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Nozione di società nell’età premoderna Per gli antichi la società è un tutto organico (un cosmos) che comprende
e sovrasta ogni cosa.
• Nella Grecia antica la società era rappresentata come un organismo composto di parti che stanno in precise
relazioni le une con le altre, la nozione di società non esiste, il termine con cui la definivano è polis (la città-stato,
un insieme di gruppi parentali che si dà un ordinamento politico).
• Qualche secolo dopo a Roma con l’affermarsi della cultura latina in occidente il modo di concepire la società
cambia, il latino ci fornisce l’etimo che costituisce la radice di molti modi di definire la società in occidente, ovvero
il termine societas, viene abbandonata l’idea di tutto organico e naturale e indica il farsi socius, cioè un’azione
volontaria di un raggruppamento di individui che perseguono una finalità comune (contratto).
• Nel Medioevo riemerge con la Scolastica la visione ellenistico-aristotelica di una totalità organica composta di parti
in relazioni naturali, con funzioni precise, ordinate e orientate al bene comune.
• Hobbes, all’alba dell’illuminismo, voleva congedarsi dalla tradizione ellenistico-latina, dai canoni della cultura
classica, e cercò di utilizzare metodi di analisi più induttivi. Secondo lui ciò che caratterizza l’uomo è la facoltà
della ragione, nella società delle origini, prima di essere influenzato da varie concezioni culturali, l’uomo si trovava
nella condizione dell’omo omini lupus, situazione in cui è una potenziale minaccia per altri uomini siccome
utilizza una ragione di tipo utilitaristico, costi-benefici, perciò se un altro uomo si frappone al soggetto nel
raggiungimento del suo obbiettivo, aumentando i costi, la reazione è quella di eliminare questa minaccia. L’uomo
capì che non era confortevole vivere in questo stato di natura e decise di cedere parte del suo potere e della sua
libertà al Leviatano, metafora che indica lo stato, che si trova ad avere nelle mani un capitale di potere e di forza
molto elevato e che è autorizzato ad utilizzare per stabilire qual’è il limite della sfera di libertà d’azione di ogni
individuo senza invadere la sfera di libertà d’azione di altri individui. Ecco che secondo Hobbes è nata la società. In
realtà non ha preso concedo, la sue osservazione non è empirica, non è priva di qualsiasi pregiudizio, è un’analisi
deduttiva alla fine, questo fu limite di Hobbes.
• Ferguson e Smith erano degli illuministi, pensavano che la società anziché essere il risultato della presa di
coscienza della scarsa confortevolezza dello stato di natura fosse piuttosto il risultato di una originaria
generalizzata ed universale caratteristica degli esseri umani che li inclina ad avere un atteggiamento di naturale
fiducia gli uni nei confronti degli altri, ciò genera la società civile l’insieme delle relazioni contrattuali e di scambio
economico (ciò che non è Stato o Chiesa), base su cui vengono costruite tutte le istituzioni della società.
• Secondo Hegel la società è il risultato di un processo di tesi (famiglia), antitesi (mercato) e sintesi (stato etico). La
società nasce dalla situazione in cui gli uomini all’interno di un gruppo famigliare intrattengono relazioni e
funzioni definite dall’etica. A questa società naturale si contrappone una società artificiale creata dall’uomo, un
modo di vivere sociale in cui gli scambi aumentano all’interno di un economia di mercato caratterizzata non da
cooperazione ma da competizione. Proprio di questi due elementi nasce lo stato etico, che rappresenta una
sintesi, un insieme comunitario e contrattuale con un orientamento etico-religioso. Hegel ritorna un’idea di
organicità, non più però naturale, né esclusivamente contrattuale, ma una combinazione degli aspetti comunitari e
contrattuali a sfondo etico religioso. Rivede la prospettiva di Hobbes innescando un processo di dialettica
nell’evoluzione della società, realizza una forma di società che riesce a contenere aspetti di cooperazione e
competizione fra gli individui, attraversa lo stato di diritto.
• Secondo Marx la società è il prodotto delle basi materiali (un’altra forma di organicità, che ribalta la prospettiva
hegeliana perché la sintesi dialettica non è più ideale, ma materiale)
La nozione di società nella modernità Se nella prima modernità la società era rappresentata attraverso grandi
narrazioni (leviatano, società civile, stato etico) con l’affermarsi del pensiero sociologico si inizia a cercare un metodo
di analisi induttivo, che osservi la realtà empirica, si attua un’opera di decostruzione delle grandi narrazioni e si
comincia a pensare alla società come ad un livello specifico di realtà che al suo interno è composto da altri piani,
piani concreti di azione e di relazione tra gli individui (piano economico, piano politico, …).
Il punto di arrivo odierno della sociologia non è osservare la società attraverso una nuova grande narrazione (sia essa
un originario stato di natura, una macchina/sistema o una grande visione ideazionale), ma considerarla nel farsi delle
relazioni in contesti determinati. Tutto ciò non è facile, l’oggetto di studio è molto complesso e composto da aspetti
ambivalenti e contraddittori, la sociologia perciò fatica a stabilire la propria modalità d’indagine. Nel tempo si è
aperto un dibattito tra i sociologi:
• da un lato si è creato il fronte dell’individualismo metodologico (se vuoi fare scienza delle cose umane e sociali
secondo un criterio empirico devi osservare le azione e i comportamenti degli individui), di fatti coloro che
sostengono l’individualismo metodologico pensano che la società sia il risultato delle azioni individuali.
Il fatto sociale è un prodotto degli individui.
• altri pensano che per fare ciò sia necessario presupporre l’esistenza delle istituzioni, dimensioni che influenzano il
comportamento umano, (queste istituzioni spiegano il comportamento dell’individuo in determinati contesti) essi
sono chiamati olisti metodologici. Costoro pensano che la società sia l’insieme delle istituzioni e delle strutture
sociali che orientano e si impongono all’agire individuale e che sia un sistema che orienta e si impone all’agire
individuale. Il fatto sociale come determinismo di una struttura che condiziona le parti (gli individui).
Fare scienza della società Questo dibattito ha prodotto due modi di intendere la scienza sociale: per far scienza
delle cose umane e sociali possiamo decidere di spiegare o comprendere i fenomeni sociali.
• Spiegare: dar conto delle relazioni che generano un fenomeno sociale (individuare delle leggi che governano le
relazioni tra variabili) ciò vuol dire mettere in relazione tra loro delle variabili, cercare un fenomeno ed individuarne
la causa ovvero la variabile. Es Isaac Newton con la forza gravitazionale; oppure la differenziazione funzionale, man
mano che aumentano gli individui di una società, aumentano le differenziazioni di gruppi all’interno di es a.
• Comprendere: mettersi in relazione al proprio «oggetto» di studio cercando ci interpretare il processo di
elaborazione del senso, questa metodologia studia la società secondo una prospettiva comprendente, questi
sociologi usano le interviste ed i colloqui in profondità, trascrivono il contenuto delle interviste e lo analizzano
qualitativamente, cercando di capire perché una persona è arrivata ad avere un certo orientamento o a tenere un
certo comportamento, qual’è stato il processo che l’ha portata ad agire in quel modo.
Concetto di relazione nell’epoca classica Secondo Aistotele il concetto di relazione è una nozione prima che non
ammette definizione, non è solo una referenza di ragione (come vogliono gli scettici), ma ha una sua realtà, anche se
derivata. La relazione sociale ha una realtà naturalistica ed esprime un “essere ad altro” (l’uomo come animale
politico).
La cultura romana ci fornisce la radice etimologica: relatio (da referre), indica il riferimento di un ente ad un altro
secondo un determinato modo.
Concetto di relazione nell’epoca medievale L’interesse per il concetto è ancora metafisico, ma si ha un forte
spostamento verso l’uso della relazione come strumento di conoscenza e come oggetto di conoscenza in sé, che
prelude agli sviluppi in senso gnoseologico della modernità.
A seguito della riflessione scolastica è possibile pensare alla relazione come ens sui generis. La relazione ha realtà
dipendente dai termini (Tommaso). La relazione è il fondamento dei termini che devono la loro distinzione reale dal
riferimento dell’uno all’altro
Concetto di relazione nell’epoca moderna Hume: la relazione non ha realtà alcuna
Kant: la relazione è una forma soggettiva a priori in base alla quale l’intelletto giudica (conosce la realtà) Hegel: la
relazione è la realtà in quanto sintesi del processo dialettico (tesi – antitesi – sintesi).
Concetto di relazione nella modernità matura Simmel, Weber, von Wiese, Husserl, Buber, realizzano la svolta
relazionale, ovvero Non si osserva per entità, ma per relazioni, si sviluppa un sistema relazionale di osservazione.
WEBER, una prima definizione di relazione “Per relazione sociale si deve intendere un comportamento di più
individui instaurato reciprocamente secondo un contenuto di senso, e orientato in conformità”. Weber ci offre la
prima definizione di relazione, sta dicendo che se due persone si scontrano in bicicletta, questo non è una relazione
sociale perché i due ciclisti si sono scontrati proprio perché non si sono tenuti in considerazione reciprocamente.
Subito dopo lo scontro cominceranno a tenersi in considerazione. In sostanze le persone Instaurano il loro agire
tenendo in considerazione gli altri.
SIMMEL e la società I concetti fondamentali:
-Svolta relazionale;
-Reciprocità;
-Effetto di scambio.
“L’intuizione che l’uomo è in tutta la sua essenza e in tutte le sue manifestazioni, determinato dal fatto di vivere in
azione reciproca con altri uomini deve certo condurre a una nuova forma di considerazione in tutte le cosiddette
scienze dello spirito. Non è ora più possibile spiegare i fatti storici, nel senso più ampio della parola, cioè i contenuti
della cultura, i tipi di economia, le norme della moralità partendo dall’uomo singolo, dal suo intelletto e dai suoi
interessi e, dove ciò non riesce, ricorrere a cause metafisiche o magiche (…) Piuttosto noi crediamo ora di comprendere
i fenomeni storici in base all’agire reciproco e all’agire in comune degli individui, in base alla somma e alla
sublimazione di innumerevoli contributi individuali in base al concretarsi delle energie sociali in formazioni che
stanno e si sviluppano al di là dell’individuo.”
La società “esiste là dove più individui entrano in azione reciproca. Quest’azione sorge sempre da determinati impulsi
o in vista di determinati scopi. Impulsi erotici, religiosi, o semplicemente socievoli, scopi di difesa e di attacco, di
gioco e di acquisizione, di aiuto e di insegnamento, nonché innumerevoli altri, fanno sì che l’uomo entri con altri in
una coesistenza, in un agire l’uno per l’altro, con l’altro e contro l’altro, in una correlazione di situazioni, ossia che
eserciti effetti sugli altri e ne subisca da altri. Queste azioni reciproche significano che dai portatori individuali di
quegli impulsi sorge un’unità, cioè appunto una società”.
Simmel tra i filosofi classici è quello che ha maggiormente colto la rilevanza della relazione per la sociologia, la svolta
relazionale è avvenuta con lui, si è concentrato sul concetto di reciprocità e l’effetto di scambio, la relazione è ciò che
emerge da uno cambio che avviene fra gli individui. L’uomo è determinato dal fatto di vivere in azione reciproca, dal
fatto di avere dei rapporti reciproci con altri. Secondo lui non si può spiegare la società partendo dall’uomo singolo.
Approccio relazionale Paolo Donati è stato fra i primi a parlare di sociologia relazionale e disse: “come
conseguenza del lungo processo culturale che abbiamo appena descritto (dibattito tra olisti ed individualisti) la
qualità del sociale è emersa come realtà di genere proprio sempre più differenziata rispetto ad altri tipi di realtà,
finché si è visto che sociale, in senso specifico, è la relazione che intercorre tra i soggetti in quanto agiscono
riferendosi gli uni agli altri in un certo modo. La relazione sociale, non l'individuo o la singola azione qua talis, e
nemmeno un pre-supposto sistema sociale, costituisce la cellula del tessuto sociale”.
Negli ultimi anni c’è una certa convergenza sul fatto che l’oggetto di studio della sociologia che permette di uscire
da queste ambivalenze sia la relazione sociale. La relazione sociale è un fenomeno emergente (ovvero è ciò che
emerge dalla relazione fra gli individui) rispetto alle parti di cui è composta ed è dotata di una realtà sui generis.
Per spiegare il fenomeno emergente bisogna usare una metafora, l’acqua è composta da un due atomi di idrogeno e
uno di ossigeno, sono due gas, perciò essa è un effetto emergente tra la relazione di questi due gas, poiché è liquida
e non infiammabile. Le relazioni hanno una realtà sui generis, non le possiamo osservare fisicamente, pero possiamo
cercare di semantizzarle, ovvero di interpretarle, cercare di capire come sono fatte, esse sono composte da tre
semantiche:
La relazione sociale «In generale per relazione sociale si deve intendere la realtà immateriale (che sta nello
spazio-tempo) dell'interumano, ossia ciò che sta fra i soggetti agenti, e che -come tale - costituisce il loro orientarsi
e agire reciproco per distinzione tra ciò che sta nei singoli attori - individuali o collettivi - considerati come poli o
termini della relazione» (Donati p. ).
Aspetti soggettivi della relazione La relazione sociale ha caratteri liberi, razionali, deliberanti, significanti,
propriamente e solamente umani
Aspetti oggettivi della relazione La relazione sociale ha anche caratteri istintivi, meccanici, automatici, tipici dei
rapporti tra esseri viventi non umani. Inoltre ha caratteri propri strutturali, di legame:
-La relazione ha un'intrinseca struttura reciprocitaria ed emergenziale;
-Le relazioni sociali generano una struttura sociale e un sistema culturale che condiziona il comportamento degli
attori.
