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Anno II
Il tema che mi accingo a sviluppare riguarda il rito in quanto dimensione liturgica cristiana
attorno a cui si è faticosamente costruito il dialogo tra liturgia, teologia intesa in senso ampio e scienze
umane(antropologia) per affrontare quel «disagio dell’uomo moderno di fronte alla celebrazione
cristiana»1 che i liturgisti chiamano questione liturgica. Andrea Grillo, liturgista, spiega che, pur
essendo stata discussa per lo più da autori del ‘900, la questione liturgica trova le sue radici in una
frattura con la tradizione che non è stata indotta dal Concilio Vaticano II, come molti ingenuamente
credono. Essa, piuttosto, molto probabilmente ha le sue radici lì dove tutta la crisi teologica ha avuto
punto di vista politico, etico e religioso ha fatto cadere il principio di autorità e tradizione senza il
Il fatto poi che l’ideologia moderna abbia sostituito il principio caduto con il principio del consenso
ha di fatto annichilito ogni capacità educativa e formativa della liturgia. E del resto, Grillo osserva
correttamente che un padre non chiede al figlio come educarlo, lo fa secondo la propria autorevolezza
e senza chiedere il consenso al figlio. Diversamente ogni sua parola cadrebbe nel vuoto.
La teologia reagisce a questo fermento continuando a proporre i propri riti in modo irriflesso
fino a ridurli a mera prassi celebrativa. Solo dopo un lungo e difficile percorso si assisterà alla nascita
della teologia liturgica con il relativo modello epistemologico, la riscoperta della liturgia come fonte
per la teologia, quindi i primi tentativi di reintegrazione del rito come fondamento della fede; ma
anche la riflessione sul culto non più come protestatio fidei (nel culto il credente manifesta la propria
fede diceva Tommaso D’Aquino) ma come actus fidei (nel culto il credente agisce la fede, la vive) e
quindi il culto come azione in atto da esperire attraverso il corpo in unione con lo spirito, fino ad
arrivare alla vera svolta antropologica che sugella l’intero percorso di riforma dei riti con il concetto
1
A.Grillo - C.Valenziano, L’uomo della liturgia, Cittadella editrice, Assisi, 2017,17.
2
Ib,,19.
3
Cf. Ib, 18-19.
3
di iniziazione ai riti e dai riti che fa del culto quel momento in cui l’uomo veramente esperisce il
rapporto con Dio in modo così totalizzante da fare della lex orandi non solo la sua lex credendi ma
culturale moderno hanno creato una grossa crisi nella teologia classica la quale non riesce a dare
risposte soddisfacenti e adeguate alle questioni che la società post-tradizione pone in maniera
pressante e severa tra cui, appunto, la questione liturgica. In generale, una reazione evidente a questa
crisi è la differenziazione teologica e il prodursi di diverse discipline che in certo modo, tentano di
superare la frattura.4 Il problema che sorge da questi tentativi è che si ha una propensione a farne
solo una parte della verità non tenendo conto della loro capacità di cogliere l’intero della verità pur
«con la loro unilaterale prospettiva».5 La mancanza di questa visione sintetica e globale di ogni
disciplina fa sì che le teologie tra di loro non dialoghino ponendo a sistema ognuno la propria
prospettiva sulla globalità, ma agiscano ognuna per conto proprio strutturandosi per un compito
parziale e privandosi di quella dimensione interdisciplinare che rappresenta «una conditio sine qua
non del sapere teologico contemporaneo»6. Non è un caso che lì dove si cimenterà nella progettazione
di una «teologia pura, la teologia moderna rimarrà vittima del teorema sulla purezza antropologica
che affascina e illude il pensiero moderno»7. Su questo versante, quindi, il problema della liturgia
sarà quello fare in modo che le varie discipline che, a vario titolo, riguardano l’ambito liturgico e
Un altro dato da mettere a fuoco è dato dal fatto che nell’ambito del sapere teologico si impone il
metodo storico, cioè la storia della teologia diventa modo di fare teologia. Questa consapevolezza
modifica profondamente il ruolo del rito liturgico nell’ambito della riflessione teologica. Il rito viene
4
Cf. A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,16.
