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La matrice teologica della società

- Pierpaolo Donati -

Per iniziare…

Donati raccoglie in questo libro alcuni saggi scritti nel corso degli anni, attraverso i quali
invita e motiva gli studiosi a sviluppare una sociologia relazionale capace di andare al di là
dei paradigmi sociologici tradizionali. In questo libro, in particolare, sostiene che la società
attuale presenta una nuova matrice teologica, che è la chiave di comprensione e di
soluzione dei vari dilemmi e difficoltà che riguardano il rapporto fra società e religione. Ciò
che da subito catalizza l’attenzione del teologo è il tema della relazionalità: una chiave di
lettura originale della lezione sociologica di Donati che qui si staglia a tutto tondo nella sua
qualità di oggetto formale centrale non solo nella sociologia, ma per l’integrazione tra i
saperi – nel rispetto delle specifiche autonomie, intenzionalità e metodologie. In quella
linea che Benedetto XVI ha messo a fuoco nella Caritas in veritate, invitando a un “nuovo
slancio di pensiero” che sappia coinvolgere i diversi percorsi disciplinari in un’autentica
relazionalità esercitata in un adeguato spazio sapienziale.

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Introduzione
Sociologia e trascendenza: oltre i paradigmi tradizionali

Gli approcci sociologici alla religione oscillano tra due atteggiamenti prevalenti:
1. alcuni considerano la religione in una dimensione strutturale ed istituzionale;
2. altri considerano la religione come un insieme di credenze oggettive.

Queste due modalità di approcciarsi alla religione, pur mettendone in luce aspetti
importanti, rischiano di mettere in secondo piano il ruolo delle relazioni sociali, in quanto
portatrici e/o dissipatrici di significato negli ambiti di vita quotidiana.

Donati, in questo libro, si occupa di questo rischio e tenta di elaborare una sociologia
relazionale, che vada oltre i paradigmi sociologici tradizionali, nei quali è ravvisabile una
certa parzialità, sia verso la religione sia verso la società.

Approfondimento: la sociologia relazionale viene per la prima volta esplicitata con il


volume “Introduzione alla sociologia relazionale” (Franco Angeli, Milano, 1983, seconda ed.
1986). Questa “Introduzione” è nata come una sorta di “Manifesto della sociologia
relazionale”; i punti essenziali di quel Manifesto sono i seguenti:

1. La sociologia relazionale consiste nell’osservare che “la società”, ovvero qualsiasi


fenomeno o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una
associazione, una società nazionale, la società globale) non è né una idea (o una
rappresentazione o una realtà mentale) né una cosa materiale (o biologica o fisica in
senso lato), ma qualcos’altro. Non è né un “sistema”, più o meno preordinato o

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sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di azioni individuali, ma un’altra
cosa. Per la sociologia relazionale, la risposta è: la società è relazione, ossia la società è
fatta di relazioni, e precisamente di relazioni sociali, che distinguono la forma e i
contenuti di ogni concreta e specifica “società”. La relazione sociale deve essere
concepita non come una realtà accidentale, secondaria o derivata da altre entità
(individui o sistemi), bensì come realtà sui generis. Affermare che “la società è relazione”
può sembrare quasi ovvio, ma non lo è affatto ove l’affermazione sia intesa come
presupposizione epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi
implicazioni che da essa derivano. Tutti i sociologi parlano di relazioni sociali (Marx,
Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhmann), ma quasi nessuno ha compiuto
l’operazione che viene proposta dalla sociologia relazionale: partire dal presupposto che
“all’inizio c’è la relazione”, ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di
relazioni e genera un contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale’.
2. La sociologia relazionale non intende essere una sorta di “ponte” fra altre sociologie, in
particolare fra quelle che assumono che - all’inizio - vi sia l’individuo (per esempio Max
Weber) o il sistema (per esempio Niklas Luhmann). E neppure intende proporre un mix
fra le svariate forme di individualismo e olismo metodologici. Non è una fumosa “terza
via”. É una prospettiva nuova e autonoma che può essere denominata “teoria
relazionale della società” in quanto è un framework generalizzato per la ricerca
sociologica, ovvero un programma di ricerca che si basa su un approccio originale, si
serve di un paradigma, di metodologie e tecniche specifiche, e formula teorie
contestuali (come generalizzazioni teoriche ed empiriche situate).
3. Come tale, la sociologia relazionale elabora una “teoria della società” che aspira a
mettere in luce ogni parzialità e riduzionismo, a favore di una conoscenza comprendente
e aperta a tutti gli apporti che singole e più circostanziate teorie sociologiche possono
offrire. Ciò deriva precisamente dal fatto di essere “relazionale”, e di esserlo sia nelle sue
presupposizioni epistemologiche prime, sia nella sua metodologia, sia nella sua
pragmatica (o applicazione pratica).

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In altri termini, la sociologia relazionale viene intesa sia come scienza sociale nella sua
massima generalità, sia come disciplina specifica che ha come oggetto proprio la relazione
sociale come tale. In tale veste, essa è in grado di distinguere e connettere le altre
discipline sociali (economia, scienza politica, antropologia, psicologia), e di marcare i suoi
netti confini con la filosofia senza occultare le relazioni che pure con essa mantiene. Anche
le discipline storiche non vengono escluse dal framework relazionale. Poiché le relazioni
sociali hanno un loro “tempo”, la sociologia relazionale non solo è aperta alla storia, e dà
vita ad una peculiare sociologia storica, ma intende la conoscenza sociologica come
intrinsecamente storica. Proprio per questo, la sociologia relazionale non rinuncia
all’apporto degli autori cosiddetti classici, ma non si fa imprigionare dai limiti delle loro
teorie, che sono state condizionate da un’epoca in cui l’idea di società era più o meno
implicitamente coincidente con quella di stato-nazione e l’idea di cambiamento sociale con
la transizione dal pre-moderno al moderno, ovvero come sviluppo della modernizzazione
occidentale. La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende perseguire non
rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le teorie sotto un’unica bandiera,
ma tutte le prende in considerazione e le valuta per mettere in evidenza quelle verità,
anche parziali, che ciascuna di esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una
visione limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado di inserire
ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare le verità parziali ad un
livello più elevato, coerente e consistente di conoscenza della realtà sociale.
(Pierpaolo Donati, 2007)

La sociologia relazionale non è una terza via che cerca di conciliare teorie varie, né tanto
meno una sociologia in più, ma è piuttosto, un punto di vista che tenta di superare i limiti ed
i riduzionismi delle teorie sociologiche dall’interno, adottando un atteggiamento che Donati
definisce di “realismo analitico, critico e relazionale”:
- analitico perché la realtà osservata è conosciuta attraverso categorie e selezioni astratte
dalla realtà;

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- critico perché nel processo conoscitivo tra osservato e osservatore si instaura una
interazione fatta di coinvolgimento e di distacco;
- relazionale perché la conoscenza procede attraverso relazioni e definisce in termini
relazionali ogni elemento che rientra nell'orizzonte di indagine.

L’adozione di un siffatto atteggiamento → consente di non incorrere nel sociologismo, cioè


la riduzione dell’umano al sociale e viceversa. Donati, contro ogni sociologismo sostiene che
la sociologia è un interazionista e non deterministico1.

Il nucleo antropologico della sociologia relazionale → l’idea secondo cui l’uomo è un


essere condizionato, ma in grado di andare oltre le relazioni sociali date per un principio
attivo (spirituale) che ne costituisce l’identità entro il comune genere di “animale politico”
→ l’uomo è persona.

La sociologia relazionale non può essere ridotta a pura tecnica, né ad un semplice


paradigma, è piuttosto scienza conoscitiva, che ha anche una rilevanza pratica, poiché la
sua conoscenza muove sempre da problemi pratici ed è orientata a risolvere problemi
pratici → il sociologo nel momento in cui passa dall’analisi del perché causale all’analisi del
perché finale, deve verificare anche gli effetti di un determinato fenomeno sociale
sull’individuo, sul gruppo sociale di appartenenza e sull’intera società.

Donati → si discosta dal positivismo, ossia dalla tendenza a percepire in termini


deterministici il mutamento sociale e il fenomeno religioso.

Assunto della sociologia relazionale → all’inizio c’è la relazione → la relazione sociale è


una realtà immateriale che sta nell’inter-umano, ossia tra i soggetti agenti e che, come tale,
costituisce il loro orientarsi e agire reciproco per distinzione da ciò che sta nei singoli attori

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Determinismo: concezione per cui in natura nulla avviene a caso, ma tutto accade secondo ragione e necessità. Il determinismo
dal punto di vista ontologico indica quindi il dominio incontrastato della necessità causale in senso assoluto giudicando quindi nel
contempo inammissibile l'esistenza del caso. Il determinismo è associato alle teoria della causalità, sulla quale si appoggia.
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(individuali o collettivi) considerati come poli o termini della relazione. Questa “realtà fra” è
costituita da elementi oggettivi e soggettivi ed è la sfera in cui vengono definiti sia la
distanza sia l’integrazione degli individui rispetto alla società → la relazione non deve essere
intesa in opposizione al sistema sociale (inteso come insieme organizzato di relazioni), né
all’azione sociale, poiché la relazione è un’azione reciproca → la relazione sociale è il
tramite che connette azione sociale (soggettiva ed intersoggettiva) e sistema sociale
(struttura soggettiva ed oggettiva).
In tal senso, i fenomeni sociali emergenti → vanno compresi in termini relazionali → le
relazioni tra soggetti avvengono sempre all’interno di contesti che le condizionano e le
relazioni retroagiscono, modificando il contesto originario.
La relazione sociale è sia:
- Referenza simbolica (re-fero) → riferisce a qualcosa a qualcos’altro all’interno di un quadro di significati
simbolici.
- Connessione o vincolo strutturale (re-ligo) → nel senso di un legame che è al contempo vincolo e
risorsa.
- Fenomeno emergente di un agire reciproco (rel-azione) → la relazione ha una sua connotazione che va
oltre quella dei soggetti che la pongono in essere.

Può essere ricondotta a tre semantiche:


- Referenziale
- Strutturale
- generativa

È definita anche da un tempo che le è proprio → Donati lo definisce registro del tempo:
- registro interazionale (micro) → tipico delle interazioni vis a vis → il
tempo è inteso come “evento comunicativo”, che dura quanto dura Il registro del tempo
l’interazione faccia a faccia. dell’esperienza religiosa
non è necessariamente
- registro simbolico o mitico-simbolico (macro) → si riferisce alle cose
quello macro, ma è
che danno un senso ultimo alla vita ed è costituito da simboli che spesso un’unione dei tre
orientano le relazioi in modo stabile e progettuale. registri.

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- registro relazionale (meso) → il tempo è la storia delle relazioni
sociali → si riferisce alla storia di relazioni vissute in un tempo che ha
durata e che esprime una continuità di esperienze e di vissuto.
La relazione sociale è una realtà emergente sui generis:
- è intenzionalità (riferimento simbolico) e legame all’ordine sociale senza però poter
essere ridotta a mero simbolismo;
- può essere in atto o potenziale;
- può essere concreta-storica oppure ente di ragione;
- può essere impersonale oppure personalizzata e primaria
- fa riferimenti linguistici, ma non deve essere necessariamente verbale
- non può essere letta solo in termini formali e logici, ma richiede l’elaborazione di una
“nuova ermeneutica sociologica aperta al senso” e alla trascendenza.

La svolta relazionale, cioè l’interesse per lo studio delle relazioni ha interessato vari ambiti
del sapere a partire dagli anni 30-40 del ‘900, ma Donati, apporta una grande novità nel
modo di considerare la relazione → pensando alla natura della società come
intrinsecamente relazionale (superando il rischio di relativismo riduzionistico).

Donati si confronta con il pensiero di Luigi Sturzo → di una sociologia integrale (non
selezionista), concreta (quindi non astratta), storicistica (attenta alla storicità dei fenomeni
sociali)

Questo modo di intendere la società è possibile solo se, si adotta un metodo caratterizzato
dalla scientificità e dall’apertura al soprannaturale nel senso che non si può escludere a
priori che certi fattori non naturali incidono sul sociale più di fattori naturali → tuttavia la
relazione tra sociologia e teologia proposta da Sturzo, necessita di una rilettura, poiché,
forse, risulta troppo sbilanciata dalla parte della teologia.

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1. la sociologia tende a sostituirsi alla teologia → tipico delle
diverse forme di sociologismo, a partire da quello positivistico.
2. la teologia che tende a vanificare il ruolo e il significato della
teologia → è il caso di una teologia incapace di familiarizzare con
contingenza e la mutevolezza delle cose umane.

3 modi di intendere la relazione 3. reciproca indifferenza → oggi è l’atteggiamento prevalente e


parte dall’assunto che sociologia e teologia sono forme di sapere
tra sociologia e teologia
autonome e autoreferenziali.


Per superare questi modi parziali di leggere il problema occorre:
- riconoscere che il terreno di confronto tra teologia e sociologia non deve e non può
essere solo la religione, ma tutto il sociale;
- riconoscere che la relazione è il terreno di confronto più propizio su cui misurare
convergenze e divergenze.

Nel libro Donati cerca di analizzare la relazione tra sociologia e teologia, calandolo negli
scenari socio-culturali; e in un certo senso il dibattito sul ruolo delle religioni nella società si
è ampliato, nonostante questo “risveglio religioso” abbia un carattere ambiguo, poiché da
una parte, il senso religioso è capace di emergere presso un numero crescente di persone,
dall’altra, però, questa religiosità emergente, non sempre è capace di generare
un’autentica appartenenza sociale e di influire sulla cultura e sulla vita quotidiana:
- Casanova (2000) → la religione ha di nuovo un ruolo significativo dentro le diverse sfere
sociali;
- Kurtz → le religioni tornano ad avere voce in capitolo su problemi molto rilevanti, quali
le biotecnologie, la difesa dell’ecosistema, la guerra e la pace.

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Il risveglio religioso è sempre più vissuto come un “credere senza appartenere” (secondo la
formula proposta da Grace Davie nel suo Religion in Britain since 1945) e la religione è
sempre più una religione de-istituzionalizzata → la religione appare sempre più de-
istituzionalizzata → la vera questione diviene dunque capire le conseguenze di questa de-
istituzionalizzazione del religioso sulle istituzioni delle religioni storiche.

Ne derivano due tendenze:
1. Diffusione di religiosità sempre più individualistiche e narcisistiche → ne deriva una
religiosità incapace di arrivare a generare una propria cultura. Tale religiosità coinvolge
prevalentemente la dimensione psicologica, affettiva ed espressiva, lasciando in secondo
piano la dimensione relazionale.

2. Risacralizzazione dei legami sociali, intesa come un’assolutizzazione di strutture sociali e


politiche.

Per Donati → la secolarizzazione può essere considerata il prodotto di una scissione,
avvenuta nell’epoca moderna, tra il senso dell’esistenza umana e la cultura della vita
quotidiana.

Si possono individuare 4 tipi di relazione tra vita quotidiana e religione:


1. Concezione secolarizzata di tipo strumentale → in essa confluiscono le culture, di
derivazione marxista, che considerano la vita quotidiana l’ambito della riproduzione
sociale.
2. Concezione religiosa di tipo strumentale → è la cultura di matrice protestante o
protestantizzata, che considera la vita quotidiana l’assolvimento di un dovere religioso
che non conduce ad un processo di reale umanizzazione.
3. Concezione secolarizzata di tipo umanistico → vede nella vita quotidiana valori
essenziali e positivi per l’uomo, aventi però un carattere immanente, senza alcuna
trascendenza.
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4. Concezione religiosa-umanistica → considera la vita quotidiana come lo spazio ed il
tempo che mette in relazione la realtà umana e la realtà trascendente, come l’attività
che lega l’umano al divino, come il mezzo ed il luogo di umanizzazione, attraverso
un’esperienza vissuta portatrice di significato:
a. riconosce che la vita quotidiana può essere un luogo di alienazione, ma non
necessariamente solo questo;
b. riconosce che la vita quotidiana è legata alla dimensione del dovere, ma connette
questa dimensione alla ricerca del significato che dia forma compiuta al
dinamismo morale della persona;
c. riconosce che occorre recuperare e valorizzare una serie di dimensioni tipiche del
quotidiano, ma solo se queste dimensioni sono tra loro poste in relazione e non
assolutizzate.

Nel quadro storico-culturale attuale, il problema della significatività del vivere e il problema
religioso diventano ineludibili e la domanda fondamentale diventa: dove può essere
individuata la matrice generativa del senso? → ogni società ha una matrice teologica, che
è all’origine del modo in cui si organizzano le società e al modo in cui viene concepita la
relazione tra sociale e civile.

La domanda religiosa oggi va oltre l’esistenza e il significato, poiché si interessa anche del
luogo in cui questo significato è collocato.

Donati propone di intravedere la matrice teologica della società a partire dall’idea che Dio
si trova nella relazione → e questo trova giustificazione nel fatto che la cultura odierna è
sempre più attenta alle relazioni umane e sociali e che la stessa teologia sta riscoprendo la
categoria della relazione.

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L’identità della dimensione religiosa si costituisce sulla distanziarne tra immanenza e
trascendenza e questa distinzione può essere pensata come una relazione → questa è la
sfida più importante!!! → poiché questa relazione è spesso pensata in termini unilaterali:
- da una parte c’è chi considera la religiosità come dimensione immanente alla vita
quotidiana (in questo caso la fede si secolarizza e diventa laicismo);
- dall’altra c’è chi pensa la religiosità come trascendente alla vita quotidiana (in questo
caso la fede diventa misticismo disincantato).

Assumere il concetto di relazione come chiave ermeneutica della coppia immanenza-
trascendenza:
- consente di evitare i pericoli di sacralizzazione dei legami sociali e di vanificazione del
mondo sociale;
- comporta il riconoscimento che la relazione sociale è “conduttrice i religiosità” in quanto
rappresenta la necessità di una trascendenza senza cui lo stesso individuo umano non
può essere autentico.

In una concezione relazionale della trascendenza il senso deve essere inteso come un
complesso articolato di elementi intersoggettivi della vita simbolica e strumentali.

La relazione è il punto di intersezione di trascendenza e immanenza e come tale è il luogo


che custodisce il significato della vita quotidiana.