La relazione sociale è sia il prodotto delle concrete persone umane, sia ciò che le forgia e la persona è sia il generante
sia il generato della società in cui vive.
LA CULTURA
La cultura è un concetto dalla lunga data, un concetto controverso e complesso.
Etimologia Il termine cultura deriva dal latino colere, coltivare la terra, per estensione l’idea del coltivare venne
portata all’ambito umano e cominciò a significare anche processo di coltivazione dell’animo umano.
In origine (classicità greca) I greci associavano la cultura all’educazione e alla formazione umana, secondo loro
facendo propri i contenuti della cultura ogni sinolo individuo sviluppa la propria anima, e facendone propri tanti
diventa un uomo dall’animo colto e riesce a tradurre i migliori contenuti simbolici che la società in cui vive è riuscita
ad elaborare.
La società nel corso del tempo elabora dei contenuti simbolici e tramanda quelli di maggior qualità alle nuove
generazioni, chiedendo ai giovani di assorbirne il più possibile, un’icona di ciò è l’enciclopedia che conteneva il
sapere umano con lo scopo di valorizzarlo e trasmetterlo.
Fino al XVIII secolo (concezione umanistica o classica) la cultura si applica all’educazione delle persone per
indicare l’istruzione/erudizione.
A partire dal XVIII (concezione moderna: illuminista e socio-antropologica) L'illuminismo propone l'idea di un
patrimonio universale di conoscenze e valori formatosi nella storia dell'umanità, l'antropologia la descrive come un
insieme omogeneo di tradizioni, disposizioni morali, conquiste intellettuali e tecniche, che esprimono lo spirito più
profondo e autentico di un popolo.
Come conseguenza dello sviluppo storico sociale emergono due modi di intendere la cultura: la concezione
classica, umanistica e la concezione delle scienze sociali. Secondo la concezione classica, umanistica la cultura è
concepita come ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto, mentre secondo le scienze sociali la cultura, o civiltà,
nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, il diritto, la
morale, i costumi e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.
La cultura è un concetto complesso e polivalente, nel corso della storia sono state elaborate numerose definizioni tra
le quali:
• La maniera complessiva di vivere di un popolo;
• L'eredità sociale che un individuo acquisisce nel suo gruppo di appartenenza;
• Un modo di pensare, sentire, credere;
• Un'astrazione derivata dal comportamento;
• Una teoria formata dall'antropologo sul modo in cui si comporta effettivamente un gruppo di persone;
• Un deposito del sapere posseduto collettivamente;
• Una serie di orientamenti standardizzati nei confronti dei problemi ricorrenti;
• Un comportamento appreso;
• Un meccanismo di regolazione normativa del comportamento;
• Una serie di tecniche per adeguarsi sia all'ambiente sia agli uomini;
• Un precipitato di storia, una mappa, un setaccio, una matrice, una bussola.
Cultura e civiltà La differenza fra cultura e civiltà rimanda ai due modi di intendere la cultura umanistica, classica e
quella proposta dalle scienze sociali, secondo quanto propone la cultura classica la cultura è qualcosa di distinto
rispetto alla civiltà, mentre secondo la concezione moderna delle scienze sociali la civiltà sta in una certa relazione
con la cultura, ovvero è un aspetto della cultura.
La civiltà è un “complesso di elementi o tratti della cultura, materiali o ideali, cui la maggior parte delle società
umane pare avere attribuito in ogni epoca, con esiti tendenzialmente convergenti […] un valore positivo e
progressivo rispetto agli elementi omologhi di cui poteva disporre in precedenza, manifestando tale valutazione con
il preferire detti elementi agli altri.”
Gli elementi della civiltà sono: il linguaggio, la scienza, la tecnica e i mezzi di produzione industriale, i mezzi di
trasporto, i mezzi di comunicazione e i mass media, le tecniche dell’igiene pubblica e personale, il diritto, le tecniche
organizzative e burocratiche, etc.
La cultura in senso classico rimanda più alle attività soggettive, variabili e leggere, alla coltivazione dell’animo umano,
un’attività di un soggetto singolo, oppure ciò che esprime il senso profondo di un’epoca storica (arte, erudizione).
Dall’altro lato la civiltà è fatta di attività più oggettive il cui carattere è dato dalla continua accumulazione e
dall’irreversibilità (buone maniere, tecnica e diritto).
L’ambivalenza della cultura Tra cultura in senso classico e cultura nelle scienze moderne sembra esserci una
distinzione e un’ambivalenza:
La cultura intesa in senso classico e umanistico rimanda alla sensibilità nei confronti di “ciò che di meglio è stato
pensato e conosciuto” e alla coltivazione dell’animo umano (paideia) e della morale ed èun’attività soggettiva.
Questo tipo di cultura quando guarda alla cultura intesa come civiltà critica questo modo di intendere la cultura e le
rivolge un’accusa di filisteismo (atteggiamento grezzo) i filistei erano un popolo confinante con il regno ebraico ed
erano considerati una popolazione piuttosto rozza. Il rischio che corre questo modo di intendere la cultura è quello
di elitismo, di concepire la cultura come qualcosa che è appannaggio di un numero ristretto di persone, di una
specie di aristocrazia, un altro rischio è quello di concepire la cultura in opposizione alle norme sociali (l’uomo colto
ha un animo libero, è un uomo talmente raffinato che non ha bisogno di norme sociali che circoscrivano il suo
comportamento entro i confini della civiltà), infatti uno dei valori più rilevanti del concetto classico di cultura è quello
di libertà.
La cultura intesa come civiltà rimanda all’interiorizzazione e all’apprendimento di un insieme complesso di saperi,
credenze, arte, costumi, tecniche, … Più che l’animo umano coltiva l’etichetta, le convenzioni e le conoscenze
pratiche, è un’ attività collettiva e oggettiva. La cultura concepita in questo modo critica e accusa la cultura in senso
classico come una forma di etnocentrismo, ovvero la accusa di proporsi come se fosse al cento del mondo (l’uomo
colto costituisce un faro per gli altri uomini).
Il rischio che si corre concependo la cultura in questo modo è quello di conformismo, chiedere alle persone che si
comportino tutte in un certo modo, che seguano il bon ton, da qui il valore di questo modo di intendere la cultura è
quello di sottolineare il controllo sociale che pero può sfociare in repressione.
L’ambivalenza tra i due concetti di cultura e civiltà può essere sintetizzata attraverso la distinzione/opposizione tra
forma e contenuto. La civiltà propone forme di comportamento codificato (le buone maniere), strumenti pratici
(tecniche, utensili) che non è detto siano il frutto di un animo umano colto e «nobile».
Natura e cultura Perché abbiamo bisogno di significati? Arnold Gehlen dice che gli animali sono caratterizzati da
una forte specializzazione, in virtù del processo di selezione naturale il codice genetico degli animali ha sviluppato
un istinto e delle caratteristiche biologiche che rendono l’animale adatto (specializzato) a vivere in un determinato
ambiente, l’animale è dotato di un istinto che gli permette di valutare rapidamente qual’è la cosa migliore da fare
agendo in un determinato ambiente. Diversamente da tutte le specie animali l’uomo è scarsamente specializzato,
Gehlen dice è un essere generico, è privo di istinti precisi, infatti alla nascita il cucciolo della specie uomo ha
pochissimi istinti. Questa scarsa specializzazione potrebbe essere un limite poiché mentre gli animali sono guidati
dall’istinto l’uomo deve imparare ad interagire con l’ambiente, però grazie a questa caratteristica l’uomo può
adattarsi e vivere in qualsiasi tipo di ambiente. (la cultura sostituisce l’istinto)
Questo vantaggio della specie uomo ha potuto realizzarsi perché mentre il comportamento dell’animale è in buona
parte geneticamente determinato quello dell’uomo è un comportamento appreso attraverso l’interiorizzazione di
contenuti culturali. Possiamo dire che la cultura, o meglio l’apprendimento della cultura, è sostanzialmente
l’equivalente funzionale dell’istinto che hanno le altre specie animali, è ciò che mette in relazione l’essere generico
della specie uomo con l’ambiente naturale.
“L’uomo non si inserisce spontaneamente nella realtà naturale del mondo come l’animale, ma si scinde da essa e le si
oppone con i propri fini, lotta, usa violenza e la subisce. (G. Simmel, 1908) L’uomo ha bisogno di un filtro per poter
rapportarsi con la natura, questo filtro è rappresentato dalla cultura.
Ambivalenza e paradossalità della soluzione culturale al problema della mediazione con la natura Da un
lato la cultura è un prodotto, una determinazione parziale e contingente della realtà ad opera delle società umane,
dall’altro essa esige di essere considerata dagli individui che la interiorizzano come incontrovertibile (che guida l’agire
umano) è loro chiesto di dimenticare la contingenza e la convenzionalità dei significati (la cultura è un prodotto delle
società umane che serve agli individui per rapportarsi alle varie realtà, pur essendo un prodotto degli individui
quando questa viene messa in atto deve essere considerata non come un prodotto ma come qualcosa di relativo).
Le scienze sociali si sono chieste se fosse nato prima l’uomo o la cultura, c’è stato prima uno stato di natura in cui
l’uomo era privo di cultura e poi la cultura è venuta pian piano emergendo nei singoli membri della specie umana e
si è arrivati ad avere la visione dell’uomo che abbiamo adesso oppure l’uomo così come lo conosciamo è tale proprio
perché realizza il suo rapporto con gli ambienti attraverso la cultura. Queste sono due concezioni diverse, la prima è
una concezione stratigrafica dell’evoluzione della specie che considera che l’uomo sia venuto sviluppandosi
vestendo degli abiti culturali su una base organica razionale. La seconda è una concezione interattiva che ritiene
che la base biologico-razionale sia venuta sviluppandosi assieme all’evoluzione culturale.
Se gli esseri umani si rapportano al mondo attraverso la mediazione di forme simboliche (la cultura), non è detto che
le forme simboliche coincidano punto per punto con la realtà, con il loro contenuto. C’è sempre una distanza fra
forma e contenuto, la forma non riesce a coprire punto per il punto il contenuto, in un certo senso il contenuto è
sempre al di la della forma, si possono dare sempre tante interpretazioni della realtà esterna. Al tempo stesso le
forme della cultura (le forme simboliche) sono lo strumento attraverso il quale l’uomo esprime se stesso, ovvero la
sua interiorità, anche se non sono in grado di trasmettere pienamente i nostri pensieri.
Uscire dalle precedenti ambivalenze grazie al concetto di significato Crespi propone di comporre
l’ambivalenza dei rapporti coscienza-cultura, natura-cultura, forma-contenuto, attraverso la distinzione tra senso e
significato.
Il senso rimanda alla facoltà della coscienza di interpretare e dare ordine ad una realtà caratterizzata da un insieme
pressoché infinito di possibilità di esperienza e di azione; il senso è la facoltà tipica del genere umano di elaborare
delle interpretazioni delle varie realtà con cui l’uomo ha a che fare, questa facoltà è tipica della coscienza degli
essere umani (la coscienza degli essere umani opera attraversi processi di elaborazione del senso) e serve a dare
ordine alle realtà, caratterizzate da un insieme infinito di possibilità, esperienza e azione messe a disposizione
all’essere umano.
Il senso opera attraverso l’elaborazione dei significati, quindi il significato rimanda alle singole e specifiche
determinazioni (mediazioni) della realtà che assumono di volta in volta “corpo” e contenuto nell’esperienza degli
uomini e delle società. Gli esseri umani esprimono la produzione di senso attraverso l’elaborazione dei significati.
Il significato si costruisce attraverso segni. Il soggetto che mette in relazione il segno con qualche altra cosa realizza
un processo psichico di significazione.
A partire da questa distinzione possiamo proporre una prima definizione di cultura di Clifford Geertz, secondo lui la
cultura è «una struttura di significati, trasmessa storicamente, incarnati in simboli, un sistema di concezioni attraverso
le quali gli uomini comunicano, perpetuano la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita». Attraverso una
concezione della cultura come struttura di significato possiamo uscire dall’ambivalenza poiché sia la cultura
umanistico, classica sia la cultura delle scienze sociali sono costituite da forme simboliche, da significati elaborati
dall’individuo attraverso la sua facoltà di senso. Al tempo stesso utilizzando il concetto di senso si comprende
l’ambivalenza tra forma e contenuto, la facoltà di produzione del senso che elabora significati è una caratteristica
dell’essere umano che non può essere mai ridotta a nessuna della sue manifestazioni concrete, a nessuna delle
elaborazioni di significato, è per questo che c’è una distinzione fra forma e contenuto. Utilizzare il concetto di senso
ci consente di osservare l’ambivalenza circa il fatto che mentre la produzione della cultura è realizzata dagli esseri
umani al tempo stesso quando gli uomini la utilizzano devono considerarla come qualcosa di dato per scontato che
consente loro di elaborare altri significati. Gli esseri umani utilizzano degli indizi simbolici di vario tipo e attraverso
questi simboli che mutuano dalla cultura producono nuove interpretazioni della realtà.
Wendy Griswold definisce la cultura come il lato espressivo della vita umana, la cultura è il modo in cui la vita
umana, caratterizzata da questa facoltà di elaborazione del senso, si esprime. Secondo la Griswold la cultura è fatta
di comportamenti, oggetti e idee che possono essere visti come espressioni di qualcos’altro (senso e significati).
