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“Non tutto ciò che può essere contato necessariamente conta e non tutto ciò che conta può necessariamente essere contato”.
(Albert Einstein)
Introduzione
Da sempre ogni comunità umana s’è data delle regole e delle norme di comportamento in
grado di affrontare le varie situazioni che segnavano la vita del gruppo. Si trattava per lo più di
consuetudini, la cui origine si perdeva nella notte dei tempi, legate soprattutto ai riti di
passaggio – nascita, matrimonio, morte – oppure ai rapporti con altri membri del clan - in
occasione di controversie – e infine alle relazioni con gruppi estranei – guerra, pace, alleanza.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Con il progresso della civiltà queste norme, quasi sempre tramandate oralmente, divennero
scritte assumendo la caratteristica di legge, magari offerta agli uomini dagli dèi o decretata dal
sovrano ma comunque testimonianza concreta di alcuni principi condivisi, a sostegno della vita
collettiva. La legge era un’espressione non solo del bisogno di regolare rapporti umani e sociali
sempre più complessi, ma era anche il simbolo della cultura della comunità, piccola o grande
essa sia stata. La legge (che poteva essere non scritta) rappresentava, insieme alle varie
forme artistiche, ai rituali religiosi, all’ordinamento politico, la concretizzazione di una
particolare visione del mondo.
Con il trascorrere del tempo, le grandi civiltà si sono molto differenziate tra di loro costituendo
i sistemi di valori che ancora oggi fondano i più importanti modelli di pensiero e i più diffusi
modi di vivere. Quei modelli che, con il processo di globalizzazione, si incontrano e si scontrano
inevitabilmente, cercando però possibili punti di convergenza.
Nel corso della storia abbiamo assistito a due grandi traiettorie. Da un lato, come abbiamo
detto, con il progresso delle civiltà, si sono formati sistemi sempre più complessi, norme etiche
stringenti che quasi sempre non potevano distinguersi dall’orizzonte religioso, perché derivanti
da esso. Questi sistemi, pur non essendo completamente isolati l’uno dall’altro (numerosi
erano gli scambi commerciali e i contatti tra le civiltà), hanno però generato approcci valoriali
alla realtà molto distanti tra loro e che oggi, per esempio, distinguono oriente e occidente,
mondo arabo e culture tradizionali.
Ora l’incontro tra questi sistemi di valore è quotidiano e descrive la vita delle nostre città, gli
incontri tra le persone, i progetti di futuro. Dall’altro lato assistiamo al lento ma inesorabile
passaggio dalla dimensione collettiva a quella individuale, quindi propriamente etica. La
morale, almeno come la intendiamo noi in occidente, deve essere per forza legata all’individuo,
alla sua libera scelta, alla sua dimensione interiore. Questa trasformazione, decisiva per la
storia dell’umanità, ha portato in positivo al primato della dignità della persona e quindi alla
tutela dei diritti umani.
Infine un’ultima osservazione. Da sempre è esistita, proprio a livello etico e politico, una
grande differenza tra le classi dirigenti (comprese soprattutto le élite intellettuali) e la gente
comune, in gran parte ignorante e analfabeta, che rappresentava quasi l’intera maggioranza
della popolazione. Erano pochi maestri o studiosi (oppure uomini appartenenti alla sfera
religiosa) ad avere la capacità e la possibilità di ragionare su certi temi, mentre chi deteneva il
potere aveva l’interesse a mantenerlo in poche mani. Il sorgere della democrazia – che tra
mille impedimenti e tradimenti si è pur diffusa a livello planetario – ha portato ad una
significativa riduzione di questo dislivello, dando la possibilità a sempre più persone di uscire
da una condizione di sottomissione e d’inferiorità, quindi finalmente di cominciare ad esercitare
la propria libertà. Oggi la più grande battaglia di civiltà consiste proprio nello sciogliere gli
uomini da quelle catene che impediscono loro di essere persone pienamente libere, in grado di
concretizzare nella realtà le proprie scelte di vita, catene quali la povertà, la negazione del
diritto alla vita e alla salute, l’assenza di libertà politiche, l’impossibilità di accedere
all’istruzione e alle tecnologie informatiche.
