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TUTTAVIA, tale teoria della secolarizzazione viene oggi contestata , e i critici mostrano vari
indicatori che testimoniano l’attuale salute e vitalità della religione (es. frequentazione costante
delle Chiese negli USA, crescita partiti religiosi…).
MA, è presto per “seppellire” la teoria della secolarizzazione, in quanto la critica si basa su alcune
ANOMALIE (USA, funzioni cattoliche e protestanti…), anziché comparare sistematicamente
l’evidenza empirica di un ampio insieme di società ricche e povere, dunque la tesi della
secolarizzazione necessita di essere aggiornata, e questo volume si occupa di questo.
Tesi: la religiosità rimane importante nelle popolazioni più vulnerabili, in particolare in quelle
nazioni più povere che si trovano di fronte minacce alla sopravvivenza personale; dunque la
sensazione di essere vulnerabili a danni fisici, sociali e personali sarebbe una spinta decisiva alla
base della religiosità. Il processo di secolarizzazione è stato più netto negli strati sociali più prosperi
delle nazioni postindustriali ricche e sicure. La secolarizzazione è una tendenza, non una legge
ferrea. Gli individui che nei loro anni di formazione provano rischi egotropici o socio tropici
tendono a essere molto più religiosi di coloro che crescono in condizioni più sicure, tranquille e
prevedibili. Esistono ovviamente delle eccezioni. es. Osama bin Laden, ricco MA estremamente
religioso.
Secolarizzazione e sviluppo umano hanno un forte impatto negativo sui tassi di fecondità: tutte le
società più secolarizzate presentano tassi di fecondità ben al di sotto del livello di sostituzione,
dunque una quota crescente della popolazione mondiale è religiosa. L’approfondirsi globale del
divario tra sacro e secolare ha conseguenze importanti per il mutamento culturale, per la società e
per la politica globali.
Il volume, nella sua prima parte, cerca di testare una serie di proposizioni, per mostrare come la
religiosità sia sistematicamente legata a:
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1. Livello di modernizzazione sociale, sicurezza umana e disuguaglianza economica.
2. Tipo di cultura religiosa predominante in ciascun paese.
3. Andamento per generazione dei valori.
4. Stratificazione sociale.
5. Andamenti demografici, tassi di fecondità e tendenze di mutamento della popolazione.
Questo studio si basa sulla nuova evidenza empirica prodotta dalle 4 ondate della World Values
Survey condotte tra il 1981 e il 2001 (presenza di sondaggi nazionali in cui sono rappresentate tutte
le principali fedi del mondo). Infatti mancano studi sistematici basati sull’evidenza empirica che
comparino culture religiose e atteggiamenti verso la religione nei paesi in via di sviluppo.
● Teoria della domanda, si concentra dal basso verso l’alto: quando la società diventa
industriale le abitudini religiose perdono gradualmente di peso e il pubblico diventa
indifferente ai richiami spirituali, qualsiasi cosa facciano le organizzazioni religiose;
● Teorie dell’offerta, dall’alto verso il basso: la domanda pubblica di religione è una
costante, e le variazioni sulla sua vitalità derivano dall’offerta disponibile sul mercato della
religione. I teorici dell’offerta sostengono che le organizzazioni e i leader religiosi hanno un
ruolo strategico nel fondare e mantenere aggressivamente in vita le loro congregazioni.
Secondo Weber l’epoca dell’Illuminismo ha prodotto una visione razionale del mondo. Si pensava
che il razionalismo delle società moderne avesse reso implausibili le principali tesi della Chiesa. La
perdita della fede svuota la religione, per cui l’afflusso alle funzioni e l’osservanza delle cerimonie
rituali calano.
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La teoria della differenziazione funzionale delle società moderne, che deriva dall’opera di
Durkheim (+ funzionalisti) sostiene che la religione NON è semplicemente un sistema di opinioni
e ideali (⌿ da Weber).
Religione = sistema d’azione, composto da rituali formali e dalle cerimonie simboliche che segnano
i principali passaggi del corso della vita (nascita, matrimonio, morte…). Questi rituali sostengono la
solidarietà e la coesione sociale, ovvero benefici collettivi.
Durkheim afferma che le società industriali sono caratterizzate dalla differenziazione funzionale,
ovvero il processo per cui professionisti e organizzazioni specializzati sono subentrati nella maggior
parte delle funzioni che in Europa occidentale precedentemente erano svolte da istituzioni religiose
(salute, istruzione…). L’espansione del welfare state ha comportato l’esaurimento del ruolo
spirituale e morale di tali istituzioni religiose. Lo studio empirico dei Paesi con un welfare state più
sviluppato (Svezia, Francia, Olanda…) sembrano confermare questa tesi. TUTTAVIA, aumento
delle critiche: si accetta l’erosione dell’azione SOCIALE della religione, MA NON il suo ruolo
MORALE e SPIRITUALE. In discussione l’idea che tutte le società progrediscano su un sentiero
comune di sviluppo socioeconomico con un punto finale comune: lo stato moderno secolare e
democratico.
La modernizzazione della società NON è associata automaticamente alla perdita di fede e delle
inclinazioni spirituali. Alcuni esempi a sostegno di questa critica sono il successo dei partiti islamici
in Pakistan, la popolarità delle sette evangeliche in America Latina ecc.
● Greeley, oggi esistono diversi modelli di religiosità e NON si osserva una tendenza
massiccia verso l’ateismo o l’agnosticismo.
● Stark, la secolarizzazione non è che un mito e le tesi di un forte declino della
partecipazione religiosa sono basate su una percezione decisamente esagerata della
religiosità passata, dunque le assunzioni comprese nella teoria della secolarizzazione sono
più una dottrina o un dogma che una teoria rigorosa e ben verificata;
● Hadden, OGGI, nascita di nuovi movimenti spirituali; religione rimane intrecciata alla
politica. → Secolarizzazione NON sta andando come previsto, si sottostima il potere e la
popolarità dei movimenti religiosi contemporanei.
La prospettiva dell’offerta (alternativa OGGI più popolare) ha ispirato numerose ricerche. Secondo
il modello del mercato della religione ci si concentra sul modo in cui le condizioni di libertà di
religione e l’azione di associazioni religiose in concorrenza tra loro generino attivamente l’offerta.
La tesi precedentemente accettata è che il pluralismo erode la fede nella religione (es riforma
protestante ha frammentato il cristianesimo occidentale), MENTRE la teoria dei mercati religiosi fa
l’assunzione opposta.
Concorrenza tra diverse confessioni religiose ha un effetto positivo sulla partecipazione religiosa, e
il motivo per cui in certi luoghi la religione fiorisce e in altri no sta nelle energie e nelle attività dei
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leader e delle organizzazioni religiose (analogia con aziende che competono per i consumatori nel
mercato economico).
Di contro, nelle società in cui una sola organizzazione religiosa ha una posizione dominante si
creano condizioni perché il clero si impigrisca e le comunità religiose perdano di vigore.
La versione classica della teoria della modernizzazione deve essere aggiornata, MA ha comunque
dei punti importanti. In questo volume la teoria della secolarizzazione basata su sicurezza
esistenziale si basa su due assiomi o premesse, che sembrano in grado di spiegare gran parte delle
variazioni delle attività religiose che si riscontra a livello globale:
● Assioma della sicurezza: le nazioni ricche e povere presentano livelli molto differenziati di
condizioni generali di sicurezza umana e vulnerabilità ai rischi. L'idea di sicurezza indica la
libertà da rischi e pericoli di vario genere, e tale mancanza è un fattore decisivo per la
religiosità. Quando le economie agrarie dei paesi poveri si trasformano in società industriali
a ricchezza intermedia ne consegue un generale miglioramento delle condizioni di base della
sicurezza umana. Questo sviluppo crea progressivamente un pubblico più informato e
progressivamente consapevole, in questo stadio cambiano le condizioni di vita di molti e si
riduce la loro vulnerabilità a rischi improvvisi e imprevedibili. D’altra parte lo sviluppo
economico è condizione necessaria ma non sufficiente per creare sicurezza umana: in
diverse nazioni in via di sviluppo negli strati inferiori della popolazione spesso rimangono
sacche di povertà grave. La relazione tra sviluppo umano, condizioni di uguaglianza
economica e produzione di livelli crescenti di sicurezza è di tipo probabilistico, NON
deterministico: questo processo può sempre essere fermato o rovesciato (es Argentina).
● Assioma delle tradizioni culturali: diverse visioni del mondo originariamente associate con
le varie tradizioni religiose hanno dato forma in modo duraturo alla cultura di ogni paese
(solo il 5% della popolazione svedese va in chiesa una volta a settimana, MA la popolazione
nel suo insieme presenta un sistema di valori tipicamente protestante). L’eredità religiosa
delle varie religioni continua a informare le visioni del mondo e a definire la geografia
culturale. Per esempio tra le società protestanti e cattoliche i valori e le norme sono
sistematicamente differenziati a seconda delle tradizioni culturali del passato.
Ipotesi
Dai due assiomi precedenti si delineano una serie di ipotesi che verranno testate nel corso del libro:
Conclusione
Lo studio controlla empiricamente le diverse teorie della secolarizzazione sopra presentate: teoria
cognitiva, funzionalista, del mercato, e trova poca evidenza a loro sostegno. Contrariamente a
quanto sostenuto da Weber la secolarizzazione è associata al fatto che la popolazione di una data
società abbia conosciuto livelli relativamente alti di sicurezza economica e fisica, e non nelle
società più istruite in cui la scienza ha un ruolo più importante.
Se la teoria della secolarizzazione basata sulla sicurezza esistenziale fosse corretta, ne seguono
determinate proposizioni e ipotesi precise, ciascuna delle quali è analizzata nel corso del nostro
studio:
Per studiare gli andamenti della religiosità in questo studio ci si basa sulla triangolazione dei
seguenti approcci:
1. Sondaggi internazionali.
Il lavoro empirico compara grandi numeri, usando dati macro relativi a 191 società del
mondo e dati sondaggio di quali 80 società (società contemporanee con livelli di sviluppo
sociale molto variabili). Grazie ai World Values Survey (WVS) e European Values Survey
(EVS) e la loro disponibilità di dati è possibile unire i punteggi medi di ciascuna società ai
dati macro relativi alle loro caratteristiche socioeconomiche e politiche; è così possibile pure
identificare le eccezioni agli andamenti generali (es. USA, Irlanda). TUTTAVIA correlazioni
rilevate in un unico momento non possono per sé dimostrare una causalità, inoltre vari
aspetti della modernizzazione sociale, come la crescita dei livelli di ricchezza, istruzione e
urbanizzazione, sono connessi tra loro, il che rende difficile distinguerne i rispettivi effetti;
2. Tendenze longitudinali.
OLTRE alle WVS svolte dal 1981 al 2001 dobbiamo prendere in considerazione un arco
temporale più lungo. Confrontare dati relativi a diversi decenni fornisce indicazioni più
affidabili sui processi in corso e gli andamenti causali che stanno dietro ai mutamenti di
atteggiamento e di comportamento, MA anche in questo caso ci troviamo davanti a due
limiti notevoli:
a. Le serie di analisi storiche sono possibili solo per uno spazio geografico limitato;
NON abbiamo molti dati che ci permettano di valutare com’è cambiata la religiosità
nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, né per religioni diverse da quella
cristiana.
b. Abbiamo soprattutto dati di breve periodo, i quali possono facilmente offuscare gli
effetti delle tendenze di lungo periodo. Il processo di modernizzazione ha tempi da
ghiacciaio, le nostre evidenze longitudinali delle tendenze ricavate dai sondaggi per
le democrazie dell’Europa occidentale e dell’America del Nord è troppo breve
perché si possano vedere tutti gli effetti in gioco;
3. Analisi per generazioni.
L’analisi per generazione dei sondaggi cross-section svolti in un solo momento temporale è
un’altra tecnica con cui si possono ricavare informazioni sul mutamento culturale sul lungo
periodo. Se il processo di socializzazione esprime gli effetti delle esperienze comuni degli
anni di formazione sulle generazioni che si susseguono, l’analisi degli atteggiamenti e dei
comportamenti delle diverse coorti di nascita può essere considerata un indicatore indiretto
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delle tendenze longitudinali. La dimensione dei campioni internazionali disponibili nelle
WVS rende questo approccio affidabile, in particolare quando analizziamo gruppi di società
aggregati, per esempio quando confrontiamo l’andamento generale delle differenze di coorte
delle società agricole con quelle delle società postindustriali e industriali. La disponibilità di
dati provenienti da società profondamente diverse ci permette di interpretare questi effetti
perché non sembra esserci una tendenza delle persone a diventare più religiose con
l’aumentare dell’età: nelle società post industriali i giovani sono meno religiosi degli
anziani, ma in quelle agricole non troviamo questo fenomeno.
