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SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI

INTRODUZIONE ALLA SOCIOLOGIA


La società è un concetto complesso e polivalente, complesso perché sono tanti gli elementi costitutivi della società, è
costituita da tanta parte della vita e delle relazioni umane. La società contiene quasi tutto ciò che riguarda la vita
degli uomini tranne: fatti psichici (filosofia), fenomeni trascendenti (teologia) e la natura fisica.
Quando ci si riferisce alla società come polivalente significa che è un concetto che è stato declinato in modi diversi,
rappresentato e concepito secondo diverse valenze, infatti ogni epoca storica ha inteso il concetto di società a modo
suo:

Nozione di società nell’età premoderna  Per gli antichi la società è un tutto organico (un cosmos) che comprende
e sovrasta ogni cosa.

• Nella Grecia antica la società era rappresentata come un organismo composto di parti che stanno in precise
relazioni le une con le altre, la nozione di società non esiste, il termine con cui la definivano è polis (la città-stato,
un insieme di gruppi parentali che si dà un ordinamento politico).

• Qualche secolo dopo a Roma con l’affermarsi della cultura latina in occidente il modo di concepire la società
cambia, il latino ci fornisce l’etimo che costituisce la radice di molti modi di definire la società in occidente, ovvero
il termine societas, viene abbandonata l’idea di tutto organico e naturale e indica il farsi socius, cioè un’azione
volontaria di un raggruppamento di individui che perseguono una finalità comune (contratto).

• Nel Medioevo riemerge con la Scolastica la visione ellenistico-aristotelica di una totalità organica composta di parti
in relazioni naturali, con funzioni precise, ordinate e orientate al bene comune.

Nozione di società nella prima modernità  le grandi narrazioni.


Si afferma l’idea di società come costruzione artificiale frutto di un processo associativo (contratto) degli individui, si
riprende la visione dell’antica Roma.

• Hobbes, all’alba dell’illuminismo, voleva congedarsi dalla tradizione ellenistico-latina, dai canoni della cultura
classica, e cercò di utilizzare metodi di analisi più induttivi. Secondo lui ciò che caratterizza l’uomo è la facoltà
della ragione, nella società delle origini, prima di essere influenzato da varie concezioni culturali, l’uomo si trovava
nella condizione dell’omo omini lupus, situazione in cui è una potenziale minaccia per altri uomini siccome
utilizza una ragione di tipo utilitaristico, costi-benefici, perciò se un altro uomo si frappone al soggetto nel
raggiungimento del suo obbiettivo, aumentando i costi, la reazione è quella di eliminare questa minaccia. L’uomo
capì che non era confortevole vivere in questo stato di natura e decise di cedere parte del suo potere e della sua
libertà al Leviatano, metafora che indica lo stato, che si trova ad avere nelle mani un capitale di potere e di forza
molto elevato e che è autorizzato ad utilizzare per stabilire qual’è il limite della sfera di libertà d’azione di ogni
individuo senza invadere la sfera di libertà d’azione di altri individui. Ecco che secondo Hobbes è nata la società. In
realtà non ha preso concedo, la sue osservazione non è empirica, non è priva di qualsiasi pregiudizio, è un’analisi
deduttiva alla fine, questo fu limite di Hobbes.

• Ferguson e Smith erano degli illuministi, pensavano che la società anziché essere il risultato della presa di
coscienza della scarsa confortevolezza dello stato di natura fosse piuttosto il risultato di una originaria
generalizzata ed universale caratteristica degli esseri umani che li inclina ad avere un atteggiamento di naturale
fiducia gli uni nei confronti degli altri, ciò genera la società civile l’insieme delle relazioni contrattuali e di scambio
economico (ciò che non è Stato o Chiesa), base su cui vengono costruite tutte le istituzioni della società.

• Secondo Hegel la società è il risultato di un processo di tesi (famiglia), antitesi (mercato) e sintesi (stato etico). La
società nasce dalla situazione in cui gli uomini all’interno di un gruppo famigliare intrattengono relazioni e
funzioni definite dall’etica. A questa società naturale si contrappone una società artificiale creata dall’uomo, un
modo di vivere sociale in cui gli scambi aumentano all’interno di un economia di mercato caratterizzata non da
cooperazione ma da competizione. Proprio di questi due elementi nasce lo stato etico, che rappresenta una
sintesi, un insieme comunitario e contrattuale con un orientamento etico-religioso. Hegel ritorna un’idea di
organicità, non più però naturale, né esclusivamente contrattuale, ma una combinazione degli aspetti comunitari e
contrattuali a sfondo etico religioso. Rivede la prospettiva di Hobbes innescando un processo di dialettica
nell’evoluzione della società, realizza una forma di società che riesce a contenere aspetti di cooperazione e
competizione fra gli individui, attraversa lo stato di diritto.

• Secondo Marx la società è il prodotto delle basi materiali (un’altra forma di organicità, che ribalta la prospettiva
hegeliana perché la sintesi dialettica non è più ideale, ma materiale)

La nozione di società nella modernità  Se nella prima modernità la società era rappresentata attraverso grandi
narrazioni (leviatano, società civile, stato etico) con l’affermarsi del pensiero sociologico si inizia a cercare un metodo
di analisi induttivo, che osservi la realtà empirica, si attua un’opera di decostruzione delle grandi narrazioni e si
comincia a pensare alla società come ad un livello specifico di realtà che al suo interno è composto da altri piani,
piani concreti di azione e di relazione tra gli individui (piano economico, piano politico, …).

Il punto di arrivo odierno della sociologia non è osservare la società attraverso una nuova grande narrazione (sia essa
un originario stato di natura, una macchina/sistema o una grande visione ideazionale), ma considerarla nel farsi delle
relazioni in contesti determinati. Tutto ciò non è facile, l’oggetto di studio è molto complesso e composto da aspetti
ambivalenti e contraddittori, la sociologia perciò fatica a stabilire la propria modalità d’indagine. Nel tempo si è
aperto un dibattito tra i sociologi:

• da un lato si è creato il fronte dell’individualismo metodologico (se vuoi fare scienza delle cose umane e sociali
secondo un criterio empirico devi osservare le azione e i comportamenti degli individui), di fatti coloro che
sostengono l’individualismo metodologico pensano che la società sia il risultato delle azioni individuali.
Il fatto sociale è un prodotto degli individui.

• altri pensano che per fare ciò sia necessario presupporre l’esistenza delle istituzioni, dimensioni che influenzano il
comportamento umano, (queste istituzioni spiegano il comportamento dell’individuo in determinati contesti) essi
sono chiamati olisti metodologici. Costoro pensano che la società sia l’insieme delle istituzioni e delle strutture
sociali che orientano e si impongono all’agire individuale e che sia un sistema che orienta e si impone all’agire
individuale. Il fatto sociale come determinismo di una struttura che condiziona le parti (gli individui).

Fare scienza della società  Questo dibattito ha prodotto due modi di intendere la scienza sociale: per far scienza
delle cose umane e sociali possiamo decidere di spiegare o comprendere i fenomeni sociali.

• Spiegare: dar conto delle relazioni che generano un fenomeno sociale (individuare delle leggi che governano le
relazioni tra variabili) ciò vuol dire mettere in relazione tra loro delle variabili, cercare un fenomeno ed individuarne
la causa ovvero la variabile. Es Isaac Newton con la forza gravitazionale; oppure la differenziazione funzionale, man
mano che aumentano gli individui di una società, aumentano le differenziazioni di gruppi all’interno di es a.
• Comprendere: mettersi in relazione al proprio «oggetto» di studio cercando ci interpretare il processo di
elaborazione del senso, questa metodologia studia la società secondo una prospettiva comprendente, questi
sociologi usano le interviste ed i colloqui in profondità, trascrivono il contenuto delle interviste e lo analizzano
qualitativamente, cercando di capire perché una persona è arrivata ad avere un certo orientamento o a tenere un
certo comportamento, qual’è stato il processo che l’ha portata ad agire in quel modo.

Concetto di relazione nell’epoca classica  Secondo Aistotele il concetto di relazione è una nozione prima che non
ammette definizione, non è solo una referenza di ragione (come vogliono gli scettici), ma ha una sua realtà, anche se
derivata. La relazione sociale ha una realtà naturalistica ed esprime un “essere ad altro” (l’uomo come animale
politico).
La cultura romana ci fornisce la radice etimologica: relatio (da referre), indica il riferimento di un ente ad un altro
secondo un determinato modo.

Concetto di relazione nell’epoca medievale L’interesse per il concetto è ancora metafisico, ma si ha un forte
spostamento verso l’uso della relazione come strumento di conoscenza e come oggetto di conoscenza in sé, che
prelude agli sviluppi in senso gnoseologico della modernità.
A seguito della riflessione scolastica è possibile pensare alla relazione come ens sui generis. La relazione ha realtà
dipendente dai termini (Tommaso). La relazione è il fondamento dei termini che devono la loro distinzione reale dal
riferimento dell’uno all’altro
Concetto di relazione nell’epoca moderna Hume: la relazione non ha realtà alcuna
Kant: la relazione è una forma soggettiva a priori in base alla quale l’intelletto giudica (conosce la realtà) Hegel: la
relazione è la realtà in quanto sintesi del processo dialettico (tesi – antitesi – sintesi).
Concetto di relazione nella modernità matura Simmel, Weber, von Wiese, Husserl, Buber, realizzano la svolta
relazionale, ovvero Non si osserva per entità, ma per relazioni, si sviluppa un sistema relazionale di osservazione.
WEBER, una prima definizione di relazione  “Per relazione sociale si deve intendere un comportamento di più
individui instaurato reciprocamente secondo un contenuto di senso, e orientato in conformità”. Weber ci offre la
prima definizione di relazione, sta dicendo che se due persone si scontrano in bicicletta, questo non è una relazione
sociale perché i due ciclisti si sono scontrati proprio perché non si sono tenuti in considerazione reciprocamente.
Subito dopo lo scontro cominceranno a tenersi in considerazione. In sostanze le persone Instaurano il loro agire
tenendo in considerazione gli altri.
SIMMEL e la società I concetti fondamentali:
-Svolta relazionale;
-Reciprocità;
-Effetto di scambio.
“L’intuizione che l’uomo è in tutta la sua essenza e in tutte le sue manifestazioni, determinato dal fatto di vivere in
azione reciproca con altri uomini deve certo condurre a una nuova forma di considerazione in tutte le cosiddette
scienze dello spirito. Non è ora più possibile spiegare i fatti storici, nel senso più ampio della parola, cioè i contenuti
della cultura, i tipi di economia, le norme della moralità partendo dall’uomo singolo, dal suo intelletto e dai suoi
interessi e, dove ciò non riesce, ricorrere a cause metafisiche o magiche (…) Piuttosto noi crediamo ora di comprendere
i fenomeni storici in base all’agire reciproco e all’agire in comune degli individui, in base alla somma e alla
sublimazione di innumerevoli contributi individuali in base al concretarsi delle energie sociali in formazioni che
stanno e si sviluppano al di là dell’individuo.”
La società “esiste là dove più individui entrano in azione reciproca. Quest’azione sorge sempre da determinati impulsi
o in vista di determinati scopi. Impulsi erotici, religiosi, o semplicemente socievoli, scopi di difesa e di attacco, di
gioco e di acquisizione, di aiuto e di insegnamento, nonché innumerevoli altri, fanno sì che l’uomo entri con altri in
una coesistenza, in un agire l’uno per l’altro, con l’altro e contro l’altro, in una correlazione di situazioni, ossia che
eserciti effetti sugli altri e ne subisca da altri. Queste azioni reciproche significano che dai portatori individuali di
quegli impulsi sorge un’unità, cioè appunto una società”.
Simmel tra i filosofi classici è quello che ha maggiormente colto la rilevanza della relazione per la sociologia, la svolta
relazionale è avvenuta con lui, si è concentrato sul concetto di reciprocità e l’effetto di scambio, la relazione è ciò che
emerge da uno cambio che avviene fra gli individui. L’uomo è determinato dal fatto di vivere in azione reciproca, dal
fatto di avere dei rapporti reciproci con altri. Secondo lui non si può spiegare la società partendo dall’uomo singolo.
Approccio relazionale  Paolo Donati è stato fra i primi a parlare di sociologia relazionale e disse: “come
conseguenza del lungo processo culturale che abbiamo appena descritto (dibattito tra olisti ed individualisti) la
qualità del sociale è emersa come realtà di genere proprio sempre più differenziata rispetto ad altri tipi di realtà,
finché si è visto che sociale, in senso specifico, è la relazione che intercorre tra i soggetti in quanto agiscono
riferendosi gli uni agli altri in un certo modo. La relazione sociale, non l'individuo o la singola azione qua talis, e
nemmeno un pre-supposto sistema sociale, costituisce la cellula del tessuto sociale”.
Negli ultimi anni c’è una certa convergenza sul fatto che l’oggetto di studio della sociologia che permette di uscire
da queste ambivalenze sia la relazione sociale. La relazione sociale è un fenomeno emergente (ovvero è ciò che
emerge dalla relazione fra gli individui) rispetto alle parti di cui è composta ed è dotata di una realtà sui generis.
Per spiegare il fenomeno emergente bisogna usare una metafora, l’acqua è composta da un due atomi di idrogeno e
uno di ossigeno, sono due gas, perciò essa è un effetto emergente tra la relazione di questi due gas, poiché è liquida
e non infiammabile. Le relazioni hanno una realtà sui generis, non le possiamo osservare fisicamente, pero possiamo
cercare di semantizzarle, ovvero di interpretarle, cercare di capire come sono fatte, esse sono composte da tre
semantiche:

• Semantica del re-fero (autonomia dei soggetti)


• Semantica del re-ligo (riferimento reciproco)
• Semantica dell’effetto emergente. La reciprocità, in quanto elemento intrinseco (forma) della relazione sociale,
genera effetti emergenti, gli «effetti di reciprocità». La relazione sociale non è solo la somma dei processi connessi
all’azione di Ego nei confronti di Alter e alla reciproca azione di Alter rispetto ad Ego, ma è anche, per via della
continua interdipendenza che caratterizza la realtà sociale, un terzo processo che si forma in quanto i processi
d’azione di Ego e di Alter sono allo stesso tempo causa ed effetto l’uno dell’altro. Tale effetto emergente ha una realtà
di genere proprio, che gli conferisce poteri causali specifici.
Affinché possa avvenire una relazione sociale autentica è necessaria la presenza di almeno due individui, dotati di
autonomia ed intenzionalità, i due alter devono riconoscere che tra loro esiste qualcosa che non dipende da loro, c’è
una sorta di legame che li costringe ad interpretare il senso del loro agire in un certo modo, qualcosa di esterno ai
due soggetti, generato da loro stessi. Ciò che generano è ciò che li condiziona.
La relazione è composta da una dimensione di autonomia e di dipendenza allo stesso tempo, dimensioni che
logicamente sembrano contraddittorie.

La relazione sociale  «In generale per relazione sociale si deve intendere la realtà immateriale (che sta nello
spazio-tempo) dell'interumano, ossia ciò che sta fra i soggetti agenti, e che -come tale - costituisce il loro orientarsi
e agire reciproco per distinzione tra ciò che sta nei singoli attori - individuali o collettivi - considerati come poli o
termini della relazione» (Donati p. ).

Aspetti soggettivi della relazione  La relazione sociale ha caratteri liberi, razionali, deliberanti, significanti,
propriamente e solamente umani

Aspetti oggettivi della relazione  La relazione sociale ha anche caratteri istintivi, meccanici, automatici, tipici dei
rapporti tra esseri viventi non umani. Inoltre ha caratteri propri strutturali, di legame:
-La relazione ha un'intrinseca struttura reciprocitaria ed emergenziale;
-Le relazioni sociali generano una struttura sociale e un sistema culturale che condiziona il comportamento degli
attori.
La relazione sociale è sia il prodotto delle concrete persone umane, sia ciò che le forgia e la persona è sia il generante
sia il generato della società in cui vive.

LA CULTURA
La cultura è un concetto dalla lunga data, un concetto controverso e complesso.
Etimologia  Il termine cultura deriva dal latino colere, coltivare la terra, per estensione l’idea del coltivare venne
portata all’ambito umano e cominciò a significare anche processo di coltivazione dell’animo umano.
In origine (classicità greca)  I greci associavano la cultura all’educazione e alla formazione umana, secondo loro
facendo propri i contenuti della cultura ogni sinolo individuo sviluppa la propria anima, e facendone propri tanti
diventa un uomo dall’animo colto e riesce a tradurre i migliori contenuti simbolici che la società in cui vive è riuscita
ad elaborare.
La società nel corso del tempo elabora dei contenuti simbolici e tramanda quelli di maggior qualità alle nuove
generazioni, chiedendo ai giovani di assorbirne il più possibile, un’icona di ciò è l’enciclopedia che conteneva il
sapere umano con lo scopo di valorizzarlo e trasmetterlo.
Fino al XVIII secolo (concezione umanistica o classica)  la cultura si applica all’educazione delle persone per
indicare l’istruzione/erudizione.
A partire dal XVIII (concezione moderna: illuminista e socio-antropologica)  L'illuminismo propone l'idea di un
patrimonio universale di conoscenze e valori formatosi nella storia dell'umanità, l'antropologia la descrive come un
insieme omogeneo di tradizioni, disposizioni morali, conquiste intellettuali e tecniche, che esprimono lo spirito più
profondo e autentico di un popolo.

Come conseguenza dello sviluppo storico sociale emergono due modi di intendere la cultura: la concezione
classica, umanistica e la concezione delle scienze sociali. Secondo la concezione classica, umanistica la cultura è
concepita come ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto, mentre secondo le scienze sociali la cultura, o civiltà,
nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, il diritto, la
morale, i costumi e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.

La cultura è un concetto complesso e polivalente, nel corso della storia sono state elaborate numerose definizioni tra
le quali:
• La maniera complessiva di vivere di un popolo;
• L'eredità sociale che un individuo acquisisce nel suo gruppo di appartenenza;
• Un modo di pensare, sentire, credere;
• Un'astrazione derivata dal comportamento;
• Una teoria formata dall'antropologo sul modo in cui si comporta effettivamente un gruppo di persone;
• Un deposito del sapere posseduto collettivamente;
• Una serie di orientamenti standardizzati nei confronti dei problemi ricorrenti;
• Un comportamento appreso;
• Un meccanismo di regolazione normativa del comportamento;
• Una serie di tecniche per adeguarsi sia all'ambiente sia agli uomini;
• Un precipitato di storia, una mappa, un setaccio, una matrice, una bussola.

Cultura e civiltà  La differenza fra cultura e civiltà rimanda ai due modi di intendere la cultura umanistica, classica e
quella proposta dalle scienze sociali, secondo quanto propone la cultura classica la cultura è qualcosa di distinto
rispetto alla civiltà, mentre secondo la concezione moderna delle scienze sociali la civiltà sta in una certa relazione
con la cultura, ovvero è un aspetto della cultura.

La civiltà è un “complesso di elementi o tratti della cultura, materiali o ideali, cui la maggior parte delle società
umane pare avere attribuito in ogni epoca, con esiti tendenzialmente convergenti […] un valore positivo e
progressivo rispetto agli elementi omologhi di cui poteva disporre in precedenza, manifestando tale valutazione con
il preferire detti elementi agli altri.”

Gli elementi della civiltà sono: il linguaggio, la scienza, la tecnica e i mezzi di produzione industriale, i mezzi di
trasporto, i mezzi di comunicazione e i mass media, le tecniche dell’igiene pubblica e personale, il diritto, le tecniche
organizzative e burocratiche, etc.

La cultura in senso classico rimanda più alle attività soggettive, variabili e leggere, alla coltivazione dell’animo umano,
un’attività di un soggetto singolo, oppure ciò che esprime il senso profondo di un’epoca storica (arte, erudizione).
Dall’altro lato la civiltà è fatta di attività più oggettive il cui carattere è dato dalla continua accumulazione e
dall’irreversibilità (buone maniere, tecnica e diritto).

L’ambivalenza della cultura  Tra cultura in senso classico e cultura nelle scienze moderne sembra esserci una
distinzione e un’ambivalenza:
 La cultura intesa in senso classico e umanistico rimanda alla sensibilità nei confronti di “ciò che di meglio è stato
pensato e conosciuto” e alla coltivazione dell’animo umano (paideia) e della morale ed èun’attività soggettiva.
Questo tipo di cultura quando guarda alla cultura intesa come civiltà critica questo modo di intendere la cultura e le
rivolge un’accusa di filisteismo (atteggiamento grezzo) i filistei erano un popolo confinante con il regno ebraico ed
erano considerati una popolazione piuttosto rozza. Il rischio che corre questo modo di intendere la cultura è quello
di elitismo, di concepire la cultura come qualcosa che è appannaggio di un numero ristretto di persone, di una
specie di aristocrazia, un altro rischio è quello di concepire la cultura in opposizione alle norme sociali (l’uomo colto
ha un animo libero, è un uomo talmente raffinato che non ha bisogno di norme sociali che circoscrivano il suo
comportamento entro i confini della civiltà), infatti uno dei valori più rilevanti del concetto classico di cultura è quello
di libertà.
 La cultura intesa come civiltà rimanda all’interiorizzazione e all’apprendimento di un insieme complesso di saperi,
credenze, arte, costumi, tecniche, … Più che l’animo umano coltiva l’etichetta, le convenzioni e le conoscenze
pratiche, è un’ attività collettiva e oggettiva. La cultura concepita in questo modo critica e accusa la cultura in senso
classico come una forma di etnocentrismo, ovvero la accusa di proporsi come se fosse al cento del mondo (l’uomo
colto costituisce un faro per gli altri uomini).
Il rischio che si corre concependo la cultura in questo modo è quello di conformismo, chiedere alle persone che si
comportino tutte in un certo modo, che seguano il bon ton, da qui il valore di questo modo di intendere la cultura è
quello di sottolineare il controllo sociale che pero può sfociare in repressione.

L’ambivalenza tra i due concetti di cultura e civiltà può essere sintetizzata attraverso la distinzione/opposizione tra
forma e contenuto. La civiltà propone forme di comportamento codificato (le buone maniere), strumenti pratici
(tecniche, utensili) che non è detto siano il frutto di un animo umano colto e «nobile».