È stato il filosofo greco Aristotele a porre per primo l’etica come specifico ambito del pensiero
umano, distinto per esempio dalla metafisica e dalla fisica e connesso alla dimensione della
politica. L’etica non è una scienza bensì una prassi, indica una maniera per vivere bene.
Aristotele insiste molto sulla necessità di concretezza quando si parla di norme morali: esse
devono essere un orientamento pratico, una via per esercitare la virtù, un modo con cui ci si
possa relazionare positivamente con gli altri. L’uomo, “per natura animale politico”, secondo la
celebre definizione aristotelica, deve pensarsi sempre immerso in un contesto sociale: così ci si
riallaccia alla grande tradizione ellenica della polis, della città governata da leggi giuste dove gli
uomini liberi possono compiere le loro scelte. È la democrazia di Atene, soprattutto nel V
secolo a.C., a rappresentare il modello ideale più alto di questa stringente correlazione tra
libertà e realizzazione umana, tra etica e politica. L’uomo autentico trova nella libera
partecipazione alla vita pubblica della città la condizione necessaria per concretizzare la propria
essenza più profonda. Va ricordato che la traduzione storica di questo ideale democratico
presenta molte discrepanze e alcune incongruenze (differenze basate sul censo, schiavitù,
contrapposizione tra greci e barbari…) che differenziano fortemente l’antica Grecia dai sistemi
contemporanei. Là però si gettarono le basi per il pensiero politico occidentale moderno,
fondato sul primato della libertà.
L’incontro del cristianesimo con il mondo romano e la sua istituzionalizzazione come “religione
di Stato” hanno modificato queste istanze di libertà, collegando invece sempre di più la nuova
fede con il potere costituito. Nel corso dei secoli, mentre la società europea si stava evolvendo
verso il sistema feudale, la Chiesa stessa diventava un potere in grado di condizionare e
controllare l’orientamento etico delle masse. Nasceva così la “cristianità”: formalmente
cristiani, gli ordinamenti politici medievali – basati sull’autorità e sulla gerarchia – sposavano in
linea di principio la morale dettata dalla Chiesa che serviva come collante interno e come
ideologia esterna, indispensabile per affrontare il nuovo nemico, il mondo mussulmano.
L’incontro con nuovi mondi ha scosso molte sicurezze dell’Europa mettendo il continente di
fronte all’alterità e alla diversità: giudicati selvaggi, primitivi, senza anima, bestiali e quindi
senza dignità, i popoli scoperti potevano essere sterminati, schiavizzati e le loro culture
cancellate. I massacri e i saccheggi seguiti alla conquista europea delle Americhe non possono
essere dimenticati: tuttavia per la prima volta personaggi illuminati. come per
esempio Bartolomeo de Las Casas, proponevano un nuovo approccio con il diverso, rompendo
con la logica della superiorità e della centralità della civiltà europea e aprendo a quello che oggi
chiameremmo rispetto per i diritti umani. Si trattava comunque di posizioni molto isolate,
mentre l’intera classe dirigente, politica e intellettuale, propendeva per lo sfruttamento e la
“civilizzazione” dei popoli via via incontrati. Un atteggiamento che si ripeterà nell’età
dell’imperialismo europeo e probabilmente fino alla seconda guerra mondiale, quando di colpo
l’Europa non si troverà più al centro del mondo.
Nel contempo, a partire dal XVI secolo e soprattutto dopo le guerre di religione, la riflessione
del giusnaturalismo gettava le basi per dotare ogni individuo di quei diritti fondamentali
posseduti per natura e non per condizione sociale o per concessione di qualche autorità.