Donati conia l’espressione di sfera pubblica religiosamente qualificata con cui intende
proporre una nuova versione di religione civile → essa comporta uno spazio pubblico
fondato su un riconoscimento positivo delle fedi religiose. Si configura come un governo
sussidiario ad una società civile che si alimenta attraverso il fiorire di comunità religiose che
hanno un interesse comune nell’evitare la fine di ogni umanesimo.

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Oggi è in ballo una distinzione culturale tra laicità intesa come negazione di ogni riferimento
religioso e laicità come modalità secolare i riferirsi alla fede nel discorso pubblico.

Per Donati la laicità significa una fede temperata dalla ragione ed una ragione temperata
dalla fede; ciò presuppone un incontro tra fede e ragione ed un dialogo tra religioni.

Donati si interroga sulle differenze culturali e religiose nelle società contemporanee e sulle
eventuali specificità culturali del Cristianesimo. Tali differenze possono essere lette
attraverso semantiche di tipo dialettico (le culture e le religioni sono sistemi chiusi ed
intraducibili ed il problema del rapporto tra di esse può essere risolto solo per via prativa);
di tipo binario (l’identità è il risultato di una serie indefinita di negazioni e di tipo
relazionale, come quella proposta da Donati, in cui si considera la differenza alla stregua di
una relazione per cui l’identità non si definisce come negazione di altre identità ma come
relazione con ciò che è Altro da se → questa matrice teologica relazionale contribuisce a
ripensare la nozione di trascendenza non come opposizione all’immanenza, ma come
relazione all’immanenza per via di analogia: trascendenza è dunque un andare in profondità
di ciò che è immanente , e solo in questo modo trascenderlo.

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Capitolo 1. Sociologia e teologia

Sintesi dei temi: L’opera inizia con un’esplorazione sulle possibilità che sociologia e teologia
possano individuare un spazio/tempo di confronto comune, per raggiungere risposte più
chiare alla domanda sulla matrice teologica dell’epoca postmoderna. Per farlo Donati cerca
di superare l’idea riduttiva che sociologia e teologia si confrontino solo sul terreno della
religione, e sposta l’accento tutto sul sociale, vale a dire, sulla totalità della relazione
umano/divino nel sociale. La relazione, come categoria logica e sociale, diventa quindi un
terreno su cui misurare le convergenze e le divergenze fra le due discipline, negli oggetti e
metodi di studio. Nel primo capitolo Donati dimostra che se la sociologia rende rilevante
per sé il punto di vista teologico sulla relazione – si riferisce in particolare al modello delle
relazioni intra-trinitarie spiegate nel cristianesimo –, si munisce di strumenti (concetti
teoretici) che le consentono di elaborare nuovi concetti e nuovi riferimenti, senza che per
questo il sociologo sia obbligato a credere nella Trinità. Viceversa, se la teologia assume
come rilevante per sé la relazione sociale, potrà capire molto di più sulla costruzione di
valori e norme sociali nel tempo, e potrà anche diventare più riflessiva, chiarendo meglio il
proprio orizzonte ermeneutico. Donati, innanzi tutto, mette alla berlina una certa visione
della sociologia, ma insieme anche una certa visione della teologia. La sociologia, in effetti,
per svolgere con pertinenza e profitto la sua funzione, e cioè per essere
fenomenologicamente critica, capace di leggere ciò che sta accadendo individuando le linee
di tendenze senza essere prescrittiva assiologicamente2 (non è questo il suo compito), ha da
riconoscere, contro i pregiudizi epistemici che l’hanno segnata nella sua formulazione
moderna, la portata e la pertinenza della simbolica religiosa. E cioè l’impatto storico della
trascendenza veicolata dalle religioni dentro il tessuto vivo della società. Una sociologia che
non s’industri nel mettere a tema l’immanenza simbolica delle religioni nel suo rimando alla

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Cioè secondo un criterio di valore!
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trascendenza, non è sociologia a tutto tondo. Ora, facendo quest’operazione è chiaro che la
sociologia si apre dall’interno a una relazione costruttiva con altre forme del sapere: in
questo caso, con la fenomenologia delle religioni e la teologia. Ma anche la teologia è
chiamata a produrre un’operazione corrispondente. Essa, infatti, deve prendere sul serio un
assioma che esprime il dato da cui essa stessa parte e che si potrebbe formulare in questi
termini: “Gesù il Cristo ha redento non solo l’individuo, ma anche la relazione sociale”. È
questo un dato costitutivo dell’evento cristiano nella sua realtà più profonda, un dato che,
di fatto, la grande tradizione della Chiesa ha sempre messo in rilievo. Eppure dobbiamo
chiederci: questo dato, costitutivo dell’evento cristiano, è diventato davvero con-
sapevolezza ermeneutica nell’intelligenza teologica e nel dialogo tra la teologia e le altre
scienze? In uno dei passaggi di questo saggio, Donati rimarca che questo dato è stato
tematizzato, in modo epistemicamente formale, nella dottrina sociale della Chiesa: la quale
altro non è se non il tentativo (in gran parte riuscito) di mostrare come la res dell’evento
cristologico abbia una rilevanza per sé sociale: perché salvare l’individuo al di fuori della
relazione sociale vuol dire non onorare la struttura incarnatoria e pneumatica, in
riferimento al Cristo, della fede cristiana. La dottrina sociale, in tal senso, dà figura a una
novità epistemica nella storia del pensiero cristiano. Ecco un terreno assai fecondo per il
rapporto tra la sociologia e la teologia.

1. Le figure del confronto


Donati si pone l’obiettivo di richiamare i termini del confronto fra teologia e sociologia per
dare un contributo ad una possibile fondazione di un dialogo reciproco.
Dopo gli ultimi 2 secoli di infuocate polemiche ▶ dal il Concilio Vaticano 2° (21° concilio
ecumenico della Chiesa Cattolica convocato da papa Giovanni 23° e terminato sotto il
pontificato di Paolo 6°): sociologi e teologi hanno vissuto un periodo di relativa NON
belligeranza anche se i loro rapporti continuano a NON essere facili in quanto non hanno
ancora attuato un processo di comprensione reciproca.

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Nonostante moltissime opere di sociologia siano state scritte, essa rimane scienza INFERMA
e MALFERMA e indecisa perfino sul suo oggetto  molti sostengono che essa sia morta 
nel fare questo discorso in realtà si allude alla sociologia positivista che si proponeva di
studiare i fatti umani in modo empirico e sperimentale come la matematica, fisica, chimica
e biologia (ricondurre l’umano a livello di ciò che non è umano).

La teologia ha dovuto affrontare molte crisi e sfide  in particolare attacchi che non
riguardano solo questioni riguardanti la fede (ce ne sono sempre state) MA che volevano
delegittimizzare la scienza teologica stessa.

Tug of Ware (tiro alla fune): così si può definire il rapporto tra sociologia e teologia negli
incontri pubblici  vince la parte che tira più forte  non c’è una volontà di attuare un
dialogo e un confronto sereno sull’oggetto MA un conflitto, una lotta per l’egemonia sul
potere culturale.

Oggi forse le cose stanno cambiando in meglio MA rimane aperto un grande nodo di fondo:
DI QUALE verità ciascuna disciplina è portatrice e SE e COME tale verità possa essere
riconosciuta dall’altra. Vi sono 3 modalità (o figure) di rapporti che potrebbero intercorre
tra Sociologia e Teologia:

1) La sociologia nasce come scienza POLEMICA e ALTERNATIVA nei confronti della teologia
in quanto il sapere teologico pretende di dire cose sulla società che sono INACCETTABILI dal
punto di vista di una scienza empirica come la sociologia ▶ la S. vuole quindi SOSTITUIRE la
teologia in alcuni campi ed aspetti. Nella versione più radicale ▶ la sociologia tenta di
imporsi sulla t. relegandola a puro fenomeno sociale considerando la religione come
prodotto sociale, di cui vanno studiate le dinamiche in base alle funzioni che essa può
assolvere di:
 stabilizzazione delle incertezze o
 essere un fattore di innovazione, cambiamento e disturbo dell’ordine sociale.
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2) La t. tende a sostituire la sociologia e/o ad imporsi su essa considerando irrilevanti ai
propri fini
sia le indagini sociologiche (considerate solo statistiche) sia la realtà sociale ed i suoi
fenomeni in quanto li reputano contingenti MENTRE la verità è eterna ed assoluta ▶ i
fenomeni sociali sono del tutto effimeri e non incidenti sulle verità ultime di cui parla la
teologia.
3) Reciproco distacco e separazione: non c’è nessuna possibilità di comunicare le due
discipline
▶ le quali quindi si riconoscono un reciproco diritto all’esistenza MA a patto di non dover
fare i conti con l’altra. Hanno 2 livelli di discorso e 2 linguaggi del tutto eterogenei. (Oggi il
trascendente viene ascritto al campo della teologia e l’immanente alla sociologia ▶
separazione NETTA che porta ad un rischio di atrofizzazione delle due discipline ▶ proprio
per questo l’autore ritiene necessario indagare SE vi sia una “matrice teologica” della
società (e della sociologia) post moderna).
4) S. e T. sono due domini di discorso in se stessi legittimi e perfetti in quanto
autoreferenziali.
5) S.: teoria empirica e T.: dottrina normativa a contenuto fideistico.
Donati ritiene sia necessario PRENDERE LE DISTANZE da tutte queste soluzioni in quanto
hanno
solo portato all’instaurazione di pregiudizi per cui teologi e sociologi vogliono insegnare
qualcosa
agli altri piuttosto che voler APPRENDERE qualcosa.
Soc. e teol. spesso credono di parlare delle stesse cose ‼ in realtà NON è così ‼ in quanto i
rispettivi linguaggi ed osservazioni sono DIVERSI.
Le due discipline inoltre NON si confrontano soltanto sul terreno della religione ▶ ▶ ▶ nei
fenomeni storico- empirici ▶ sociale e religioso NON sono MAI nettamente separabili ▶ ▶
▶ bisogna quindi prospettare un confronto su tutto il sociale o sulla totalità della relazione
umano/ divino nel sociale.

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Bisogna che il confronto si configuri come un gioco a somma positiva, anziché un gioco a
somma
zero ▶ ossia che le 2 discipline creino un dialogo reciprocamente istruttivo.
Bisogna vedere: - la matrice religiosa delle rappresentazioni del tempo; - come le 2
discipline pensano e costruiscono il futuro.
La RELAZIONE come categoria logica e sociale è un buon terreno di confronto su cui è utile
e conveniente misurare convergenze e divergenze (negli oggetti e metodi di studio) tra le 2
discipline. Sia i limiti che le possibilità del confronto NON devono essere né esagerate né
sottovalutate ▶ l’obiettivo è capire a quali condizioni la teologia possa riconoscere le
ragioni della soc. e viceversa ▶ in modo che concepiscano la reciproca irriducibilità come
distinzione sinergica anziché come mutua esclusione.

2. Discorso su Dio e discorso sulla società

Teol.: discorso su Dio e ciò che Dio è, e/o sulle varie manifestazioni del divino.
Soc.: discorso sulla società, e/ sulle sue varie manifestazioni.
↓↓↓
Apparentemente le due discipline NON hanno NULLA in comune.
‼‼‼
in realtà
‼‼‼
hanno sia degli oggetti comuni: uomo, le sue azioni, creazioni, la società e la sua storia, sia
delle tecniche e metodi comuni soprattutto di tipo ermeneutico per l’indagine scientifica
Non bisogna limitare l’oggetto del confronto ai soli aspetti religiosi: comportamenti,
credenze né ridurre la comunanza del metodo ad una certa ermeneutica.

Teol.: non parla SOLO di Dio, ma anche degli uomini (dottrina sociale della Chiesa).

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Soc.: non parla SOLO di sociale, dell’uomo e di manifestazioni religiose, ma anche di
religione come tale (sociologia della religione e delle religioni).

Queste affermazioni sollevano questo problema: con quale giustificazione la T. parla di della
società e la S. parla della religione? ▶ ossia nel parlare della società e dei fenomeni sociali
tra cui la religiosità, S. e T. sono discipline chiuse in sé ed autoreferenziali OPPURE possono
essere aperte reciprocamente e quindi costituire potenzialmente un ambiente di stimolo
reciproco?
La soc. per poter osservare correttamente il fenomeno religioso non deve osservarlo
collocandosi da un punto di vista già pregiudicato in partenza. (È tanto sbagliato sia
l’approccio dei sociologi che assumono come metodo l’ “ateismo metodologico” sia i
teologi che assumono un “metodo ermeneutico” in modo così forte da osservare qualsiasi
fenomeno solo attraverso il Libro dove già tutto è stato scritto).

Ateismo metodologico: nasce dal fraintendimento del requisito di neutralità rispetto ai


valori (= principio irrinunciabile del metodo sociologico) ▶ essere neutrali rispetto ai valori
NON significa ignorarli o assumere che NON ci siano ‼ significa INVECE non pregiudicare
l’osservazione con la scelta a priori di un valore prendendo partito per un valore o per un
altro ‼ . La realtà sociale infatti è espressione di valori ▶ ▶ ▶ il metodo sociologico NON
può dunque partire negando i valori, anzi deve valorizzarli ed esplicitarli. Distacco
dall’oggetto di osservazione non significa quindi indifferenza ▶ Dio non è indifferente per la
conoscenza (anche quella scientifica) fosse anche in negativo cioè come esclusione di altre
possibilità.

Circolo ermeneutico: la teologia non può compiere le proprie osservazioni scegliendo a


priori di restare dentro l’orizzonte culturale ristretto delle sue precomprensioni in quanto
così facendo si pregiudica la visione di una realtà altra e l’uso di altri strumenti oltre al Libro
▶ esso rimane una risorsa fondamentale ‼ MA i fenomeni sociali NON possono essere
sempre e comunque interpretati solo in relazione alle Scritture‼ il Libro QUINDI dev’essere
18
culturalmente mediato per tramite delle relazioni sociali, le quali implicano sì una
componente ermeneutica MA non solo quella ▶ in quanto esse vanno OLTRE
l’interpretazione di significati, segni , simboli e linguaggi coinvolti perché sono azioni
reciproche che hanno effetti emergenti assai complessi ▶ l’ermeneutica a cui si deve fare
ricorso non può essere solo quella contenuta nel Libro ▶ la relazione sociale infatti non ha
solo un linguaggio, ma molteplici linguaggi e codici simbolici.
↓↓↓
‼ Molte incomprensioni fra teologia e sociologia sono dovute proprio a questi errori:
ateismo metodologico e pregiudizio ermeneutico ‼
↓↓↓
per evitarli bisogna disporre di un’epistemologia 3 sufficientemente generalizzata in grado di
distinguere senza separare né confondere.

Epistemologia relazionale, nasce come metodologia atta ad evitare che nascano delle
incomprensioni e delle chiusure derivanti dall’utilizzo, da un lato, di una metodologia
sociologica strettamente improntata all’uso di un ateismo metodologico (assenza di valori),
dall’altro, di una metodologia teologica, improntata esclusivamente ad un pregiudizio
ermeneutico. Tale approccio, dunque, si prefigge di creare un’epistemologia
sufficientemente generalizzata in grado di distinguere senza separare né confondere.
↓↓↓
Inizia con l’indicazione di definire ogni oggetto ed ogni concetto di ciascuna delle due
discipline e li individua:
 nelle relazioni sociale, per la sociologia
 e nelle relazioni al divino, per la teologia

3
'Epistemologia è quella branca della filosofia che si occupa delle condizioni tramite le quali possiamo ottenere conoscenza scientifica e dei metodi per raggiungere tale
conoscenza, come viene indicato infatti dall'etimologia del termine, derivante dall'unione delle parole greche episteme ("conoscenza certa", ossia "scienza") e logos
(discorso). In un'accezione più ristretta, comunque, si identifica l’epistemologia con la filosofia della scienza, cioè quella disciplina che studia i fondamenti delle scienze
stesse. Nel mondo anglosassone, invece, questa disciplina rappresenta un equivalente della gnoseologia, cioè di quel ramo del sapere che mira allo studio della conoscenza in
generale. Risulta chiaro, quindi, che l’epistemologia si pone interrogativi filosofici strettamenti legati alla scienza ed alla teoresi e proprio per questo essa svolge la funzione
di trait d’union tra aspetti diversi del sapere.
19
Donati chiarisce che non è necessario attribuire alla relazionalità un’esistenza sostanziale,
se essa non ne è dotata (ipostatizzare), dato che, nel tempo, le relazioni mutano in base a
parimetri spazio temporali in cui sono collocate e diventano altro da sè .

LE relazioni sociali e le relazioni al divino, sono in apparenza inconciliabili e non riconducibili


ad comune oggetto come denominatore comune relazioni, ma è necessario chiedersi se
relazioni al sociale e relazioni al divino possono significativamente comunicare tra loro:
▶ Se si risponde negativamente (come fa il neo-funzionalismo) si incorre nella tendenza
odierna di tenere le due discipline estranee l’una rispetto all’altra o rumore reciproco;
▶ Se si risponde affermativamente si va alla ricerca di ciò che le fa comunicare ▶ questa è
la visione relazionale della realtà, che non cerca la comunicazione a tutti i costi (essa infatti
non è mai scontata, ma è semplicemente possibile) e non la vede nemmeno come
consensuale ▶ in quanto la relazione è di per sé ambivalente così come il conflitto.
↓↓↓
L’epistemologia relazionale NON rende comparabili i diversi (umano/divino) tramite
equivalenze, (in parole povere, non vuole renderle confrontabili necessariamente cercando
i punti in comune e le uguagliane, ma le osserva di per se stesse, pur nelle loro diversità),
per poi giungere a dire che sono incomunicabili ▶ MA ▶ assume l’eterogeneità e la non
sostituibilità dei fenomeni e dei punti di vista e su quella base osserva le loro reciproche
comunicazioni come relazioni.

I teologici dicono che i fenomeni sociali parlano di Dio ed i sociologi che parlano della
società ▶ ▶ ▶ queste due prospettive sono al fondo incommensurabili MA ciò non significa
che siano incomunicabili (nonostante gli inevitabili problemi di comunicazione). Per
comprendere ciò bisogna constatare che: la relazione conoscenza/ credenza è cruciale per
entrambe le prospettive (non solo la teologia) ▶ il matrimonio è un esempio importante in
quanto fatto sociale e religioso allo stesso tempo: in cui i due livelli sono legati da una
semantica relazionale.

