazione fisica dei due sessi.

4. Alcune riflessioni conclusive


Riguardo al ruolo delle monache è impossibile discernere fino in fondo lo scarto tra i realia e ciò che è
stato trasmesso dalle fonti in quanto non si tratta la storia delle donne, ma quella scritta e vissuta in
prevalenza dai monaci, maschi.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Rispetto al tema della possibile differenza di genere tra uomini e donne monaci/monache, e in
particolare al ruolo specifico delle donne, non è possibile semplificare con una riposta unica: il
monachesimo appiattisce tutto, da un lato perché non si è più né donna, né uomo, ma le donne
restavano marginali e marginalizzate (si pensi al caso delle donne travestite da monaci per non essere
notate) e l’esperienza femminile altamente passata sotto silenzio.
Partendo dal presupposto che è più duro/inumano/difficile la rinuncia a generare per una donna che per
un uomo, qual è allora la strategia di (ri) generazione attuata dalle monache in assenza della possibilità
di una generazione biologica, uno dei tratti antropologicamente e storicamente più presenti in ogni
società umana? Per le donne il tentativo sembra avvenire sotto forma della riproduzione metaforica dei
legami famigliari e della successione nella famiglia monastica, perché, per le donne come per gli
uomini, uccidere il futuro è più doloroso che uccidere il passato. In questo senso, le donne non lasciano
mai la famiglia e le sue strutture gerarchiche, ma si riappropriano del loro ruolo famigliare con vesti
diverse, conservando le medesime funzioni di madri, figlie e sorelle: la rivoluzione, di abbandonare
famiglia e legami fallisce doppiamente sia perché in alcuni casi tali relazioni sono mantenute
fisicamente sia perché sono recuperate e riproposte spiritualmente.
3. NULLA È PIÙ COME UN TEMPO. IL
CAMBIAMENTO RELIGIOSO DELLE FEDELI
ANZIANE IN INGHILTERRA (J. Eccles)

1. Quadro generale
Negli ultimi sessant’anni il Regno Unito ha assistito a molteplici cambiamenti nelle appartenenze,
credenze e comportamenti religiosi. La rivoluzione culturale che iniziò negli anni Sessanta portò molti
cambiamenti nel Regno Unito al punto da non lasciare pressoché nessuno “illeso”, nemmeno quelle
donne che erano fedeli convinte e attive. Alcune delle trasformazioni innescate dalla rivoluzione
culturale arrivarono solo più tardi tra la popolazione anziana e/o lontana da Londra. Ma tutte le classi
sociali, indipendentemente dall’area geografica, prima o dopo ne avvertirono l’effetto, mano a mano
che le idee si diffondevano e prendevano forza, grazie anche alla capacità di propagazione offerte
prima dalla televisione poi da internet.
Il presente capitolo considera questi cambiamenti alla luce degli effetti prodotti su 5 gruppi di donne
anziane (> 50 anni al momento della ricerca):
• le “Discepole”, ovvero coloro che sono permanentemente affiliate ad una Chiesa cristiana;
• le “Figliole prodighe”, che hanno fatto ritorno in chiesa dopo una assenza di anni;
• le “Convertite riflessive” che hanno cambiato la comunità di appartenenza;
• le “Convertite olistiche”, che generalmente hanno scelto forme di spiritualità alternativa,
• le “Pecorelle smarrite”, che non frequentano più ma continuano a credere e proseguono le pratiche
nel privato.

2. Contesto e metodi
Il lavoro si basa su uno studio etnografico, basato su osservazione partecipata e interviste non
strutturate, della durata di sei anni (2004-2010) volto ad esaminare la storia di vita di 70 donne anziane
nel Regno Unito, con particolare attenzione al Nord dell’Inghilterra. Le intervistate appartengono a
diverse denominazioni, provengono da classi sociali differenti, e molte, sebbene non tutte, posseggono
un’istruzione universitaria. Vivono principalmente in aree rurali a popolazione bianca, in una delle
regioni a maggiore prevalenza cristiana del Regno Unito.
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Ho iniziato la ricerca con l’obiettivo di esplorare i cambiamenti esistenziali delle donne affiliate e delle
non affiliate. L’idea è nata basandosi sue due tesi diverse:
1. Brown “le donne che hanno vissuto la rivoluzione culturale degli anni Sessanta sono state
maggiormente influenzate dal capovolgimento dei ruoli di genere che quella rivoluzione ha
innescato. La chiesa proponeva il modello della donna pia, l’angelo del focolare, un esempio
che la “nuova donna” rigettava a favore di nuovi valori considerati attraenti, come l’autonomia
morale e la libertà sessuale. Da quel momento, le donne abbandonarono in massa la chiesa,
portandosi dietro i figli e i mariti, che precedentemente le accompagnavano.
2. McLeod gli anni Sessanta sanciscono la fine della cristianità, ma non dell’Inghilterra cristiana.
Il benessere emergente è la reale causa della diffusione della cultura universitaria tra le donne
così come dell’aumento dei matrimoni bianchi (no figli e gestione condivisa del ménage
domestico. Molte donne che abbandonarono le chiese negli anni Sessanta non lo fecero per
polemica o per rinnegare le virtù del focolare, ma se ne andarono semplicemente per seguire la
casa e la famiglia, sotto il peso della difficoltà di conciliare i carichi domestici, la cura dei figli
e il lavoro/la carriera.
L’obiettivo della ricerca è, dunque, comprendere quali delle due tesi trovi riscontro empirico presso il
campione di donne selezionato.

3. Una nota sulla credenza


Anche se c’è una certa coerenza di vedute all’interno di ciascuna comunità religiosa, non è scontato
che tutti i membri condividano le stesse credenze. Ciò non significa, però, che gli attori sociali che non
esprimono le loro credenze religiose siano privi di punti di vista personali, anzi. Ma come esserne
sicuri?
Credenza: emerge da oggetti e sentimenti che formano i singoli e le comunità nel tempo, e le relative
pratiche; sono ciò che le persone fanno, come lo fanno, dove e quando, e il motivo per cui lo fanno. Chi
ammette di essere credente non sta esprimendo un’opinione fondata sulla riflessione e sulla ragione,
ma si allinea con una comunità.
Riis e Woodhead enfatizzano l’importanza delle emozioni nei “regimi emotivi”, che hanno l’effetto di
rinforzare oppure di dissipare i legami con il sacro. Il regime emotivo si configura come un rapporto
triangolare fondato sulle interconnessioni tra il sé, gli ambienti socio-culturali e le strutture che
compongono la comunità, comprese quelle inerenti le religioni. Questo rapporto triangolare raramente
è statico perché le connessioni, e le disconnessioni, fra il sé, la società e i simboli mutano, a seconda di
come l’ordine emotivo sia prodotto e riprodotto, adattandosi alle cangianti circostanze.

4. Risultati
Discepole e Figliole Prodighe
Si tratta di donne che o hanno frequentato una chiesa per tutta la vita (le discepole) o vi hanno fatto
ritorno a seguito di un periodo di difficoltà (le figliole prodighe). Mi sarei attesa da parte di entrambi i
tipi di “donna tradizionale” un qualche riferimento alla loro credenza in Dio, alle preghiere, ma questi
riferimenti sono stati piuttosto scarsi. La ricerca ha evidenziato le credenze da una prospettiva di
“religione vissuta”: le credenze emergono in un contesto relazionale. Le donne raccontano di forti
legami con gli altri membri delle loro comunità e di un impegno prolungato nelle attività della chiesa.
La loro fede si consolida nella presenza reciproca l’una dell’altra e si alimenta in una sorta di mutuo-
aiuto, soprattutto nei momenti di bisogno.
In questa comunità, i legami emotivi sono formati tra il sé, la congregazione e il particolare contesto
socio culturale che quella congregazione incorpora. Ciò che queste donne fanno, anche se rientra
ancora tra i compiti tradizionalmente femminili, è assunto volontariamente, il che esclude l’obbligo.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Certo si annoverano alcune eccezioni, ma anche in questi casi si avverte una differenza rispetto al
passato: es tra le discepole c’è una cattolica irlandese impiegata nell’ufficio pari opportunità che
specifica che il suo impegno domenicale non deve interferire con il suo impegno professionale e che si
è sentita irritata per essere stata assegnata ai “lavori femminili” nella chiesetta che frequenta; oppure tra
le figliole prodighe parla di una donna nata in una famiglia mista dal punto di vista religioso, che dopo
la pensione si trasferisce e viene invitata in una delle Free Churches con cui si scopre in sintonia
“perché non è la Chiesa di Stato” (anglicana), considerata politicamente più conservatrice.

Le convertite riflessive e le convertite olistiche


Come si è già notato, per le donne oggetto dello studio è molto importante riuscire a formare un legame
emotivo con la comunità religiosa e, perché ciò avvenga, devono percepire che i loro valori e il loro
impegno coincidono con quelli della congregazione. Per questo, le connessioni emotive con il sacro si
possono rinforzare o dissolvere attraverso la qualità di quelle relazioni.
Per le convertite, tanto riflessive quanto olistiche, la comunità di provenienza diventa un luogo in cui si
sentono a disagio, avvertendo così il bisogno di trovare una nuova comunità. Sono queste le donne
maggiormente influenzate dalla rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta, che hanno iniziato a
denunciare la natura patriarcale e gerarchica delle loro congregazioni di provenienza, e che da allora si
sono messe alla ricerca di un luogo che non le giudicasse, che riconoscesse la diversità e le differenze,
confluendo spesso nei Quaccheri nel caso delle riflessive, o in altre forme di spiritualità alternative per
le olistiche. Es: per la donna, convertita olistica, intervistata unirsi ai Quaccheri ha significato trovare
un rito nel quale si sente a suo agio, non costituendo problema né l’essere single né l’omosessualità.
Dio può essere maschio, o femmina, o nessuno dei due, non ci sono liturgie, né preti in posizione di
privilegio. Inoltre, sono molto impegnati nelle questioni ambientali, ulteriore fattore di sintonia.
Esistono anche tipi di donne che combinano la propria ricerca spirituale con pratiche cristiane,
frequentando regolarmente i riti perché, ad esempio, apprezzano l’esperienza spirituale e musicale.
Non privilegia il femminile rispetto al maschile, e concepisce Dio come uno spirito o energia
universale.

Le pecorelle smarrite
Per le pecorelle smarrite il Dio maschio e salvatore non è un problema. Semplicemente, per queste
donne, il lavoro e spesso la cura dei figli e anche dei genitori anziani è talmente impegnativo da
impedire la frequentazione della congregazione. Per alcune di loro la chiesa ha fallito nel fornire le
relazioni affettive, altre hanno trovato la chiesa troppo piccola e frivola. La chiesa sta semplicemente
troppo stretta a queste donne, le quali non condividono gli interessi e i valori che legano discepole e
figliole prodighe alla congregazione. Restano però praticanti in molti modi. La scelta di cosa è
importante, dunque, avviene fuori dei ristretti confini fissati da questa o quella particolare istituzione
ecclesiastica.