Questa impostazione venne ampliata e raffinata durante l’illuminismo quando la divisione tra
Stato e Chiesa, tra civile e religioso, venne posta come punto fondamentale per l’evoluzione
della società.
La ricerca di un’etica fondata sulla ragione e quindi universalmente valida trova nel pensiero
del filosofo tedesco Kant uno dei vertici di tutti i tempi: all’uomo si offrono numerose scelte
morali, ma egli soggiace a un imperativo categorico che lo chiama ad agire “come se” i propri
principi dovessero essere applicati e seguiti da ogni uomo. La persona deve essere considerata
sempre come un fine, mai come un mezzo. Questa impostazione consente a Kant una grande
visione politica cosmopolita che anticipa di decenni la necessità di un governo mondiale per
garantire la pace e di un’etica il più possibile condivisa.
Occorre ricordare però che, lungo tutti questi secoli, la gente comune era completamente
estranea a questi processi culturali e viveva secondo valori tradizionali basati sul legame alla
terra, sulla famiglia patriarcale, sull’ossequio alla religione e all’autorità. La rivoluzione
francese e quella industriale diedero una scossa a queste consuetudini millenarie:
l’urbanizzazione, la nascita della fabbrica, l’ascesa della borghesia e, in politica, le prime
traduzioni pratiche degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità, pur tra mille contraddizioni,
modificarono in profondo la società nella direzione dell’individualismo e della secolarizzazione.
La conquista di diritti democratici, economici e poi politici avvenne quasi sempre contro il
potere costituito e contro la stessa Chiesa, conservatrice e restia ad ogni cambiamento.
Mentre l’Europa si dilaniava in cambi di regime, moti di protesta, repressioni autoritarie, guerre
distruttive (culminate nel Novecento), gli Stati Uniti diventavano la patria della libertà e di
un’etica capitalista e individualista fondata sulle capacità del singolo, sull’impresa, sulla
ricchezza e quindi sul consumo. Nella seconda metà del XX secolo, dopo la vittoria degli Alleati
nella Seconda guerra mondiale, questo modello, sostenuto dalla potenza militare ed economica
americana e dalla sua capacità propagandistica, si impose a tutto l’occidente inaugurando l’età
del mercato, dei consumi, dello sfruttamento ambientale. In positivo il predominio americano
portò alla nascita delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che
sancisce a livello globale la consacrazione di un sistema di valori imperniato sulla centralità
della persona e dei suoi diritti inalienabili, sulla libertà di religione e di espressione,
sull’uguaglianza al di là di etnia, cultura, condizione sociale o economica.
Nei decenni successivi l’allargamento della sfera dei diritti individuali coinvolse dapprima la
componente nera della società americana, con il movimento di emancipazione degli anni ‘60,
poi di altre minoranze a cominciare dalla comunità omosessuale. Contemporaneamente il
modificarsi della struttura sociale sancì un nuovo ruolo per le donne che divennero attive
protagoniste della propria vita, a prescindere da quei vincoli tradizionali che per secoli le
avevano relegate in posizione di subalternità. La diffusione dei metodi contraccettivi portarono
ad una sessualità più consapevole e più libera da legami istituzionali, come per esempio il
matrimonio, dando alle donne maggiore libertà di scelta: le leggi sul divorzio e sull’interruzione
della gravidanza, varate via via nei paesi occidentali, aprirono la strada a una nuova idea di
famiglia e sancirono che la donna è padrona del proprio corpo. Questa evoluzione degli stili di
vita causò una netta divisione, se non contrapposizione, etica tra quanti, sorretti magari
dall’appartenenza ad una comunità religiosa, criticano questa tendenza libertaria
interpretandola come una degradazione dei costumi, e quanti vorrebbero estendere ancora
l’uguaglianza dei diritti: la questione mai sopita dell’aborto e recentemente del matrimonio tra
omosessuali testimoniano la delicatezza di certi argomenti ma anche l’intrinseca pluralità di
approcci etici nel mondo contemporaneo.