Natura e cultura Perché abbiamo bisogno di significati? Arnold Gehlen dice che gli animali sono caratterizzati da
una forte specializzazione, in virtù del processo di selezione naturale il codice genetico degli animali ha sviluppato
un istinto e delle caratteristiche biologiche che rendono l’animale adatto (specializzato) a vivere in un determinato
ambiente, l’animale è dotato di un istinto che gli permette di valutare rapidamente qual’è la cosa migliore da fare
agendo in un determinato ambiente. Diversamente da tutte le specie animali l’uomo è scarsamente specializzato,
Gehlen dice è un essere generico, è privo di istinti precisi, infatti alla nascita il cucciolo della specie uomo ha
pochissimi istinti. Questa scarsa specializzazione potrebbe essere un limite poiché mentre gli animali sono guidati
dall’istinto l’uomo deve imparare ad interagire con l’ambiente, però grazie a questa caratteristica l’uomo può
adattarsi e vivere in qualsiasi tipo di ambiente. (la cultura sostituisce l’istinto)

Questo vantaggio della specie uomo ha potuto realizzarsi perché mentre il comportamento dell’animale è in buona
parte geneticamente determinato quello dell’uomo è un comportamento appreso attraverso l’interiorizzazione di
contenuti culturali. Possiamo dire che la cultura, o meglio l’apprendimento della cultura, è sostanzialmente
l’equivalente funzionale dell’istinto che hanno le altre specie animali, è ciò che mette in relazione l’essere generico
della specie uomo con l’ambiente naturale.

“L’uomo non si inserisce spontaneamente nella realtà naturale del mondo come l’animale, ma si scinde da essa e le si
oppone con i propri fini, lotta, usa violenza e la subisce. (G. Simmel, 1908) L’uomo ha bisogno di un filtro per poter
rapportarsi con la natura, questo filtro è rappresentato dalla cultura.

Proprio attraverso la mediazione dei simboli gli esseri umani:


• Interpretano e danno un significato al mondo;
• Elaborano i contenuti della loro coscienza;
• Esprimono la loro vita interiore;
• Interagiscono in modo ordinato con i loro simili (ordine sociale).

Ambivalenza e paradossalità della soluzione culturale al problema della mediazione con la natura  Da un
lato la cultura è un prodotto, una determinazione parziale e contingente della realtà ad opera delle società umane,
dall’altro essa esige di essere considerata dagli individui che la interiorizzano come incontrovertibile (che guida l’agire
umano) è loro chiesto di dimenticare la contingenza e la convenzionalità dei significati (la cultura è un prodotto delle
società umane che serve agli individui per rapportarsi alle varie realtà, pur essendo un prodotto degli individui
quando questa viene messa in atto deve essere considerata non come un prodotto ma come qualcosa di relativo).

Le scienze sociali si sono chieste se fosse nato prima l’uomo o la cultura, c’è stato prima uno stato di natura in cui
l’uomo era privo di cultura e poi la cultura è venuta pian piano emergendo nei singoli membri della specie umana e
si è arrivati ad avere la visione dell’uomo che abbiamo adesso oppure l’uomo così come lo conosciamo è tale proprio
perché realizza il suo rapporto con gli ambienti attraverso la cultura. Queste sono due concezioni diverse, la prima è
una concezione stratigrafica dell’evoluzione della specie che considera che l’uomo sia venuto sviluppandosi
vestendo degli abiti culturali su una base organica razionale. La seconda è una concezione interattiva che ritiene
che la base biologico-razionale sia venuta sviluppandosi assieme all’evoluzione culturale.

Se gli esseri umani si rapportano al mondo attraverso la mediazione di forme simboliche (la cultura), non è detto che
le forme simboliche coincidano punto per punto con la realtà, con il loro contenuto. C’è sempre una distanza fra
forma e contenuto, la forma non riesce a coprire punto per il punto il contenuto, in un certo senso il contenuto è
sempre al di la della forma, si possono dare sempre tante interpretazioni della realtà esterna. Al tempo stesso le
forme della cultura (le forme simboliche) sono lo strumento attraverso il quale l’uomo esprime se stesso, ovvero la
sua interiorità, anche se non sono in grado di trasmettere pienamente i nostri pensieri.

Uscire dalle precedenti ambivalenze grazie al concetto di significato  Crespi propone di comporre
l’ambivalenza dei rapporti coscienza-cultura, natura-cultura, forma-contenuto, attraverso la distinzione tra senso e
significato.
Il senso rimanda alla facoltà della coscienza di interpretare e dare ordine ad una realtà caratterizzata da un insieme
pressoché infinito di possibilità di esperienza e di azione; il senso è la facoltà tipica del genere umano di elaborare
delle interpretazioni delle varie realtà con cui l’uomo ha a che fare, questa facoltà è tipica della coscienza degli
essere umani (la coscienza degli essere umani opera attraversi processi di elaborazione del senso) e serve a dare
ordine alle realtà, caratterizzate da un insieme infinito di possibilità, esperienza e azione messe a disposizione
all’essere umano.
Il senso opera attraverso l’elaborazione dei significati, quindi il significato rimanda alle singole e specifiche
determinazioni (mediazioni) della realtà che assumono di volta in volta “corpo” e contenuto nell’esperienza degli
uomini e delle società. Gli esseri umani esprimono la produzione di senso attraverso l’elaborazione dei significati.
Il significato si costruisce attraverso segni. Il soggetto che mette in relazione il segno con qualche altra cosa realizza
un processo psichico di significazione.
A partire da questa distinzione possiamo proporre una prima definizione di cultura di Clifford Geertz, secondo lui la
cultura è «una struttura di significati, trasmessa storicamente, incarnati in simboli, un sistema di concezioni attraverso
le quali gli uomini comunicano, perpetuano la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita». Attraverso una
concezione della cultura come struttura di significato possiamo uscire dall’ambivalenza poiché sia la cultura
umanistico, classica sia la cultura delle scienze sociali sono costituite da forme simboliche, da significati elaborati
dall’individuo attraverso la sua facoltà di senso. Al tempo stesso utilizzando il concetto di senso si comprende
l’ambivalenza tra forma e contenuto, la facoltà di produzione del senso che elabora significati è una caratteristica
dell’essere umano che non può essere mai ridotta a nessuna della sue manifestazioni concrete, a nessuna delle
elaborazioni di significato, è per questo che c’è una distinzione fra forma e contenuto. Utilizzare il concetto di senso
ci consente di osservare l’ambivalenza circa il fatto che mentre la produzione della cultura è realizzata dagli esseri
umani al tempo stesso quando gli uomini la utilizzano devono considerarla come qualcosa di dato per scontato che
consente loro di elaborare altri significati. Gli esseri umani utilizzano degli indizi simbolici di vario tipo e attraverso
questi simboli che mutuano dalla cultura producono nuove interpretazioni della realtà.

Wendy Griswold definisce la cultura come il lato espressivo della vita umana, la cultura è il modo in cui la vita
umana, caratterizzata da questa facoltà di elaborazione del senso, si esprime. Secondo la Griswold la cultura è fatta
di comportamenti, oggetti e idee che possono essere visti come espressioni di qualcos’altro (senso e significati).

Se il concetto di significato riesce a rappresentare contemporaneamente gli aspetti di cultura e civiltà, cultura e
struttura sociale, occorre individuare le modalità della loro integrazione. Griswold risolve la questione attraverso i
concetti di:
• oggetto culturale: un significato condiviso incorporato in una forma (Griswold), è un’espressione significativa
udibile, visibile, tangibile, una storia che può essere narrata, recitata, cantata, ecc
per fornirci un esempio chiarificatore di che cos’è un oggetto culturale la Griswold propone l’esempio del pane
come oggetto culturale, si rifà alla sua esperienza e spiega che quando era bambina, nel secondo dopo guerra
negli stati uniti andava molto di modo il Wonder Bread (pane in cassetta). Questo pane ebbe un grande successo
perché era considerato di ottima qualità perché infuso di sostanze nutrienti.
Negli anni 70 i movimenti di contestazione hanno cominciato a consumare pane integrale come segno di
contrapposizione alla società capitalista. Questi due modi di intendere uno stesso oggetto culturale rimandano
alla cultura delle vecchia Europa dove il pane aveva avuto un ruolo molto importante come alimento per tutti i ceti
sociali, queste varie idee del pane sono molto diverse per altre culture per le quali non è importante.
• Diamante culturale: strumento per poter osservare la cultura in modo adeguato, è un quadrilatero ai cui vertici
troviamo quattro concetti, il concetto di oggetto culturale, il concetto di creatore (significati), il concetto di
ricevitore ed il concetto di mondo sociale. Basta cambiare il mondo sociale in cui l’oggetto culturale viene ospitato
che cambia il modo di ricevere l’oggetto culturale, la Griswold sottolinea l’importanza del fatto che quando si
analizza un fenomeno culturale dobbiamo cercare di capire quali sono le relazioni tra i creatori, il mondo sociale,
gli oggetti culturale e i ricevitori, ma anche le relazioni tra il mondo sociale e l’oggetto culturale e tra i creatori ed i
ricevitori (sia ai quattro lati, sia alle due diagonali).
Secondo la Griswold nella sociologia dei processi culturali c’è stata prevalentemente la tendenza ad osservare
sopratutto la relazione tra il mondo sociale e gli oggetti culturali o tra gli oggetti culturali e il mondo sociali (ci si è
soffermati solo su una diagonale), da qui è emersa una concezione della cultura che lei definisce teoria del
riflesso, ci si è chiesti se gli oggetti culturali siano uno specchio del mondo sociale o viceversa.

La teoria del riflesso si è poi evoluta in varie forme fino ad arrivare al suo superamento:
Dal riflesso come rispecchiamento (riflesso di), teoria di Marx e approccio funzionalista;
Al riflesso come riflessione (riflesso su), pensiero di Weber;
E oltre, ovvero la creazione sociale della cultura.

KARL MARX
Karl Marx vive nel pieno romanticismo in Germania, la cultura tedesca è fortemente influenzata dal pensiero di Hegel
che ha tra i suoi tratti principali l’idea che la realtà sia una manifestazione dello spirito, è il sistema simbolico o gli
aspetti spirituali che in qualche modo danno forma alla realtà, alla storia dell’umanità. Marx studiò Hegel
appassionatamente, ma se ne discostò dal pensiero, rifiutava il conservatorismo e l’idealismo hegeliano e in questa
sua presa di distanza dalla filosofia di Hegel Marx frequenta la corrente filosofica della sinistra hegeliana, attraverso i
lavori di Feuerbach Marx si convince sempre di più che il punto di partenza dello studio filosofico deve essere lo
studio dell’umanità.
Marx e la sinistra hegeliana  Il punto di partenza è perciò lo studio dell’umanità, ossia l’uomo reale che vive nel
mondo reale, Hegel vede il reale come emanazione del divino, dello spirito mentre per Feuerbach il divino è il
prodotto illusorio del reale. L’essere e l’esistenza precedono il pensiero, il pensiero deriva dall’essere e non viceversa.
Per Marx la cultura è il risultato dei condizionamenti materiali.

Come conseguenza di questa prospettiva se per Hegel lo sviluppo dell’umanità è frutto dell’alienazione di Dio da se
stesso, per Feuerbach Dio esiste nella misura in cui l’uomo è alienato da se stesso e ha bisogno di proiettare le sue
facoltà più elevate, ma alienate, sulla divinità, secondo lui la filosofia ha il compito di aiutare l’uomo a riappropriarsi
del suo io alienato svolgendo una critica della religione. Marx, affrontando il pensiero di Feuerbach, afferma che al
pensiero filosofico rimane il compito di affrontare una critica dell’economia politica, una critica della morale, una
critica della cultura, ecc e ritiene di doversi impegnare in queste azioni di sviluppo di pensieri critici.

La sociologia di Marx  Secondo Marx per fare una vera scienza delle cose umane e sociali e poter apprendere a
fondo la società occorre partire da quelle che lui chiama le basi materiali della società, unico reale riferimento
empirico per lo studioso; questa forma di pensiero prende il nome di materialismo storico. Le basi materiali di una
società sono costituite dalla distribuzione della proprietà dei mezzi di produzione.

La struttura della società è costituita dalle forze di produzione e dai rapporti di produzione, tutte le altre strutture
sociali, cultura, religione, diritto, economia sono sovrastrutture che hanno la funzione di mantenere la distribuzione
dei mezzi di produzione fornendo una ideologia della realtà.

Le forze di produzione sono composte da:


 gli individui che lavorano e costituiscono la forza-lavoro
 i mezzi di produzione, ovvero tecniche e macchinari;
 le conoscenze tecniche e scientifiche.
I rapporti di produzione sono composti da:
 le relazioni che si stabiliscono tra gli individui nella sfera della produzione,
 trovano la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà.
(es: passaggio dal feudalesimo al capitalismo: esigenza di risorse per i feudatari, appropriazione del plus-lavoro dei
contadini, progressiva perdita di autonomia nell’organizzazione del proprio lavoro, esproprio dei mezzi di
produzione, espulsione dalle terre, creazione del bracciantato rurale).
Tracce della teoria dello specchio nella filosofia di Marx  Compito delle scienze sociali è formulare una critica
della sovrastruttura (ideologia) svelandone la dipendenza dalla struttura, soltanto prendendo coscienza di questa
dipendenza si può modificare la struttura delle società e renderla meno iniqua. Ciò che conta è realizzare una teoria
scientifica della società in grado di cogliere l’essenza interna dei fenomeni, al di là delle apparenze (mediazioni
simboliche) ingannevoli.
Secondo Marx c’è un condizionamento della struttura della società sugli oggetti culturali, tutti gli oggetti culturali in
qualche modo dipendono dal mondo sociale e sono una sovrastruttura, perciò la cultura è una sovrastruttura, per
Marx la cultura realizza due funzioni principali nella società capitalista:
1) Riproduce le diseguaglianze sociali e e le relazioni di produzione della società capitalista.
2) Serve a legittimare le diseguaglianze (sotto forma di meritocrazia), vengono fornite delle narrazioni affinché
vengano considerate giuste queste relazioni inique.
I principali limiti della teoria di Marx sono:
- una visione dicotomica e conflittuale della società;
- non ci sono solo due classi contrapposte;
- la relazione tra cultura e struttura è biunivoca, circolare;
- il processo storico-sociale non può essere spiegato attraverso argomentazioni deterministe, monocausali;
- non sottopone la sua stessa teoria al criterio generale da lui adottato di considerare l’attività teorica come un
riflesso della prassi.
I difensori di Marx mettono in evidenza una doppia radice del suo pensiero:
- l’una positivista e determinista;
- l’altra dialettica (hegeliana, romantica) che lo spinge, quando parla della rivoluzione a rivalutare gli elementi
soggettivi, attivi, volontaristici della coscienza di classe.
APPROCCIO FUNZIONALISTA
Il funzionalismo si è diffuso nell'ambito sociologico a partire dagli anni quaranta del Novecento, grazie al lavoro di
Talcott Parsons, Robert Merton e Marion J. Levy Jr., che si fonda sul funzionamento del sistema piuttosto che
sull'individuo.
Tracce della teoria del riflesso nell’approccio funzionalista  Secondo questo approccio le società, come gli
organismi viventi, manifestano delle esigenze e le istituzioni socio-culturali sorgono proprio in risposta ai bisogni
della società (l’arte, la religione, il diritto, ..). Le istituzioni operano in un sistema di mutua interdipendenza per
soddisfare i bisogni della società. Anche in questo caso si vede una sorta di determinismo della struttura della
società, ovvero le esigenze della società che danno vita a tutti gli aspetti simbolici della società. Questa teoria si trova
agli antipodi rispetto alla teoria marxista.
Il principale problema di questa teoria è l’inattendibilità dell’argomento della testimonianza sociale ovvero l’idea
che possiamo conoscere una società direttamente attraverso le sue opere culturali e istituzioni. L’idea che per
esempio certi prodotti culturali della nostra società, come le fiction, siano in qualche modo specchio della struttura
della società. Un’altra problematica è il ruolo che è riservato all’autonomia dei soggetti perché se le strutture della
società (anche quelle simboliche) sono il prodotto del mondo sociale allora c’è poco spazio per la creatività del
soggetto, c’è una mortificazione del polo dei creatori intesi come soggetti dotati di libertà e autonomia.
MAX WEBER
Max Weber nasce nel 1964 in Germania, nella sua carriera fu fortemente influenzato dallo storicismo tedesco, una
corrente di pensiero che si concentra sul dibattito metodologico nell’ambito delle scienze sociali e fornisce un
importante contributo alla comprensione sociologica del rapporto tra cultura e società. Lo storicismo tedesco osserva
che ogni epoca storica ha un’individualità di pensiero e necessità di un metodo di studio specifico in grado di
comprendere la specifica coerenza interna di significato, per comprendere il sistema di significati che ha qualificato le
società che si sono succedute nel tempo le scienze sociali devono concentrarsi sull’analisi dell’erlebnis (espedire
vivente), ovvero all’esperienza dei soggetti, considerata l’unità minima di analisi delle scienze dello spirito. Tutto ciò
ha portato lo storicismo tedesco a dare una grande distinzione tra scienze dello spirito (osservano l’espedire
vivente) e scienze della natura (osservano i fenomeni materiali).
Weber fa sua questa prospettiva di analisi della realtà e per prima propone la distinzione fra comprensione e
spiegazione dei fenomeni sociali. La spiegazione richiede la produzione di leggi generali, la comprensione
l’attribuzione di un significato ad un “mondo” di significati.
Le scienze dello spirito debbono operare una comprensione dell’unicità e del senso dei fenomeni sociali attraverso la
capacità dell’osservatore di rivivere e riprodurre il senso dell’esperienza soggettiva. In sociologia ciò significa che il
ricercatore deve cogliere il senso dell’azione soggettiva, immedesimandosi in un certo senso, con l’attore sociale e
cercando di comprendere il contesto nel quale si trova inserito.
La conoscenza sociologica intesa come processo di comprensione (Verstehen) dell’agire individuale non è da
considerarsi come descrizione neutrale di un oggetto esterno, ma come incontro tra due mondi di significato.
Il ricercatore sociale osserva dunque i fenomeni da un punto di vista particolare e a partire dalla sua esperienza
vissuta (Erlebnis), ciò però non vuol dire abdicare di fronte alla oggettività del sapere. L’oggettività del sapere
dipende dal rigore con il quale, una volta scelto e dichiarato il punto di vista attraverso il quale osservare il
fenomeno, il ricercatore porta avanti la sua ricerca realizzando una verifica empirica della sua ipotesi di partenza.
Questa impostazione metodologica ha un’influenza specifica sul modo in cui viene inteso il rapporto tra cultura e
società (struttura sociale).
Tracce della teoria dello specchio nella filosofia di Weber  Dall’approccio individualista di Weber nasce una
variante della teoria del riflesso (intesa come riflessione su) che vuole mostrare l’influenza dei significati culturali sulle
strutture sociali (in particolare sulle strutture economiche). Il pensiero di Weber su questo punto è espresso nella sua
opera l’Etica protestante e lo spirito del capitalismo, l'opera di Weber è incentrata sulla ricerca delle influenze culturali
nel processo di modernizzazione e razionalizzazione della società (società moderne caratterizzate da: scienze, arti,
burocrazie, funzionari ben addestrati, tendenza al guadagno in un sistema economico capitalistico).
L’argomento di Weber nella sua opera è: “Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno, e non
soltanto di questo, ma di tutta la civiltà moderna: la condotta razionale della vita fondata sull’idea di professione, è
nato, ciò vorrebbero dimostrare questi saggi, dallo spirito dell’ascesi cristiana.” Weber prende le mosse da un’analisi
della religione protestante che nasce a seguito delle riflessioni teologiche di Martin Lutero che elabora una teologia
secondo la quale il tema della salvezza dell’anima deve essere considerata come un dono di Dio, è qualcosa di
troppo grande per essere una conquista dell’uomo con le sue sole forze e tanto meno può essere acquistata, è frutto
della misericordia divina. Ciò significa assumere una posizione di predestinazione, Dio può concedere la grazia a
prescindere dalle azioni dell’uomo. Questa concezione rischia di lasciare il fedele in balia degli eventi e può produrre
una sorta di sconforto, secondo Weber, quindi bisogna evitare qualsiasi dubbio circa la propria salvezza e agire nella
propria vita per dare maggior gloria a Dio. Nasce così una concezione dell’uomo di fede non più come una
condizione dalla quale l’uomo si ritira dal mondo e contempla la divinità, ma come un invito ad impegnarsi nella
realtà quotidiana, vi è un’ascesi intramondana, ovvero l’elevazione dell’anima verso dio avviene impegnandosi nella
vita quotidiana. Ciò porta ad intendere la professione come una vocazione, così il fedele protestante è condotto ad
una razionalizzazione della propria attività che diffondendosi per contagio tra i fedeli protestanti produce la
rivoluzione industriale. Il processo di rivoluzione industriale è perciò stato acceso nei paesi di origine protestante.
Come accade che da una tale etica religiosa sia favorito lo sviluppo del capitalismo? Occorre innanzitutto
comprendere lo spirito del capitalismo ed i suoi nessi con i consigli pastorali alle anime dei pastori protestanti. “Nel
concetto di Beruf trova dunque espressione quel dogma centrale di tutte le chiese protestanti (...) secondo cui
l'unico modo di essere graditi a Dio non sta nel sorpassare la moralità intramondana con l'ascesi monacale, ma
consiste esclusivamente nell'adempiere ai doveri intramondani, quali risultano dalla posizione occupata dall'individuo
nella vita, ossia dalla sua professione, che appunto perciò diventa la sua “vocazione” (Beruf)”.
Che cos’ha portato questo diverso modo di intendere la professione nel mondo protestante? Eber analizza i
cambiamenti osservando lo stile di vita dell’imprenditore, in particolare mette a confronto l’imprenditore
tradizionale con l’imprenditore protestante.
Imprenditore tradizionale  “Fino alla metà circa del secolo scorso, la vita di un mercante-imprenditore, almeno in
certi rami dell'industria tessile continentale, era piuttosto comoda, dal nostro punto di vista odierno. Le cose si
svolgevano grosso modo così: i contadini portavano i loro tessuti (…) nella città dove abitavano i mercanti-
imprenditori, e, dopo un esame accurato e spesso ufficiale della qualità, riscuotevano il prezzo corrente. I clienti dei
mercanti-imprenditori, per lo smercio in tutti i paesi più lontani, erano intermediari che si recavano ugualmente nella
loro città, per lo più non compravano ancora secondo i campionari, ma secondo le qualità tradizionali e del
magazzino, oppure ordinavano (in questo caso con grande anticipo), dopo di che l'ordinazione era eventualmente
trasmessa ai contadini. Se mai accadeva che i mercanti imprenditori andassero a visitare i clienti, lo facevano
raramente per lunghi periodi, altrimenti bastava la corrispondenza, e l'invio di campionari che si sviluppava
lentamente.”
I riflessi di tutto ciò sulla vita quotidiana dell’imprenditore tradizionale erano: “II numero delle ore d'ufficio era
limitato, forse cinque o sei al giorno, talvolta decisamente meno, di più nella stagione degli affari, se c'era, il
guadagno era discreto, sufficiente per un decoroso tenore di vita, e, nei buoni periodi, per mettere da parte un
piccolo patrimonio; nel complesso, una tolleranza reciproca dei concorrenti relativamente alta, sulla base di un
grande accordo sui principi degli affari, visita quotidiana e redditizia al circolo e, inoltre, secondo i casi, un boccale
alla sera, riunione, e in genere un comodo ritmo di vita.”
“Era una forma di organizzazione «capitalistica» in ogni senso, se si considera il carattere puramente affaristico e
commerciale degli imprenditori, o l'intervento indispensabile di capitali che erano investiti nell'impresa, o infine se si
guarda al lato oggettivo del processo economico, o al modo in cui, erano tenuti i libri. Ma era un'economia
'tradizionalistica', se si considera lo spirito che animava gli imprenditori: il modo tradizionale di vivere, il livello
tradizionale del profitto, la misura tradizionale di lavoro, il modo tradizionale di condurre gli affari, il carattere
tradizionale dei rapporti con i lavoratori e con una clientela a sua volta sostanzialmente tradizionale, nonché il modo
tradizionale di conquistare clienti e di smerciare i prodotti […].”
Ora, a un certo momento questo agio veniva improvvisamente turbato, e spesso senza che avesse avuto luogo
nessun cambiamento di principio nella forma di organizzazione (per esempio passaggio all'azienda chiusa, al telaio
a macchina, e simili). Ciò che è cambiato è il modo di intendere la professione.
Imprenditore protestante  “Ciò che accadeva era invece soltanto questo, per lo più: un giovane membro di una
famiglia di mercanti-imprenditori della città si recava in campagna, sceglieva accuratamente i tessitori di cui
abbisognava, ne aumentava la dipendenza e il controllo, e trasformava così questi contadini in operai, ma d'altro lato
si incaricava personalmente dello smercio, con un approccio quanto più diretto possibile agli acquirenti finali (ai
dettaglianti), si procurava personalmente nuovi clienti, che andava a visitare regolarmente ogni anno, ma,
soprattutto, sapeva adattare la qualità dei prodotti esclusivamente ai loro bisogni e desideri, renderli loro gradevoli,
“appetibili”, e al tempo stesso cominciava ad applicare il principio basso prezzo, grande smercio.”
“Ben presto si ripeteva quella che è sempre e ovunque la conseguenza di un processo di razionalizzazione siffatto:
chi non saliva (chi non si adattava), doveva scendere. L'idillio crollava, s'infrangeva sotto l'aspra lotta concorrenziale
incipiente, patrimoni cospicui erano guadagnati e non messi a frutto, anzi investiti ripetutamente negli affari, il
vecchio modo di vivere placido e comodo lasciava il posto a una dura sobrietà: e in quelli che tenevano il passo e
salivano, perché non volevano consumare, ma acquisire (i nuovi imprenditori), e in quelli che restavano fedeli al
passato, poiché dovevano limitarsi (i vecchi mercanti). E, ciò che qui soprattutto importa, in questi casi di regola non
fu un afflusso di nuovo denaro, a provocare tale rivoluzione […] la, provocò il nuovo spirito, appunto lo spirito del
capitalismo moderno che aveva fatto il proprio ingresso. Il problema delle forze motrici dell'espansione del
capitalismo moderno non è in primo luogo un problema della provenienza delle riserve pecuniarie …”
"Il Puritano volle essere un professionista (l'imprenditore protestante ha scelto di essere un professionista che
razionalizza la sua attività professionale, si orienta al risparmio, riduce lo spreco, opere secondo il principio del
“tempo è denaro”), noi dobbiamo esserlo. Poiché in quanto l'ascesi fu portata dalle celle dei monaci nella vita
professionale e cominciò a dominare la moralità laica, essa cooperò per la sua parte alla costruzione di quel potente
ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi
determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare (…) lo stile della vita di ogni individuo, che
nasce in questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all'attività puramente economica. Solo come un
mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via (…) la preoccupazione per i fini esteriori doveva avvolgere le spalle
degli 'eletti'. Ma il destino fece del mantello una gabbia d'acciaio, ciò che era una libera scelta dell’imprenditore
protestante ha generato un sistema economico produttivo che è diventato una gabbia d’acciaio, nella quale noi oggi
viviamo, un sistema economico razionalizzato, burocratizzato dal quale è difficile uscire.”
“Mentre l'ascesi imprendeva a trasformare il mondo e ad operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo
acquistarono una forza sempre più grande nella storia. Oggi lo spirito dell'ascesi è sparito, chissà se per sempre, da
questa gabbia. Il capitalismo vittorioso in ogni caso, da che posa su di un fondamento meccanico, non ha più
bisogno del suo aiuto (della cultura religiosa da cui è nato)."
Weber ribalta la prospettiva Marxiana e mostra come sia possibile che oggetti culturali, nella fattispecie un certo
modo di intendere la fede cristiana, portino a modificare le strutture sociali, le basi materiali della società. l’influenza
degli oggetti culturali sul mondo sociale non è deterministica, ovvero è sempre possibile che il mondo sociale
condizioni gli oggetti culturali.
Quindi possiamo affermare che con il pensiero di Weber c’è un superamento del determinismo materialista, emerge
l’idea che la cultura concorre a dar forma alle strutture sociali, viene introdotto il concetto di ceto sociale cioè
qualifica i gruppi sociali a partire da un lato dalla ricchezza ma anche dalla cultura, dai contenuti simbolici che quel
gruppo sociale fa propri. Un altro aspetto rilevante che ricaviamo dalla teoria di Weber è la rilevanza dell’agire
intenzionale dell’individuo, è l’agire intenzionale dotato di senso ovvero l’adesione alla fede protestante che ha
cambiato il comportamento degli individui, il sociologo deve osservare come si sviluppa il senso dell’agire. Mentre
l’aspetto a cui Weber, da individualista, dà poca importanza è il ruolo dei movimenti sociali, i movimenti operai della
seconda metà dell’800 hanno avuto un ruolo nello sviluppo del capitalismo.
EMILE DURKHEIM
Al contrario di Weber e diversamente da Marx è un positivista, il suo punto di partenza è che la sociologia debba
studiare i fatti sociali che hanno una realtà di genere proprio (sui generis), dunque hanno un carattere oggettivo ed in
quanto tali sono esterni e coercitivi rispetto all’osservatore, cioè impongono in qualche modo all’individuo che non
può fare con il sociale tutto ciò che vuole.
Il carattere oggettivo della società non è dato solo dalle sue basi materiali, ma anche dai prodotti culturali, in
particolare dalla coscienza collettiva, la spiegazione dei fenomeni sociali e da ricercarsi in fatti sociali antecedenti che
lo hanno causato e nella/e funzione/i che svolge.
La coscienza collettiva  Il concetto di coscienza collettiva è stato creato da Durkheim, rappresenta l'insieme delle
credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. Questo insieme ha una vita propria che non
esiste se non attraverso i sentimenti e le credenze presenti nelle coscienze individuali. “Senza dubbio, essa non ha
per substrato un organo unico; essa è, per definizione, diffusa in tutta l’estensione della società, ma non per questo
manca dei caratteri specifici che ne fanno una realtà distinta. Infatti essa è indipendente dalle condizioni particolari
nelle quali gli individui si trovano; questi passano, e quella resta. Ed è la medesima a Nord e a Sud, nelle grandi e nelle
piccole città, nelle diverse professioni; così pure essa non muta ad ogni generazione, ma al contrario vincola le une
alle altre le generazioni successive. E’ dunque altra cosa dalle coscienze particolari, per quanto non si realizzi che
negli individui; è il tipo psichico della società, dotato di proprietà, di condizioni di esistenza e di un modo di sviluppo
che gli sono propri, così come lo sono i tipi individuali, benché in maniera diversa.”
La divisione del lavoro sociale  La divisione del lavoro sociale è un testo che si occupa della divisione del lavoro
che è venuta avanzando con il processo di industrializzazione, Durkheim tratta il problema della razionalizzazione del
lavoro e della specializzazione funzionale che pian piano avanzano nelle società industriali per affrontare un
problema più profondo, descritto nella seguente citazione: “La questione che è all’origine stessa di questo lavoro
concerne i rapporti della personalità individuale e della solidarietà sociale.” Durkheim dice che si occupa del
problema della divisione del lavoro per analizzare i rapporti tra il singolo individuo e la società, la cultura moderna ha
introdotto la valorizzazione del singolo individuo, il valore dell’individuo non dipende più dalla sua appartenenza ad
una determinata società, religione o ceto sociale, l’individuo ha un valore in sé che deve essere tutelato e promosso,
questo è il nucleo essenziale della cultura moderna. Quindi la domanda è come fa ad esserci ordine sociale in una
società che valorizza le differenze individuali? “Come avviene che, pur diventando più autonomo, l’individuo dipenda
più strettamente dalla società? Come può allo stesso tempo individualizzarsi sempre di più ed essere sempre più
vincolato da legami di solidarietà? E’ infatti incontestabile che questi due movimenti (valorizzazione dell’individuo e
solidarietà sociale), per quanto contraddittori, seguono due direzioni parallele. Tale è il problema che ci siamo posti.
Ci è sembrato che questa apparente antinomia venisse risolta considerando la trasformazione della solidarietà
sociale, dipendente dallo sviluppo sempre più considerevole della divisione del lavoro. Ecco come siamo stati indotti
ad assumere questa (la divisione del lavoro) come oggetto del nostro studio.”
La divisione del lavoro all’interno della società è un fatto che emerge all’interno della società non perché sia più
efficiente di altre modalità di lavoro, anzi si afferma nella società moderna per un motivo culturale, si sapeva anche
prima della modernità che il lavoro a catena è più efficiente, perché incarna meglio il valore di fondo della modernità,
ovvero la promozione dell’autonomia individuale. Adam Smith fu colui che per primo teorizzò la divisione del
lavoro.
“A prima vista, nulla sembra più facile che determinare quale sia la funzione della divisione del lavoro. I suoi effetti
non sono forse conosciuti da tutti? In quanto accresce sia la forza produttiva che l’abilità del lavoratore, essa è la
condizione necessaria dello sviluppo intellettuale e materiale delle società; è la fonte della civiltà.” Tuttavia, “se la
divisione del lavoro non ha altro compito che questo, non soltanto essa non ha alcun carattere morale, ma è anche
impossibile scorgere quale sia la sua ragione d’essere.”
”Siamo così indotti a considerare la divisione del lavoro sotto un nuovo aspetto. In questo caso, infatti, i servizi
economici che essa può rendere sono insignificanti rispetto all’effetto morale che produce, e la sua vera funzione è di
creare tra due o più persone un sentimento di solidarietà. Quale che sia la maniera in cui questo risultato viene
ottenuto, è la divisione del lavoro che suscita le società di amici e che imprime loro il sigillo.”
Durkheim distingue due modelli di legame sociale, quello delle società caratterizzate da una scarsa divisione del
lavoro che vedono agire una forma di legame sociale che egli definisce solidarietà meccanica, mentre nelle società
in cui vi è la divisione del lavoro e si valorizza la specificità dell’individuo rimane una forma di legame sociale
chiamata solidarietà organica (legame che tiene assieme le parti di un organismo complesso.
Solidarietà meccanica  Le società caratterizzate da scarsa differenziazione sono ad esempio le società arcaiche, in
cui si vive in tribù. Queste società si differenziano al loro interno, le differenze producono dei segmenti che
rimangono per struttura e funzione molto simili alla società nel suo complesso. Per esempio la società tribale si
differenzia al proprio interno in tanti clan che seppur più piccoli di dimensione hanno all’incirca la stessa struttura
della tribù; a loro volta i clan si differenziano al loro interno in tante famiglie (unità base della società). La parte più
piccola della società ha la stessa struttura della società nel suo complesso, per tanto si crea un legame meccanico,
automatico.
“Le società nelle quali i principali legami di coesione si fondano sulla “solidarietà meccanica” presentano una
struttura segmentata o aggregativa: esse sono cioè formate da una serie di gruppi politico-familiari (clan) che sono
simili gli uni agli altri per l’organizzazione interna. La tribù nel suo insieme costituisce una “società” perché è una
unità culturale; infatti i membri dei diversi clan aderiscono al medesimo complesso di credenze e sentimenti. Per
questo ogni gruppo che compone tale società si può distaccare senza causare molto danno agli altri gruppi, come
avviene in maniera abbastanza simile agli organismi biologici di struttura semplice che si possono scindere in
numerosi esseri egualmente unitari e autosufficienti. Nelle società primitive di tipo segmentario la proprietà è
comune, un fenomeno questo che è solo un aspetto specifico del basso livello del processo di individualizzazione
generale.”
Solidarietà organica  Nelle società dove si è affermata la divisione del lavoro c’è una solidarietà organica, una
solidarietà che tiene insieme le parti di un organismo complesso, come il corpo umano che è fatto di parti molto
diverse tra loro che svolgono funzioni diverse tra loro (alta differenziazione funzionale), tuttavia le parti
dell’organismo hanno bisogno le une delle altre e questo mutuo bisogno è ciò che fonda il legame sociale, tale
bisogno reciproco deriva dalla differenza che c’è tra le loro parti e genera un legame sociale definito solidarietà
meccanica. Questo legame spiegherebbe l’integrazione delle società moderne.
“Dove la solidarietà meccanica è la base principale della coesione sociale, la coscienza collettiva “ricopre
esattamente” la coscienza individuale, e quindi presuppone la somiglianza degli individui. La solidarietà organica,
invece, presuppone non la somiglianza ma la differenza tra gli individui nelle credenze e nelle azioni. Lo sviluppo
della solidarietà organica e l’espansione della divisione del lavoro sono quindi accompagnate dalla crescita
dell’individualismo. Il progresso della solidarietà organica dipende necessariamente dalla diminuzione di importanza
della coscienza collettiva. Ma le credenze e i sentimenti riconosciuti collettivamente non scompaiono del tutto nelle
società complesse; né d’altra parte accade che la formazione delle relazioni contrattuali divenga amorale e sia
semplicemente il risultato della ricerca individuale del proprio interesse.”
Diritto  Durkheim dice che per verificare la validità della sua tesi bisogna trovare conferma anche in ambiti diversi
rispetto a quelli della produzione, se è vero che nelle società moderne si afferma il valore in se dell’individuo e
questo determina delle conseguenze sul modo di vivere nella società, in particolare sul modo di produrre, allora deve
essere vero anche in altri ambiti.
Decide di prendere come banco di prova il diritto penale, il diritto che esisteva nelle società pre-moderne era un
diritto di tipo repressivo, per esempio nelle società assiro babilonesi valeva la legge del taglione ovvero chi
commetteva un reato era punito materialmente e anche fisicamente. Se la tesi sostenuta da Durkheim è vera nelle
società moderne non può più essere lo stesso, infatti si afferma un diritto di tipo restitutivo, un diritto che
restituisce a chi è vittima del reato la sua integrità e dignità ed il reo deve essere restituito alla società attraverso
forme di rieducazione. Il cambiamento avvenuto con la modernità è pertanto riscontrabile in tutte le istituzioni della
società.
In un primo momento Durkheim ipotizza che l’integrazione sociale delle società moderne sia affidata ai vincoli
funzionali che si generano nelle società caratterizzate dalla divisione del lavoro. Successivamente attribuisce
maggior rilevanza ai prodotti culturali della società: alle norme, ai valori, alla coscienza collettiva (come nel caso del
suicidio).
Il suicidio  Durkheim si propone di fare uno studio del suicidio, uno studio secondo il metodo positivista, un
metodo che parte dall’osservazione dei fenomeni così come si pongono nella realtà (metodo induttivo), non però
materialista. Propone quasi una sfida al lettore che si chiede perché un sociologo debba occuparsi di ciò, tra tutti i
comportamenti umani il suicidio è quello che maggiormente coinvolge solo un individuo, quindi perché deve
occuparsene la sociologia? Durkheim afferma però che partendo da dati concreti si nota che società diverse hanno
diversi numeri di suicidi, quindi il suicidio cambi a seconda della società ed è possibile che ci sia un’influenza della
società sul più individuale di tutti i comportamenti. Ecco perché deve essere anche la sociologia, oltre alla psicologia,
ad analizzare questo fenomeno.
Sulla base dei dati empirici utilizzati per analizzare il fenomeno Durkheim distingue cause sociali di suicidio:
• suicidio egoistico,
• suicidio altruistico;
• suicidio anomico.
Il suicidio egoistico  Il suicidio egoistico è descritto a partire da dati statistici legati al tasso di suicidio di persone
appartenenti a religioni diverse, i protestanti si suicidano di più dei cattolici ed i cattolici si suicidano di più degli
ebrei, come si può spiegare? In particolare considerando che protestantesimo e cristianesimo sono due confessioni
della stessa religione, la differenza è che il fedele protestante ha una maggiore autonomia dell’approcciarsi ai
contenuti della fede (può interpretare personalmente il testo sacro, è meno dipendente dalla mediazione dei
sacerdoti nella sua relazione con la divinità) rispetto al cattolico, così come il cattolico è meno dipendente dalla
comunità religiosa di quanto lo sia l’ebreo.
La causa del suicidio trova una sua spiegazione nel tipo di rapporto che esiste tra la coscienza individuale e la coscienza
collettiva, dove la coscienza individuale è più autonoma rispetto alla coscienza collettiva è più facile che gli individui
si sottraggano all’aspettativa che ogni società ha nei confronti dei suoi membri, ovvero che essi partecipino
attivamente alla vita della comunità. Dove c’è una maggiore autonomia dell’individuo rispetto ai contenuti della
coscienza collettiva (alla società) è più facile che in situazioni estreme decida di mettere in atto comportamenti che
contravvengono l’aspettativa della società nei suoi confronti. Ed ecco perché questa causa di suicidio è definita da
Durkheim egoistica, per lui l’egoismo è dato dal prevalere della coscienza individuale su quella collettiva.
“Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo.”
Se questa tesi è coerente allora in parallelo con quanto Durkheim ha affermato nella divisione del lavoro sociale
bisogna riconoscere che la situazione in cui la coscienza individuale è meno dipendente rispetto alla coscienza
collettiva, ovvero assume una sua autonomia ed un valore in sé che prescinde l’appartenenza alla società, questa
situazione è tipica della società moderna che riconosce il valore in sé dell’individuo (l’autonomia) e riconoscendone
l’autonomia è meno legittimata ad imporre all’individuo le aspettative di comportamento che ogni società tende ad
imporre.
Nelle società pre-moderne la situazione era opposta, infatti con il secondo tipo di suicidio Durkheim mostra come in
queste società le cause di suicidio erano completamente diverse.
Il suicidio altruistico  Il suicidio altruistico è una causa sociale di suicidio che spiega altri dati empirici, dati che
Durkheim ricava dai rapporti degli antropologi culturali che mettono in evidenza come ci siano delle forme di
suicidio (ad esempio le vedove indù che si immolano sulla tomba del marito) che dipendono dal fatto che l’individuo
si senta ormai un peso per la società, questo tipo di suicidio è definito altruistico, una forma di suicidio in cui la
coscienza collettiva prevale su quella individuale. Secondo Durkheim l’altruismo indica un prevalere della coscienza
collettiva sulla coscienza individuale, nelle società in cui il valore dell’individuo è legato alla sua appartenenza alla
società si hanno queste forme di suicidio, ovvero l’individualità è poco definita e se l’individuo ad esempio vede
morire il rappresentante del gruppo sociale a cui appartiene (il capofamiglia) considera legittimo immolare la sua vita
assieme a quella del rappresentante della comunità. La vita individuale perde senso se perde senso l’appartenenza
dell’individuo al gruppo sociale.
“Mentre questo (suicidio egoistico) è dovuto ad un eccesso di individualizzazione, quello (suicidio altruistico) ha per
causa una individualizzazione troppo rudimentale. Uno deriva dal fatto che la società, disgregata in parte o anche nel
suo insieme, si lascia sfuggire l’individuo; l’altro perché lo tiene troppo strettamente in sua dipendenza. Avendo
chiamato egoismo lo stato in cui si trova l’io quando vive la sua vita personale e obbedisce solo a se stesso, la parola
altruismo esprime abbastanza bene lo stato opposto in cui l’io non si appartiene ma si confonde con altra cosa
diversa da sé e dove il polo della condotta è situato al di fuori di lui, cioè in uno dei gruppi a cui appartiene.
Chiameremo, perciò, suicidio altruistico quello risultante da un altruismo intenso.”
“Ma quella scarsa individualizzazione non può avere che una causa. Perché l’individuo abbia cosi poco posto nella
vita collettiva, bisogna che sia quasi totalmente assorbito dal gruppo e che, di conseguenza, questo sia molto
fortemente integrato. Perché le parti abbiano tanto poca vita propria, occorre che il tutto costituisca una massa
compatta e continua.”
Durkheim dice se la cultura moderna è una coscienza collettiva che lascia autonomia agli individui ed il suicidio
avviene in virtù di ciò tuttavia si registra nelle società moderne occidentali un caso eccezionale, quello del suicidio
altruistico, è possibile questo tipo di suicidio anche nelle civiltà moderne. Il kamikaze non non è il caso del suicidio
altruistico che avviene in un’altra cultura, poiché viene messo in atto di individui che appartengono a culture non
moderne. Il suicidio altruistico presente nelle società occidentali a cultura moderna è un comportamento che
l’individuo consapevolmente tiene pur sapendo che potrebbe condurlo alla morte, quello che si realizza in ambito
militare. Questo suicidio è legittimano nella società perché la funzione svolta dai militari è quello della difesa della
propria società e allora il sacrificio individuale dei militare per difendere il valore di fondo della società moderna
trova una sua giustificazione.
Il suicidio anomico  Nelle società occidentali c’è un aumento del tasso di suicidi anche in occasione di accelerati
sviluppi economici, infatti in questo caso gli individui si trovano a vivere in una situazione diversa da quella
precedente, le loro abitudini di vita quotidiane sono modificate e qui probabilmente gli individui mancano dei
riferimenti simbolici, culturali o comportamentali per vivere in modo adeguato in questa situazione; perciò in alcuni
casi, nonostante l’aumento della ricchezza, le persone soffrono di questa condizione ed arrivano a compiere gesti
estremi. Secondo Durkheim c’è un aumento del tasso di suicidi laddove i singoli individui sono privi di punti di
riferimento che orientano l’individuo ad agire nella vita quotidiana.
“Non è vero, dunque, che l’attività umana possa affrancarsi da tutti i freni. Non v’è nulla al mondo che possa godere
di un tale privilegio, perché ogni essere, essendo parte dell’universo, è relativo al resto dell’universo; (...) E’
caratteristica dell’uomo essere soggetto a un freno non fisico, ma morale, cioè sociale. Egli non riceve la sua legge da
un ambiente materiale che gli s’impone brutalmente, ma da una coscienza superiore alla sua e di cui sente la
superiorità. Proprio perché la maggiore e migliore parte della sua vita trascende il corpo, egli sfugge al giogo del
corpo ma subisce quello della società. Sennonché, quando la società è scossa, sia da una crisi dolorosa sia da
trasformazioni felici ma troppo improvvise, essa è momentaneamente incapace di esercitare questa azione.” Ed ecco
aprirsi un nuovo modo di intendere la relazione tre coscienza individuale e collettiva, vi è un reciproco bisogno fra le
due coscienze, emerge una sorta di ambivalenza del soggetto nei confronti della coscienza collettiva, ne ha bisogno.
“Ed ecco da dove provengono queste brusche ascese della curva dei suicidi (...) Nei casi di disastri economici, infatti,
si verifica un declassamento che spinge bruscamente certi individui in una situazione inferiore a quella occupata fino
allora. (...) Ora, non è che la società possa piegarli in un attimo a questa nuova vita e insegnare loro a esercitare su se
stessi quel sovrappiù di costrizioni cui non sono abituati. (...) Né diversamente accade quando la crisi ha per origine
un improvviso accrescimento di potenza e di fortuna. (...) La graduatoria ne e rimasta sconvolta e, d’altra parte, non
se ne può improvvisare un’altra. (...) Non si sa più ciò che è possibile e ciò che non lo e, ciò che è giusto e ciò che è
ingiusto, quali sono le rivendicazioni e le speranze legittime, quali quelle che passano la misura. (...) Lo stato di
sregolatezza o di anomia è ancor più rafforzato dal fatto che le passioni sono meno disciplinate proprio quando
sarebbero bisognose di una maggiore disciplina. (...)”
Le forme elementari della vita religiosa  Durkheim dice di volersi interessare della religione, egli definisce la
religione in questo modo: “una religione è un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a delle entità sacre,
cioè separate e interdette, credenze e pratiche che uniscono in una medesima comunità morale, detta chiesa, tutti gli
individui.” Quindi da un lato la religione è composta da degli stati di opinione (le credenze) e di riti, azioni prescritte e
vietate dei sistemi religiosi (riti). Credenze e riti servono a definire due sfere di vita sociale, il sacro nella quale si
realizza una serie di prescrizioni e proibizioni di comportamento e la sfera del profano.
“I fenomeni religiosi trovano inquadratura naturale in due categorie di fondo: le credenze e i riti. Le prime sono stati
dell’opinione e constano di rappresentazioni; i secondi determinati modi di azione. Tra le due classi corre lo stesso
divario che c’è tra pensiero e movimento. Tutte le credenze religiose, semplici o complesse, a noi note presentano
una caratteristica comune: suppongono la sistemazione delle cose, reali o irreali, in due generi opposti, resi
abbastanza bene dai termini profano e sacro. Il tratto distintivo del pensiero religioso è proprio questa divisione del
mondo in due domini comprendenti l’uno tutto ciò che è sacro, l’altro tutto ciò che è profano”.
Perché esiste e che funzione svolge la religione? Per fare uno studio scientifico di questo fenomeno Durkheim sceglie
di prendere in esame delle forme di vita religiosa lontane da quelle che caratterizzano il suo tempo perché potrebbe
essere condizionato nel suo giudizio. Le religioni totemiche sono le religioni che utilizzano come simboli religioso
per eccellenza il totem, un totem è un manufatto usato come centro dell’attenzione quando si svolgono dei riti
religiosi, in questo caso riti totemici, rappresenta delle figure di animali che molto spesso c’entrano con la storia della
tribù. Chi si ritrovava attorno al totem dichiarava che durante la celebrazione del rito avvertiva la presenza di una
forza superiore, si sentiva come pervaso da un’energia diffusa che coinvolgeva tutte le persone che si ritrovavano
attorno al totem, quest’energia viene chiamata, fra i vari nomi, anche karma. Secondo Durkheim la vera fonte
dell’energia è il fatto di ritrovarsi intorno al totem, il fatto che esso rappresenti il gruppo sociale, la sociologia di
Durkheim nell’analisi del fenomeno religioso arriva ad attribuire alla società l’immagine della divinità. “In fondo Dio
non è che un modo di rappresentare la società.” le popolazioni delle tribù totemiche hanno una cultura primitiva e
non sono in grado di elaborare delle rappresentazioni simboliche particolarmente articolate, non sono in grado di
pensare alla società ed ecco spiegata l’esistenza della religione, essa è un modo per rappresentare la società e di fare
avvertire agli individui un senso forza e di sostegno che proviene dalla società stessa.
“Il totemismo è la religione non di certi animali o di certi uomini o di certe immagini, ma di una specie di forza
anonima e impersonale che si ritrova in ciascuno di questi esseri, senza tuttavia confondersi con alcuno di essi.
Nessuno la possiede per intero e tutti vi partecipano. Ecco in che cosa consiste realmente il totem: esso non è che la
forma materiale sotto cui si rappresenta alle immaginazioni questa sostanza immateriale, questa energia diffusa
attraverso esseri eterogenei di ogni tipo, la quale è il solo oggetto vero e proprio del culto. A questo punto
l’interrogativo è “come gli uomini abbiano potuto essere spinti a costruire tale idea e con quali materiali.”
”Nelle riunioni religiose o «corroboree» il semplice fatto dell’agglomerazione fa da eccitante di eccezionale potenza.
Una volta riuniti, gli individui sprigionano dal loro star vicini una sorta di elettricità, che li trasporta rapidamente a un
grado straordinario di esaltazione. Ogni sentimento espresso va a risuonare, senza resistenza, in tutte queste
coscienze largamente aperte alle impressioni esterne: ciascuna di esse fa eco alle altre, e reciprocamente. L’impulso
iniziale va così ingrandendosi man mano che si ripercuote, come s’ingrossa una valanga man mano che avanza.”
“E’ facile capire che l’uomo, raggiunto questo stato di esaltazione, non si riconosce più. Sentendosi dominato,
trascinato da una specie di potere esterno che lo fa pensare e agire in modo diverso che in tempo normale, ha
naturalmente l’impressione di non esser più lui. Ora il totem è la bandiera del clan. E’ dunque naturale che le
impressioni che il clan desta nelle coscienze dei singoli, impressioni di dipendenza e di accresciuta vitalità, si
colleghino assai più all’idea del totem che a quella del clan: il clan è una realtà troppo complessa perché intelligenze
così rudimentali possano rappresentarselo nettamente nella sua unità concreta. Un emblema, esprimendo in forma
materiale l’unità sociale, la rende più percepibile a tutti.”
La religione come sistema simbolico  L’idea di dio, che sembra riassumere tutta la religione, è per Durkheim un
fenomeno psicologico legato a un processo sociale, dio è la modalità con la quale coscienze rudimentali
rappresentano la società: “La divinità è espressione simbolica della società”, “Gli dei non sono che i popoli pensati
simbolicamente.”
Il sacro può essere considerato come la rappresentazione simbolicamente mediata di una identità collettiva, la
religione può essere dunque considerata come un sistema di simboli attraverso il quale una società prende
coscienza di sé. A tale sistema viene riconosciuto un carattere sacro.
Il totem è il simbolo (materiale) attraverso il quale viene rappresentata la realtà immateriale della società. Esso “ha il
compito non già di raffigurare e di ricordare un determinato oggetto, ma di testimoniare che un certo numero di
individui partecipano di una stessa vita morale”, cioè condividono un insieme di simboli (rappresentazioni del
mondo, conoscenze, etc.). L’accettazione soggettiva di una serie di simboli in quanto sacri crea il gruppo, in sostanza
il simbolo è creato dalla società e crea la società, si tratta di una creazione sociale della cultura. La cultura è il
risultato di una creazione collettiva, di una creazione sociale e nasce dal trovarsi assieme tra gli individui e dallo stare
in relazione gli uni con gli altri.
Gli oggetti culturali sono significativi per esseri umani che vivono in un mondo sociale, al tempo stesso il mondo
sociale, di per sé caotico e casuale, riceve senso e significato a partire dalle lenti culturali attraverso le quali è
osservato. Ma chi crea gli oggetti culturali? La letteratura e gli esempi analizzati sinora sembrano fornire due
risposte:
 Una risposta individualistica: l’opera d’arte, la grande riforma, sono costruzioni del genio artistico, morale,
politico, economico, etc.
Un risposta tradizionalista: la cultura (gli oggetti culturali) come modelli di significato socialmente trasmessi ci
sono sempre stati. La
sociologia durkheimina fornisce una prospettiva della creazione culturale differente dall’azione del genio e dalla
tradizione culturale. Gli oggetti culturali, le opere culturali, sono il frutto di una costruzione relazionale, di una
creazione (rappresentazione) collettiva. È l’esperienza delle riunioni corroboree che genera e riproduce nel tempo i
contenuti della religione e, attraverso questi, i contenuti simbolici della società, e la società stessa come “oggetto”
sacro, già dato. Gli oggetti culturali non sono (solo) il prodotto di un genio, essi sono prodotti da gente che si
relaziona ad altra gente.
In sostanza: “le società hanno bisogno di rappresentazioni di se stesse per ispirare sentimenti di unità e di mutuo aiuto”.
Se si vuole comprendere un gruppo di persone, bisogna studiare le modalità attraverso le quali esso rappresenta se
stesso. Ogni gruppo sociale (una banda giovanile, una chiesa, un’organizzazione produttiva) sviluppa delle
rappresentazioni simboliche (oggetti culturali) attraverso le quali mostra a se stesso e agli altri la propria solidarietà
collettiva. All’opposto se si vuole studiare un oggetto culturale occorre osservare come viene utilizzato da un gruppo
sociale per rappresentarsi.
Risultati di questa analisi sulle religioni totemiche La cultura come coscienza collettiva: l’insieme delle
credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. La cultura in quanto insieme di credenze,
sentimenti, etc. è creata attraverso relazioni sociali; è frutto di un processo di creazione, di rappresentazione collettiva.
La cultura rappresenta simbolicamente la società ed in quanto tale essa ha la funzione di integrazione degli
individui e di formazione del consenso sociale.
Introduzione alla modernità  La modernità è l’affermazione del valore in sé dell'individuo e della sua autonomia,
un’autonomia dell’individui che è caratterizzata da una sorta di ambivalenza, da un lato l’individuo è orientato ad
affermare la propria autonomia e dall’altro ha bisogno di sviluppare un senso di appartenenza alla società, quindi
possiamo parlare di una sorta di co-costituzione tra individuo e società.
Critiche e considerazioni finali  Ponendo particolare attenzione alla relazione tra individuo e società, Durkheim
rischia di trascurare la dimensione delle interazioni sociali così come avvengono nella vita quotidiana (cfr.
interazionismo simbolico), finisce per autonomizzare la cultura e per identificare cultura e società considerandole
prevalentemente come delle realtà già date, che si impongono agli individui.
Se la cultura, secondo Durkheim, è una rappresentazione collettiva (nei termini della Griswold una creazione sociale
collettiva) quali sono le modalità attraverso le quali avviene la creazione sociale e una collettività si autorappresenta:
1) Le interazioni tra la gente:
Cfr. L’interazionismo simbolico;
Cfr. Le subculture.
2) Le relazioni delle e nelle organizzazioni:
Cfr. industria culturale.