5
Ib.,15.
6
Ib.,16.
7
Ib.,18.
4
tematizzato in senso storico, perde la sua connotazione di azione implicitamente contenuta nel
sacramento e di conseguenza la sua importanza, la sua natura fontale, mandando in crisi l’intera
prassi. Di fatto è la natura di fons della liturgia il vero problema fondamentale che si nasconde
dietro questa improvvisa vocazione storica dello studio liturgico e teologico. Quindi si impone la
necessità di trovare rimedio facendo riferimento allo stesso ressourcement fino a rimettere il rito al
suo posto originario come fondamento della fede. La necessità di rispondere a queste due crisi porterà,
nel tempo la nascita di una disciplina chiamata teologia (o scienza) liturgica. Per parlare della nascita
della teologia liturgica ed in particolare del modo con cui i vari teologi coinvolti hanno elaborato un
modello epistemologico che permetterà di ridefinire la questione attorno al rito, bisogna tentare di
capire da un punto di vista storico/teologico tutta questa complessa dinamica, sviluppatasi negli
ultimi due secoli, narrando «l’articolazione riflessa del rapporto tra culto rituale e teologia così come
si è evoluta nel passaggio dal mondo tradizionale a quello secolarizzato»8 secondo la chiave
Iniziamo quindi con il dire che dalle origini fino al 1700/1800 la fede e la teologia hanno
naturalmente presupposto il rito, cioè la dimensione rituale che portava con se, strutturalmente legata,
l’identità religiosa ma anche sociale, antropologica e sociologica. Va da se che fin tanto che il ritus è
stato presupposto non c’è stata la necessità di un intellectus ritus cioè di mettere a tema la liturgia
8
A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,81.
5
2.2. La rimozione/sovradeterminazione del rito
Questa assenza implicita ben presto si è trasformata in negazione attraverso una progressiva
limitazione dello sguardo sull’esperienza rituale e tutto quello che poteva risultare problematico per
il discorso di fede. In effetti negli anni a cavallo tra il 1700 e il 1800 la prorompente tendenza
secolarizzatrice penetra nella Chiesa e per prima mette in crisi proprio la liturgia e il “rito in quanto
teologia non reagirà subito ma correrà ai ripari solo un secolo più tardi secondo due direttrici
principali: da una parte rimuovendo il rito - come fosse un elemento imbarazzante - dal fondamento
del discorso su Gesù e quindi ipotizzando di poter costruire un intero sapere su Gesù facendo a meno
denuncia l’incompetenza rituale della chiesa che non ha saputo salvare il rito facendo leva sulla sua
caratteristica liminale. Turner sostiene infatti che è proprio questa qualità formale, ripetitiva,
globalmente arcaica che permette al rito di veicolare valori ed esperienze che trascendono da quelle
“mondane”. La mancanza della liminalità del rito (ormai rimosso) ha prodotto «un rito in presa
diretta con la vita quotidiana» inducendo i fedeli a non frequentare più la messa.9
Dall’altra, assecondando i risultati delle scienze umane, tra cui l’antropologia, che intanto avevano
Questo modo di affrontare la questione rituale portò la sovra-determinazione del rito a cui fu attribuita
la possibilità di recuperare il senso della fede secondo le sue caratteristiche di immediatezza pur senza
mediazione teologica. Per questo nel tentativo di superare il rubricismo che aveva caratterizzato la
tradizione liturgica precedente, attuando una prima svolta antropologica si opera un primo tentativo
di riforma dei riti, si pensa ad un nuovo culto per l’uomo e quindi si formulano nuove dinamiche
rituali sempre più giuridizzate o spiritualizzate, assunte in modo irriflesso e ridotte a mera prassi
9
Cf. R.Tagliaferri, Elementi fondamentali della liminalità del rito, in G. Bonaccorso, La liminalità del Rito, Edizioni
Messaggero, 2014 Padova,61-62.
10
Cf. A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,27.