Se il concetto di significato riesce a rappresentare contemporaneamente gli aspetti di cultura e civiltà, cultura e
struttura sociale, occorre individuare le modalità della loro integrazione. Griswold risolve la questione attraverso i
concetti di:
• oggetto culturale: un significato condiviso incorporato in una forma (Griswold), è un’espressione significativa
udibile, visibile, tangibile, una storia che può essere narrata, recitata, cantata, ecc
per fornirci un esempio chiarificatore di che cos’è un oggetto culturale la Griswold propone l’esempio del pane
come oggetto culturale, si rifà alla sua esperienza e spiega che quando era bambina, nel secondo dopo guerra
negli stati uniti andava molto di modo il Wonder Bread (pane in cassetta). Questo pane ebbe un grande successo
perché era considerato di ottima qualità perché infuso di sostanze nutrienti.
Negli anni 70 i movimenti di contestazione hanno cominciato a consumare pane integrale come segno di
contrapposizione alla società capitalista. Questi due modi di intendere uno stesso oggetto culturale rimandano
alla cultura delle vecchia Europa dove il pane aveva avuto un ruolo molto importante come alimento per tutti i ceti
sociali, queste varie idee del pane sono molto diverse per altre culture per le quali non è importante.
• Diamante culturale: strumento per poter osservare la cultura in modo adeguato, è un quadrilatero ai cui vertici
troviamo quattro concetti, il concetto di oggetto culturale, il concetto di creatore (significati), il concetto di
ricevitore ed il concetto di mondo sociale. Basta cambiare il mondo sociale in cui l’oggetto culturale viene ospitato
che cambia il modo di ricevere l’oggetto culturale, la Griswold sottolinea l’importanza del fatto che quando si
analizza un fenomeno culturale dobbiamo cercare di capire quali sono le relazioni tra i creatori, il mondo sociale,
gli oggetti culturale e i ricevitori, ma anche le relazioni tra il mondo sociale e l’oggetto culturale e tra i creatori ed i
ricevitori (sia ai quattro lati, sia alle due diagonali).
Secondo la Griswold nella sociologia dei processi culturali c’è stata prevalentemente la tendenza ad osservare
sopratutto la relazione tra il mondo sociale e gli oggetti culturali o tra gli oggetti culturali e il mondo sociali (ci si è
soffermati solo su una diagonale), da qui è emersa una concezione della cultura che lei definisce teoria del
riflesso, ci si è chiesti se gli oggetti culturali siano uno specchio del mondo sociale o viceversa.
La teoria del riflesso si è poi evoluta in varie forme fino ad arrivare al suo superamento:
Dal riflesso come rispecchiamento (riflesso di), teoria di Marx e approccio funzionalista;
Al riflesso come riflessione (riflesso su), pensiero di Weber;
E oltre, ovvero la creazione sociale della cultura.
KARL MARX
Karl Marx vive nel pieno romanticismo in Germania, la cultura tedesca è fortemente influenzata dal pensiero di Hegel
che ha tra i suoi tratti principali l’idea che la realtà sia una manifestazione dello spirito, è il sistema simbolico o gli
aspetti spirituali che in qualche modo danno forma alla realtà, alla storia dell’umanità. Marx studiò Hegel
appassionatamente, ma se ne discostò dal pensiero, rifiutava il conservatorismo e l’idealismo hegeliano e in questa
sua presa di distanza dalla filosofia di Hegel Marx frequenta la corrente filosofica della sinistra hegeliana, attraverso i
lavori di Feuerbach Marx si convince sempre di più che il punto di partenza dello studio filosofico deve essere lo
studio dell’umanità.
Marx e la sinistra hegeliana Il punto di partenza è perciò lo studio dell’umanità, ossia l’uomo reale che vive nel
mondo reale, Hegel vede il reale come emanazione del divino, dello spirito mentre per Feuerbach il divino è il
prodotto illusorio del reale. L’essere e l’esistenza precedono il pensiero, il pensiero deriva dall’essere e non viceversa.
Per Marx la cultura è il risultato dei condizionamenti materiali.
Come conseguenza di questa prospettiva se per Hegel lo sviluppo dell’umanità è frutto dell’alienazione di Dio da se
stesso, per Feuerbach Dio esiste nella misura in cui l’uomo è alienato da se stesso e ha bisogno di proiettare le sue
facoltà più elevate, ma alienate, sulla divinità, secondo lui la filosofia ha il compito di aiutare l’uomo a riappropriarsi
del suo io alienato svolgendo una critica della religione. Marx, affrontando il pensiero di Feuerbach, afferma che al
pensiero filosofico rimane il compito di affrontare una critica dell’economia politica, una critica della morale, una
critica della cultura, ecc e ritiene di doversi impegnare in queste azioni di sviluppo di pensieri critici.
La sociologia di Marx Secondo Marx per fare una vera scienza delle cose umane e sociali e poter apprendere a
fondo la società occorre partire da quelle che lui chiama le basi materiali della società, unico reale riferimento
empirico per lo studioso; questa forma di pensiero prende il nome di materialismo storico. Le basi materiali di una
società sono costituite dalla distribuzione della proprietà dei mezzi di produzione.
La struttura della società è costituita dalle forze di produzione e dai rapporti di produzione, tutte le altre strutture
sociali, cultura, religione, diritto, economia sono sovrastrutture che hanno la funzione di mantenere la distribuzione
dei mezzi di produzione fornendo una ideologia della realtà.
L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO
L’interazionismo simbolico è un approccio sociologico che prende le mosse da una sorta di carenza presente in altri
approcci sociologici, ovvero dal fatto che molti approcci sociologici ritengono che i fenomeni sociali siano un
qualcosa di già dato, che preesiste all’individuo. L’interazionismo simbolico si interessa a come la gente nella vita
quotidiana costruisce le norme, i ruoli e la stessa identità (il sé). Utilizzando il diamante culturale possiamo dire che
l’interazionismo simbolico si preoccupa prevalentemente della relazione tra creatori e ricevitori.
L'interazionismo simbolico è una prospettiva sociologica che esamina le interazioni fra individui e gruppi di
individui, assumendo che il comportamento umano non nasca da una serie di risposte a stimoli, ma
dall'interpretazione dei significati simbolici attribuiti agli stimoli stessi.
L'espressione fu coniata nel 1937 da Herbert Blumer che si rifaceva in parte ai lavori di G. H. Mead. Sono tre i principi
dell'interazionismo simbolico, divenuta una vera e propria scuola di pensiero:
1) gli esseri umani agiscono nei confronti delle "cose" (oggetti fisici, esseri umani, istituzioni, idee...) in base al
significato che attribuiscono alle “cose”;
2) il significato attribuito a tali oggetti nasce dall'interazione tra gli individui che ne condividono così il significato;
3) tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un "processo interpretativo messo in atto da una persona
nell'affrontare le cose in cui si imbatte".
• Scuola di Chicago;
• Thomas: definizione della situazione (importanza delle percezioni, credenze e convinzioni soggettive rispetto ai
dati reali). Il teorema della definizione della situazione dice che indipendentemente dal fatto che un fenomeno
sociale sia reale o meno se questo è ritenuto tale dagli individui esso sarà reale nelle sue conseguenze, perché gli
individui si comporteranno ritenendo reale quel fenomeno e perciò in qualche modo lo attualizzeranno. “Se gli
uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze.”
Un buon esempio di situazioni che gli uomini definiscono reali viene riportato dallo stesso William Thomas. In un
Paese è in corso una guerra civile tra due etnie che si contendono il potere politico. La stessa guerra si riflette su
una piccola isola di questo Stato. Un giorno la guerra finisce, ma non è possibile comunicare in tempi brevi la
notizia alla piccola isola, dove dunque gli abitanti delle due etnie, ignorando la pace avvenuta, continueranno a
combattersi tra di loro. In questo esempio gli uomini hanno "definito una situazione come reale", cioè si sono
comportati come se la guerra non fosse ancora finita, ignorando la notizia, e di fatto hanno agito di conseguenza,
cioè hanno continuato a combattere.
• Cooley: Io riflesso o Io specchio (1909). questo concetto è l’idea che l’identità individuale sia in qualche modo il
risultato di una riflessione che l’individuo fa sulle tante immagini di sé che gli altri individui gli rimandano.
Secondo Cooley l’Io riflesso è costituito di 3 elementi (esempio di una persona che va dal parrucchiere):
Ciò che pensiamo gli altri vedano in noi (“sono convinto che la gente reagirà al mio nuovo taglio di capelli”);
Come pensiamo che gli altri reagiscano a ciò che vedono (“credo che pensino che mi stia bene”);
Come a nostra volta reagiamo alla reazione che percepiamo (“penso che continuerò a farmi questo taglio”).
George Herbert Mead e l’interazione simbolica Sui due precedenti concetti poggia Mead nella sua riflessione sul
ruolo esercitato dalle mediazioni simboliche nelle interazioni fra gli individui all’interno della società. Presta
particolare attenzione al fatto che le interazioni fra le persone possano avvenire solo attraverso forme di mediazione
simbolica, riflette su questo concetto nel suo testo Mind Self and Society dove afferma che l’interazione mediata
simbolicamente è fondamentale nello sviluppo del sé (self) del pensiero (mind) e della organizzazione sociale
(society).
Il pensiero umano è il risultato delle esperienze che gli individui fanno di interazioni interumane mediate
simbolicamente, ciò si può comprendere se si pensa che il pensiero sia da intendere come una sorta di conversazione
interiore, se esso è un dialogo che intratteniamo con noi stessi allora possiamo comprendere che esso si sviluppi
dopo aver fatto esperienza di interazione con altri individui, interazioni mediate da simboli.
L’Io pensa al Me e reagisce ad esso come reagisce nei confronti degli altri. Il sé dell’individuo si costruisce attraverso
l’interiorizzazione dell’altro, dapprima nel processo dell’imitazione, poi nella fase del gioco libero ed infine nella
fase del gioco strutturato, fase nella quale si interiorizza l’altro generalizzato. Esso è il frutto di una imitazione, di
una interiorizzazione che il bambino opera di tanti altri concreti. Nelle prime fasi della vita il bambino è chiamato a
comprendere la differenza fra se e altro da se, la prima distinzione che il bambino deve operare è quella tra sé e la
madre, con la nascita viene separato dalla madre e deve imparare a comprendere questa separazione e dunque la
relazione che ne scaturisce. Il bambino deve imparare a fornire alla madre dei segnali che le consentano di capire in
che modo deve accudire il figlio, i primi sono quelli del pianto che hanno forme diverse in base al bisogno del
bambino. Pian piano il bambino comincia a capire che ci sono altri adulti che possono interagire con lui, facendo
esperienza della relazione con tanti altri specifici (la mamma, il papà, i nonni, …) comprende che non sono gli altri
specifici ad avere una determinata aspettativa nei suoi confronti (ad esempio non sporcarsi mentre si mangia) ma è
l’altro generalizzato, cioè l’insieme delle persone che gli stanno intorno. Quando il bambino arriva ad elaborare il
concetto delle aspettative dell’altro in genere (ha interiorizzato l’altro generalizzato) ha compreso quali sono le
aspettative della società nei suoi confronti, il bambino arriva poi ad elaborare la capacità della conversazione interiore
e le forme del pensiero.
“Il rapporto cosciente con il proprio sé e il pensiero emergono quando l’individuo riesce a stabilire con se stesso un
dialogo interiorizzato, analogo a quello che stabilisce esternamente con gli altri: si costituisce così un ambito comune
di significati per tutti gli individui che partecipano a una data società … Senza rapporto sociale, senza linguaggio non
vi sarebbe neppure coscienza, ovvero costituzione del sé […] L’ordine simbolico (la cultura) è quindi costitutivo
dell’attore sociale ed è alla base dell’interazione tra soggetti.”
Goffman, il sé come prodotto di una scena Goffman propone una versione particolare dell’interazionismo
simbolico e delle modalità con cui l’individuo, non tanto forma il proprio sé, rappresenta il proprio sé nelle
interazioni della vita quotidiana. Il punto di partenza di Goffman è il fatto che il sé “non ha origine nella persona del
soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione, essendo generato da quegli attributi degli eventi locali
suscettibili di interpretazione da parte di testimoni”; il sé è prodotto nelle interazioni della vita quotidiana,
sostanzialmente è il gancio al quale noi appendiamo le tante immagini di noi stessi che comunichiamo agli altri, le
tante maschere che indossiamo nella vita quotidiana.
Quando un individuo si trova in presenza di altri (in una situazione sociale) le altre persone cercheranno di avere
informazioni sul suo conto (status socio-economico, concezione che egli ha di sé, atteggiamento che egli ha nei loro
confronti, capacità di cui dispone, serietà, etc.), sono alla ricerca di informazioni per comprendere cosa possono
aspettarsi da lui e come dovranno agire o re-agire nei suoi confronti. Dunque in una interazione l’attore sociale realizza
una rappresentazione del proprio sé per gli alter, per il “pubblico”.
Attore sociale Esprime più o meno intenzionalmente una propria definizione della sua personalità e della
situazione di interazione. Da un lato esprime intenzionalmente attraverso simboli verbali e controllo del
comportamento non verbale, mentre dall’altro lascia trasparire (comportamento non verbale) una serie di
informazioni senza volerlo.