In estrema sintesi il sistema di valori caratteristico della cultura occidentale ha portato nei
secoli ad una progressiva centralità dell’individuo come portatore di diritti. Il capitalismo, il
modello democratico e la logica del mercato e del consumo sono stati i vettori principali di
questa traiettoria che, in positivo, ha dato dignità a persone da sempre ai margini della
società, ma che, in negativo, ha favorito gli squilibri economici, la povertà, lo sfruttamento
delle risorse naturali e la corsa agli armamenti. Questa duplice tendenza si sta ripetendo a
livello globale.
Per ora ci siamo concentrati sull’evoluzione del sistema di valori che sta alla base della cultura
occidentale: ciò è inevitabile in quanto il processo di globalizzazione ha “esportato”, con le armi
e con il mercato ma anche con una forza attrattiva intrinseca, la visione etica di matrice
europea in quasi tutto il mondo.
Al modello occidentale si oppose per alcuni decenni del Novecento il sistema comunista che, se
privilegiava la giustizia sociale e perorava anch’esso l’assoluta uguaglianza degli individui, in
concreto si rivelò una dottrina economica insostenibile, un’uniformità verso il basso e
soprattutto un controllo ideologico sulle coscienze, tramutato in regimi autoritari, che lo fecero
crollare nel giro di poco tempo.
Le istanze positive della lotta per l’emancipazione dei poveri e del desiderio di una maggiore
giustizia a livello globale, tipiche della tradizione socialista e in generale della sinistra,
permangono tuttavia in movimenti sindacali, in organizzazioni internazionali, in formazioni
politiche che cercano di tutelare i diritti degli emarginati, dei popoli minacciati, inaugurando
una nuova attenzione per l’ambiente (cosa assolutamente negletta dalle dittature comuniste).
Esistono civiltà millenarie tuttavia che, con le dovute differenze, hanno abbracciato il modello
di vita occidentale quasi con frenesia: basti pensare al caso della Cina – dove l’etica confuciana
basata sul rispetto, la gerarchia, la formazione intellettuale e l’ossequio all’autorità, innerva
ancora la società – che però, dopo l’addio al comunismo maoista, ha sposato il capitalismo, la
libera impresa, il profitto a tutti i costi secondo il principio per cui “arricchirsi è glorioso”.
L’armonia e l’equilibrio, traguardi evocati più volte dalla dirigenza cinese, sono in realtà
sacrificati a un’idea di potenza nazionalistica, di progresso e di sviluppo del tutto simile a quella
che guida l’occidente e che fino a ieri non era stata messa in discussione da nessuno. La Cina
ha accettato la globalizzazione. Sul rispetto dei diritti umani le cose cambiano e il Celeste
impero riscopre la prevalenza della collettività sull’individuo, della conservazione del “sistema”
piuttosto che la tutela della libertà della persona: su questo le strade con l’occidente
divergono. Ugualmente però la Cina rincorre e non riesce a proporre un modello etico
alternativo.
Dall’oriente però può giungere il fondamentale apporto di una sensibilità capace di cogliere
l’esistenza umana in una relazione inestricabile con la natura: come il pensiero non può
disgiungersi dalla materia così l’uomo non può slegarsi dall’ambiente che lo circonda e lo nutre.
L’ecologia del profondo connessa all’ideale nonviolento di un grande saggio e uomo d’azione
come Gandhi rappresenta la premessa per una nuova visione morale che fonda il rapporto
dell’uomo con la terra e con gli altri uomini sulla benevolenza, sulla cura e sul rispetto.
Una delle tradizioni culturali più irriducibile a qualsiasi omologazione rispetto al modello
occidentale è senza dubbio quella di matrice islamica. Il quadro storico è troppo complesso e
articolato anche solo per un accenno, ma è chiaro che oggi il mondo mussulmano sta vivendo
un difficile confronto con le istanze valoriali della modernità: libertà di religione e di coscienza,
parità tra i sessi, distinzione tra peccato e reato, divisione tra sfera religiosa e politica.