6
celebrativa. In entrambi i casi la dimensione rituale è quindi presente negli accidenti ma rimossa nella
sostanza.11
2.3. I primi tentativi di reintegrazione del rito e il primo impulso alla riforma liturgica.
In questo stesso periodo si assiste ad una ripresa della tradizione antica che vede nel culto e
nel rito un significato teologico profondo, che non si arrende alla separazione tra liturgia e teologia e
che non vuole sottostare alle regole del metodo storico critico o a scontri con le nuove scienze e così
tra i numerosi fenomeni culturali che caratterizzano la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo
nasce anche il Movimento Liturgico che tenta di rispondere ad una questione che si era andata
imponendo in ambito liturgico sacramentario sul rapporto fondamentale tra fede e rito. La natura
essenziale questo rapporto è il perno attorno al quale si caratterizza il grande impulso allo studio
cristiano nato negli ambienti benedettini e poi nel più ampio ambiente liturgico della prima metà del
XX secolo.
Con l’obiettivo di rispondere alla questione liturgica smarcandosi dalle trame fitte dello
storicismo per restituire alla liturgia (e al rito quindi) la sua caratteristica di fonte nella rivelazione
all’uomo del mistero di Dio e per la fede dell’uomo in Cristo, il Movimento Liturgico lavora allo
statuto epistemologico di questa nuova Teologia Liturgica, la cui caratteristica viene ben descritta
dalle parole di Andrea Grillo: «il fondamento teologico (evento) e la mediazione liturgica (fenomeno)
In particolare, quindi, con questo metodo teorico si tenta di raggiungere un rapporto teologia/liturgia
in cui la teologia non funzionalizzi a se l’atto liturgico come fosse solo protestatio fidei ma lo riceva
con fons della propria esperienza, come actus fidei, per ricollocarlo a pieno titolo nel fondamento
stesso dell’atto di fede in modo da essere essa stessa (la teologia) modificata. Un modello che non sia
11
Cf. A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,84-85.
12
Ib.,52.
7
assorbito dallo storicismo critico e che ritrovi quel principio di non indifferenza per mezzo del quale,
come anticipato all’inizio di questo scritto, ogni disciplina contribuisca all’intera verità con la propria
prospettiva in nome di quella interdisciplinarietà, senza la quale non si può fare veramente teologia.
Vari autori hanno contribuito a creare questo presupposto. Ricordiamo, per esempio, Odo
Casel che, preoccupato per il fatto che con la fede costretta in un sistema concettuale astratto da una
parte e la vita di fede irretita dall’intimismo dall’altra, il cristianesimo si fosse ridotto a dogma e
morale mentre l’esperienza spirituale di fede (preghiera e sacramenti) veniva vissuta come esercizio
personale per l’ascesi. Il monaco di Maria-Laach nel suo lavoro si concentra sul concetto di Mysterion
inteso come «esperienza cultuale e mistica del divino che non si lascia ridurre a livello razionale e
morale».13 Se il mistero (cioè gli eventi storico salvifici e, soprattutto la morte e resurrezione di
Cristo) è un’azione sacra il cui modo di essere partecipato dalla comunità è anche esso una azione
sacra allora il culto è appunto questa azione di partecipazione. Il culto è azione che dice il mistero,
è esso stesso mistero, il mistero del culto nella inevitabile valenza liturgica e rituale. Quindi il mistero
è evento salvifico e azione liturgica: storia e rito. Il centro dell’interesse diventa quindi l’azione
rituale simbolica che ha in sé la valenza ergologica (l’azione) e la valenza simbolica che rimanda
agli eventi salvifici. Ecco quindi la necessità per Casel di una liturgia che sia simbolo: celebrazione
rituale di un atto divino. Puntando su questo concetto di mistero si capisce che non si può comprendere
la liturgia usando solo la ragione o gli argomenti tecnico-scientifici. Quel solo vuole intendere che
nel pensiero di Dom Casel non c’è una netta contrapposizione tra teologia liturgica e storia/nuove
nuovo approccio teologico alla cosiddetta gnosi cristiana - una gnosi che presuppone la fede: che si
modelli all’interno del mistero rivelato e celebrato, creando un sapere (o meglio un metodo teologico)
13
G.Bonaccorso, La Liturgia e la fede. La teologia e l’antropologia del rito, Edizioni Messaggero, 2014 Padova,61.