5. Conclusione
In generale, la visione che le donne hanno del loro agire è oggi molto più determinato dalla loro scelta
personale, anche quando ciò conduce all’adozione dei modelli tradizionali di cura.
L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro può determinare la cessazione improvvisa
dell’appartenenza, specialmente quando devono continuare a prendersi cura della famiglia, compito di
cui ancora si fanno carico soprattutto le donne. Il grado di cambiamento verso una divisione più equa
delle cure domestiche e la crescita dei matrimoni bianchi coinvolge meno le donne anziane di questo
studio. La modificazione dei ruoli di genere ha poi reso molte donne consapevoli delle regole
patriarcali e gerarchiche ancora prevalenti in molti ambiti ecclesiastici, portandole a scegliere comunità

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
che le valorizzino, tanto che siano sposate, divorziate, conviventi, single, omosessuali, sia nelle
assemblee cristiane sia nel milieu olistico.
Si è anche visto come i valori particolari di una data congregazione determinano la possibilità per una
donna di sviluppare un legame emotivo al suo interno, per cui è logico che alcune saranno felici di
rimanere “discepole radicate”; alcune faranno ritorno ad una chiesa nei cui valori possono identificarsi;
alcune se ne andranno altrove.
4. GENERE E RELIGIONE: LA COSTRUZIONE DEL
FEMMINILE NEL MOVIMENTO DELLA
SPIRITUALITÀ DELLA DEA IN ITALIA (R. Pibiri)

1. Introduzione
Il ruolo assunto dal genere nel fenomeno religioso è da considerarsi un tratto capace di rendere conto
delle diverse dinamiche che attraversano il fenomeno religioso nella modernità, soprattutto riguardo la
“religiosità alternativa contemporanea”, in un Paese come il nostro caratterizzato dal monopolio del
Cattolicesimo. A partire da queste premesse, l’obiettivo del capitolo è quello di riflettere sul legame che
intercorre tra genere e religione, focalizzando l’attenzione sulle modalità attraverso le quali avviene la
costruzione del femminile all’interno del milieu della “religiosità alternativa contemporanea”.
Nello specifico, le tendenze che caratterizzano la “modernità religiosa” possono essere interpretate
come il frutto dell’intreccio di dinamiche contrapposte, ma complementari, di secolarizzazione e
“disincanto del mondo” e di “reincanto”. Questa prospettiva, rappresentando un altro modo di pensare
il binomio religione/modernità, consente di riconoscere la rilevanza delle diverse espressioni e istanze
della “religiosità alternativa”, riducendo così il rischio di interpretare le trasformazioni del fenomeno
religioso come esito esclusivo di una dinamica secolarizzante che, generalmente, fa riferimento al
declino di forme tradizionali di stampo maschile. Sebbene la rilevanza di questa religiosità emergente
non vada interpretata in termini strettamente numerici, la sua significatività risiede proprio nella
capacità di imporre un necessario confronto con le forme più tradizionali di religione.
A tal proposito, un aspetto che esige un’approfondita riflessione è appunto la relazione che intercorre
tra genere e religione.
Woodhead Uno degli elementi che caratterizzano il panorama religioso contemporaneo occidentale è il
ruolo giocato dal genere nel dare forma a queste nuove forme di religiosità e spiritualità, mosse dal
desiderio e necessità di ricercare una spiritualità che sia di supporto e costruttiva per le donne. Il
sorgere di “spiritualità della vita” costituisce una potenziale fonte di empowerment per le donne
rispetto al senso e significato del proprio ruolo e identità di genere, che non trova spazio nelle forme di
religione più tradizionali. Di conseguenza, è interessante approfondire, proprio in ragione della
capacità di critica e della portata destrutturante, il ruolo giocato dal genere nei modelli della religione
occidentale, dal momento che spesso le pioniere nella definizione di nuove modalità di relazione con il
sacro sono state proprio donne che si sono trovate ai margini delle istituzioni religiose mainstream, le
quali hanno lottato contro atteggiamenti e strutture, patriarcali e dominanti, nel contesto sociale più
ampio.

2. Il caso in studio: la Spiritualità della Dea come


esempio di costruzione del femminile
Un caso paradigmatico che consente di far luce sulla tematica oggetto del presente capitolo è
rappresentato dalla Spiritualità della Dea (Goddess Spirituality), una delle principali correnti del

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Paganesimo contemporaneo. Questa forma di religiosità trae origine da un processo di riscoperta e
valorizzazione dei principi e dei valori femminili, presenti nell’essere umano (donne e uomini) e nel
cosmo che, secondo la prospettiva, sono stati occultati per secoli dalle religioni monoteiste e
patriarcali.
Un aspetto degno di nota necessario per comprendere sia la portata del tipo di religiosità, sia le
modalità secondo le quali si declina la costruzione del femminile, è rappresentato dal fatto che la
Spiritualità della Dea sembra rimandare a una relazione tra genere e religione di tipo “contro
culturale”. Essa non solo assume una posizione marginale nel più ampio contesto religioso e sociale,
ma si configura come sfidante rispetto all’ordine tradizionale di genere, opponendosi attivamente a
esso e proponendo una più egalitaria distribuzione del potere tra i generi.
Le teologie dominanti o egemoni e i valori da esse veicolati sono considerate intrinsecamente
autoritarie, esclusiviste, patriarcali e dogmatiche. Al contrario, la Spiritualità della Dea si fa portavoce
di ‘nuove’ modalità di essere religiose/i, di relazione con il sacro e l’istanza divina, rappresentando
quella dinamica del “reincanto” che si manifesta attraverso visioni del mondo, credenze, valori e
pratiche alternative a ciò che viene considerato mainstream.
Tale spiritualità, infatti, è incentrata sulla valorizzazione delle qualità femminili del divino presenti in
natura e nell’essere umano, proponendo una concezione cosmologica, una visione del mondo, del sacro
fondate su una tealogia. Il principio divino assume la forma di un’energia che si manifesta in natura,
attraverso la ciclicità che la caratterizza, e nell’essere umano (donne e uomini) il cui sé è considerato
un suo riflesso ed emanazione, e veicolo di questa energia divina femminile. A livello simbolico, essa
è rappresentata dalla Dea Madre, o Grande Madre, definita ‘Una e multiforme’.
Questa visione coincide con il rifiuto dell’archetipo di un divino di tipo maschile, legislatore e
autoritario, che incarna la norma e il dogma piuttosto che l’esperienza religiosa in sé e la connessione
diretta con l’essenza divina. Infatti, in ragione della stretta relazione che intercorre tra la
rappresentazione del divino e la ciclicità della natura che si manifesta nel cosmo e nell’essere umano
(in particolare nella donna, attraverso il ciclo mestruale), la religiosità della Spiritualità della Dea è
fondata principalmente sull’esperienza religiosa diretta, attraverso il ruolo attivo del corpo nella pratica
spirituale di connessione con l’istanza divina e sacra. Oltre a ciò, la specificità di questa forma di
religiosità risiede nello stretto intrecciarsi tra le istanze di natura spirituale che veicola e altre istanze di
carattere sociale, politico e educativo.

3. Due facce della stessa medaglia: modalità di costruzione


del femminile nella Spiritualità della Dea
La costruzione del femminile si declina principalmente secondo due modalità che consentirebbero di
avviare un processo di presa di consapevolezza e di valorizzazione delle qualità femminili, costituendo
una fonte di empowerment sia per le donne che per gli uomini che aderiscono a questo percorso
spirituale. Queste modalità si influenzano reciprocamente e operano su due livelli tra loro
complementari:
• cognitivo/interpretativo
• espressivo/rituale.

A. Modalità cognitivo/interpretativo
Consiste nella definizione e costruzione di un framework alternativo all’interno del quale l’esperienza
spirituale si struttura e assume significato. Questo framework è caratterizzato da una forte istanza
critica nei confronti dalle religioni tradizionali e si propone di definire e veicolare la visione del mondo
e del divino, i valori, le pratiche e i rituali alla base del percorso spirituale attraverso un’operazione di
“ricodifica della situazione”.

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Un ulteriore aspetto di interesse è costituito dall’intreccio, integrazione e influenza reciproca tra queste
teorie critiche elaborate in ambito accademico (corpus di conoscenza su cui si fonda il framework che
struttura e legittima la tradizione) e la formazione di gruppi impegnati nello sviluppo e nella
sperimentazione della pratica e dei rituali di questa religiosità. Questi gruppi concorrono alla creazione
di rituali e pratiche incentrate sul sacro femminile e costituiscono importanti veicoli di trasmissione dei
sistemi simbolici e religiosi appartenenti a questo immaginario ‘altro’.
Inoltre, coloro che aderiscono a questo percorso spirituale, soprattutto le donne, concorrono alla
costituzione di un’alterità attingendo in modo attivo e spesso creativo a un serbatoio simbolico
contenente simboli femminili per esprimere il mistero divino. Questi simboli sono in grado di
consentire la creazione di nuove forme di linguaggio religioso capace di garantire un’espressione
adeguata alle proprie esperienze e aspirazioni spirituali.
La Spiritualità della Dea enfatizza l’urgenza di sviluppare e approfondire temi specifici, in primis,
quello relativo alla costruzione di un femminile e di un maschile in equilibrio tra loro all’interno di una
relazione di uguaglianza incentrata sulla valorizzazione delle differenze. In questo senso, l’operazione
di “ricodifica” corrisponde a un rifiuto delle forme patriarcali di religione ascrivibili alla cultura
dominante.
Questo rappresenta senza dubbio una fonte di empowerment sia per le donne, che in questo modo
hanno a disposizione una risorsa per affermare e di rivendicare di un ruolo di maggior rilevo nella
società tramite la valorizzazione delle qualità femminili, sia per gli uomini che non si riconoscono nei
modelli di mascolinità tradizionali. La Spiritualità della Dea può essere considerata a tutti gli effetti
come un’altra forma di femminismo la cui peculiarità è quella di essere connessa a istanze di natura
spirituale.

Adottando una prospettiva storica più ampia, l’operazione di “ricodifica” corrisponde a una
riattribuzione di significato che basa la sua legittimazione nel Paganesimo caratteristico del mondo
antico pre-cristiano. Questa riscoperta e il recupero di una via del sacro femminile ha avuto origine dal
lavoro delle femministe storiche, che hanno prevalentemente operato sul piano dei valori politici,
sociali e civili.
Marjia Gimbutas esistono testimonianze paleo-archeologiche di società dedite al culto della Dea,
egualitarie e caratterizzate da un rapporto tra i sessi equilibrato e paritario. Testimonianze che
starebbero ad indicare che ‘il primo dio era una donna’.
Riane Eisler ha operato un riesame e una riscrittura della storia della società umana, partendo da una
prospettiva incentrata su una “visione olistica dei sessi” il cui risultato è la formulazione di una nuova
“Teoria della trasformazione culturale”. Secondo l’autrice, a fondamento dell’apparente diversità della
cultura umana sono riscontrabili, principalmente, due modelli base di società:
• Da una parte, quello dominatore (dominator model), comunemente definito patriarcale o
matriarcale, incentrato sul predominio di una metà dell’umanità sull’altra (spada).
• Dall’altra, quello definito mutuale (partnership model), in cui le relazioni sociali si basano
prevalentemente sull’unione e non sul predominio (calice) e, pertanto, a partire dalla differenza
fondamentale della nostra specie non si traduce come inferiorità o superiorità.
Numerose studiose femministe hanno sostenuto l’esistenza di società umane pre-bibliche di stampo
matriarcale/matrifocale, egalitarie e incentrate sul culto della Dea intesa come lo spirito della terra che
nutre e sostiene. È solamente con la rimozione della Dea e sua sostituzione con un Dio maschile che
questo culto viene perso. Sostituzione che viene considerata come parte di una battaglia ideologica
guidata dagli uomini per sostituire la società matriarcale con una patriarcale, gerarchica e militarista.
Purtuttavia, si tratta di tesi che, scuotendo e ribaltando con forza molte delle nozioni di senso comune,
non sono state immuni da critiche, anche all’interno dell’ambito degli studi femministi. Sebbene l’idea
del recupero dell’antico culto della Dea sia stata significativa per molte femministe, si tratta di un

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
“mito della preistoria matriarcale”, che assolve alla funzione di una nuova mitologia, un possibile mito
fondativo per le spiritualità femministe che si sono sviluppate al di fuori della religione istituzionale.