Per fornire un’immagine di sé l’individuo utilizza un equipaggiamento espressivo che si distingue in:
٠ Facciata personale: elementi dell’equipaggiamento espressivo che identificano l’attore: sesso, età, razza, taglia,
aspetto, vestiario, portamento, lessico, gestualità;
٠ Ambientazione: “il mobilio, gli ornamenti, …” lo sfondo della rappresentazione.
Rappresentazione e norme sociali: l’idealizzazione “Ci siamo sbarazzati di molti dei, ma l’individuo rimane
ostinatamente una divinità di notevole importanza” Goffman riconosce che è in atto un processo di secolarizzazione
nelle società che ha portato ad una disattenzione nei confronti dell’idea di divinità soprannaturale, tuttavia rimane
una particolare attenzione nei confronti del valore dell’individuo, un’attenzione che fa dell’individuo una sorta di
realtà sacra. Queste operazioni noi le realizziamo nella vita quotidiana nelle interazioni faccia a faccia, queste
possono essere pensata come tanti micro rituali (simili ai rituali totemici) nei quali celebriamo il valore che
attribuiamo all’individuo, idealizzandolo.
Ogni rappresentazione incorpora pretese di validità astratte generali cioè delle idealizzazioni, la “rappresentazione
tenderà ad incorporare ed esemplificare i valori sociali già accreditati”. La rappresentazione ha un valore
cerimoniale, rituale (Durkheim e Radcliffe-Brown) e produce un ringiovanimento espressivo ed una riaffermazione
dei valori morali della comunità.
Nei contesti sociali urbanizzati sembra che, nonostante l’idealizzazione dell’individuo, nelle interazioni della vita
quotidiana tra persone che non si conoscono sia in atto una sorta di disinteresse nei confronti dell’altro proprio
perché è materialmente impossibile prestare attenzione a tutti ed è dunque avvertita come civile questa sorta di
disattenzione. Viene considerata come una forma di rispetto dei singoli individui e per questo viene chiamata
disattenzione civile.
Dissonanze tra apparenza e realtà In una rappresentazione gli attori hanno la tendenza a sminuire e a
nascondere attività, fatti e motivi incompatibili con la versione idealizzata della loro facciata (ruolo):
٠ Errori (i medici seppelliscono i propri errori), cerchiamo di sminuire o nascondere i nostri errori;
٠ La fase di elaborazione di un prodotto viene celata e si tende a presentare solo l’opera finita, tutto il lavoro che
facciamo per elaborare l’immagine del sé che vogliamo trasmettere viene celato;
٠ Il lavoro sporco necessario alla riuscita della rappresentazione (condizionare gli arbitri), per trasmettere una
rappresentazione idealizzata del sé a volte si commettono delle scorrettezze che vengono celate, per esempio non si
rispettano a pieno le norme sociali;
٠ I motivi strumentali di accesso ad un ruolo sono celati dietro i motivi ideali (faccio il professore per diffondere la
conoscenza del sapere sociologico, retorica dell’addestramento), motivi strumentali come per esempio il guadagno
economico o altri vantaggi utilitaristici;
٠ Vantaggi secondari incompatibili con il ruolo (le conoscenze, i viaggi di lavoro).
Il requisito dell’idealizzazione della rappresentazione implica che il ruolo (la facciata) sia presentato come speciale,
unico o il più importante tra tutti, in realtà gli individui hanno tante facciate quanti sono i pubblici. Per proteggere le
diverse facciate si realizza una segregazione dei pubblici (fra credere che una determinata relazione sia la più
importante fra tutte), questa genera situazioni di grossolana pseudo-Gemeinshaft (cerchiamo di costruire delle
pseudo comunità con ciascuno dei pubblici con cui abbiamo a che fare) perché non esiste quasi rappresentazione, in
qualsiasi campo della vita, che non faccia affidamento sul tocco personale per esagerare l’unicità del rapporto
intercorrente fra attore e pubblico. Per esempio oggi diamo molta importanza al tema della privacy, noi non
vogliamo che le persone vedano come ci comportiamo in un contesto diverso rispetto a quello in cui ci conoscono
perché cerchiamo di fornire in ogni interazione con gli altri la miglior immagine di noi stessi.
I territori della rappresentazione Il processo di rappresentazione del sé avviene, secondo Goffman, su territori
specifici. Per territorio intende qualsiasi spazio che sia delimitato da ostacoli alla percezione. Nelle società moderne le
rappresentazioni avvengono sempre all’interno di territori, spesso vi sono anche delle limitazioni temporali, gli
strumenti di delimitazione possono essere diversi: vetri, pareti, pannelli in legno, etc. Alcuni isolano solo visivamente,
altri solo acusticamente, altri sia l’uno che l’altro.
Fra questi vari territori vi è la ribalta, il luogo ove si svolge la rappresentazione. La rappresentazione che avviene
sulla ribalta in genere costituisce un tentativo da parte dell’attore di mostrare che la sua attività entro quel territorio
segue certe norme. L’equipaggiamento semantico (la facciata personale e l’ambientazione) che gli attori utilizzano
sulla ribalta è definito scena, qui si usano comportamenti di cortesia, il modo in cui l’attore tratta il pubblico e
decoro, il modo in cui l’attore si comporta quando può essere visto dal pubblico, ma non è impegnato a parlargli. Il
decoro si divide in regole morali che sono un fine in se stesse riguardano ad esempio il rispetto dei luoghi sacri il
non molestare il prossimo, il corretto comportamento sessuale ed in regole strumentali, non sono un fine in sé e si
riferiscono ad es. agli obblighi che un datore di lavoro può richiedere ai suoi dipendenti: conservare le attrezzature,
produrre con lena, etc.
Un altro territorio è il retroscena, luogo in cui l’individuo non è visto dai suoi interlocutori. Ogni rappresentazione
(attività svolta in presenza di altre persone) implica l’accentuazione dell’espressione di certi aspetti e la soppressione
di altri che potrebbero screditare l’impressione. I fatti e le espressioni accentuate appaiono sulla ribalta, mentre i fatti
soppressi compaiono invece nel retroscena.
Le funzioni del retroscena sono varie:
Viene costruita la capacità di una rappresentazione di esprimere qualcosa che vada oltre se stessa;
Vengono create illusioni e impressioni;
Si custodiscono gli arredi scenici che sono parte della facciata personale;
Qui vengono nascosti gli equipaggiamenti disponibili per un dato cerimoniale;
Qui i costumi e le altre parti della facciata personale possono essere accomodati ricercandone i difetti;
Qui l’équipe può ripassare la sua rappresentazione ricercandone i difetti.
Il retroscena si trova ad un estremo del luogo ove si tiene la rappresentazione ed è separato da questo da un
divisorio e da un passaggio sorvegliato. In tal modo essendo la ribalta e il retroscena adiacenti, un attore che si trovi
sulla ribalta può ricevere assistenza dal retroscena durante la rappresentazione e può momentaneamente
interromperla per brevi periodi di distensione, il retroscena costituisce per l’attore un luogo sicuro.
Alcune situazioni di retroscena fanno sì che l'individuo metta in disordine il proprio vestiario e sia fuori gioco, ossia
perda quella maschera espressiva che adopera nell'interazione faccia a faccia. Contemporaneamente all'individuo
diventa difficile poter ricomporre la propria facciata se gli accade di dover improvvisamente essere coinvolto in
un'interazione.
Uno dei momenti più interessanti per osservare l'attività di controllo delle impressioni è quello in cui un attore lascia
il retroscena ed entra nel luogo dove si trova il pubblico, o anche quando ne esce, ovvero la zona di cofine. Erving
Goffman a tal proposito cita l’esempio dei camerieri in un hotel delle isole Shetland (dove aveva svolto la sua ricerca).
Verificando che il gruppo di performance dei camerieri, di fronte al proprio pubblico (ovvero i clienti del ristorante),
inscena una rappresentazione, mostrandosi deferente, rispettoso, discreto. Questo accade in uno spazio di
“palcoscenico” (cioè dove il pubblico è presente): mentre nello spazio di “retroscena”, (la cucina dell’albergo) nascosto
al pubblico, i camerieri hanno un comportamento del tutto diverso, molto più informale e irrispettoso. Se un
cameriere raccontasse al pubblico dei clienti i segreti del gruppo – come i camerieri preparano le portate, il modo in
cui mangiano o in cui deridono i clienti – il gruppo stesso verrebbe distrutto, perché la sua rappresentazione
apparirebbe falsa e non credibile. I segreti devono quindi rimanere all’interno del gruppo: e per questo motivo, il
gruppo stesso deve comprendere, per definizione, tutte le persone che sono a conoscenza di questi segreti. Quindi,
appartenere ad un gruppo sociale significa soprattutto condividere i suoi segreti, cioè il suo patrimonio di
conoscenze. Secondo Goffman, quindi, la vita sociale si fonda sulla demarcazione dei confini tra palcoscenico e
retroscena. Il gruppo di audience non deve accedere alle situazioni di retroscena che contraddicono il
comportamento pubblico.
Attraverso il pensiero di Goffman è cambiato il modo di intendere la modernità e la post-modernità.
La subcultura è un contesto simbolico che si sviluppa all’interno di una cultura dominante, è fatta di un sottoinsieme di
oggetti culturali che possono essere sia materiali che immateriali, questo insieme di oggetti culturali è elaborato e
utilizzato da un gruppo della società. Es subcultura Hippie, una squadra di calcio.
Generalmente una subcultura ha contatti con la cultura esterna, ne condivide alcuni tratti essenziali, ma si distingue
da questa e talvolta le si contrappone. Perché si possa parlare di subcultura ci deve essere un sistema di interazioni a
livello micro-sociale, entro il suo dominio si crea un potente insieme di significati, simboli, norme comportamentali
che sono oggetto di identificazione e sono vincolanti per i membri della subcultura. Molto spesso una subcultura si
basa su differenze di classe, etnia, età, ecc.
La creazione culturale in una squadra di baseball della little league Il gruppo fa riferimento ad una serie di valori
culturali generali (l’impegno, l’allenamento, la competizione, …), condivide una subcultura preadolescenziale, fa
propri certi messaggi degli adulti (impegnarsi nello sport) e certe pressioni ideologiche che vengono dalla società.
Insieme a questi aspetti generali c’è l’interazione fra i ragazzi che genera un gruppo adolescenziale e all’interno del
gruppo si generano degli oggetti culturali specifici, conosciuti solo dal gruppo (ad esempio la cadillac
dell’allenatore: l’allenatore ha una vecchia auto, con un lancio uno dei ragazzi colpisce la macchina dell’allenatore e
lui dice: “non rovinate la mia cadillac” e da allora ci si riferisce alla macchina dell’allenatore chiamandola cadillac
anche se in realtà è una vecchia macchina.) L’uso di questi termini testimonia l’appartenenza al gruppo, l’insieme di
questi oggetti culturali generati all’interno della subcultura vengono denominati idiocultura, quest’ultima è la
cultura del sub-gruppo: ricca di implicazioni, vivacizzata da simboli ed espressioni noti solo ai membri del gruppo, e
utilizzati per separare questi dagli estranei. Nel gruppo creatore della sub-cultura gli eventi vengono trasformati in
cultura.
Subcultura vs cultura dominante La subcultura può svolgere un ruolo di rilevanza all’interno della società
laddove opera per il mutamento culturale, distinguendosi alla cultura dominante (resistendo all’altro generalizzato).
La subcultura può concorrere a riprodurre la cultura dominante, mentre in altri casi le si contrappone, la sfida per
screditarla, in altri casi la vuole cambiare (esempio dei boxer dello spirito, un gruppo di giovani contadini cinesi dediti
alle arti marziali che nei primi anni del novecento diventa un gruppo sociale che contrasta i tentativi di
colonizzazione culturale operati dalle società occidentali, come il tentativo di cristianizzazione della Cina.)
Le subculture delinquenziali sono un ottimo esempio di come le subculture tentano di contrapporsi e di cambiare la
cultura dominante, spesso le bande giovanili sono composte da ragazzi che provengono da strati sociali inferiori e si
comportano in questo modo perché si trovano a competere con compagni di classi sociali medio/alte e mancano
delle risorse di cui gli ultimi sono dotati e al tempo stesso sono anche giudicati dalla società attraverso parametri che
sono tipici delle classi medie. Tutto questo generano una frustrazione da status alla quale i giovani reagiscono
utilizzando un meccanismo di difesa che si chiama formazione reattiva, un comportamento di critica e di
avversione nei confronti della causa del disagio, di ciò che genera la frustrazione, in questo caso la cultura dominante
del ceto medio/alto della società, questi giovani sviluppano così una subcultura che sviluppa e scredita quella
dominante.
Durata temporale della cultura e mutamento culturale Le subculture sono importanti agenti del cambiamento,
nei processi culturali giocano un ruolo rilevante, il ritardo culturale è una teoria del mutamento culturale che si rifà
alla teoria del riflesso, per descrivere ciò Ogburn introdusse:
Cultura materiale: quella dimensione della culturale abitata da oggetti prodotti da una determinata civiltà, case,
macchine, materie prime, manufatti, sostanze alimentari, etc.;
Cultura non materiale: costituita da aspetti simbolici come costumi, pratiche quotidiane, istituzioni sociali,etc.;
Cultura adattiva: in seguito ai cambiamenti della cultura materiale si avvia un processo di mutamento sociale e la
cultura adattiva è quella parte di cultura non-materiale che si adegua a i cambiamenti;
ritardo culturale: occorre sempre un po’ di tempo perché la cultura adattiva si adatti al cambiamento e questo
scarto è detto ritardo culturale.
Ci sono numerosi esempi del processo inverso, cioè di cambiamenti nella cultura non materiale che si riverberano poi
nella cultura materiale, come il consumo di sigarette. In questo caso il cambiamento avviene nella cultura non
materiale ed è quella materiale che deve adeguarsi.