14
Cf. Ib.,59-63.
8
Nell’applicazione di questo metodo teologico si rivela una apertura alla storia delle religioni e alla
fenomenologia del sacro. Casel si è avventurato nello studio degli antichi misteri greci, dove sacro e
rito interagiscono secondo un modello molto simile a quello presente nel mistero del culto cristiano.
In questo senso, giusto per osservare come i primi anni del 900 non fossero ancora così maturi per la
comprensione di un pensiero di tale portata, è da osservare come la teologia di Odo Casel sia stata
ricondotta per moltissimo tempo a teologia dei misteri cioè in termini di ipotesi storica sull’origine
dei sacramenti cristiani dai misteri pagani. Proprio il contrario dell’obiettivo di Casel il quale voleva
solo superare la contrapposizione tra teologia storica e teologia speculativa dei sacramenti tipica della
modernità, per riguadagnare alla liturgia quell’orizzonte di pensiero totale, di capacità sintetica che
caratterizza ogni rapporto di Dio con l’uomo. Gli verrà riconosciuto il merito molto più avanti,
Anche Romano Guardini nel 1921 prospettò la necessità di uno studio della liturgia che non
si limitasse all’ambito della ricerca storica ma che si sviluppasse come un metodo sistematico e che
intendeva elaborare una teologia della liturgia da contrapporre al cammino storico ma nasceva dalla
consapevolezza che lo studio di una realtà storica come la liturgia cristiana non può essere ridotta
entro i limiti della storiografia né il valore di verità di quella realtà può identificarsi con i significati
emersi dalla storiografia. Del resto la verità è il significato che si produce nell’esperienza del reale e
certo lo storico non può produrre verità su realtà esperite da altri in momenti passati. Nella liturgia
l’esperienza che si fa è quella rituale e lo storico non può esperire i riti antichi ma può al massimo
interpretare secondo la propria sensibilità i testi che gli sono derivati. L’intento di Guardini era quindi
quello di passare dalla semantica storica alla verità di teologia dei riti. Elaborò per questo un metodo
teorico che vedesse la liturgia sia come fatto passato, oggetto delle attenzioni del metodo storico che
come fatto presente e futuro oggetto dell’attenzione del metodo teologico. In questo modo, metodo
15
G. Bonaccorso, La Liturgia e la fede. La teologia e l’antropologia del rito, Edizioni Messaggero, 2014 Padova,55.
9
storico e teologico non si sarebbero sovrapposti e anzi la teologia avrebbe fondato e illuminato la
dimensione storica.16
Da quanto detto, risulta chiaro che la preoccupazione di Guardini era quella di passare da una liturgia
studiata sui libretti ad una liturgia realmente educativa. Spiega Grillo che per Guardini era certamente
liturgica è quella formazione e quell’educazione che la liturgia realizza, mettendo in luce che la
liturgia non è discorso ma azione che agendo insegna come si insegna ad un bambino a parlare o a
Si potrebbe citare Festugière per concludere la triade che si è occupata di questo momento
riflessivo, ma credo sia più suggestivo citare il pensiero di Maurice Blondel (un filosofo laico) a
proposito della Tradizione, avvertendo subito che Congar ci insegna che la liturgia è - insieme alle
«La tradizione apporta alla coscienza distinta alcuni elementi fino ad allora racchiusi nelle
profondità della fede e della prassi, piuttosto che espressi, riferiti e riflessi. Quindi tale facoltà
il passato, dov’è il suo tesoro, essa va verso l’avvenire dov’è la sua conquista e la sua luce. Anche
le cose che va scoprendo, essa ha l’umile sentimento di ritrovarle fedelmente. Non ha innovazioni
da fare, poiché possiede il suo Dio e il suo tutto; ma ha sempre nuovi elementi da insegnarci,
Quindi Blondel vedeva nella fede vissuta e quindi anche nella celebrazione la possibilità di afferrare
la totalità della realtà di Dio trasmettendolo immediatamente a quella coscienza riflessa che
diversamente non avrebbe colto che una parte del tutto. Questo perché aggiunge Blondel «l’azione
16
Cf. A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,60.