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Sociologia e teologia dovrebbero considerare il fatto che in entrambe c’è una relazionalità
fra elementi cognitivi (conoscenza) ed elementi di fede (credenza) ▶ e sono entrambe
necessarie.

Una considerazione massima e centrale nel confronto sociologia e teologia:


🔴 il cuore della teologia cristiana è la trinità;
🔴 il cuore della sociologia è la relazione sociale.
Sono in continuità tra di loro?

Il mondo moderno è nato dal rovesciamento ateistico del pensiero cristiano. La concezione
trinitaria sta al centro di questo rovesciamento in quanto rappresenta un vero e proprio
mutamento nella logica globale del pensiero del tempo, come modalità di rileggere dalle
fondamenta la società e la storia.

La logica dialettica che procede secondo la triade tesi- antitesi- sintesi non serve solo a
ridefinire una Trinità concepita fino all’epoca moderna come fissità immobile in se stessa e
quindi rigida. Serve andare oltre uno schema rigidamente lineare in cui i termini si
susseguono. Adottando una visione circolare, in entrambi i casi (tesi, antitesi e sintesi;
padre, figlio e spirito santo) si suppone che possa esistere tra i termini una relazionalità
circolare, generativa. → Questo schema ha il senso di una costruzione che, portando fuori
del tempo, implica un tendenziale annullamento del tempo storico. Esso serve ad
introdurre una CIRCOLARITÀ nella LINEARITÀ al punto che la concezione circolare si viene a
poco a poco a sostituire alla concezione lineare del tempo e della storia ▶ con questo
cambiamento epocale del codice simbolico si dà vita ad un gioco relazionale senza
precedenti che oggi viene a maturazione. Si crea un tempo circolare che riporta la teologia
cristiana alla condizione primordiale dell’umanità che può essere osservata nell’Estremo
Oriente ▶ es. Induismo ha una concezione ciclica del tempo ▶ rispetto a queste religioni
orientali sono possibili commistioni in precedenza sconosciute, escluse sin da Aristotele e
poi combattute in Occidente per 2mila anni.
21
Questo la teologia lo sa ma solo in parte in quanto la riflessione trinitaria non ha fatto nel
frattempo molti passi avanti. → La maggior parte della teologia è indecisa oggi se tornare
indietro (ai Libri?) o andare avanti ▶ non sa come procedere però ‼ perché le mancano le
distinzioni con cui trattare una società divenuta relazionale ad un livello di complessità che
eccede le categorie tradizionali della cultura e del pensiero, in particolare la stessa visione
trinitaria delle relazioni e le relative mediazioni culturali.

La formula hegeliana tende ad includere tutto in una logica immanente, autopoietica, che
elimina la trascendenza. La formula più nota e divulgata è: tesi (istituzione), antitesi
(movimento) e sintesi (cambiamento sociale). A differenza di questa formula hegeliana e di
quelle che si sono susseguite (sempre più secolarizzate) ▶ quella cristiana presenta il senso
di una generatività che nel pensiero filosofico e sociologico del secolo scorso è andato
perduto. Anzi potremmo in un certo senso dire che il carattere generativo della relazione
trinitaria cristiana è stato tradotto in una metafisica della negatività interpretata come
categoria vitale.

Ciò che fa problema è il terzo termine della triade:


 nella trinità cristiana, lo spirito santo
 nello schema hegheliano la sintesi.
È evidente che la relazione tra padre e figlio non possa essere intesa come sintesi, anche
quando queste due figure vengano interpretate come tesi ed antitesi. La modernità si è
rifiutata di trarre queste considerazione. Lo fa oggi che sono cadute tutte le sue illusioni.
Ma anche la sociologia ha tardato a prendere atto di ciò che il cambiamento semantico
trinitario (come semplice codice simbolico) ha implicato ed implica. Sul piano sociologico
non si produce cambiamento solo perché un’istituzione (tesi) viene contestata da un
movimento sociale (antitesi).

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Un tale atto non produce di per sé innovazione né tantomeno una qualche sintesi. La realtà
è che il tertium è, come i termini che collega, una relazione ed è una relazione generativa
fra due relazione che allude ad una reciprocità totale. Solo questo atto pro-duce qualcosa
che assume i caratteri sia universali sia specifici dei relata, senza annullarli né confonderli.
Perciò, se si deve avere una rappresentazione logica, questa è del tipo: a ◀ c ▶ b, cioè una
sinergia relazionale piuttosto che una composizione spaziale triangolare, il che significa
l’immanenza della trascendenza e la sua contemporanea reversibilità.
teologia: Padre ◀ Spirito Santo ▶ Figlio;
sociologia: istituzione ◀ cambiamento sociale ▶ movimento sociale.

La conseguenza di questo discorso è che possiamo universalizzare solo se pensiamo


l’universale come relazione (non come sintesi che diventa una nuova tesi, o come pura
emergenza autogenerata) fra soggetti che stanno fra loro in una relazione reciprocamente
generativa. “Generato, non creato” è un concetto importante che può illuminare il campo
delle relazioni sociali e trovare, a debite condizioni interpretative, un’interessante verifica
nelle scienze umane. Applicata alle forme sociali: questa logica comporta la possibilità di
forme più generalizzate che stanno in relazione con forme più particolareggiate (es.
famiglia, lavoro, cittadinanza, diritti umani, relazioni tra culture, struttura dell’intera
società).

Il sociologo, per poter fare sociologia, NON è obbligato a credere alla Trinità. Per lui la
Trinità è un simbolo che fa parte della mappa che studia come qualunque altro simbolo (dei
codici culturali). Ma, se non se ne tiene conto, al contrario, non solo accede ad un punto di
vista che può illuminare l’analisi della religione, ma ottiene un’altra prospettiva sul mondo.
Chi fuoriesce da una visione trinitaria (la rifiuta a priori) perde o modifica la prospettiva
della relazione (come generatività, mediazione, reversibilità) in modo tale che il rapporto di
immanenza/ trascendenza viene distorto anche nel sociale → il sociologo, dunque, può
accedere all’ambito della teologia, non negando l’esistenza della Trinità, che diventa un
simbolo, pur non dovendo necessariamente crederci.
23
Così pure il teologo, per fare teologia, non deve necessariamente passare attraverso
l’indagine empirica della relazione sociale. Però se non si colloca dal punto di vista della
relazione sociale ▶ gli diventa impossibile fare una buona teologia del mondo e non potrà
fare nessun passo in avanti nemmeno in ambito teologico. È per questa ragione che una
vera e propria teologia della laicità è ancora arretrata: in quanto la teologia non ha ancora
compreso il senso dell’autonomia contenuta nella relazione sociale come realtà secolare →
il teologo, dunque, può accedere allo studio del sociale, solo se accetta di porsi nella
prospettiva che l’oggetto di studio è la relazione sociale.
↓↓↓
Se le due discipline ignorano l’oggetto più intimo dell’altra non troveranno alcun punto in
comune né alcun concetto di confine che possa farle comunicare fra di loro. Non possono
apprendere l’una dall’altra e infine non possono far altro che negarsi a vicenda. La
costruzione relazionale del mondo sociale e la costituzione relazionale di ciò che è divino
rimangono mondi separati (incommensurabili ed incomunicabili). Se invece la sociologia
rende rilevante per sé il punto di vista trinitario ▶ questo le consente di munirsi di nuovi
concetti teoretici: ossia dei nuovi strumenti che le consentono di elaborare nuovi concetti e
nuove referenze. Di fatto, è così che la teologia cristiana ha ispirato le scienze sociali in tutto
il corso della storia. La teologia ha fornito, e ancora offre, una serie di simboli (significati)
che la sociologia ha utilizzato come chiave interpretativa del senso apparentemente caotico
(privo di senso) degli avvenimenti storici. Questo NON esclude che la teologia abbia a volte
bloccato o fuorviato la scienza e possa ancora influire negativamente sulla conoscenza
scientifica.

Viceversa ▶ se la teologia assume come rilevante la relazione sociale ▶ potrà capire molto
di più su come si costruiscono i valori e le norme sociali nel tempo, e così potrà anche
diventare più riflessiva , chiarendo meglio il proprio orizzonte ermenutico: anzi solo così
potrà superare le eventuali chiusure del circolo ermeneutico. Un esempio di ciò lo
riscontriamo quando Giovanni Paolo II ha portato nella teologia morale concetti innovativi ,
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di evidente origine sociologica: “strutture di peccato” e di “soggettività della società” ▶ la
teologia infatti quando parla della società e di fatti sociali inclusi gli aspetti sociali della
religione ha bisogno di uscire dal suo circolo ermeneutico. Allo stesso tempo, anche la
sociologia ha il proprio circolo ermeneutico, in cui rimane sempre imprigionata. Un
colloquio a distanza con la teologia, specie per quanto attiene la visione del tempo
(immanenza/trascendenza) è sicuramente molto utile.

Vogliamo chiarire la questione di un possibile confronto relazionale. La tesi proposta


dall’autore è che solo un’epistemologia relazionale e un metodo ad essa omogeneo
consente di rispondere al problema dei rapporti fra teologia e sociologia senza incorrere in
riduzionismi, conflazioni e paradossi non necessari. I paradossi necessari vanno invece
tenuti per buoni in quanto sono quelli che illuminano l’incommensurabilità delle due
prospettive.

3. Possibilità e limiti del confronto.

Per confrontarsi BISOGNA poter COMUNICARE ▶ se nella comunicazione ci si vuole


comprendere a vicenda occorrono numerose condizioni: quella cruciale è la
RELAZIONALITÀ: ▶ ossia l’esistenza di un’azione reciproca che non ingloba l’altro MA lo
ritiene RILEVANTE come condizione per la sua stessa azione.
Se una parte tende a manipolare l’altra ▶ nessuna vera e propria relazionalità è possibile.
Affinché questo confronto relazionale avvenga ▶ bisogna che ci sia un’apertura reciproca
ad altri punti di vista, tenendo sempre salda e non perdendo mai la propria identità.

Il confronto tra sociologia e teologia avviene sul terreno dei fatti sociali e storici. È implicito
che la teologia non dovrà mai farsi sociale e la sociologia mai farsi teologica. Questo è
possibile se e solo se la loro relazione viene gestita come tale e non come qualcosa d’altro.
Nei rapporti sociologia-teologia si assume di solito che religione e società si confrontino
come due punti di vista che si osservano a vicenda cercando di ricondursi l’uno all’altro ▶
25
l’osservatore sta da una parte oppure dall’altra e tende a ridurre la realtà dell’altro alla sua
visione ▶ questa è l’impostazione corrente:
a) La teologia è una certa visione o rappresentazione del mondo che offre una sua
spiegazione della società come della natura ▶ ▶ ▶ se si assume tale visione si fa teologia
della società nel senso che il fenomeno e o sociale è letto come fatto che afferma, nega,
interpreta in un modo o nell’altro la visione religiosa;
b) La sociologia è una forma di conoscenza del mondo e della società che, fra le altre cose,
tende a considerare la religione come fenomeno/ prodotto sociale; essa deve sempre
chiedersi se, per la sua conoscenza, parta effettivamente dalla società oppure invece, come
spesso capita, dalla propria osservazione sulla società.
Si può tuttavia andare oltre questa impostazione corrente ▶ SE si ammette UN ALTRO
punto di vista che l’autore chiama c, che rappresenta la relazione fra a e b.
c) è quindi il punto di vista della relazione ▶ che quindi si propone di osservare ciò che
emerge dall’interazione fra teologia e sociologia. Bisogna osservarle stando al di fuori di
ciascuna di esse ▶ ossia elaborare una metateoria: ossia un punto di vista sui confini di una
relazione che come suoi ambienti ha la sociologia e la teologia.
Non si tratta di una compromissoria terza via ▶ in quanto il punto di vista c non è sullo
stesso piano di a e b né è ad essi antitetico ▶ quindi non è un terzo che li nega ma un altro
modo di pensare che non si pone a priori una prospettiva dualistico/ escludente. C è un
punto di vista che tratta la differenza a/b come RELAZIONE anziché come forma
(distinzione) binaria. Non è né un aut... aut né un semplicistico et...et: in quanto è un modo
di distinguere relazionando.

Collocandoci in c possiamo vedere tante cose che non sono visibili rispettivamente da a e
da b. Ad esempio: 🔴 il concetto di religione naturale può essere inteso non solo come una
proiezione di religione rivelata ma anche come relazione fra religione rivelata e società ▶ ▶
▶ ossia ▶ ▶ ▶ la religione naturale non può essere pensata come un’assenza di società ma
come implicante la società, proprio nella sua esistenza storica.

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Si può vedere come la religione di cui parla la sociologia manca di trascendenza: è una
religione sociale che, considerata a sé stante, costituisce solo un modo di autodescriversi
della società.

In breve: è possibile vedere che la teologia, come riflessione interna alla religione, e la
sociologia, come riflessione interna alla società, possono comunicare solo interagendo.

In ogni caso: non c’è un solo codice simbolico per trattare la religione e per decidere se un
fenomeno stia dentro o fuori del religioso ▶ diventa più chiaro quindi il perché altri temi ed
ambiti come quello economico, politico e l’etico continuino a stare in relazione con la
religione e non semplicemente stiano dentro o fuori di essa. → Questo significa che la
religione ha (o può ancora avere) un impatto su altri ambiti o dimensioni del sociale ↔ così
come il sociale può modificare il religioso secondo modalità emergenti.

Per la sociologia, quando si occupa di religione, è importante che tenga in considerazione il


concetto di trinità in quanto esso simboleggia la coesistenza di immanenza e trascendenza,
consentendole di concepire la possibilità di qualcosa che vada oltre una realtà oggettivabile
e scientificamente dimostrabile → quando la sociologia indaga nel campo di azione della
teologia ossia studia l’importanza della religione nei rapporti sociali, deve farlo a partire
dalla necessità di accettare l’esistenza dell’oggetto di studio della religione (ossia la trinità),
a prescindere dal crederci o meno.

4. Società e religione.

 I sociologi sottolineano che “la religione va sempre bene per stupire, per dire cose
stravaganti”. Essi individuano proprio in ciò il motivo fondamentale per cui la religione
non muore, ma anzi oggi ha un revival.

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 I teologi non mettono in dubbio che Dio possa sempre stupire, ma reputano discutibile
che in ciò consista la stessa religione.

Esiste un modo in cui queste due visioni possano intendersi?


Il tempo nel senso in cui lo intendiamo oggi, cioè come dimensione distinta e
autonomizzata dell’essere e del discorso, è entrato nella società con la religione cristiana. In
tutte le religioni pre o extra cristiane il tempo è un fattore della natura totalmente
inglobato in essa. La sociologia, secondo Donati, non può ignorare questa cosa. Nella
prospettiva teologica, il futuro è collocato in una cornice temporale che conferisce senso e
significati ▶ questo accade oggi anche nella sociologia. È da poco infatti che i sociologi sono
arrivati a riflettere sulle discontinuità storiche prodotte nel tempo, anziché pensare nei
termini di un’evoluzione che fa salti solo quando si presentano problemi di adattamento nel
tempo, fra un semplice prima ed un semplice dopo.

Nel postmoderno l’uomo perde contemporaneamente il senso del tempo e della


trascendenza ▶ ▶ ▶ esso infatti da valore solo al momento presente, sotto la luce del sole,
quindi immanente (non al passato o al futuro, quindi al trascendente), in tal modo, si spiega
anche la perdita del senso religioso → La ragione umana infatti è sempre condizionata da
relazioni con la fede.

Questo discorso si può applicare anche ad una gran quantità di forme sociali come la
famiglia. Essa infatti è un prodotto della società ma continente in sé anche presupposti pre
e metasociali: bisogna credere nei valori contenuti nella relazione pattizia fra i sessi e le
generazioni ▶ infatti la famiglia è legata ad un principio di continuità tra le generazioni.

In una società religiosa (una società che opera in base ad immanenza/ trascendenza) il
tempo ha un’enorme rilevanza simbolica: ciò comporta che possa essere SOSPESO ossia
reso IRRILEVANTE in modo da permettere la conversazione tra generazioni estinte o che
devono ancora nascere;
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In una società NON religiosa il tempo perde di spessore simbolico e diventa tempo
puramente

INTERAZIONALE: tutto viene temporalizzato e allo stesso tempo annullato ▶ il passato non
c’è più ed il futuro non può cominciare ▶ no generation (perché si è privi di senso religioso
e quindi di trascendenza, ossia l’incapacità di considerare presente qualcosa che non si può
vedere → antiposterità)
↓↓↓
Quella dei giovani d’oggi è sempre più una non-generazione ossia una generazione che
sente di non esistere come generazione: essa parla di se stessa come di un insieme di
persone che vivono una condizione storica priva di generatività: quindi un talking about no
generation.
↓↓↓
Possiamo quindi affermare che il futuro o è religioso o non è ▶ non si può produrre futuro
senza religione (cioè senza operare in base alla distinzione trascendenza/ immanenza).

5. Di fronte al futuro.

 Per la sociologia il futuro è una costruzione sociale → è uno sviluppo dell’immanenza


(prevedibile).
 Per la teologia il futuro è un’apertura alla trascendenza ▶ è il campo aperto di una
prevedibilità (di Dio) indisponibile per l’uomo (che l’uomo non può prevedere).
↓↓↓
Sono due piani incommensurabili ma non privi di relazioni

I teologi non amano confrontarsi coi fatti sociali, nei quali tendono a vedere decadimento
più che rivelazione. I teologi, devono guardare in un altro modo la realtà del mondo ▶ non
29
possono più pensare che Dio crei il mondo e che altro NON si debba sapere ▶ nel mondo
non tutto può restare identico a se stesso (non tutto è trascendente!).

All’opposto, i sociologi amano il contingente, le novità, le mode. Se vogliono cogliere le


relazioni dovrebbero assumere che nel mondo NON tutto cambia (non tutto è immanente!
E allo stesso tempo devono accettare l’idea che non necessariamente ciò che cambia è
prevedibile per l’uomo).→ Il sociologo NON può e NON deve certamente immettere nelle
sue previsioni scientifiche le irruzioni di Dio MA non devono nemmeno chiudere gli occhi di
fronte al mistero ed al miracolo della vita (non oggettivamente spiegabile).