→ Nessun approccio può essere di per sé definitivo, MA SE combinando diversi metodi, indicatori
e basi di dati si ottengono risultati che vanno nello stesso senso, e sono coerenti con il nostro
argomento teorico di fondo, allora l’evidenza diventa più convincente.
Il quadro comparativo
In questo libro si adotta il quadro comparativo che segue il disegno di ricerca dei sistemi differenti,
con cui si massimizzano le differenze tra quasi 80 società tra loro molto diverse per ricavare gruppi
di proprietà sistematicamente associate con diverse dimensioni e tipi di religiosità.
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● democrazie di vecchia data, democrazie più recenti e regimi non democratici
Nella ricerca sono contenuti alcuni dei primi dati disponibili dell’opinione pubblica dei paesi
musulmani. Ci sono paesi di tutte le regioni del mondo, TUTTAVIA, ogni ondata di ricerca dal
1981 al 2001 NON comprende ognuna TUTTI gli stati. Per questo, la comparazione di serie
storiche complete si può fare solo per un sottoinsieme di 20 società.
Ci concentriamo invece sullo studio empirico e sistematico di tre dimensioni centrali della
secolarizzazione, per vedere se a livello individuale ci sia stata una diffusa diminuzione della
partecipazione, della fede e del valore attribuito alla religione:
● Partecipazione religiosa.
Analisi del declino delle pratiche collettive (es. andare in Chiesa) MA ANCHE individuali
(es. meditazione per musulmani e buddisti).
● Valore della religione e valori religiosi.
Valori = obiettivi che le persone mettono al primo posto per le loro società, comunità,
famiglie e per se stessi. Indifferenza verso la religione può far venir meno ache il senso di
appartenenza a comunità. In questi casi l’appartenenza a una religione può diventare una
mera etichetta priva di qualsiasi significato sostanziale (es. Irlanda).
● Fede nelle dottrine religiose.
La secolarizzazione indica il venire meno della fede nelle dottrine sostenute dalle diverse
teologie del mondo (-> presenza di agnostici e atei). Secolarizzazione comprende anche il
fatto che le autorità religiose riescano sempre meno a orientare le opinioni su argomenti
quali aborto, omosessualità…
Ci sono studi che si concentrano solo su una di queste dimensioni, TUTTAVIA in questo studio
consideriamo la secolarizzazione come un concetto multidimensionale, che deve essere studiato in
modo sistematico su diversi piani di realtà. Inoltre non è detto che ci sia una relazione automatica
tra il calo della presa sul pubblico di massa di valori, fedi e pratiche religiose e implicazioni
significative per la religione come istituzione sociale (es. ruolo della Chiesa anglicana nella House
of Lords, possedimenti ecclesiastici della Chiesa di Roma…).
È importante rilevare la cultura religiosa prevalente in ogni paese, perché la nostra ipotesi è che i
valori e le fedi esercitino il loro influsso sulle rispettive società attraverso i principali canali di
trasmissione culturale e di socializzazione, indipendentemente dalla misura in cui gli individui
partecipano attivamente alla religione (messa la domenica ecc ecc). Dobbiamo anche quantificare la
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diffusione delle principali religioni presenti in ciascun paese per rendere possibile il calcolo del
pluralismo religioso in ciascun paese, che rappresenta una componente essenziale della teoria del
mercato della religione.
La classificazione della religione predominante nelle 191 nazioni del mondo che usiamo proviene
dall’Encyclopedia Britannica del 2001, tuttavia tale classificazione prevede dei problemi:
I dati dell’Encyclopedia Britannica sono confrontati e integrati con quelli della World Christian
Encyclopedia e la Cia World Factbook 2002.
Religione storicamente
dominante in ogni paese:
67 cattolicesimo-romano
(poco meno di un mld di
persone); 28 paesi
protestanti (mezzo mld
di persone); 50 paesi
musulmani (+ di un
mld); 3 stati indù (un
mld di persone);
ortodossia in europa
orientale e russia; altri 10
stati (un mld di persone)
tra buddismo, taoismo
ecc. ovviamente la
classificazione presenta più problemi nelle società frammentate, nelle quali viene indicata SOLO la
religione della maggioranza dei rispondenti.
Tipi di società
Classificazione dei 191 Stati in base al livello di modernizzazione sociale: utilizziamo l’indice di
sviluppo umano delle Nazioni Unite che consiste in una
scala standard a 100 punti che unisce livelli cognitivi
(alfabetizzazione e istruzione), salute (aspettative di
vita) e tenore di vita (PIL pro capite).
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Si propone di fornire un indicatore di benessere sociale più esauriente e affidabile delle stime
monetarie basate sui livelli di ricchezza reale o finanziaria.
Per studiare a livello globale la relazione tra sviluppo umano e culture predominanti si possono
osservare le differenze tra società sui più comuni indicatori di benessere sociale. Dai dati si vede
che l’indice di sviluppo umano è più alto nei paesi protestanti, cattolici e ortodossi, mentre nelle
altre religioni il livello di sviluppo umano è più basso. Infine la cultura musulmana presenta alcune
caratteristiche comuni di rilievo: queste società NON SOLO sono le più povere a livello globale,
MA hanno anche il più alto livello di disuguaglianza economica tra ricchi e poveri, l’aspettativa di
vita più bassa dopo la categoria altri, la crescita della popolazione più veloce e la maggiore
omogeneità religiosa.
Tipi di stati
Per misurare il livello di buon governo, e più precisamente di democrazia, ci sono variabili diverse
da prendere in considerazione. Tuttavia il confronto tra
i nove principali indici di democrazia (Munck e
Verkuilen) conclude che le nazioni sono classificate in
modo sostanzialmente simile da tutte queste misure,
dunque l’adozione di una misura piuttosto che un’altra
NON dovrebbe portare a grosse differenze nei risultati.
In questo studio prendiamo la classificazione della Freedom House, che consente una
classificazione multidimensionale dei diritti politici e delle libertà civili (indice di Gastil). Un
punteggio più alto (max = 7) indica che un paese ha diritti politici e libertà civili maggiori (l’indice
è stato rilevato annualmente per ciascun paese dal 1970). Ci interessano anche le tendenze storiche,
e in particolare quanto tempo le diverse società sono state democratiche. In base a questo si
definiscono democrazie antiche i 39 stati del mondo con almeno 20 anni di democrazia
continuativa; 43 democrazie recenti con meno di 20 anni di democrazia; 47 semidemocrazie; 62
rimanenti stati non democratici. In cima alla scala c’è una notevole sovrapposizione tra sviluppo
umano e democrazia: molte democrazie antiche sono anche ricche società postindustriali.
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Il processo di modernizzazione sociale comporta due stadi:
Secondo la nostra tesi la crescita dei livelli di sicurezza esistenziale segue un processo analogo,
TUTTAVIA si tratta di un’evoluzione probabilistica, non deterministica.
La precondizione cruciale per la sicurezza è lo sviluppo umano ancora prima che quello economico:
esso infatti riguarda la misura in cui tutta la popolazione ha accesso all’istruzione, alfabetizzazione,
sanità ecc. Si parla di ipotesi PROBABILISTICA in quanto:
Comunque nel lungo periodo con il processo di sviluppo umano l‘importanza della religione nella
vita degli individui diminuisce regolarmente, e questo mutamento è più forte nella prima fase di
sviluppo (grazie all’introduzione dei sistemi di welfare), più contenuto nella seconda.
Infine, danno forma alla secolarizzazione anche le dottrine spirituali e teologiche associate alla
cultura religiosa predominante, e tali dottrine pensiamo che agiscano sia a livello specifico sia in
generale. Pensiamo che ANCHE coloro che NON aderiscono “ufficialmente” a una determinata
comunità religiosa, subiscano comunque l’influenza delle tradizioni religiose che vi sono
predominanti, attraverso i vari meccanismi universali di socializzazione culturale (scuola,
università…). Le idee centrali sostenute dalle dottrine con la loro influenza hanno effetto su tutti
coloro che vivono nella società.
Se i risultati di questi approcci vanno tutti nella stessa direzione, le conclusioni che se ne possono
trarre diventeranno piuttosto affidabili.a
I sondaggi danno informazioni sul comportamento religioso degli individui, e, la domanda standard
di misurazione è: quanto spesso si reca a funzioni religiose, a parte matrimoni, funerali e
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battesimi? Le risposte sono codificate in una scala da 1 (mai) a 7 (più volte alla settimana). In base
a questa domanda il WVS definisce regolare la partecipazione religiosa come frequenza almeno
settimanale (quindi risposte 6 e 7). TUTTAVIA questa misura ha un limite: molte fedi o religioni
(asiatiche, popolari africane, new age, Giappone) hanno un’idea di obbligo del fedele diversa da
quella cristiana, e danno più importanza a forme di partecipazione individuale / rituale. Quindi il
confronto della frequenza ai riti confessionali può dare luogo a distorsioni sistematiche se esistono
religioni diverse da quella cristiana.
Per vedere se queste misure creino distorsioni rilevanti , la partecipazione religiosa è stata messa a
confronto con una seconda misura di comportamento religioso, ricavata da una scala 1-7 che misura
quanto spesso gli individui pregano o meditano al di fuori delle funzioni. La correlazione mostra
che l’associazione tra le risposte alle due domande è significativa per tutte le fedi. In tutte le
religioni, la partecipazione religiosa è associata significativamente anche con il valore della
religione e anche con l’autoidentificazione religiosa. Per evitare di sottostimare pratiche individuali
useremo una misura di frequenza regolare alle funzioni per agevolare il confronto con le numerose
ricerche precedenti, ma faremo anche uso dell’indicatore di frequenza della preghiera, comune a
diverse religioni del mondo.