B. Modalità espressivo/rituale
Essa è basata sull’esperienza diretta del divino, vissuta attraverso il corpo, ed è fondata sulle
celebrazioni rituali stagionali che caratterizzano la Ruota dell’anno. Quest’ultima rappresenta il
simbolo attorno al quale il gruppo si struttura e prende forma, è il focus verso il quale converge e ruota
la pratica e l’esperienza spirituale.
Considerata nel suo carattere performativo, la pratica rituale si compone principalmente di due parti:
• una più introspettiva, dedicata a meditazioni e visualizzazioni guidate,
• un’altra più espressiva, che generalmente consiste in un atto simbolico, e definisce uno spazio
all’interno del quale è possibile venire a contatto con le diverse qualità dell’energia della Dea.
La ratio che influisce sulla costruzione del femminile consiste nel riconoscimento, accettazione e
integrazione delle proprie parti in ombra e degli stati emotivi a esse associati, operazioni che a loro
volta favorirebbero la connessione con quella parte sacra di sé diretta emanazione dell’energia del
divino femminile, operando una sintesi tra le due polarità archetipiche presenti nell’essere umano, il
femminile e il maschile. Questo movimento verso l’autenticità del proprio sé è, il più delle volte,
sostenuto da risorse che, da una parte, attengono alla dimensione religiosa e spirituale, d’altra parte
provengono da altre sfere come quelle terapeutica e psicoanalitica. Un aspetto particolarmente
rilevante, pertanto, è il ruolo svolto e l’importanza attribuita alle emozioni nel percorso spirituale,
considerate uno dei principali veicoli, insieme alla sessualità, di connessione con il divino. All’interno
della cornice interpretativa che struttura la performance rituale, quindi, è possibile contattare,
riconoscere ed esprimere le proprie emozioni favorendo un’integrazione del femminile dentro di sé. La
costruzione del femminile, e la trasformazione di sé che implica, corrisponde a un processo di
guarigione delle proprie ferite emotive che deriverebbero dalle concezioni relative al genere, alla
relazione tra femminile e maschile, alla religione frutto di quella “logica di dominazione” caratteristica
dei sistemi simbolici e religiosi patriarcali.
Anche il gruppo assume una rilevanza significativa, assolvendo a una serie di funzioni quali:
• costituirsi come framework in cui l’esperienza individuale e collettiva acquisisce senso e significato
nella condivisione con le/gli altre/i;
• rappresentare uno spazio protetto in cui è possibile venire a contatto con se stesse/i e con l’energia
divina ed esprimere liberamente le proprie emozioni;
• essere un luogo di condivisione del proprio vissuto ed esperienze, in cui trovare sostegno per
l’integrazione tra vita quotidiana e spirituale.
L’espressione delle emozioni, quindi, è un aspetto significativo del percorso spirituale e si declina in
concreto nel consentire ai lati ombra e a tutte le emozioni represse di emergere, in modo tale da
integrare questi aspetti nascosti nella propria personalità. La libera espressione, di sé e delle proprie
emozioni concorrerebbe nel processo di costruzione del femminile, assolvendo una funzione catartica:
esternare e condividere le proprie emozioni in un contesto rituale collettivo, all’interno di uno spazio
circoscritto, è considerato un atto di guarigione di per sé, e consente di rielaborare il proprio sentire
l’esperienza spirituale vissuta.
Quindi, il processo di costruzione del femminile consiste in un tentativo di integrazione tra la
dimensione pratica e quella spirituale dell’esistenza, declinata nel riconoscimento della dimensione
sacra dell’esistenza dentro ogni essere umano, e nel mantenimento di una costante connessione con la
sacralità del quotidiano, tramite l’energia del divino femminile presente in natura. Questo comporta
una presa di consapevolezza e responsabilità del proprio posto nel mondo, nei confronti di se stesse/i e
delle/degli altre/i, attraverso il riconoscimento e integrazione dei propri lati ombra, e della parte divina
del sé.

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
5. DONNE TRA RELIGIONE E STATO.
L’ISTITUZIONE DI DONNE PREDICATRICI
(VAIZELER) IN TURCHIA (C. Maritato)

1. Introduzione
Nel 2013, un rapporto pubblicato dal Direttorato per gli Affari Religiosi (Diyanet, ufficio
amministrativo sotto il controllo del Primo Ministro, considerato uno degli emblemi della laicità turca)
ha denunciato la mancanza di spazi e attrezzature adeguate per le donne che frequentano le moschee in
Turchia e ha avviato un programma di “abbellimento” delle moschee con l’obiettivo di potenziare la
partecipazione femminile nello spazio pubblico del religioso.
Nell’ultimo decennio, il Diyanet ha sostenuto progetti ad hoc e pubblicazioni volti a invitare le donne
in moschea, perseguiti attraverso una politica di femminilizzazione dell’istituzione che ha visto il
numero del personale femminile aumentare in maniera consistente. Il fatto che sempre più donne
esperte in materia di religione portino avanti progetti e iniziative rivolte a donne e famiglie, richiama
l’attenzione su come la partecipazione religiosa femminile sia andata ridefinendosi all’interno dello
stesso Diyanet.
Dal 2003, l’istituzione e la professionalizzazione di posizioni all’interno del Diyanet per donne esperte
di religione sono andate di pari passo con un’assistenza morale fornita dallo stato come servizio
pubblico, attraverso gli Uffici per la Famiglia, il servizio di fatwa online e tramite call center, e
soprattutto, tramite un impegno quotidiano delle vaizeler in moschee, centri culturali, ospedali,
orfanotrofi, prigioni e località protette per donne vittime di violenza.
Nell’indagare il tema del rapporto tra donne e religione, e Islam in particolare, l’obiettivo è di
presentare forme e significati della femminilizzazione di una burocrazia religiosa prettamente
maschile. All’interno della religione, sia vista come un possibile strumento di resistenza ed
emancipazione femminile, sia come mezzo attraverso cui giustificare e legittimare forme di
subordinazione, le donne appaiono passive. La religione o in modo strumentale le rende sottomesse, o
in modo quasi illusorio fornisce loro forme di liberazione.
C’è da aggiungere a questo proposito che la “questione della donna” nell’Islam ha visto ampie
corrispondenze tra il dibattito pubblico e gli studi accademici, portando all’affermazione di un
“femminismo Islamico”, declinato sotto due aspetti:
• uno che cerca di conquistare spazi nella sfera religiosa,
• l’altro nella sfera pubblica secolare, e si richiama ad associazioni e movimenti laici.
Emerge anche come la forte segregazione dei sessi favorisca spazi, spesso i privati, in cui le donne
leggono e commentano il Corano. Queste attività, portate avanti in modo volontario da predicatrici,
sono molto diffuse in Turchia, dove le sorelle appartenenti a comunità religiose o a ordini Sufi
organizzano regolarmente incontri in moschee, case private, dormitori.
Alla luce di queste considerazioni, nella prima parte del capitolo sarà dato spazio alle posizioni aperte
alle donne nella burocrazia del Diyanet, con attenzione particolare alla presidenza 2003-2010, durante
la quale il numero e le competenze delle donne impiegate come predicatrici hanno portato a una
professionalizzazione di tale attività. Nella seconda parte, questa prospettiva di genere sarà considerata
in relazione ad una rinnovata presenza della religione nello spazio pubblico.

2. Metodologia

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Il capitolo è il frutto di una ricerca etnografica che condotta nel 2013-2014. Nello specifico, la scelta
dell’etnografia politica come principale metodologia ha comportato una serie di osservazioni
prolungate e ripetute delle attività svolte dalle predicatrici in diversi quartieri di Istanbul, cui si
aggiungono conversazioni con le predicatrici e con il personale femminile impiegato presso gli uffici
del Diyanet di Istanbul. La ricerca sul campo è stata accompagnata dalla consultazione di pubblicazioni
del Diyanet (articoli divulgativi, libri, opuscoli, circolari, direttive) sul ruolo delle donne
nell’istituzione.

3. La vaize come professione


Nel 2010 il Diyanet ha reso pubblico un rapporto sulle attività effettuate dal 2003 al 2010. In un
paragrafo riferito ai servizi forniti a donne e famiglie, si evince un forte aumento del personale
femminile a partire dal 2004, in particolare per la professione di predicatrice (vaize). Come leggere
questa decisione di includere sempre più donne all’interno del Diyanet?
Il caso della Turchia è in questo senso emblematico: con la nascita della Repubblica nel 1923, una serie
di misure ha reso la religione prerogativa di una cerchia di persone specializzate, burocrati. Un anno
dopo l’istituzione del Diyanet, nel 1925, vennero chiuse le scuole coraniche, le congregazioni e gli or-
dini Sufi, ma questi continuarono le loro attività in clandestinità, portando alla distinzione tra Islam
“ufficiale” e Islam “delle confraternite”. Le donne all’interno di Ordini Sufi, o appartenenti a
confraternite, organizzavano sessioni di preghiera e incontri settimanali in case private o dormitori di
studenti, fuori dal controllo degli imam o delle gerarchie religiose. In questo senso, la presenza di
operatrici di culto femminili “ufficiali” può essere visto come l’evolversi del tentativo paternalista
dello stato turco di regolare la religiosità femminile.
Si tratta, tuttavia, di sviluppi molto recenti. Negli anni ’90 vennero create sezioni femminili che
promuovevano servizi socio-culturali per donne, dando loro maggiore visibilità e legittimità. L’autorità
del personale di culto femminile si fonda soprattutto su conoscenze religiose verificate attraverso
concorsi nazionali. Negli ultimi dieci anni, oltre alla femminilizzazione, il Diyanet ha visto una
progressiva professionalizzazione del personale. Le vaizeler sono, infatti, esperte in affari religiosi. La
loro preparazione inizia nei licei a vocazione religiosa, in classi femminili; dopo il diploma, molte di
loro si sono specializzate nelle facoltà di teologia, conseguendo master e dottorati. Quest’aspetto è
centrale: da un lato mette in risalto la differenza tra le attività ufficiali delle vaizeler e quelle delle
predicatrici appartenenti a comunità religiose; dall’altro riafferma la centralità delle facoltà di teologia
come centro di un sapere religioso “vero” lontano da ogni forma di “superstizione”. Le competenze in
materia di religione rappresentano quindi una condicio sine qua non per la professione di vaize, e sono
alla base dell’autorità e della legittimità di cui le predicatrici godono all’interno della burocrazia del
Diyanet che si trovano ad affiancare i colleghi maschi nella progettazione e realizzazione di servizi
religiosi e di sostegno morale per la popolazione.