Teoria struttural-funzionalista della dissociazione tra mezzi e fini (Merton) Dimensione dei riceventi. Merton
era un sociologo struttural-funzionalista, sviluppa una teoria sul rapporto che gli individui hanno con la cultura
dominante, osserva l’atteggiamento del singolo individuo. La sua teoria parte da un’osservazione, secondo lui i tratti
essenziali della cultura dominante degli stati uniti, detta american dream (attivismo strumentale, individualismo
acquisitivo) sono :
tutti devono tendere alle stesse mete ambiziose, con la convinzione che esse sono alla portata di tutti
(eguaglianza);
l’eventuale insuccesso deve essere considerato momentaneo e prelude al successo finale;
l’unico reale insuccesso consiste nell’abbassare le proprie aspirazioni.
Merton analizza quali sono le modalità con cui gli individui si rapportano alla cultura generale ed elabora una sua
teoria dell’anomia che interpreta affermando che ogni società socializza gli individui al raggiungimento di
determinate mete e mette a disposizione degli individui un insieme di mezzi legittimi per il raggiungimento di tali
mete. Dalla relazione fra mete e mezzi nasce la teoria dell’anomia, intesa da lui come una dissociazione fra le mete
proposte dalla società (valori ultimi) ed i mezzi messi a disposizione degli individui per raggiungere le mete (valori
strumentali). Secondo Merton si danno quattro tipi di anomia:
posizione zero: gli individui fanno proprie sia le mete culturali che i mezzi istituzionalizzati, integrazione
dell’individuo, non c’è una situazione di anomia;
prima posizione: gli individui fanno proprie le mete culturali ma cercano di raggiungerle con mezzi non legittimi,
soggetti deviati in senso classico, innovatori (ladri);
seconda posizione: coloro che rispettano le norme della società, utilizzano i mezzi istituzionalizzati ma non per
raggiungere le mete culturali, (burocrati, bigotti);
terza posizione: coloro che rifiutano sia le mete culturale ed i mezzi istituzionalizzati, chi è al di fuori della società,
i rinunciatari;
quarta posizione: coloro che rifiutano sia le mete culturale ed i mezzi istituzionalizzati e cercano di proporne di
nuovi, rivoluzionari.
L’INDUSTRIA CULTURALE
In una società caratterizzata dalla produzione su larga scala di carattere industriale e capitalistico, la produzione di
oggetti che incorporano simboli, credenze e valori estetici diviene uno specifico settore merceologico, che segue le
stesse leggi che governano la produzione industriale di altri tipi di beni. Quando la produzione della cultura diventa
uno specifico settore merceologico, accade che si parla di industria culturale che non fa altro che avvicinare le due
concezioni della cultura (la cultura in senso classico e la cultura come un insieme complesso di vari elementi) e si
genera una rivoluzione inavvertita e una mediatizzazione della cultura.
Habermas (1962) in un saggio sull'origine dell'opinione pubblica mostra come inizialmente i prodotti culturali (la
letteratura e la stampa) venissero realizzati con il preciso fine di essere oggetto di discussione e di critica nei salotti
borghesi del 700. La produzione in serie (industriale) ha poi favorito la fruizione privata ed individuale dei prodotti,
sostituendo all'attività critica dei salotti il consumo tendenzialmente passivo, acritico, conformista, manipolato e
massificante dei beni culturali.
Produzione della cultura Quali sono le modalità attraverso le quali vengono prodotti gli oggetti dell’industria
culturale? L'uso dei mezzi di comunicazione ha radicalmente modificato l'esperienza soggettiva consentendo forme
mediate di esperienze di pseudo-ambienti, l'esperienza soggettiva è stata al contempo ampliata e segregata. In
poche parole noi osserviamo il mondo attraverso degli ambienti che sono costruiti dalle industrie culturali, noi
facciamo esperienza di certi ambiti della realtà in modo non diretto ma mediato dai mezzi di comunicazione, ad
esempio noi sappiamo cos’è un ornitorinco non perché l’abbiamo visto direttamente ma perché l’abbiamo visto in
pseudo ambienti come un documentario. Quindi l’industria culturale ed i mezzi di comunicazione di massa
consentono di espandere l’esperienza dei riceventi, essa viene ampliata ma al tempo stesso segregata, ovvero
possiamo fare esperienza in questi ambienti costruiti ad arte dagli operatori.
Come funziona questa industria culturale? La produzione industriale degli oggetti culturali è caratterizzata da tre
aspetti:
• Incertezza della domanda: essendo l’industria culturale rivolta al pubblico di massa ha di fronte a sé il problema
di capire quali sono i gusti e le preferenze di un pubblico variegato;
• Tecnologia relativamente economica: i mezzi di comunicazione di massa sono ad oggi molto economici, si può
diventare produttori di industria culturale anche a livello artigianale;
• Eccedenza di creatori: a causa della tecnologia relativamente economica si sviluppa un’eccedenza di creatori.
Distribuzione della cultura Come si configura il sistema dell’industria culturale? La Griswold propone il modello
di Hirsch, secondo lui l’industria culturale è caratterizzata dagli artisti creativi che formano il sottosistema tecnico e
dall’altro lato ci sono i consumatori finali. Il percorso che conduce i primi dagli ultimi è un percorso articolato nel
quale operano delle organizzazioni dell’industria culturale.
Accanto agli artisti deve agire un sistema di organizzazioni produttrici che vengono definite sottosistema
manageriale (le case editrici, gli studi cinematografici, le case discografiche), la relazione tra sottosistema tecnico e
manageriale non è semplice, vi è una sorta di filtro che seleziona i migliori artisti creativi che riescono poi ad
usufruire dell’attività delle organizzazioni produttrici.
All’interno di questo filtro operano vari soggetti, alcuni al soldo degli artisti creativi (agenti) e altri sono al soldo delle
organizzazione produttrici (talent scout, curatori editoriali). Una volta che gli artisti creativi sono stati selezionati le
organizzazioni finanziano la produzione dell’oggetto culturale e devono affrontare il problema di raggiungere i
consumatori finali, proprio per questo utilizzano il sistema dei media, definito sottosistema istituzionale, che
veicolano i prodotti culturali generati dall’industria.
Nel canale che si crea tra questi due ambiti si sviluppa un secondo filtro all’interno del quale operano da un lato i
promotori che sono all’interno delle organizzazioni del sottosistema manageriale, che si sforzano di veicolare
all’interno dei media i prodotti, dall’altro lato per conto del sottosistema dei media sono all’opera dei gatekeepers
(recensori, dj, presentatori) selezionano i prodotti che si suppone siano maggiormente graditi al pubblico.
Attraverso i media i prodotti dell’industria culturale raggiungono i consumatori finali, anche qua c’è un filtro
rappresentato dai consumatori finali stessi che filtrano i prodotti che maggiormente gradiscono.
In alcuni casi può accadere che le organizzazioni produttrici cerchino di raggiungere i consumatori finali bypassando
il sistema dei media, ciò dipende anche dal tipo di prodotti che veicolano, attraverso le promozioni.
I flussi comunicativi vanno da sinistra verso destra, per operare le organizzazioni del sistema produttivo hanno
bisogno di feedback (conoscere il gradimento dei prodotti), questi provengono da due ambiti, il primo è quello dei
media mentre il secondo è fornito direttamente dai consumatori finali.
Recezione della cultura Nonostante il significato di un oggetto culturale sia inizialmente suggerito dai creatori,
chi riceve l’oggetto lo elabora, ma con quale grado di libertà i ricevitori rendono significativi gli oggetti culturali?
Alcune variabili principali che influenzano la ricezione dei prodotti culturali sono il reddito, l’istruzione e le relazioni
sociali, sulla base di queste variabili vengono studiate le diete culturali, persone appartenenti a ceti sociali popolari
hanno una certa dieta culturale (sport, televisione, canzoni popolari) mentre persone appartenenti al ceto
medio/alto hanno altre diete culturali (teatro, operistica sinfonica, mostre).
Uno studio sulla ricezione dei prodotti culturali a partire dalle variabili citate è stato condotto da Pierre Bourdieu che
fece un’importante riflessione sui tipi di capitale di cui dispongono gli individui, distinse tre tipi di capitale:
Capitale economico: livello di reddito e livello professionale;
Capitale culturale: cultura trasmessa dalla famiglia, livello e tipo di istruzione;
Capitale sociale: quantità e qualità delle relazioni sociali.
A partire da queste forme di capitale costruisce uno spazio sociale attraverso il quale studiare come gli individui
fruiscono di una serie di beni e prodotti, conduce delle ricerche empiriche e studia i gusti della popolazione. Secondo
lui i gusti degli individui sono influenzati dall’habitus che è alla base dei criteri di valutazione della realtà, «Un
sistema di disposizioni durevoli e trasponibili che, integrando tutte le esperienze passate, funziona in ogni momento
come matrice di percezioni, valutazioni e azioni, e rende possibile compiere compiti infinitamente differenziati, grazie
al trasferimento analogico di schemi, di risolvere problemi simili, che si autocorregge grazie ai risultati ottenuti.»
L’habitus è una sorta di schema di valutazione che gli individui hanno interiorizzato tanto da diventare parte del loro
atteggiamento e viene utilizzato inconsciamente, diventa la matrice dei gusti degli individui.
Hans Robert Jauss sviluppa la teoria della ricezione, egli afferma: «Quando un lettore prende un libro, non vi si
relaziona come se fosse un recipiente vuoto pronto ad essere riempito … piuttosto lo colloca in un «orizzonte di
aspettative» plasmato dalle sue precedenti esperienze letterarie, culturali e sociali». Il lettore interpreta il testo sulla
base del suo orizzonte di aspettative, compie un’operazione critica del testo e al tempo stesso modifica il suo
orizzonte di aspettative.
Un’altra ricerca presentata dalla Griswold è come uno stesso prodotto dell’industria culturale viene fruito ed
interpretato in modo diverso dagli individui proprio a partire dalla loro cultura di appartenenza, la Griswold ha
sottoposto ricerche in tre diversi paesi sottoponendo agli individui un romanzo, chiedendo poi ai lettori di definire
sinteticamente di cosa tratta il testo. In india gli intervistati hanno detto che il testo è incentrato sull’ambiguità
dell’identità personale, negli Stati Uniti la maggior parte ha detto che si tratta di un romanzo che ha per tema le
differenze razziali, in Inghilterra è stato definito come un romanzo di formazione che descrive il percorso di
maturazione psicologica degli individui. Da ciò possiamo notare come la cultura dominante influenzi l’interpretazione
di un prodotto culturale.
Segni e simboli Secondo Locke i segni servono alle persone per conoscere, interpretare e trasmettere la realtà,
questa facoltà può esprimersi soltanto attraverso l’uso dei segni. La semiotica è la disciplina che studia come sono
strutturati e prodotti i segni, Ferdinand de Saussure afferma che il segno è sostanzialmente la combinazione tra un
significante ed un significato. Il significante è l’insieme dei fonemi che costituiscono una parola, mentre il
significato è l’immagine della stessa parola che si richiama nella mente del soggetto umano, il segno è una
combinazione arbitraria fra questi due elementi, il significante è arbitrario, tuttavia una volta definito un significante
questo costruisce una relazione fissa con il suo significato.
Peirce modifica la prospettiva, ritiene che il segno non sia solo il risultato della relazione tra un significante ed un
significato ma che ci sia anche un terzo elemento, definito referente, una realtà che si trova nell’ambiente di colui
che usa il segno e serve alla mente per rapportarsi alla realtà. Queste sono le due principali prospettive della
semiotica: quella di De Saussure che sottolinea l’arbitrarietà della relazione fra significante e significato e che
concepisce il segno secondo una prospettiva di autonomia ontologica del segno, ovvero trascura la realtà cui il segno
si riferisce e etc.trascura chi usa i segni: l’emittente, il ricevente; mentre per Peirce il segno è l’intermediario tra la
realtà (esistente al di là della sua rappresentazione) e la mente dell’interprete. Si tratta di una posizione realista e non
costruttivista. Essa assume come punto di partenza e causa del processo di significazione la realtà.
Peirce elabora una semiotica interpretativa, cioè un’idea dell’utilizzo dei segni che serve ad interpretare la realtà e ad
elaborare un senso della realtà. Definisce il segno come qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche
aspetto e capacità e classifica in base in base alla relazione significante-significato:
• Icona: ogni segno caratterizzato da una relazione di somiglianza o analogia tra significante e significato (es.:
l’omino stilizzato per indicare il bagno maschile, la mappa di una città, primavera di Vivaldi);
• Indice: ogni segno caratterizzato da una relazione di contiguità/continuità fisica tra significante e significato. (es.:
impronta sulla sabbia ed il fatto che qualcuno abbia fatto questa impronta, la colonnina di mercurio per la
temperatura);
• Simbolo: ogni segno caratterizzato da relazione arbitraria tra significante e significato (es.: la parola “cavallo” per il
mammifero quadrupede, con la criniera; ma anche simbolo di velocità e di potenza: cavallo vapore, i cavalli
dell’automobile).
Proprio in base all’arbitrarietà della relazione fra significante e significato si distingue fra:
Segno-Segnale: un tipo di segno caratterizzato da bassa arbitrarietà della relazione tra significante e significato ed
è nella forma più semplice qualcosa che sta per qualche altra cosa. Qui il significato è una quantità/qualità precisa e
finita. Nella relazione tra significante e significato vi è un nesso arbitrario, ma diretto. L’interpretazione non si presta
ad ambiguità (ad esempio l’indice, o anche, per certi versi, l’icona). Il segno è qualcosa che sta per qualche altra cosa:
relazione tra significante e significato, tra i due vi è un nesso arbitrario, ma diretto. Nel caso del segno il processo di
significazione si basa su una relazione biunivoca tra significante e significato. Il cavallo rimanda al quadrupede con la
criniera e gli zoccoli.