Quest’ultimo è l’aspetto più delicato da cui discendono tutti gli altri. Per esempio i paesi di
cultura mussulmana non hanno accettato la Dichiarazione universale del 1948 elaborando, alla
luce del Corano e della tradizione, una Dichiarazione islamica sui diritti dell’uomo diversa da
quella accettata da tutti. Questa sostanziale alternativa di linguaggio si replica ovunque in
quanto il fenomeno migratorio degli ultimi decenni ha trasformato anche le società europee (e
non solo) in un crogiolo di idee e di sensibilità diversissime tra loro.
In particolare, una partita complessa si gioca intorno alla dignità e al ruolo della donna che, in
alcune zone dove prevale una rigida e anacronistica interpretazione di una certa visione
religiosa islamica, è sottomessa e discriminata in una maniera inaccettabile per qualsiasi
minimo standard di tutela dei diritti umani. I matrimoni forzati delle bambine, le mutilazioni
genitali femminili, la privazione della possibilità di istruirsi sono alcuni aspetti che non possono
essere tollerati e che in realtà esulano da una corretta applicazione della giurisprudenza
islamica. Non bisogna però incorrere nell’errore di richiedere a una cultura millenaria di
modificare completamente il proprio approccio valoriale: sta al mondo mussulmano guardare in
se stesso per trovare una via di dialogo e di confronto possibile con l’etica contemporanea,
sapendo che anche l’islam è capace di tolleranza e di progresso culturale. E sapendo che ormai
l’incontro tra le civiltà è un inevitabile prodotto della storia. In Europa si è parlato di modello
multiculturale, comunitario, inclusivo ma l’integrazione tra diversi è sempre un’operazione
complessa e forse poco realistica. Alla fine però, per garantire la convivenza almeno dal punto
di vista pratico, punti comuni si trovano partendo dalla centralità della dignità della persona,
irrinunciabile acquisizione della modernità.
La questione della pluralità degli approcci etici e del tentativo di trovare una sintesi condivisa,
almeno su alcuni punti fondamentali, è un aspetto centrale per comprendere la globalizzazione.
Il doveroso rispetto per la libertà di coscienza altrui e per i costumi di una comunità si scontra
talvolta con l’altrettanto doverosa ricerca di un sistema di valori capace di interpretare le
urgenze del mondo interconnesso e di raggiungere quei traguardi che l’Onu ha chiamato
“Obiettivi del millennio”. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo potrebbe essere la
base per edificare questo sistema? Oppure è più realistico considerarla come una cornice
minima in cui far rientrare l’enorme varietà di vedute?
Sono questioni aperte che rimettono in discussione radicati schemi mentali, come
l’etnocentrismo e la supposta superiorità della civiltà occidentale. La democrazia e la ricerca
della pace e di una positiva convivenza richiedono non solo di accettare bensì di apprezzare
modi di vita diversi dai nostri, sistemi di valore che, per ignoranza o per pregiudizio, facciamo
fatica a comprendere. Il rispetto per l’alterità è uno dei fondamenti per una globalizzazione
pacifica.
Non tutti i sistemi di valori possono essere messi sullo stesso piano, questo è evidente: esiste
però una sapienza antica, comune a tutti i popoli, che sembra indicarci la via dell’incontro e
della convivenza. È il principio che sta alla base dell’etica, fondando la relazione pacifica tra gli
uomini: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso”. È la cosiddetta
regola d’oro, che si ritrova con parole simili in tutte le civiltà. Anche dai popoli primitivi
possiamo imparare questa sapienza. La sfida è proprio quella di concretizzare una nuova etica
della globalizzazione, superando molti stereotipi. Per esempio, dai nativi americani, ai popoli
dell’Africa fino a quelli dell’estremo nord polare, gli indigeni sono stati per secoli marginalizzati
e ancora oggi visti per lo più come gruppi folklorici destinati all’estinzione: ma la diversità
culturale, allo stesso modo della biodiversità, rappresenta una necessità per garantirci il futuro.