4. Assistenza morale come servizio statale


L’aumento del numero di personale femminile all’interno del Diyanet ha visto un progressivo fiorire di
attività religiose rivolte a donne e famiglie. Più nel dettaglio, il numero e la tipologia di attività che le
predicatrici svolgono durante la settimana sono regolati da una Direttiva del Diyanet, e vedono
l’alternarsi di ore di prediche in moschea, lezioni/seminari di esegesi Coranica e ore di consulenza/
guida religiosa presso l’ufficio per la famiglia (AIRB) nel quartiere. Affinché questa programmazione
sia oggetto di controlli, le vaizeler comunicano luogo e data dei loro incontri settimanali all’ufficio
locale del Diyanet.

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Tuttavia, raggiungere le donne e invitarle in moschea (da intendersi anche come appello a seguire la
retta via dell’Islam) è tutt’altro che semplice. Tale invito può incontrare diverse resistenze, e per questo
le vaizeler ricercano legittimità e autorità dai testi e dal recupero della letteratura sul ruolo delle donne
nella tradizione Islamica, leitmotiv ricorrente nella letteratura sul femminismo Islamico. Ritornare alle
origini significa riaffermare la legittimità di una partecipazione e di un’autorità femminile nella
comunità religiosa. L’immagine di donna devota che partecipa in modo attivo in società è segno di un
tentativo più ampio, volto a ridefinire ruoli e spazi delle donne conservatrici, consolidando il modello
di donna “devota e moderna”.
Nel caso del Diyanet, tale femminilizzazione ha visto un aumento dei servizi religiosi rivolti a donne e
famiglie: seminari ed esegesi Coranica, sermoni e attività di consulenza morale (fatwa) rientrano tutti
sotto l’etichetta di guida religiosa. Tuttavia, le donne spesso chiedono consigli che spesso esulano dalle
questioni strettamente religiose. Il supporto morale delle predicatrici, sotto forma di consulenza
religiosa per donne e famiglie, avviene principalmente tramite gli AIRB, istituiti nel 2002 con
l’obiettivo di fornire una guida religiosa, che svolgono spesso attività di mediazione e di supporto
morale.
A margine dei seminari e dei sermoni, le predicatrici influenzano e guidano chi ascolta esercitando un
ruolo attivo, definibile come “pedagogie della persuasione”: le vaizeler sono chiamate ad ammonire,
incoraggiare, a non essere impazienti, a insegnare precetti religiosi, mostrare la giusta via sia nelle
questioni religiose sia in quelle che riguardano il quotidiano, in diversi modi. In questi contesti, le
donne chiedono consigli, aggiungono opinioni personali o condividono le loro esperienze.
Alla luce di queste considerazioni, i meccanismi di assistenza morale e religiosa che il Diyanet attua
per donne e famiglie sono indicatori di un maggiore intervento statale in materia.

5. Conclusioni
A partire dall’istituzionalizzazione di operatori di culto femminili, questo capitolo rilegge le molteplici
e complesse relazioni tra donne, stato e religione nella Turchia contemporanea. Mette in luce come
l’autorità del personale femminile sia il risultato di una politica “dall’alto” dello stato e del Diyanet
volta a burocratizzare gli operatori di culto femminili. In che misura questa partecipazione femminile
come concessione statale possa dar vita ad un cambiamento degli equilibri di genere all’interno delle
gerarchie religiose e nella società nel suo complesso resta una questione da approfondire. Tuttavia, un
aspetto sembra emergere in modo chiaro: una nuova donna religiosa, “pia e moderna” è andata
affermandosi.

6. PRATICA BUDDHISTA VS POLITICHE


FEMMINISTE? LINEE DI FRATTURAE PUNTI
D’INCONTRO PER LE BUDDHISTE “ORDINATE” IN
GRAN BRETAGNA (C. Starkey)

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
1. Introduzione
Il buddhismo ha iniziato a diffondersi in UK negli anni ʼ60. L’obiettivo di questo capitolo consiste
nell’esplorare le complesse relazioni che le donne buddhiste “ordinate” intrattengono con il
femminismo e con le idee relative all’uguaglianza di genere, nel contesto britannico contemporaneo,
che ha visto un aumento dei seguaci e il fiorire di diverse tradizioni buddhiste. Il termine “ordinazione”
è usato in modo diverso nei vari gruppi buddhisti: denota coloro che hanno preso i voti monastici, sia
coloro che hanno preso degli impegni specifici in quanto laici.
L’interesse per l’impegno monastico sta aumentando, anche tra le donne. Tuttavia, il buddhismo non è
immune ai problemi ricorrenti riguardo all’ordinazione femminile, che hanno portato a divisioni molto
profonde. Infatti, nonostante alcuni lignaggi buddhisti offrano l’ordinazione alle donne al pari della
loro controparte maschile, la controversia sull’accesso delle donne all’ordinazione, e sull’uguaglianza
di genere più in generale, continua a polarizzare le comunità buddhiste, incluse quelle in UK.
Un’ulteriore questione che alimenta questo dibattito è il fatto che il focus sui “diritti delle donne” è
stato interpretato come una sconfessione della pratica buddhista autentica, la cui priorità è il non-
attaccamento e l’impermanenza anche rispetto ai temi di genere. D’altra parte, non sorprende, forse,
che queste divisioni appaiano all’interno delle comunità buddhiste occidentali.
Nella letteratura sulle donne nel buddhismo sono soprattutto le donne occidentali (incluse coloro che
hanno preso l’“ordinazione”) ad essere rappresentate come le più probabilmente interessate alla
disuguaglianza di genere rispetto alla loro controparte non-occidentale e, quindi, come le più
impegnate nelle campagne internazionali per un accesso equo all’ordinazione “superiore”. Vengono
viste come donne interessate a mettere in discussione le istituzioni gerarchiche tradizionali per creare
uno spazio destinato alla pratica femminile, come lascito femminista e dell’uguaglianza legale di
genere diffusa nelle democrazie occidentali. Da qui si evince che le monache hanno opinioni diverse
sull’uguaglianza di genere e non sono tutte determinate a lottare per i cambiamenti istituzionali,
nonostante si percepiscano tensioni tra gli ideali femministi e le gerarchie buddhiste. Al fine di
comprendere la questione è utile analizzare le modalità con le quali le singole donne buddhiste, in
specifici contesti geografici, si orientano rispetto a questi argomenti.

L’aspetto centrale di questo capitolo è costituito da una ricerca etnografica dettagliata basata su un
campione di 25 donne britanniche che hanno preso l’“ordinazione” in sette differenti gruppi buddhisti
in Gran Bretagna. Dimostrerò che esiste una notevole diversità nelle loro risposte sulla questione del
femminismo e dell’uguaglianza di genere, scalzando ogni rappresentazione semplicistica della loro
attitudine a riguardo. Come riflesso di tale diversità, ho identificato tre specifiche modalità attraverso le
quali le donne buddhiste ordinate in Gran Bretagna trattano l’uguaglianza di genere e il femminismo:
“campagna attiva”, “cauto interesse” e “presa di distanza risoluta”.

Questo permette di:


• approfondire la nostra conoscenza sulle donne buddhiste “ordinate”, sulle loro giustificazioni e
priorità, e sul loro crescente numero;
• comprendere meglio la diffusione del buddhismo all’infuori dell’Asia e come le diverse scuole
affrontino argomenti politicamente sensibili come l’uguaglianza di genere;
• andare al di là delle fratture profonde riguardo al tema dell’ordinazione monastica “superiore”,
rimettendo in questione gli assunti formulati a proposito delle donne “occidentali ordinate”.

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
2. Femminismo e uguaglianza di genere: le varie modalità
d’impegno
Tutte le donne che hanno partecipato a questo studio hanno aderito al buddhismo in età adulta. Gran
parte di loro possiede un background religioso cristiano, sebbene per alcune fosse solo formale.
All’epoca dell’intervista (2011-2013), la loro età variava tra i 30 e gli 80 anni (maggioranza tra 50 e
60) e aveva preso i voti monastici da almeno una decina d’anni. Tutte le partecipanti all’indagine
tranne due sono britanniche, sono donne con un livello di istruzione elevato, sono state sposate,
continuano ad esserlo, o hanno una relazione di lunga data, e sette hanno dei figli.
Gli insegnamenti buddhisti erano ritenuti capaci di fornire quelle risposte che aiutano a gestire il sen-
so di insoddisfazione riguardo alla vita; e l’ordinazione monastica ha significato un’opportunità per
concentrarsi sulla pratica buddhista (che di solito è la meditazione), per appartenere e contribuire allo
sviluppo di specifiche comunità buddhiste, divenute così il centro della loro vita. Tuttavia il modo in
cui l’ordinazione buddhista è messa in pratica varia in maniera significativa a seconda delle
partecipanti, e dipende sia dall’approccio buddhista scelto, sia dalle condizioni di vita individuali.
Alcune hanno vissuto in strutture comunitarie come i monasteri, altre hanno vissuto con le loro
famiglie o da sole.
I gruppi buddhisti offrono alle donne diversi tipi d’ordinazione: negli ordini in cui non è prevista
ufficialmente l’ordinazione “superiore” per le donne, alcune partecipanti hanno preso solo alcuni voti,
mentre altre hanno preso l’ordinazione “superiore” nei lignaggi fuori dalla Gran Bretagna, per poi
tornare e praticare, dando origine ad alcune controversie.

Vediamo ora i tre modi attraverso i quali è affrontato il tema dell’uguaglianza di genere e del
femminismo nel buddhismo:

3. Campagna attiva
Le donne “impegnate attivamente” si esprimono pubblicamente sul tema della disuguaglianza di
genere nel buddhismo, sono impegnate nell’offrire maggiori opportunità alle donne all’interno del
gruppo buddhista, o hanno lasciato alcune comunità buddhiste avviate per vivere da sole o in piccoli
gruppi, poiché toccate dalla questione della disuguaglianza di genere. Quest’approccio enfatizza il fatto
che gli uomini e le donne sono entrambi capaci di seguire gli insegnamenti buddhisti, ma che
quest’ultime hanno sofferto di discriminazione, a causa di preconcetti patriarcali sulle capacità
spirituali delle donne, radicati nella cultura di alcuni paesi in cui il buddhismo è dominante.
Per queste donne ordinate, l’uguaglianza di genere ricopre una grande importanza, che si manifesta
nella richiesta di riconoscimento delle loro “capacità spirituali”, e di ottenere l’ordinazione “superiore”
là dove non è regolarmente disponibile, per un cambiamento nelle istituzioni buddhiste verso un
accesso equo all’ordinazione per le donne e per gli uomini. Le donne “impegnate attivamente”
provengono non solo dai gruppi buddhisti che offrono un’ordinazione monastica differente per gli
uomini e per le donne, ma anche da organizzazioni che hanno stabilito un’uguaglianza di genere a
livello strutturale, sentendo ancora la necessità di promuovere un linguaggio neutro nei cerimoniali e
per assicurarsi che le donne abbiano ruoli organizzativi.
Per le donne “ordinate”, non è sempre stato semplice prendere una posizione pubblica e attiva per
l’uguaglianza di genere, e non è avvenuto senza sofferenza e tensione. Hanno ammesso che non è
sempre stato semplice mantenere l’impegno e che hanno dovuto fare fronte a critiche provenienti dalle
loro comunità di appartenenza. Adottare apertamente un punto di vista femminista o cercare di agire
contro le disuguaglianze di genere nelle tradizioni buddhiste può essere fonte di discordia, diventando
una posizione delicata per chi vive a stretto contatto con la comunità e con l’organizzazione gerarchica.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
4. Un cauto interesse
Queste partecipanti si sono sentite coinvolte circa alcuni temi riguardanti le donne nelle comunità
buddhiste, ma anche se alcune hanno sentito la necessità di apportare un cambiamento, nessuna si è
sentita in dovere di agire in prima persona né nell’ambito della propria vita personale né all’interno
delle comunità buddhiste più in generale. La loro reazione consiste più che altro, di solito, nel dare la
priorità ad un esame interiore delle proprie reazioni rispetto alle opportunità offerte alle donne.
Le ragioni date per non voler assumere un ruolo più attivo possono variare all’interno del gruppo.
Sebbene alcune siano d’accordo che gli uomini e le donne dovrebbero avere un uguale accesso
all’ordinazione, altre non vogliono prendere l’ordinazione “superiore” sia per via delle prove fisiche e
linguistiche e di un eventuale viaggio fuori dal Regno Unito per incontrare coloro che sono disposti ad
amministrare loro i voti, sia per via dell’incapacità di rispettare un gran numero di precetti monastici
nel caso in cui vivessero in UK al di fuori di un ambiente monastico.
Nessuna delle donne appartenenti a questa categoria si sente a proprio agio nell’essere etichettata come
una “femminista”, perché temono che essere troppo fissate sulle questioni di genere costituirebbe un
limite per la loro pratica buddhista e condurrebbe a una rigidità di vedute.
Queste donne di solito vivono di solito in comunità con uomini “ordinati” e sono anche più vicine
all’organizzazione gerarchica, sebbene non ricoprano necessariamente posizioni di grado superiore.
Benché molte donne di questo gruppo conoscano alcune reti internazionali impegnate per la parità di
genere nel buddhismo, esse hanno scelto di non prendervi parte regolarmente.

5. Una presa di distanza risoluta


Questo gruppo di donne prende attivamente le distanze dal modo in cui l’uguaglianza di genere è stata
perorata. Alcune partecipanti, in particolare coloro che appartengono a organizzazioni che offrono pari
opportunità di genere, si sono interessate solo di sfuggita alla discriminazione di genere. La
disuguaglianza non viene percepita come un qualcosa che le preoccupa nella loro vita quotidiana,
anche se alcune riconoscono l’importanza e l’impatto positivo delle lotte femministe del passato.
In effetti, molte donne che appartengono a questa categoria hanno scelto deliberatamente il gruppo
buddhista a cui aderire in base alla parità o meno offerta alle donne. E coloro che fanno parte di una
tradizione non paritaria, sebbene siano consapevoli della disuguaglianza a livello istituzionale, sentono
che è più importante impegnarsi per tessere buone relazioni nella propria comunità buddhista che
lottare per un’uguaglianza di genere strutturale. Inoltre diverse donne hanno espresso dei dubbi circa
l’utilità di invocare un’idea rigida di “uguaglianza”, che potrebbe ostacolare la pratica buddhista.
Ciò che unisce queste partecipanti è una chiara insofferenza verso il femminismo e uno sforzo
consapevole per distanziarsene. Il femminismo è percepito come politico, forte e aggressivo, quindi
non di aiuto per coloro che seguono il cammino buddhista; e pericoloso per le relazioni armoniose
nelle comunità, incluse quelle con gli uomini “ordinati”.
L’interesse di queste donne non è portare avanti vasti “cambiamenti sociali”, ma rimane focalizzato
sulla loro comunità locale e sulla loro pratica religiosa, condivisa da uomini e da donne, da monaci e da
laici. Queste partecipanti vivono spesso in un ambiente comune condiviso da entrambi i sessi e
occupano posizioni di responsabilità all’interno dei gruppi buddhisti.

6. Ulteriori osservazioni
Nel contesto britannico esiste una notevole varietà di atteggiamenti tra le donne buddhiste “ordinate”
rispetto ai temi della parità di genere e del femminismo. Di conseguenza, occorre evitare ogni ipotesi
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
ipersemplificata a proposito delle donne “occidentali” e del modo in cui viene interpretato il pensiero
femminista. È anche significativo comprendere l’atteggiamento di queste donne è condizionato da una
combinazione di fattori complessi e interconnessi tra di loro, quali le pratiche e la storia di ciascun
gruppo buddhista, le esperienze personali, gli interessi e il contatto con l’organizzazione gerarchica. Le
praticanti buddhiste diventano probabilmente “impegnate attivamente” nel momento in cui
percepiscono che la discriminazione contro le donne le coinvolge in prima persona. Anche le praticanti
che vivono da sole e non rivestono un ruolo centrale nel loro gruppo buddhista, è probabile che
manifestino tendenze attiviste e non si pongano il problema di essere etichettate come “femministe”.
Nonostante ciò, esistono delle eccezioni: la presa di posizione del gruppo non si traduce sempre in un
atteggiamento attivista, così come il prendere i voti in un ordine che non offre uguali opportunità non
sempre conduce le donne a volersi battere per i cambiamenti strutturali. Numerose partecipanti, infatti,
sottolineano che la loro priorità consiste nel dedicarsi alla pratica buddhista all’interno delle comunità
così come si presentano per incoraggiare relazioni armoniose tra i sessi. L’interesse per le relazioni
comunitarie determina la posizione delle donne “ordinate” nei confronti del femminismo.
Dalla mia ricerca emerge come il femminismo rimanga un tema controverso, e anche coloro che
assumono una posizione “attivista” non amano in genere essere associate all’identità femminista, vista
come aggressivo, forte e politico, un limite per la pratica buddhista perché intrappola i suoi sostenitori
in una visione del mondo rigida e fissa, poco in armonia con la filosofia. Sebbene alcune donne
abbiano tratto sicuramente un certo beneficio nell’impegnarsi nelle reti internazionali per le donne si
tratta di un punto di vista minoritario. Ogni associazione tra il “femminismo” e le campagne per il
ruolo delle donne nel buddhismo continuerà a rivelarsi problematica, anche tra le donne “occidentali”,
le quali sono rappresentate come coloro che vogliono promuovere con maggiore probabilità un
cambiamento istituzionale.

7. Conclusioni
Attraverso lo studio di queste tre categorie, ho dimostrato che le donne ordinate in Gran Bretagna si
orientano tra le “linee di frattura” relative al genere in diversi modi e per diversi motivi, legati alle
circostanze personali, alle storie e alle dinamiche organizzative, alle percezioni di discriminazione e
alla loro comprensione dello scopo della pratica buddhista. Le posizioni prese sono influenzate
dall’esperienze delle donne all’interno dei loro gruppi buddhisti, ma coloro che fanno parte di uno
stesso gruppo non sempre affrontano la questione della parità di genere o la trattano nello stesso modo.
La lettura dei dati attraverso queste tre categorie potrebbe aiutare anche ad andare al di là della
dicotomia “occidentale/orientale”, che i ricercatori considerano invece fondamentale per lo studio del
buddhismo contemporaneo. Le sinergie e le diversità dovrebbero essere analizzate in maniera più
approfondita.
7. MORTE E IMPURITÀLE SCIAMANE CIECHE E LA
MORTE IN GIAPPONE (M. Zanetta)

1. Introduzione
L’arcipelago giapponese offre una vasta gamma di esperienze di tipo sciamanico, in prevalenza
femminile. Una delle pratiche più dibattute è quella delle itako, sciamane cieche, la cui popolarità è
legata in particolare al rituale dell’invocazione dei defunti, durante il quale lo spirito di un antenato è
chiamato a possedere il corpo di un’itako per comunicare con i propri discendenti. Queste donne
rappresentano indubbiamente una tipicità anche all’interno dello sciamanesimo giapponese: esse,

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
infatti, sono cieche dalla nascita o raggiungono la cecità nell’infanzia, e l’attività sciamanica è “scelta”
come conseguenza di questo impedimento fisico, una scelta pratica legata alla necessità di
autosostentamento.
Guardando il più ampio panorama religioso, in termini di credenze e pratica, il Giappone non è una
realtà compatta e monolitica, ma un complesso intreccio di diversi stimoli e tradizioni: esiste un
sostrato di culti locali, caratterizzati da una pluralità di divinità, cui si è affiancato il Buddismo che è
diventato in breve tempo religione delle classi dominanti, permeando rapidamente la pratica religiosa
quotidiana. L’introduzione di un nuovo approccio religioso, profondamente diverso da quello locale,
non ha però cancellato le antiche pratiche né ha portato a relegarle a elemento folkloristico. Si assiste
invece a una particolare rielaborazione di entrambe le credenze, che fa emergere una visione nuova e
particolare, dove gli antichi culti entrano a fare parte della logica buddista, e vengono in qualche modo
assimilati nel nuovo orizzonte religioso, creando una nuova forma.

2. La pratica delle itako


L’analisi dell’esperienza delle itako si basa su un lavoro di campo sviluppato tra 2012-2014. Le
interviste e i materiali raccolti restituiscono un’immagine delle itako, diverse da quelle tradizionali, a
cominciare dal fatto che non tutte le praticanti sono cieche.
Dal punto di vista della pratica tradizionale delle itako, la ragione per incominciare l’apprendistato è
estremamente pratica, lo diventano perché sono cieche, sia che si tratti di cecità per nascita o della
conseguenza di una malattia, è stato il principale elemento che ha condotto alla professione di itako.
In una società agricola, dove a tutti era richiesto di contribuire alla famiglia e dove bisognava essere in
grado di lavorare, essere cieche significava non poter portare avanti le attività quotidiane o prendersi
cura di se stesse, per cui venivano spesso valutate come un fardello per la famiglia e per la comunità.
Spingere una bambina a diventare itako era un modo per fornirle un nuovo ruolo sociale. Erano
solitamente i genitori che prendevano la decisione, investendo una significativa somma di denaro per
pagare l’itako più anziana che avrebbe addestrato la bambina prendendola a vivere con sé per tutta la
durata dell’addestramento (circa 5 anni) fino alla celebrazione del rituale di iniziazione ( kamitsuke). In
connessione a questo rituale, che si sviluppa intorno alla possessione da parte della divinità tutelare, è
importante l’età dell’apprendista, e la conseguente distinzione tra infanzia e pienezza della femminilità
(età adulta), per cui era preferibile che la ragazza si sottoponesse al rituale prima della comparsa del
menarca, così che il rito fungesse da ulteriore demarcazione simbolica tra le condizioni di infanzia e
maturità.