Le società ricche postindustriali sono di gran lunga le più secolari per comportamenti, valori e
sistemi cognitivi; in complesso quasi metà (44%) della
popolazione delle società agricole partecipano almeno
settimanalmente a una funzione religiosa, mentre nelle
società industriali la percentuale scende a un quarto e
nelle postindustriali a un quinto. Anche la propensione
alla preghiera quotidiana segue lo stesso andamento:
la partecipazione religiosa nelle società povere è il
doppio che in quelle ricche. La differenza è ancora più
evidente se si guarda al valore della religione nella
vita degli individui. La partecipazione, la fede e i
valori religiosi riguardano oggi solo una minoranza
delle popolazioni postindustriali più ricche. Un sondaggio svolto in 44 nazioni nel 2002 per il Pew
Global Attitudes Project conferma l’esistenza di
nette differenze, a livello globale, per quanto
riguarda l’importanza personale della religione.
Tali differenze sono state rilevate anche
dall’International Millennium Survey (pag. 99).
Tuttavia ci sono eccezioni notevoli come l’Irlanda
e gli USA. Le società più religiose sono quelle tra
le più povere del mondo (cattoliche, musulmane e
protestanti). Infine tra le società più secolari
abbiamo le nazioni della ricca Scandinavia, il
Giappone e alcune nazioni postcomuniste, la cui
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repressione religiosa ha lasciato un'eredità anche dopo la sua fine.
Qual è il ruolo della modernizzazione sociale e dello sviluppo umano in questo processo? Per
esaminare la questione in modo più sistematico abbiamo calcolato le correlazioni bivariate tra i due
indicatori di comportamento religioso e una serie di indicatori standard associati al processo di
sviluppo sociale e alla sicurezza umana. Tra le misure utilizzate c’è l’indice di sviluppo umano
dell’Undp, oltre che altri indicatori (PIL pro capite, coefficiente di Gini, alfabetizzazione, tasso
lordo di partecipazione scolastica ecc). Tutti gli indicatori di sviluppo umano sono fortemente e
significativamente correlati con entrambe le forme di comportamento religioso. In base a ognuno
degli indicatori di base di sviluppo umano possiamo prevedere quanto una società sia orientata
verso il sacro o il secolare. Per spiegare e prevedere la forza e la popolarità della religione in un
qualsiasi paese NON abbiamo bisogno di ricorrere a fattori specifici, quello che ci serve sapere sono
le caratteristiche di base che rendono vulnerabile una società e producono la domanda di religione,
tra cui fattori ben poco spirituali come i livelli di vaccinazione …
È anche vero che le correlazioni a livello macro danno un’idea solo parziale dei fattori alla base di
queste relazioni, e bisogna sempre tenere in mente che la causalità potrebbe essere inversa: la
partecipazione religiosa e la frequenza della preghiera potrebbero causare lo sviluppo più lento dei
paesi (= tesi di stampo Weberiano: valori protestanti → industrializzazione). MA non c’è nessuna
teoria solida che sostenga che tutte le forme di religione rallentano lo sviluppo economico: una
spiegazione di questo tipo non darebbe conto del fatto che la religiosità presenta correlazioni simili
con tutti gli indicatori esaminati, non tutti strettamente economici, come nel caso dei tassi di
vaccinazione, di mortalità infantile o di alfabetizzazione.
Separare i diversi effetti per isolare quello della sicurezza è difficile, ed essa sta secondo noi sotto
tutti questi fattori (i paesi più istruiti sono i più ricchi e i più sani); MA a livello individuale non c’è
correlazione tra fede nella scienza e religiosità.
Dato che nelle società più povere e meno sicure la vita dura di meno ci si potrebbe aspettare che le
tendenze demografiche portino a una crescita costante del livello di secolarizzazione a livello
globale. Ma la realtà è più complessa e l’esito è esattamente l’opposto: la vulnerabilità sociale
produce sia la religiosità sia la crescita della popolazione. È per questo che la popolazione religiosa
mondiale tende ad aumentare, anche se i paesi più ricchi si secolarizzano.
L’analisi multivariata a livello macro fornisce un’ulteriore indicazione. Secondo la teoria che
abbiamo proposto condizioni di sicurezza umana e esperienza di una maggiore uguaglianza
economica hanno un effetto indiretto sui tassi di partecipazione religiosa, perché fanno
diminuire il valore della religione nella vita quotidiana degli individui. Il livello di sicurezza
umana e la disuguaglianza economica da soli spiegano il 46% della varianza della partecipazione
alle funzioni di culto ma se aggiungiamo a questo modello la misura del valore della religione, che
si mostra associata in forte e significativo modo alla partecipazione religiosa, l’indice di sviluppo
umano e il coefficiente di Gini diventano non significativi. Ciò conferma che la sicurezza umana
agisce nel modo atteso, riducendo il valore della religione, e quindi influisce indirettamente sul
comportamento religioso. (pag. 106).
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I risultati della regressione sono coerenti con la nostra tesi secondo cui la sicurezza umana ha effetto
sul valore attribuito alla religione, perché le società più ricche e egualitarie riducono la vulnerabilità
quotidiana a rischi e minacce per la vita. I modelli usati fino ad ora fanno credere che il valore della
religione abbia un ruolo decisivo nell’incentivare la partecipazione religiosa. Ciò è a sua volta
strettamente connesso all’andamento della modernizzazione sociale, della sicurezza umana e
dell’uguaglianza socioeconomica. Si potrebbe però sempre sostenere che qualche altra causa non
specificata provochi sia la sicurezza sia la religiosità, MA fino a oggi nessuno ha proposto
un’ipotesi soddisfacente su cosa mai possa essere questo altro fattore. L’argomento Weberiano (fede
nella scienza e nella tecnologia hanno indebolito le basi della magia e della metafisica) è da
scartare, poiché le società con più fede nella scienza sono quelle che hanno anche una più forte fede
nella religione (es. popolazioni musulmane), mentre in alcune società postindustriali più secolari si
riscontra scetticismo nei confronti del progresso scientifico e tecnologico (es popolzioni
scandinave). USA continuano ad essere un’eccezione perché abbiamo molta fiducia nella scienza e
molta religiosità. Conclusione: le correlazioni tra sicurezza umana e secolarizzazione sono stabili,
qualsiasi indicatore di sviluppo umano si utilizzi.
Le caratteristiche sociali
Un’analisi condotta su un solo piano temporale non è in grado di dimostrare la causalità di cui parla
la nostra interpretazione (= società agricole più religiose). Possiamo però analizzare le tendenze
degli ultimi decenni di molte società postindustriali. La tabella riporta l’andamento della
partecipazione religiosa in 13 società europee. Inoltre per verificare la significatività e la direzione
del cambiamento, abbiamo per ogni società, un modello di regressione che stima l’effetto dell’anno
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del sondaggio sulla proporzione di popolazione che si reca settimanalmente alla funzione religiosa.
Il risultato dell’analisi conferma chiaramente che in tutte le società c’è stata una forte caduta della
partecipazione. Nel caso dei 5 paesi membri dell’UE nel 1970 circa il 40% della popolazione si
recava in chiesa regolarmente, mentre negli anni recenti la proporzione si è dimezzata. Nei paesi
prevalentemente cattolici c’è stata la più forte diminuzione di fedeli. Incrociando i dati
dell’Eurobarometro con quelli del WVS, notiamo come nella maggior parte dei paesi protestanti
dell’Europa settentrionale la partecipazione religiosa era già molto bassa sin dall’inizio, ed è rimasta
stabile con un effetto pavimento. Solo in Italia, USA e Sudafrica si è riscontrato un certo aumento.
Le serie storiche confermano le tesi: dove abbiamo dati, in molte società postindustriali e in qualche
società industriale, la partecipazione religiosa solitamente è caduta. Le serie storiche presentate
rendono molto più credibile la storia raccontata basandosi sulla comparazione internazionale
sincronica. TUTTAVIA, un’eccezione di rilievo alla generale crescita della secolarizzazione sta nel
fatto che anche in presenza di un’opinione pubblica sempre più indifferente ai valori religiosi
tradizionali, NON si osserva un abbandono della spiritualità privata o individuale. Ad alti livelli di
sicurezza esistenziale diventa più importante il bisogno di significato, così che anche nei paesi
ricchi, anche se la frequenza in chiesa diminuisce, gli interessi spirituali intesi in senso più ampio
non stanno scomparendo. Contemporaneamente, è chiaro che queste popolazioni hanno smesso di
sostenere le autorità religiose tradizionali, le forme di religione istituzionalizzate e gerarchiche e le
attività religiose che vi sono connesse.
Un motivo di queste variazioni tra paesi potrebbe stare nel fatto che questa tendenza è scaturita da
punti di partenza diversi, in modo path dependent, per via dell’eredità storica delle istituzioni e
delle culture religiose che caratterizza ciascun paese.
I sondaggi Eurobarometro del periodo ‘70-’91 mostrano una brusca diminuzione dei fedeli nei paesi
almeno parzialmente cattolici presenti nel campione. Il livello complessivo di allontanamento dalla
Chiesa è salito più rapidamente in Francia, GB e nei Paesi Bassi. Gli autori concludono che la
tendenza generale è stabile (nonostante il cambiamento di tempi e ritmi da paese a paese): la
percentuale di persone non affiliate a nessuna chiesa sta aumentando. Altre ricerche empiriche
mostrano un declino della religiosità molto simile in diversi altri paesi postindustriali. Il processo di
secolarizzazione è osservabile quale sia l’indicatore o il sondaggio prescelto. Restano notevoli
differenze nella diffusione sociale dell’uso di andare in Chiesa, MA in ogni caso tutte le tendenze
vanno verso il basso. Per di più, il declino della religiosità non riguarda solo i paesi dell’Europa
Occidentale: la frequenza regolare è calata anche in altri paesi ricchi come Canada e Australe.
Una diversa interpretazione è quella di coloro che sostengono che la frequenza in chiesa come
indicatore è datata, perché oggi la religiosità si è evoluta e reinventata sotto varie forme di
spiritualità personale. SE una tendenza di questo tipo è osservabile anche in Europa, potrebbe darsi
che l’impegno pubblico nelle chiese sia stato sostituito da una ricerca privata o personale. Inoltre,
anche indipendentemente dalla frequenza, le tendenze della religiosità europee sono molto
complesse: secondo Greelay la religiosità soggettiva NON mostra un andamento univoco o un
declino uniforme, e date tali differenze egli ritiene che bisogna spiegare comparativamente le
differenze persistenti nel lungo periodo.
Noi però non vediamo andamenti divergenti: vediamo un motivo del declino della partecipazione
nel tardo 20esimo secolo nel fatto che nelle società industriali la fede nelle dottrine tradizionali si è
molto indebolita. C’è in realtà un forte legame tra dimensione pubblica e dimensione privata della
religiosità. Diversamente da Greeley (che ha svolto sondaggi d’opinione dal ‘91 al ‘98) noi
studiamo la tendenza della fede in Dio e nella vita ultraterrena negli ultimi 50 anni. Nel 1947 8
persone su 10 credevano in Dio, e ovunque la fede in Dio è calata, tranne che negli USA e in
Brasile, mentre il calo più netto è nei paesi scandinavi, Paesi Bassi, Australia e GB. Le rette di
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regressione hanno pendenza negativa, ma il coefficiente è significativo solo in sei paesi. Andamento
molto simile ha l’andamento della fede nella vita ultraterrena. I casi di declino più forte sono in
Europa settentrionale, Canada e Brasile, e le sole eccezioni a questo andamento sono USA,
Giappone e Italia, dove invece c’è stata una ripresa della fede religiosa.