Segno-Simbolo: nel simbolo il nesso tra un significante e il suo significato è meno diretto, è più ampio soggetto,
anzi necessita della interpretazione dell’attore. I simboli sono rilevanti in sociologia: le attività di costruzione e
negoziazione sui simboli sono componenti fondamentali della vita sociale di singoli e gruppi; nel simbolo il nesso tra
un significante e il suo significato è meno diretto, è più ampio ed è soggetto all’interpretazione dell’attore. Nel caso
del simbolo il significante rimanda ad un ambito più complesso di significati. È richiesto un processo di
interpretazione da parte del soggetto. Il cavallo diventa simbolo di velocità, di potenza (i cavalli del motore)
Da un lato la semiotica, la filosofia, la linguistica si preoccupano del rapporto fra il simbolo e le cose o tra un simbolo
e gli altri simboli, dall’altro le scienze sociali (sociologia e psicologia sociale) si occupano della relazione tra il simbolo
e coloro che lo utilizzano o delle relazioni tra gli attori che utilizzano i simboli.
Gli esseri viventi si sviluppano e agiscono in accordo con istruzioni codificate nei loro geni. Nel caso degli animali
chiamiamo istinto questa molla genetica (specializzazione). Nel caso dell’uomo i geni non forniscono informazioni
sufficienti alla sopravvivenza (essere generico), la cultura compensa l’incompletezza genetica, fornendo
interpretazioni del mondo. “Percepiamo l’ambiente che ci circonda nei termini di un mondo dotato di significato, ma
tale significato non è un attributo intrinseco degli oggetti della nostra esperienza ma il frutto di un processo
interpretativo”. I significati e le interpretazioni del mondo sono contingenti, come osserva Berger ciò genera la più
grande paura dell’uomo: la paura del caos. Dal punto di vista sociologico la cultura costruisce un argine contro il
dilagare del caos, essa “fornisce significato e ordine (della realtà) attraverso l’uso dei simboli” essa è costituita di
“oggetti culturali che convogliano un significato”.
Segni e simboli sono l’elemento essenziale di cui è costituita la cultura e si organizzano in varie modalità:
• conoscenze empiriche ed esistenziali, le conoscenze empiriche si dividono a loro volta in tecniche e oggetti
materiali;
• codici che si dividono in lingue e codici sociali;
• valori dai quali scaturiscono delle norme.
Conoscenze Segni e simboli ci consentono di rapportarci con gli ambienti che ci circondano, infatti la cultura (cui
elementi essenziali sono segni e simboli) è il mediatore tra gli esseri umani e gli ambienti in cui si trovano ad agire.
Le conoscenze empiriche sono sostanzialmente segni e simboli che vengono elaborati a partire dall’osservazione di
evidenze empiriche dotate di regolarità che accadono nei vari ambienti, osservando delle regolarità empiriche si
costruisce un insieme di conoscenze che producono il sapere scientifico. Questo metodo conoscitivo viene utilizzato
anche nella vita quotidiana, come i proverbi, affermazioni che in qualche modo sintetizzano delle analisi della realtà
ambientale ce spesso sono il frutto della rilevazione di regolarità empiriche ed attraverso l’osservazione di queste
regolarità empiriche si viene a costruire il senso comune. Esso è una concezione elementare del mondo e
dell’esistenza comune alla maggior parte dei membri di una società, e utilizzata da quasi tutti loro con un grado
minimo di consapevolezza, tale da permettere di predicare come “ovvi” e “dati” i più diversi stati e variazioni di
oggetti, fenomeni, accadimenti sociali e culturali.
Le conoscenze esistenziali sono quelle conoscenze che riguardano la risposta ai grandi perché dell’umanità, a questi
interrogativi né la scienza, né la conoscenza empirica possono rispondere ed ecco allora che il genere umano, le varie
culture danno risposta in altro modo elaborando delle cosmogonie, dei sistemi religiosi, filosofici ed ideologici che
intendono spiegare il perché dell’esistenza dell’universo e della specie umana.
Codici Un codice è un insieme di segni a cui convenzionalmente vengono attribuiti dei significati e da un insieme
di regole per la combinazione di tali segni e simboli, le lingue sono i codici culturali fondamentali utilizzati dal
genere umano. La lingua è un sistema di comunicazione proprio di una comunità umana che usa suoni o simboli con
significati arbitrari ma strutturati, la lingua indica il modo concreto e determinato storicamente in cui si manifesta la
facoltà del linguaggio umano.
Altri tipi di codice sono i codici per la regolazione delle relazioni umane, le lingue consentono la comprensione
reciproca degli individui, attraverso essa è possibile comunicare e comprendersi reciprocamente, tuttavia esso non
garantisce il coordinamento dei comportamenti tra gli individui. In sociologia ci si è soffermati ad analizzare quali
siano i meccanismi che facilitano il coordinamento dei comportamenti, da qui ne sono scaturiti i mezzi/codici
simbolici generalizzati, meccanismi che vengono in ausilio al linguaggio per facilitare il coordinamento delle
relazioni e transazioni tra gli individui. Un primo codice di comunicazione è il denaro che consente di regolare i
comportamenti tra gli individui con una certa facilità e lo fa attraverso una serie di cifre (ad esempio in un
supermercato noi facciamo attenzione ai cartellini dov’è indicato il prezzo della merce e noi decidiamo se comprarla
o meno senza interazioni linguistiche, un altro esempio sono le aste online), il solo codice numerico del denaro
consente il coordinamento dei comportamenti e facilita la transazione.
Nelle società occidentali complesse i codici che servono a coordinare il comportamento sono basati su un principio
di facilitazione, tutela e promozione dell’autonomia dei soggetti. Questo è particolarmente evidente per quanto
riguarda il mezzo simbolico del diritto che tende a tutelare le persone (esempio di Hobbes ed il Leviatano,
limitazione della sfera di autonomia individuale per non danneggiare quella altrui). Un altro codice di questo genere
è il potere.
Il codice simbolico del dono era utilizzato nelle società pre-moderne in modo diffuso e che ad oggi ha rilevanza solo
in sfere particolari delle società occidentali, questo mezzo simbolico sottolinea l’aspetto di legame della relazione
sociale. Marcel Maus studiando la popolazione delle isole Trobriand afferma che queste popolazioni sviluppano i loro
scambi soltanto attraverso il codice del dono, si tratta di scambi di beni materiali non regolati del denaro, le
popolazioni partivano portando doni agli abitanti delle altri isole che a loro volta facevano un viaggio di dono verso
un’altra isola. Il rituale del dono è guidato da tre regole, la regola del donare liberamente (deve esserci una scelta
autonoma dei soggetti che vanno a portare i doni), la norma del ricevere e la norma del reciprocare il dono. Il terzo
aspetta sottolinea la dimensione di legame presente nel comportamento di dono. Oggi gli scambi regolati dal dono
avvengono all’interno della sfera della vita privata (parentela, amicizia e famiglia), all’interno di queste relazioni
facciamo dei doni perché ci teniamo a sottolineare l’importanza che ha per noi la relazione con colui che riceve il
dono, il dono diventa quindi simbolo della relazione. Le frasi fatte che si utilizzano quando si riceve un dono vengono
interpretate dicendo che il ricevente tende ad attirare l’attenzione sulla dimensione economica del dono perché si
vuole essere sicure che il dono sia frutto di una libera ed autonoma intenzionalità, quindi si vuole essere sicuri che il
dono sia autentico ed esprima effettivamente l’importanza della relazione. Dopo che il ricevente ha espresso le
tipiche frasi fatte (non dovevi disturbarti, grazie, è troppo) il donatore solitamente risponde con delle frasi fatte che
intimano di non tenere conto dell’aspetto economico ma di concentrarsi sul vero significato del dono. Nel codice del
dono si combinano l’aspetto di autonomia e quello di legame, un legame che poi si esprime in una sorta di senso di
debito che il donatario avverte nei confronti del donatore e quindi sente l’obbligo di sdebitarsi. Se per lui la relazione
è meno importante contraccambia con un dono di egual valore economico ma di scarso valore simbolico. A volte il
dono può avere un aspetto negativo nei confronti di chi non è in grado di sdebitarsi (perché il dono è troppo
costoso) e può generare una sorta di mortificazione. Un altro utilizzo del codice del dono è quello utilizzato da parte
delle grandi imprese per cercare di fidelizzare il cliente.
Valori “Un valore è una concezione del buono e del desiderabile, esplicita o implicita, distintiva di un individuo o
caratteristica di un gruppo, che influenza la selezione fra modi, mezzi e fini disponibili.” il valore è una concezione,
quindi ha una dimensione cognitiva, spesso si presenta sotto forma di enunciati del tipo: X è buono, Y è bella, … i
valori implicano quindi una consapevolezza e capacità argomentativa da parte dell’attore sociale. Accanto a questo
aspetto cognitivo e razionale c’è una dimensione affettiva, infatti i valori coinvolgono gli affetti e i sentimenti delle
persone e conformarsi ad essi è ritenuta una cosa buona in sé, indipendentemente dal vantaggio che se ne può
ricavare (es. evitare una punizione). Questo comportamento viene ripetuto nel tempo anche se uno non ottiene i
risultati attesi. I valori hanno anche una dimensione selettiva, ovvero servono ad orientare gli individui nelle
selezione fra vari modi, mezzi e fini dell’azione disponibili, molto spesso attraverso i valori vengono elaborate delle
norme di comportamento.
Il giudizio di realtà è una proposizione che dice come una cosa è, mentre il giudizio di valore è una proposizione che
attribuisce qualità e valore alle cose. Nelle società ci sono dei valori dominanti che definiscono le caratteristiche
generali di una società.
Le variabili modello o patterns variables, sono variabili che modellano il comportamento e si trovano a cavallo fra
i valori e le norme, esse descrivono il tipo di comportamento che è atteso dagli individui nell’ambito della società e
della comunità. Qui è necessario distinguere tra società e comunità, pian piano la comunità è stata sostituita da un
altro modo di intendere le relazioni tra le persone, un modo societario. Pian piano la società sta andando
sostituendosi alla comunità. Secondo Parsons invece non ci troviamo davanti ad un processo di sostituzione della
comunità da parte della società, piuttosto è in atto nelle società occidentali un processo di differenziazione funzionale
delle sfere di relazione sociale, ovvero secondo Parsons nell’occidente moderno ci sono delle sfere di relazione di tipo
comunitario accanto a delle sfere di relazione di tipo societario, queste convivono ma sono le une estranee alla altre.
VARIABILI MODELLO
COMUNITÀ SOCIETÀ
Modelli di comportamento: affettività. Nella comunità Modelli di comportamento: neutralità affettiva. In
ci si attende un coinvolgimento degli aspetti emotivi società non si possono avere dei comportamenti che
della persona (relazioni famigliari). rimandano ad aspetti affettivi (relazione docente-
studente).
Ci si orienta al particolarismo. Nella comunità ogni Ci si orienta all’universalismo. In società non si possono
individuo si aspetta dagli altri un’attenzione nei suoi avere atteggiamenti preferenziali nei confronti di
confronti. qualcuno.
L’ingresso in comunità è dettato dal principio di L’ingresso in società è determinato dal principio di
ascrittività, si entra a far parte del gruppo comunitario acquisività, si entra a far parte del gruppo sulla base di
per nascita. una serie di criteri e caratteristiche del soggetto.
Gli orientamenti sono di tipo diffusivo, ovvero è Gli orientamenti sono dettati dalla specificità, bisogna
richiesta attenzione a tutti gli aspetti della vita personale avere attenzione alle caratteristiche specifiche del
dei membri della comunità. soggetto.
Orientamento alla collettività, i criteri con cui vengono Orientamento al self, valorizzazione dell’individuo, i
operate le scelte rimandano alle esigenza della criteri di scelta dell’azione degli individui sono legati alle
comunità. Le esigenze dei singoli devono essere in esigenze del sé.
qualche modo ricondotte alle esigenze della comunità.
Nei valori rientrano anche le norme di comportamento, un importante strumento che la specie umana si è data per
rapportarsi ai vari ambienti con cui ha a che fare, in particolare per rapportarsi all’ambiente sociale. Le norme
giuridiche sono ispirate dai valori, nei primi articoli della costituzione non sono indicate delle norme ma dei valori
che sono quelli che ispirano l’articolato normativo.
Norma sociale e devianza La norma è un’aspettativa di comportamento, con la modernità (nelle società
moderne) si afferma una concezione autoreferenziale (la legittimazione delle norma è autoreferenziale, si fonda su
se stessa e ha un carattere statistico, quindi diventa normativo ciò che accade normalmente, quindi più spesso, nella
società) della norma sociale (tipo curva gaussiana) quindi non c’è più un fondamento esterno alla norma sociale che
la giustifichi e la razionalizzi: la tradizione, il sovrano, o la divinità. La devianza è un comportamento non conforme
alle aspettative sociali più o meno istituzionalizzate (norme informali e formalizzate), è un concetto relativo perché
tramite le norme può variare da un momento all’altro, la devianza può essere interpretata come un tentativo di
sfuggire al controllo sociale. L’infrazione alla norma sociale prevede una sanzione (per lo più pubblica), che ha la
funzione di rafforzare la norma e funge da fattore deterrente, ad esempio se una persona può decidere di non essere
più amica di un’altra in seguito al suo comportamento scorretto, in questo caso la persona sta amministrando la
sanzione e la sta rafforzando dicendolo ad un’altra amica (le intima di non comportarsi così) e quindi funziona da
deterrente.