La ricerca sul campo ha offerto alcune differenze rispetto a questa immagine:


• Presenza di alcune praticanti vedenti. Alcune di loro non hanno intrapreso l’attività per motivi
puramente economici, ma per vocazione ereditaria o personale.
• Cambiamento anche nel tipo di rituali e attività che le itako praticano: mentre in passato erano
rinomate per un’ampia gamma di pratiche (divinazione e guarigione), oggi sono principalmente
associate all’invocazione dei defunti su richiesta dei fedeli, secondo una struttura definita. Questo
cambiamento non implica che altre funzioni siano state completamente abbandonate, ma il ruolo
come mediatore con gli antenati ha guadagnato una tale centralità da oscurare ogni altro elemento.
Una delle cerimonie più popolari nelle quali le itako occupano un ruolo significativo (benchè non
riconosciuto istituzionalmente) è l’Osorezan Taisai, festival religioso che si tiene ogni anno a luglio per
commemorare i defunti, e che in anni recenti ha contribuito alla popolarità delle itako stesse.
La funzione di mediazione è centrale nel rafforzare i legami tra la famiglia dei vivi e i suoi antenati, tra
questo mondo e il mondo dell’aldilà, in un continuum tra i vivi e gli antenati. La famiglia è posta al
centro della comunicazione, nella doppia direzione della commemorazione e della protezione, con una
richiesta finale di perpetuare la famiglia attraverso nuove generazioni.
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
3. La nozione di kegare
Il legame che intercorre tra le itako e mondo dei morti non è esclusivo, le religioni istituzionali
(Buddhismo e Shintoismo) riconoscono un posto centrale al rapporto con la morte, ma stabiliscono un
limite ben definito alle relazioni con il mondo dell’aldilà, nel tentativo di mantenere le due realtà il più
possibile separate. Solo le itako danno vita a una comunicazione diretta con il defunto.
La risposta del perché le cose stanno così può possa essere ricercata in un importante elemento che
caratterizza il pensiero religioso giapponese: il concetto di kegare, solitamente tradotto in italiano con
il termine “contaminazione” o “impurità”, è l’elemento che lega intimamente la concezione della
morte, quella della donna e la relazione che si sviluppa tra questi due poli. Le cause che identificano il
kegare sono principalmente la morte e la nascita, le ferite, la gravidanza e le mestruazioni (eventi che
causano una fuoriuscita di sangue inusuale), e spesso le aree di sepoltura.
A partire dagli anni ’60, l’idea di kegare è stata oggetto di svariate analisi, che hanno connesso la
nozione di kegare con quella di impurità, intesa come allontanamento e distacco dalla purezza, come
qualcosa che può essere trasmesso e che pertanto è necessario evitare. Questo avrebbe contribuito alla
discriminazione concettuale e pratica di varie categorie sociali come gli intoccabili, e le persone con
disabilità. Considerando l’alterità e la disabilità come elementi pericolosi per l’ordine sociale, si può
esaminare la posizione delle donne (l’altro per eccellenza) nella società giapponese e lo sviluppo della
nozione di kegare femminile con le sue conseguenze a livello sociale e religioso, fornendo un
background specifico per comprendere le attività delle itako, in particolare in connessione all’ideologia
delle tre impurità (morte, nascita, sangue). Il kegare, come impurità e marginalizzazione, è l’elemento
di connessione tra il ruolo delle itako, e il loro contatto con il mondo dei morti, nel senso che la
sciamana cieca e lo spirito del defunto sono soggetti che condividono la stessa impurità – la sciamana
in quanto donna, e non vedente, e l’antenato in quanto facente parte del mondo dei morti.

4. L’impurità femminile
Affermare un legame tra itako e spirito del defunto attraverso il concetto di kegare implica sostenere
che queste due figure condividono nella propria natura un certo livello di impurità, sono ambedue
elementi contaminanti, e di conseguenza, in una certa misura pericolosi. Da una parte, la morte è una
delle fonti principali di impurità perché mette in dubbio in modo traumatico l’ordine di questo mondo.
Il morto va allontanato dalla società dei viventi per preservare l’integrità delle barriere tra i due mondi.
D’altra parte la donna è impura, perché associata a nascita e mestruazioni. Uno degli approcci alla
tematica dei tabù mestruali è stato quello che lo connette con la nozione di contaminazione simbolica,
che implica una visione della donna come culturalmente pericolosa, per cui il tabù mestruale
rappresenta lo strumento stabilito per contenere e limitare la sua energia dal diffondersi oltre i confini
stabiliti. Il sangue mestruale è un elemento fuori contesto, che supera i confini naturali della pelle e
scorre indipendentemente dalla volontà individuale, incontrollabile e pertanto ancora più pericoloso.
Questa visione che concepisce le donne come fonte di pericolo e di impurità assimilandola alla morte,
già presente nei culti più antichi, è indubbiamente rafforzata dopo l’introduzione del Buddismo, che ha
comportato il deterioramento della condizione e della posizione sociale della donna, favorendo la
circolazione e la diffusione di una visione della società in cui la donna va a occupare una posizione di
secondo piano. Il Buddismo ha quindi una lunga storia di discriminazione femminile; la donna è un
essere debole, in preda a ogni tipo di desiderio e di tentazione, è impura fisicamente, fonte di sozzura
per via del sangue mestruale, su cui non ha controllo, ed è incapace di raggiungere l’illuminazione.
Anche spiritualmente la donna viene descritta come un essere perverso, e alcuni particolari attributi
comportamentali, come la gelosia o la lussuria, sono riferiti unicamente ad essa, diventando la
giustificazione per l’esclusione delle donne dalla Buddità e l’allontanamento dai luoghi sacri.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Quest’ultima pratica si consolida attraverso l’esclusione delle donne in particolare dalle montagne, che
diventano aree kekkai, ristrette, proibite, dove le donne non hanno possibilità di accesso, disegnando
così una strana geografia religioso-culturale.
Dal IX secolo in poi le donne diventano il simbolo per eccellenza dell’impurità e si ritrovano
completamente escluse da quelli che sono i centri per eccellenza del potere religioso. Questo comporta
una ristrutturazione dello spazio sacro e una nuova distribuzione delle forze in gioco, in una doppia
direttrice: il Buddismo cerca di ridefinire un regno trascendente nella montagna sacra e di farlo proprio,
“deterritorializzandolo” e successivamente instaurandovi la nuova struttura normalizzata, dove è
proibito l’accesso all’essere destabilizzante, la donna. Ma questo comporta un effetto probabilmente
non voluto: I confini kekkai identificano così un doppio spazio, un dentro e un fuori, dove all’interno
abbiamo il potere gestito dai monaci buddisti, e all’esterno abbiamo tutto ciò che minaccia questo
potere, prima fra tutte la donna, che premono contro il confine.

5. Conclusioni
Quello che si è cercato di dimostrare nel corso di questo lavoro è il legame esistente tra la figura della
sciamana e quella dello spirito del defunto attraverso il concetto di impurità. Diventa così chiaro che il
potere delle itako, non potendo essere negato, cerca di essere incanalato in uno scopo socialmente utile
e riconoscibile, cioè comunicare con esseri ugualmente marginali e pericolosi, ma importanti come
sono i morti inquieti. L’itako viene quindi inserita sulla soglia tra due mondi che non possono
comunicare direttamente; diventa la voce di altre presenze, e, rimanendo sul confine, permette alla
società di salvaguardare se stessa. L’itako, così, è colei che si avventura in territori pericolosi e temuti,
sperimenta una realtà diversa, incontra spiriti a lei affini, e permette loro di raggiungere la liberazione
e allontanarsi dalla società dei vivi, permettendo allo stesso tempo alla società di rimanere intaccata da
forze esterne in grado di sovvertire l’ordine e portare la confusione.

8. TRA TRADIZIONE E MODERNITÀ: UNA PROSPETTIVA


STORICA SULL’ASCETISMO FEMMINILE HINDU (D.
Bevilacqua)

Parlare di ascetismo in India significa confrontarsi con una realtà complessa e altamente differenziata.
L’unica asserzione generale che si possa fare è che tutti gli asceti seguono un qualche percorso che li
porta alla liberazione dal mondo transeunte, distinguendo se stessi da coloro che non cercano tale
liberazione. I criteri ascetici sono poi specifici per ogni gruppo, talvolta realizzabili all’interno della
vita domestica.
In questo capitolo prenderò in considerazione un tipo specifico di ascetismo, quello rinunciante, uno
stile di vita in cui l’individuo abbandona il nucleo familiare e, più in generale, la società laica per
dedicarsi a una ricerca religiosa. La scelta di questa forma di vita ascetica è quella che crea una frattura
maggiore tra l’individuo e il mondo sociale circostante, che diventa particolarmente eclatante se attuata
da una donna. Per questo motivo, il numero delle donne ascete è notevolmente limitato.
L’atteggiamento della società verso una donna che decide di intraprendere la vita ascetica è influenzato
dai testi normativi brahmanici che hanno plasmato ruoli specifici per la donna (figlia/moglie/madre)
spingendo verso un atteggiamento negativo nei confronti di coloro che si discostano da tali ruoli.
Lo scopo di questo capitolo è mostrare come, nel corso dei secoli, l’asceta donna, sebbene scoraggiata,
abbia sempre trovato una sua collocazione nelle tradizioni religiose indiane venendo integrata in

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
quanto caso eccezionale, per capacità spirituali. Si vedrà che le ascete stesse, accettando la loro
posizione come eccezionale, non mettono in discussione i rapporti di genere né nel sistema sociale
laico né nella società ascetica, supportando in questo modo gerarchie tradizionali in cui la donna
“normale” è subordinata all’uomo. Tale atteggiamento è mantenuto anche in gruppi moderni, sebbene
con alcuni cambiamenti e fratture con la tradizione.

1. Donne e ascete nell’immaginario brahmanico


Vari studi hanno analizzato e descritto l’ascetismo femminile in India, prendendo in considerazione sia
ordini religiosi di antica tradizione che ordini moderni. Si ritiene che oggi le donne rappresentino solo
il 10-15% dell’intera popolazione ascetica, e il motivo è che una donna che decide di intraprendere la
vita ascetica è criticata dalla società laica e non sempre accettata nella società ascetica. La scelta
ascetica è vista come un’autodeterminazione che lacera l’immagine tradizionale della donna e della sua
sessualità, che viene sospettata di voler abusare di una futura libertà, svicolandosi dalle responsabilità
e dai ruoli sociali che le competono.
Per capire il motivo di queste critiche bisogna fare riferimento al modello di donna presentata
dall’ortodossia brahmanica: l’ascetismo femminile, sebbene in pochi testi sia formalmente vietato, è
molto scoraggiato in quanto ritenuto inappropriato. I testi sanciscono:
• il codice di condotta specifico per la donna, che trova il suo compimento nel matrimonio, nella vita
domestica e nella crescita dei figli.
• Che le donne sono ritenute non idonee a pronunciare le formule sacre (mantra), e prive di una
naturale inclinazione verso le discipline religiose.
• Sono considerate impure e immorali a causa delle mestruazioni e del parto. Il sangue mestruale è
visto come un agente contaminante che impedisce alla donna l’accesso ai luoghi sacri e al fuoco
domestico, portandola a dover compiere una serie di atti rituali per purificarsi. Per via della sua
natura immorale, la donna deve essere dunque controllata e protetta da un’autorità maschile, e si
reputa il matrimonio il sacramento che rende la donna parte effettiva della comunità, il che lo rende
quasi obbligatorio anche per le donne d’oggi per potersi realizzare e avere rispetto sociale.
L’ascetismo è sconsigliato per la donna: i testi affermano che la rinuncia ascetica è esclusiva degli
uomini. L’ascetismo che i testi suggeriscono alla donna è da intraprendere nella vita di coppia, secondo
un’etica di auto-abnegazione per la donna che, interamente dedicata al marito, dimentica se stessa, e
vive la vita matrimoniale in modo austero, tra privazioni e digiuni regolari (2011). In questo modo, la
vita matrimoniale diventa la sua disciplina religiosa.
Inoltre, nell’ascetismo è fondamentale è l’astinenza sessuale, e l’importanza data al celibato porta a
vedere la presenza delle donne come una minaccia, in quanto possono distrarre la pratica dell’uomo,
alludendo alla natura maligna del corpo della donna e al pericolo che costituiscono in quanto oggetti
del desiderio. Nei secoli, il ritratto generale delle ascete è quindi caratterizzato da tinte negative.
Tali affermazioni provano comunque che, nonostante le restrizioni e le difficoltà, le donne sono sempre
state in grado di intraprendere la via ascetica in diversi ordini religiosi, grazie al fatto che il contesto
ascetico offre molte possibilità.