Allo stesso modo il teologo dovrebbe dare valore primario al mondo (nonostante esso si
immanente), considerandolo luogo il essenziale per la salvezza dell’uomo (anche se non
trascendente), quindi non deve chiudere gli occhi di fronte al senso secolare della realtà
come un esistere fuori dal creatore.
↓↓↓
In entrambi i casi (sia per quanto riguarda teologo che sociologo) ▶ il problema è generato
dalla coppia trascendenza/immanenza.

L’epistemologia relazionale osserva che la società trascende l’individuo, ma sotto certi


aspetti, gli è anche immanente; viceversa, l’individuo umano è immanente alla società ma
può anche trascenderla.
↓↓↓
Per comprendere la dimensione trascendente della religiosità insita nei fenomeni sociali:
Ai teologi serve una sociologia della vita quotidiana in relazione con una teologia della
vita quotidiana. Quest’ultima si fa laica se e in quanto sta in relazione alla prima ▶ ossia
perché vede il religioso nel quotidiano secolare, terreno, non perché, come alcuni
dicono, assuma l’ateismo metodologico (vedere il religioso nel quotidiano non implica
un ateismo metodologico, come molti dicono, ma piuttosto osservare nel
quotidiano,oggettivo, tangibile e immanente qualcosa di trascendente).
30
In parallelo ai sociologi serve una teologia della vita quotidiana che stia in relazione con
una sociologia della vita quotidiana (vedere il quotidiano nel religioso).
↓↓↓
Si aprirebbe così una via per una nuova sociologia della religione che, basata sul concetto di
relazione come modalità di trattamento della coppia immanenza/ trascendenza, consenta
di evitare gli scogli da un lato della sacralizzazione dei legami sociali e dell’altro della
protestantizzazione del mondo sociale. Oggi infatti ci sono due processi concomitanti:

1) da una parte il crescere di una libertà individualistica (non ci sono più valori condivisi, ma
una società individualistica) che è in piena continuità con la rivoluzione protestante del
mondo moderno;
2) dall’altra parte la risacralizzazione dei legami sociali ossia la de-differenziazione fra
religioso e sociale, sia come sacralizzazione della strutture sociali (es. fondamentalismo
islamico), sia come sacralizzazione di un simbolismo rigido (es. fondalismo ebraico della
legge) ▶ sono forme reattive e a volte emotive con cui la religione si oppone ad
un’eccessiva parcellizzazione, frammentazione e razionalizzazione della vita.

La prospettiva relazionale dovrebbe consentire di veder entrambi questi processi con


distacco e distanza. → Non è sostenibile, infatti, né l’opinione secondo la quale la religione
diventa il culto dell’individuo e delle sue differenze, né la visione secondo cui la religione
diventa il culto di un oggetto sociale (= religione identificata come una relazione sociale).
↓↓↓
La via di uscita forse sta nel vedere come la relazione sociale non sia sacra in sé, né possa
essere annullata ▶ bisogna vedere come la relazione sociale sia conduttrice di religiosità se
e in quanto rappresenta la necessità di una trascendenza senza cui lo stesso individuo
umano non può esprimere alcuna autenticità e nemmeno esistere come tale. Se si assume
questo punto di vista, si può vedere l’importanza della religione come dimensione
intrinsecamente necessaria ad una gestione autonoma dei rapporti sociali particolari e
31
generalizzati, e per l’individuazione dell’umano in quel sociale che tende sempre più a
differenziarsi dall’umano stesso (es. tecniche di riproduzione umana artificiale, dove le
norme o regole etiche sono sempre più costruite come procedure per rendere efficiente e
biologicamente sane le operazioni senza che ci si interroghi sul senso umano delle relazioni
sociali. La manipolazione genetica ▶ è giusto determinare il sesso del figlio in base ai
desideri dei genitori?).

In molti si chiedono quale sarà nel 21° secolo il destino della religione e del Cristianesimo.
Per rispondere a questa domanda ▶
la teologia risponde facendo ricorso al tempo di Dio ▶ tentazione dell’utopismo;
la sociologia risponde facendo ricorso al tempo della società ▶ tentazione dello
scientismo.
Per cercare un quadro di dialogo reciproco rispetto a tale punto è importante fare
riferimento al quadro storico in cui si colloca la questione ossia che la modernità è nata da
alcune scelte religiose e muore con esse. La sociologia ha seguito da vicino queste scelte e
ne è stata più succube che coscienza critica ▶ come dimostra il fatto che ancor oggi rimane
sospesa fra modernismo, postmodernismo e nichilismo. Donati esplora la possibilità che
sociologia e teologia possano individuare uno spazio/ tempo di confronto comune per
prendere entrambe le giuste distanze da un’epoca di transizione come la nostra. La
sociologia deve dotarsi di strumenti che le consentano di rendere presente ciò che non è
visibile nell’immediato; mentre la teologia deve accettare che la religione sta divenendo
sempre più un’istanza dell’indeterminato.

Capitolo 2. La matrice teologica della società

Nel secondo capitolo, Donati espone la nozione di “matrice teologica della società”.
Secondo l’Autore, per fondare questo concetto è necessario partire dalla relazione intesa
come distinzione e non già come separazione o come opposizione, operazione logica
dialettica o binaria. Il carattere di alterità della relazione si fonda sulla distinzione
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immanenza/trascendenza intesa come relazione. Proprio in base a questa nuova
concezione della relazione, la società dopo-moderna appare con una propria matrice
teologica, indicativa del fatto che ogni società, specialmente come società civile, si
rappresenta e si organizza in risposta alla domanda “dov’è Dio?”. Donati sostiene che, «se
c’è un indicatore nelle svolte storiche dell’umanità, questo è il senso religioso, è a partire da
esso, e in esso, che si mostrano i segni e le anticipazioni di come una società configura il
civile» (p. 39). Intende quindi che la metamorfosi del senso religioso si configura come
morfogenesi, ossia come cambiamento di forma che genera un nuovo modo di osservare
Dio e di mettersi in relazione con lui, dando origine a un nuovo senso del civile, laddove
osservare e mettersi in relazione sono operazioni fortemente intrecciate fra loro.

Cosa intende Donati per matrice teologica? La risposta è che ogni società nel corso della
storia dell’umanità ha cercato sempre di darsi → qualsiasi società ha cercato di rispondere
la domanda “Dov’è Dio?”. La risposta data è appunto la matrice teologica che una società si
costruisce per dare quel senso religioso alla vita di ciascun individuo che appartiene a quel
contesto sociale. Quel senso religioso che Donati definisce “un minimo di religione” che è in
grado di mantenere il tutto. Nel corso della storia dell’umanità si è andata a formare una
frattura tra immanenza e trascendenza: nelle società primitive ed arcaiche (società
teocratiche), immanenza e trascendenza formavano un tutt’uno, si parlava, infatti, di una
trascendenza trascendente, pertanto la Chiesa formava un tutt’uno con lo Stato, quindi la
Chiesa imponeva attraverso dei dogmi, dei modelli , il proprio credo religioso.
Successivamente, la società divenuta sempre più complessa, ha creato una separazione tra
immanenza e trascendenza, infatti, sostiene Donati che la nostra società moderna
occidentale è un esempio di società dove si è partiti a rispondere alla domanda dov’è Dio da
un punto di vista trascendente, per poi arrivare ad un principio di immanenza; ciò vuol dire
che la qualità sacra è stata assegnata alla società, quindi, tutto si risolve nella società: sacra,
quindi è l’opera dell’uomo, non di Dio. La trascendenze che ruolo ha occupato nella società
moderna? Un ruolo esclusivamente privato, cioè la religione è andata privatizzandosi,
anche con il processo di secolarizzazione: l’uomo moderno pensava che per poter
33
raggiungere l’emanciapazione doveva allontanarsi da Dio, inteso come mistero ed invisibile,
quindi ha pensato di poter fare a meno di Dio, la religione, quindi, che posto ha occupato
nella società e nella coscienza individuale di ogni singolo?….ha perso di credibilità! Come
istituzione, tant’è vero che la Chiesa ha perso di importanza, ma non solo sul piano
istituzionale, ma anche di coscienza individuale. Lo stato ha pensato di confinare a sfera
privata la scelta del credo religioso, quindi è come dire che lo stato ha pensato, per ogni
singolo che quello che “tu credi o crederai, sei o diventerai…è un affare che riguarda te e
solo te!” quindi, la religione non è più un dato ascrittivo alla persona, dice Donati; in
passato già a patire dalla nascita di una creatura, essa veniva segnata al suo destino rispetto
alla religione…cioè sarebbe cresciuta con i principi di quella religione di quella specifica
società cui essa apparteneva; oggi, invece, la religione diventa il risultato di una ricerca, di
una scelta individuale, cui l’uomo giunge tramite una ricerca; infatti, dice Donati, la
situazione attuale della società dopo-moderna è: primo punto, è una constatazione di fatto
→ l’uomo dopo moderno, rispetto all’uomo moderno, si è rimesso a cercare di nuovo Dio,
cioè non può fare a meno di Dio; quindi si è messo a cercare non solo il senso religioso di
Dio, ma anche il senso dell’uomo stesso, cioè cerca di trovare un senso alla propria vita,
cercando appunto, Dio nella propria vita. Qui subentra la proposta del Donati → non
parliamo più di una trascendenza immanente che ha caratterizzato la matrice teologica
della società moderna, che quindi ha considerato sacro solo ciò che poteva essere creato e
sperimentato dall’uomo, visto e toccato dall’uomo, non parliamo più di una trascendenza
trascendente, dove Dio è capace di governare la vita dell’uomo, ma resta sempre al di fuori
della vita terrena, resta sempre una mistero invisibile, una realtà inaccessibile all’uomo,
parliamo secondo Donati, nella società dopo-moderna di una nuova matrice teologica, una
matrice capace di mettere in relazione immanenza e trascendenza, due ambiti, due entità,
che non perdono la propria autenticità, restano due entità distinte, ma non in conflitto tra
loro, ma appunto in relazione.

Integrazione → un esempio di relazione tra immanenza e trascendenza → secondo Donati


esse possono incontrasi nella relazione tra gli uomini, intesa come un eccedersi, un
34
eccedere se stesso, fa l’esempio di un bambino piccolo che durante la sua crescita non può
conoscere se stesso se non attraverso la relazione con i suoi genitori. Quindi, egli supera la
sua immanenza, supera il proprio io individuale, si eccede, per donarsi, darsi
completamente alle sue figure di riferimento (genitori). Questo bambino, quindi, crescerà,
diventerà una persona responsabile e matura ed una brava persona. La responsabilità è
dovuta proprio alla capacità di conoscere se stessi attraverso la relazione con gli altri,
attraverso una relazione, fatta però, di dono e gratuità. Secondo Donati, solo donandomi
agli altri, mettendomi a disposizione degli altri, a servizio degli altri, potrò conoscere ancora
meglio me stesso e quindi sviluppare anche una personalità positiva, onesta.

1. La religiosità come spinta propulsiva del civile


I due lati di questa relazione non stanno sullo stesso piano, poiché la trascendenza implica
sempre un eccedersi sia di se stesso sia dell’altro lato (la in-manenza) → ciò vuol dire che la
trascendenza implica l’andare oltre se stessa e l’andare oltre l’immanenza.

La relazione immanenza/trascendenza si configura come codice del dono, fondamento


della relazione → la relazione nasce come offerta di un dono. → il DONO crea la relazione,
poiché esso è operatore di socialità e socievolezza → la relazione ha senso nella misura in
cui il dono è accettato e diventa un reciproco andare oltre se stessi. → Una persona è tanto
più matura quanto più è in grado di gestire la relazione immanenza-trascenenza, poiché sa
donare (sa far dono anche di sé) e sa conoscere se stesso attraverso gli altri (più da agli altri
più da a se stessa)→ base di ciò che è civile.

Tesi di Donati → la religiosità è stata fin’ora pensata come credenza in una o più entità
trascendenti (credere in qualcosa che è trascendente e quindi che non si vede, né che è
tangibile) → ciò ha impedito una diversa lettura della religione, come fondamento del
vivere civile (quindi del donarsi reciproco!) → questa visione ha impedito ha impedito di
35
vedere qualche elemento di religiosità nella quotidianità, quindi nel sociale. → una diversa
lettura può essere pensata (in epoca moderna e post-moderna) a partire dal considerare la
distinzione immanenza-trascendenza non come opposizione, ma come relazione (anche
sociale).

Ogni società ha una sua matrice teologica, quindi → ogni società civile post-moderna si
caratterizza per una nuova concezione della relazione e per un diverso modo di gestire tale
relazione → dire che ogni società ha una sua matrice teologica , equivale a dire che ogni
società si rappresenta e si organizza intorno alla risposta alla domanda “Dov’è Dio?” → è
a partire da questa domanda e dal senso religioso di essa che si rendono evidenti i segni di
come si configura una società civile (la risposta a questa domanda determina il modo in cui
si configurano le diverse società civili).

Le società hanno collocato Dio nei posti più diversi, ma solo una ne ha fatto una “questione
personale”, cioè ha visto Dio nella persona umana e attraverso di essa → la società
occidentale (radici ebraiche e cristiane).

Il fatto di aver collocato Dio in una relazione di filiazione personale ha segnato una svolta
nella storia delle religioni → Dio non può essere cercato fuori dalla relazione interpersonale
con il trascendente → chi lo cerca al di fuori di tale relazione si pone in una sorte di
religiosità pre-moderna, che obbliga ad un ritorno alla storia (posizione anacronistica!!!) →
la religione resta un imparare a pensare secondo le sorgenti della vita, che per l’essere
36
umano è personale (implica un senso intenzionale), in opposizione ad una religiosità
impersonale (che deriva da simboli astratti) → (cioè: siccome abbiamo personificato Dio,
Esso non può che essere cercato che nella relazione con il trascendente, se ciò non accade
ci si pone in una condizione fuori dal tempo, che ci costringerebbe a cercare non la
relazione, ma simboli astratti).

Obiettivo di Donati → comprendere se e in che modo, nella storia dell’umanità, con il


cambiare del senso religioso (metamorfosi), si configura un nuovo modo di osservare Dio e
di mettersi in relazione con lui (morfogenesi), dando origine ad un uovo senso del civile →
cioè cambiando il senso religioso (in relazione alla risposta alla domanda “dov’è Dio?”) è
cambiato il modo di guardare a Dio e di relazionarsi ad esso????.

Il senso religioso→ è la relazione sensata con Dio in quanto essere che merita assoluto
rispetto, cioè amore ed ossequio (eros + nomos insieme) incondizionati, e che per ciò è
detto sacro.

La morfogenesi del senso religioso → è analizzata come morfogenesi della relazione, che
ha come distinzione guida il rapporto con il totalmente Altro (trascendente).

Tesi di Donati → non solo la società moderna non ha eliminato Dio, ma il passaggio dal
moderno al post-moderno ha una significativa e peculiare matrice teologica → la modernità
(dal XIV sec.) ha squarciato il mondo del soprannaturale → ne è derivato che tante divinità
sono venute fuori come da un grande vaso di Pandora, creando, secondo una visione
superficiale, forme di religiosità tribali ed orgiastiche → in realtà, questa visione non
consente di vedere che → il panteismo contemporaneo è diverso da quello primitivo

Oggi la religione deve soddisfare il senso soggettivo della persona umana → questo
principio da vita ad una nuova società civile!
Cioè, in breve:

37
Per soddisfare il bisogno dell’uomo di avere delle risposte (dovute alle mille insicurezze
figlie della modernità e post modernità!), si è finito per creare tante divinità (panteismo),
per soddisfare il senso soggettivo della persona umana. Ne è derivata una condizione
paradossale della religiosità:
- da un lato ha perso il senso personale di Dio e con lui il senso dell’uomo
- dall’altro manifesta l’esigenza di mettersi nuovamente alla ricerca di Dio e dell’uomo.

2. Il senso religioso nelle società postmoderne

Le ricerche sociologiche della/e religione/i hanno forti limiti e carenze; tuttavia le ricerche
sembra possano essere divise in tre grandi gruppi:

1. un primo filone sostiene 2. un secondo filone


che cresce la sostiene che c’è una certa 3. un terzo filone sostiene
secolarizzazione, intesa tenuta della religiosità che c’è una ripresa della
come perdita del sacro; popolare, anche se si tratta religiosità, sotto forma di
di una “religione con fede tendenze de-secolarizzanti,
debole”, cioè senza che assumono diverse forme
trascendenza; (es. neomodernizzazione o
ripresa delle tradizioni).

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In realtà questi tre atteggiamenti sono compresenti → la società non cessa di interrogarsi su
Dio e torna a parlarne pubblicamente → ciò che occorre capire (da un punto di vista
sociologico) → perché Dio torna ad essere un tema pubblico? Perché ed in che modo queste
tendenze toccano alcuni gruppi sociali piuttosto che altri? → le caratteristiche delle persone
che compongono questi gruppi non sono stabili, ma mutano nel tempo e nello spazio → la
religiosità degli individui è variabile nel corso della loro vita → oggi le persone entrano ed
escono dalle appartenenze religiose con maggiore facilità e libertà rispetto al passato →
l’appartenenza ad una certa religione è diventata un fatto acquisito per scelta → la
metamorfosi del senso religioso caratterizza un agire sempre meno “tradizionale” (di
consuetudine o eredità culturale) ed è sempre più un fatto “espressivo” (affettivo ed
estetico), non si sa bene quanto “razionale” (sia rispetto al valore simbolico, sia rispetto
allo scopo).

Il senso religioso appartiene sempre meno alle culture stabilizzate e stabilite nel tempo e
diventa sempre più ricerca

La religione si soggettivizza → Gli individui soggettivizzano le credenze ed i comportamenti,


ma non possono soggettivizzare Dio → soggettivizzano la sua immagine, il vissuto e la
relazione che sentono.

Nei gruppi, nei movimenti e nelle associazioni sociali → la soggettivizzazione assume la
forma di un’uscita dalle istituzioni religiose esistenti e la creazione di Chiese, sette, tribù
alternative → la religione si mostra come un fatto sociale ossia relazionale → ciò che viene
soggettivizzato è l’interpretazione di Dio e le regole di condotta che possono mettere a
contatto con Lui → l’essenza delle nuova religione sembra essere quel senso di
convertibilità, in base a cui tutto può cambiare, che riguarda le dinamiche della cultura
tardo moderna → Dio è interpretato come il generator of diversity (g.o.d).