Alla luce degli andamenti europei, gli USA rappresentano un’eccezione, però l’evidenza empirica
NON è ancora del tutto chiara. Almeno fino alla fine degli anni ’80 l’analisi delle tendenze si
basava su registri storici delle chiese e sondaggi campionari e concludeva che la numerosità dei
fedeli era rimasta stabile nel corso dei decenni. Un declino della frequenza in chiesa era più netto tra
i cattolici.
Secondo le rilevazioni Gallup, il dato sui frequentanti della chiesa NON variano dal ‘39 al 2003, e
alcuni studiosi concludono che le risposte ai sondaggi sono sistematicamente esagerate, a causa del
meccanismo di desiderabilità sociale che nella cultura americana investe la frequenza in Chiesa. I
sondaggi Gallup sono privi di filtri per questa desiderabilità sociale e presentano difetti di
campionamento (NON si chiamano mai al telefono particolari fasce della società): dunque
esagerano sistematicamente la frequenza. Anche altri dati fanno pensare che queste stime
potrebbero essere gonfiate.
Secondo GSS la percentuale di popolazione americana che dichiara di andare in chiesa almeno una
volta a settimana nell’ultima rilevazione è caduta di un quarto negli ultimi 10 anni, mentre coloro
che dichiarano di non essere mai andati in chiesa sono raddoppiati (⅕ di tutta la popolazione).
NON tutti gli americani la pensano allo stesso modo: i più secolari vivono nelle grandi città della
costa del Pacifico o del Nordest, di contro gli evangelici più impegnati vivono molto più spesso in
provincia o in campagna, soprattutto nel Sud e nel Midwest. Secondo alcuni la distribuzione della
religiosità potrebbe aver dato vita a due culture americane diverse, una tollerante, progressista,
multiculturale e secolare, l’altra conformista, patriottica, religiosa e puritana. Queste differenze
geografiche e culturali hanno assunto una grande importanza anche a livello politico. Un’altra
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caratteristica è che la religione negli USA è molto pervasiva e lascia segni ovunque nella vita
pubblica, nonostante la rigorosa divisione tra chiesa e stato. Allo stesso modo i valori culturali
americani sono più individualistici, più moralistici e più conservatori di quelli europei. Tuttavia ci
sono indizi del fatto che le tendenze secolari si siano rafforzate anche in America, il che potrebbe
portare l’opinione pubblica americana ad avvicinarsi a quella Europea.
La teoria del mercato della religione è la critica più frequente delle teorie tradizionali della
secolarizzazione. L’argomento è che fattori relativi all’offerta, in particolare la concorrenza tra
confessioni e la regolazione statale delle istituzioni religiose, determinano i livelli di partecipazione
religiosa negli USA e in Europa. Questa teoria assume che la domanda di prodotti religiosi sia
relativamente costante. Dunque si pensa che i diversi livelli di comportamento spirituale visibili nei
vari paesi NON provengano dalla domanda dal basso, MA dalla variazione dell’alto. I gruppi
religiosi sono quindi in competizione per i fedeli, MA con diverso impegno. Le chiese monopolio di
stato danno i loro fedeli per scontati, e non si impegnano per mantenerli, INVECE, dove esiste un
libero mercato della religione, sussiste una competizione tra dottrine, che porta le istituzioni a
cercare sempre nuovi appigli con progetti per attirare fedeli e mobilitare la popolazione.
I dati relativi a questa teoria provengono soprattutto da USA ed Europa. Negli USA troviamo
effettivamente un’ampia offerta di chiese di ogni genere e attività religiose, AL CONTRARIO in
Europa si parla di “economia religiosa socializzata”, in quanto lo Stato fornisce sussidi alle chiese
tradizionali, rendendo i monopoli meno efficienti. Le chiese saranno “impigrite” e poco incentivate
a organizzare eventi che possano attrarre maggiormente la popolazione.
TUTTAVIA, non è ancora empiricamente provato che la concorrenza tra fedi spieghi bene la
partecipazione religiosa. Le critiche rivolte a questa tesi sono state:
- Teoriche.
- Empiriche.
I commentatori hanno rilevato seri problemi con le misure standard del grado di concorrenza
religiosa. Gli studi utilizzano solitamente l’indice Herfindahl, il quale misura la dimensione
delle aziende rispetto al settore di cui fanno parte. L’indice va da 0 a 1 (da molte aziende a
un monopolio).
L’impatto del pluralismo è fondamentalmente curvilineo: il primo passaggio dal monopolio
religioso di una singola chiesa alla concorrenza tra due o più chiese ha un impatto notevole
sulla frequenza, MENTRE, quando il pluralismo diventa più forte l’effetto viene meno per
saturazione. Diversi studi hanno osservato la correlazione tra indice di pluralismo religioso
all’interno di determinate aree geografiche, e i coefficienti di correlazione positivi sono
interpretati come prova empirica della teoria del mercato della religione. (pag. 147)
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siano di tipo spurio, e a loro parere nessuno degli studi esistenti prova in modo empiricamente
convincente che il pluralismo religioso influisce sui tassi di partecipazione alla chiesa.
Ci sono problemi anche per definire l’unità di analisi geografica appropriata. Tuttavia una volta
che affrontiamo la questione in termini di comparazione internazionale, i termini della concorrenza
diventano meno facili da definirsi. Comparazione deve concentrarsi sul numero di chiese di una
stessa O diversa confessione?
Infine si tratta di un approccio NON sistematico, e la selezione di casi specifici di studio può dare
luogo a distorsioni sistematiche. A proposito ci sarebbero anche chiare anomalie a questa teoria, in
quanto alcuni paesi dove la chiesa istituzionale è unica, non si è registrato un abbassamento delle
tendenze religiose (Italia, Irlanda, Colombia, Venezuela, Polonia). Altre ricerche critiche della
teoria:
1. Pluralismo religioso.
SE la teoria dell’offerta è corretta, il pluralismo
religioso e la regolamentazione statale della religione
dovrebbero essere buoni predittori dei tassi di
frequenza in chiesa nelle società postindustriali. Il
pluralismo religioso è misurato con i dati
dell’Ecyclopedia Britannica Book of 2001: si tratta
della misura standard della frammentazione della
religione in ciascun paese (da 0 a 1). Per quanto
riguarda le unità di comparazione, nel nostro studio
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misuriamo il pluralismo religioso tra le grandi religioni mondiali a livello di società, come sempre
nel caso delle comparazione internazionale. Questo però significa che non possiamo considerare la
concorrenza tra organizzazioni di diverse sette e confessioni religiose a livello locale o regionale. Si
evince che NESSUNA delle correlazioni tra pluralismo religioso e comportamento religioso nei
paesi postindustriali è significativa. La teoria funziona SOLO per gli USA, mentre in altri casi
(soprattutto negli Stati a maggioranza cattolica) la relazione è addirittura rovesciata (Italia).
Anche la comparazione globale di tutti i paesi conferma che tra partecipazione e pluralismo NON
c’è relazione significativa. Si potrebbe salvare la teoria sostenendo che quello che conta è la
concorrenza tra confessioni vicine o al loro interno (è più facile che gli individui cambino chiesa
all’interno della STESSA religione / confessione). → ci sarebbe bisogno di uno studio a livello
LOCALE.
Una diversa versione della teoria dell'offerta sostiene che la partecipazione è massima dove c’è una
forte divisione istituzionale tra Stato e Chiesa, e dove lo Stato difende le libertà di culto religioso e
tolleranza tra le diverse confessioni, SENZA porre limiti ad alcuna fede o setta (Lipset). Questa
relazione si può analizzare con tre indicatori:
a. Regolazione statale della religione, misurata con una scala a 6 punti, in base alla presenza o
meno di queste situazioni:
● Unica chiesa di stato.
● Riconoscimento statale ufficiale di certe confessioni ma non di altre.
● Nomina statale / approvazione dei dirigenti ecclesiastici.
● Pagamento diretto dello stipendio del personale ecclesiastico da parte dello Stato.
● Esistenza di un sistema di raccolta di tasse ecclesiastiche.
● Finanziamento diretto statale;
b. Indice di libertà della religione, costruito codificando 20 items;
c. Risultati dell’analisi sintetica di libertà di religione prodotta ogni anno della Freedom
House, che definisce la libertà di religione facendo riferimento alla libertà delle istituzioni
religiose, la libertà di svolgere particolari attività religiose personali, diritti umani generali..
→ TUTTAVIA, NON sembrano esserci delle relazioni significative tra nessuno di questi indicatori
e i comportamenti religiosi.
Durkheim fu il fondatore della teoria funzionalista classica, teoria secondo la quale nel corso del
processo di industrializzazione delle società, la popolazione ha gradualmente abbandonato le chiese
per via della differenziazione e della specializzazione funzionali, per cui il ruolo sociale della
chiesa, è stato assunto da altre istituzioni che offrono servizi sociali. Le chiese hanno perso il loro
monopolio in molti settori della vita quotidiana, e il loro ruolo sociale è diminuito in seguito alla
differenziazione istituzionale.
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SE questo argomento fosse corretto, la partecipazione religiosa dovrebbe essersi indebolita
maggiormente nelle società postindustriali in cui il ruolo di welfare delle istituzioni religiose è stato
assunto in modo più completo dai servizi pubblici scolastici, sanitari e di sicurezza sociale finanziati
dallo Stato. Ora, è possibile dimostrare empiricamente questa tesi. Mettendo a confronto la
percezione da parte dell'opinione pubblica delle diverse funzioni e competenze delle autorità
religiose vediamo che nelle società agricole c’è una percezione più forte del ruolo delle autorità
religiose: circa i ¾ della popolazione pensano che le autorità religiose abbiano una funzione
importante dal punto di vista morale, spirituale, della famiglia e sociale; nei paesi postindustriali la
percentuale è molto minore, MA aumenta quando si prende in considerazione la funzione sociale
della chiesa e la sua capacità di occuparsi delle esigenze spirituali della gente: ciò è il contrario di
quanto ci si sarebbe aspettati secondo la tesi funzionalista.
Ci continuiamo a chiedere come mai alcuni casi, come gli USA e l’Irlanda, nonostante la loro
ricchezza rimangano molto religiosi; la risposta che diamo si basa sull’andamento della sicurezza
umana, e in particolare sulle condizioni di disuguaglianza socioeconomica. Anche se lo sviluppo del
welfare state nei paesi industriali assicura buona parte della popolazione contro i rischi peggiori,
come le malattie, la vecchiaia ecc., è anche vero che nei paesi relativamente ricchi ci sono sacche
interne di povertà persistenti, dunque anche nei paesi ricchi la sensazione di vulnerabilità incentiva
la religiosità. I gruppi più a rischio sono: anziani, bambini, disabili, senzatetto…
Oggi in Europa ci sono 27 paesi postcomunisti, e i dati derivanti dai sondaggi risalgono tutti
all’ultimo decennio degli anni ‘90. Dunque c’è una forte limitazione nel materiale empirico a
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disposizione. Perciò il miglior modo per osservare tendenze di lungo periodo sembra essere quello
del confronto tra generazioni, utilizzando i sondaggi degli anni ‘90. Se nei paesi esaminati troviamo
forti differenze intergenerazionali, queste danno un’idea della tendenza che ci interessa.