17
Cf. A.Grillo - C.Valenziano, L’uomo della liturgia, Cittadella editrice, Assisi, 2017,15.
18
Y. M. Congar, La Tradizione e la vita della Chiesa, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo(MI) 1983,37.
10
ha il privilegio di essere chiara e completa anche nell’implicito; mentre il pensiero, col suo carattere
C’è, in conclusione, una tensione forte a superare lo storicismo critico, a enucleare il «proprium
della domanda teologica rispetto alla consolidata sapienza storica intorno all’evoluzione dei riti
cristiani»20 ma anche a superare la segmentazione delle discipline. In questo senso si capisce che una
buona interazione tra la teologia e la liturgia deve passare necessariamente dal dialogo con
l’antropologia.
4. La necessità antropologica
A questo proposito Crispino Valenziano racconta che «nell’immediata vigilia della Mediator
Dei che Chenu instituisce la questione del rilievo fenomenologico del rito in quanto tale, accostando
tematizzare il sacramento in modo diverso da come si faceva nella teologia liturgico/scolastica. Chenu
vide in questo accostamento un impegno spirituale e pastorale del Movimento Liturgico e in questo
impegno evidentemente Chenu avvertiva forte la sofferenza del versante pastorale della liturgia
Pensiamo alla questione della spiritualità dei sacramenti che si era imposta in modo acuto e che fu
discussa in ben due documenti del magistero: la Mediator Dei prima e la Sacrosanctum Concilium in
seguito. Nei due documenti magisteriali viene denunciata prima dell’urgenza di arginare il fenomeno
l’incapacità di trovare delle categorie concettuali adeguate per pensare la spiritualità liturgica
19
Y.M. Congar, La Tradizione e la vita della Chiesa, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo(MI) 1983,38.
20
Cf. A. Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,61.
21
C.Valenziano, Prospettiva culturale antropologica sulla liturgia, in A.J. Chupungco, Scienza Liturgica, II, Edizioni
Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999,196.
11
sacramentale come fondamento della spiritualità cristiana (cosi che la spiritualità cristiana non venga
Ora, questo problema sacramentale, si manifestava nel livello più profondo, dal basso, dove vive il
luogo proprio dei sacramenti e della liturgia: la comunità celebrante che fa, cioè, esperienza
rituale. Tutte le questioni, cioè, inevitabilmente sfociavano «negli imbarazzi della nostra prassi
celebrativa sacramentale, delle nostre eucarestie o dei nostri vespri, dei nostri battesimi o delle
nostre penitenze».22 Era quindi evidentemente connessa alla questione liturgica e anch’essa richiama,
A questo punto della vicenda è palese che una riforma del rito era in atto. Eppure essa non basta
perché ancora nelle prassi celebrative si nascondevano ancora grossi problemi teorici e viceversa in
essi si riflettono le aporie di una teologia imbrigliata nelle trame della speculazione razionale. La
lezione di Casel, Guardini, Blondel ecc…ancora non era evidentemente stata ben interiorizzata dalla
Chiesa.
Il problema di fondo stava nel fatto che nel tentativo di riformulare le questioni teologiche
fondamentali (comprese quelle sacramentali) si faceva un errore di prospettiva nel ritenere che per la
Per chiarire meglio la questione riportiamo come in un saggio di E. Mazza dedicato all’eucarestia23
si rileva in che modo Tommaso D’Aquino arrivi alla natura sacramentale dell’eucarestia, mediante
l’analisi metafisica del pane e del vino, come se il sacramento potesse essere studiato sotto tutti i suoi
aspetti in termini di sostanza ed accidenti. La parte celebrativa del sacramento, però, non è un ens ma
una azione e come tale non può essere spiegata secondo la linea dell’aquinate.
L’aporia sta nel fatto che Tommaso d’Aquino non si poneva affatto il problema del rito, essendo esso
presupposto, così come lo era l’unione di corpo e spirito, di intelletto e sensibilità che invece l’uomo
22
A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,132.
23
Cf.Ib.,137.
12
moderno scinde. «L’idea di protestatio fidei porta l’uomo moderno a collocarsi stabilmente al di
sopra del suo corpo»24 cioè riflette su qualcosa che ritiene di aver colto senza neanche aver
sperimentato.