L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO
L’interazionismo simbolico è un approccio sociologico che prende le mosse da una sorta di carenza presente in altri
approcci sociologici, ovvero dal fatto che molti approcci sociologici ritengono che i fenomeni sociali siano un
qualcosa di già dato, che preesiste all’individuo. L’interazionismo simbolico si interessa a come la gente nella vita
quotidiana costruisce le norme, i ruoli e la stessa identità (il sé). Utilizzando il diamante culturale possiamo dire che
l’interazionismo simbolico si preoccupa prevalentemente della relazione tra creatori e ricevitori.

L'interazionismo simbolico è una prospettiva sociologica che esamina le interazioni fra individui e gruppi di
individui, assumendo che il comportamento umano non nasca da una serie di risposte a stimoli, ma
dall'interpretazione dei significati simbolici attribuiti agli stimoli stessi.

L'espressione fu coniata nel 1937 da Herbert Blumer che si rifaceva in parte ai lavori di G. H. Mead. Sono tre i principi
dell'interazionismo simbolico, divenuta una vera e propria scuola di pensiero:
1) gli esseri umani agiscono nei confronti delle "cose" (oggetti fisici, esseri umani, istituzioni, idee...) in base al
significato che attribuiscono alle “cose”;
2) il significato attribuito a tali oggetti nasce dall'interazione tra gli individui che ne condividono così il significato;
3) tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un "processo interpretativo messo in atto da una persona
nell'affrontare le cose in cui si imbatte".

Le radici intellettuali del padre fondatore George Herbert Mead (1863-1932):

• Scuola di Chicago;

• Thomas: definizione della situazione (importanza delle percezioni, credenze e convinzioni soggettive rispetto ai
dati reali). Il teorema della definizione della situazione dice che indipendentemente dal fatto che un fenomeno
sociale sia reale o meno se questo è ritenuto tale dagli individui esso sarà reale nelle sue conseguenze, perché gli
individui si comporteranno ritenendo reale quel fenomeno e perciò in qualche modo lo attualizzeranno. “Se gli
uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze.”
Un buon esempio di situazioni che gli uomini definiscono reali viene riportato dallo stesso William Thomas. In un
Paese è in corso una guerra civile tra due etnie che si contendono il potere politico. La stessa guerra si riflette su
una piccola isola di questo Stato. Un giorno la guerra finisce, ma non è possibile comunicare in tempi brevi la
notizia alla piccola isola, dove dunque gli abitanti delle due etnie, ignorando la pace avvenuta, continueranno a
combattersi tra di loro. In questo esempio gli uomini hanno "definito una situazione come reale", cioè si sono
comportati come se la guerra non fosse ancora finita, ignorando la notizia, e di fatto hanno agito di conseguenza,
cioè hanno continuato a combattere.

• Cooley: Io riflesso o Io specchio (1909). questo concetto è l’idea che l’identità individuale sia in qualche modo il
risultato di una riflessione che l’individuo fa sulle tante immagini di sé che gli altri individui gli rimandano.
Secondo Cooley l’Io riflesso è costituito di 3 elementi (esempio di una persona che va dal parrucchiere):
Ciò che pensiamo gli altri vedano in noi (“sono convinto che la gente reagirà al mio nuovo taglio di capelli”);
Come pensiamo che gli altri reagiscano a ciò che vedono (“credo che pensino che mi stia bene”);
Come a nostra volta reagiamo alla reazione che percepiamo (“penso che continuerò a farmi questo taglio”).

George Herbert Mead e l’interazione simbolica  Sui due precedenti concetti poggia Mead nella sua riflessione sul
ruolo esercitato dalle mediazioni simboliche nelle interazioni fra gli individui all’interno della società. Presta
particolare attenzione al fatto che le interazioni fra le persone possano avvenire solo attraverso forme di mediazione
simbolica, riflette su questo concetto nel suo testo Mind Self and Society dove afferma che l’interazione mediata
simbolicamente è fondamentale nello sviluppo del sé (self) del pensiero (mind) e della organizzazione sociale
(society).

Il pensiero umano è il risultato delle esperienze che gli individui fanno di interazioni interumane mediate
simbolicamente, ciò si può comprendere se si pensa che il pensiero sia da intendere come una sorta di conversazione
interiore, se esso è un dialogo che intratteniamo con noi stessi allora possiamo comprendere che esso si sviluppi
dopo aver fatto esperienza di interazione con altri individui, interazioni mediate da simboli.

L’Io pensa al Me e reagisce ad esso come reagisce nei confronti degli altri. Il sé dell’individuo si costruisce attraverso
l’interiorizzazione dell’altro, dapprima nel processo dell’imitazione, poi nella fase del gioco libero ed infine nella
fase del gioco strutturato, fase nella quale si interiorizza l’altro generalizzato. Esso è il frutto di una imitazione, di
una interiorizzazione che il bambino opera di tanti altri concreti. Nelle prime fasi della vita il bambino è chiamato a
comprendere la differenza fra se e altro da se, la prima distinzione che il bambino deve operare è quella tra sé e la
madre, con la nascita viene separato dalla madre e deve imparare a comprendere questa separazione e dunque la
relazione che ne scaturisce. Il bambino deve imparare a fornire alla madre dei segnali che le consentano di capire in
che modo deve accudire il figlio, i primi sono quelli del pianto che hanno forme diverse in base al bisogno del
bambino. Pian piano il bambino comincia a capire che ci sono altri adulti che possono interagire con lui, facendo
esperienza della relazione con tanti altri specifici (la mamma, il papà, i nonni, …) comprende che non sono gli altri
specifici ad avere una determinata aspettativa nei suoi confronti (ad esempio non sporcarsi mentre si mangia) ma è
l’altro generalizzato, cioè l’insieme delle persone che gli stanno intorno. Quando il bambino arriva ad elaborare il
concetto delle aspettative dell’altro in genere (ha interiorizzato l’altro generalizzato) ha compreso quali sono le
aspettative della società nei suoi confronti, il bambino arriva poi ad elaborare la capacità della conversazione interiore
e le forme del pensiero.

“Il rapporto cosciente con il proprio sé e il pensiero emergono quando l’individuo riesce a stabilire con se stesso un
dialogo interiorizzato, analogo a quello che stabilisce esternamente con gli altri: si costituisce così un ambito comune
di significati per tutti gli individui che partecipano a una data società … Senza rapporto sociale, senza linguaggio non
vi sarebbe neppure coscienza, ovvero costituzione del sé […] L’ordine simbolico (la cultura) è quindi costitutivo
dell’attore sociale ed è alla base dell’interazione tra soggetti.”

Per sintetizzare il pensiero di Mead:


 La mediazione simbolica secondo Mead è costitutiva del sé del pensiero e della società;
 Le forme di mediazione simbolica trovano la loro oggettivazione e strutturazione nei sistemi culturali;
 L’individuo è al tempo stesso un prodotto sociale e al contempo parte attiva della produzione delle strutture socio-
culturali;
 La stessa cultura ha una posizione ambivalente rispetto al soggetto e alla società.

Goffman, il sé come prodotto di una scena  Goffman propone una versione particolare dell’interazionismo
simbolico e delle modalità con cui l’individuo, non tanto forma il proprio sé, rappresenta il proprio sé nelle
interazioni della vita quotidiana. Il punto di partenza di Goffman è il fatto che il sé “non ha origine nella persona del
soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione, essendo generato da quegli attributi degli eventi locali
suscettibili di interpretazione da parte di testimoni”; il sé è prodotto nelle interazioni della vita quotidiana,
sostanzialmente è il gancio al quale noi appendiamo le tante immagini di noi stessi che comunichiamo agli altri, le
tante maschere che indossiamo nella vita quotidiana.

Quando un individuo si trova in presenza di altri (in una situazione sociale) le altre persone cercheranno di avere
informazioni sul suo conto (status socio-economico, concezione che egli ha di sé, atteggiamento che egli ha nei loro
confronti, capacità di cui dispone, serietà, etc.), sono alla ricerca di informazioni per comprendere cosa possono
aspettarsi da lui e come dovranno agire o re-agire nei suoi confronti. Dunque in una interazione l’attore sociale realizza
una rappresentazione del proprio sé per gli alter, per il “pubblico”.

Attore sociale  Esprime più o meno intenzionalmente una propria definizione della sua personalità e della
situazione di interazione. Da un lato esprime intenzionalmente attraverso simboli verbali e controllo del
comportamento non verbale, mentre dall’altro lascia trasparire (comportamento non verbale) una serie di
informazioni senza volerlo.

Pubblico  Si forma un’impressione attraverso le informazioni espresse intenzionalmente e lasciate trasparire


dall’attore. C’è una differenza di potere tra il singolo attore ed i suoi interlocutori perché il singolo attore fornisce
delle informazioni senza essere consapevole e che gli altri usano per farsi un parere del soggetto che hanno di
fronte.

Per fornire un’immagine di sé l’individuo utilizza un equipaggiamento espressivo che si distingue in:
٠ Facciata personale: elementi dell’equipaggiamento espressivo che identificano l’attore: sesso, età, razza, taglia,
aspetto, vestiario, portamento, lessico, gestualità;
٠ Ambientazione: “il mobilio, gli ornamenti, …” lo sfondo della rappresentazione.

Rappresentazione e norme sociali: l’idealizzazione  “Ci siamo sbarazzati di molti dei, ma l’individuo rimane
ostinatamente una divinità di notevole importanza” Goffman riconosce che è in atto un processo di secolarizzazione
nelle società che ha portato ad una disattenzione nei confronti dell’idea di divinità soprannaturale, tuttavia rimane
una particolare attenzione nei confronti del valore dell’individuo, un’attenzione che fa dell’individuo una sorta di
realtà sacra. Queste operazioni noi le realizziamo nella vita quotidiana nelle interazioni faccia a faccia, queste
possono essere pensata come tanti micro rituali (simili ai rituali totemici) nei quali celebriamo il valore che
attribuiamo all’individuo, idealizzandolo.

Ogni rappresentazione incorpora pretese di validità astratte generali cioè delle idealizzazioni, la “rappresentazione
tenderà ad incorporare ed esemplificare i valori sociali già accreditati”. La rappresentazione ha un valore
cerimoniale, rituale (Durkheim e Radcliffe-Brown) e produce un ringiovanimento espressivo ed una riaffermazione
dei valori morali della comunità.
Nei contesti sociali urbanizzati sembra che, nonostante l’idealizzazione dell’individuo, nelle interazioni della vita
quotidiana tra persone che non si conoscono sia in atto una sorta di disinteresse nei confronti dell’altro proprio
perché è materialmente impossibile prestare attenzione a tutti ed è dunque avvertita come civile questa sorta di
disattenzione. Viene considerata come una forma di rispetto dei singoli individui e per questo viene chiamata
disattenzione civile.