Le forme più comuni di devianza sono:
crimine: comprende l’infrazione delle norme consacrate dalle leggi;
esclusione e marginalità: coloro che si pongono o sono posti al di fuori della cerchia sociale;
alienazione: dà luogo a comportamenti di protesta (protestatari, rivoluzionari), di innovazione sociale (riformatori,
profeti), coloro che protestano contro la società perché si sentono esclusi da essa;
diversità anormalità: comprende i diversi, che non mettono in atto azioni non conformi (handicap fisico e
psichico);
peccato: comprende i negatori dei valori sacri del gruppo: eretici, traditori, apostati, transfughi;
malattia: comprende sia le forme tradizionali di malattia che non consentono di corrispondere ai doveri derivanti
dal proprio ruolo sociale, sia le forme di patologia che hanno potenzialmente maggiori ripercussioni negative sulla
società (tossicodipendenti, alcolizzati, malati mentali).
Le principali caratteristiche della devianza sono:
fattore espressivo che mette in evidenza la necessità e la direzione del cambiamento (ptoteste del 1968);
canalizza le capacità creative ed alternative degli individui;
riattiva processi di ridefinizione degli attori sociali all’interno dei gruppi e delle società.
Le funzioni della devianza rispetto al sistema sociale sono:
“Valvola di sfogo” delle tensioni.
“Capro espiatorio” delle tensioni.
“Sacca di emarginazione” dei soggetti pericolosi (Foucault).
“Cortina fumogena” per coprire le contraddizioni del sistema (Foucault).
Riaffermazione del valore della norma (Durkheim).
Ogni società socializza gli individui al raggiungimento di determinate mete mette a disposizione degli individui un
insieme di mezzi legittimi per il raggiungimento di tali mete.
Sociologia dell’arte La produzione artistica costituisce un ambito ampio e variegato della cultura, vi trovano
espressione sensazioni, emozioni, dimensioni dell’immaginario individuale e collettivo, rappresentazioni della realtà
naturale e sociale, concezioni del mondo e della vita. Le prime forme di creazione artistica trovano la loro fonte di
ispirazione nel mito e nella religione. Le varie tipologie di produzione artistica sono:
٠ Arti figurative (immagini): pittura, scultura, architettura, danza, fotografia, cinema;
٠ Letteratura (parola parlata e scritta): poesia, narrativa, teatro;
٠ Musica (suoni): classica (da camera, sinfonica, lirica), leggera (rock, disco, pop).
Le scienze sociali hanno contribuito ad affermare l’idea che il criterio in base al quale si stabilisce che una
determinata forma espressiva può essere classificata come arte muta nel tempo e dipende dal contesto storico
sociale in particolare dalle:
٠ Strutture sociali (stratificazione sociale, distribuzione del potere, modi di produzione, forme del consumo,
conoscenze tecniche);
٠ Sistema culturale dominante (valori estetici, morali, sociali, stili di vita, omogeneità/eterogeneità culturale).
La sociologia fornisce un tentativo di definizione delle forme artistiche a partire dalla distinzione tra senso e
significato (complessità indeterminata dell’agire e determinatezza del significato, forma e contenuto). “Le forme di
espressione artistica sono forme di mediazione simbolica che traducono in linguaggio, suoni e immagini la
complessità dell’esperienza vissuta.” La specificità dell’arte rispetto alle altre forme di mediazione simbolica di uso
corrente nella vita sociale (senso comune, linguaggio, regole, tecnica, filosofia, scienza, diritto, morale, etc.) è data
dalla rilevanza che in essa assume la dimensione dell’immaginario, dell’espressione metaforica e l’accentuata
attenzione e consapevolezza per il medium formale utilizzato.
Che cosa fa di una forma espressiva una forma d’arte? Per la semiotica il segno è data dalla relazione fra il
significante ed il significato, provando ad analizzare un’opera di Van Gogh bisogna utilizzare la teoria del segno
proposta da Peirce che rimanda al referente, il referente di quest’opera è la capacità di elaborazione di senso del
soggetto (torna la relazione tra senso e significato), la specificità di un’opera d’arte è data dal fatta di essere un segno
che non rimanda alla realtà materiale, ma a una realtà particolare che è la facoltà di elaborazione del senso da parte
del soggetto umano (guardando gli scarponi del quadro non penso a degli scarponi nella realtà, ma riesco a intuire
quel processo interno al soggetto umano che è la sua capacità di elaborazione del senso). Attraverso questa
produzione simbolica Van Gogh vuole esprimere un senso che ha elaborato interiormente.
Quando la particolare attenzione al mezzo espressivo lo celebra come forma autonoma fine a se stessa l’arte assume
la forma del manierismo, del barocco. L’attenzione al mezzo espressivo produce anche una consapevolezza dei suoi
limiti invalicabili; il mezzo espressivo non può mai esprimere in pienezza il senso, il senso è sempre al di là dei
significati. L’arte non intende ridurre il senso al significato, essa non può dire il senso, lo mostra, lo fa balenare,
rimanda al senso.
Il senso rimanda alla facoltà della coscienza di interpretare e dare ordine ad una realtà caratterizzata da un insieme
pressoché infinito di possibilità di esperienza e di azione, mentre il significato rimanda alle singole e specifiche
determinazioni della realtà che assumono di volta in volta “corpo” e contenuto nell’esperienza degli uomini e delle
società.
“Nell’opera compiuta del genio c’è un senso divenuto obiettivo, un senso che non si può comprendere né esaurire
mediante alcuna riflessione e quindi neppure mediante la riflessione dello stesso individuo che l’ha creata.” La
precedente interpretazione spiega il fenomeno della polisemia dell’opera d’arte. Avendo come referente il processo
di elaborazione del senso l’opera d’arte innesca nel pubblico processi soggettivi di elaborazione del senso che
possono produrre una differenziazione e una ineffabilità o incomunicabilità delle interpretazioni.
Rapporti tra culture Parliamo dei rapporti tra cultura presentando dei concetti generali.
• Universali culturali: sono dei tratti comuni a tutte le culture, un censimento di Murdock mostra alcuni di questi
tratti, sport, ornamento del corpo, lavoro cooperativo, danza, istruzione, riti funebri, distribuzione dei doni,
ospitalità, tabù dell’incesto, scherzo, linguaggio, restrizioni sessuali, fabbricazione degli utensili … Perché esistono
gli universali culturali? La specie umana ha una serie di bisogni fisiologici, psicologici e sociali e a partire da questi
bisogni le varie società offrono delle interpretazioni, delle risposte a questi bisogni, proprio queste risposte vanno
a costituire gli universali culturali.
• Pluralismo culturale: per analizzare questo concetto bisogna attuare una distinzione. Società pre-moderna:
segmentazione orizzontale. La staticità della cultura consentiva di stabilire tra la popolazione nette divisioni di
status, di casta, di gruppo e di mantenerle senza creare tensioni e conflitti, a causa della loro separatezza e
dell’assenza di comunicazione reciproca. Nella società pre-moderna l’individuo fin dalla nascita viveva in cerchie
sociali concentriche. Società moderna industriale: complessità sociale. La società industriale è una società mobile e
instabile. Le grandi correnti della mobilità lavorano contro il mantenimento di rigidi steccati orizzontali che
diventano sempre meno giustificabili e tollerabili. Nella società complessa l’individuo si trova a partecipare
contemporaneamente a più gruppi e associazioni che possono avere uno scarso rapporto reciproco. Da qui nasce
il pluralismo culturale che garantisce una certa libertà d’azione gli individui perché possono entrare e uscire da
varie cerchie sociali, infatti l’essere umano vive all’interno di sistemi simbolici scarsamente correlati. Di fronte alla
pluralità di opzioni è portato a riflettere e a pensare che la scelta fra valori diversi o contraddittori sia un aspetto
irrinunciabile della propria e dell’altrui libertà.
• Relativismo culturale: è la prospettiva secondo la quale ogni cultura ha una valenza incommensurabile rispetto
alle altre, ed ha quindi valore di per sé stessa e non per una sua valenza teorica o pratica. Si generano perciò dei
modelli riduzionisti che tendono a minimizzare la variabilità culturale e a considerare le differenze tra le varie
culture come delle manifestazioni superficiali e sottolineano il concetto di universale culturale, dall’altro lato si
generano dei modelli relativisti che insistono sull’unicità di ogni cultura e sottolineano l’impossibilità di ogni
criterio di validità e di una effettiva comprensione interculturale. Relativismo culturale può essere interpretato
come un orientamento metodologico, ovvero studiare una cultura particolare senza pregiudizi, e/o applicando
schemi e categorie prodotte dalla propria società e contrastare l'etnocentrismo; oppure come un’impostazione
filosofica, quindi postula l’incomparabilità tra culture diverse e l’impossibilità di ogni criterio di validità e di una
effettiva comprensione interculturale.
• Etnocentrismo: è quel punto di vista secondo cui il nostro gruppo è il centro di tutte le cose, mentre tutti gli altri
sono misurati e valutati rispetto a esso.
LA COMUNICAZIONE
Le scienze sociali non sono ancora addivenute ad una definizione univoca del concetto, troppo numerose sono le
prospettive e le caratterizzazioni, l’unica strada possibile per la sociologia della comunicazione è accettare la
mancanza di una definizione univoca e precisa. Secondo il senso comune la comunicazione rappresenta la
trasmissione di informazioni (si associano termini tipo trasmissione, diffusione, informazione, ecc) e la
condivisione, comunicare equivale a condividere (mettere in comune) qualcosa, si coglie la comune radice linguistica
tra il vocabolo comunicare ed i vocaboli comunità, comunione (cum munus); si associano a questo significato termini
come consenso, condivisione, partecipazione, reciprocità, vincolo collettivo. Nella prospettiva
dei processi culturali (Crespi) la comunicazione è un processo di interazione simbolica attraverso il quale la
possibilità di trasferire messaggi si attualizza attraverso l’uso di segni secondo regole culturalmente e socialmente
condivise, cioè secondo codici stabiliti convenzionalmente; i segni possono essere verbali (secondo il linguaggio
comune o quello specialistico) e non verbali (gesto, mimica, immagini, suoni inarticolati, musicali).
Ci sono tre modelli teorici della comunicazione.
La teoria matematica, approccio cibernetico o modello stimolo risposta Si tratta della prima concezione della
comunicazione che è emersa dagli studi delle scienze sociali, i primi decenni del novecento sono gli anni in cui si
diffondono i primi mezzi di comunicazione di massa e coloro che studiano le tecniche di diffusione dei messaggi
attraverso la radio e la televisione elaborano una prima rappresentazione della comunicazione che sarà poi definita
teoria matematica della comunicazione. Per la teoria matematica la comunicazione viene percepita come una
trasmissione di informazioni (come la radio, la televisione e la stampa), da qui viene elaborato un modello dell’atto
comunicativo (Shannon e Weaver), affinché ci sia una comunicazione occorre che ci sia una sorgente che elabora il
messaggio, un apparato trasmittente che codifica il messaggio secondo le regole del mezzo di comunicazione, un
canale lungo il quale il messaggio passa, un apparato ricevente che ritrasforma il messaggio e un destinatario che
riceve il messaggio e lo decodifica. L’obbiettivo di questi ricercatori era quello di far arrivare ai destinatari un
messaggio che fosse il più possibile pulito e privo di rumori, quindi privo di perdita di capacità informativa. Si tratta
di una concezione trasmissiva della comunicazione, però questa concezione della comunicazione non è completa
perché essa non è solo trasmissione di informazioni. Secondo i primi critici la teoria di Shannon e Weaver concepisce
la comunicazione un po' come la siringa che utilizzano i veterinari per stordire gli animali perché il problema dei
veterinari è quello di colpire il bersaglio ma non si chiedono di certo quale sia l’effetto che il narcotico produce
sull’animale perché sono certi che lo narcotizzerà e nello stesso modo la loro teoria non si preoccupa degli effetti che
i messaggi veicolati dai mezzi di comunicazione producono nei destinatari poiché vi è una cieca certezza che l’effetto
del messaggio sarà di informazione e persuasione.
Il modello delle 5W tiene in considerazione quello di cui il modello di Shannon e Weaver non si occupava, Lasswell
sostiene che per analizzare la comunicazione bisogna porsi cinque domande e chiunque voglia effettuare una
comunicazione deve rispondere a queste cinque domande. Ancora oggi le 5W sono poste a coloro che si occupano
di comunicazione. Queste sono: chi dice cosa, a chi, attraverso quale canale e con che effetto. Tenendo conto dello
schema di Jacobson possiamo dire che affinché vi sia una comunicazione è necessario che ci sia un soggetto
individuale oppure un organizzazione, che attraverso un codice codifica un messaggio e attraverso un canale
trasferisce questo messaggio ad un destinatario o ricevente, il quale codifica il messaggio.
I limiti della teoria matematica della comunicazione:
1) tratta le informazioni come pacchetti che viaggiano da un luogo a un altro, senza attenzione per il significato
veicolato (semantica);
2) la mancanza di attenzione per il significato rende la teoria matematica inadatta a spiegare la comunicazione
umana nel suo complesso.