Da un lato, la tesi tradizionale della secolarizzazione prevede che in Europa centrale e orientale la
religione è gradualmente diminuita nei decenni, per le stesse cause all’opera nelle altre società
industriali (dopo il crollo del comunismo la tendenza alla secolarizzazione avrebbe dovuto subire
un’accelerazione nei paesi in cui la transizione alla democrazia ha avuto successo e in cui
l’adesione all’Unione Europea ha aumentato la sicurezza esterna). Di contro, si può ipotizzare che
la religione rimanga forte tra giovani e anziani delle società postcomuniste che restano povere e
sottosviluppate. La letteratura riscontra una certa evidenza empirica a favore della tradizionale tesi
della secolarizzazione.
● Need ed Evans mostra che passando dalle generazioni anziane alle più giovani i tassi di
partecipazione religiosa (in società cattoliche e ortodosse) presentano un declino lineare
(come vuole la teoria della secolarizzazione);
● Borowik nota che grazie alle nuove libertà, nel breve periodo il numero di coloro che crede
in Dio sale, ma oggi l 'impegno nella chiesa e il livello di attività religiosa sono bassi come
nelle società dell’Europa Occidentale secolarizzate. Dunque la rinascita religiosa è breve,
forse anche causa della poca conoscenza della popolazione della fede ortodossa
tradizionale;
● Altri sostengono che in Europa centrale e orientale stia nascendo una nuova forma di
spiritualità individualizzata esterna alla chiesa.
Se è vero che il processo di secolarizzazione è collegato allo sviluppo umano e alla sicurezza
esistenziale, nei paesi postcomunisti in cui lo standard di vita è gradualmente cresciuto la religiosità
dovrebbe diminuire. TUTTAVIA, i fenomeni drammatici associati al crollo del comunismo degli
anni ‘90 (abbandono del welfare state, recessioni economiche dovute all’introduzione del libero
mercato…) dovrebbero aver fatto crescere la religiosità. La teoria della secolarizzazione dunque
sostiene che in questa area il processo di modernizzazione dovrebbe produrre di coorte in coorte un
declino lineare della religiosità, ma che questa trasformazione possa essere contrastata da fattori di
breve periodo associati al crollo del comunismo.
In opposizione a questa teoria, la teoria dei mercati della religione suggerisce un insieme di ipotesi
molto diverse, e potrebbe funzionare nel caso dell’Europa postcomunista. Durante l’era sovietica la
religione era disincentivata se non repressa, MA con la dissoluzione dell’URSS, essa rinasce.
Dunque dovremmo aspettarci un andamento a “U”, con i più anziani formatisi nell’epoca
precomunista molto religiosi, quelli formatisi nel comunismo poco religiosi, e i più giovani
nuovamente religiosi. Gli studi di Greeley hanno dato sostegno a questa ipotesi, ed egli conclude
che la generazione più giovane, specialmente in Russia, conosce una rinascita dei sentimenti
religiosi, ma deve ammettere che questa rinascita non è stata accompagnata da una crescita della
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frequenza in chiesa. Altre dimensioni del comportamento religioso rimangono a livelli bassi e
mostrano un declino nelle coorti di nascita successive.
Inoltre le società dell’Europa dell’est sono molto diverse per vari fattori che potrebbero costituire
variabili intervenienti che condizionano la relazione tra età e religione. Per questo uno studio
sistematico deve usare tecniche di analisi multivariata.
Bisogna intanto distinguere tra società postcomuniste più di successo (Polonia, Ungheria,
Slovenia…) e paesi ex comunisti dove la crescita economica e il progresso dal punto di vista dei
diritti umani e delle libertà politiche sono stati lenti o addirittura inesistenti (Russia, Bielorussia,
Azerbaigian…). Le società postcomuniste hanno ritmi di progresso verso la democrazia e lo
sviluppo economico molto diversi, e anche i rapporti storici tra stato e chiesa sono molto
differenziati. Johnston sostiene che la religiosità pubblica continua a essere particolarmente elevata
nei paesi in cui la chiesa è stata attivamente coinvolta nel processo di resistenza contro il regime
sovietico e nella lotta per l’indipendenza (es. Polonia).
Dato che non disponiamo di dati in serie storica di ragionevole durata, useremo come indicatore
indiretto del mutamento di lungo periodo un confronto per generazioni delle 22 società
postcomuniste comprese nella WVS. La nostra versione rivista della teoria della secolarizzazione
ipotizza una relazione lineare tra età e partecipazione religiosa, con una caduta della religiosità di
coorte in coorte nelle società economicamente più avanzate. Le variabili dipendenti sono il valore
della religione, misurato dalla frequenza ai servizi di culto e dalla preghiera. Verificheremo anche se
tra generazioni ci sono differenze per quanto riguarda la fede nelle dottrine della religione. In
generale la nostra ipotesi è che le differenze generazionali saranno più forti nel caso del valore della
religione, anche se, quando esistono, saranno associate anche all’andamento del comportamento
religioso.
In tutte le società postcomuniste troviamo che la religiosità è più forte nelle generazioni anziane
(pag. 179) che nelle giovani, e che le differenze di religiosità connesse con l’età tendono a essere
lineari e non curvilinee → andamento in linea con le ipotesi. I risultati dimostrano:
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1. Chiaro declino della religiosità: quasi ovunque le generazioni più anziane sono
significativamente più religiose.
2. Oggi nelle società postcomuniste ci sono notevoli differenze di livello di religiosità, proprio
come abbiamo osservato in Europa occidentale.
Presenza di differenze tra paesi: nei paesi in cui le vecchie generazioni sono più secolari gli
andamenti delle coorti successive sono relativamente piatti, MENTRE nei paesi in cui le vecchie
generazioni sono molto religiose si vede che il calo della religiosità delle giovani generazioni è
molto più brusco. Le tendenze sono molto simili sia che si consideri il valore della religione, sia la
frequenza alle funzioni di culto, sia la frequenza alle preghiere, il che ci fa pensare che si tratti di
risultati robusti e affidabili.
Per controllare altri fattori, utilizziamo un’analisi multivariata, per vedere se la relazione bivariata
tiene o se invece dipende da altri fattori. I modelli stimano anche l’effetto del valore della religione
e della fede nelle sue dottrine, e dell’appartenenza alle varie religioni. I risultati mostrano che
l’effetto lineare dell'età rimane significativo anche con tutti questi controlli, e che la religiosità
rimane più forte nelle generazioni più anziane. L’effetto degli altri fattori sociali e di atteggiamento
va nel senso ipotizzato. Dunque l’analisi della religiosità individuale nell’Europa postcomunista
conferma in larga misura gli andamenti visti prima per l’Europa occidentale.
Sempre diversamente da ciò che sostiene la teoria dei mercati, i paesi più secolari hanno più
pluralismo religioso e le chiese hanno anche più libertà dallo stato. La nostra teoria è che lo sviluppo
umano produca nella popolazione valori più secolari (= libertà di religione, tolleranza, democrazia).
Nei paesi più poveri e meno sviluppati invece la religione rimane centrale nella vita degli individui.
Questa tesi è stata contestata da molti. I dati raccolti in questo studio in parte danno sostegno a tale
tesi, ma d’altra parte lo contraddicono significativamente: la cultura conta, e le tradizioni religiose
lasciano un’impronta peculiare e duratura sui valori contemporanei. Tuttavia Huntington si sbaglia
quando assume che lo scontro tra civiltà occidentale e civiltà islamiche riguardi valori politici. Al
contrario l’evidenza mostra che nel mondo occidentale e quello islamico gli atteggiamenti nei
confronti della democrazia sono simili. La tesi di Huntington assume che la principale linea di
frattura tra Occidente e Islam riguardi lo stato democratico, MA non si accorge dell’esistenza di una
frattura culturale più forte sui temi della liberazione sessuale e l’uguaglianza di genere. Mentre le
giovani generazioni occidentali diventano più liberali, quelle islamiche non variano, mantenendo la
loro tradizionalità. I valori che separano Islam e Occidente ruotano più attorno all’Eros, che al
Demos.
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Civiltà = cultura in senso lato, definita sia da elementi oggettivi comuni (storia, lingua,
religione…) che dal processo soggettivo di auto identificazione del popolo. Tra questi
elementi, H. ritiene che l’elemento centrale per definire una civiltà sia la religione.
● Esistono profonde differenze culturali tra i valori politici fondamentali delle società che
condividono la comune eredità cristiana (in particolare quelle riguardanti la democrazia
rappresentativa), e le convinzioni diffuse nel resto del mondo, in particolare nelle società
islamiche. La caratteristica della civiltà occidentale sta nei valori associati alla democrazia
rappresentativa. A prova di questo egli fa riferimento alle libere elezioni che NON sono
riuscite a radicarsi nei paesi islamici. Infatti, secondo lo studio annuale di Freedom House
del 2002, dei 47 paesi a maggioranza islamica, SOLO 11 hanno libere elezioni, e nessuno di
questi si trova in Medio Oriente o Nordafrica.
● Infine H. sostiene che queste profonde e consolidate diversità di valori politici, che derivano
dall’influenza di diverse culture religiose, porteranno a conflitti tra gli stati nazionali e al
loro interno, e che a livello globale il conflitto etnico-religioso sarà all’origine di seri
problemi politici. L’interpretazione maggioritaria afferma che tale conflitto si svolgerà tra
Occidente e Islam.
Molti specialisti e studiosi hanno criticato questa tesi. In primis si critica l’idea che esista un’unica
cultura islamica omogenea, così come una sola cultura della cristianità occidentale. Tale credenza
semplifica eccessivamente le grandi differenze che ci sono anche tra società postindustriali ricche e
all’apparenza simili.
Accettando comunque l’idea dell’esistenza di una “cultura islamica”, molti studiosi hanno sostenuto
che i valori e le dottrine del Corano NON sono affatto incompatibili con la democrazia.
Edward Said ha condannato la tesi di Huntington, accusandolo di voler far rinascere le dicotomie
globali tra “noi” e “loro”. Si sottolinea come gli attacchi terroristici islamici siano opera di limitati
gruppi, i quali non possono rappresentare la totalità dei musulmani. Le spiegazioni alternative al
fondamentalismo e al radicalismo islamico fanno anche notare che le cause profonde stanno nelle
gravi disuguaglianze tra ricchi e poveri presenti nelle società islamiche, mantenute dalla
concentrazione del potere politico che caratterizza i paesi mediorientali. Le teorie marxiste e
strutturaliste sostengono che le cause dello scontento alla base del radicalismo stanno
nell’andamento disuguale della modernizzazione a livello globale, e nell’esistenza di profonde
disuguaglianze interne alle società islamiche. La linea di frattura principale potrebbe essere quella
che vede da un lato la classe media e dall’altro gli strati di giovani disoccupati, poveri e poco
istruiti, i quali possono diventare reclute dei gruppi fondamentalisti.