Dissonanze tra apparenza e realtà  In una rappresentazione gli attori hanno la tendenza a sminuire e a
nascondere attività, fatti e motivi incompatibili con la versione idealizzata della loro facciata (ruolo):
٠ Errori (i medici seppelliscono i propri errori), cerchiamo di sminuire o nascondere i nostri errori;
٠ La fase di elaborazione di un prodotto viene celata e si tende a presentare solo l’opera finita, tutto il lavoro che
facciamo per elaborare l’immagine del sé che vogliamo trasmettere viene celato;
٠ Il lavoro sporco necessario alla riuscita della rappresentazione (condizionare gli arbitri), per trasmettere una
rappresentazione idealizzata del sé a volte si commettono delle scorrettezze che vengono celate, per esempio non si
rispettano a pieno le norme sociali;
٠ I motivi strumentali di accesso ad un ruolo sono celati dietro i motivi ideali (faccio il professore per diffondere la
conoscenza del sapere sociologico, retorica dell’addestramento), motivi strumentali come per esempio il guadagno
economico o altri vantaggi utilitaristici;
٠ Vantaggi secondari incompatibili con il ruolo (le conoscenze, i viaggi di lavoro).

Il requisito dell’idealizzazione della rappresentazione implica che il ruolo (la facciata) sia presentato come speciale,
unico o il più importante tra tutti, in realtà gli individui hanno tante facciate quanti sono i pubblici. Per proteggere le
diverse facciate si realizza una segregazione dei pubblici (fra credere che una determinata relazione sia la più
importante fra tutte), questa genera situazioni di grossolana pseudo-Gemeinshaft (cerchiamo di costruire delle
pseudo comunità con ciascuno dei pubblici con cui abbiamo a che fare) perché non esiste quasi rappresentazione, in
qualsiasi campo della vita, che non faccia affidamento sul tocco personale per esagerare l’unicità del rapporto
intercorrente fra attore e pubblico. Per esempio oggi diamo molta importanza al tema della privacy, noi non
vogliamo che le persone vedano come ci comportiamo in un contesto diverso rispetto a quello in cui ci conoscono
perché cerchiamo di fornire in ogni interazione con gli altri la miglior immagine di noi stessi.

I territori della rappresentazione  Il processo di rappresentazione del sé avviene, secondo Goffman, su territori
specifici. Per territorio intende qualsiasi spazio che sia delimitato da ostacoli alla percezione. Nelle società moderne le
rappresentazioni avvengono sempre all’interno di territori, spesso vi sono anche delle limitazioni temporali, gli
strumenti di delimitazione possono essere diversi: vetri, pareti, pannelli in legno, etc. Alcuni isolano solo visivamente,
altri solo acusticamente, altri sia l’uno che l’altro.

Fra questi vari territori vi è la ribalta, il luogo ove si svolge la rappresentazione. La rappresentazione che avviene
sulla ribalta in genere costituisce un tentativo da parte dell’attore di mostrare che la sua attività entro quel territorio
segue certe norme. L’equipaggiamento semantico (la facciata personale e l’ambientazione) che gli attori utilizzano
sulla ribalta è definito scena, qui si usano comportamenti di cortesia, il modo in cui l’attore tratta il pubblico e
decoro, il modo in cui l’attore si comporta quando può essere visto dal pubblico, ma non è impegnato a parlargli. Il
decoro si divide in regole morali che sono un fine in se stesse riguardano ad esempio il rispetto dei luoghi sacri il
non molestare il prossimo, il corretto comportamento sessuale ed in regole strumentali, non sono un fine in sé e si
riferiscono ad es. agli obblighi che un datore di lavoro può richiedere ai suoi dipendenti: conservare le attrezzature,
produrre con lena, etc.

Un altro territorio è il retroscena, luogo in cui l’individuo non è visto dai suoi interlocutori. Ogni rappresentazione
(attività svolta in presenza di altre persone) implica l’accentuazione dell’espressione di certi aspetti e la soppressione
di altri che potrebbero screditare l’impressione. I fatti e le espressioni accentuate appaiono sulla ribalta, mentre i fatti
soppressi compaiono invece nel retroscena.
Le funzioni del retroscena sono varie:
Viene costruita la capacità di una rappresentazione di esprimere qualcosa che vada oltre se stessa;
Vengono create illusioni e impressioni;
Si custodiscono gli arredi scenici che sono parte della facciata personale;
Qui vengono nascosti gli equipaggiamenti disponibili per un dato cerimoniale;
Qui i costumi e le altre parti della facciata personale possono essere accomodati ricercandone i difetti;
Qui l’équipe può ripassare la sua rappresentazione ricercandone i difetti.
Il retroscena si trova ad un estremo del luogo ove si tiene la rappresentazione ed è separato da questo da un
divisorio e da un passaggio sorvegliato. In tal modo essendo la ribalta e il retroscena adiacenti, un attore che si trovi
sulla ribalta può ricevere assistenza dal retroscena durante la rappresentazione e può momentaneamente
interromperla per brevi periodi di distensione, il retroscena costituisce per l’attore un luogo sicuro.
Alcune situazioni di retroscena fanno sì che l'individuo metta in disordine il proprio vestiario e sia fuori gioco, ossia
perda quella maschera espressiva che adopera nell'interazione faccia a faccia. Contemporaneamente all'individuo
diventa difficile poter ricomporre la propria facciata se gli accade di dover improvvisamente essere coinvolto in
un'interazione.
Uno dei momenti più interessanti per osservare l'attività di controllo delle impressioni è quello in cui un attore lascia
il retroscena ed entra nel luogo dove si trova il pubblico, o anche quando ne esce, ovvero la zona di cofine. Erving
Goffman a tal proposito cita l’esempio dei camerieri in un hotel delle isole Shetland (dove aveva svolto la sua ricerca).
Verificando che il gruppo di performance dei camerieri, di fronte al proprio pubblico (ovvero i clienti del ristorante),
inscena una rappresentazione, mostrandosi deferente, rispettoso, discreto. Questo accade in uno spazio di
“palcoscenico” (cioè dove il pubblico è presente): mentre nello spazio di “retroscena”, (la cucina dell’albergo) nascosto
al pubblico, i camerieri hanno un comportamento del tutto diverso, molto più informale e irrispettoso. Se un
cameriere raccontasse al pubblico dei clienti i segreti del gruppo – come i camerieri preparano le portate, il modo in
cui mangiano o in cui deridono i clienti – il gruppo stesso verrebbe distrutto, perché la sua rappresentazione
apparirebbe falsa e non credibile. I segreti devono quindi rimanere all’interno del gruppo: e per questo motivo, il
gruppo stesso deve comprendere, per definizione, tutte le persone che sono a conoscenza di questi segreti. Quindi,
appartenere ad un gruppo sociale significa soprattutto condividere i suoi segreti, cioè il suo patrimonio di
conoscenze. Secondo Goffman, quindi, la vita sociale si fonda sulla demarcazione dei confini tra palcoscenico e
retroscena. Il gruppo di audience non deve accedere alle situazioni di retroscena che contraddicono il
comportamento pubblico.
Attraverso il pensiero di Goffman è cambiato il modo di intendere la modernità e la post-modernità.

SUBCULTURE, INNOVAZIONI E RITARDI CULTURALI


«Se le relazioni reciproche in un gruppo sociale sono sufficientemente forti da resistere alle influenze dell’altro
generalizzato societario, il gruppo diventa una subcultura», una subcultura è un contesto nel quale si generano
collettivamente degli oggetti culturali che resistono alle influenze dell’altro generalizzato (le aspettative della società,
i contenuti simbolici della società), cioè della cultura dominante.

La subcultura è un contesto simbolico che si sviluppa all’interno di una cultura dominante, è fatta di un sottoinsieme di
oggetti culturali che possono essere sia materiali che immateriali, questo insieme di oggetti culturali è elaborato e
utilizzato da un gruppo della società. Es subcultura Hippie, una squadra di calcio.
Generalmente una subcultura ha contatti con la cultura esterna, ne condivide alcuni tratti essenziali, ma si distingue
da questa e talvolta le si contrappone. Perché si possa parlare di subcultura ci deve essere un sistema di interazioni a
livello micro-sociale, entro il suo dominio si crea un potente insieme di significati, simboli, norme comportamentali
che sono oggetto di identificazione e sono vincolanti per i membri della subcultura. Molto spesso una subcultura si
basa su differenze di classe, etnia, età, ecc.

La creazione culturale in una squadra di baseball della little league  Il gruppo fa riferimento ad una serie di valori
culturali generali (l’impegno, l’allenamento, la competizione, …), condivide una subcultura preadolescenziale, fa
propri certi messaggi degli adulti (impegnarsi nello sport) e certe pressioni ideologiche che vengono dalla società.
Insieme a questi aspetti generali c’è l’interazione fra i ragazzi che genera un gruppo adolescenziale e all’interno del
gruppo si generano degli oggetti culturali specifici, conosciuti solo dal gruppo (ad esempio la cadillac
dell’allenatore: l’allenatore ha una vecchia auto, con un lancio uno dei ragazzi colpisce la macchina dell’allenatore e
lui dice: “non rovinate la mia cadillac” e da allora ci si riferisce alla macchina dell’allenatore chiamandola cadillac
anche se in realtà è una vecchia macchina.) L’uso di questi termini testimonia l’appartenenza al gruppo, l’insieme di
questi oggetti culturali generati all’interno della subcultura vengono denominati idiocultura, quest’ultima è la
cultura del sub-gruppo: ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli ed espressioni noti solo ai membri del gruppo, e
utilizzati per separare questi dagli estranei. Nel gruppo creatore della sub-cultura gli eventi vengono trasformati in
cultura.

Subcultura vs cultura dominante  La subcultura può svolgere un ruolo di rilevanza all’interno della società
laddove opera per il mutamento culturale, distinguendosi alla cultura dominante (resistendo all’altro generalizzato).
La subcultura può concorrere a riprodurre la cultura dominante, mentre in altri casi le si contrappone, la sfida per
screditarla, in altri casi la vuole cambiare (esempio dei boxer dello spirito, un gruppo di giovani contadini cinesi dediti
alle arti marziali che nei primi anni del novecento diventa un gruppo sociale che contrasta i tentativi di
colonizzazione culturale operati dalle società occidentali, come il tentativo di cristianizzazione della Cina.)

Le subculture delinquenziali sono un ottimo esempio di come le subculture tentano di contrapporsi e di cambiare la
cultura dominante, spesso le bande giovanili sono composte da ragazzi che provengono da strati sociali inferiori e si
comportano in questo modo perché si trovano a competere con compagni di classi sociali medio/alte e mancano
delle risorse di cui gli ultimi sono dotati e al tempo stesso sono anche giudicati dalla società attraverso parametri che
sono tipici delle classi medie. Tutto questo generano una frustrazione da status alla quale i giovani reagiscono
utilizzando un meccanismo di difesa che si chiama formazione reattiva, un comportamento di critica e di
avversione nei confronti della causa del disagio, di ciò che genera la frustrazione, in questo caso la cultura dominante
del ceto medio/alto della società, questi giovani sviluppano così una subcultura che sviluppa e scredita quella
dominante.

Durata temporale della cultura e mutamento culturale  Le subculture sono importanti agenti del cambiamento,
nei processi culturali giocano un ruolo rilevante, il ritardo culturale è una teoria del mutamento culturale che si rifà
alla teoria del riflesso, per descrivere ciò Ogburn introdusse:
 Cultura materiale: quella dimensione della culturale abitata da oggetti prodotti da una determinata civiltà, case,
macchine, materie prime, manufatti, sostanze alimentari, etc.;
 Cultura non materiale: costituita da aspetti simbolici come costumi, pratiche quotidiane, istituzioni sociali,etc.;
 Cultura adattiva: in seguito ai cambiamenti della cultura materiale si avvia un processo di mutamento sociale e la
cultura adattiva è quella parte di cultura non-materiale che si adegua a i cambiamenti;
 ritardo culturale: occorre sempre un po’ di tempo perché la cultura adattiva si adatti al cambiamento e questo
scarto è detto ritardo culturale.

Ci sono numerosi esempi del processo inverso, cioè di cambiamenti nella cultura non materiale che si riverberano poi
nella cultura materiale, come il consumo di sigarette. In questo caso il cambiamento avviene nella cultura non
materiale ed è quella materiale che deve adeguarsi.

Teoria struttural-funzionalista della dissociazione tra mezzi e fini (Merton)  Dimensione dei riceventi. Merton
era un sociologo struttural-funzionalista, sviluppa una teoria sul rapporto che gli individui hanno con la cultura
dominante, osserva l’atteggiamento del singolo individuo. La sua teoria parte da un’osservazione, secondo lui i tratti
essenziali della cultura dominante degli stati uniti, detta american dream (attivismo strumentale, individualismo
acquisitivo) sono :
tutti devono tendere alle stesse mete ambiziose, con la convinzione che esse sono alla portata di tutti
(eguaglianza);
l’eventuale insuccesso deve essere considerato momentaneo e prelude al successo finale;
l’unico reale insuccesso consiste nell’abbassare le proprie aspirazioni.

Merton analizza quali sono le modalità con cui gli individui si rapportano alla cultura generale ed elabora una sua
teoria dell’anomia che interpreta affermando che ogni società socializza gli individui al raggiungimento di
determinate mete e mette a disposizione degli individui un insieme di mezzi legittimi per il raggiungimento di tali
mete. Dalla relazione fra mete e mezzi nasce la teoria dell’anomia, intesa da lui come una dissociazione fra le mete
proposte dalla società (valori ultimi) ed i mezzi messi a disposizione degli individui per raggiungere le mete (valori
strumentali). Secondo Merton si danno quattro tipi di anomia:
 posizione zero: gli individui fanno proprie sia le mete culturali che i mezzi istituzionalizzati, integrazione
dell’individuo, non c’è una situazione di anomia;
 prima posizione: gli individui fanno proprie le mete culturali ma cercano di raggiungerle con mezzi non legittimi,
soggetti deviati in senso classico, innovatori (ladri);
 seconda posizione: coloro che rispettano le norme della società, utilizzano i mezzi istituzionalizzati ma non per
raggiungere le mete culturali, (burocrati, bigotti);
 terza posizione: coloro che rifiutano sia le mete culturale ed i mezzi istituzionalizzati, chi è al di fuori della società,
i rinunciatari;
 quarta posizione: coloro che rifiutano sia le mete culturale ed i mezzi istituzionalizzati e cercano di proporne di
nuovi, rivoluzionari.

L’INDUSTRIA CULTURALE
In una società caratterizzata dalla produzione su larga scala di carattere industriale e capitalistico, la produzione di
oggetti che incorporano simboli, credenze e valori estetici diviene uno specifico settore merceologico, che segue le
stesse leggi che governano la produzione industriale di altri tipi di beni. Quando la produzione della cultura diventa
uno specifico settore merceologico, accade che si parla di industria culturale che non fa altro che avvicinare le due
concezioni della cultura (la cultura in senso classico e la cultura come un insieme complesso di vari elementi) e si
genera una rivoluzione inavvertita e una mediatizzazione della cultura.

Habermas (1962) in un saggio sull'origine dell'opinione pubblica mostra come inizialmente i prodotti culturali (la
letteratura e la stampa) venissero realizzati con il preciso fine di essere oggetto di discussione e di critica nei salotti
borghesi del 700. La produzione in serie (industriale) ha poi favorito la fruizione privata ed individuale dei prodotti,
sostituendo all'attività critica dei salotti il consumo tendenzialmente passivo, acritico, conformista, manipolato e
massificante dei beni culturali.

Produzione della cultura  Quali sono le modalità attraverso le quali vengono prodotti gli oggetti dell’industria
culturale? L'uso dei mezzi di comunicazione ha radicalmente modificato l'esperienza soggettiva consentendo forme
mediate di esperienze di pseudo-ambienti, l'esperienza soggettiva è stata al contempo ampliata e segregata. In
poche parole noi osserviamo il mondo attraverso degli ambienti che sono costruiti dalle industrie culturali, noi
facciamo esperienza di certi ambiti della realtà in modo non diretto ma mediato dai mezzi di comunicazione, ad
esempio noi sappiamo cos’è un ornitorinco non perché l’abbiamo visto direttamente ma perché l’abbiamo visto in
pseudo ambienti come un documentario. Quindi l’industria culturale ed i mezzi di comunicazione di massa
consentono di espandere l’esperienza dei riceventi, essa viene ampliata ma al tempo stesso segregata, ovvero
possiamo fare esperienza in questi ambienti costruiti ad arte dagli operatori.

Come funziona questa industria culturale? La produzione industriale degli oggetti culturali è caratterizzata da tre
aspetti:

• Incertezza della domanda: essendo l’industria culturale rivolta al pubblico di massa ha di fronte a sé il problema
di capire quali sono i gusti e le preferenze di un pubblico variegato;

• Tecnologia relativamente economica: i mezzi di comunicazione di massa sono ad oggi molto economici, si può
diventare produttori di industria culturale anche a livello artigianale;

• Eccedenza di creatori: a causa della tecnologia relativamente economica si sviluppa un’eccedenza di creatori.

Distribuzione della cultura  Come si configura il sistema dell’industria culturale? La Griswold propone il modello
di Hirsch, secondo lui l’industria culturale è caratterizzata dagli artisti creativi che formano il sottosistema tecnico e
dall’altro lato ci sono i consumatori finali. Il percorso che conduce i primi dagli ultimi è un percorso articolato nel
quale operano delle organizzazioni dell’industria culturale.
Accanto agli artisti deve agire un sistema di organizzazioni produttrici che vengono definite sottosistema
manageriale (le case editrici, gli studi cinematografici, le case discografiche), la relazione tra sottosistema tecnico e
manageriale non è semplice, vi è una sorta di filtro che seleziona i migliori artisti creativi che riescono poi ad
usufruire dell’attività delle organizzazioni produttrici.
All’interno di questo filtro operano vari soggetti, alcuni al soldo degli artisti creativi (agenti) e altri sono al soldo delle
organizzazione produttrici (talent scout, curatori editoriali). Una volta che gli artisti creativi sono stati selezionati le
organizzazioni finanziano la produzione dell’oggetto culturale e devono affrontare il problema di raggiungere i
consumatori finali, proprio per questo utilizzano il sistema dei media, definito sottosistema istituzionale, che
veicolano i prodotti culturali generati dall’industria.
Nel canale che si crea tra questi due ambiti si sviluppa un secondo filtro all’interno del quale operano da un lato i
promotori che sono all’interno delle organizzazioni del sottosistema manageriale, che si sforzano di veicolare
all’interno dei media i prodotti, dall’altro lato per conto del sottosistema dei media sono all’opera dei gatekeepers
(recensori, dj, presentatori) selezionano i prodotti che si suppone siano maggiormente graditi al pubblico.
Attraverso i media i prodotti dell’industria culturale raggiungono i consumatori finali, anche qua c’è un filtro
rappresentato dai consumatori finali stessi che filtrano i prodotti che maggiormente gradiscono.
In alcuni casi può accadere che le organizzazioni produttrici cerchino di raggiungere i consumatori finali bypassando
il sistema dei media, ciò dipende anche dal tipo di prodotti che veicolano, attraverso le promozioni.

I flussi comunicativi vanno da sinistra verso destra, per operare le organizzazioni del sistema produttivo hanno
bisogno di feedback (conoscere il gradimento dei prodotti), questi provengono da due ambiti, il primo è quello dei
media mentre il secondo è fornito direttamente dai consumatori finali.

Recezione della cultura  Nonostante il significato di un oggetto culturale sia inizialmente suggerito dai creatori,
chi riceve l’oggetto lo elabora, ma con quale grado di libertà i ricevitori rendono significativi gli oggetti culturali?
Alcune variabili principali che influenzano la ricezione dei prodotti culturali sono il reddito, l’istruzione e le relazioni
sociali, sulla base di queste variabili vengono studiate le diete culturali, persone appartenenti a ceti sociali popolari
hanno una certa dieta culturale (sport, televisione, canzoni popolari) mentre persone appartenenti al ceto
medio/alto hanno altre diete culturali (teatro, operistica sinfonica, mostre).

Uno studio sulla ricezione dei prodotti culturali a partire dalle variabili citate è stato condotto da Pierre Bourdieu che
fece un’importante riflessione sui tipi di capitale di cui dispongono gli individui, distinse tre tipi di capitale:
 Capitale economico: livello di reddito e livello professionale;
 Capitale culturale: cultura trasmessa dalla famiglia, livello e tipo di istruzione;
 Capitale sociale: quantità e qualità delle relazioni sociali.

A partire da queste forme di capitale costruisce uno spazio sociale attraverso il quale studiare come gli individui
fruiscono di una serie di beni e prodotti, conduce delle ricerche empiriche e studia i gusti della popolazione. Secondo
lui i gusti degli individui sono influenzati dall’habitus che è alla base dei criteri di valutazione della realtà, «Un
sistema di disposizioni durevoli e trasponibili che, integrando tutte le esperienze passate, funziona in ogni momento
come matrice di percezioni, valutazioni e azioni, e rende possibile compiere compiti infinitamente differenziati, grazie
al trasferimento analogico di schemi, di risolvere problemi simili, che si autocorregge grazie ai risultati ottenuti.»
L’habitus è una sorta di schema di valutazione che gli individui hanno interiorizzato tanto da diventare parte del loro
atteggiamento e viene utilizzato inconsciamente, diventa la matrice dei gusti degli individui.

Hans Robert Jauss sviluppa la teoria della ricezione, egli afferma: «Quando un lettore prende un libro, non vi si
relaziona come se fosse un recipiente vuoto pronto ad essere riempito … piuttosto lo colloca in un «orizzonte di
aspettative» plasmato dalle sue precedenti esperienze letterarie, culturali e sociali». Il lettore interpreta il testo sulla
base del suo orizzonte di aspettative, compie un’operazione critica del testo e al tempo stesso modifica il suo
orizzonte di aspettative.

Un’altra ricerca presentata dalla Griswold è come uno stesso prodotto dell’industria culturale viene fruito ed
interpretato in modo diverso dagli individui proprio a partire dalla loro cultura di appartenenza, la Griswold ha
sottoposto ricerche in tre diversi paesi sottoponendo agli individui un romanzo, chiedendo poi ai lettori di definire
sinteticamente di cosa tratta il testo. In india gli intervistati hanno detto che il testo è incentrato sull’ambiguità
dell’identità personale, negli Stati Uniti la maggior parte ha detto che si tratta di un romanzo che ha per tema le
differenze razziali, in Inghilterra è stato definito come un romanzo di formazione che descrive il percorso di
maturazione psicologica degli individui. Da ciò possiamo notare come la cultura dominante influenzi l’interpretazione
di un prodotto culturale.