2. Realtà ascetiche possibili


Sintetizzando in maniera estrema e parziale, possiamo dire che una donna che decide di intraprendere il
percorso ascetico può scegliere tra diversi ordini, secondo il proprio credo religioso e gli interessi
spirituali, legati al culto di tre divinità principali:
1. Śiva Le seguaci di Śiva possono entrare a far parte di quegli ordini ascetici śaiva che non fanno
distinzioni di genere, anche se la maggior parte di questi nega l’ascetismo alle donne.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
2. Viṣṇu Una caratteristica delle correnti religiose Vaiṣṇava, è la devozione verso il Dio e verso la
sua grazia. Poiché la liberazione dal ciclo delle rinascite dipende da Dio e tutti gli esseri umani
sono considerati uguali davanti a lui, fattori di genere e status non sono discriminanti, e le
donne hanno la possibilità di intraprendere la vita ascetica.
3. Śakti Coloro che praticano il culto delle divinità femminili fanno parte delle correnti śakta,
mentre quelle che spingono il culto dell’energia femminile (Śakti) verso pratiche esoteriche
fanno parte di gruppi tantrici. Nelle correnti śakta e tantriche, la Śakti è esaltata come potenza
creatrice. Inoltre, nelle correnti tantriche, essa conduce alla conoscenza attraverso forme rituali
d’indulgenza sensuali e la ricerca di poteri occulti. Nella pratica tantrica i concetti di puro e
impuro sono rovesciati, mentre il corpo diventa un fondamentale veicolo di salvezza. Per questa
importanza data all’elemento femminile, la presenza di ascete e guru donna in questi ordini non
è mai stata limitata e anzi la donna viene in essi esaltata.
All’interno di ogni gruppo religioso coesistono spesso molteplici sotto-gruppi in cui le regole di
ammissioni differiscono, per cui ci possono essere sottogruppi che accettano donne e altri no.
L’ammissione a un gruppo dipende poi dal guru: data la libertà del guru nel selezionare i propri
discepoli, è possibile per donne particolarmente meritevoli o spiritualmente dotate essere accettate
anche in ordini che tradizionalmente non prevedono la loro iniziazione. Di un’asceta si può capire
l’appartenenza religiosa semplicemente osservando gli abiti e i simboli che porta, possono avere i
capelli rasati o corti, portarli sciolti o avere i rasta, acconciature diverse dalla tipica donna indiana.
Lo stile di vita intrapreso dalle ascete deriva dalla disciplina religiosa abbracciata (sādhanā), che
dipende dall’importanza che si dà al corpo come veicolo spirituale di liberazione, e dall’importanza che
si dà alla pratica devozionale e all’estasi. In alcuni casi il mondo esterno è messo da parte, mentre in
altri si creano delle situazioni simbiotiche tra la figura dell’asceta e quella della comunità laica, in cui
l’asceta dipende dalla generosità dei laici per il sostentamento e l’organizzazione di molti aspetti pratici
della sua vita. Essa può decidere se avere uno stile di vita itinerante, o se stabilirsi in un āśram o in
qualche istituto religioso (condizione più diffusa). Hanno spesso bisogno della protezione di un guru
maschio.
Il mondo ascetico è una realtà maschile, dove le donne continuano a vivere discriminazioni e difficoltà:
non sempre gli asceti supportano l’accesso delle donne nei gruppi religiosi, e la presenza di un’asceta
in un āśram è spesso associata a comportamenti non idonei del guru che l’ha iniziata, per cui può
capitare che un’asceta non sia riconosciuta o accettata dal suo ordine.
La sessualità femminile è nascosta ma la castità di una donna non è ostentata come per gli uomini.
Le differenze di genere si manifestano anche nell’ambito delle gerarchie: raramente le ascete di gruppi
tradizionali riescono ad ottenere incarichi di prestigio; in molti gruppi un’asceta donna può iniziare
solo donne o, in altri casi, non le è permesso affatto.
Parrebbe però che le discriminazioni di genere non siano percepite dalla maggioranza delle ascete:
l’asceta riconosce il suo status come non convenzionale, rispetta le norme e le regole vigenti all’interno
della società ascetica di cui fa parte. Inoltre, riconoscendo il suo essere “speciale” rispetto alle altre
donne, non usa il proprio ruolo per criticare la società da cui si è allontanata, e non sembra abbia
pensieri emancipatori nei confronti delle altre donne laiche a cui suggerisce di seguire le norme sociali.
È interessante notare che, quando ci si rivolge a una guru moderna, spesso svincolata da qualsiasi
ordine religioso tradizionale, la parola guru non è usata ma sostituita dal termine Madre.
L’identificazione di un’asceta con una madre la riporta al ruolo archetipico, reintegrandola nella società
come elemento positivo, soprattutto quando a capo di organizzazioni di stampo sociale, rappresentando
un compromesso socialmente accettabile in cui l’asceta sostituisce la maternità biologica con una
maternità di tipo spirituale.

3. Verso il cambiamento?

30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Negli ultimi decenni, la presenza delle ascete si è manifestata in diversi settori, sia politici che
organizzativi:
• La politica degli anni ’80 e ’90 ha visto l’attivismo delle ascete nella propaganda nazionalista,
usando il loro ruolo di rinuncianti e donne per dare valore e moralità al movimento.
• È stata assegnata un’alta carica a un’asceta di un ordine ortodosso tradizionale, che le ha permesso
di partecipare alle elezioni di altri leader spirituali del gruppo e dare l’iniziazione anche agli
uomini.
• Sono stati creati degli spazi appositi per le ascete. Prima non tutti gli accampamenti accettavano la
presenza di elementi femminili, e in quelli che lo facevano non c’erano particolari disposizioni per
facilitare il soggiorno delle donne. Dato il numero crescente dei suoi membri femminili è statp
creato un accampamento femminile.
Cambiamenti più sostanziali sono però osteggiati: ad esempio la richiesta di una akhāṛā di sole donne
è considerata una violazione della tradizione religiosa secolare. Tale considerazione è supportata da
molte ascete che non vedono la necessità di distaccarsi dalla tradizione e interpretano l’azione come
una volontà di potere politico ed economico che mette a repentaglio l’equilibrio all’interno del mondo
ascetico creando una frattura tra uomini e donne. In generale, si preferisce riconoscere la libertà e il
potere a una donna specifica, da ritenere un caso eccezionale, piuttosto che istituzionalizzare un
cambiamento radicale e riconoscere alle donne in senso più generale uno spazio specifico in una
tradizione maschile consolidata.
4. Conclusioni
La strada di una donna verso l’ascetismo è caratterizzata dagli ostacoli sociali, ma nonostante questo le
ascete hanno comunque un grado di libertà individuale di cui poche laiche possono godere. Quindi
l’ascetismo era, ed è tutt’oggi, uno stile di vita che può realizzare un empowerment individuale per
quelle donne che lo scelgono deliberatamente come modalità per soddisfare la propria ricerca religiosa.
D’altra parte, per quelle donne che diventano ascete non per motivi religiosi, ma per essere protette,
l’ascetismo, più che il segno di un empowerment, diventa il risultato di una “paura sociale”.
Una volta ascete, sebbene possano svolgere la stessa pratica religiosa degli uomini, le donne vivono
delle ristrettezze legate al genere: sono difficilmente visibili in strada, non godono degli stessi diritti e
non sempre ottengono il rispetto dei laici. Le donne che riescono ad assumere ruoli importanti o quelle
che riescono a intraprendere la vita ascetica sin da bambine, e hanno la possibilità di dimostrare la
propria vocazione religiosa e il proprio livello spirituale, sono viste come individui eccezionali,
ottenendo la speciale considerazione che però non corrisponde a un miglioramento della
considerazione verso l’asceta donna in generale. È possibile che, nel presente contesto storico e sociale
indiano, con l’aumentare di organizzazioni e ordini a base femminile, la presenza di ascete non sia più
vista come un fatto eccezionale ma come una realtà consolidata e comune.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
9. VESTIRSI: RELIGIONE ED ETNIA NELLE
BAMBOLE NAZIONALI DI ISRAELE
(M. Balakirsky Katz)

1. Esibire bambole
Uno degli oggetti più popolari, esibito in numerose esposizioni relative all’immagine nazionale di
Israele, sono le bambole fatte a mano, prodotte negli insediamenti ebraici in Palestina, durante il
mandato britannico (1920-1948). Per quanto di foggia e materiale variabili a seconda degli artisti, le
bambole erano prevalentemente fabbricate, pubblicizzate e vendute da donne, erano alte circa 25 cm e
rappresentavano dei ‘tipi sociali’, la cui professione, etnia, religione e posizione politica venivano
comunicate attraverso gli abiti indossati. Queste volevano rappresentare la multiculturalità degli
insediamenti, ed offrono agli storici un accesso all’evoluzione dell’immagine nazionale di Israele,
interna ed estera.
Ricostruire i molteplici significati e usi delle bambole attraverso i vari stadi di creazione, produzione,
industrializzazione e consumo, getta luce sui modi in cui l’immagine che una nazione ha di se stessa
evolve nella circolazione. Queste bambole non hanno quindi un significato ‘originale’ o ‘vero’, ma solo
una costellazione instabile di significati basati sulle interazioni – in continua evoluzione – con le
bambole stesse, e di strati di interpretazione prodotti da tali interazioni.