Oggi la religione si polarizza in due tendenze


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Dio è identificato nell’incertezza e Dio è identificato nel povero, nel bisognoso,
nell’indeterminato (nel mistero). e quindi nella disponibilità alla benevolenza
umana.

Queste tendenze non sono in realtà opposte, ma hanno qualcosa in comune (che però è
difficile da vedere).

3. L’interpretazione dell’attuale fenomenologia

Nella società dopo moderna è cessata la secolarizzazione, intesa come processo di


emancipazione della società che presupponeva l’allontanamento del sacro. Il sacro, quindi,
torna e ci appartiene.

L’uomo contemporaneo sembra indirizzarsi su due modi di pensare Dio:


1) Dio è ciò che l’individuo sente come misterioso, è il lato oscuro della vita che il soggetto
deve rendere presente con una rappresentazione che dia conto di ciò che sta dietro il suo
vissuto interiore, specialmente quando l’individuo si sente in una condizione di maggiore
insicurezza e disorientamento;
2) Dio sta nell’ambiente del sistema, in ciò che non è ragione illuminata e immanente al
sistema sociale e alle sue istituzioni e che si situa nell’incontro con l’altro.

Un eccesso di entrambe queste tendenze è comunque errato……, in quanto la religiosità
non può essere priva del tutto di immanenza, perché si perderebbe il senso della relazione
con l’altro, ma, al contempo, non può esistere una religione senza trascendenza (senza di
essa c’è solo cultura sociale), poiché chi resta nel mondo (chi si limita alla relazione sociale)

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non può cercare realmente Dio → chi vuole cercare Dio deve farlo fuori dal mondo → chi
resta nel mondo è condannato a praticare una fede tutta immanente.

Occorre considerare la dinamica immanenza trascendenza come relazione e non come
opposizione o come mutuamente escludentesi.

4. Prospettive sociologiche sul futuro del senso religioso

Tesi di Donati → il distacco più significativo tra mondo moderno e post-moderno → non
viene meno il senso della trascendenza, anzi il bisogno di trascendenza si acuisce → ciò che
viene meno è il legame tra mondo e Dio, così come è stato configurato fino ad oggi → la
relazione immanenza-trascendenza si caratterizza per un nuovo ordine di complessità →
c’è chi vede Dio solo nell’immanente (si assiste alla tendenze secolarizzanti (laicismo)) e chi
solo come trascendente (nuove mistiche (neo-spiritualismi).

Nel mondo post-moderno → la metamorfosi del senso religioso può avvenire lungo tre
direzioni:

1) il senso di Dio consiste nella accentuazione dell’immanenza


2) il senso di Dio consiste nella accentuazione della trascendenza
3) il riconiugare la distinzione immanenza/trascendenza come relazione.

Si tratta di capire i che modo queste tre tendenze si coniugano nella società, in quali gruppi
sociali e culturali.

La realtà è tutta relazionale → La trascendenza, oggi, è letta non solo come “andare oltre”,
ma come “scendere tra” → la matrice teologica della società post-moderna è la
rappresentazione di Dio come essere relazionale → la trascendenza viene vista come
41
relazione verticale , non è solo oltrepassamento (andare oltre), ma anche discendenza →
discendere nel più profondo dell’animo umano e in ciò di cui si fa esperienza in maniera
relazionale e non solipsisticamente (= ponendo a metro delle azioni il proprio interesse
personale).
Ne deriva che

Per accostarsi a Dio, l’uomo del XXI secolo deve elaborare un sistema di osservazione più
complesso di un tempo:

1) dovrà interrogare il proprio self, riflettendo su di sé sulla base del proprio atteggiamento
verso Dio e di come Dio si relaziona a lui;
2) dovrà riflettere sulla relazione che ha con Dio, in quanto agito dalla parte dell’uomo;
3) dovrà pensare a come Dio si relaziona a se stesso, in base a se stesso ed alla relazione
con la persona umana;
4) dovrà vedere ciò che Dio gli offre, come comunica con lui, in quanto alterità

Tutto ciò presuppone una conoscenza relazionale di Dio (teologia) non autoreferenziale.

Dio è nella relazione perché è relazione → Dio non può essere cercato nei totem, ma in ciò
che connette gli uomini tra loro, nonostante loro stessi e le loro inclinazioni.

La matrice teologica della nuova società è all’insegna di un oltrepassamento che significa


discendere in profondità nelle relazioni tra gli uomini, se si vedono come figli di Dio →
Dio diventa ciò che svela l’uomo all’altro uomo e gli rivela la sua autentica natura di
figlio.

Cosa intende Donati per matrice teologica? La risposta è che ogni società nel corso della
storia dell’umanità ha cercato sempre di darsi → qualsiasi società ha cercato di rispondere
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la domanda “Dov’è Dio?”. La risposta data è appunto la matrice teologica che una società si
costruisce per dare quel senso religioso alla vita di ciascun individuo che appartiene a quel
contesto sociale. Quel senso religioso che Donati definisce “un minimo di religione” che è in
grado di mantenere il tutto. Nel corso della storia dell’umanità si è andata a formare una
frattura tra immanenza e trascendenza: nelle società primitive ed arcaiche (società
teocratiche), immanenza e trascendenza formavano un tutt’uno, si parlava, infatti, di una
trascendenza trascendente, pertanto la Chiesa formava un tutt’uno con lo Stato, quindi la
Chiesa imponeva attraverso dei dogmi, dei modelli , il proprio credo religioso.
Successivamente, la società divenuta sempre più complessa, ha creato una separazione tra
immanenza e trascendenza, infatti, sostiene Donati che la nostra società moderna
occidentale è un esempio di società dove si è partiti a rispondere alla domanda dov’è Dio da
un punto di vista trascendente, per poi arrivare ad un principio di immanenza; ciò vuol dire
che la qualità sacra è stata assegnata alla società, quindi, tutto si risolve nella società: sacra,
quindi è l’opera dell’uomo, non di Dio. La trascendenze che ruolo ha occupato nella società
moderna? Un ruolo esclusivamente privato, cioè la religione è andata privatizzandosi,
anche con il processo di secolarizzazione: l’uomo moderno pensava che per poter
raggiungere l’emanciapazione doveva allontanarsi da Dio, inteso come mistero ed invisibile,
quindi ha pensato di poter fare a meno di Dio, la religione, quindi, che posto ha occupato
nella società e nella coscienza individuale di ogni singolo?….ha perso di credibilità! Come
istituzione, tant’è vero che la Chiesa ha perso di importanza, ma non solo sul piano
istituzionale, ma anche di coscienza individuale. Lo stato ha pensato di confinare a sfera
privata la scelta del credo religioso, quindi è come dire che lo stato ha pensato, per ogni
singolo che quello che “tu credi o crederai, sei o diventerai…è un affare che riguarda te e
solo te!” quindi, la religione non è più un dato ascrittivo alla persona, dice Donati; in
passato già a patire dalla nascita di una creatura, essa veniva segnata al suo destino rispetto
alla religione…cioè sarebbe cresciuta con i principi di quella religione di quella specifica
società cui essa apparteneva; oggi, invece, la religione diventa il risultato di una ricerca, di
una scelta individuale, cui l’uomo giunge tramite una ricerca; infatti, dice Donati, la
situazione attuale della società dopo-moderna è: primo punto, è una constatazione di fatto
43
→ l’uomo dopo moderno, rispetto all’uomo moderno, si è rimesso a cercare di nuovo Dio,
cioè non può fare a meno di Dio; quindi si è messo a cercare non solo il senso religioso di
Dio, ma anche il senso dell’uomo stesso, cioè cerca di trovare un senso alla propria vita,
cercando appunto, Dio nella propria vita. Qui subentra la proposta del Donati → non
parliamo più di una trascendenza immanente che ha caratterizzato la matrice teologica
della società moderna, che quindi ha considerato sacro solo ciò che poteva essere creato e
sperimentato dall’uomo, visto e toccato dall’uomo, non parliamo più di una trascendenza
trascendente, dove Dio è capace di governare la vita dell’uomo, ma resta sempre al di fuori
della vita terrena, resta sempre una mistero invisibile, una realtà inaccessibile all’uomo,
parliamo secondo Donati, nella società dopo-moderna di una nuova matrice teologica, una
matrice capace di mettere in relazione immanenza e trascendenza, due ambiti, due entità,
che non perdono la propria autenticità, restano due entità distinte, ma non in conflitto tra
loro, ma appunto in relazione.

Integrazione → un esempio di relazione tra immanenza e trascendenza → secondo Donati


esse possono incontrasi nella relazione tra gli uomini, intesa come un eccedersi, un
eccedere se stesso, fa l’esempio di un bambino piccolo che durante la sua crescita non può
conoscere se stesso se non attraverso la relazione con i suoi genitori. Quindi, egli supera la
sua immanenza, supera il proprio io individuale, si eccede, per donarsi, darsi
completamente alle sue figure di riferimento (genitori). Questo bambino, quindi, crescerà,
diventerà una persona responsabile e matura ed una brava persona. La responsabilità è
dovuta proprio alla capacità di conoscere se stessi attraverso la relazione con gli altri,
attraverso una relazione, fatta però, di dono e gratuità. Secondo Donati, solo donandomi
agli altri, mettendomi a disposizione degli altri, a servizio degli altri, potrò conoscere ancora
meglio me stesso e quindi sviluppare anche una personalità positiva, onesta.

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45
Capitolo 3.
Etica pubblica e trascendenza

Donati dedica il terzo capitolo dell’opera a mettere quest’ultima in rapporto con la


trascendenza, con l’obiettivo di progettare un’etica pubblica fondata sul realismo critico.
L’agire sociale richiama sempre la domanda sul bene e sul male. Infatti, problemi come
quelli della distribuzione della ricchezza, del rispetto della vita nascente nel grembo
materno, della costruzione di armi per lo sterminio di massa o della donazione di organi da
vivente, sono solo esemplificazioni delle innumerevoli volte in cui la vita sociale pone la
domanda se le decisioni devono essere lasciate all’etica individuale oppure richiedano
un’etica pubblica che le giudichi e le tratti in modo conveniente. Trattandosi di un approccio
sociologico, Donati prima di tutto riconosce l’etica pubblica come un fenomeno sociale
empirico, presente in ogni società, anche in negativo. Per esempio, anche dove fosse
imposta la regola secondo cui ciascuno si deve eticamente comportare secondo le proprie
preferenze individuali: «in tal caso la norma non sarebbe assente, ma sarebbe presente
nella forma di una regola che nega la possibilità di una regola comune» (p. 64).
Dal punto di vista empirico la maggioranza delle teorie, così come degli individui, riconosce
l’esigenza di un minimo di norme comuni, tuttavia discorda sul modo di intenderne
l’individuazione, il riconoscimento e l’attuazione. La difficoltà sta nel dove e come
individuare i principi o realtà legittimanti sui quali fondare l’etica pubblica nei diversi livelli,

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locale, nazionale o globale. Ciò porta Donati a sostenere che la trascendenza sia la chiave
per capire l’etica pubblica.
Se concettualmente “trascendenza” richiama una realtà di ordine superiore rispetto agli
individui in quanto singoli e in quanto associati, tale realtà può essere rappresentata
soprattutto in due forme (cfr. p. 65): la trascendenza-immanenza, cioè effetto emergente
della società che conferisce una qualità, spesso detta “sacra”, ad una realtà “fatta dalla
società”; e la trascendenza-trascendente, che fa appello a una realtà, divina o
soprannaturale, indipendente dal farsi del sociale e che viene prima e sta oltre la società.
Donati considera che fra le diverse proposte esistenti sul modo di tematizzare la relazione
fra etica pubblica e trascendenza, si deve lavorare per far emergere quella che meglio
capisca e corrisponda alla matrice teologica che sostiene la società dopomoderna,
caratterizzata da discontinuità con la modernità e distinta dalla cosiddetta postmodernità o
versione radicalizzata della modernità. In questo senso, la proposta dell’Autore non solo
rappresenta un contributo originale ai piuttosto rari studi sulla trascendenza nelle scienze
sociali, ma contribuisce significativamente ad approfondimenti successivi. L’Autore
dimostra che il dilemma moderno della trascendenza nell’etica pubblica non si è risolto
tramite la soluzione rational choice e nemmeno con il primato della società perché «la
trascendenza (religione) non è sociologicamente confinabile alla sfera privata e, d’altra
parte, non è identificabile con la società o costruibile dalla società» (p. 78). L’approccio
relazionale è una risposta valida al dilemma perché è maggiormente aperto al concetto di
trascendenza, «in quanto ritiene che, con le dovute accortezze e distinzioni, si possa e si
debba riflettere, osservare e verificare la relazione fra natura e sovranatura in modo da
mostrare le reciproche influenze a distanza» (p. 82). Donati sostiene che nell’età
dopomoderna emerge un’etica pubblica che può essere descritta in prima istanza come
fondata su un nuovo principio di laicità, il quale diventa possibile solo come
desecolarizzazione. Si tratta di «una etica pubblica laica basata sull’etica della persona
plurale (con una pluralità di appartenenze), anziché sull’etica dell’individualismo (lib) o del
collettivismo (lab). Nella nuova semantica, la laicità non consiste nell’essere indifferente alla
trascendenza-trascendente della religione, ma nel cogliere la relazione a distanza fra la
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religione e il mondo (no solo il mondo fisico, ma anche e soprattutto il mondo sociale)» (p.
91). Pertanto la chiave interpretativa per comprendere come nel campo dell’etica pubblica
non si possa dare né la sola immanenza, né una trascendenza puramente immanente, è la
qualità relazionale della realtà umana che, diversamente dalla realtà fisica, è insieme
immanente (fatta dalla società) e trascendente (fatta di realtà ultime che non sono create
dalla società).

La domanda principale del professore è: una società può esistere senza etica pubblica?

L’etica pubblica è l’insieme dei valori, dei principi e delle norme che regolano il
comportamento degli individui che appartengono a quella data società. La società non può
esistere senza un’etica pubblica, cioè senza una norma comune, infatti, Donati fa un
esempio → anche una società dove ognuno può comportarsi eticamente come vuole, dove
c’è libero arbitrio, non ci sono regole, valori e norme comuni, anche in quella società, c’è
comunque una norma comune, che autorizza chiunque a comportarsi secondo le proprie
preferenze individuali, senza però, ovviamente, ledere la libertà altrui…io mi comporto
come voglio, purchè però rispetto anche la libertà dell’altro, anche l’altro deve potersi
comportare come vuole, quindi io non devo interferire con la libertà altrui. Anche una
società dove ciascuno è libero di comportarsi liberamente, comunque sottende, anche se
non la palesa, una norma comune → quindi non può esistere una società senza un’etica
pubblica. C’è ovviamente, dice Donati, un’etica anonima, cioè l’esempio di una società in
cui vige il libero arbitrio; c’è poi, un’etica pubblica, ed è quella proposta da Donati,
caratterizzata appunto da una relazione fra immanenza e trascendenza che è l’etica
religiosamente qualificata → Donati dice che mentre la società moderna ha fallito perché
ha fatto fede ad un’etica pubblica neutrale, cioè dove ha voluto fare a meno della religione,
e quindi la religione è diventata una scelta individuale, perdendo ancora una volta di
48
credibilità, nella società dopo moderna, invece, si sente il bisogno di fondare una nuova
etica pubblica, che sia capace di richiamare di nuovo la religione, o meglio, le religioni,
perché oggi si parla infatti di più appartenenze religiose…quindi l’auspicio è che possa
nascere un’etica pubblica che sia capace di chiedere di nuovo alle religioni un contributo
nella formulazione di nuovi valori, di nuovi principi e di nuove norme che poi andranno a
condizionare, ad influenzare il comportamento dei singoli…un’etica pubblica, pertanto, che
sia in grado di favorire il dialogo fra le religioni, che non più rivestono un ruolo passivo nella
società, ma, al contrario, rivestono di nuovo un ruolo attivo. Qui ci sono i 4 esempi che
Donati mette in evidenza, per meglio intendere in cosa consiste l’etica pubblica
religiosamente qualificata.
Una società in cui non ci sia un’etica pubblica religiosamente qualificata, come fa a decidere
e garantire la distribuzione della ricchezza? A quale principi deve richiamarsi? Ad un’etica
pubblica o individuale? Il donatore che vuole donare i suoi organi a quale principi deve
appellarsi? Una donna che sta per diventare madre, rispetto a quali valori, può decidere se
far nascere quella creatura oppure no? Uno stato di fronte alla decisione se costruire o
meno armi di distruzione di massa, rispetto a quale principio può richiamarsi per effettuare
una decisione responsabile? La risposta del Donati è rispetto ad un’etica pubblica che sia
religiosamente qualifica e rispetto, quindi, al principio della relazione. quindi, lo Stato che
voglia garantire un’equa distribuzione della ricchezza deve richiamarsi al principio della
solidarietà, della sussidiarietà; una donna che sta per diventare madre e rispetta il principio
della tutela della vita, del rispetto della vita altrui per decidere o meno se portare avanti la
gravidanza; un donatore, prima ancora di scegliere di donare i propri organi, deve tenere
presente il principio della integrità della propria vita, rispetto alla quale può donare gli
organi sempre nel rispetto della propria vita e quindi, poi, fa la propria scelta anche in base
al principio dell’altruismo. Uno stato che deve decidere di costruire o meno armi di
distruzione di massa, deve richiamarsi al principio della cooperazione, della solidarietà con
gli altri stati; l’Onu, per esempio, nasce proprio equilibrare queste scelte che si devono
richiamare al principio del valore fondamentale della dignità umana. Come notiamo, per il

49
Donati è fondamentale fondare nella società dopo moderna un’etica pubblica che sia
religiosamente qualificata e che quindi si appelli al principio della relazione.

Premessa.

Nella vita sociale siamo spesso chiamati a dare un giudizio etico: dire se una determinata
cosa (azione, tato di cose, ecc...) sia un bene o un male e dire che cosa si dovrebbe fare a
riguardo di tale cosa → ossia come un attore pubblico dovrebbe comportarsi nei suoi
confronti.