Per chiarire questo aspetto Crispino Valenziano25 presenta un esempio. Egli immagina intanto che ci
sia la comunione al calice e si pone la domanda «che logica strana è mai questa, che nel momento in
cui il calice del sangue si avvicina a me io canto: “Padre, se è possibile, allontanalo da me”? É un
In realtà si stanno mettendo insieme due linguaggi diversi, uno verbale e uno non verbale per
permettere di cogliere la struttura della Parola riportata nel Sacramento che può essere colta solo se
si sperimenta che «intanto il calice del sangue ti viene offerto, affinchè tu te ne comunichi, perché il
padre non ha allontanato il calice dal Figlio ma glielo ha fatto bere fino in fondo, altrimenti tu di
Di fatto noi non ci comunicheremmo se il Padre non avesse fatto morire il Figlio sulla croce e quindi
noi comunicandoci sperimentiamo il fatto che «l’eucarestia ci viene offerta come frutto della sua
concluderemmo che non se ne può fare un discorso: «o lo sperimenti o è meglio non cantarlo».27
Va da sé quindi che l’uomo moderno non riesce a capire il rito come esperienza se non viene invitato
esplicitamente ad esperirlo usando delle categorie linguistiche che gli permettano di comprendere il
perché Pascal diceva «Inginocchiati e capirai» reagendo ai primi colpi della modernità del res
adeguata alla cultura del tempo, mentre non aveva più le qualità linguistiche adatte per comunicare
con la cultura moderna. L’errore, ultimamente, non era nella spiegazione della scolastica ma nel
24
A. Grillo - C. Valenziano, L’uomo della liturgia, Cittadella editrice, Assisi, 2017,21.
25
Cf.Ib.,89-90.
26
Ib.,90.
27
Ib.
28
Cf. Ib.,21
13
volerla riproporre al mondo moderno e restando nella totale incapacità di garantire la piena
cambio che vede un sacramento non più come genus signi et causae ma come genus symboli et ritus.
Secondo questa nuova visione, la celebrazione liturgica non è solo una realtà da spiegare ma un luogo
Se la visione razionalistica di una teologia che pretende ancora di rifarsi alla scolastica e al genere
segni piuttosto che al genere ritus impedisce la penetrazione esperenziale del dato salvifico e quindi
alla stessa teologia pastorale, viene a mancare una approfondita riflessione per fare emergere il
rapporto speculare tra pastorale e storia salvifica e quindi fare dell’atto della celebrazione un luogo
soteriologicamente centrale. Dire che il sacramento è in genere ritus piuttosto che signi è un altro
modo per dire che il sacramento non è qualcosa su cui si discute ma che si coglie immediatamente
Questo porta inevitabilmente a dover ricercare forme di comunicazione o modelli linguistici che
permettano celebrazioni in cui non solo la parola pronunciata ma la stessa forma comunica, cioè si fa
messaggio in modo che la pragmatica condizioni la semantica. Il compito non è semplice perché
rischia di non riuscire ad equilibrare il rapporto dialettico tra immediatezza rituale e mediazione
teologica finendo per cadere nell’identificazione del rito con l’oggetto della fede e quindi
29
Cf. G. Bonaccorso, La Liturgia e la fede.La teologia e l’antropologia del rito, Edizioni Messaggero,2014 Padova,84-
85.
14
4.3. La svolta antropologica
Ed è qui che la teologia sente l’urgenza di interpellare in modo serio e maturo la disciplina
antropologica. Il motivo implicito per il quale non c’è mai stata una vera comprensione tra teologia e
antropologia pare sia la mancanza di «chiarezza sulla diversità dei livelli su cui intessere il loro
rapporto».30 Questo è dipeso dal fatto che la teologia non ha mai distinto tra le varie branche
dell’antropologia. Essa è stata per lo più definita come sapere tecnico sorto alla fine del ‘700 «con le
dell’uomo e in genere la teologia ne ha fatto una scienza unica che ha sbrigativamente definito non
teologia proiettando su di essa tutto ciò che voleva che fosse. Per cui anche la filosofia (sapere con
Solo da una decina di anni si è fatta strada l’idea di una seconda svolta antropologica, in cui
«il riferimento non è dunque più ad una cultura antropologica originale (dell’uomo contemporaneo
occidentale), ma ad una cultura antropologica originaria (dell’homo anche religiosus) »32 per tentare
di capire come e perché la secolarizzazione abbia sottratto all’uomo una risorsa che era fondamentale
per l’integrità del suo profilo naturale. In questo nuovo corso si fa strada l’antropologia culturale
che costituisce il modo migliore per una riabilitazione del confronto con il rito per l’accesso alla
religione/fede cristiana.