Ci sono varie teorie della ricezione:


1. Ricevitore forte-oggetto debole (popular culture): i ricevitori manipolano i significati come vogliono. Selezionano
ciò che credono più opportuno e lo rielaborano nei modi più coerenti alla propria personalità. L’oggetto culturale è
una sorta di pretesto per le proprie ricostruzioni di significato.
2. Oggetto culturale forte- ricevitore debole (mass culture): sottende tutte le paure legate ai mass media (Scuola di
Francoforte), in cui il ricevente è fortemente condizionato dal contenuto. I contenuti si impongono alle persone
perché i prodotti culturali sono costruiti con tecniche che aggirano le difese delle persone.

CONSIDERAZIONE FINALI SULLA CULTURA


E’ un insieme concatenato di modi di pensare, di sentire, di agire più o meno formalizzato che, essendo appresi e
condivisi da una pluralità di persone, servono – in modo a un tempo oggettivo e simbolico – a costituire queste
persone in una collettività particolare e distinta. Analizzando meglio la frase:
 La cultura si rivolge e compre ogni forma di attività umana (conoscitiva pratica, affettiva);
 I modi di pensare, sentire e agire possono essere più o meno formalizzati (aspetti molto formalizzati: conoscenze
scientifiche, codice di leggi, aspetti poco formalizzati: arte, rapporti interpersonali);
 niente di culturale è ereditato biologicamente, ma si trasmette tramite la socializzazione (imitazione e
apprendimento);
i modi di pensare, sentire e agire sono condivisi da una pluralità di persone;
 la cultura contribuisce a creare la collettività in modo oggettivo (la cultura definisce le modalità con cui gli individui
interagiscono tra di loro) e simbolico.

GLI ELEMENTI DELLA CULTURA


La cultura è «Una struttura di significati, …, incarnati in simboli» (Geertz), «Un significato condiviso incorporato in una
forma» (Griswold p. 26), «E’ un insieme concatenato di modi di pensare, di sentire, di agire più o meno formalizzato »
(Voce Cultura Enciclopedia Treccani). La cultura è costituita da segni e simboli che si organizzano in modi particolari,
sotto forma di conoscenze, codici e valori.

Segni e simboli  Secondo Locke i segni servono alle persone per conoscere, interpretare e trasmettere la realtà,
questa facoltà può esprimersi soltanto attraverso l’uso dei segni. La semiotica è la disciplina che studia come sono
strutturati e prodotti i segni, Ferdinand de Saussure afferma che il segno è sostanzialmente la combinazione tra un
significante ed un significato. Il significante è l’insieme dei fonemi che costituiscono una parola, mentre il
significato è l’immagine della stessa parola che si richiama nella mente del soggetto umano, il segno è una
combinazione arbitraria fra questi due elementi, il significante è arbitrario, tuttavia una volta definito un significante
questo costruisce una relazione fissa con il suo significato.

Peirce modifica la prospettiva, ritiene che il segno non sia solo il risultato della relazione tra un significante ed un
significato ma che ci sia anche un terzo elemento, definito referente, una realtà che si trova nell’ambiente di colui
che usa il segno e serve alla mente per rapportarsi alla realtà. Queste sono le due principali prospettive della
semiotica: quella di De Saussure che sottolinea l’arbitrarietà della relazione fra significante e significato e che
concepisce il segno secondo una prospettiva di autonomia ontologica del segno, ovvero trascura la realtà cui il segno
si riferisce e etc.trascura chi usa i segni: l’emittente, il ricevente; mentre per Peirce il segno è l’intermediario tra la
realtà (esistente al di là della sua rappresentazione) e la mente dell’interprete. Si tratta di una posizione realista e non
costruttivista. Essa assume come punto di partenza e causa del processo di significazione la realtà.

Peirce elabora una semiotica interpretativa, cioè un’idea dell’utilizzo dei segni che serve ad interpretare la realtà e ad
elaborare un senso della realtà. Definisce il segno come qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche
aspetto e capacità e classifica in base in base alla relazione significante-significato:

• Icona: ogni segno caratterizzato da una relazione di somiglianza o analogia tra significante e significato (es.:
l’omino stilizzato per indicare il bagno maschile, la mappa di una città, primavera di Vivaldi);

• Indice: ogni segno caratterizzato da una relazione di contiguità/continuità fisica tra significante e significato. (es.:
impronta sulla sabbia ed il fatto che qualcuno abbia fatto questa impronta, la colonnina di mercurio per la
temperatura);

• Simbolo: ogni segno caratterizzato da relazione arbitraria tra significante e significato (es.: la parola “cavallo” per il
mammifero quadrupede, con la criniera; ma anche simbolo di velocità e di potenza: cavallo vapore, i cavalli
dell’automobile).

Proprio in base all’arbitrarietà della relazione fra significante e significato si distingue fra:
 Segno-Segnale: un tipo di segno caratterizzato da bassa arbitrarietà della relazione tra significante e significato ed
è nella forma più semplice qualcosa che sta per qualche altra cosa. Qui il significato è una quantità/qualità precisa e
finita. Nella relazione tra significante e significato vi è un nesso arbitrario, ma diretto. L’interpretazione non si presta
ad ambiguità (ad esempio l’indice, o anche, per certi versi, l’icona). Il segno è qualcosa che sta per qualche altra cosa:
relazione tra significante e significato, tra i due vi è un nesso arbitrario, ma diretto. Nel caso del segno il processo di
significazione si basa su una relazione biunivoca tra significante e significato. Il cavallo rimanda al quadrupede con la
criniera e gli zoccoli.
 Segno-Simbolo: nel simbolo il nesso tra un significante e il suo significato è meno diretto, è più ampio soggetto,
anzi necessita della interpretazione dell’attore. I simboli sono rilevanti in sociologia: le attività di costruzione e
negoziazione sui simboli sono componenti fondamentali della vita sociale di singoli e gruppi; nel simbolo il nesso tra
un significante e il suo significato è meno diretto, è più ampio ed è soggetto all’interpretazione dell’attore. Nel caso
del simbolo il significante rimanda ad un ambito più complesso di significati. È richiesto un processo di
interpretazione da parte del soggetto. Il cavallo diventa simbolo di velocità, di potenza (i cavalli del motore)
Da un lato la semiotica, la filosofia, la linguistica si preoccupano del rapporto fra il simbolo e le cose o tra un simbolo
e gli altri simboli, dall’altro le scienze sociali (sociologia e psicologia sociale) si occupano della relazione tra il simbolo
e coloro che lo utilizzano o delle relazioni tra gli attori che utilizzano i simboli.

Gli esseri viventi si sviluppano e agiscono in accordo con istruzioni codificate nei loro geni. Nel caso degli animali
chiamiamo istinto questa molla genetica (specializzazione). Nel caso dell’uomo i geni non forniscono informazioni
sufficienti alla sopravvivenza (essere generico), la cultura compensa l’incompletezza genetica, fornendo
interpretazioni del mondo. “Percepiamo l’ambiente che ci circonda nei termini di un mondo dotato di significato, ma
tale significato non è un attributo intrinseco degli oggetti della nostra esperienza ma il frutto di un processo
interpretativo”. I significati e le interpretazioni del mondo sono contingenti, come osserva Berger ciò genera la più
grande paura dell’uomo: la paura del caos. Dal punto di vista sociologico la cultura costruisce un argine contro il
dilagare del caos, essa “fornisce significato e ordine (della realtà) attraverso l’uso dei simboli” essa è costituita di
“oggetti culturali che convogliano un significato”.

Le funzioni dei simboli:


 Rappresentazione: i simboli servono a descrivere/interpretare la realtà in cui viviamo (es. linguaggio);
 Comunicazione: i simboli permettono di trasmettere la conoscenza di una persona o di una cultura;
 Partecipazione: i simboli conducono gli individui a condividere valori e norme.

Segni e simboli sono l’elemento essenziale di cui è costituita la cultura e si organizzano in varie modalità:
• conoscenze empiriche ed esistenziali, le conoscenze empiriche si dividono a loro volta in tecniche e oggetti
materiali;
• codici che si dividono in lingue e codici sociali;
• valori dai quali scaturiscono delle norme.

Gli ambiti di produzione della cultura sono:


• sistema giuridico;
• processi, mezzi e sistemi di comunicazione;
• arte;
• processi e agenzie di socializzazione;
• scienza;
• economia;
• politica;
• religione (riti, miti).

Conoscenze  Segni e simboli ci consentono di rapportarci con gli ambienti che ci circondano, infatti la cultura (cui
elementi essenziali sono segni e simboli) è il mediatore tra gli esseri umani e gli ambienti in cui si trovano ad agire.
Le conoscenze empiriche sono sostanzialmente segni e simboli che vengono elaborati a partire dall’osservazione di
evidenze empiriche dotate di regolarità che accadono nei vari ambienti, osservando delle regolarità empiriche si
costruisce un insieme di conoscenze che producono il sapere scientifico. Questo metodo conoscitivo viene utilizzato
anche nella vita quotidiana, come i proverbi, affermazioni che in qualche modo sintetizzano delle analisi della realtà
ambientale ce spesso sono il frutto della rilevazione di regolarità empiriche ed attraverso l’osservazione di queste
regolarità empiriche si viene a costruire il senso comune. Esso è una concezione elementare del mondo e
dell’esistenza comune alla maggior parte dei membri di una società, e utilizzata da quasi tutti loro con un grado
minimo di consapevolezza, tale da permettere di predicare come “ovvi” e “dati” i più diversi stati e variazioni di
oggetti, fenomeni, accadimenti sociali e culturali.

Le conoscenze esistenziali sono quelle conoscenze che riguardano la risposta ai grandi perché dell’umanità, a questi
interrogativi né la scienza, né la conoscenza empirica possono rispondere ed ecco allora che il genere umano, le varie
culture danno risposta in altro modo elaborando delle cosmogonie, dei sistemi religiosi, filosofici ed ideologici che
intendono spiegare il perché dell’esistenza dell’universo e della specie umana.

Codici  Un codice è un insieme di segni a cui convenzionalmente vengono attribuiti dei significati e da un insieme
di regole per la combinazione di tali segni e simboli, le lingue sono i codici culturali fondamentali utilizzati dal
genere umano. La lingua è un sistema di comunicazione proprio di una comunità umana che usa suoni o simboli con
significati arbitrari ma strutturati, la lingua indica il modo concreto e determinato storicamente in cui si manifesta la
facoltà del linguaggio umano.

Altri tipi di codice sono i codici per la regolazione delle relazioni umane, le lingue consentono la comprensione
reciproca degli individui, attraverso essa è possibile comunicare e comprendersi reciprocamente, tuttavia esso non
garantisce il coordinamento dei comportamenti tra gli individui. In sociologia ci si è soffermati ad analizzare quali
siano i meccanismi che facilitano il coordinamento dei comportamenti, da qui ne sono scaturiti i mezzi/codici
simbolici generalizzati, meccanismi che vengono in ausilio al linguaggio per facilitare il coordinamento delle
relazioni e transazioni tra gli individui. Un primo codice di comunicazione è il denaro che consente di regolare i
comportamenti tra gli individui con una certa facilità e lo fa attraverso una serie di cifre (ad esempio in un
supermercato noi facciamo attenzione ai cartellini dov’è indicato il prezzo della merce e noi decidiamo se comprarla
o meno senza interazioni linguistiche, un altro esempio sono le aste online), il solo codice numerico del denaro
consente il coordinamento dei comportamenti e facilita la transazione.

Nelle società occidentali complesse i codici che servono a coordinare il comportamento sono basati su un principio
di facilitazione, tutela e promozione dell’autonomia dei soggetti. Questo è particolarmente evidente per quanto
riguarda il mezzo simbolico del diritto che tende a tutelare le persone (esempio di Hobbes ed il Leviatano,
limitazione della sfera di autonomia individuale per non danneggiare quella altrui). Un altro codice di questo genere
è il potere.

Il codice simbolico del dono era utilizzato nelle società pre-moderne in modo diffuso e che ad oggi ha rilevanza solo
in sfere particolari delle società occidentali, questo mezzo simbolico sottolinea l’aspetto di legame della relazione
sociale. Marcel Maus studiando la popolazione delle isole Trobriand afferma che queste popolazioni sviluppano i loro
scambi soltanto attraverso il codice del dono, si tratta di scambi di beni materiali non regolati del denaro, le
popolazioni partivano portando doni agli abitanti delle altri isole che a loro volta facevano un viaggio di dono verso
un’altra isola. Il rituale del dono è guidato da tre regole, la regola del donare liberamente (deve esserci una scelta
autonoma dei soggetti che vanno a portare i doni), la norma del ricevere e la norma del reciprocare il dono. Il terzo
aspetta sottolinea la dimensione di legame presente nel comportamento di dono. Oggi gli scambi regolati dal dono
avvengono all’interno della sfera della vita privata (parentela, amicizia e famiglia), all’interno di queste relazioni
facciamo dei doni perché ci teniamo a sottolineare l’importanza che ha per noi la relazione con colui che riceve il
dono, il dono diventa quindi simbolo della relazione. Le frasi fatte che si utilizzano quando si riceve un dono vengono
interpretate dicendo che il ricevente tende ad attirare l’attenzione sulla dimensione economica del dono perché si
vuole essere sicure che il dono sia frutto di una libera ed autonoma intenzionalità, quindi si vuole essere sicuri che il
dono sia autentico ed esprima effettivamente l’importanza della relazione. Dopo che il ricevente ha espresso le
tipiche frasi fatte (non dovevi disturbarti, grazie, è troppo) il donatore solitamente risponde con delle frasi fatte che
intimano di non tenere conto dell’aspetto economico ma di concentrarsi sul vero significato del dono. Nel codice del
dono si combinano l’aspetto di autonomia e quello di legame, un legame che poi si esprime in una sorta di senso di
debito che il donatario avverte nei confronti del donatore e quindi sente l’obbligo di sdebitarsi. Se per lui la relazione
è meno importante contraccambia con un dono di egual valore economico ma di scarso valore simbolico. A volte il
dono può avere un aspetto negativo nei confronti di chi non è in grado di sdebitarsi (perché il dono è troppo
costoso) e può generare una sorta di mortificazione. Un altro utilizzo del codice del dono è quello utilizzato da parte
delle grandi imprese per cercare di fidelizzare il cliente.

Valori  “Un valore è una concezione del buono e del desiderabile, esplicita o implicita, distintiva di un individuo o
caratteristica di un gruppo, che influenza la selezione fra modi, mezzi e fini disponibili.” il valore è una concezione,
quindi ha una dimensione cognitiva, spesso si presenta sotto forma di enunciati del tipo: X è buono, Y è bella, … i
valori implicano quindi una consapevolezza e capacità argomentativa da parte dell’attore sociale. Accanto a questo
aspetto cognitivo e razionale c’è una dimensione affettiva, infatti i valori coinvolgono gli affetti e i sentimenti delle
persone e conformarsi ad essi è ritenuta una cosa buona in sé, indipendentemente dal vantaggio che se ne può
ricavare (es. evitare una punizione). Questo comportamento viene ripetuto nel tempo anche se uno non ottiene i
risultati attesi. I valori hanno anche una dimensione selettiva, ovvero servono ad orientare gli individui nelle
selezione fra vari modi, mezzi e fini dell’azione disponibili, molto spesso attraverso i valori vengono elaborate delle
norme di comportamento.

Il giudizio di realtà è una proposizione che dice come una cosa è, mentre il giudizio di valore è una proposizione che
attribuisce qualità e valore alle cose. Nelle società ci sono dei valori dominanti che definiscono le caratteristiche
generali di una società.

Le variabili modello o patterns variables, sono variabili che modellano il comportamento e si trovano a cavallo fra
i valori e le norme, esse descrivono il tipo di comportamento che è atteso dagli individui nell’ambito della società e
della comunità. Qui è necessario distinguere tra società e comunità, pian piano la comunità è stata sostituita da un
altro modo di intendere le relazioni tra le persone, un modo societario. Pian piano la società sta andando
sostituendosi alla comunità. Secondo Parsons invece non ci troviamo davanti ad un processo di sostituzione della
comunità da parte della società, piuttosto è in atto nelle società occidentali un processo di differenziazione funzionale
delle sfere di relazione sociale, ovvero secondo Parsons nell’occidente moderno ci sono delle sfere di relazione di tipo
comunitario accanto a delle sfere di relazione di tipo societario, queste convivono ma sono le une estranee alla altre.
VARIABILI MODELLO
COMUNITÀ SOCIETÀ
Modelli di comportamento: affettività. Nella comunità Modelli di comportamento: neutralità affettiva. In
ci si attende un coinvolgimento degli aspetti emotivi società non si possono avere dei comportamenti che
della persona (relazioni famigliari). rimandano ad aspetti affettivi (relazione docente-
studente).
Ci si orienta al particolarismo. Nella comunità ogni Ci si orienta all’universalismo. In società non si possono
individuo si aspetta dagli altri un’attenzione nei suoi avere atteggiamenti preferenziali nei confronti di
confronti. qualcuno.
L’ingresso in comunità è dettato dal principio di L’ingresso in società è determinato dal principio di
ascrittività, si entra a far parte del gruppo comunitario acquisività, si entra a far parte del gruppo sulla base di
per nascita. una serie di criteri e caratteristiche del soggetto.
Gli orientamenti sono di tipo diffusivo, ovvero è Gli orientamenti sono dettati dalla specificità, bisogna
richiesta attenzione a tutti gli aspetti della vita personale avere attenzione alle caratteristiche specifiche del
dei membri della comunità. soggetto.
Orientamento alla collettività, i criteri con cui vengono Orientamento al self, valorizzazione dell’individuo, i
operate le scelte rimandano alle esigenza della criteri di scelta dell’azione degli individui sono legati alle
comunità. Le esigenze dei singoli devono essere in esigenze del sé.
qualche modo ricondotte alle esigenze della comunità.