L’etica pubblica riguarda sia il giudizio etico sia le conseguenze pratico- normative che ne
conseguono. Se il criterio etico è soggettivo allora non si ha etica pubblica oggettivamente
valida per tutti. Se si valorizza una qualche forma di etica individuale si mette in dubbio il
fatto che esistano e possano esistere delle norme e dei giudizi validi per tutti (un bene
oggettivato per tutti).

Ad oggi, le posizioni di carattere soggettivo sono le più diffuse ▶ queste visioni sottolineano
il fatto che la norma pubblica limita e distorce sempre il senso soggettivo intenzionato
dell’individuo, che trascende sempre la norma.

L’etica pubblica non soggettivistica nasce quando dalla necessità che debbano esistere dei
valori e norme che valgono per l’insieme di individui che si trovano a condividere uno
spazio sociale o una situazione.

Come si individuano i valori e le norme che valgono per tutti? Quale senso/ significato
dev’essere loro attribuito?

Entra in causa il problema del PRINCIPIO della TRASCENDENZA. Premesso quindi che valori
e norme validi per tutti siano necessari ▶ ci si deve chiedere SE i compresenti possano
50
costruire da soli l’etica pubblica di cui si parla oppure SE abbiano bisogno di appellarsi ad un
qualche principio che li trascenda = ossia che trascenda le singole soggettività degli
individui. ▶ ▶ ▶ questo si chiama il DILEMMA DELLA TRASCENDENZA NELL’ETICA
PUBBLICA.

1° esempio → distribuzione della ricchezza → alcuni anziani godono di pensioni d’oro,


mentre altri vivono in povertà. Ci si chiede se:
 sia una situazione che debba essere lasciata all’etica individuale = ossia che ciascuno la
giudichi come vuole in base ai propri sentimenti, oppure in base al principio che gli uni e
gli altri si sono meritati la situazione che si ritrovano - visione dei meritocrati;
 sia una situazione che richieda un’etica pubblica che la giudichi e la gestisca in modo
opportuno. E se il principio di giustizia che viene invocato possa essere solo immanente
o richieda una trascendenza e trascendenza rispetto a chi (ai soli soggetti coinvolti o
anche alla società di riferimento).

2° esempio → rispetto della vita umana → il feto nel grembo materno è:


 qualcosa che dobbiamo ritenere oggetto di un giudizio e di una scelta etica individuale
(della donna stessa e degli altri individui che partecipano alla situazione);
 qualcosa che esige il riconoscimento di un valore pubblico e quindi richiede una norma
di tutela pubblica e anche qui se il principio di giustizia che viene invocato possa essere
solo immanente o richieda una trascendenza e trascendenza rispetto a chi (ai soli
soggetti coinvolti o anche alla società di riferimento).

3° esempio → costruzione di armi per lo sterminio di massa ▶ quando uno stato decide di
munirsi di esse con il pretesto di difendersi da stati che già le posseggono, questo
comportamento:
 deve essere considerato oggetto di una scelta etica che spetta al singolo stato;
 deve essere valutato e trattato secondo una norma valida per la sfera pubblica
internazionale.
51
In questo caso c’è bisogno di un principio immanente o trascendente?

4° esempio → donazione di organi da vivente ▶ una persona decide di donare un organo ad


una persona malata:
 faccenda privata
 richiede una regolamentazione pubblica. In questo caso qual è la sua base di
legittimazione?
Può essere solo scientifica o anche umanitaria?

In tutti questi esempi emerge sempre un dilemma: l’etica pubblica è necessaria? Su quali
principi legittimanti può essere fondata? Inoltre bisognerebbe distinguere fra vari contesti
(nazionale, internazionale, globale). Se si ritiene che un’etica pubblica NON sia necessaria,
la società è fortemente individualistica (atomizzata) = una società anomica (Durkheim) che
inevitabilmente condurrà a gravi problemi sociali e quindi al collasso della società in
questione.

Donati è fondamentale fondare nella società dopo moderna un’etica pubblica che sia
religiosamente qualificata e che quindi si appelli al principio della relazione.

È senz’altro vero quindi che: ogni società, per esistere nel tempo, ha bisogno di un’etica
pubblica.

Come nasce e si fonda l’etica pubblica?

Dal punto di vista sociologico, l’etica pubblica è un fenomeno sociale empirico ▶ la


sociologia afferma che un’etica pubblica esiste SEMPRE, in qualsiasi società. Essa esiste
anche in negativo ▶ ad esempio nelle società in cui l’opinione pubblica impone la regola
secondo la quale ciascuno si deve eticamente comportare secondo le proprie preferenze

52
individuali: anche qui la norma NON è assente, infatti essa è presente nella forma di una
regola che nega la possibilità di una regola comune.

L’autore si propone di capire quali tipi di etica pubblica esistano empiricamente e quale sia
la loro consistenza alla luce del fatto che incorporano o meno un principio trascendente (e
se sì quale).
Possiamo individuare 3 assi distintivi: distinguendo l’etica come criterio di giudizio e
normativo:
1) individuale o pubblico;
2) Convenzionale o oggettivo;
3) Immanente o trascendente.
Come già anticipato, in tutte le società si vede l’esigenza di un minimo di norme comuni MA
diverso è il modo di intendere la loro individuazione ed attuazione. C’è chi pensa l’etica
pubblica come la garanzia per gli individui di poter avere il diritto di seguire sempre il
proprio individuale criterio etico; c’è chi pensa invece che in tal modo non si possa arrivare
ad un’etica giusta e soddisfacente e quindi sostengono che bisogna basarsi su un principio
che trascende gli individui. Rispetto a questa seconda visione ▶ ci si pone il problema se
questo principio trascendente è costruito dalla società oppure eccede le forze della società.
Il concetto di TRASCENDENZA richiama una realtà di ordine superiore agli individui, sia in
quanto singoli che in quanto associati (in una società di riferimento). Questa realtà
superiore può essere rappresentata in 2 modi:
1) Trascendenza immanente: come effetto emergente della società ▶ ha un carattere
immanente perché conferisce una qualità sacra alla realtà fatta dalla società;
2) Trascendenza trascendete: come qualità che trascende in quanto fa appello a qualcosa
che viene prima e va oltre la società (una realtà divina o soprannaturale indipendente dal
farsi del sociale).

Tutte le teorie sociologiche hanno affrontato e tutt’ora affrontano il problema della


trascendenza in tanti modi diversi che possono essere classificati in 3 generi:
53
1) Teorie che aderiscono all’individualismo metodologico;
2) Teorie che aderiscono all’olismo metodologico;
3) Teorie che aderiscono all’approccio relazionale.

NB: Questi 3 generi si ESCLUDONO A VICENDA. Solo l’approccio relazionale è in grado di


trattare adeguatamente il problema della trascendenza nella sua più profonda complessità.
In merito al problema di tematizzare la relazione fra etica pubblica e trascendenza vi sono 4
tesi:

1° tesi → la prima tesi afferma che la società occidentale moderna è l’unico tipo di società,
storicamente esistita su larga scala, che ha operato un totale ribaltamento passando da un
ordine socioculturale fondato sul principio di trascendenza ad un ordine puramente
immanente al mondo sociale. Le conseguenze di tale passaggio (secolarizzazione) sono
state deleterie e sono in particolare emerse:
 nel XX sec.: guerre mondiali e regimi totalitari;
 nel mondo moderno ▶ perdita di identità dell’uomo moderno, povertà e miserie dovute
alla globalizzazione;
 declino della dominazione dell’Occidente come sistema socio- culturale.

La fine del ‘900 è stata segnata dalla crisi del tentativo della modernità di prescindere da un
principio di trascendenza- trascendente nel costruire l’etica pubblica. Il postmoderno è
stato ed è l’esaltazione di una condizione umana e sociale caratterizzata da rischi,
incertezze e disorientamenti che derivano dal fatto che l’etica pubblica, in tale società, è
priva di qualunque fondamento realmente trascendente e si regge SOLO su convenzioni
provvisorie e pragmatiche.

2° tesi → La seconda tesi afferma che il motivo principale per cui la modernità occidentale
non può risolvere

54
il problema che essa stessa genera (= ossia di NON riuscire a costruire un’etica pubblica
universalistica e dotata di indiscussa legittimazione morale condivisa) sta nel fatto che essa
ha tentato di PRIVATIZZARE LA RELIGIONE ▶ dato che socialmente la religione NON può
essere privatizzata ▶ questo fatto genera un conflitto permanente fra le diverse etiche
pubbliche (sia fra quelle prive di’ trascendenza, sia fra quelle che si ispirano a qualche
trascendenza) → ciascuno ha tentato di vivere la propria religiosità in maniera personale,
senza richiamarsi a valori comuni.

3° tesi → La terza tesi sostiene che, contrariamente a quanto oggi molti ritengono, le
religioni politiche (quali ad esempio i totalitarismo del XX secolo) NON sono realmente
morte ▶ ma con la crisi della modernità, esse tornano alla ribalta in forme inedite,
esperienze di sacralizzazione della politica da parte di movimenti e regimi che hanno
adottato un sistema di credenze, espresso attraverso riti e simboli, per formare una
coscienza collettiva secondo i principi, i valori e i fini della propria ideologia. La
sacralizzazione della politica si manifesta quando a un’entità politica astratta - la nazione, lo
Stato, la 'razza', la classe, il partito - sono attribuite le caratteristiche di un'entità sacra, che
diventa oggetto di fede, di culto, di dedizione collettiva; essa tuttavia, NON è da confondersi
con il fondamentalismo religioso = che consiste in reviviscenze di mondi culturali
premoderni privi di speranze sul futuro.

4° tesi → La quarta tesi è espressa sotto forma di ipotesi: se è vero che ogni soc. ha una sua
matrice teologica ▶ bisogna capire quale matrice teologica faccia da supporto alla società
dopomoderna. L’ipotesi di Donati è che la categoria della trascendenza si identifica con la
fondamentale esigenza (che non ammette equivalenti o sostituti funzionali) di una
relazionalità interumana che consiste sia in un andare oltre, sia in uno scendere fra i termini
che, stando in relazione, creano interrogativi etici. Nonostante le scienze umane arrivino al
massimo a riconoscere un principio di trascendenza immanente, secondo Donati, per la
stessa natura relazionale della realtà ▶ qualora si riesca a rappresentare la relazione
sociale nella latenza del sistema culturale, diventa necessario chiamare in causa un
55
principio di trascendenza- trascendente. → la tesi proposta da Donati è che occorre
costruire un’etica pubblica religiosamente qualificata fondata sulla relazione.

La modernità fa emergere molte etiche pubbliche, convenzionali o senza trascendenza o a


trascendenza immanente. Il loro significato e la loro capacità di integrazione sociale ed i
beni che possono creare sono di fatto cronicamente deficitari e notevolmente inferiori a
quelli delle etiche pubbliche che si ispirano ad un principio di trascendenza-trascendente ▶
risulta quindi necessario che la società adotti un principio di trascendenza trascendente ▶
▶ ▶ il problema è capire quali forme e contenuti possa e debba assumere il principio di
trascendenza trascendente per garantire:
 una società più civile ossia più capace di riconoscere l’altro;
 una democrazia più sostanziale cioè basata su valori oggettivi e non relativistici.

Gli studi sul principio di trascendenza nelle scienze sociali sono rari, Donati giunge ad una
sua personanale ipotesi secondo la quale è indispensabile considerare la realtà tutta
relazionale → in tal senso la trascendenza,deve essere letta non solo come “andare
oltre”(verso l’invisibile, il non tangibile), ma anche come “scendere tra”, ossia come
possibilità di scendere dentro gli ambiti del sociale (diritto, politica…), perché se ciò non
avvenisse, la società non avrebbe principi e norme morali universalistiche cui riferirsi per
operare scelte importanti (vedi esempi aborto, armi, donazione organi). → la relazione è la
formula di trascendenza indispensabile per comprendere tutti gli aspetti della società
moderna, anche qualli più paradossali.

2. Un’etica pubblica senza trascendenza?

Secondo Donati non è possibile pensare all’esistenza di un’etica pubblica senza l’elemento
trascendente. Donati afferma che l’etica pubblica moderna oscilla tra il rischio di anomia
dell’individualismo e il rischio dei totalitarismi delle fonti normative. Ciò detto sottolinea
che l’etica pubblica moderna priva di trascendenza è un vuoto, così come nel caso di
56
trascendenza immanente → l’unica strada possibile è il ricorso ad una trascendenza
trascendente, poiché soltanto essa può compiere due operazioni apparentemente opposte,
cioè essere valida per tutti, senza per questo estraniare l’individuo. Il principio di
trascendenza trascendente è il solo che può rompere la chiusura del circolo ermeneutico
proprio della sociologia contemporanea → in tal senso l’approccio relazionale è una
risposta valida al dilemma perché è maggiormente aperto al concetto di trascendenza, «in
quanto ritiene che, con le dovute accortezze e distinzioni, si possa e si debba riflettere,
osservare e verificare la relazione fra natura e sovranatura in modo da mostrare le
reciproche influenze a distanza» (p. 82). → La chiave interpretativa per comprendere come
nel campo dell’etica pubblica non si possa dare né la sola immanenza, né una trascendenza
puramente immanente, è la qualità relazionale della realtà umana che, diversamente dalla
realtà fisica, è insieme immanente (fatta dalla società) e trascendente (fatta di realtà ultime
che non sono create dalla società).

3. Le religioni politiche non sono morte

C’è stato un tempo in cui le religioni erano politiche, era il tempo pre-moderno, in cui la
politica e la religione non erano differenziate, per cui l’etica pubblica era quella
comunitaria. Tale sistema è ancora visibile in alcune realtà del terzo e del quarto mondo,
ad esempio l’Islam tradizionale è esemplificativo di persistente religione politica, che non
tende a modernizzarsi.

Nella società occidentale moderna, la politicità della religione viene confinata al privato;
l’etica pubblica, quindi, diventa laica, se e in quanto è immanente. Laico è inteso come ciò
che prescinde dal punto di vista religioso ed è indifferente ad esso, pensando
(erroneamente) in tal modo di diventare indifferente rispetto alle categorie del bene e del
male.

57
Nella società postmoderna la politicità della religione ricompare sotto varie forme (ad
esempio fondamentalismo religioso e settarismo); si crea un mix di trascendenza ed
immanenza, ma il problema che si rende evidente è che l’etica pubblica non può fare a
meno di Dio (trascendenza), ma non sa come coniugare l’aspetto religioso con quello
pubblico. Secondo Donati → ipotizza che sia necessario, per coniugare questi due aspetti,
mettere in relazione i due termini, senza che l’uno prevarichi sull’altro e senza confonderli
→ nella società dopo moderna, infatti, i due elementi sono compresenti e sinergici e
fondano la loro relazione a partire dalla domanda che ogni società si pone, cioè “Dov’è
Dio?”, vale a dire sul fatto che ogni società ha una propria matrice teologica. Ogni società,
infatti, risponde a tale domanda in modo proprio, in relazione a come il suo sistema
culturale di riferimento interpreta la trascendenza → l’etica pubblica nelle società dopo
moderne può essere elaborata solo attraverso un dialogo tra culture religione.

Dire che le religioni politiche non sono veramente morte equivale a dire che la
differenziazione tra religione e politica genera un nuovo principio di laicità, basato una
relazione nuova tra immanenza e trascendenza, in cui la trascendenza può assumere un
nuovo carattere laico, cioè quello di una laicità consistente nel relazionare il razionale con
ciò che è sovra-razionale, senza separarli, né confonderli, ma solo mettendoli in relazione.
In tal senso la laicità dopo moderna è possibile solo attuando un processo di de-
secolarizzazione (ritorno alla religione).

4. La matrice teologica della società dopomoderna

L’occidente ha elaborato un principio di trascendenza che non è puramente naturalistico, e


che vige da fondamento dell’etica pubblica. Tale principio che si è formato attraverso
l’innesto tra religione ebraica, cristiana e filosofia greca, va incontro ad un processo di
differenziazione sia verso l’interno sia verso l’esterno (è cioè intra e inter individuale). Ciò
conduce a due immediate conseguente:

58
1. la nascita di una nuova laicità → Dire che le religioni politiche non sono veramente
morte equivale a dire che la differenziazione tra religione e politica genera un nuovo
principio di laicità, basato una relazione nuova tra immanenza e trascendenza, in cui la
trascendenza può assumere un nuovo carattere laico, cioè quello di una laicità consistente
nel relazionare il razionale con ciò che è sovra-razionale, senza separarli, né confonderli, ma
solo mettendoli in relazione. In tal senso la laicità dopo moderna è possibile solo attuando
un processo di de-secolarizzazione (ritorno alla religione).

2. la nascita di un nuovo codice simbolico per trattare la trascendenza come relazione tra
l’interno e l’esterna della realtà.

Nell’età dopo moderna emerge un’etica pubblica fondata su un nuovo principio di laicità,
che diventa possibile solo come de-secolarizzazione → ciò secondo Donati si rende possibile
solo nella misura in cui nella società dopo moderna emerge una nuova matrice teologica , in
cui il principio di trascendenza è declinato come principio relazionale, che genere un’etica
pubblica fondata sull’idea dell’etica della persona plurale, anziché sull’individualismo (lib) o
sul collettivismo (lab). La categoria della trascendenza, dunque, diventa relazionale e può
essere coniugata solo in rapporto alla categoria dell’immanenza, perché solo in questo
modo diventa comprensibile.
Il principio di trascendenza è configurabile, quindi, come un principio che va oltre l’alterità,
ma anche che scende tra le alterità → è indispensabile quindi, che l’etica abbia alla sua
base il principio di riconoscimento dell’Altro. In tal senso, si può affermare che la
trascendenza è la necessità ontologica (cioè riguardante la natura e la conoscenza
dell'essere come oggetto in sé) della relazione : essa esiste solo e necessariamente nella
relazione, insieme alla relazione ed attraverso di essa. Ciò spiega perché il riconoscimento
e la promozione del valore dell’altro, acquistano senso solo se concepite in un’ottica
relazionale e diventano il tramite del principio di trascendenza insisto nella relazione stessa.

59
L’altro non è mai uguale a me; è diverso da me, e se si vuole coesistere, occorre creare
un’etica pubblica che dia all’Ego ed all’Alter pari dignità morale e giuridica. L’Ego non può
rispettare l’Alter se non lo vede attraverso la trascendenza della sua uguale dignità. Ego e
Alter sono uniti da un terzo termine (la relazione), che sono generati come realtà comune,
che li distingue e li unisce. In tal senso la relazione è sempre triadica.