Mi pare utile dare, anche sinteticamente, una lettura sulla modalità con cui questo rapporto tra
discipline si articola. Secondo Terrin bisogna evitare di leggere l’antropologia in chiave teologica ma
rimanere sul terreno antropologico per porre l’attenzione sull’uomo e sulla comunità che celebra la
liturgia. «Lo scopo è cercare stimoli e dare suggerimenti per aiutare la liturgia a comprendersi dal
basso»,33 cercare il cultuale nel culturale direbbe Crispino Valenziano, operando una ermeneutica di
30
A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,89.
31
Ib.
32
Ib.,91.
33
A.N.Terrin, Antropologia Culturale, in Nuovo Dizionario di Liturgia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo(Mi)
1993,82.
15
connaturalità tra la cultura e il culto, tra l’uomo e la liturgia nel leggere quel doppio momento
discendente e ascendente in cui Dio dona la salvezza e l’uomo questuante, ringrazia per il dono cioè
nell’interpretare «il modo in cui avviene il passaggio dal rituale alla comprensione della liturgia
cristiana nella sua caratteristica di azione di Dio e della Chiesa»,34 rendendo al rito la sua dignità
fontale per la teologia. Nel momento rituale, secondo Terrin, il credente e la comunità cercano
senso/donazione-di-senso.
Questo non significa dare ragione alla tesi funzionalistica e sociale, come non significa affermare che
per il cristiano nella celebrazione liturgica il mistero di Cristo e della Chiesa rivesta un ruolo
secondario e subordinato. Significa piuttosto riconoscere che l’uomo non dimentica mai sé stesso e il
suo ambiente vitale neanche al culto della chiesa. Significa anche che la dimensione simbolica,
trascendente, intenzionale del rito cristiano passa attraverso la dimensione funzionale e sociale della
Per fare un esempio esplicativo immaginiamo che ci sia un uomo con una incognita da affrontare: un
eseguirà un rito di crisi che può essere l’accendere una candelina al santo affinché interceda presso
all’ottenimento di una grazia importante. L’uomo che ha bisogno, supera la soglia, il limine per
raggiungere la trascendenza per mezzo di un rito. Certo, sappiamo bene che questi riti sono stati
accostati alla magia e rimossi dalla secolarizzazione ed in particolare dalla sociologia (con la
quanto fenomeni dell’uomo religioso e ha osservato che «il risultato e l’efficacia strumentale cui i
riti tendono è contornata da un insieme di sentimenti che da una parte aiutano a sperare e ad agire
34
A.N.Terrin, Antropologia Culturale, in Nuovo Dizionario di Liturgia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo(Mi)
1993,82.
16
sperando, mentre dall’altra rinforzano positivamente il credo cristiano»35 e rinforzano anche la
personalità.
Come si può intuire tutto questo rappresenta un passo in avanti importante rispetto ad una riforma dei
riti che rispondeva all’ingenua credenza che «il problema rito per il mondo moderno sia la mancanza
Capire che il problema del rito è ben più profondo e attiene al rito proprio per ciò che è così come è
In questa nuova “modalità” Chenu direbbe appunto che l’uomo e la liturgia ritrovano una
connaturalità37 cioè quella dimensione quasi paradossale di “intenzione e di affezione allo stesso
tempo”, simile all’innamoramento, di derivazione socio culturale che permette all’uomo di trovare un
atto»38) e quindi parteciparvi non significa semplicemente tradurre concretamente delle idee
teologiche, ma è farsi dare da pensare, farsi suscitare pensiero, farsi operare simbolicamente fino a
che si strutturino il corpo e il cuore, farsi iniziare, farsi formare non solo in quanto cristiano ma anche
come persona. Significa, in ultimo imparare a vivere così come si prega e si crede.