2. Fabbricare bambole
Le prime fabbricanti di bambole generalmente venivano dai grandi centri urbani dell’Europa centrale e
orientale ed erano per lo più artiste benestanti e colte, educate negli istituti di belle arti dei loro paesi
d’origine. La prima generazione di produttrici progettava consapevolmente le proprie bambole come
‘sculture morbide’ per ricchi consumatori che potevano permettersi oggetti di artigianato il cui valore
risiedeva più nell’esibizione domestica che nel fare giocare i bambini. Le bambole erano descritte
come ‘oggetti deliziosi’. Nella costruzione di uno stile locale, medio orientale e radicato nel territorio,
i rifugiati europei in Palestina non si ispiravano ai lavoratori arabi, bensì a designer, sarte e magliaie
europee. Le fabbricanti di bambole situavano se stesse e il proprio lavoro all’interno del clima politico
e della cultura artistica degli insediamenti.
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
In linea generale, le prime bambole in costume prodotte a mano non rappresentavano bambini, ma
variavano per età e genere tra vari ‘tipi’ professionali, come contadini, fattorini e venditori di frutta.
Mentre alcune produttrici si avventuravano in bambole dal carattere arabo, la stragrande maggioranza
di bambole erano chiaramente Ebree e potevano essere distinte sulla base della loro “Israelianità”, che
individuava le tre categorie ideologiche più popolari di bambole:
• Est Europea (haredi) rappresenta la religione; rappresentate generalmente come maschi
• Etnica mediorientale (Mizrahi) rappresenta l’etnicità/il nazionalismo; rappresentate come femmine
• la bambola laica nativa (sabra) rappresenta la cultura, rappresentati come ragazzini o adolescenti.
Le prime fabbricanti di bambole cercavano intenzionalmente di espandere l’immagine della potenziale
popolazione nativa e di creare consapevolmente una varietà di ‘tipi’ sociali facendo ricorso ai
guardaroba ‘etnici’ delle varie nazioni del mondo, a volte mettendo in scena un passato storico eroico.
Ogni bambola era un pezzo d’arte, ma, nel loro complesso, le bambole rappresentavano una realtà più
ampia della somma delle sue parti, la Palestina ricca varietà di nuovi abitanti Ebrei dalle varie origini.
La rappresentazione di genere delle bambole contribuì all’immagine di una società autosufficiente di
lavoratori produttivi. Quanto meno, l’inclusione bilanciata di uomini, donne e bambini enfatizzava la
sostenibilità degli insediamenti con la presenza di donne lavoratrici, mogli e madri nel progetto di
costruzione della nazione. La rappresentazione della figura sabra come quella di un bambino ha un
senso intrinseco, perché si riferisce alla generazione di Ebrei nati in Israele. Le bambole mediorientali
rimanevano legate al mondo contemporaneo nella loro messa in scena di attività quotidiane come
mangiare o lavorare. In termini di apparenza, sembrano anche incarnare uno stato maggiormente
corporeo, rispetto alle loro controparti est europee. In contrasto con la concretezza della bambola
mediorientale, il tipo est europeo, era spesso rappresentato da un uomo religioso, il cui essere fuori dal
tempo era evocato non solo dai suoi abiti religiosi antiquati, ma anche dal suo carattere esotico. La
bambola est europea era anche più spesso creata come figura solitaria persa in una preghiera
ultraterrena, appoggiata precariamente ad un leggio o con in mano un oggetto cerimoniale. Le bambole
mediorientali indossavano pezzi unici di gioielli e ricami, mentre le bambole est europee avevano uno
stile più minimale per i volti dipinti e il guardaroba. I primi fabbricanti di bambole concepivano
ciascuno di questi tre tipi come parte di una più ampia collezione di cittadini Ebrei che potevano
mettere in scena l’identità Israeliana attraverso la loro appartenenza al gruppo. La bambola religiosa è
inclusa nell’immagine nazionale israeliana, e l’astrazione del soggetto religioso dal mondo fisico
richiede altre bambole israeliane per situarlo concretamente.
I consumatori acquistavano generalmente una sola bambola, erano impacchettate singolarmente e
vendute come souvenir da regalare a mogli e figlie. L’atto di scegliere uno dei tre tipi ideologici
implicava un atto di identificazione personale con il progetto nazionale Ebraico lungo le linee dei
dibattiti contemporanei sull’identità nazionale di Israele. Quali che siano le intenzioni dell’artista,
quando un consumatore sceglie una bambola rispetto ad un’altra la investe di nuovi significati. Il
mercato delle bambole israeliane dimostra che il tipo sabra era il più comunemente venduto tra gli anni
’30 e ’50, mentre negli anni ’60 e i ’70, il tipo maschile religioso divenne invece il più popolare. La
storia del primato di una bambola su un’altra rivela molto a proposito dell’evoluzione dell’industria e
dell’immagine nazionale di Israele.

3. Industrializzare bambole
Mentre singole fabbricanti di bambole si fecero un nome negli anni ’20- ‘40, due imprese cercarono di
industrializzare la produzione: la branca Palestinese dell’Organizzazione Internazionale Sionista delle
donne (WIZO) e il laboratorio orientato al sociale Maskit. Entrambe le organizzazioni volevano
trasformare radicalmente la produzione di bambole in un’impresa di artigianato e un settore lavorativo
femminile, e stavano cercando di creare un servizio sociale auto-sufficiente per le donne della nazione

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
in condizione d’indigenza, liberando le donne dalla fatica del lavoro domestico non pagato e armandole
di competenze tecniche e di mercato.
Creare posti di lavoro significava anche, contemporaneamente, creare un mercato di massa. WIZO e
Maskit pubblicizzavano e vendevano le bambole principalmente ai turisti e alle comunità di Ebrei
all’estero. Le fabbricanti di bambole consegnavano le loro bambole ad una terza parte che li
distribuiva, o li vendevano direttamente ai negozi di souvenir o a negozi specializzati di proprietà di
WIZO, Maskit e altre società di solidarietà.
Dopo la guerra del 1967, qualunque variante del tipo sabra fosse sopravvissuta, venne completamente
cancellata dal passaggio dell’industria alla figura del soldato. La creazione della bambola soldato
permise alle donne immigrate di partecipare allo sforzo della nazione nel proteggere se stessa
attraverso la militarizzazione, e vestirono quelli che prima erano bambini sabra di uniformi militari di
uomini e donne delle forze armate Israeliane.
Quando le qualità metaforiche furono raddoppiate dalle scorciatoie che la produzione industriale
introdusse nella fabbricazione, la bambola religiosa arrivò a significare qualcosa di diverso, diventando
oggetti della memoria della diaspora. Nel tempo, la bambola religiosa maschile trionfò come
l’immagine più visibile di Israele all’estero.

4. Consumare bambole
Studiosi appartenenti a diverse discipline hanno identificato i parchi di divertimento Disney come una
ricca risorsa per l’analisi critica della cultura popolare grazie alla miniaturizzazione, mercificazione e
organizzazione del mondo. Israele è incluso tra le nazioni del mondo rappresentate da circa trecento
bambole automatizzate di gomma in abiti nazionali. Una lettura delle scelte di abito suggerisce che i
fabbricanti di bambole Disneyani e i creatori di parchi di divertimento hanno cercato di entrare in re-
lazione con specifiche sensibilità Ebraiche.
La scelta della Disney di rappresentare Israele con una cerimonia matrimoniale tradizionale comunica
la celebrazione dell’amore e della crescita della nazione ma fa anche riferimento alla questione
controversa al cuore della frattura civile-religiosa dell’Israele moderno: il matrimonio. Fin dal 1953, la
legge israeliana attribuisce la celebrazione del matrimonio al Gran Rabbinato di Israele, rendendo i
rabbini ortodossi l’unica autorità ufficiale legittimata ad officiare i matrimoni ebraici. In termini di
legge statale, il Gran Rabbinato proibisce i matrimoni tra Ebrei e non Ebrei, e tra maschi ebrei della
classe sacerdotale e donne convertite, e richiede agli ebrei “discutibili” di convertirsi prima del
matrimonio, una situazione che ha portato molte coppie a sposarsi all’estero.
La messa in scena con baldacchino Disneyana comunica che la coppia mostrata è Ebrea secondo gli
standard legali religiosi, ma la cerimonia matrimoniale pone la controversa e divisiva questione “Chi è
un Ebreo?” La cerimonia con baldacchino della Disney immagina una presenza fisica (e legalmente
sancita) di un’autorità rabbinica Ortodossa nel determinare chi sia un Ebreo.
Il contenuto di genere della Disney appare essere stato coscientemente disegnato per accomodare non
tanto visioni Israeliane normative, quanto le sensibilità dei suoi cittadini più religiosi rispetto all’ampia
questione del ruolo delle donne nella società israeliana e la questione della modestia sessuale.
Nell’impianto della Disney, il viso della donna è velato e indossa un abito a maniche lunghe e collant
bianco opaco, in conformità alle pratiche ultra ortodosse. Nel mettere la sposa su un disco rotante sotto
il baldacchino nunziale, la Disney mette in scena il passatempo nazionale Israeliano della danza.
Tuttavia, il tipo di danza rappresentato dalla figura solitaria della sposa non si allinea all’immagine
normativa Israeliana della danza popolare circolare. Questo tipo di danza comunitaria sarebbe un punto
dolente per gli ebrei ortodossi, che proibiscono danze pubbliche miste e danze femminili in pubblico,
con l’eccezione del matrimonio. Con le loro soluzioni un po’ tortuose rispetto alla prospettiva
ortodossa sullo stato di Israele, l’autorità rabbinica e le politiche di genere, le bambole israeliane del
parco Disney rappresentano prospettive Israeliane non normative.
30

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)
Comparando la scelta Disneyana di bambole in costume con l’estetica delle immigrate esteuropee
indipendenti negli insediamenti, la rappresentazione dello stato-nazione Israeliano da parte della
Disney non è la stessa delle bambole che ritraevano una collezione di tipi, che avevano la funzione di
rappresentare un’identità di gruppo, un simbolo di memoria. Invece, esponendo una sola bambola che
le fabbricanti Israeliane avevano costruito come parte di una varietà, la Disney immagina uno stato
ebraico che ha trovato l’armonia tra la religione ebraica e lo stato laico.
5. Conclusioni
La storia delle bambole che rappresentano Israele serve come esempio identificabile di simboli
nazionali, non come ideologie imposte dall’alto, ma come testi che emergono continuamente in
relazione ai contesti culturali. Mentre la produzione di bambole in costume ha offerto alle donne
immigrate un modo di partecipare alla cultura dominante e di cristallizzare il senso di sé della nazione,
il mercato e la vendita delle bambole hanno invitato rappresentazioni plurali in cui i consumatori
potevano proiettare le proprie identità come Israeliani, sostenitori in diaspora, o turisti.
La storia della ricezione delle bambole Israeliane mette in luce come le bambole siano un medium
complesso e controverso di identità nazionale. Le bambole Israeliane in abito tradizionale cominciano
come un modo di autorappresentazione per le immigrate esteuropee, e poi usate come strumento di
integrazione per le donne ebree provenienti da nazioni islamiche all’interno dell’economia Israeliana,
e, ancora, sono state usate da molti turisti ebrei come strumento di identificazione con Israele dopo
l’Olocausto. Nonostante le intenzioni dell’industria interna, con i suoi programmi di welfare destinati
all’integrazione culturale ed economica delle donne, il diario di viaggio delle bambole in altri contesti
culturali rispetto al mercato turistico israeliano ha permesso al modello maschile esteuropeo di
prendere piede all’estero.
Gli stessi consumatori che hanno scelto di identificarsi con il futuro di Israele attraverso l’immagine
dell’uomo religioso est-europeo, hanno aiutato a finanziare le artiste che sono immigrate in Israele. Se
questa immagine religiosa maschile di Ebreo est-europeo è radicalmente diversa dall’immagine
normativa che Israele ha di se stesso come stato laico, multiculturale e inclusivo, è innegabile che il
lungo scambio tra le donne Israeliane immigrate e i consumatori ebrei occidentali, durato diversi
decenni, ha aiutato a gettare un ponte tra gli ebrei della diaspora e il progetto sionista di Israele.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: alida-morelli (alidamorelli@hotmail.it)

Potrebbero piacerti anche