Riferendosi ai 4 esempio proposti da Donati ad apertura del capitolo, allora si può meglio
specificare che:
1. per quanto concerne la distribuzione delle pensioni, occorre rispettare il criterio della
contribuzione personale, ma entro i limiti imposti non solo dal riconoscimento del merito,
ma anche del bene comune e della solidarietà, quindi non solamente secondo un criterio
individuale, ma anche relazionale (tenendo in considerazione i diritti umani e sociali degli
altri);

2. nel caso della vita umana, vale il criterio precedente, cioè il diritto individuale di esistere
si esercita in relazione agli altri, ciò vuol dire che nessuno può fare della nascita di una
nuova creatura un diritto esclusivamente individualistico, poichè la vita che nasce richiama
di per sé un principio di relazione all’Altro.

3. circa la questione degli armamenti, non possono valere solo criteri di forza; occorre
piuttosto richiamarsi ad un’etica pubblica fondata sull’idea di uguale dignità tra i soggetti,
che non può essere imposta da nessuno, ma costruita nella relazione, ad esempio tra gli
Stati membri dell’ONU.

4. nel caso della donazione degli organi, occorre richiamare ad un principio di trascendenza
che consenta di non valicare i limiti del rispetto dei diritti umani.

Questi esempio ci fanno comprendere la necessità di richiamarsi ad un principio di


tolleranza che implica, il riconoscimento da parte di tutti i partecipanti (alla relazione)
60
dell’esistenza di “valori di principio” validi per tutti ed indispensabili per l’apertura empatica
all’altro.

Per concludere, potremmo sintetizzare dicendo che la qualità relazionale della realtà
umana è insieme immanente e trascendente → quindi nel campo dell’etica pubblica non si
può usare in maniera esclusiva né l’immanenza né la trascendenza puramente immanente,
ma ci si deve richiamare ad un principio di trascendenza trascendente. Trascendente è la
proprietà delle relazioni in quanto agire reciproco, per cui tanto più si avvicinano i termini e
si fanno interagire, tanto più si esalta la distanza tra di loro.

61
Capitolo 4.
Pensare la società civile come sfera pubblica religiosamente qualificata

Nel quarto capitolo Donati sviluppa un’interessante riflessione su quale spazio ci sia oggi
per una sfera pubblica che possa essere basata su valori universali non incompatibili o
indifferenti verso la/le religione/i, dato che «la relazione fra religione e democrazia che è
stata tipica della modernità non regge più» (p. 112). La sua tesi è che dobbiamo «scegliere
fra una sfera pubblica dominata da un’ulteriore standardizzazione mercantile, ancora più
alienante di oggi, e una sfera pubblica “religiosamente qualificata” in cui la democrazia si
configuri come governo sussidiario ad una società civile che si alimenta attraverso il fiorire
di comunità religiose che hanno un interesse comune, e perfino un’identità comune,
nell’evitare la fine di ogni umanesimo» (p. 115). Sostiene che si potrà parlare di altre
modernità, sensibili alla religione e anzi tali da richiedere il contributo della religione per
cementare la sfera pubblica, se e solo se si abbandonano alcuni presupposti della
modernità ma conservandone le migliori acquisizioni, vale a dire, se si reintegrano i valori
religiosi nella sfera pubblica. Solo così – conclude – si chiarirebbe la soluzione del chiamato
“scontro fra civilizzazioni” e la democrazia eviterebbe di cadere in forme di dominio o di
disintegrazione societaria. Bisogna dunque tenere presente che nella dopomodernità il
codice simbolico della democrazia e quello della religione non si possono escludere a
vicenda. Secondo l’Autore il modello di relazione da sviluppare – e che è già in fieri – è
quello del pluralismo societario, che pone il rapporto fra religione e democrazia in termini
62
di differenziazione fra sfere che hanno delle qualità sui generis. Perciò egli interpreta la
disputa globalizzazione vs integrazione sociale locale come espressione del contrasto fra
sfera pubblica eticamente neutrale (alimentata dalla globalizzazione) e una sfera pubblica
eticamente qualificata (attraverso la fioritura di un pluralismo sinergico delle comunità
religiose). In questo contesto, la democrazia deve scegliere se affidarsi all’una o all’altra. Lo
Stato democratico deve decidere se continuare sulla scia hobbesiana, esercitando il suo
potere basandosi su accordi, concordati con le singole religioni, oppure se lasciare maggiore
autonomia alla società civile, riconoscendo gli accordi che possono stabilirsi fra religioni
diverse e fra soggetti propri di società civili, e aprendosi così alla possibilità di una nuova
sfera pubblica, in cui i soggetti non affidano tutto il loro potere politico allo Stato. Dal canto
suo, la religione troverebbe le condizioni per farsi promotrice di un dialogo fra diverse
denominazioni religiose e per sostenere una sfera pubblica ispirata a tale dialogo,
contribuendo con ciò a creare uno Stato democratico plurale basato su alcuni valori ultimi
affermati per consenso dalle e fra le differenti religioni. È questa la strategia che potrebbe
produrre quella che Donati chiama una sfera religiosamente qualificata, cioè una sfera di
laicità religiosamente ispirata, diversa dall’idea di una religione civile (cfr. pp. 145-146). Si
tratta di una sfera regolata da una tolleranza reciproca che si fonda non tanto sui
presupposti di neutralità e indifferenza tipici del liberalismo moderno, ma sui presupposti di
una tolleranza attiva e promotrice dei valori religiosi. «È la sfera della tolleranza basata su
principi che hanno un fondamento comune fra le religioni nella misura in cui queste sono
capaci di trascendenza, nel rapporto con la realtà e con la verità sull’essere umano» (p.
145). Quindi, la laicità della sfera pubblica di cui parla Donati è una «capacità di dialogo e
tolleranza attiva fra posizioni che non devono dismettere la loro fede per poter entrare in
questo spazio, come invece ha chiesto la modernità» (p. 155). Una laicità costruita, dunque,
sul presupposto che sia possibile un incontro tra fede e ragione non solo all’interno di ogni
religione, ma anche – e per riflesso – nel dialogo fra religioni, in particolare nella relazione
fra la ragione interna ad ogni fede e le altre ragioni. Con questo presupposto diventa
praticamente possibile un sano pluralismo religioso su cui costruire un ordine giuridico
rispettoso della qualificazione religiosa della sfera pubblica.
63
1. La Religione davanti alla società civile e allo stato

Il terzo millennio si apre con una società multietnica, multiculturale con tante appartenenze
religiose. Si tratta di una società globalizzata.
La società come ha risposto davanti al problema della convivenza? Come cerca di garantire
che più religioni possano convivere insieme nella stessa società? La società ha dato diverse
risposte:
- nella prima troviamo una guerra permanente di religioni (pensiamo all’islam, al medio
oriente, alle guerre islamiche);

- una seconda risposta è data da una forma di politeismo: lo stato ha cercato di prendere
da ogni religione qualcosa, facendo una sorta di mescolanza fino a formare una sorta di
politeismo; l’effetto negativo, per le religioni è che non viene rispettata l’identità delle
singole religioni, come dire che tutte le religioni sono diverse, ma allo stesso tempo sono
uguali;

- la terza risposta è che lo stato ha definito la religione come una scelta individuale,
privata, quindi la religione è una questione che riguarda solamente pochi, cioè coloro
che continuano a credere in un’entità misteriosa e che pertanto formano delle piccole
comunità dove possono professare il loro credo religioso.
Donati descrive il rapporto tra religione e democrazia come estremamente conflittuale,
fin da quando è nata l’idea stessa di democrazia come regime fondato sulla separazione
tra potere religioso e politico. All’inizio della modernità (XVI/XVII e anche XVIII sec.)
prevalsero i tentativi di ricondurre lo stato sotto il potere della religione, oppure,
viceversa, di ricondurre la religione sotto il potere dello stato. Si è arrivarti pian piano a
considerare la religione come un ostacolo (Illuminismo), per cui si è relegata la religione
a sfera puramente privata, separata da quella politica. Donati descrive due modelli di

64
società nell’impostazione moderna, nelle quali il potere politico sembra doversi
immunizzare dalla religione, (divenendo sfera privata):
o modello americano: la religione è considerata un fondamento autonomo della
società, ma la si concepisce come ricerca individuale, distaccata, quindi, dal raggio
d’azione dello stato. Anche in apparenza gli stati uniti sembrano essere l’esempio
più significativo di società multi religiosa, in realtà non hanno mai avuto un vero
fondamento religioso, ma semmai illuministico. Ad oggi la democrazia si è andata
pian piano secolarizzando, tanto che a religione non occupa alcuno spazio nella
vita pubblica.
o modello europeo: la religione appare come una delle forze soggettive ed oggettive
che debbono trovare una loro attuazione nello Stato. In questo modello, la
religione è passata dall’essere controllata dallo Stato, all’essere messa all’angolo
poiché è prevalsa l’idea che la democrazia deve essere indifferente alle scelte
religiose, rilevanti solo nella sfera privata.

- La quarta risposta è quella proposta da Donati: cioè cercare di formare una sfera
pubblica laica, che sia religiosamente qualificata. Cosa intende per laica il Donati?, per
laica Donati non intende una sfera antireligiosa, ma una caratteristica che lui attribuisce
alla democrazia della società attuale, una democrazia che deve essere capace di
alimentarsi, quindi di svilupparsi, tramite il dialogo delle religioni. Questa proposta
secondo Donati, è una soluzione a tutti i problemi che sono nati dalle 3 risposte
precedenti (le guerre di religione non portano a nulla di buono, ma solo alla distruzione
di massa, dell’umanità). Attraverso quale principio, quindi, l’etica pubblica laica deve
poter fondare nuove regole, nuovi principi e valori, per evitare i conflitti tra le religioni?
Attraverso quello che Donati chiama il principio di tolleranza religiosa, che non vuole
dire restare indifferenti alle altre religioni, o considerare le religioni tutte uguale, ma
accettare la diversità, felicemente ed in maniera consapevole; è come quasi dire che il
principio di tolleranza religiosa lo possiamo spiegare in termini semplici :“io accetto te
perché tu sei diverso quanto me, quindi io ti tollero, ma non nel senso che devo
65
difendermi da te, per cui mi chiudo in me stesso e non ti considero, ti ignoro, perché la
non considerazione delle diversità altrui genera intolleranze e diseguaglianze; la
tolleranza religiosa genera relazione, accettazione e quindi una convivenza pacifica tra le
religioni.

2. La religione e la democrazia politica

La società dopo moderna si pone la domanda che posto deve occupare la religione? o
meglio la religione deve continuare ad essere considerata un ostacolo nella società dopo
moderna oppure la strada migliore per perseguire il bene comune? Se viene considerata
come un ostacolo, allora si continuerà nella strada già avviata nella società moderna, quindi
indifferenza verso le religioni ed alla peggio, intolleranza verso le religioni diverse dal mio
credo religioso; se invece, nella società dopo moderna si pensa che le religioni possono
contribuire per una nuova etica pubblica, allora si deve cominciare a pensare alle religioni
come una via importante attraverso la quale poter raggiungere il bene comune dell’intera
società. Vengono proposte tre vie, ognuna delle quali presenta delle criticità:
1) si passa da un’etica anonima, in cui ognuno si comporta liberamente come vuole, non
interessandosi delle scelte dell’altro, e la religione viene considerata come un sistema di
credenze che fanno capo ad una piccola comunità e non alla società,
2) ad una democrazia eticamente qualificata, in cui la religione viene definita come sistema
di fede e di vita che deve accreditarsi sulla base di alcuni requisiti etici fondamentali, che
devono trovare riconoscimento nella comunità politica, cui spetta il compito di perseguire il
bene comune.
3) Donati descrive l’esistenza di una terza via, teorizzata da Walzer, definita pluralizzazione
delle sfere sociali, che mette in luce la difficoltà di perseguire entrambe le precedenti
prospettive. Essa propone di riconoscere ogni sfera sociale (inclusa la religione) come
dotata di un proprio codice contestuale della giustizia. Ma Walzer non chiarisce il modo in
cui le sfere possano evitare di scontrarsi quando agiscono nella sfera pubblica comune.

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Donati a conclusione della presentazione di queste tre vie, sottolinea ancora una volta la
complessità del rapporto tra religione e sfera pubblica, arrivando a sostenere la necessità di
esse dialoghino tra di loro, a patto ch non si escludano a vicenda.
Secondo Donati, la religione diventa un fattore positivo per lo sviluppo della democrazia se
è in grado contribuire a creare una società civile in cui il potere politico e religioso siano
differenziati ed in cui la religione ha la possibilità di influenzare la politica con le sue scelte,
poiché risente del contributo di tutti, ma senza prevalere o prevaricare sulla politica. Se la
democrazia rimane priva di fede, di fiducia, di credenza in valori che non siano meramente
strutturali e procedurali (come si rivela essere nella situazione attuale), essa scopre di avere
fortemente devitalizzato la società civile, al punto da dover osservare che la sfera pubblica
è morta. È chiaro che il rapporto tra religione e democrazia è complesso, ma fondamentale.
Il terreno di comune confronto ed interesse è il funzionamento della sfera pubblica ed in
particolar modo lo sviluppo dei diritti umani, tanto che Donati sostiene che occorre un
volto umano della democrazia (società dell’umano). La democrazia deve riconoscere le
identità culturali, non può essere culturalmente neutra, ma invece deve essere impegnata a
alimentare il rispetto delle identità culturali ed in questo può essere aiutata dalla religione,
che porta a rispettare le sfere civili e le identità culturali senza colonizzarle o invaderle.

3. Stato, Società civile e religione

Donati, poi, parla del rapporto tra stato società e religione, e dice che man mano che la
società è diventata sempre più complessa il rapporto tra stato e religione è diventato
sempre più conflittuale.
- Nella società primitiva (pre-moderna), lo stato e la chiesa formavano un tutt’uno. Il
rapporto tra stato e chiesa, il Donati lo chiama semantica di gerarchia, cioè la chiesa ha
dominato sulla vita dei singoli cittadini, c’era proprio una gerarchia da rispettare
nell’organizzazione della società. Essa è prevalsa in Europa e nei paesi non occidentali.

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- Successivamente con la società moderna, la religione è andata perdendo la sua
importanza e così anche la chiesa; c’è stata, quindi, una scissione tra stato e chiesa che il
Donati, chiama semantica della differenziazione funzionale: ognuno ha iniziato a crearsi
uno spazio proprio, fintanto che la religione è diventata un fatto del tutto privato, che
riguarda il singolo, il piccolo gruppo, ma non l’intera società. Si è cercato di distinguere
nettamente le funzioni di ciascuna di esse, in modo da avere il minimo di interferenza
possibile. È il caso americano.

Nella società contemporanea non è possibile applicare nessuna delle due posizioni perché
la società dopo moderna si è denormativizzata e perché le relazioni non possono più essere
regolate solo dalla mera funzionalità. Occorre quindi cercare una nuova semantica. A tal
proposito, Donati si auspica il ricorso nella società dopomoderna, ad una semantica del
pluralismo societario, ossia una semantica relazionale, in cui lo stato entra in
comunicazione con la chiesa, con le religioni; una comunicazione, però che non deve essere
fatta di compromessi, ma di relazione, dove lo stato deve superare la propria immanenza,
per relazionarsi con la trascendenza. Una delle sfere è quella del mercato (le altre sono:
sistema politico democratico, società civile e religioni visibili); Donati chiarisce che se non si
vuole incorrere in un mero processo di spersonalizzazione e mercificazione (portati dalla
globalizzazione) è necessario che il sistema politico democratico faccia ricorso alla religione
e/o alla società civile per contrastare tali fenomeni.
Con la nozione pluralismo societario, Donati chiarisce che nella società moderna con il
principio di trascendenza immanente è accaduto che l’uomo è stato completamente
sopraffatto dalla società e di conseguenza c’è stato un primato della società sull’Io; anche
con l’avvio, per esempio, della globalizzazione, davanti all’uomo si sono aperti spazi infiniti
e quindi è andato a perdere il senso della propria vita, schiacciata e sopraffatta dalla masse,
dalle scelte globali, dall’economia globale.

4. Scenari dopo la modernità illuministica

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Tutto ciò ha fatto si che la vita del singolo perdesse di senso. Le conseguenze catastrofiche
della scelta di sopraffare l’uomo attraverso le scelte globali, sono state ciò che Donati
chiama olismo metodologico; pensiamo al fascismo, al marxismo, ideologie politiche che
hanno completamente annientato l’uomo, facendo perdere la sua vita di valore.
Nella società dopo moderna, Donati sostiene che non si possono commettere gli stessi
errori, quindi l’uomo deve ritornare a ritrovare il senso religioso della propria vita, e lo può
trovare solo se la società lo aiuta a impostare una nuova matrice teologica, quindi a
mettere in relazione Dio con l’uomo. Secondo Donati, il ruolo decisivo della religione (L) sta
nel fatto che essa può influenzare la sfera pubblica tramite le sfere dell’integrazione sociale
(I) o tramite l’economia (A). Si ipotizza quindi una nuova visione in cui tra religione e politica
non c’è separazione, ma distinzione. Il dilemma che si presenta, quindi, è nel contrasto tra
sfera pubblica eticamente neutrale e sfera pubblica eticamente qualificata (proposta di
Donati). La democrazia deve scegliere a quale affidarsi. Donati sostiene che una tolleranza
qualificata sia caratterizzata dalla valorizzazione delle fede religiosa concreta piuttosto che
dall’idea che essa non abbia alcuna rilevanza politica. La tolleranza religiosa è quindi il
riconoscimento dell’Alter (concreta persona umana) in forza di una profonda fede che
anima il soggetto.
L’autore propone tre strategie di rapporto tra religione e democrazia:
- La prima presuppone che la sfera pubblica sia influenzata dalla religione attraverso
accordi che ciascuna religione fa direttamente con lo stato; in tal senso la religione
agisce direttamente sul sistema politico, determinando ciò che avviene nella sfera
pubblica;
- La seconda presuppone che la religione rifiuti il dialogo con lo stato e si chiuda in se
stessa.
- La terza (auspicata da Donati) è quella che la religione si faccia promotrice di un dialogo
tra le diverse religioni e che sostenga una sfera pubblica fondata sul dialogo stesso. In
questo senso deve vigere il principio della tolleranza fondata sulla tolleranza attiva e
promozionale dei valori religioso, piuttosto che su neutralità ed indifferenza. Il principio
di tolleranza esalta la necessità che ciascuno interagisca esaltando le proprie
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appartenenze. La sfera pubblica religiosamente qualificata corrisponde all’idea di una
sfera di laicità religiosamente ispirata. per laica Donati non intende una sfera
antireligiosa, ma una caratteristica che lui attribuisce alla democrazia della società
attuale, una democrazia che deve essere capace di alimentarsi, quindi di svilupparsi,
tramite il dialogo delle religioni.