Per arrivare a questi livelli, i modelli linguistici che un liturgista può adottare devono essere
strettamente uniti al contesto culturale al quale, peraltro va prestata un’adeguata attenzione per
captare le modifiche delle prospettive attraverso le quali l’uomo tenta di dare senso alla vita.
In questo modo la celebrazione potrà avere un vero senso soteriologico e il rito potrà essere veramente
performativo non esaurendo il suo effetto con la celebrazione stessa, ma occupandosi di tutta la vita
del cristiano per educarla a saper comunicare con Dio attraverso i segni sacri e incidendo sulla loro
35
Ib.,83.
36
A.Grillo, La nascita della Liturgia nel XX secolo, Cittadella editrice, Assisi 2003,23.
37
G.Bonaccorso, La Liturgia e la fede. La teologia e l’antropologia del rito, Edizioni Messaggero, 2014 Padova,83.
38
Ib.,87.
17
identità (sulla formazione della loro identità) così come fanno le condizioni storico-culturali che nel
tempo mutano.39
5. Conclusione
Descrivendo la liturgia come monumento della tradizione, Congar scrive «Atto, celebrazione
reale e rito, la liturgia ha un eccezionale valore di totalità».40 E aggiunge che se un testo, anche
biblico viene colto sempre parzialmente, la liturgia invece si presenta come azione sintetica capace
di trasmettere tutta la realtà in un minimo segno. Congar cità pure S. Ilario che sosteneva come la
«dottrina trinitaria era tutta custodita nel battesimo, con l’efficacia delle parole mediante le quali
veniva amministrato».41 Prosegue sostenendo che «lo stesso rito è un meraviglioso conservatore
dell’integrità di un deposito e che solo grazie al rito, il Movimento Liturgico ed ecclesiologico ritrova
intatto un tesoro fino a ieri incompreso».42 Incalza facendo notare come il rito (in generale la liturgia)
riesca ad unire il valore più comunitario e quello più personale, il corpo e lo spirito, il fatto gerarchico
e il fatto popolare, il sacerdote e il popolo fedele che mirabilmente educa senza essere sterile dottrina
o morale.43 In fondo la vita cristiana ai tempi di Gesù il cristianesimo non era dottrina ma esperienza
di quello che significava vivere presso Gesù, nella sua sequela. Lo stesso è oggi per l’uomo «prodotto
da una pratica intelligente e docile della liturgia: un uomo pacificato ed unificato sono nel tessuto della
sua umanità dalla penetrazione quasi insensibile ma potente della fede, lungo un’esistenza di preghiere
e celebrazioni per mezzo delle quali ha imparato la lingua della Chiesa»44 e quindi dell’amore di Dio.
Con questa riflessione matura di uno dei maggiori padri conciliari del 900 concludo, sperando
di aver reso giustizia ad un argomento avvincente e complesso che certo meritava uno studio più
ampio e approfondito.
39
Cf. Ib.
40
Y.M. Congar, La Tradizione e la vita della Chiesa, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1983,137.
41
Ib.
42
Ib.,138.
43
Ib.
44
Ib.,139.
18
6. Bibliografia
19
Indice
1. Introduzione ............................................................................................................................................. 3
2. Il problema del metodo storico e il cammino verso una nuova scienza .................................................. 4
2.1. La presupposizione del rito.................................................................................................................. 5
2.2. La rimozione/sovradeterminazione del rito ....................................................................................... 6
2.3. I primi tentativi di reintegrazione del rito e il primo impulso alla riforma liturgica. .................... 7
3. La nascita della teologia liturgica e il suo statuto epistemologico ........................................................... 7
4. La necessità antropologica ........................................................................................................................ 11
4.1. Il problema spirituale e pastorale ..................................................................................................... 11
4.2. Il problema del linguaggio ................................................................................................................. 12
4.3. La svolta antropologica ...................................................................................................................... 15
5. Conclusione ................................................................................................................................................ 18
6. Bibliografia................................................................................................................................................. 19
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