Approccio dialogico e semiotico L’informazione è qualcosa di diverso dal significato, il concetto di informazione è
centrale per la comprensione della società contemporanea, le definizioni di informazione sono molte e spesso
imprecise con Bateson (1972) definiamo l’informazione come percezione di una differenza, infatti perché ci sia
informazione ci devono essere due (o più) entità diverse e fra loro confrontabili e un attore (umano o artificiale) che
percepisce la differenza. Considerare l’informazione in termini di differenze consente di elaborare sistemi per il
trattamento quantitativo dell’informazione, il computer è un esempio di sistema di trattamento quantitativo
dell’informazione, attraverso i bit esso misura la quantità di possibili differenze diverse, cioè infinite informazioni
presenti nei fenomeni. Nell’accezione di percezione di una differenza l’informazione è neutra e misurabile, non
presenta (particolari elementi di) ambiguità. L’informazione è quindi un concetto preciso e trattabile tecnicamente.
L’informazione ha caratteri meno precisi quando assume un significato, esso emerge a partire da una struttura
ovvero da un sistema di ridondanze (es. Stele di rosetta, parole crociate crittografate). Il significato più difficilmente
può essere elaborato da delle macchine, esso rimanda a una serie di relazioni arbitrarie non necessarie ed emerge da
un insieme di informazioni, è il frutto dell’operazione condotta dalla mente umana che ha la capacità di elaborare il
senso e di tradurlo in significati. Nel processo comunicativo tra esseri umani l’assunzione di significato è legata però
anche all’attivazione dell’informazione entro un determinato contesto o a partire da aspettative, con l’attribuzione di
un significato l’informazione diventa fatto sociale (è “confrontata” con le aspettative e con il contesto sociale).
L’informazione caricata di significato è parte del processo comunicativo e può essere studiata con gli strumenti della
sociologia della comunicazione, la comunicazione è data dall’informazione più il significato.
La relazione è qualcosa di diverso dalla comunicazione e può essere osservata in questo modo: vi è un emittente A
che codifica un messaggio, lo trasferisce a un ricevente B che a sua volta lo decodifica, lo interpreta, codifica un
nuovo messaggio e lo invia nuovamente a A, il quale lo decodifica, lo interpreta, codifica un altro messaggio e lo
invia a B, così via, si crea perciò un processo ricorsivo che avviene all’interno di un contesto sociale. Si può pertanto
interpretare la relazione come la comunicazione più la struttura e i legami sociali.
Teoria sistemico relazionale o della pragmatica della comunicazione umana Questa teoria concepisce la
comunicazione come un sistema di messaggi che rimandano gli uni agli altri e non più come una semplice
successione di messaggi. Attraverso questa semplice modificazione la scuola di palo alto è arrivata a definire una
serie di assiomi della comunicazioni, una sorta di leggi che governano la comunicazione.
٠ Tutto è comunicazione, non possiamo non comunicare; se noi non comunichiamo stiamo comunicando che non
vogliamo comunicare.
٠ Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, quando noi comunichiamo trasferiamo
un messaggio ma forniamo anche delle informazioni sulla relazione che abbiamo con io nostro interlocutore. Il
secondo classifica il primo producendo una sorta di metacomunicazione, quando gli esseri umani comunicano
utilizzano i contenuti per informare circa la relazione che c’è tra gli interlocutori.
٠ La natura di una comunicazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione, ovvero qual’è il
punto dove noi fermiamo la circolazione dei messaggi e a seconda del punto veniamo a definire in modo diverso il
senso delle interazioni comunicative che avvengono tra gli individui.
Nel concetto di punteggiatura è implicita una critica agli approcci lineari alla comunicazione. Il senso ultimo non
deriva dalla sommatoria aritmetica dei messaggi, ma dalle scelte arbitrarie con cui separiamo i messaggi e diamo
loro senso. L’adozione di determinate punteggiature può provocare inversioni nella successione temporale percepita
tra fenomeni. Ad esempio, le aspettative iniziali di un’insegnante possono influenzarne l’interazione con gli alunni
fino a produrre i risultati previsti, questo è l’effetto Pigmalione o effetto Rosenthal che deriva dagli studi classici
sulla profezia che si autorealizza, il cui assunto di base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un
bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà
il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel
tempo proprio come l'insegnante lo aveva immaginato. L’esempio utilizzato prima è espresso anche dal teorema
della definizione della situazione di Thomas che afferma che indipendentemente dal fatto che un fenomeno sia
reale o meno, se questo è ritenuto tale esso sarà reale nelle sue conseguenze. Tutto ciò dipende dalla punteggiatura,
cioè dal momento in cui uno degli interlocutori definisce la situazione.
٠ Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici (stesse posizioni: up-up o down-down) o complementari
(posizioni diverse: up-down o down-up) a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Questo approccio presenta alcuni limiti: non tiene conto dei condizionamenti operati dalla cultura sulla
comunicazione e non tiene conto della funzione di costruzione dei legami sociali svolta dalla comunicazione.
Le tecnologie della parola La parola sembra essere la caratteristica distintiva dell’essere umano, tuttavia questo
strumento presenta dei limiti. La comunicazione verbale è infatti soggetta al vincolo dell’hic et nunc (qui e ora),
ovvero deve avvenire in presenza; l’uomo ha cercato di superare questo limite già in epoche primitive (pitture
rupestri), attraverso la scrittura si è realizzato un superamento completo di questo limite. La scrittura è un “sistema
codificato di marcatori visivi con cui lo scrivente può determinare le parole esatte che il lettore produce a partire dal
testo.” Essa marca la prima grande rivoluzione comunicativa umana, rende possibili operazioni come l’archiviazione
delle informazioni, la riproduzione dei testi e la comunicazione a distanza.
La scrittura alfabetica come approdo del pluri-millenario processo di evoluzione attraverso pittogrammi e
ideogrammi, questi ultimi sono piuttosto onerosi perché utilizzano un numero notevole di segni il cui significato
deve essere appreso a memoria e per questo sono stati superati dalla scrittura alfabetica.
L’alfabeto costituisce un’altra innovazione tecnologica relativa alla parola, introdotto dai Fenici prevede l’uso di segni
associati a suoni ricombinabili (non più a concetti prefissati), è duttile, relativamente semplice da apprendere, funge
da supporto alla creazione di imperi e burocrazie statali (es.: Impero Romano). Solo di recente è diventato strumento
di conoscenza ed emancipazione. Prima, e per lungo tempo, è stato soprattutto strumento di costrizione nei
confronti di masse illetterate.
Il passaggio dalla cultura orale a quella basata sulla scrittura comporta importanti conseguenze per la mente umana
e per l’organizzazione sociale. Conseguenze sociali:
٠ Presa di distanza dalla realtà e dall’esperienza diretta, si comincia a conoscere il mondo attraverso la mediazione di
testi scritti (attraverso la formazione di pseudo ambienti);
٠ La conoscenza adotta uno sguardo esterno e distaccato;
٠ Si sviluppa la scienza moderna (il pensiero logico e la tendenza a categorizzare);
٠ Nella regolazione delle relazioni sociali si passa dalla consuetudine al diritto (impersonale e universalista);
٠ È possibile accumulare un vasto patrimonio di informazioni, questo genera delle differenze sociali (knowledge gap,
digital divide);
٠ Il passato e la tradizione sono oggettivati (sono immodificabili) e osservati in modo più distaccato;
٠ L’apprendimento non è più frutto di apprendistato, ma è demandato a specifiche organizzazioni e agenzie (la
scuola);
٠ Si favorisce lo sviluppo e la diffusione della discussione pubblica (essenza della democrazia).
Conseguenze individuali:
٠ La lettura e la scrittura sono per lo più attività solitarie e incoraggiano il pensiero individuale;
٠ La presa di distanza dalla realtà e l’attività solitaria della lettura e della scrittura incoraggiano l’auto-osservazione e
l’auto-analisi.
L’altra importante tecnologia della parola è la stampa, nel 1455, Gutenberg introduce la stampa a caratteri mobili,
attraverso questo sistema di caratteri facilmente ricombinabili è possibile, per la prima volta, stampare opere su vasta
scala; nasce così la comunicazione di massa. Grazie alla stampa a caratteri mobili si supera la dimensione artigianale
legata ai manoscritti e si diffonde rapidamente il nuovo medium (nell’Europa del Cinquecento circolano tra i 13 e i 20
milioni di libri). Il libro stampato diventa la prima merce uniforme e ripetibile: produzione in serie standardizzata,
risultati omogenei e ammortizzazione dei costi.
La stampa accentua le conseguenze sociali della scrittura:
٠ Diffusione, generalizzazione e democratizzazione della conoscenza;
٠ Nascita dell’individuo, i libri accentuano il carattere individuale della lettura e favoriscono l’astrazione;
٠ Nascita del concetto di autore, è possibile scrivere un libro e pubblicarlo a proprio nome;
٠ Nascita della proprietà intellettuale, diventa un abuso copiare libri (prima era opera meritoria);
٠ Standardizzazione linguistica, le lingue volgari raggiungono una massa d’uso critica e si propongono come
collanti per le diverse comunità locali;
٠ Supporto alla scienza, sono favorite l’archiviazione e la trasmissione della conoscenza;
٠ Nascita del sistema dei media e dell’opinione pubblica, libri, giornali, riviste come spazio virtuale di incontro, è
un dibattito razionale e critico su tematiche pubbliche;
٠ Nascita della censura, reazione dell’autorità alle possibili minacce all’ordine costituito.
Le telecomunicazioni impiegano l’elettricità per separare apparato di comunicazione e di trasporto
٠ Telegrafo: uso combinato di elettricità e reti. Codificazione di lettere e numeri in impulsi elettrici (codice Morse);
٠ Telefono: evoluzione del telegrafo, non prevede codifiche complesse e viene quindi usato in tutti i gruppi sociali;
٠ Radio: il primo mass medium elettronico. Rende possibile la comunicazione uno-a-molti (broadcast);
٠ Televisione: mass medium per eccellenza. Sfrutta l’etere per veicolare sequenze di immagini.
Per la prima volta, organizzazioni formalizzate ad hoc si occupano della realizzazione in serie di prodotti
standardizzati. Le distanze fisiche si riducono per effetto della velocità di comunicazione. L’esperienza della
simultaneità si sgancia dalla condivisione di uno spazio fisico (simultaneità despazializzata). La comunicazione
elaborata dall’emittente può essere “sparsa” nell’ambiente circostante, senza avere un destinatario preciso
(broadcast).
I mass media sono insieme ampio di strumenti di comunicazione, che si sovrappongono e rendono più complessa la
comunicazione interpersonale, occupano un ruolo di centralità nella società contemporanea, infatti passano dai
media molte delle conoscenze e delle esperienze individuali. Alcune conseguenze qualitative della loro introduzione
sono la progressiva scomparsa delle conoscenze pratiche, abbondanza (sovraccarico) informativo, necessità di
selezione e di verifica delle fonti.
Nel processo di sviluppo della comunicazione si sono sviluppati tre tipi di interazione: l’interazione faccia a faccia,
l’interazione mediata e la quasi interazione mediata. L’interazione faccia a faccia è l’interazione delle origini,
sottoposta al vincolo dell’hic et nunc, quindi deve esserci un medesimo contesto spazio-temporale e si caratterizza
per la molteplicità di indizi simbolici: verbali, paralinguistici, prossemici, posturali, mimici, gestuali, contestuali (spazio
e tempo) è quella più ricca di significati simbolici. L’interazione mediata è composta da interazioni a distanza (nello
spazio e/o nel tempo)come ad esempio: la comunicazione attraverso lettere o via telefono, o un misto dei due come
le chat, l’e-mail, gli sms. Necessita di un mezzo tecnico, è una comunicazione che non condivide lo stesso contesto
spazio temporale e la serie di indizi simbolici disponibili è più limitata. La quasi interazione mediata
(comunicazione di massa, uno a molti) è anch’essa una forma di interazione che si estende nel tempo e nello spazio,
ma si differenzia dalla comunicazione faccia a faccia e da quella mediata, prevede infatti una qualche riduzione degli
indizi simbolici. Le forme simboliche sono prodotte per un insieme di riceventi potenziali indefinito, è simile a un
monologo perché è unidirezionale, è priva della reciprocità che caratterizza la comunicazione dialogica faccia a faccia
e quella mediata. È una situazione strutturata che crea una separazione di ruoli: emittenti e riceventi, essi rimangono
sempre tali, non si scambiano i ruoli. Questi tipi di interazione sono degli idealtipi, concetti astratti e analitici che
nella realtà sono presenti in molte forme ibride, in molte combinazioni fra questi tre tipi.
Applichiamo queste tipologia di comunicazione alla teoria di Gofmann su ribalta e retroscena:
Interazione faccia a faccia: i due interlocutori interagiscono entrambi sulla ribalta collocandosi nella cornice di
interazione centrale, al di fuori di questa cornice si trovano i tanti retroscena che sono tanti quanti gli attori ch
comunicano sulla ribalta.
Interazione mediata: non esiste più un’unica ribalta, la cornice di interazione centrale si scompone in due ribalte,
cioè i due contesti spazio temporali in cui operano gli interlocutori. Separandosi le due ribalte ciascuna di esse è più
prossima al retroscena dove operano gli interlocutori e può accadere che il retroscena appaia sulla ribalta (esempio:
in una telefonata con il datore di lavoro si sente il sottofondo del mare).
quasi interazione mediata: non solo sparisce la cornice d’interazione centrale, ma si generano due cornici
interattive, la cornice interattiva della produzione del messaggio, dove viene generato il messaggio (studio
radiofonico, studio televisivo) e dal lato dei riceventi si sviluppano delle cornici interattive della ricezione, cioè dei
contesti in cui alcuni riceventi interagiscono tra loro ascoltando un messaggio trasmesso da un mezzo di
comunicazione di massa.