Passiamo da una tolleranza liberale (che risponde a istanze relativistiche e negative e che
esalta l’indifferenza della religione per la politica, vedendo nella religione una fonte di
intolleranza e discriminazione, in quanto viola il principio di uguaglianza perché non
consente pari opportunità agli individui; secondo questa prospettiva la religione non può
intervenire nella sfera pubblica così come lo stato non può intervenire negli affari privati
che sono una questione di gusti e preferenze estetiche. Essa produce intolleranza perché
afferma l’autonomia come bene assoluto e non accetta di accogliere altre posizioni che
possono metterla in forse!) ad una tolleranza religiosa (Seligman) (= la tolleranza religiosa è
quella che riconosce come importante per tutte le civiltà e tutte le religioni essere ricettive
a quello che è loro estraneo, ma nello stesso tempo pone l’interesse per la verità al centro
delle cose, sapendo che, se nessuno ha più il monopolio della Verità, tuttavia la verità esiste
e può essere raggiunta tramite un’opportuna declinazione di fede e ragione) ed una
pluralismo societario, dove essere considerato non l’individuo come persona che deve
essere sopraffatto dalla società, ma va considerato l’individuo come essere umano, come
persona capace anche di amore, capace di libertà, di pensiero e soprattutto di relazione. La
società, quindi, si deve fondare sull’io plurale, cioè sull’io che può appartenere a tante
religioni e che devono avere tutte lo stesso valore per la società.

5. Una sfera pubblica laica “religiosamente qualificata”

Donati approfondisce la questione della laicità della sfera pubblica, sostenendo che essa
deve essere ridefinita come capacità di dialogo e tolleranza attiva tra posizioni che non
devono dismettere la loro fede per poter entrare nello spazio pubblico. L’autore dice che
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laicità significa una fede temperata dalla ragione ed una ragione temperata dalla fede, in tal
senso la fede è costitutiva della ragione e viceversa.
La laicità dello stato all’inizio del III millennio significa la circolazione della dimensione
religiosa nella sfera pubblica, sulla base del fatto che la religione è fonte di vitalità per il
sociale. Le religioni devono unirsi tra loro per combattere la mercificazione e la
standardizzazione della mente collettiva frutto della globalizzazione. Ancora una volta
Donati, ribadisce l’importanza della relazione, poiché sottolinea che la libertà si rivela come
fenomeno relazione, come interazione “fra” (vengono meno i vecchi slogan “libera chiesa in
libero stato”, tipico del modello europeo e “libera chiesa e libero stato”, tipico del modello
americano).

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Capitolo 5.

La sociologia del soprannaturale oggi

Il penultimo capitolo del libro esamina alcune implicazioni del mestiere del sociologo nella
dopomodernità, la quale vede all’opera una nuova “matrice teologica della società”. La
base delle sue riflessioni è qui il pensiero di Luigi Sturzo, in particolare la sua “sociologia del
soprannaturale”. Donati la analizza nel dettaglio col fine di considerare sia le
incomprensioni e difficoltà che ha trovato sia la sua validità oggi. Poi la ridefinisce alla luce
della crisi che stanno attraversando le sociologie illuministe, già criticate dallo stesso Sturzo
almeno secondo le conoscenze disponibili al tempo in cui egli visse. La sociologia sturziana
del soprannaturale per Donati è attuale perché delinea una matrice teologica della società
utile a un più corretto dialogo fra sociologia e teologia. Se per Sturzo tutto ciò che vi è di
buono nella società civile esiste ed è civile perché è, in qualche modo, legato al “mondo
invisibile” del soprannaturale, allora possiamo dire con Donati che per Sturzo c’è sempre
una matrice teologica del pensiero e che «è proprio questo che giustifica la sociologia del
soprannaturale, cioè il fatto che ne abbiamo bisogno per non fare della teologia implicita e
inconsapevole di se stessa» (p. 187). Il mondo è umano (ovvero è tanto più umano) in
quanto nasce dal dialogo e interazione fra naturale e divino, fra la società che è insita nel
soprannaturale e la socialità che è insita nel naturale. Donati vede proprio in ciò la laicità di
una sociologia, che sa distinguere, senza confondere né separare, il piano umano e quello
divino. Se qualche volta Sturzo non rispettò questa impostazione – spiega – è perché non
possedeva una metateoria relazionale per evitare di cadere nella fallacia dell’indebita
influenza del soprannaturale. Secondo Donati «la visione sturziana espressa nella sociologia
del soprannaturale potrebbe oggi trovare un suo compimento più preciso e puntuale ove
fosse declinata come scienza delle relazioni fra vita quotidiana e mondo del divino» (p. 193).
Ciò richiede una mediazione culturale che non era disponibile nel tempo di Sturzo, e che va
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raccolta «da una teoria relazionale declinata con i canoni di una scienza empirica, ma non
empirista, capace di coniugare assieme immanenza e trascendenza, vedendo come il
soprannaturale si relazioni al naturale, e viceversa come il naturale si relazioni al
soprannaturale» (p. 202) senza confondersi e senza separarsi.

1. Una sociologia del soprannaturale?

Il capitolo si apre con un interrogativo posto da Donati, ovvero l’autore si chiede se sia
possibile “fare una sociologia del soprannaturale?” → la risposta più immediata ed ovvia,
secondo Donati, è quella più in voga tra i sociologi, i quali, appellandosi al principio secondo
la quale la sociologia è una scienza empirica, negano la possibilità che questa disciplina
possa occuparsi di qualcosa, come il soprannaturale, che per definizione, sfugge le notazioni
empiriche. Donati continua la sua riflessione sostenendo che, in realtà, si tratta di una
situazione paradossale, perché di fatto, i sociologi che sostengono questa tesi, appellandosi
al metodo dell’evidenza empirica, negano il fatto che esistono dei “fattori non naturali” che
incidono sul sociale più dei “fattori naturali” → non è un caso, che, ad esempi, quando si
indagano i valori, gli orientamenti o gli atteggiamenti, la variabile che maggiormente entra
in gioco è quella religiosa!

Il primo sociologo che ha cominciato a parlare di sociologia del soprannaturale è stato Luigi
Sturzo (e il suo pensiero si sposa benissimo con quello di Donati) → Sturzo è stato il primo
sociologo che ha cercato di mettere in comunicazione 2 entità (2 realtà) che i sociologi
prima di lui non erano mai riusciti a mettere in comunicazione: (1) la realtà vissuta e agita
dall’uomo e (2) la realtà sociologica e → Sturzo, infatti, ha proposto una sociologia di come
il soprannaturale si esprime nel mondo non solo in quanto (1) realtà vissuta e agita
dall’uomo, ma anche come manifestazione in lui e nella storia, di una realtà (2) che non è
costruita dall’uomo e che mette in connessione la società soprannaturale (divina) e quella
umana (naturale).

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Sturzo ammette che esiste una pluralità di sociologie, ma rivendica la possibilità di una
sociologia integrale, sottolineando così che “l’oggetto della sociologia è la società in
concreto e non in astratto, così lo studio deve arrivare alla complessa realtà attraverso tutti
i suoi fattori costitutivi” e tra i fatti costitutivi della realtà sociale è compresa la relazione
delle persone con il sovrannaturale.

Sturzo pensa che il sociologo non può ignorare un aspetto importante nella vita dell’uomo.
Dice: quando il sociologo fa indagine empirica non può fare a meno di considerare ciò che è
evidente (palese) → e proprio in virtù di questo fatto non può ignorare un fatto palese che
accade quotidianamente nella vita dell’uomo e cioè che il soprannaturale è in grado di
influenzare la vita dell’uomo → quindi non si può affermare che è solo l’uomo, è solo il
mondo, è solo la vita terrena e naturale capace di influenzare il soprannaturale, ma è vero
anche il contrario: che molte scelte individuali vengono prese in base a dei principi che
trascendono la realtà contingente (immanente) perché ci si richiama ad un’entità
soprannaturale.

Donati sostiene l’attualità della tesi di Sturzo, ma evidenzia che l’attualità di tale tesi non è
da ricercare solamente richiamandosi al momento storico attuale che vede in atto processi
di desecolarizzazione, non serve infatti ricorrere solamente al principio sturziano della
storicizzazione di un problema per comprenderlo → occorre, piuttosto, secondo Donati, una
sociologia che sia in grado di interfacciarsi con il soprannaturale mediante strumenti di
carattere relazionale, adeguati al suo oggetto di studio.

Donati, dunque, trova delle lacune in questa sociologia di Sturzo perché dice: è vero che
Sturzo è stato in grado di mettere in comunicazione 2 realtà che prima di lui erano sempre
state considerate come separate ‼ MA‼ Donati sostiene che a Sturzo sono mancati gli
strumenti e i concetti che lo aiutassero a trovare il terreno fertile in cui queste 2 realtà
potessero mettersi in comunicazione: manca in lui il concetto della relazione → ecco
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perché Donati parte dalla sociologia del soprannaturale di Sturzo per poi avanzare la sua
proposta della relazione → cioè noi possiamo vedere solo nella relazione l’influenza del
mondo sovrannaturale sulla vita terrena dell’uomo.

2. La tesi di Sturzo: Attualità e difficoltà

La “sociologia del soprannaturale” è il sottotitolo di un’opera di Sturzo, “La vita vera”


(1943USA, 1960 Italia)→ nella quale Sturzo indica l’oggetto della sociologia nella società in
concreto. Egli ricorda che, etimologicamente, sociologia significa discorso sulla società , la
sociologia è pertanto“scienza che studia la società quale essa è in concreto (…),
nell’intento di trovarne le leggi intime connesse con la sua stessa natura”; per questo, dice
Sturzo, la sociologia è una scienza. Per Sturzo  è, d’altra parte, fondamentale: “prendere la
società nella sua natura vivente e non ridurla ad una ipostasi concettuale”. La società,
infatti,“esiste e coesiste solo per gli individui”.

In quest’opera Sturzo propone due parti distinte:


1) “La società in Dio” → in cui viene esaminata ed interpretata la vita soprannaturale in
ciascuno di noi e nelle formazioni sociali;
2) “Dalla terra al cielo” → studia il problema etico-storico del riflesso del soprannaturale.

Il suo punto di partenza è l’idea che la sociologia debba occuparsi della “vita vera” (termine
mutuato da S.Agostino) → per cui, sostiene Sturzo, partendo dall’assunto che “la vita vera”
(= cioè la vita umana nella sua più alta perfezione, la dove essa è e si sente perfettamente
realizzata. È una vita integrale, poiché compiuta nelle sue aspirazioni più profonde)
dell’uomo non è solo quella naturale, ma piuttosto un intreccio tra realtà naturale e realtà
soprannaturale, allora tale intreccio deve essere oggetto di studio della sociologia, che deve
diventare, appunto, scienza integrale, nel senso che “l’oggetto della sociologia è la società
in concreto e non in astratto, così lo studio deve arrivare alla complessa realtà attraverso

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tutti i suoi fattori costitutivi” e tra i fatti costitutivi della realtà sociale è compresa la
relazione delle persone con il sovrannaturale.

Quest’opera si apre con l’interrogativo che Sturzo si pone → qual è il senso vero della vita?
Dove lo dobbiamo terrena (quindi nella vita completamente immanente)? Oppure anche
altrove (quindi non solo nella vita naturale-immanente ma anche soprannaturale) →
Donati sostiene che Sturzo non aveva gli strumenti (come le teorie sistemiche e simboliche)
scientifici odierni per arrivare a sostenere che la vita vera è una relazione tra natura e
sovra-natura; è un intreccio ed è tale da poter essere indagata in chiave storica,
esperienziale, concreta e quindi scientifica, ma è indubbio che per Sturzo la vita vera non
era un mito, qualcosa solo di ideale → essa è la pienezza della vita umana realizzata in tutte
le sue facoltà!!! Ed il suo richiamo alla sovra-natura è al contempo 1) fondamento dell’agire
sociale, 2) principio animatore e vivificatore, 3) fine di perfezione; resta ferma la difficoltà di
coniugare la complessità dell’essere umano, che non è solo spirito.
In Sturzo, dunque, afferma Donati, resta ancora poco chiaro come si relazionano tra di loro
le dimensioni della parte soprannaturale con quelle della parte naturale!!!

Quindi, sebbene per Sturzo il senso della vera vita lo troviamo nell’uomo che è capace di
realizzare sé stesso non solo nella vita terrena (= quindi un uomo non solo capace di
realizzare le sue potenzialità cognitive e professionali) ma che è anche capace di
considerare importante nella propria vita anche la parte trascendentale (= quindi capace di
considerare come parte integrante della propria vita anche la sfera della trascendenza ossia
la parte che non appartiene direttamente alla sua realtà) → tuttavia → Sturzo non ha
saputo (o potuto, per mancanza di strumenti, dice Donati!) spiegare come si relazionano tra
di loro le dimensioni della parte soprannaturale con quelle della parte naturale →
incorrendo in ciò che Donati definisce “fallacia della normatività mal posta”, ossia pensare
che la normatività dell’umano diipenda strettamente da quella soprannaturale → Il
fallimento, o meglio il limite, in questa sociologia di Sturzo è stato il seguente → siccome
Sturzo non è stato in grado di trovare nella relazione il terreno in cui soprannaturale e
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naturale potevano incontrarsi e confrontarsi, di conseguenza egli (come tutti gli altri
sociologi che lo hanno preceduto) ha finito per considerare il soprannaturale come
un’entità al di sopra della nostra vita immanente e naturale → Ma perché Sturzo è
incappato in questo errore? → Donati scrive, che la spiegazione è ravvisabile in due ordini
di fattori:
1) Sturzo non ha distinto tra “ divino” (= il trascendente che si esprime nella natura ed
attraverso di essa) e “soprannaturale”(= ciò che trascende radicalmente la natura) e nel far
ciò non ha visto che tra l’umano ed il soprannaturale c’è un’altra dimensione, la realtà
“divina”;
2) è mancata, dunque, un’interfaccia (il divino) in grado di gestire la relazione tra natura e
sovrannatura.

3. La laicità incompresa della sociologia di Sturzo

Le critiche maggiori mosse a Sturzo ruotano attorno all’idea che la sua sociologia sarebbe
pregiudicata dalla fede e dal credo religioso. Donati, nonostante abbia riconosciuto il limite
della sociologia sturziana (vedi paragrafo 2) → sottolinea che essa può essere considerata
come precursore di una sociologia ispirata ad una nuova laicità (dopo moderna) → perché
la sua sociologia del soprannaturale è intesa come scienza della relazione tra vita
quotidiana e mondo divino-soprannaturale.

La laicità del suo pensiero, dice Donati, si radica su due concetti:


1) la libertà personale
2) la responsabilità civile (sta nella valorizzazione del bene comune!)

Il suo pensiero, dunque, può essere compreso, dice Donati, solo ricorrendo al concetto di
“matrice teologica della società civile” → in tal senso, si può spiegare che l’attualità del
pensiero di Sturzo sta, dice Donati, nel fatto che attraverso la sociologia del soprannaturale
di Sturzo si può delineare una matrice teologica della società utile ad un più corretto
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dialogo tra sociologia e teologia → per Sturzo, infatti, tutto ciò che esiste di buono nella
società civile, è legato al mondo invisibile, al soprannaturale.

Donati ribadisce, che una sociologia è laica → quando sa distinguere tra piano umano e
divino (e non negare il piano divino! o confonderli).

4. La nuova laicità della sociologia

Donati conclude il capitolo ripercorrendo le posizioni possibili oggi nel mestiere di


sociologo:
1) la prima è quella di chi pratica una sociologia che separa la vita sociale quotidiana e la
vita soprannaturale;
2) la seconda è quella di chi pratica una sociologia che confonde tra loro la vita quotidiana e
quella soprannaturale;
3) la terza (quella auspicata da Donati) è quella di chi pratica una sociologia che vede nella
relazione tra naturale soprannaturale il potenziale di civilizzazione sia della società che
della sociologia. Questa posizione è quella di una sociologia che opera secondo la nuova
laicità proposta da Sturzo.

Donati, conclude, dicendo che per seguire l’impostazione di Sturzo, occorre andare oltre ad
essa → occorre dire che esiste una realtà intessuta della relazione tra naturale e
soprannaturale, intessuta da essi ed al contempo, emergente da essi → occorre vedere le
relazioni sociali come realtà che cresce storicamente in sé e per sé, a fianco ed oltre gli
individui, come loro prodotto, ma anche come un fatto generativo che ha rilevanza in sè e
che, quindi, va osservata in maniera adeguata.

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Capitolo 6.

Nell’ultimo capitolo, l’Autore analizza la situazione della differenza cristiana nella cultura
del “tutti differenti, tutti uguali”. L’epoca che teorizza le differenze culturali fa scomparire le
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differenze, facendole diventare indifferenti. Donati sostiene che la peculiarità della
differenza cristiana consiste nel ricorrere ad una formula relazionale di trascendenza che
non esiste altrove, e che la mancanza di una matrice teologica della società che sorregga i
processi di globalizzazione alimenta il bisogno di una nuova matrice teologica della società
di carattere relazionale (cfr. p. 210). Ciò che distingue la religione cristiana dalle altre
identità religiose è che essa rimanda ad una matrice teologica che fa uso di una semantica
relazionale della differenza: «con le altre identità il cristiano instaura una tensione
relazionale che va alla ricerca di ciò che accomuna mentre distingue, non già un
compromesso sui confini o un rapporto di reciproca inclusione/esclusione» (p. 218).
Abbiamo, quindi, una valorizzazione delle differenze.

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