Nei valori rientrano anche le norme di comportamento, un importante strumento che la specie umana si è data per
rapportarsi ai vari ambienti con cui ha a che fare, in particolare per rapportarsi all’ambiente sociale. Le norme
giuridiche sono ispirate dai valori, nei primi articoli della costituzione non sono indicate delle norme ma dei valori
che sono quelli che ispirano l’articolato normativo.
Norma sociale e devianza  La norma è un’aspettativa di comportamento, con la modernità (nelle società
moderne) si afferma una concezione autoreferenziale (la legittimazione delle norma è autoreferenziale, si fonda su
se stessa e ha un carattere statistico, quindi diventa normativo ciò che accade normalmente, quindi più spesso, nella
società) della norma sociale (tipo curva gaussiana) quindi non c’è più un fondamento esterno alla norma sociale che
la giustifichi e la razionalizzi: la tradizione, il sovrano, o la divinità. La devianza è un comportamento non conforme
alle aspettative sociali più o meno istituzionalizzate (norme informali e formalizzate), è un concetto relativo perché
tramite le norme può variare da un momento all’altro, la devianza può essere interpretata come un tentativo di
sfuggire al controllo sociale. L’infrazione alla norma sociale prevede una sanzione (per lo più pubblica), che ha la
funzione di rafforzare la norma e funge da fattore deterrente, ad esempio se una persona può decidere di non essere
più amica di un’altra in seguito al suo comportamento scorretto, in questo caso la persona sta amministrando la
sanzione e la sta rafforzando dicendolo ad un’altra amica (le intima di non comportarsi così) e quindi funziona da
deterrente.
Le forme più comuni di devianza sono:
 crimine: comprende l’infrazione delle norme consacrate dalle leggi;
 esclusione e marginalità: coloro che si pongono o sono posti al di fuori della cerchia sociale;
 alienazione: dà luogo a comportamenti di protesta (protestatari, rivoluzionari), di innovazione sociale (riformatori,
profeti), coloro che protestano contro la società perché si sentono esclusi da essa;
 diversità anormalità: comprende i diversi, che non mettono in atto azioni non conformi (handicap fisico e
psichico);
 peccato: comprende i negatori dei valori sacri del gruppo: eretici, traditori, apostati, transfughi;
 malattia: comprende sia le forme tradizionali di malattia che non consentono di corrispondere ai doveri derivanti
dal proprio ruolo sociale, sia le forme di patologia che hanno potenzialmente maggiori ripercussioni negative sulla
società (tossicodipendenti, alcolizzati, malati mentali).
Le principali caratteristiche della devianza sono:
 fattore espressivo che mette in evidenza la necessità e la direzione del cambiamento (ptoteste del 1968);
 canalizza le capacità creative ed alternative degli individui;
 riattiva processi di ridefinizione degli attori sociali all’interno dei gruppi e delle società.
Le funzioni della devianza rispetto al sistema sociale sono:
 “Valvola di sfogo” delle tensioni.
 “Capro espiatorio” delle tensioni.
 “Sacca di emarginazione” dei soggetti pericolosi (Foucault).
 “Cortina fumogena” per coprire le contraddizioni del sistema (Foucault).
 Riaffermazione del valore della norma (Durkheim).
Ogni società socializza gli individui al raggiungimento di determinate mete mette a disposizione degli individui un
insieme di mezzi legittimi per il raggiungimento di tali mete.
Sociologia dell’arte  La produzione artistica costituisce un ambito ampio e variegato della cultura, vi trovano
espressione sensazioni, emozioni, dimensioni dell’immaginario individuale e collettivo, rappresentazioni della realtà
naturale e sociale, concezioni del mondo e della vita. Le prime forme di creazione artistica trovano la loro fonte di
ispirazione nel mito e nella religione. Le varie tipologie di produzione artistica sono:
٠ Arti figurative (immagini): pittura, scultura, architettura, danza, fotografia, cinema;
٠ Letteratura (parola parlata e scritta): poesia, narrativa, teatro;
٠ Musica (suoni): classica (da camera, sinfonica, lirica), leggera (rock, disco, pop).
Le scienze sociali hanno contribuito ad affermare l’idea che il criterio in base al quale si stabilisce che una
determinata forma espressiva può essere classificata come arte muta nel tempo e dipende dal contesto storico
sociale in particolare dalle:
٠ Strutture sociali (stratificazione sociale, distribuzione del potere, modi di produzione, forme del consumo,
conoscenze tecniche);
٠ Sistema culturale dominante (valori estetici, morali, sociali, stili di vita, omogeneità/eterogeneità culturale).
La sociologia fornisce un tentativo di definizione delle forme artistiche a partire dalla distinzione tra senso e
significato (complessità indeterminata dell’agire e determinatezza del significato, forma e contenuto). “Le forme di
espressione artistica sono forme di mediazione simbolica che traducono in linguaggio, suoni e immagini la
complessità dell’esperienza vissuta.” La specificità dell’arte rispetto alle altre forme di mediazione simbolica di uso
corrente nella vita sociale (senso comune, linguaggio, regole, tecnica, filosofia, scienza, diritto, morale, etc.) è data
dalla rilevanza che in essa assume la dimensione dell’immaginario, dell’espressione metaforica e l’accentuata
attenzione e consapevolezza per il medium formale utilizzato.
Che cosa fa di una forma espressiva una forma d’arte? Per la semiotica il segno è data dalla relazione fra il
significante ed il significato, provando ad analizzare un’opera di Van Gogh bisogna utilizzare la teoria del segno
proposta da Peirce che rimanda al referente, il referente di quest’opera è la capacità di elaborazione di senso del
soggetto (torna la relazione tra senso e significato), la specificità di un’opera d’arte è data dal fatta di essere un segno
che non rimanda alla realtà materiale, ma a una realtà particolare che è la facoltà di elaborazione del senso da parte
del soggetto umano (guardando gli scarponi del quadro non penso a degli scarponi nella realtà, ma riesco a intuire
quel processo interno al soggetto umano che è la sua capacità di elaborazione del senso). Attraverso questa
produzione simbolica Van Gogh vuole esprimere un senso che ha elaborato interiormente.
Quando la particolare attenzione al mezzo espressivo lo celebra come forma autonoma fine a se stessa l’arte assume
la forma del manierismo, del barocco. L’attenzione al mezzo espressivo produce anche una consapevolezza dei suoi
limiti invalicabili; il mezzo espressivo non può mai esprimere in pienezza il senso, il senso è sempre al di là dei
significati. L’arte non intende ridurre il senso al significato, essa non può dire il senso, lo mostra, lo fa balenare,
rimanda al senso.
Il senso rimanda alla facoltà della coscienza di interpretare e dare ordine ad una realtà caratterizzata da un insieme
pressoché infinito di possibilità di esperienza e di azione, mentre il significato rimanda alle singole e specifiche
determinazioni della realtà che assumono di volta in volta “corpo” e contenuto nell’esperienza degli uomini e delle
società.
“Nell’opera compiuta del genio c’è un senso divenuto obiettivo, un senso che non si può comprendere né esaurire
mediante alcuna riflessione e quindi neppure mediante la riflessione dello stesso individuo che l’ha creata.” La
precedente interpretazione spiega il fenomeno della polisemia dell’opera d’arte. Avendo come referente il processo
di elaborazione del senso l’opera d’arte innesca nel pubblico processi soggettivi di elaborazione del senso che
possono produrre una differenziazione e una ineffabilità o incomunicabilità delle interpretazioni.
Rapporti tra culture  Parliamo dei rapporti tra cultura presentando dei concetti generali.
• Universali culturali: sono dei tratti comuni a tutte le culture, un censimento di Murdock mostra alcuni di questi
tratti, sport, ornamento del corpo, lavoro cooperativo, danza, istruzione, riti funebri, distribuzione dei doni,
ospitalità, tabù dell’incesto, scherzo, linguaggio, restrizioni sessuali, fabbricazione degli utensili … Perché esistono
gli universali culturali? La specie umana ha una serie di bisogni fisiologici, psicologici e sociali e a partire da questi
bisogni le varie società offrono delle interpretazioni, delle risposte a questi bisogni, proprio queste risposte vanno
a costituire gli universali culturali.
• Pluralismo culturale: per analizzare questo concetto bisogna attuare una distinzione. Società pre-moderna:
segmentazione orizzontale. La staticità della cultura consentiva di stabilire tra la popolazione nette divisioni di
status, di casta, di gruppo e di mantenerle senza creare tensioni e conflitti, a causa della loro separatezza e
dell’assenza di comunicazione reciproca. Nella società pre-moderna l’individuo fin dalla nascita viveva in cerchie
sociali concentriche. Società moderna industriale: complessità sociale. La società industriale è una società mobile e
instabile. Le grandi correnti della mobilità lavorano contro il mantenimento di rigidi steccati orizzontali che
diventano sempre meno giustificabili e tollerabili. Nella società complessa l’individuo si trova a partecipare
contemporaneamente a più gruppi e associazioni che possono avere uno scarso rapporto reciproco. Da qui nasce
il pluralismo culturale che garantisce una certa libertà d’azione gli individui perché possono entrare e uscire da
varie cerchie sociali, infatti l’essere umano vive all’interno di sistemi simbolici scarsamente correlati. Di fronte alla
pluralità di opzioni è portato a riflettere e a pensare che la scelta fra valori diversi o contraddittori sia un aspetto
irrinunciabile della propria e dell’altrui libertà.

• Relativismo culturale: è la prospettiva secondo la quale ogni cultura ha una valenza incommensurabile rispetto
alle altre, ed ha quindi valore di per sé stessa e non per una sua valenza teorica o pratica. Si generano perciò dei
modelli riduzionisti che tendono a minimizzare la variabilità culturale e a considerare le differenze tra le varie
culture come delle manifestazioni superficiali e sottolineano il concetto di universale culturale, dall’altro lato si
generano dei modelli relativisti che insistono sull’unicità di ogni cultura e sottolineano l’impossibilità di ogni
criterio di validità e di una effettiva comprensione interculturale. Relativismo culturale può essere interpretato
come un orientamento metodologico, ovvero studiare una cultura particolare senza pregiudizi, e/o applicando
schemi e categorie prodotte dalla propria società e contrastare l'etnocentrismo; oppure come un’impostazione
filosofica, quindi postula l’incomparabilità tra culture diverse e l’impossibilità di ogni criterio di validità e di una
effettiva comprensione interculturale.
• Etnocentrismo: è quel punto di vista secondo cui il nostro gruppo è il centro di tutte le cose, mentre tutti gli altri
sono misurati e valutati rispetto a esso.

IL MUTAMENTO CULTURALE NEI PASSAGGI D’EPOCA


 L’EPOCA MODERNA
L’elemento essenziale dell’epoca moderna è l’idea che essa sia caratterizzata per il fatto di porre al centro il valore in
sé dell’individuo e sostenere, promuovere all’interno della società l’autonomia dell’individuo, con la modernità infatti
si è affermata all’interno della cultura l’idea di autonomia del soggetto ed un rifiuto dell’autorità.
Un’altra caratteristica che ha distinto la modernità è l’universalismo della ragione, il far perno sulla ragione e sulla
razionalizzazione, una delle conseguenze di ciò è stata la razionalizzazione del reale, infatti l’uomo moderno
osserva la realtà razionalizzandola, ponendo un primato su ciò che è sperimentale e stressando una concezione dello
sviluppo della società come capitalizzazione della tecnica, quindi come crescita delle conoscenze tecnologiche. Da
questo ultimo punto si è affermata nell’epoca moderna un’idea che porta a mitizzare il progresso, a considerarlo
come un processo necessario ed infinito per cui c’è anche una sottolineatura del ragionamento ipotetico
(ragionamento che partendo da premesse ipotetiche basate sull’osservazione dei fatti, ne deduce le conseguenze al
fine di verificare se esiste o no accordo fra le ipotesi e la realtà empirica) come elemento caratteristico della cultura
moderna.
L’evoluzione storica  Dal punto di vista della struttura sociale l’affermarsi di questi orientamenti culturali ha fatto si
che la società si strutturasse dando rilevanza alla scienza e ai suoi esponenti, si sono affermate le scienze tecniche e
sperimentali ma anche quelle umane e sociali. Le scienze umane e sociali si propongono l’obbiettivo di
razionalizzare e strutturare in modo ordinato la vita sociale dell’individuo, tra gli aspetti che vengono razionalizzati
e strutturati vi è anche tutto il sistema produttivo, la modernità ha visto sorgere il processo di industrializzazione
dell’economia, quindi si è arrivati ad una strutturazione del sistema produttivo che ha generato la produzione a
catena. Quest’ultima si è associata alla concezione di società di massa, una società in cui gli individui sono visti
come singoli individui isolati e autonomi, la cui attività deve essere coordinata con quella degli altri e quindi è
necessario trovare una forma di razionalizzazione della società che consenta il vivere civile ed il permanere di un
legame sociale, che Durkheim definisce con il concetto di solidarietà organica. Per quello che riguarda le singole
soggettività individuali viene proposta l’interiorizzazione da parte degli individui di una serie di valori come
l’autonomia individuale, la ragione, l’etica pubblica, il progresso e la formazione.
Questo tipo di società è stata definita come modernità solida, pesante, strutturata e sistemica, si vuole sottolineare il
fatto che la società moderna ha puntato molto sulla razionalizzazione della vita sociale affidandosi alle scienze
sociali, dunque sulla capacità di organizzare la vita sociale in modo coerente, articolato, dinamico, efficiente e
funzionale, dando l’idea i un sistema ben congegnato, caratterizzato da connessioni e legami solidi.
Criticità e contraddizioni  Nel momento in cui la società moderna ha raggiunto la sua maturità hanno cominciato
ad affermarsi degli aspetti di criticità e delle contraddizioni. Una delle prime è stata evidenziata da Carl Marx
quando ha sottolineato l’esistenza di crisi di sovrapproduzione dovute al modo in cui si è configurato il mercato nelle
società moderne, quest’ultimo è un mercato autoregolamentato (regolato dalla legge della domanda e dell’offerta).
Un altro elemento di contraddizione è l’emergere della consapevolezza dei limiti della scienza, a partire dai primi anni
del 1900 importanti scienziati avevano individuato dei limiti insuperabili della conoscenza scientifica di stampo
empirico/sperimentale, in particolare Eisenberg con il suo principio di indeterminazione aveva mostrato come alla
scienza fisica non fosse possibile conoscere al tempo stesso il percorso degli elettroni attorno al nucleo dell’atomo e
la velocità del loro movimento. Come conseguenze dell’emergere della consapevolezza dei limiti delle scienze
empirico/sperimentali si è creata una sorta di disillusione nei confronti della possibilità di sviluppo lineare della
società, dunque nei confronti della possibilità di un progresso all’infinito.
Ci sono poi delle vere e proprie contraddizioni che hanno caratterizzato la modernità, una delle prime è data dal
fordismo e dal taylorismo cioè la scoperta del lavoro a catena e la razionalizzazione del lavoro, tutto ciò ha fatto del
lavoratore una sorta di strumento della macchina, questo genera una contraddizione perché l’essere umano era stato
individuato dalla modernità come il valore principale che le società occidentali dovevano cercare di realizzare,
garantendone l’autonomia, la struttura produttiva emersa dalla modernità invece fa ricadere l’uomo in una posizione
strumentale rispetto ai meccanismi produttivi (un’icona chiarissima di questo paradosso è quella denunciata da
Charlie Chaplin nel suo film tempi moderni). Un altro elemento di contraddizione è il fenomeno dei totalitarismi che
genera dei sistemi politici di tipo dittatoriale, in cui il volere di un singolo o di un’oligarchia si impone a tutta la
società, anche qui c’è una contraddizione rispetto ai valori di fondo della società che tendeva a promuovere e
tutelare l’autonomia individuale. Il fenomeno dei campi di concentramento è una contraddizione ancora maggiore,
viene applicato il sistema di razionalizzazione delle attività umane ad un obbiettivo, ovvero lo sterminio di certe
categorie della popolazione; il valore dell’individuo e la sua autonomia vengono un’altra volta messi in
contraddizione da un altro tratto essenziale della società moderna, quello della razionalizzazione e della
valorizzazione della ragione come tratto distintivo dell’essere umano. Un altro aspetto che rimane presente nelle
società anche dopo gli eventi della seconda guerra mondiale è il paradosso della regola dell’autonomia del soggetto,
la valorizzazione delle scienze empirico/sperimentali se applicate allo studio dell’uomo fa si che ci si affidi allo
scienziato per definire quale siano le adeguate modalità di sviluppo dell’essere umano, ma se ci si affida ai risultati
delle scienza per dire come deve comportarsi l’essere umano a questo punto che ne è della sua autonomia? L’ultimo
aspetto emerso di recente è l’idea che la razionalità umana sia limitata, aspetto che discende dalla crisi delle scienze
europee.
L’EPOCA POSTMODERNA
La postmodernità si configura come quell’epoca che prende coscienza delle contraddizioni della modernità e cerca di
emendarle, questo periodo inizia nel 1956 perché il postmoderno è la dimensione culturale della società
postindustriale nata appunto in quell’anno dove negli stati uniti per la prima volta gli addetti al settore terziario
superano per numerosità la somma degli addetti al settore primario e secondario. Altri sostengono che l’anno sia il
1968 perché è una data cardine nell’affermare un processo di contestazione dell’ordine costituito, attraverso queste
contestazioni emerge un nuovo tipo di società che mette in luce gli aspetti di criticità della modernità soprattutto la
strutturazione e la razionalizzazione della struttura sociale. Altri ancorano sostengono che la data che segna l’inizio
della postmodernità sia il 1989 con la caduta del muro di Berlino che segna le fine delle grandi ideologie che
fornivano comunque un’interpretazione della realtà, si entra pertanto in un’epoca priva di interpretazioni della realtà
convincenti che non riescono a dare un senso all’esistenza soggettiva, quest’epoca è l’epoca della globalizzazione.
Talcot Parson  La sociologia di Parson parte dall’idea di spiegare com’è possibile l’azione individuale e l’ordine
sociale, com’è possibile che individui liberi agiscano all’interno della società generando comunque un ordine sociale.
Parson afferma di voler realizzare un micro-macro link, un link tra la dimensione dell’agire individuale e la
dimensione dell’ordine sociale in modo tale da garantire il volontarismo dell’azione. Parson afferma che se si
conoscono tutti i dati di contorno (quale sia l’obbiettivo dell’individuo e le risorse a disposizione per raggiungerlo) si
saprà qual’è il discorso più agevole per raggiungere gli obbiettivi, secondo lui una filosofia sociale impostata su un
razionalismo di tipo utilitaristico ci consente di predeterminare il comportamento delle persone, voleva elaborare una
teoria dell’agire individuale e dell’ordine sociale che lasciasse spazio al volontarismo dell’azione.
Nel suo primo lavoro, la struttura dell’azione sociale, Parsons inizia studiando le caratteristiche dell’azione sociale,
secondo lui alcune scienze hanno degli oggetti specifici di studio, delle unità d’analisi che costituiscono l’elemento di
base della disciplina (biologia-cellula). Egli afferma che l’unità d’analisi della sociologia sia l’azione, per parlare di
azione sociale occorre che ci sia un soggetto (attore) che sia orientato verso il raggiungimento di determinati fini, in
una determinata situazione, che è normativamente regolata nei mezzi in base ai valori. Questa è per Parsons
l’azione sociale, afferma che affinché ci sia l’azione sociale è necessario che ci sia un soggetto che sceglie un
determinato fine e selezioni poi i mezzi per raggiungere quei fini. Per Parsons i mezzi vengono scelti in base alle
norme sociali e ai valori della società, quindi l’azione sociale è come se fosse composta da questi quattro elementi:
mezzi, fini, norme e valori. Le azioni sociali si collocano poi in un ambiente caratterizzato da realtà materiali da un
lato e da realtà ultime dall’altro lato, queste ultime sono delle dimensioni di tipo spirituale (i grandi perché della
vita).
Una volta conosciuta la teoria dei sistemi a Parsons viene in mente di applicarla all’azione e di osservare quindi
l’azione come un sistema. Il sistema è un tutto composto di parti che stanno in relazione tra loro, quindi possiamo
considerare l’azione come un sistema, come un tutto fatto di parti, le parti dell’azione sono dei sottosistemi che sono:
• sottosistema organico: svolge la funzione di fornire energia bio-psichica all’azione, è il carburante dell’azione
umana, un’energia che non è solo fisica ma anche una pulsione;
• sottosistema della personalità: si occupa di selezionare gli scopi ed i fini dell’azione, è a livello della personalità
che l’individuo sceglie quali obbiettivi proporsi;
• sottosistema sociale: fornisce il quadro normativo, fornisce al sottosistema della personalità i riferimenti
normativi per selezionare gli scopi ed i mezzi e le azioni per raggiungerli;
• sottosistema culturale: serve al soggetto per definire la situazione, ovvero per interpretare la realtà, è attraverso
la cultura che il sottosistema della personalità definisce ed interpreta la realtà ed in base a questa interpretazione
sceglie i fini, gli scopi dell’azione ed i mezzi per raggiungere questi scopi.
Tra questi sottosistemi c’è un doppio ordine, da un lato una gerarchia legata all’energia, ovvero c’è un massimo di
energia nel sistema organico ed un livello inferiore di energia nel sottosistema della personalità, uno ancora inferiore
in quello sociale e così via. Dall’altro lato c’è un altro ordine di energia che è basato sull’informazione, energia
cibernetica e secondo la gerarchia cibernetica nel sottosistema culturale c’è il massimo dell’informazione, in quello
sociale un po' meno di capacità di informazione e così via. Esempio: noi abbiamo scelto un corso di lingue, il nostro
sottosistema delle personalità ha preso questa decisione probabilmente perché fa riferimento a dei valori che sono
collocati all’interno del sottosistema culturale. In base a ciò movimentiamo le nostre energie e le nostre risorse per
raggiungere l’obbiettivo della laurea in un corso di studi di lingue.
C’è un parallelismo fra dell’azione e quella dei sistemi perché se l’azione è composta da mezzi, fini, norme e valori, i
mezzi si riferiscono all’organismo, i fini sono scelti dal sottosistema della personalità, le norme sono elaborate e
tutelate dal sistema sociale mentre i valori sono elaborati e depositati nel sottosistema culturale. In questo modo
Parsons ritiene di poter spiegare come sia possibile l’agire individuale e al tempo stesso l’ordine sociale.
Parsons elabora poi lo schema AGIL, egli sostiene che affinché un sistema possa sussistere questo deve svolgere
quattro funzioni, quella di adattamento (scambio di azioni e risorse con l’ambiente) ed è ciò che viene operato dal
sottosistema organico, la funzione di raggiungimento dei fini attuata dal sottosistema della personalità, la funzione
integrazione (un meccanismo che tiene insieme tutte le parti) svolta dal sottosistema sociale, l’ultima funzione è
quella di mantenimento del modello latente (ogni sistema ha un modello di identità, ovvero un insieme di
informazione che ne definiscono le caratteristiche identitarie) questo modello è contenuto nel sottosistema culturale
è infatti la cultura che fornisce il modello identitario.
Niklas Luhmann  Luhmann respira le contraddizioni di una modernità solida e razionalizzata e pur studiando il
funzionalismo e la teoria dei sistemi elabora una diversa concezione del funzionalismo, tanto che la sua teoria viene
etichettata come una teoria neo-funzionalista. Il neo-funzionalismo di Luhmann consiste in un abbandono del
paradigma causalista (spiega l’esistenza degli enti in base alla funzione che svolgono, quindi la funzione svolta
dagli enti e dai fenomeni è la causa della loro esistenza) in favore del metodo degli equivalenti funzionali, (se un
fenomeno, una realtà esiste è perché svolge una determinata funzione, perché è funzionale a qualcosa, sennò perde
il senso della sua esistenza e finisce con lo scomparire) operazione che porterà ad una nuova teoria dei sistemi.
Secondo Luhmann il paradigma causalista era ormai superato, le società sono troppo complesse per poter
controllare i nessi causa-effetto, non è possibile una programmazione razionalizzata dello sviluppo delle società,
bisogna adottare il metodo degli equivalenti funzionali.
Luhman prende consapevolezza e porta all’attenzione delle scienze sociali il fatto che viviamo in una società
complessa e contingente e proprio per questo il paradigma causalista non può più funzionare. Il concetto di
complessità rimanda a più significati (una cosa che contiene tanti elementi, una cosa in cui tra i vari elementi si
dispiegano tante relazioni, una cosa di difficile comprensione ed interpretazione), mentre contingente significa che le
cose possono essere in un modo ma possono anche cambiare rapidamente e assumere un altro aspetto, ecco perché
siamo in un contesto di razionalità limitata. Il futuro è difficilmente prevedibile, non abbiamo la capacità di
programmare ciò che accadrà con una certezza, l’orizzonte futuro è un orizzonte che ci sfugge, è difficile fornire delle
indicazione precise per un percorso proprio perché viviamo in una società complessa con tante variabili in gioco
(contingente).
Passare al metodo degli equivalenti funzionali vuol dire osservare la realtà in modo diverso da come ha fatto il
pensiero scientifico, già a partire dall’antica Grecia noi abbiamo adottato il paradigma causalista e nella nostra
conoscenza della realtà la cultura occidentale ha pensato che bisognasse cogliere l’essenza, l’intima natura della
realtà. Una volta conosciuta l’essenza delle cose, secondo il paradigma causalista, si affronta il mondo con maggiore
sicurezza, mi vengono fornite delle indicazioni su come operare all’interno della realtà in cui mi trovo. Nella società in
cui ci troviamo tanta è la complessità e la contingenza che l’uomo si trova a dover affrontare che il metodo
precedente non funziona più, occorre utilizzare il paradigma degli equivalenti funzionali. Questo significa non cercare
ciò che negli enti è unico e specifico, ma cercare ciò che tra gli enti vi è di comune, significa osservare quali sono le
diverse funzioni che un determinato ente può svolgere. Ragionare per equivalenti funzionali significa dimenticarsi
dell’identità degli oggetti e osservare il ventaglio di funzioni che un oggetto è in grado di svolgere. Tutto ciò diventa
rassicurante perché se non trovo a disposizione un oggetto che mi serve per risolvere un problema posso trovare un
altro oggetto che mi fa da sostituto funzionale dell’oggetto di cui avrei bisogno. Al tempo stesso ragionare per
equivalenti funzionale non fa altro che aumentare la complessità del mondo, anche se mette a disposizione degli
individui più risorse per poter affrontare le sfide poste dalla realtà, questo portò Luhmann ad elaborare una nuova
teoria dei sistemi.
Luhmann osserva che oggi viviamo in una realtà in cui abbiamo davanti molte più possibilità di esperienza e di
azione di quante sono effettivamente attualizzabili, in questo consiste la complessità della realtà. Questo insieme di
possibilità richiede una capacità di selezione, occorre selezionare un insieme coerente e sensato di possibilità di
esperienze e di azioni da mettere in atto. Secondo Luhmann questa esigenza di selezione è risolta attraverso i
concetti di senso e di sistema, la selezione di alcune esperienze e azioni attualizzabili è l’operazione svolta dal senso.
Luhmann adotta la metafora delle regole algebriche della moltiplicazione (tutti i meno diventano più una volta fatta la
selezione, infatti meno per meno da più) per spiegare la costruzione di un insieme sensato di possibilità di esperienza
e di azione e attraverso questa selezione la costruzione di un confine di senso che genera dei sistemi. Il senso traccia
quindi un confine tra le possibilità di esperienza e di azione che rimangono mere possibilità e le possibilità che
invece vengono attualizzate. Questa è la teoria dei sistemi di Luhmann, il sistema è la costruzione di un confine di
senso tra possibilità coerenti tra loro che vengono attualizzate e tutte le altre che rimangono nell’ambiente del
sistema. Il confine di senso del sistema è un confine mobile, nel senso che se una tale esperienze ad un certo punto
non è più un’azione che ha senso nel sistema essa può essere ricacciata nell’ambiente del sistema attraverso
un’operazione di negazione (più per meno da meno), cambiano così i confini del sistema.
Esempio, noi abbiamo di fronte un insieme pressoché infinito di partner affettivi e dobbiamo selezionare un partner
sensato, se lo troviamo noi neghiamo la sua mera potenzialità (meno per meno da più), cambiamo i confini del
nostro sistema psichico e sociali e lo includiamo all’interno all’interno del nostro sistema di relazione sociali ed ecco
che il partner da mera potenzialità diventa un’effettiva esperienza. Se ad un certo punto accade che quel partner non
ha più senso all’interno del sistema noi neghiamo il senso di quell’esperienza affettiva (più per meno da meno) e
ricacciamo nell’ambiente del sistema quel partner affettivo ed ecco che i confini del nostro sistema variano.