Ci sono anche teorie alternative riguardanti le differenze culturali tra Islam e Occidente. Inglehart
ipotizza che lo sviluppo umano cambi gli atteggiamenti culturali di praticamente tutte le società, ma
i valori riflettono anche l’impronta delle eredità religiose e dell’esperienza storica di ciascuna di
esse. la modernizzazione determina mutamenti sistematici e prevedibili dei ruoli di genere, e
l’effetto della modernizzazione si articola in due fasi:
Le due fasi corrispondono alle due grandi dimensioni di variazione delle culture : il passaggio dai
valori tradizionali a quelli secolari-razionali e quello dalla sopravvivenza ai valori espressivi. Se si
applica questa teoria viene da ipotizzare che una delle differenze più grandi tra il mondo islamico e
quello occidentale potrebbe consistere nell’atteggiamento verso l’emancipazione femminile e la
liberazione sessuale, e NON nei valori democratici attorno ai quali è costruita la teoria di H.
Classificazione e misure
Dunque la sua ipotesi è che, nonostante la nascita recente e il consolidarsi in molte parti del mondo
delle nuove democrazie della terza ondata, nelle società occidentali i valori democratici sono
radicati in modo più profondo e condiviso. Se questo è vero dovrebbe risultare evidente che lo
scontro culturale più forte a livello di valori politici è quello tra Occidente e Islam.
Di contro la versione di Inglehart della teoria della modernizzazione fa pensare che nei paesi ricchi
postindustriali sia molto importante il consenso crescente verso l’emancipazione femminile e la
liberazione sessuale, MENTRE nelle società in via di sviluppo continuano a prevalere gli
atteggiamenti tradizionali. Dunque a partire da questa interpretazione sottoponiamo a controllo
empirico anche la proposizione opposta alla precedente, secondo cui le divisioni profonde tra Islam
e Occidente ruotano molto più attorno ai valori sociali che a quelli politici, e in particolare ai temi
della liberazione sessuale e dell’uguaglianza di genere.
Secondo H. è possibile individuare nove civiltà principali, definite soprattutto in base alla cultura
religiosa predominante in ciascuna:
- cristianità occidentale,
- musulmana,
- ortodossa,
- latino-americana,
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- sinico-confuciana,
- giapponese,
- indù,
- buddista,
- africana sub sahariana.
H. considera gli stati e le società nazionali come agenti delle civiltà, dunque per controllare
empiricamente queste proposizioni abbiamo classificato le società in queste categorie:
I modelli misurano quindi l’effetto di vivere in ciascuno di questi tipi di società rispetto a vivere in
Occidente. Le regressioni multivariate studiano l’effetto della cultura religiosa di ogni società
tenendo sotto controllo i livelli di sviluppo umano e politico, in modo da eliminare l’effetto delle
variabili intervenienti. La teoria della modernizzazione sostiene che questa determina in modo
sistematico, e quindi prevedibile, determinati mutamenti dei valori culturali, come il declino della
fiducia nelle tradizionali autorità religiose e la crescita della domanda di partecipazione sociale e di
impegno civico.
La nostra analisi si occupa dell’atteggiamento degli individui verso tre tipi di valori politici e
sociali:
31
ruolo dei leader religiosi nella vita pubblica. Entrambi non menzionano la democrazia per non
imboccare la risposta agli intervistati; in linea di principio infatti non è incoerente credere sia in un
ruolo importante delle autorità spirituali sia nella democrazia (es. partiti democristiani tedeschi).
La nostra ipotesi è che il mutamento sociale del valore attribuito alla sessualità e all’emancipazione
delle donne, così importante per la generazione più giovane delle società postindustriali, potrebbe
essere all’origine dello scontro culturale tra società moderne e tradizionali in generale, e in
particolare tra Islam e Occidente. Da questo punto di vista Huntington potrebbe avere ragione nel
sottolineare l’importanza dei valori delle diverse civiltà, ma potrebbe avere torto nel diagnosticare
le cause delle differenze culturali. Per verificare questa proposizione possiamo studiare
l’atteggiamento verso l’uguaglianza di genere usando una
scala standardizzata, e tre scale a 100 punti che misurano
l’approvazione o disapprovazione di tre aspetti del
mutamento dei costumi sessuali, cioè l‘omosessualità,
l’aborto e il divorzio.
I paesi dove è più alto il consenso verso gli ideali democratici sono i paesi scandinavi, mentre
sembra più basso in alcuni paesi dell’Europa meridionale. Ma in generale gli atteggiamenti verso i
principi e la performance della democrazia sono distribuiti in modo poco differenziato sulle diverse
culture religiose. Il consenso verso i leader religiosi è molto basso in diverse società secolari
scandinave ed europee occidentali, ma anche in diverse società dell’Europa orientale; gli USA si
distinguono con un consenso ai leader
religiosi superiore alla media degli altri
stati occidentali. In confronto i paesi ai
occidentali, molti paesi islamici
esprimono un consenso maggiore per il
principio di autorità religiosa.
Conclusioni e discussione
Sintetizziamo il nucleo della tesi di H., il quale si può dividere in tre argomenti: i valori socialmente
diffusi nelle società contemporanee sono radicati nelle culture religiose; la divisione culturale più
importante tra il mondo occidentale e quello islamico sta nel diverso valore alla dato alla
democrazia; nell’era post guerra fredda questo scontro tra culture è fonte di molti conflitti
internazionali e interni.
1. Per quanto riguarda i valori politici (democratici) NON si vede scontro di valori alcuno: tra
il mondo musulmano e l’Occidente la differenza e minima;
2. Lo scontro sulla democrazia divide più gli stati postcomunisti dell’Europa orientale (Rusia,
Ucraina, Moldavia…) dove il consenso verso la democrazia è molto basso, dagli altri paesi
sia islamici sia occidentali, dove è più alto. Questa situazione potrebbe essere spiegata a
partire dalla guerra fredda, ma NON come rinascita di un conflitto etnico radicato nei valori
della chiesa ortodossa;
3. Nelle società musulmane c’è un consenso più forte di quello in Occidente nei confronti delle
autorità religiose.
4. Una linea di frattura culturale esiste, anche se H. l’ha sottostimata: essa riguarda il valore
socialmente attribuito all’emancipazione della donna e alla libertà sessuale; da questo punto
di vista l’Occidente è molto più egualitario e liberale di tutte le altre società, specialmente
quella musulmana. Inoltre l’analisi per coorte fa pensare che questo divario sia in costante
aumento, nella misura in cui le giovani generazioni occidentali diventano gradualmente più
liberali nei loro costumi sessuali, mentre i loro coetanei delle società musulmane rimangono
molto tradizionalisti.
33
Che conseguenze ha la secolarizzazione? Questo capitolo studia l’effetto della religione
sull’atteggiamento nei confronti del lavoro e dell’economia in generale, prendendo le mosse da un
classico della sociologia della religione, la tesi di Max Weber.
L’argomento di Weber sulle origini del capitalismo prende le mosse da una domanda: perchè la
rivoluzione industriale, la modernizzazione economica e il capitalismo borghese hanno avuto
origine proprio in Occidente (e in particolare nelle società protestanti)? Secondo Weber quello che
mancava altrove era un ethos che caratterizza la cultura occidentale: lo spirito del capitalismo
occidentale è nato proprio dai valori della riforma protestante e della dottrina calvinista. Secondo
questa dottrina il lavoro è visto come un dovere morale, da perseguire come fine in sé. I valori
protestanti esaltano l’autodisciplina, il duro lavoro, il reinvestimento ecc ecc, comportamenti che
hanno creato le condizioni culturali perché in Occidente nascesse il capitalismo. Ovviamente Weber
non intende dire che il ceto di imprenditori, mercanti ecc. fosse la parte più asceta e religiosa della
popolazione, anzi essi erano spesso indifferenti alla chiesa. Se si vuole verificare la tesi di Weber
bisogna farlo a livello macro, NON micro.
La tesi di Weber andò incontro a numerose critiche: critiche su dettagli storici (anche nell’Europa
tardomedievale iniziavano a esserci manifestazioni di comportamenti di tipo capitalistico), critiche
di economisti, che si chiedono se la religione determina atteggiamenti culturali che favoriscono lo
sviluppo e la crescita economica, critiche di sociologi della politica. SE l’ipotesi di Weber è
corretta, ipotizziamo che la cultura del protestantesimo abbia lasciato un’eredità di valori duratura e
visibile ancora oggi. Ci concentreremo dunque sulla tesi centrale di Weber: in confronto alle società
in cui predominano altre culture religiose, nelle società protestanti le persone hanno una più forte
etica del lavoro e sono più favorevoli al capitalismo moderno, nel senso che ritengono il lavoro un
dovere etico e preferiscono il mercato allo stato. Inoltre Weber sostiene che un aspetto importante
del protestantesimo è l’insegnamento e la trasmissione di principi etici ad ampio raggio.
Il nostro studio si svolge a livello macro, classificando le società a seconda della cultura religiosa
predominante. Per prima cosa guardiamo alla distribuzione media degli atteggiamenti a seconda
della cultura religiosa, poi usiamo modelli multivariati per tenere sotto controllo i fattori che
abbiamo visto essere strettamente collegati con il valore della religione e delle attività religiose.
Secondo Iglehart invece oggi la nascita dell’epoca postmaterialista va nel senso opposto all’etica
protestante, e oggi l’equivalente funzionale dell’etica protestante è più forte in Asia orientale, e sta
scomparendo nell’Europa protestante. Se questo fosse vero l’etica protestante deve essere intesa
come un insieme di valori più diffusi in una società in cui c’è scarsità.
Secondo questi studi il migliore modo per misurare gli atteggiamenti verso il lavoro è
multidimensionale, Weber infatti ipotizza che l’etica protestante comprenda diversi valori personali
favorevoli al capitalismo. Le domande scelte dalla WVS per studiare i valori connessi al lavoro
possono essere suddivise in tre dimensioni principali, esse si le riferiscono:
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1. Ai benefici intrinseci del lavoro.
2. Alle ricompense materiali al lavoro
3. Al lavoro come dovere.
I dati riportati consentono di capire se le società protestanti sono diverse dalle altre culture religiose
per l’importanza attribuita alle ricompense intrinseche e materiali del lavoro.
Diversamente dall’ipotesi weberiana, rispetto alle altre culture religiose, coloro che vivono in
società protestanti mostrano l’etica del lavoro più debole. Le differenze tra culture religiose sono
costanti in tutte le scale, anche se non molto forti: l’eccezione è la cultura musulmana, dove c’è
l’etica del lavoro più forte. Oggi le economie postindustriali hanno l’etica del lavoro più debole
perché si dà più importanza al tempo libero, al riposo. MA nei paesi poveri in via di sviluppo gli
individui danno la massima importanza al valore del lavoro. La differenza tra società ricche e
povere è più forte nella valutazione del lavoro rispetto alla cultura religiosa.
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L’analisi condotta da Weber potrebbe essere corretta per l’epoca in cui a suo parere l’ethos
protestante ha alimentato lo spirito capitalista. Ma sembra chiaro che OGGI le società protestanti
contemporanee danno un valore relativamente basso alle virtù del lavoro.