Il rispetto dell’uomo si accompagna oggi con il rispetto della natura. Ecco un primo punto su
cui cercare una convergenza.
Proprio il tema dell’ecologia si incrocia dagli anni ‘70 del secolo scorso con una grande
riflessione teorica sull’etica nell’età della tecnica, sul rapporto cioè tra l’uomo e la natura in un
tempo in cui abbiamo strumenti per trasformarla a nostro piacimento ma anche per
distruggerla. L’etica ecologica prevede una modifica dello stile di vita occidentale e lancia una
sfida a un modello economico che agisce come se le risorse naturali fossero inesauribili,
saccheggiando così il pianeta e rubando il futuro delle prossime generazioni. Proprio pensando
ad esse invece il filosofo Hans Jonas propone un nuovo approccio etico per il XXI secolo
fondato sull’idea che ogni azione deve essere pensata, progettata e compiuta tenendo conto
delle conseguenze che essa avrà sulla vita futura della Terra e degli uomini. Dovrebbe essere
un’etica universale, razionalmente valida in quanto poggiata sul principio della responsabilità
verso gli altri, che trova rilevanza in tutte le culture.
Un’altra frontiera superata dall’evoluzione della storia umana è quella della tecnologia applicata
alla medicina. Riferendoci sempre all’occidente, negli ultimi decenni l’età media si è molto
allungata, le condizioni di vita migliorate e molte malattie curate o debellate: tuttavia spinosi
dilemmi etici sono sorti, i confini tra la vita e la morte si sono sbiaditi mentre scelte difficili si
presentano all’individuo e a tutta la società. Sono così nati comitati etici, protocolli d’intesa,
convenzioni internazionali (ricordiamo fra tutte la “Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina”, approvata ad Oviedo nel 1997 dal Consiglio d’Europa) per esempio per sancire i
parametri per cui una persona possa essere dichiarata clinicamente morta (il primo protocollo
fu elaborato all’Università di Harvard nel 1968) e quindi i suoi organi possano essere espiantati
e poi donati. Questa ricerca di accordi si estende poi alle questioni dell’inizio della vita (se un
embrione umano può essere definito persona, se è lecito l’utilizzo delle cellule staminali
embrionali…) e della fine (la differenza tra eutanasia e accanimento terapeutico, tra rifiuto
delle cure e suicidio assistito). Questi temi, oggi all’ordine del giorno, dividono le coscienze e
distinguono quanti fanno riferimento a un orizzonte religioso a chi giudica secondo una ragione
autonoma: grandissime sono le differenze tra gli uomini che ugualmente sono chiamati dalla
storia a trovare percorsi comuni.
Infine, ma forse prima per importanza e urgenza, è la questione del modello economico del
futuro. Coniugare etica e economia è ormai diventato una priorità pure per i fautori più accaniti
del libero mercato. La deregulation finanziaria finisce per danneggiare lo stesso mercato, ma è
l’idea di uno sviluppo infinito ad essere messa in discussione. Diverse campagne sono state
promosse dalla società civile organizzata al fine di reindirizzare l’economia e la finanza verso
l’equità.
Al di là di tutto però serve una svolta di tipo etico, declinando l’interdipendenza dell’umanità in
un nuovo sistema di valori, sempre più necessario per non morire di eccessiva globalizzazione.
Oggi più di ieri la logica economica dominante modifica la nostra visione del mondo. Occorre
invertire questa tendenza ricominciando a parlare di etica.
Documenti
- UNESCO (Consiglio islamico d’Europa): Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo (in italiano, pdf)
Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi 2002.