Le principali conseguenze della teoria dei sistemi di Luhman:


• Nel modo di osservare il mondo: in una società complessa e contingente non è più possibile un consenso su ciò
che è e su ciò che vale, perché ogni sistema elabora il proprio confine di senso (un senso proprio della realtà), è
autonomo nel tracciare il confine fra ciò che è attualizzabile e ciò che rimane nell’ambiente del sistema. Infatti
• Nella differenziazione all’interno della società e nelle relazioni tra le parti della società : tutte le società hanno
esigenza di sviluppare un criterio di differenziazione interna, per esempio nelle civiltà arcaiche c’era una
differenziazione segmentale, questa forma non distingue le parti della società per le funzioni che svolgono
infatti ogni gruppo svolge all’interno di se stesso le stesse funzioni (capo gruppo, capo famiglia, ecc). Nel
passaggio alla società tradizionale emerge una differenziazione a strati della società e a ciascuno strato viene
affidato un compito e una funzione, ad esempio nelle civiltà medievali ci sono i nobili, i cavalieri, il ceto religioso, la
borghesia ed i servi della gleba, ognuno di questi gruppi ha compiti diversi. Nelle società moderne e post
moderne vi è una differenziazione per funzioni, considerato il fatto che si vive in un ambiente complesso e
contingente i sistemi sociali si differenziano al proprio interno in base al criterio della specializzazione funzionale,
ovvero la società affida alle sue parti interne la funzione di specializzarsi nel reperire tutte le risorse e le
conoscenze disponibili per affrontare le sfide che l’ambiente pone alla società stessa. La società si suddivide quindi
individuando un sottosistema dell’economia che si preoccupa di raccogliere le risorse per produrre e scambiare
beni e servizi nel modo più adeguato possibile, il sottosistema sanitario si occupa di reperire le risorse e le
conoscenze per far fronte ai problemi della salute, al sottosistema della politica viene affidata la gestione del
potere e della tutela dei cittadini. Ci sono tanti altri sottosistemi, ciascuno di essi al proprio interno si differenzia
quasi sempre secondo lo stesso criterio (specializzazione funzionale). Non c’è più un centro e un vertice della
società perché non ci può essere un sottosistema della società che possa insegnare agli altri come trattare i
problemi che devono affrontare
• Nella relazione tra individuo e società: se nelle società precedenti l’appartenenza sociale decideva il ruolo
dell’individuo all’interno della società, nella società post moderna l’individuo è nell’ambiente della società, è fuori
da essa e di volta in volta viene incluso o escluso dai sottosistemi sociali a seconda delle sue esigenze. Ecco quindi
che si è effettivamente realizzato il progetto della modernità, la valorizzazione in sé dell’individuo e della sua
autonomia, egli è indipendente dalla società, entra ed esce dai sottosistemi sociali per dare risposta ai propri
bisogni. Finalmente l’individuo è liberato dalle ambiguità e dai paradossi della modernità. La soggettività post
moderna implica che la formazione del sé sia un compito affidato solo ed esclusivamente al soggetto, non ci sono
più esperti leader o maestri, ognuno deve elaborare il senso ella propria esistenza da solo.

LA COMUNICAZIONE
Le scienze sociali non sono ancora addivenute ad una definizione univoca del concetto, troppo numerose sono le
prospettive e le caratterizzazioni, l’unica strada possibile per la sociologia della comunicazione è accettare la
mancanza di una definizione univoca e precisa. Secondo il senso comune la comunicazione rappresenta la
trasmissione di informazioni (si associano termini tipo trasmissione, diffusione, informazione, ecc) e la
condivisione, comunicare equivale a condividere (mettere in comune) qualcosa, si coglie la comune radice linguistica
tra il vocabolo comunicare ed i vocaboli comunità, comunione (cum munus); si associano a questo significato termini
come consenso, condivisione, partecipazione, reciprocità, vincolo collettivo. Nella prospettiva
dei processi culturali (Crespi) la comunicazione è un processo di interazione simbolica attraverso il quale la
possibilità di trasferire messaggi si attualizza attraverso l’uso di segni secondo regole culturalmente e socialmente
condivise, cioè secondo codici stabiliti convenzionalmente; i segni possono essere verbali (secondo il linguaggio
comune o quello specialistico) e non verbali (gesto, mimica, immagini, suoni inarticolati, musicali).
Ci sono tre modelli teorici della comunicazione.
La teoria matematica, approccio cibernetico o modello stimolo risposta  Si tratta della prima concezione della
comunicazione che è emersa dagli studi delle scienze sociali, i primi decenni del novecento sono gli anni in cui si
diffondono i primi mezzi di comunicazione di massa e coloro che studiano le tecniche di diffusione dei messaggi
attraverso la radio e la televisione elaborano una prima rappresentazione della comunicazione che sarà poi definita
teoria matematica della comunicazione. Per la teoria matematica la comunicazione viene percepita come una
trasmissione di informazioni (come la radio, la televisione e la stampa), da qui viene elaborato un modello dell’atto
comunicativo (Shannon e Weaver), affinché ci sia una comunicazione occorre che ci sia una sorgente che elabora il
messaggio, un apparato trasmittente che codifica il messaggio secondo le regole del mezzo di comunicazione, un
canale lungo il quale il messaggio passa, un apparato ricevente che ritrasforma il messaggio e un destinatario che
riceve il messaggio e lo decodifica. L’obbiettivo di questi ricercatori era quello di far arrivare ai destinatari un
messaggio che fosse il più possibile pulito e privo di rumori, quindi privo di perdita di capacità informativa. Si tratta
di una concezione trasmissiva della comunicazione, però questa concezione della comunicazione non è completa
perché essa non è solo trasmissione di informazioni. Secondo i primi critici la teoria di Shannon e Weaver concepisce
la comunicazione un po' come la siringa che utilizzano i veterinari per stordire gli animali perché il problema dei
veterinari è quello di colpire il bersaglio ma non si chiedono di certo quale sia l’effetto che il narcotico produce
sull’animale perché sono certi che lo narcotizzerà e nello stesso modo la loro teoria non si preoccupa degli effetti che
i messaggi veicolati dai mezzi di comunicazione producono nei destinatari poiché vi è una cieca certezza che l’effetto
del messaggio sarà di informazione e persuasione.
Il modello delle 5W tiene in considerazione quello di cui il modello di Shannon e Weaver non si occupava, Lasswell
sostiene che per analizzare la comunicazione bisogna porsi cinque domande e chiunque voglia effettuare una
comunicazione deve rispondere a queste cinque domande. Ancora oggi le 5W sono poste a coloro che si occupano
di comunicazione. Queste sono: chi dice cosa, a chi, attraverso quale canale e con che effetto. Tenendo conto dello
schema di Jacobson possiamo dire che affinché vi sia una comunicazione è necessario che ci sia un soggetto
individuale oppure un organizzazione, che attraverso un codice codifica un messaggio e attraverso un canale
trasferisce questo messaggio ad un destinatario o ricevente, il quale codifica il messaggio.
I limiti della teoria matematica della comunicazione:
1) tratta le informazioni come pacchetti che viaggiano da un luogo a un altro, senza attenzione per il significato
veicolato (semantica);
2) la mancanza di attenzione per il significato rende la teoria matematica inadatta a spiegare la comunicazione
umana nel suo complesso.
Approccio dialogico e semiotico  L’informazione è qualcosa di diverso dal significato, il concetto di informazione è
centrale per la comprensione della società contemporanea, le definizioni di informazione sono molte e spesso
imprecise con Bateson (1972) definiamo l’informazione come percezione di una differenza, infatti perché ci sia
informazione ci devono essere due (o più) entità diverse e fra loro confrontabili e un attore (umano o artificiale) che
percepisce la differenza. Considerare l’informazione in termini di differenze consente di elaborare sistemi per il
trattamento quantitativo dell’informazione, il computer è un esempio di sistema di trattamento quantitativo
dell’informazione, attraverso i bit esso misura la quantità di possibili differenze diverse, cioè infinite informazioni
presenti nei fenomeni. Nell’accezione di percezione di una differenza l’informazione è neutra e misurabile, non
presenta (particolari elementi di) ambiguità. L’informazione è quindi un concetto preciso e trattabile tecnicamente.
L’informazione ha caratteri meno precisi quando assume un significato, esso emerge a partire da una struttura
ovvero da un sistema di ridondanze (es. Stele di rosetta, parole crociate crittografate). Il significato più difficilmente
può essere elaborato da delle macchine, esso rimanda a una serie di relazioni arbitrarie non necessarie ed emerge da
un insieme di informazioni, è il frutto dell’operazione condotta dalla mente umana che ha la capacità di elaborare il
senso e di tradurlo in significati. Nel processo comunicativo tra esseri umani l’assunzione di significato è legata però
anche all’attivazione dell’informazione entro un determinato contesto o a partire da aspettative, con l’attribuzione di
un significato l’informazione diventa fatto sociale (è “confrontata” con le aspettative e con il contesto sociale).
L’informazione caricata di significato è parte del processo comunicativo e può essere studiata con gli strumenti della
sociologia della comunicazione, la comunicazione è data dall’informazione più il significato.
La relazione è qualcosa di diverso dalla comunicazione e può essere osservata in questo modo: vi è un emittente A
che codifica un messaggio, lo trasferisce a un ricevente B che a sua volta lo decodifica, lo interpreta, codifica un
nuovo messaggio e lo invia nuovamente a A, il quale lo decodifica, lo interpreta, codifica un altro messaggio e lo
invia a B, così via, si crea perciò un processo ricorsivo che avviene all’interno di un contesto sociale. Si può pertanto
interpretare la relazione come la comunicazione più la struttura e i legami sociali.
Teoria sistemico relazionale o della pragmatica della comunicazione umana  Questa teoria concepisce la
comunicazione come un sistema di messaggi che rimandano gli uni agli altri e non più come una semplice
successione di messaggi. Attraverso questa semplice modificazione la scuola di palo alto è arrivata a definire una
serie di assiomi della comunicazioni, una sorta di leggi che governano la comunicazione.
٠ Tutto è comunicazione, non possiamo non comunicare; se noi non comunichiamo stiamo comunicando che non
vogliamo comunicare.
٠ Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, quando noi comunichiamo trasferiamo
un messaggio ma forniamo anche delle informazioni sulla relazione che abbiamo con io nostro interlocutore. Il
secondo classifica il primo producendo una sorta di metacomunicazione, quando gli esseri umani comunicano
utilizzano i contenuti per informare circa la relazione che c’è tra gli interlocutori.
٠ La natura di una comunicazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione, ovvero qual’è il
punto dove noi fermiamo la circolazione dei messaggi e a seconda del punto veniamo a definire in modo diverso il
senso delle interazioni comunicative che avvengono tra gli individui.
Nel concetto di punteggiatura è implicita una critica agli approcci lineari alla comunicazione. Il senso ultimo non
deriva dalla sommatoria aritmetica dei messaggi, ma dalle scelte arbitrarie con cui separiamo i messaggi e diamo
loro senso. L’adozione di determinate punteggiature può provocare inversioni nella successione temporale percepita
tra fenomeni. Ad esempio, le aspettative iniziali di un’insegnante possono influenzarne l’interazione con gli alunni
fino a produrre i risultati previsti, questo è l’effetto Pigmalione o effetto Rosenthal che deriva dagli studi classici
sulla profezia che si autorealizza, il cui assunto di base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un
bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà
il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel
tempo proprio come l'insegnante lo aveva immaginato. L’esempio utilizzato prima è espresso anche dal teorema
della definizione della situazione di Thomas che afferma che indipendentemente dal fatto che un fenomeno sia
reale o meno, se questo è ritenuto tale esso sarà reale nelle sue conseguenze. Tutto ciò dipende dalla punteggiatura,
cioè dal momento in cui uno degli interlocutori definisce la situazione.
٠ Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici (stesse posizioni: up-up o down-down) o complementari
(posizioni diverse: up-down o down-up) a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Questo approccio presenta alcuni limiti: non tiene conto dei condizionamenti operati dalla cultura sulla
comunicazione e non tiene conto della funzione di costruzione dei legami sociali svolta dalla comunicazione.
Le tecnologie della parola  La parola sembra essere la caratteristica distintiva dell’essere umano, tuttavia questo
strumento presenta dei limiti. La comunicazione verbale è infatti soggetta al vincolo dell’hic et nunc (qui e ora),
ovvero deve avvenire in presenza; l’uomo ha cercato di superare questo limite già in epoche primitive (pitture
rupestri), attraverso la scrittura si è realizzato un superamento completo di questo limite. La scrittura è un “sistema
codificato di marcatori visivi con cui lo scrivente può determinare le parole esatte che il lettore produce a partire dal
testo.” Essa marca la prima grande rivoluzione comunicativa umana, rende possibili operazioni come l’archiviazione
delle informazioni, la riproduzione dei testi e la comunicazione a distanza.
La scrittura alfabetica come approdo del pluri-millenario processo di evoluzione attraverso pittogrammi e
ideogrammi, questi ultimi sono piuttosto onerosi perché utilizzano un numero notevole di segni il cui significato
deve essere appreso a memoria e per questo sono stati superati dalla scrittura alfabetica.
L’alfabeto costituisce un’altra innovazione tecnologica relativa alla parola, introdotto dai Fenici prevede l’uso di segni
associati a suoni ricombinabili (non più a concetti prefissati), è duttile, relativamente semplice da apprendere, funge
da supporto alla creazione di imperi e burocrazie statali (es.: Impero Romano). Solo di recente è diventato strumento
di conoscenza ed emancipazione. Prima, e per lungo tempo, è stato soprattutto strumento di costrizione nei
confronti di masse illetterate.
Il passaggio dalla cultura orale a quella basata sulla scrittura comporta importanti conseguenze per la mente umana
e per l’organizzazione sociale. Conseguenze sociali:
٠ Presa di distanza dalla realtà e dall’esperienza diretta, si comincia a conoscere il mondo attraverso la mediazione di
testi scritti (attraverso la formazione di pseudo ambienti);
٠ La conoscenza adotta uno sguardo esterno e distaccato;
٠ Si sviluppa la scienza moderna (il pensiero logico e la tendenza a categorizzare);
٠ Nella regolazione delle relazioni sociali si passa dalla consuetudine al diritto (impersonale e universalista);
٠ È possibile accumulare un vasto patrimonio di informazioni, questo genera delle differenze sociali (knowledge gap,
digital divide);
٠ Il passato e la tradizione sono oggettivati (sono immodificabili) e osservati in modo più distaccato;
٠ L’apprendimento non è più frutto di apprendistato, ma è demandato a specifiche organizzazioni e agenzie (la
scuola);
٠ Si favorisce lo sviluppo e la diffusione della discussione pubblica (essenza della democrazia).
Conseguenze individuali:
٠ La lettura e la scrittura sono per lo più attività solitarie e incoraggiano il pensiero individuale;
٠ La presa di distanza dalla realtà e l’attività solitaria della lettura e della scrittura incoraggiano l’auto-osservazione e
l’auto-analisi.
L’altra importante tecnologia della parola è la stampa, nel 1455, Gutenberg introduce la stampa a caratteri mobili,
attraverso questo sistema di caratteri facilmente ricombinabili è possibile, per la prima volta, stampare opere su vasta
scala; nasce così la comunicazione di massa. Grazie alla stampa a caratteri mobili si supera la dimensione artigianale
legata ai manoscritti e si diffonde rapidamente il nuovo medium (nell’Europa del Cinquecento circolano tra i 13 e i 20
milioni di libri). Il libro stampato diventa la prima merce uniforme e ripetibile: produzione in serie standardizzata,
risultati omogenei e ammortizzazione dei costi.
La stampa accentua le conseguenze sociali della scrittura:
٠ Diffusione, generalizzazione e democratizzazione della conoscenza;
٠ Nascita dell’individuo, i libri accentuano il carattere individuale della lettura e favoriscono l’astrazione;
٠ Nascita del concetto di autore, è possibile scrivere un libro e pubblicarlo a proprio nome;
٠ Nascita della proprietà intellettuale, diventa un abuso copiare libri (prima era opera meritoria);
٠ Standardizzazione linguistica, le lingue volgari raggiungono una massa d’uso critica e si propongono come
collanti per le diverse comunità locali;
٠ Supporto alla scienza, sono favorite l’archiviazione e la trasmissione della conoscenza;
٠ Nascita del sistema dei media e dell’opinione pubblica, libri, giornali, riviste come spazio virtuale di incontro, è
un dibattito razionale e critico su tematiche pubbliche;
٠ Nascita della censura, reazione dell’autorità alle possibili minacce all’ordine costituito.
Le telecomunicazioni impiegano l’elettricità per separare apparato di comunicazione e di trasporto
٠ Telegrafo: uso combinato di elettricità e reti. Codificazione di lettere e numeri in impulsi elettrici (codice Morse);
٠ Telefono: evoluzione del telegrafo, non prevede codifiche complesse e viene quindi usato in tutti i gruppi sociali;
٠ Radio: il primo mass medium elettronico. Rende possibile la comunicazione uno-a-molti (broadcast);
٠ Televisione: mass medium per eccellenza. Sfrutta l’etere per veicolare sequenze di immagini.
Per la prima volta, organizzazioni formalizzate ad hoc si occupano della realizzazione in serie di prodotti
standardizzati. Le distanze fisiche si riducono per effetto della velocità di comunicazione. L’esperienza della
simultaneità si sgancia dalla condivisione di uno spazio fisico (simultaneità despazializzata). La comunicazione
elaborata dall’emittente può essere “sparsa” nell’ambiente circostante, senza avere un destinatario preciso
(broadcast).
I mass media sono insieme ampio di strumenti di comunicazione, che si sovrappongono e rendono più complessa la
comunicazione interpersonale, occupano un ruolo di centralità nella società contemporanea, infatti passano dai
media molte delle conoscenze e delle esperienze individuali. Alcune conseguenze qualitative della loro introduzione
sono la progressiva scomparsa delle conoscenze pratiche, abbondanza (sovraccarico) informativo, necessità di
selezione e di verifica delle fonti.
Nel processo di sviluppo della comunicazione si sono sviluppati tre tipi di interazione: l’interazione faccia a faccia,
l’interazione mediata e la quasi interazione mediata. L’interazione faccia a faccia è l’interazione delle origini,
sottoposta al vincolo dell’hic et nunc, quindi deve esserci un medesimo contesto spazio-temporale e si caratterizza
per la molteplicità di indizi simbolici: verbali, paralinguistici, prossemici, posturali, mimici, gestuali, contestuali (spazio
e tempo) è quella più ricca di significati simbolici. L’interazione mediata è composta da interazioni a distanza (nello
spazio e/o nel tempo)come ad esempio: la comunicazione attraverso lettere o via telefono, o un misto dei due come
le chat, l’e-mail, gli sms. Necessita di un mezzo tecnico, è una comunicazione che non condivide lo stesso contesto
spazio temporale e la serie di indizi simbolici disponibili è più limitata. La quasi interazione mediata
(comunicazione di massa, uno a molti) è anch’essa una forma di interazione che si estende nel tempo e nello spazio,
ma si differenzia dalla comunicazione faccia a faccia e da quella mediata, prevede infatti una qualche riduzione degli
indizi simbolici. Le forme simboliche sono prodotte per un insieme di riceventi potenziali indefinito, è simile a un
monologo perché è unidirezionale, è priva della reciprocità che caratterizza la comunicazione dialogica faccia a faccia
e quella mediata. È una situazione strutturata che crea una separazione di ruoli: emittenti e riceventi, essi rimangono
sempre tali, non si scambiano i ruoli. Questi tipi di interazione sono degli idealtipi, concetti astratti e analitici che
nella realtà sono presenti in molte forme ibride, in molte combinazioni fra questi tre tipi.
Applichiamo queste tipologia di comunicazione alla teoria di Gofmann su ribalta e retroscena:
 Interazione faccia a faccia: i due interlocutori interagiscono entrambi sulla ribalta collocandosi nella cornice di
interazione centrale, al di fuori di questa cornice si trovano i tanti retroscena che sono tanti quanti gli attori ch
comunicano sulla ribalta.
 Interazione mediata: non esiste più un’unica ribalta, la cornice di interazione centrale si scompone in due ribalte,
cioè i due contesti spazio temporali in cui operano gli interlocutori. Separandosi le due ribalte ciascuna di esse è più
prossima al retroscena dove operano gli interlocutori e può accadere che il retroscena appaia sulla ribalta (esempio:
in una telefonata con il datore di lavoro si sente il sottofondo del mare).
 quasi interazione mediata: non solo sparisce la cornice d’interazione centrale, ma si generano due cornici
interattive, la cornice interattiva della produzione del messaggio, dove viene generato il messaggio (studio
radiofonico, studio televisivo) e dal lato dei riceventi si sviluppano delle cornici interattive della ricezione, cioè dei
contesti in cui alcuni riceventi interagiscono tra loro ascoltando un messaggio trasmesso da un mezzo di
comunicazione di massa.

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