Secondo lo studio di Guiso, Sapienza e Zingales, la religiosità è associata alla fiducia personale, che
secondo la teoria del capitale sociale agevola un libero mercato efficiente e migliori istituzioni di
governo. Logicamente la catena causale è questa: un fattore culturale influisce su determinati valori
e convinzioni, e questi a loro volta influiscono sulle decisioni e quindi sui risultati delle attività
economiche. I valori connessi al consenso nei confronti del capitalismo sono studiati in questo
capitolo attraverso domande riguardanti:
Principi etici
La tesi weberiana potrebbe essere comunque valida per le società protestanti contemporanee SE si
dimostrasse che in esse sono più vitali quei particolari principi etici che ungono le ruote del
capitalismo. È vero che le culture religiose hanno un ruolo decisivo nella definizione di principi
etici che favoriscano la fiducia negli affari, gli investimenti e il rispetto dei contratti? La WVS
contiene quattro domande create per verificare gli atteggiamenti etici dei rispondenti, per esempio
quanto credono che determinate azioni siano più o meno giustificate. Alcune di queste azioni sono:
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rivendicare servizi statali senza averne il diritto, non pagare il biglietto sui mezzi di trasporto
pubblici; evadere le tasse e accettare un compenso illecito nel proprio lavoro.
Questi principi etici sono in generale approvati, MA le società protestanti hanno un livello etico
solo modesto su tutte le quattro scale: sono di solito più etiche delle società cattoliche MA meno
rispetto alle culture religiose orientali, le quali sono quelle in cui c’è la più forte disapprovazione
per una condotta immorale. Dunque queste analisi NON confermano in alcun modo la tesi secondo
cui oggi le società protestanti hanno principi favorevoli alla fiducia negli affari e al buongoverno.
Al fine di vedere le differenze in una prospettiva più vasta, è possibile comparare anche la
valutazione di quelle questioni di vita o di morte in cui tradizionalmente le istituzioni religiose
hanno avuto un ruolo importante, impegnando la loro autorità morale per stabilire i principi in base
ai quali affrontare temi quali l’eutanasia, il suicidio e l’aborto. Che influenze esercitano le
differenze tra le culture religiose osservate finora sugli atteggiamenti economici di fronte a questi
problemi? Il risultato dell’analisi mostra che su questi temi la variazione è più forte, sia in società
cattoliche e protestanti, sia tra le varie religioni, sia fra tipi di società. Per esempio, nelle società
ortodosse solo ¼ degli intervistati pensa che l’aborto non sia mai giustificabile. Di contro nei paesi
cattolici quasi ½ ha risposto che l’aborto non è MAI giustificato, e nei paesi musulmani si arriva
quasi a ⅔. Nelle società postindustriali ci sono dunque atteggiamenti più liberali nei confronti di
aborto. Queste differenze non si riscontrano solo relativamente ai diritti sulla riproduzione: un
andamento molto simile si ha nei confronti del suicidio e dell’eutanasia. Questo fa pensare che le
differenze tra società di diverso sviluppo e quelle tra società di diversa cultura religiosa, non
riguardano solo particolari dottrine teologiche, ma
riflettono in modo più ampio e generale l’ethos con cui
si affronta questo tipo di problemi: in generale le società
postindustriali sono significativamente più liberali.
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La teoria del capitale sociale è nata dalle intuizioni di Bourdieu e Coleman, che segnalavano l’importanza dei
legami sociali e della condivisione delle norme per il benessere della società e l’efficienza economica.
Secondo Putnam il capitale sociale sono “le relazioni tra individui, le reti sociali e le norme di reciprocità e
affidabilità che ne derivano”. Si tratta di un fenomeno tanto strutturale quanto culturale. Il nucleo della
teoria di Putnam si basa su 3 tesi:
1. Le reti orizzontali presenti nella società civile hanno conseguenze sociali importanti, sia per le
persone che ne fanno parte, sia per la società in generale. Esse infatti producono beni privati e beni
pubblici. Le reti bridging che collegano le persone creano le condizioni affinché gli individui
collaborino alla creazione di beni pubblici;
2. Dato il ruolo decisivo che le chiese hanno ricoperto nella vita civica americana, la secolarizzazione
ha contribuito al declino dell’associazionismo di comunità. Putnam ritiene che le organizzazioni
religiose abbiano avuto un ruolo decisivo per la società civile americana, infatti queste
contribuiscono alla vita civica sia direttamente, sia indirettamente. Putnam osserva che la
partecipazione religiosa delle ultime generazioni del XX secolo è calata;
3. Il capitale sociale ha effetti politici importanti. La sua teoria propone un modello a due tempi:
Rosenstone e Hansen sostengono che gli individui siano “attratti” all’attivismo politico dalle
organizzazioni di partito, dalle reti collettive come le chiese e dalle reti sociali informali. Putnam,
per quanto riguarda l’impegno politico tradizionale, documenta un’erosione che egli associa al
declino delle associazioni volontarie nel dopoguerra. TUTTAVIA, non è chiaro se il secondo
dopoguerra abbia effettivamente avuto un’analoga diminuzione dei membri delle organizzazioni
volontarie. In generale, nei paesi postindustriali degli ultimi decenni, le ricerche disponibili non
mostrano una diminuzione omogenea delle adesioni individuali ai vari tipi di associazioni. Infatti
nella maggior parte delle nazioni è diminuita la partecipazione ai sindacati, ma è cresciuto
l’attivismo nei nuovi movimenti sociali. La comparazione mostra anche che tra le diverse culture e
regioni del mondo ci sono differenze per quanto riguarda la forza e la vitalità della società civile,
differenze che possono dipendere dalla storia dei rapporti tra società civile e stato. Pertanto è vero
che nei paesi ricchi c’è stata secolarizzazione, ma la letteratura non chiarisce se questo ha
contribuito a indebolire le organizzazioni a base religiosa. E, inoltre, non è chiaro se il calo della
frequenza in chiesa abbia causato il calo dei membri delle associazioni locali e dell’impegno civico
in generale.
Comparare l’associazionismo
Per esaminare i temi in questione si è utilizzata l’evidenza empirica prendendo le mosse da una serie di
ipotesi verificabili. Secondo la teoria del capitale sociale, la partecipazione religiosa dovrebbe influire su:
L’ipotesi degli autori è che la partecipazione alle associazioni sia relativamente diffusa nelle democrazie
postindustriali (partiti, sindacati, associazioni professionali ecc sono solidamente radicati nelle classi medie e
nella società civile ). Essi si domandano se la partecipazione religiosa ha effetti diversi a seconda del tipo di
fede religiosa e di società in cui ci si trova.
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Si può iniziare studiando l’effetto della partecipazione religiosa sull’appartenenza ad associazioni volontarie
ecclesiali o a base religiosa. L’ipotesi è che la frequenza a funzioni religiose sia associata all’appartenenza a
vari gruppi ecclesiali. I risultati della tabella 8.1 confermano che l’appartenenza alle organizzazioni religiose
cresce con il livello di sviluppo umano e politico. Tutti i mutamenti della società civile associati alla
democratizzazione incentivano la partecipazione alle associazioni collegate con la chiesa, così come
l’appartenenza ad altri gruppi d’interesse e ai movimenti sociali. La partecipazione individuale cresce con
l’età e con il livello di reddito, mentre il genere non è significativo. Per quanto riguarda il livello di
istruzione, questo ha un effetto negativo e ciò fa pensare che le organizzazioni religiose offrano un canale
importante di impegno nella comunità a persone religiose MA poco istruite. Anche tenendo conto di tutti
questi fattori, la frequenza religiosa in chiesa, sinagoga, moschea e tempio ha un effetto significativo
sull’appartenenza a organizzazioni religiose. Questo aumento si riscontra in tutte le religioni tranne che
l’ortodossia e l’Islam.
La teoria di Putnam sostiene che la società civile è più densa e forte SE gli individui appartengono
contemporaneamente a diversi tipi di associazioni, di modo che la frequenza in chiesa rinforza gli altri
legami sovrapposti presenti nella comunità. Per verificare l’ipotesi secondo la quale le istituzioni religiose
sono tali da influire sull’impegno nella vita comunitaria, si può confrontare il numero medio di associazioni
non religiose a cui gli individui prendono parte. La tabella 8.2 mostra i fattori che influiscono
sull’appartenenza alle associazioni volontarie e comunitarie. Anche in questo caso il livello di sviluppo
politico è legato positivamente all’appartenenza associativa. La crescita dei diritti politici e delle libertà
civili associata al processo di democratizzazione incrementa le opportunità di partecipazione diretta nella
società civile. I risultati mostrano che la partecipazione religiosa è positivamente associata a livelli di
partecipazione più alti alle associazioni comunitarie non religiose. I membri delle chiese hanno più
probabilità di appartenere a diversi tipi di associazioni volontarie. TUTTAVIA l’andamento cambia a
seconda del tipo di fede, per esempio i protestanti presentano un’appartenenza associativa significativa
rispetto alla media, a differenza dei cattolici che hanno un numero di gruppi inferiore alla media. I risultati
mostrano che una frequenza regolare in chiesa è associata più strettamente all’appartenenza ad associazioni
che svolgono le tradizionali funzioni filantropiche delle istituzioni religiose. Di contro, la frequenza in chiesa
è legata solo debolmente ad altri tipi di associazioni civiche (es sindacati). Questo andamento conferma la
tesi della teoria del capitale sociale, secondo cui le reti sociali e di comunicazione diretta create dalla
frequenza regolare in chiesa hanno un ruolo importante nell’incentivare l’attivismo in organizzazioni
religiose, MA NON SOLO.
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frequenza in chiesa è associata a livelli di discussione e di interesse politico significativamente inferiori alla
media, a livelli di fiducia sociale inferiori e a partecipazione inferiore ad alcune delle forme più radicali di
protesta politica. TUTTAVIA si nota una partecipazione a discussioni politiche superiori alla media. Dunque
gli individui che appartengono a organizzazioni religiose mostrano livelli relativamente alti di atteggiamenti
e comportamenti civici. Si può affermare che diversi modi di misurare la partecipazione religiosa danno
risultati diversi. Alti tassi di frequenza in chiesa sono collegati negativamente con l’attivismo civico, MA
sono collegati positivamente con l’attivismo. Inoltre la direzione causale NON è chiara: la teoria del capitale
sostiene che gli individui imparano a impegnarsi nelle questioni sociali perché hanno interazioni dirette nelle
organizzazioni collegate alla chiesa. MA potrebbe altrettanto agire il processo causale inverso, per il quale le
persone fiduciose nella società sono quelle che tendono più facilmente a diventare attivisti civici e
appartenere a organizzazioni religiose. Si può quindi concludere affermando che l’appartenenza alle
organizzazioni religiose va effettivamente di pari passo con l’impegno nella comunità e la partecipazione
democratica, come sostiene la teoria del capitale sociale, MA che la direzione del legame causale non è
chiara. Non si è, quindi, in grado di capire se il processo di secolarizzazione abbia effettivamente indebolito
il capitale sociale e l’impegno civico.
es. Nelle elezioni USA del 2000, la religione era il criterio più affidabile per predire chi avrebbe vinto tra
Bush e Gore.
Negli anni ’60 Lipset e Rokkan elaborano una teoria secondo cui, in Europa occidentale, le identità sociali
sono alla base del consenso verso i partiti politici. Secondo i due studiosi gli stati nazionali europei sono
caratterizzati da una serie di divisioni sociali di lunga durata (frattura geografica tra centro e periferia, la lotta
di classe, i confini religiosi). Si pensava che queste identità sociali fossero politicamente rilevanti per vari
motivi:
Esse corrispondevano alle divisioni ideologiche della politica di partito (dx/sx sulle tematiche dell’economia,
del ruolo della donna, sull’accentramento o meno dello Stato…). Lipset e Rokkan sostenevano che i legami
organizzativi si sono gradualmente rafforzati con il passare degli anni, con un graduale processo di
congelamento dei sistemi partitici esistenti negli anni ’20. Per es, in UK, il dibattito si basa ancora
stabilmente sulla lotta di classe sociale.
MA, perchè le linee di frattura religiose sono rimaste importanti anche nelle società industriali? In Europa
occidentale le chiese dominanti sono riuscite a creare reti organizzative che comprendevano i partiti
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democristiani e religiosi. In USA, le chiese fondamentaliste evangeliche si sono avvicinate al partito
repubblicano. In Italia, Irlanda e Polonia, la Chiesa cattolica ha assunto posizioni conservatrici sui temi di
divorzio, aborto…
Per concludere, si può affermare che la frattura religiosa giochi un ruolo molto importante nell’ambiente
politico. Un esempio può essere quello che vede la maggior parte dei partiti religiosi dell’Europa occidentale
(Italia, Germania ovest) andare incontro a un periodo di successi elettorali senza precedenti nei due decenni
dopo la WWII. In UK invece, nel dopoguerra la frattura dominante è stata la classe sociale (conservatori
della high church inglese VS liberali della low church). La frattura religiosa sembra essere quella
fondamentale in Medio Oriente e in Asia meridionale e sudorientale.
A partire dalla metà degli anni’70 buona parte degli studiosi del comportamento elettorale ha osservato un
indebolimento dei legami tradizionali tra gruppi sociali e consenso verso i partiti politici. Molti studiosi
hanno trovato la ragione delle tendenze al deallineamento osservate nelle democrazie più antiche, ai vari
mutamenti che caratterizzano le società postindustriali:
● la secolarizzazione,
● il mutamento intergenerazionale dei valori,
● gli effetti della mobilità sociale e geografica,
● la crescente importanza del multiculturalismo e della problematica ambientale,
● la globalizzazione.
Per tutti questi motivi le identità basate sulla classe sociale e sull’appartenenza religiosa NON riescono più a
produrre una lealtà di partito solida e stabile. Ciò ha fatto sì che i nuovi partiti NON basati sui tradizionali
riferimenti sociali (classe e religione) abbiano ottenuto buoni risultati elettorali. Alcune conseguenze
dovrebbero essere la crescente volatilità del comportamento elettorale, voti disgiunti sui diversi livelli
elettorali, esplosioni di politica di protesta e comunque voto instabile. Ciò aumenta anche l’importanza delle
strategie di partito a breve periodo e l’importanza delle campagne elettorali.
MA la secolarizzazione ha davvero fatto venir meno il sostegno ai partiti religiosi in tutte le società
postindustriali? Per rispondere analizziamo i dati del Comparative Study of Electoral System, i cui risultati
mostrano che la religione è tuttora associata alla scelta di voto in modo più forte e sistematico di qualsiasi
altro indicatore di status socioeconomico (istruzione, reddito, classe sociale…). Nel caso analizzato quasi ¾
dei più devoti hanno votato per un partito di destra.
I dati della ricerca Cses riguardano 32 nazioni, tra cui democrazie vecchie e nuove, in società industriali e
postindustriali. Classificare i partiti come di dx o di sx è relativamente semplice nelle democrazie
consolidate, MA diventa molto più difficile quando proviamo a classificare i numerosi partiti delle nuove
democrazie e di quelle in corso di consolidamento.
Sembra probabile che determinate caratteristiche sociali associate alla religiosità, come l’età, siano associate
anche a un maggiore orientamento verso destra. I risultati (pag. 286) mostrano che nelle società
postindustriali e industriali la partecipazione religiosa continua ad
essere predittore significativo e positivo dell’orientamento a destra,
anche se si controlla per il livello di sviluppo umano e democratico e
per i fattori sociali tradizionalmente associati agli orientamenti
ideologici (genere, età, istruzione, reddito, classe sociale). In queste
società l’effetto della partecipazione religiosa è il miglior predittore di
una posizione ideologica di destra. Nelle società agricole la
partecipazione religiosa è associata negativamente a
un’autocollocazione a destra: l’andamento che si riscontra
sistematicamente nelle società industriali e postindustriali NON vale
per le società agricole.
Alla luce di questi fatti, come si presenta in assoluto il consenso verso i partiti religiosi? È possibile mettere a
confronto la forza elettorale dei partiti religiosi nel dopoguerra, misurandola con la quota di voti che hanno
ricevuto nelle elezioni politiche di 16 società postindustriali dal 1945 al 1994. I risultati mostrano le
tendenze: nell’ultimo mezzo secolo il consenso verso i partiti religiosi è diminuito soprattutto nell’Europa
cattolica.
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Conclusioni
In fasi storiche precedenti, l’identità religiosa di un individuo influiva sul suo orientamento rispetto ai partiti
politici e alle loro posizioni ideologiche nello spettro politico. Negli ultimi decenni però nelle società
industriali avanzate la secolarizzazione ha progressivamente indebolito le identità religiose: per questo la
nostra ipotesi è che oggi l’effetto delle differenze confessionali pesi meno nella politica di partito e nelle
elezioni. Di conseguenza i partiti che un tempo avevano forti legami organizzativi con la Chiesa cattolica,
sono diventati più secolari nei toni delle campagne elettorali. L’andamento documentato in questo capitolo è
generalmente coerente con queste ipotesi: nei paesi postindustriali il valore della religione continua a essere
associato al senso di appartenenza alla destra politica. Questo divario basato sulla religione rimane
significativo anche dopo aver utilizzato la nostra consueta serie di controlli sociali e individuali. Esso è
presente sistematicamente in molte società tra loro diverse, il che fa pensare che negli orientamenti ideologici
degli individui sia presente una struttura tendenzialmente universale. D’altra parte il rapporto tra religiosità e
orientamento politico a destra negli ultimi anni sembra essersi indebolito, nella maggior parte dei paesi
industriali e postindustriali. Si potrebbe dire che il test decisivo è quello dei voti effettivamente espressi nelle
elezioni nazionali: negli ultimi 50 anni il consenso verso i partiti religiosi è calato in quasi tutti i paesi
postindustriali.
La secolarizzazione è un processo che nei paesi protestanti è partito molto prima che fossero disponibili dati
per i sondaggi. Negli ultimi 50 anni il processo di secolarizzazione è stato più forte nell’Europa cattolica, per
cui in questi paesi ci si sta avvicinando al basso livello di religiosità dell’Europa settentrionale, anche se non
lo si è ancora raggiunto. Non c’è evidenza di declino della religiosità, o del ruolo della religione in politica.
Si tratta di fenomeni tipici delle società industriali e postindustriali.
CAPITOLO X – CONCLUSIONI
Nelle scienze sociali la teoria della secolarizzazione ha una storia lunga: molti pensatori hanno sostenuto che
nelle società occidentali la religiosità fosse in declino. Verso la metà degli anni ’60 la tesi generale secondo
cui la religione era in via di estinzione è stata considerata debole dal punto di vista empirico.
Questo capitolo riprende e chiarisce il nucleo della nostra teoria della secolarizzazione. Le società più povere
rimangono religiose come nei secoli precedenti, mentre nei paesi ricchi, il processo di secolarizzazione è in
corso a partire almeno da metà del XX sec. Il risultato congiunto di queste tendenze è che le società ricche
stanno diventando più secolari ma il mondo in complesso sta diventando più religioso (a causa della crisi
demografica dei paesi ricchi).
La teoria di Norris e Inglehart è una teoria che vede la secolarizzazione come sicurezza esistenziale e questa
si fonda su due assiomi:
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differenze religiose e culturali fanno sì che dobbiamo essere cauti quando facciamo generalizzazioni
estese a molti paesi.
TUTTAVIA, i sondaggi internazionali sono in grado di mettere a confronto determinati elementi di
fondo comuni a tutte le religioni, quali il valore attribuito alla religione…
Le ipotesi
Da queste premesse derivano una serie di ipotesi, controllate empiricamente nel corso del libro.
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Non si riesce però a spiegare il perché questi indicatori di religiosità siano così alti negli Stati Uniti.
Le possibili spiegazioni sono: gli Stati Uniti sono stati fondati da rifugiati per motivi religiosi; gli
Stati Uniti hanno una rete di sicurezza sociale meno estesa rispetto ad altri paesi (quindi alcuni strati
della popolazione si sentono vulnerabili); è possibile che gli immigrati di prima/seconda
generazione portino con sé una religiosità relativamente forte.
● Ipotesi demografica
La secolarizzazione e lo sviluppo umano hanno avuto una conseguenza paradossale, collegata al
declino dei tassi di fecondità che ha dato luogo ai mutamenti demografici che oggi impediscono alla
secolarizzazione di estendersi a tutto il mondo. Le 73 società presenti nei dati della Wvs 1981-2001
sono state classificate in 3 categorie: le più secolari, le moderatamente secolari e le più religiose. Il
tasso di fecondità corrisponde al numero medio di figli nati alle donne in età fertile: negli ultimi 30
anni la fecondità delle donne è diminuita in tutti
e tre i tipi di società. Gli indicatori di aspettativa
di vita e mortalità infantile e i tassi di
sopravvivenza in età avanzata mostrano tutti
quanto siano diverse le opportunità di vita nelle
società secolari e in quelle religiose. Nelle
società tradizionali la vita è insicura e breve.
Tuttavia ciò incentiva le persone a produrre un
gran numero di figli e disincentivano qualsiasi
comportamento che vada contro il concetto di
famiglia (es. divorzio). Le società ricche e
secolari, invece, producono meno individui, ma
investono più in ciascun membro. La fig. mostra
che le società in cui la religione è ritenuta più
importante sono anche quelle che negli ultimi 30
anni hanno avuto la maggiore crescita della
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popolazione, mentre le società secolari hanno tassi di crescita demografica bassi. NONOSTANTE il
fatto che la popolazione di quasi tutte le società industriali avanzate si è spostata verso orientamenti
più secolari, il mondo NEL SUO COMPLESSO è oggi abitato da PIÙ persone religiose.
Le sfide aperte
Infine si può dire che noi non siamo in grado di misurare direttamente se in queste società ci sia
secolarizzazione o una rinascita della religione. È chiaro da questo libro che gli Stati Uniti sono
eccezionalmente religiosi rispetto al loro livello di sviluppo, ma non è ancora chiaro perché. Questo libro ha
mostrato come, con la crescita dei livelli di sicurezza esistenziale, negli ultimi 50 anni la popolazione di
praticamente tutte le società industriali si è spostata verso orientamenti più secolari (ciò nonostante la quota
crescente di popolazione religiosa, a causa della crisi demografica dei paesi più sviluppati).
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